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A pochi giorni dalla mattanza si indaga su moventi e mandanti dei jihadisti. Nel 2015 il giornalista spiegava che l’Isis è una creatura di Washington e paesi del Golfo

La Russia è ancora sotto shock dopo l'attacco al Crocus City Hall di Mosca. Il bilancio delle vittime è salito a 137 morti e 180 feriti. L’Isis, o meglio l’Isis-Khorasan (il ramo afghano dello Stato islamico), ha rivendicato la strage, diffondendo anche video dell’azione.
I quattro assalitori, tutti provenienti dal Tagikistan, sono stati arrestati con l’accusa di terrorismo e sono già comparsi davanti ai giudici (tra l’altro con evidenti segni di torture). Uno di loro, interrogato, ha confessato di aver agito “per soldi”, 500mila rubli (circa 5.000 euro). Il terrorista ha detto di aver accettato di partecipare all'attacco dopo avere ascoltato un mese fa le lezioni di un predicatore e di essere stato reclutato su Telegram da un aiutante di questi, che gli avrebbe poi versato un anticipo di 250.000 rubli. Circostanza decisamente singolare. Le indagini sulla strage, la più grande degli ultimi 20 anni in Russia, procede a ritmi serrati. Tante le domande: perché questa mattanza? Quali saranno le conseguenze internazionali? I quattro hanno agito da soli? Come hanno fatto a bucare l’intelligence russa?. E soprattutto, hanno eseguito l’attentato per conto di qualcuno? E di chi? Tante le ipotesi sul piatto. I tagiki potrebbe aver agito in funzione anti-russa, in concerto con apparati ucraini (come sostiene il Cremlino) e come dimostrerebbe la tentata fuga in Ucraina; oppure per vendicare la sconfitta di Daesh in Siria, annientata dalla Russia. O per mettere il primo mattoncino per la fondazione di un nuovo califfato nelle ex repubbliche sovietiche, come il Turkmenistan, il Tagikistan e l’Uzbekistan. Praticamente un’utopia. Oppure, ancora, potrebbero essersi mossi su comando dell’Occidente, in qualità di braccio armato pronto a minare, con un attentato così devastante, la credibilità di Vladimir Putin, appena rieletto a presidente della Federazione Russa. Quindi colpire la stabilità del paese e la sua sicurezza. Sono tutte ipotesi valide, anche quest’ultima che potrebbe risultare la più destabilizzante. Se fosse ancora tra noi, il giornalista Giulietto Chiesa, grande esperto di Russia e geopolitica, molto probabilmente riterrebbe questa pista quella più plausibile. “L’Isis è una creatura mostruosa ma mista”, disse ai nostri microfoni nel 2015. Quello fu l’anno in cui l’Isis colpì l’Europa, prima a Parigi con l’agguato al settimanale francese “Charlie Hebdo” (12 morti), poi al teatro Bataclàn, sempre a Parigi, 130 morti (tra cui l'italiana Valeria Solesin). “L’Isis è una specie di ‘spectre’, che è per metà Occidente e per un’altra parte Qatar, Arabia Saudita che sono i finanziatori”. “Ci sono abbondanti prove”, aggiungeva Chiesa ricordando un dato incontestabile: “Solo chi ha tanti soldi può mantenere un esercito di 70mila uomini che costa un miliardo di dollari al mese come minimo”.
L’Isis, aggiungeva il giornalista, “è stato organizzato e aiutato dagli Stati Uniti d’America, da Israele”. Fondamentale anche il ruolo della Turchia, e ovviamente i soldi dell’Arabia Saudita e di altre petrol-monarchie come gli Emirati Arabi e il Qatar, appunto. “Ma adesso - ci spiegava Giulietto Chiesa - l’Isis ha assunto una sua forza autonoma e in qualche misura agisce per conto suo”.
Per dimostrare che l’Isis sia una creatura dell’Occidente, finanziata da paesi del Golfo non serve scomodare il defunto Giulietto, le cui analisi geopolitiche si sono rivelate molto spesso esatte con il passare del tempo, anche dopo la sua morte, avvenuta quattro anni fa.
Basta ripescare le parole di Rand Paul, candidato repubblicano alla Casa Bianca per le presidenziali del 2016, il quale si disse sicuro che dietro l’ascesa dell’Isis ci fossero proprio gli americani, anzi, “un paio di repubblicani esperti di affari esteri”. Nello specifico Lindsey Graham e il guerrafondaio John McCain (quest’ultimo sconfitto da Barack Obama nel 2008 e morto dieci anni dopo). “Isis è sempre più forte perché i falchi nel nostro partito hanno fornito indiscriminatamente armi agli estremisti”, affermava su Msnbc il senatore.
Le parole di Paul combaciavano con quelle dell’allora n. 2 di Barack Obama, Joe Biden, oggi presidente degli Stati Uniti. In un discorso tenuto all’Università di Harvard, Biden accusò i paesi alleati Usa nel Golfo - Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar - di non fare abbastanza per combattere Isis e, peggio, di essere loro i finanziatori. “Hanno fatto piovere centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi nelle mani di chiunque fosse in grado di combattere contro Assad, peccato che chi ha ricevuto i rifornimenti erano… al Nusra, al Qaeda e gli elementi estremisti della Jihad provenienti da altre parti del mondo”, affermava l’attuale inquilino della Casa Bianca. In quell’occasione l’amministrazione Obama presentò scuse formali ma in privato, funzionari del governo ammisero che la posizione di Biden non era errata “quando dice che soldi e armi sono finiti nelle mani di estremisti”. In pratica si ufficializzava l’asserzione secondo cui dietro Desh c’erano i paesi del golfo alleati con la regia di Washington. Non solo. Un rapporto ‘top secret’ della Defense Intelligence Agency, i servizi segreti del Pentagono datato 2012, prevede e convalida la creazione di uno Stato islamico per rovesciare il presidente siriano Bashar al-Assad. Si prospettava la nascita di un “principato salafita” che “unifichi l’estremismo jihad tra sunniti in Iraq e in Siria”. I “signori della guerra”, come Giulietto Chiesa chiamava la cloaca di eminenze grigie di Washington e i falchi del complesso militare industriale degli Stati Uniti, permisero che il cuore del Levante, cioè Siria e Iraq e i suoi tremila anni di storia, venisse messo a ferro e fuoco da jihadisti tagliagole. Mine vaganti che ancora oggi agiscono, o per conto proprio, o per conto dei loro finanziatori in Europa e in altre parti del mondo. Che sia quello di Mosca uno di questi casi?

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