Malika Ayane
Malika Ayane - Credit foto Julian Hargreaves

Canzoni, musical e ora anche un libro, dal titolo “Ansia da felicità”: Malika Ayane è un’artista poliedrica spinta dalla curiosità. Qui confida alcuni segreti della sua carriera artistica e la passione per la corrispondenza “tradizionale”.

Malika Ayane, come è nata l’idea di scrivere un libro?

“Per anni mi hanno contattato le case editrici, ma non volevo scrivere di me: sono troppo giovane sia per dare lezioni di vita, sia per un’autobiografia. Avevo sempre rimandato il progetto, finché, durante il periodo del musical “Cats” ho iniziato a scrivere dei racconti. L’idea è piaciuta molto all’editore Rizzoli, che mi ha incoraggiata a proseguire. Dopo aver letto i primi due, molto diversi tra loro, abbiamo intrapreso questo percorso, che ci ha portato fino alla pubblicazione di queste 15 storie”. 

Il titolo del libro, “Ansia da Felicità”, è indicativo. Alcuni hanno paragonato questo esordio alle tue canzoni più belle. Ti aspettavi questa buona accoglienza?

“In realtà ero terrorizzata. Da una parte speravo ci fosse una sorta di “nido”, proprio perché sono una neofita, mentre dall’altro ero spaventata dall’essere considerata l’ultima arrivata. Mi sono calmata quando ho letto gli apprezzamenti da parte degli esperti del settore. Mi hanno tranquillizzato certi commenti che, al netto di tutte le ingenuità che ci possono essere in un lavoro così semplice e scritto da sola, sono arrivati da chi legge i libri con serietà. Il nostro è un mondo in cui la comunicazione – con le interviste e l’affetto che si crea per gli artisti – va un po’ a prevaricare il progetto in sé. Non è scontato che ci sia obiettività assoluta”.

C’è qualcosa che accomuna una canzone a un libro?

“Nel mio caso è il bisogno di andare a scavare nel modo in cui le persone si pongono di fronte alle emozioni. La differenza è che il racconto permette di usare un bel quantitativo di parole in più e di non avere una forma regolare”.

Emani un’energia positiva: lo avverte il pubblico, lo dicono i critici. Da dove ti viene?

“Da una forma di resistenza. Sono un’ottimista sfegatata e penso sia una scelta di vita atteggiarsi con stupore verso le cose. Io la chiamo la sindrome di Frank Capra: guardare tutto come se fosse una meravigliosa possibilità”.

Chi era Malika prima di diventare Malika Ayane, quella dei cinque Sanremo, i due premi della critica, i dischi di platino, l’inno di Mameli cantato alle Olimpiadi di Pechino, il concerto al Colosseo per l’Expo 2030, il musical Cats che ha conquistato il Sistina? 

“Era una ragazza che sognava molto. A me piace sempre ricordare come, mentre stavo facendo il primo Sanremo e “Feeling Better” era alta in classifica, mantenevo ancora il mio lavoro di assistente in uno studio di musica. Sognavo ma mi davo anche da fare, perché la realtà ci insegna che dobbiamo alzarci dal letto e impegnarci. Un giorno, ero da mio nonno a pranzo ed era uscito il mio primo disco. Lui tira fuori un magazine con le recensioni dei dischi sulle ultime pagine e mi dice: “Guarda, perché il tuo dovrebbe essere diverso da questi?”. Non sapevo come rispondergli; oggi sono ancora un po’ la ragazza di allora. Penso che ogni possibilità vada benedetta e ogni avventura vissuta, cercando ovviamente di preservarsi”.

Hai dei sogni anche adesso, ma ne hai anche realizzati tanti. Come vivi questi risultati?

“Nei momenti di sconforto, come dopo la fine del musical Cats in cui ero stanca e non sapevo su quale progetto incanalare le energie, mi guardo intorno e vedo quello che ho fatto. Penso a me stessa di 20 anni fa e a tutto quello che è successo nel cammino”.

Pochi anni fa hai iniziato a fare boxe. Ti è servito? Ti senti più sicura?

“Mi serve per difendermi dalla mia distrazione. La boxe, come lo yoga, insegna non tanto a difendersi da qualcuno, ma a tenere la mente libera e guardare verso l’obiettivo. Nella boxe se ti distrai prendi un pugno, nella vita rischi di perderti qualcosa”.

Cosa accomuna una lettera a una canzone?

Molto spesso le canzoni sono una forma di lettera, a partire dal fatto che serve un’ispirazione. Nelle canzoni d’amore, per esempio, avere qualcuno a cui rivolgersi è importante. La lettera è la forma di scrittura più vicina alla canzone”.

Ti capita ancora di aspettare il portalettere o ormai bastano le e-mail?

“Sono una grande scrittrice di cartoline. Amo ancora andarle a cercare in giro per il mondo. Mi piace l’idea di come dal Giappone un pezzo di cartone con una fotografia possa attraversare il mondo per raggiungere qualcuno a cui è dedicato un pensiero. A volte nei mercatini vado anche a comprare cartoline scritte da qualcuno in altri tempi. Mi colpisce l’idea delle infinite vite che sono passate per la Terra”.

Una in particolare che ti ha colpito?

“Si tratta in realtà di una lettera digitale. Quando c’è stato il lockdown, durante una trasmissione, mi era stato chiesto di un insegnamento importante. Mi è venuta in mente la mia insegnante di lettere delle scuole medie, che è stata la prima persona che mi ha insegnato a credere in me stessa. La professoressa Lucia Florio, donna straordinaria di grande intelligenza ed eleganza, è stata la prima ad insegnarmi che ciò che per molti può essere strano, o un elemento di disturbo, può avere un lato visibile e prezioso per altri. Quello che per molti è un difetto, per altri può essere una qualità. Mi ha insegnato l’indulgenza verso di me. Lei, quando ha sentito che ne parlavo in televisione, mi ha mandato una mail”.

(Isabella Liberatori)