Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.


L’intervento dell’autore de “Il colpo di spugna” alla presentazione del libro al Teatro Garbatella di Roma

Non esiste altro argomento in Italia in cui ci sia una separazione così netta tra verità ufficiali, codificate e sancite dal pronunciamento dei giudici, e quello che è invece il sentire comune della gente”. A dirlo, parlando di mafia e complicità di Stato, è Saverio Lodato. Il giornalista e scrittore è intervenuto ieri alla presentazione del libro, scritto insieme al magistrato Nino Di Matteo, “Il colpo di spugna” (Ed. Fuori Scena), realizzata al teatro Garbatella di Roma. Ospiti, insieme ai due autori, il conduttore di “Report” Sigfrido Ranucci e l’ex commissario di Polizia Salvatore Bonferraro. “Se si chiedesse ad ogni italiano ‘ma la mafia in questi 200 anni ha fatto tutto da sola? L’italiano medio risponderà ‘no’ - ha affermato Lodato - e dirà che ha operato con la complicità dello Stato”. 
Eppure, secondo i giudici della corte di Cassazione, che tra assoluzioni e prescrizioni, ha salvato tutti gli imputati del processo trattativa Stato-mafia, la mafia avrebbe proprio fatto tutto da sola. O almeno negli anni bui della strategia stragista. Lo Stato, questo il messaggio che si legge tra le righe dalle conclusioni dei giudici ermellini criticate da Lodato e Di Matteo nel loro libro, non ha trattato con Cosa nostra per far cessare le bombe. Nella sentenza, nella quale sono stati assolti dall’accusa di minaccia a corpo politico dello Stato gli ex ufficiali dei Carabinieri Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, insieme all’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, i giudici realizzano un certosino colpo di spugna, come suggerisce il titolo del libro, con cui provano a cancellare tutte le conclusioni alle quali sono arrivati i due precedenti collegi giudicanti e altri processi celebratisi sulla cornice della strategia stragista di Cosa nostra.


lodato garbatel pb 2

Dal processo Andreotti al processo Trattativa, stessa dinamica di santificazione

Questo colpo di spugna, secondo gli autori del libro, avviene, tra le altre cose, con la contestazione di “un approccio storiografico alla materia”. Un’accusa che Di Matteo e Lodato hanno descritto come “grave e ingiusta”. Lodato ha poi sottolineato l’ipocrisia di questa accusa ricordando quanto avvenne dopo il processo di Palermo per mafia contro l’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
Trenta anni fa lo stesso approccio venne chiamato in causa nel processo Andreotti”, ha ricordato il giornalista. “E si scatenò per sette anni, perché tanto durò il processo a Giulio Andreotti, una campagna con le famose teste pensanti di allora che dicevano che i giudici vogliono fare il processo alla storia, questo lo devono fare gli storici. Indipendentemente dal fatto se Andreotti avesse commesso o meno dei reati. Ma la Cassazione di allora, forse con un po’ di pudore in più rispetto alla Cassazione odierna, pur accettando anche in quel caso l’approccio storiografico come grande fonte di accusa nei confronti dei magistrati, dovette mettere in sentenza che Giulio Andreotti aveva incontrato prima e dopo la morte di Piersanti Mattarella a Palermo, il presidente della Regione Siciliana e fratello dell’attuale capo dello Stato, il gotha dei mafiosi di allora”. “Il reato venne prescritto - ha rammentato l’autore del libro - ma ciò non impedì alle grandi televisioni di allora, penso per esempio a ‘Porta a Porta’, di titolare a caratteri cubitali ‘Giulio Andreotti è stato assolto’”. 
Saverio Lodato ha quindi ricordato l’amico e collega Andrea Purgatori, deceduto lo scorso 19 luglio. “Se già allora (ai tempi del processo Andreotti, ndr) avessimo avuto una stampa che all’unisono si fosse mossa sulla linea di Andrea Purgatori, probabilmente noi non arriveremmo oggi a una Cassazione che dice che tutto è stato fatto a fin di bene”.


lodato garbatel pb 3

Il tributo a Purgatori e il premio alla sua memoria

Lodato ha voluto spendere alcune parole per Purgatori dopo la proiezione del tributo di ANTIMAFIADuemila al giornalista d’inchiesta che sullo stesso palco di ieri parlò un anno esatto fa, alla presentazione del libro precedente a “Il colpo di spugna”, “Il patto sporco e il silenzio” (Ed. Chiarelettere). In quell’occasione Purgatori parlò di alcuni misteri come la mancata perquisizione del covo di Riina, la trattativa Stato-mafia, il mancato arresto di Bernardo Provenzano da parte dei Carabinieri, la trattativa Stato-mafia, le stragi e la cattura di Matteo Messina Denaro. “Quello che disse Andrea l’anno scorso mantiene tutta la sua attualità”, ha commentato Saverio Lodato. “Le parole di Andrea rappresentano un distillato di giornalismo italiano investigativo, ha riassunto quelli che sono gli interrogativi dell’opinione pubblica italiana rispetto a questo argomento”, ha aggiunto.
Quando Andrea parlava in quel video non c’era ancora la sentenza di Cassazione”, ha detto ancora. “Rappresentando il punto di vista dell’opinione pubblica italiana, voleva che una sentenza di Cassazione desse risposte a interrogativi altrimenti destinati a rimanere spaventosamente tali”. Ma, ha osservato amareggiato il giornalista, la sentenza di Cassazione “ha tradito tutti gli interrogativi ai quali Andrea chiedeva risposta”. Quindi Lodato, davanti a una sala gremita di persone, tra le quali sedeva anche uno dei figli di Purgatori, ha invitato le associazioni della stampa Italiana ad “istituire un premio alla memoria di Purgatori per le lezioni che diede sul giornalismo investigativo”. Una proposta condivisa e rilanciata anche da Silvia Resta, moderatrice della serata, “da qui partirà la richiesta alla FNSI di istituire un premio alla memoria di Purgatori”.



Giornalismo d’inchiesta “brutta bestia”

E a proposito di giornalisti e giornalismo. Durante la serata Saverio Lodato ha voluto manifestare la propria solidarietà ai giornalisti del “DomaniGiovanni Tizian, a Nello Trocchia, a Stefano Vergine e Federico Marconi. Tutti e quattro finiti nell’inchiesta della procura di Perugia che sta indagando sugli accessi abusivi nelle banche dati che avrebbe effettuato Pasquale Striano, responsabile del gruppo Sos e luogotenente della Guardia di finanza. Un’inchiesta che ora la maggioranza di governo sta strumentalizzando per delegittimare la Procura nazionale antimafia, per la quale Striano lavorava, e in generale tutto il mondo della magistratura, nonché l’uso delle intercettazioni. “Stiamo assistendo a questo scandalo ma si dimentica il punto di inizio di questa inchiesta, la pubblicazione da parte di alcuni giornalisti del “Domani” che sono finiti sotto inchiesta e ai quali voglio che questa sera diamo la nostra solidarietà indipendentemente dall’esito di questa inchiesta”, ha esordito sul punto Lodato.
Tutto parte da un’inchiesta del “Domani” sul ministro Crosetto che ha messo in luce aspetti rimasti segreti, forme di probabile incompatibilità tra l’essere stato uno dei più importanti dirigenti di Leonardo e poi, senza soluzione di continuità, essere diventato ministro della Difesa in Italia. Noi cittadini abbiamo diritto di sapere, ancora prima della verità sugli accessi non consentiti nelle banche dati, se questa incompatibilità di Crosetto c’era oppure no”, ha affermato l’autore del libro. “Non permetteremo al potere, sollevando questo polverone, di far dimenticare qual era l’oggetto di quell’inchiesta. Diversamente siamo destinati ad aggiungere misteri ad altri misteri”.


lodato garbatel pb 4


In Italia, ha commentato Lodato, “abbiamo il problema che quando qualcuno indica la Luna c’è chi guarda al dito, periodicamente”. Si tratta, a detta di Lodato, di “un film già visto”. “Una questione che va avanti da almeno 40 anni”. Quindi il giornalista ha ricordato quella volta in cui, nel 1988 finì in carcere a insieme ad Attilio Bolzoni per aver pubblicato notizie allora coperte da segreto. Si trattava del memoriale del sindaco Insalaco, lasciato prima di venire assassinato, e i verbali del pentito Antonino Calderone. Tutti documenti che la procura diretta da Pietro Giammanco voleva tenere nascosti”, ha rammentato Lodato. “E per metterci in carcere venne inventato il reato di peculato perché allora la violazione di segreto istruttorio prevedeva una ammenda, non la galera. Ma siccome il potere di allora voleva sbatterci in galera trovarono questa soluzione. Cioè in altre parole di appropriazione indebita del bene dello stato, ovvero la risma di carta su cui avremmo fotocopiato le carte”. Anche in quell’occasione, ha detto Lodato, “non si parlò più di quello che aveva lasciato scritto Insalaco prima di morire o dei rapporti tra mafia e politica a Catania raccontate da Calderone ma di chi aveva dato la notizia a chi e perché”. Per questo “esprimo la mia solidarietà ai colleghi che si trovano in un simile meccanismo, sapendo che l’unica cosa a cui dobbiamo rispondere è la veridicità delle fonti”. Il giornalismo investigativo, ha aggiunto Lodato con tono sarcastico “è una brutta bestia del giornalismo. Abbiamo presente fra noi Sigfrido Ranucci che di giornalismo investigativo se ne intende e non a caso viene messo sulla graticola da tutti i rappresentanti del potere, senza eccezione. Questa cosa grida vendetta, grida scandalo”, ha concluso sul punto l’autore. 


lodato garbatel pb 5

Caso Navalnaya, guai a parlare di “mafia”

Nel corso dei suoi due interventi sul palco, Saverio Lodato ha voluto commentare quanto ha denunciato qualche giorno fa Yulia Navalnaya, moglie del dissidente russo Alexei Navalny morto in carcere, in circostanze misteriose, il 16 febbraio nella colonia penale artica IK-3. 
Qualche giorno fa la vedova di Navalny ha fatto una conferenza stampa dicendo ‘mio marito è stato ucciso da Putin perché Putin è un mafioso’. I telegiornali italiani questa espressione l’hanno censurata e hanno risolto il tutto con una serie di perifrasi. E questo però cosa ci dice?”, si è chiesto Lodato. “Che noi in Italia non vogliamo ora fare sparire il rapporto tra la mafia e lo Stato, vogliamo fare sparire la parola ‘mafia’ perché la mafia l’abbiamo inventata noi. E allora se arriva una persona russa o ucraina che dice che ‘mio marito è stato ucciso da un mafioso’ noi le diciamo ‘ signora grazie, noi accettiamo la sua condanna, Navalny era un eroe dei tempi moderni, Putin è quello che è ma la parola mafia se la risparmi’. Questa è lo stato dell’arte in Italia in questo momento”.




“Noi e loro”, “irriducibili e inguaribili”

A fine conferenza, Saverio Lodato ha poi tenuto a commentare alcune delle parole di stima e rispetto pronunciate durante la presentazione del libro dall’ex commissario Bonferraro (oggi in pensione) nei confronti di Nino Di Matteo. L’ex commissario aveva assistito, durante la sua attività di intercettazione, alle conversazioni tra l’ex senatore Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio, ex addetto giuridico della Presidenza della Repubblica, nelle quali si discuteva della possibilità di avocare le indagini sulla trattativa interessando la Procura nazionale antimafia. Un’avocazione impossibile principalmente, affermavano i due, per “colpa” di Nino Di Matteo, che Mancino definiva “un guaio”.
Oggi dico si è vero, è un 'guaio’”, ha commentato Bonferraro, “perché il dottore Di Matteo è un inguaribile che cerca la verità e se noi anche oggi siamo qui a distanza di tanti anni lo dobbiamo a questo 'guaio’”. Saverio Lodato ha voluto correggere filologicamente l’ex commissario affermando che Di Matteo non “è un inguaribile ma un irriducibile”. “Non siamo inguaribili perché non abbiamo nessuna malattia dalla quale guarire”, ha aggiunto. “Quelli che sono inguaribili sono molto spesso gli uomini che ci governano”. Parole, queste, che fanno il paio con l’articolo di Saverio Lodato, letto un anno fa dagli attori Lunetta Savino e Luca Zingaretti. Un articolo iconico dal titolo “Chi sono Loro? E chi siamo noi?” nel quale il giornalista evidenzia la linea di demarcazione che separa i tanti che si girano dall’altra parte, che scendono a compromessi, e i pochi che la testa la tengono ferma e alta, nonostante i rischi e i pericoli, come Di Matteo.

Foto © Paolo Bassani

ARTICOLI CORRELATI 

Contro bavagli e trattative, non arrendersi al ''Colpo di spugna'' della Cassazione

Trattativa, Di Matteo: ''Cassazione alimenta un pericoloso vento di restaurazione in Italia''

Andrea Purgatori, il giornalista che sapeva guardare lontano
di Saverio Lodato

''Il colpo di spugna'' sulla Trattativa Stato-Mafia
di Giorgio Bongiovanni

Ai posteri l'ardua sentenza, di Cassazione
di Saverio Lodato

Non su autorità ma su verità si fonda il mondo
di Giuseppe Galasso 


Il colpo di spugna
di Elio Collovà

Stato-mafia: quel colpo di spugna della Cassazione
di Lorenzo Baldo

Di Matteo a Genova con 2000 studenti

Stato-Mafia, Di Matteo: oggettività dei fatti è dimostrata, altro che teorema

Stato-Mafia, Di Matteo: ''Fatti restano, esponenti istituzionali cercarono i boss''

Sentenza Trattativa, Di Matteo: ''È un dato di fatto, parte dello Stato cercò Riina'' 

Trattativa Stato-mafia, la Carnevalesca sentenza della Cassazione
  
Our Voice: ''E' in atto un tentativo di riscrivere la storia delle stragi di mafia''


Processo Trattativa, Di Matteo: ''Sentenza di Cassazione non potrà cancellare i fatti''

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos