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A Manduria la presentazione del libro "Il Colpo di Spugna" davanti a un gran numero di studenti. “Ai giovani dico ribellatevi a ciò che non vi piace


Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 17-03-2024


Se vogliamo sperare di vincere la guerra alla mafia dobbiamo anzitutto capire che il fenomeno mafioso non è soltanto una questione di coppole e lupare, è qualcosa anche di molto più alto ed altro. Se Cosa Nostra ha compiuto quello che ha compiuto, se è stata in grado di condizionare a livello nazionale la politica italiana, è perché questa organizzazione mafiosa ha nel suo Dna la capacità di creare, implementare e sostenere il rapporto con il potere ufficiale”. A parlare è il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, durante la rassegna educativa “Legalità e Giustizia, tra scuola, cittadinanza e comunità” organizzata dall’Amministrazione Comunale di Manduria alla presenza di numerosi studenti del paesino in provincia di Taranto. Un incontro molto partecipato che ha visto la partecipazione del Sindaco Gregorio Pecoraro e dell’Assessore alle politiche sociali Fabiana Rossetti, nel corso del quale il magistrato ha presentato il suo ultimo libro “Il Colpo di Spugna” (Ed. Fuori Scena), scritto insieme al giornalista e scrittore Saverio Lodato, che racconta le vicende del processo sulla trattativa Stato-mafia, tema della rassegna. L’incontro è iniziato con la presentazione ai ragazzi del magistrato realizzata dal moderatore Francesco Mandoi, già Procuratore Nazionale Aggiunto Antimafia. “Di Matteo è stato un mio collega alla Direzione nazionale antimafia”. “E’ una di quelle persone che tutti noi dovremmo essere felici di incontrare nella nostra vita. E sono onorato di averlo come amico”, ha affermato sottolineando la sua etica e professionalità, premiate “a furor di popolo” quando venne eletto al Csm in un momento non semplice per la magistratura per via dello scandalo Palamara. Quindi l'incontro è entrato subito nel vivo con Di Matteo che ha preso parola rivolgendosi alla sala piena di giovani.
Mi permetto di farvi un invito, senza nessuna forma di paternalismo. Dovete pretendere di essere informati. Dovete conoscere, dovete sapere che la questione mafiosa non è soltanto una questione di ordinaria criminalità. E’ una questione che soffoca nel nostro paese, da 160 anni almeno, la libertà, la democrazia, la dignità dei cittadini. E’ una questione di libertà, per favore interessatevi. Non cedete alla tentazione a cui vogliono indurvi in molti, quella dell’indifferenza, della rassegnazione. Conoscete e sviluppate le vostre idee, ribellatevi a quello che non vi piace”. Il magistrato ha lanciato questo appello sottolineando il momento difficile che sta attraversando il Paese, con le espressioni del dissenso che vengono represse dalle forze dell’ordine. In Italia “sembra svilupparsi una sorta di fastidio sempre più palese nei confronti del dissenso. Siamo arrivati al punto che le manifestazioni pacifiche del dissenso sono state purtroppo affrontate in maniera tale da manganellare quei giovani”. Il già consigliere togato del Csm ha ricordato le cariche della polizia a Firenze, di Pisa e ancor prima quelle del passato 23 maggio a Palermo. Questi episodi di violenza, ha commentato Di Matteo, “sono sconfitte per lo Stato che non devono indurre però ai ragazzi a rinunciare alla manifestazione pacifica delle loro idee”.


di matteo nino manduria

Nino Di Matteo, sostituto procuratore nazionale antimafia



Le tre condizioni per sconfiggere la mafia

Quindi, prendendo spunto da una riflessione di Mandoi sulle parole di Giovanni Falcone rispetto alla mafia come fenomeno umano destinato a scomparire, Di Matteo ha voluto precisare che per far in modo che ciò avvenga devono realizzarsi tre condizioni. “La prima è mantenere quell’armamentario giuridico che dopo le stragi del ’92 è stato messo a dissezione per combattere efficacemente la criminalità mafiosa e che oggi viene in messo in discussione”. Si tratta, ha spiegato il magistrato agli studenti - del sequestro dei beni, le confische, le intercettazioni telefoniche e ambientali, l’utilizzo dei collaboratori di giustizia, l’ergastolo ostativo. La seconda condizione è la presa di posizione della politica. “La mafia non può essere vinta soltanto dagli sforzi di magistrati e forze dell’ordine. Per vincere la guerra ci vuole un cambio di passo della politica. Ci vuole l’impegno politico di uomini competenti ma ci vuole soprattutto una presa d’atto: la lotta alla mafia dovrebbe essere al primo posto di ogni agenda di governo, di qualunque colore. E finora così non è stato”. Poi la terza condizione, quella di una “rivoluzione culturale che deve passare dai cittadini e soprattutto dai giovani. Ed è la rivoluzione culturale che deve passare dal ripudio da quello della mentalità mafiosa, quella del favore, della raccomandazione, della scorciatoia, del privilegio, della lobby, del concetto di appartenere a qualcuno”. “E’ soltanto attraverso la convergenza di questo tipo di reazioni, giudiziarie, politiche e culturali che potremmo un giorno diventare un Paese libero e giusto”, ha affermato Di Matteo.


Il colpo di spugna della Cassazione

Il focus si è quindi spostato, con le domande di Francesco Mandoi, verso il cuore dell’iniziativa organizzata con le scuole di Manduria: la trattativa Stato-mafia. “Io penso che questo percorso di esame di fatti storici che sono accaduti non possa completarsi senza l’esame dell’esito delle tre sentenze fatte a proposito della trattativa Stato-mafia”, ha detto Mandoi dopo che Di Matteo ha riassunto ai ragazzi quella che è stata la genesi della strategia stragista di Cosa nostra, e quindi della trattativa Stato-mafia. Le tre sentenze sono i tre giudizi dei giudici di merito sull’inchiesta trattativa di cui Di Matteo è stato uno dei rappresentanti dell’accusa insieme ai colleghi Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi.


il colpo spugna manduria antenna sud


In primo grado sono stati condannati tutti, mafiosi, uomini delle istituzioni e il senatore Dell’Utri a pene severissime”, ha ricordato Di Matteo. “In secondo grado sono stati condannati i mafiosi, quindi la minaccia c’era stata e sono stati assolti gli esponenti delle istituzioni ma non perché i fatti non erano provati ma perché secondo i giudici di appello mancava il dolo”. Il magistrato ha quindi voluto sottolineare comunque l’importanza di quella sentenza che, anche se parzialmente assolutoria, “venivano sancite delle verità e dei fatti che facevano tremare questo paese o avrebbero dovuto farlo tremare”. Per esempio il fatto che una parte dello Stato tra la strage di Capaci e quella di via d’Amelio favorì la latitanza di Bernardo Provenzano perché rappresentava l’ala moderata di Cosa nostra rispetto a quei boss che volevano continuare le stragi come Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Matteo Messina Denaro. O anche il tema della mancata perquisizione del covo di Totò Riina che i giudici hanno ritenuto non fu “frutto di un equivoco o di un’incomprensione tra i carabinieri e la procura ma un segnale di distensione nei confronti della controparte della trattativa”, ha rammentato Di Matteo. “Sono conclusioni che dovrebbero far tremare i polsi”. “Questa sentenza della Cassazione mette in dubbio la ricostruzione fattuale. Addirittura dice che la minaccia fu solo tentata, che lo Stato non percepì niente”, ha riassunto amareggiato il sostituto procuratore. 
Queste conclusioni sono arrivate perché, si è detto convinto Di Matteo, “il sistema doveva cancellare quelle statuizioni in fatto della sentenza d’appello. E in poche pagine i giudici della Cassazione pretendono di smontare la valenza probatoria di diecimila pagine di motivazione tra la sentenza di primo grado e di secondo grado. Ecco perché quando ho pensato di riepilogare quello che era successo nel processo scrivendo questo libro ed esporre il mio convincimento mi è venuto spontaneo pensare a 'il colpo di spugna' come titolo”.  


Parcellizzazione dei fatti

Non solo. “La Cassazione - ha denunciato ancora Di Matteo - in poche pagine ha formulato dei giudizi veramente ingenerosi nei confronti dei giudici, sia di primo che di secondo grado. Entrambi giudici con trent’anni di esperienza di mafia alle spalle. Dice che questi giudici hanno adottato un approccio non giuridico ma storiografico”, ha ricordato l’autore del libro. Di Matteo ha voluto precisare che “ci sono determinati delitti che per essere capiti e dimostrati devono essere calati in quel contesto più ampio, politico, sociale che li vede maturare. Questo non significa approccio storiografico. Significa approccio sistematico e complesso”, ha aggiunto. Una campagna di stragi come quella “non si può capire se si atomizzano le singole circostanze, se non si vede oltre il perimetro della mera esecuzione materiale”, ha commentato Di Matteo. “Quel giudizio nei confronti dei giudici di aver adottato un approccio storiografico è stato veramente ingeneroso. E’ l’antico vizio, di fronte a certi fenomeni più complessi, di isolare i fatti uno per uno”. Una tecnica, quella della parcellizzazione, che sta adottando anche la commissione Parlamentare antimafia. “Perché a fronte della necessità di occuparsi, o almeno così dovrebbero, dell’intera campagna stragista, questa commissione ha scelto di occuparsi della strage di via d’Amelio, anzi soltanto di una delle piste, forse nemmeno tra le più accreditabili della strage, senza considerare le altre. E non può essere così. Non possiamo capire chi e perché uccise o diede il mandato di uccidere Borsellino se non sappiamo chi e perché uccise o diede il mandato alla mafia di uccidere Falcone e poi chi organizzò le stragi del ’93. E invece purtroppo è quello che si sta verificando. Questa sentenza della Cassazione temo che rappresenti uno spartiacque tra la stagione dei grandi processi politico-mafiosi (Andreotti, Dell’Utri, Mannino, Contrada, Carnevale) che soprattutto Palermo ha portato avanti”.


il colpo spugna manduria relatori



Il senso del dovere, l’onere della toga

Secondo Di Matteo la sentenza del Palazzaccio sulla trattativa Stato-mafia “rischia di chiudere un’epoca”. “Perché quando si dice che quel tipo di ricostruzione che è stata fatta in tutti questi processi ha avuto un carattere storiografico, questo rappresenta un monito per i magistrati che si dovessero imbattere in futuro in situazioni altrettanto complesse”. Il magistrato della Pna ha ricordato che proprio in “questi giorni si sta discutendo anche di prevedere nella valutazione delle carriere dei magistrati l’esito dei processi”. Una misura che, secondo il pm, “indurrà la magistratura ad adottare il profilo basso?”. 
Questo significa l’appiattimento della magistratura, significa applicare una giustizia penale a due velocità, una efficace e rigorosa nei confronti degli ultimi della società, e una giustizia penale che si guardi bene dal controllare la legalità nell’esercizio del potere”, ha analizzato il magistrato. “Questo è contrario, prima ancora che alla legge, allo spirito costituzionale, ed è per questo che io penso che noi magistrati abbiamo il diritto e il dovere di parlare perché noi abbiamo giurato sulla Costituzione. Non abbiamo indossato la toga per esercitare il potere o per chissà quale motivo. Io personalmente credo che si debba avere il coraggio delle proprie idee, e l’umiltà del confronto con i cittadini”. 


Di Matteo risponde agli attacchi di Visconti

E a proposito di confronto con i cittadini, Nino Di Matteo ha speso due parole sul commento infelice espresso mesi fa da Costantino Visconti, docente di diritto penale all'università di Palermo il quale, in un articolo di giornale, aveva cercato di dissuadere scuole e facoltà dall’invitare il magistrato a parlare con gli studenti. “E' chiaro che fino a quando nelle scuole si continueranno ad invitare Saverio Lodato e Nino Di Matteo, che dicono che lo Stato è marcio, si darà un messaggio diverso alle nuove generazioni”, erano state la parole del docente. “Mi addolora sentire qualche professore dire che non devo andare nelle scuole perché rappresento ai giovani l’idea che lo Stato è marcio - ha detto Di Matteo senza fare diretto riferimento a Visconti - ma io sono un uomo dello Stato. Ho conosciuto centinaia di persone dello Stato, anche le più umili, che fanno il loro dovere fino all’eroismo. Io vivo a contatto con uomini dello Stato, io sono scortato da 32 anni. I miei figli sono nati con la scorta dei carabinieri che li ha visti nello stesso momento in cui li ho visti io. Ma proprio da questo punto di visto lo Stato, che è fatto da questi uomini meravigliosi che ogni giorno fanno il loro dovere, deve avere una capacità, quella di non nascondere la polvere sotto il tappeto”, ha affermato, seguito da uno scroscio fortissimo di applausi. “Quella di non pretendere di lavare i panni sporchi in famiglia. Lo Stato - ha aggiunto - si dimostra forte quando certe cose vengono fuori, quando certe situazioni che hanno riguardato anche rapporti di alto livello vengono fuori. Perché la storia del rapporto tra lo Stato e la mafia non è stata tutta la storia dei buoni contro i cattivi. Ogni tanto i buoni e i cattivi si sono mischiati. Alcune cose devono venire fuori - ha concluso - e quando vengono fuori anche attraverso sentenze definitive, ce le vogliono nascondere”.

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