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Franco Micalizzi: ecco a voi 'Mister Trinità', l'autore delle musiche del film-culto: "Dicevano che erano trash, poi le ha usate Tarantino"

Franco Micalizzi: ecco a voi 'Mister Trinità', l'autore delle musiche del film-culto: "Dicevano che erano trash, poi le ha usate Tarantino"

A cinquant'anni dall'uscita di 'Lo chiamavano Trinità...', il debutto alla regia di Enzo Barboni che ha lanciato la formidabile coppia Bud Spencer-Terence Hill, il maestro ripercorre l'avventurosa genesi del film campione d'incassi: dalle risate dei tecnici allo schiaffo di Morricone. E il segreto di quei fagioli, entrati nell'immaginario degli italiani

13 minuti di lettura

ROMA - “Se per lei è lo stesso possiamo risentirci tra un quarto d'ora? Mi fa una grande cortesia perché sto finendo di farmi la barba...”. Appena dall'altro capo del telefono si sente la voce – profonda – del maestro Franco Micalizzi, è come essere scaraventati in un film. Un film western, per la precisione. È l'alba, hai di fronte un cowboy col volto sporco bruciato dal calore e dal vento della prateria, un coltello mezzo arrugginito in una mano e un coccio di specchio nell'altra, mentre è intento a radersi come può. Invece siamo all'ombra della Lupa, il sole è spuntato da un bel pezzo, pallido oltre i palazzi, e quei due cavalieri solitari, Trinità e Bambino, compiono cinquant'anni. Mezzo secolo fa Bud Spencer e Terence Hill hanno attraversato lande desolate, affrontato scazzottate infinite e mangiato enormi padelle di fagioli senza bisogno di alcun digestivo in Lo chiamavano Trinità... ma, con buona probabilità, non ci fossero state le musiche che il compositore e direttore d'orchestra Micalizzi gli ha cucito addosso le cose sarebbero andate un po' diversamente. Il film di debutto diretto da E.B. Clucher, pseudonimo di Enzo Barboni, uscito nelle sale il 22 dicembre 1970 e diventato in brevissimo tempo campione d'incassi a fronte di un budget irrisorio, è ancora oggi uno degli appuntamenti fissi in televisione per buona parte degli italiani. E non solo: chiedetelo a un signore di nome Quentin Tarantino.

La locandina di 'Lo chiamavano Trinità...'
La locandina di 'Lo chiamavano Trinità...' 

Buongiorno maestro, mi tolga subito una curiosità: che suoneria ha sul cellulare? Una delle sue composizioni?
“(ride, ndr) No, no, non più. Il bello è questo: io, ormai un sacco di anni fa, sono stato tra i primi a mettere sul cellulare Trinity, il tema portante di Lo chiamavano Trinità.... Un giorno però, mentre ero al supermercato, squilla il telefono; sento Trinity, così prendo il mio ma vedo che è silenzioso. Penso: 'Ma com'è possibile?!'. Alzo lo sguardo e c'è un tizio, lì accanto, che risponde. Per la prima volta ho scoperto che anche altri avevano quella suoneria...”.

E quindi ha cambiato la sua?
“Sì. Da allora i telefoni con Trinity sono diventati milioni e dunque io ho tolto la mia! La cosa più divertente è accaduta mentre stavo andando in Sardegna. La linea telefonica, in traghetto, a un certo punto del tragitto è assente e ritorna solo quando entri in porto. Quel giorno, mentre avvistiamo la terra, sento un tripudio di Trinity perché tutti i cellulari hanno cominciato a squillare. È un vero onore, anche se senza ricompensa”.

Non percepisce alcun compenso per l'utilizzo del tema come suoneria?
“Niente, niente! In Italia tutto è possibile, purtroppo: i creativi vengono truffati dalle piattaforme di streaming nonostante le leggi sul diritto d'autore. Hanno rubato miliardi e con quei miliardi hanno costruito i loro bei castelli. E si permettono pure di fare beneficenza, con i miei soldi.... È una vergogna cui nessuno ha voluto seriamente porre rimedio”.

Franco Micalizzi nel suo 'home' studio con il vinile di 'Lo chiamavano Trinità...'
Franco Micalizzi nel suo 'home' studio con il vinile di 'Lo chiamavano Trinità...' 

Il 21 dicembre è il suo compleanno e iI giorno dopo Lo chiamavano Trinità... compie 50 anni. Festeggerà in qualche modo?
“In verità compiamo gli anni lo stesso giorno: il 22 dicembre di cinquant'anni fa Lo chiamavano Trinità... uscì nei cinema ma il giorno precedente ci fu la prima per la stampa. Festeggerò in casa, con mia moglie e i miei figli e lavorerò come sempre. Ogni volta che ho pensieri brutti per la testa, basta scendere giù, nello studio casalingo che ho costruito a mia immagine e somiglianza, e cominciare a suonare e comporre. La musica è la mia salvezza, oggi ancora di più: sono tempi cupi...”.

L'avranno invitata all'anteprima: che atmosfera c'era in sala?
“Sì, certo, ero presente. L'atmosfera era buona perché si sapeva già che avrebbe avuto successo. Anche se non si immaginava quanto. Marco, il figlio del regista Enzo Barboni, che era un personaggio incredibile, mi raccontava che al termine delle riprese mandarono le pellicole a stampare in Technicolor, perché allora si faceva tutto così. E a Barboni dissero: 'Ma che hai combinato? Qui, mentre lavorano, i tecnici ridono tutti!'. Quel film aveva già in sé tutti i prodromi perché diventasse di successo; era leggero e rilassante, capace di far dimenticare i problemi per un poco”.

Perché Lo chiamavano Trinità... è un cult ancora oggi?
Perché è un film puro. Enzo Barboni io lo chiamo il 'Walt Disney italiano' perché se Disney ha inventato un personaggio così carismatico come Topolino lui ha inventato Trinità, che è un personaggio altrettanto favolistico. Per me Lo chiamavano Trinità... è una favola: ha resistito cinquant'anni e resisterà fino a cento, proprio perché non è un film o un western. È una fiaba, con personaggi da fiaba, un racconto divertente, spensierato e ottimistico. Conosco persone serissime che ogni volta che lo danno in tv lo rivedono e ridono come matti. Non so cosa faccia. Forse è capace di farti tornare bambino...”.

Un fedelissimo cosplayer di Trinità a Lucca Comics & Games
Un fedelissimo cosplayer di Trinità a Lucca Comics & Games 

In effetti in tanti non riescono esattamente a spiegarsi un tale, enorme successo.
“Non è certamente la Bibbia del cinema, non è un film di Bertolucci... però alle volte le storie semplici diventano dei fenomeni perché arrivano tanto alla gente. La scorsa estate mi trovavo in Germania, mi avevano invitato in un parco a tema dedicato a Bud Spencer e Terence Hill. Là ho visto sette, ottomila persone ammassate, tutte vestite strane, da western, o come altri personaggi dei loro film, e quando hanno annunciato il mio nome, gridando 'Mister Trinity', mentre entravo in scena mi è preso un colpo. C'era così tanta gente davanti ai miei occhi... Tra me e me ho pensato: 'Oddio, neanche il Papa a San Pietro!'. Mi sono vergognato un po'...”.

Addirittura!
Guardi, io non ho mai ricevuto non solo un premio ma nemmeno un grazie, un 'bravo Franco'. Poi però, quando all'estero usano un tuo brano, come ha fatto Quentin Tarantino con Trinity per il suo Django Unchained, allora si svegliano un po'. Tarantino, tra l'altro, ha utilizzato anche il tema di Italia a mano armata per il finale di Grindhouse - A prova di morte (Death Proof).... Però il cinema di genere ha sempre avuto una reputazione così, una considerazione scarsa. Ma è il cinema di genere che ha permesso a grandi registi di fare poi i loro film 'impegnati'. La prima volta che Lo chiamavano Trinità... uscì in dvd ero così emozionato che andai subito a comprarlo. Entrai nel negozio, cercai tra i classici ma senza successo. Così chiesi al commesso: 'Sto cercando Lo chiamavano Trinità... ma non lo vedo'. La risposta: 'Ah, sì, sì... vede laggiù, dove c'è scritto trash movie? Lo trova lì'. Ci rimasi male. Per fortuna ho fatto questo trash movie con la mia trash music!”.

Ha parlato con Quentin Tarantino?
Avrei dovuto conoscerlo quando hanno fatto la prima di Django Unchained a Roma, al Cinema Adriano. Andai, mi presentarono la sua assistente, che mi disse che purtroppo Tarantino aveva la febbre alta ed era rimasto in hotel. Peccato. Però l'importante è che continui ad amare la mia musica!”.

È vero che, più che per i western, lei è conosciuto per i poliziotteschi. Infatti l'hanno definita il 're della pulp music'.
“È così. Ho fatto tanti film con Umberto Lenzi, che era un bravissimo regista, sì, di cinema di 'genere'. Ecco, 'genere' è una parola che mi fa un po' impressione. Il cinema è cinema tutto: io dico che ci sono i film belli e il film brutti e lui ne ha fatti molti belli, di questo 'genere'. Tarantino, naturalmente, adora Lenzi. Le musiche che ho composto per lui in fondo si rifacevano alle mie passioni originarie, quelle per il jazz, che mi ha formato. Lavorare con lui mi ha dato modo di scrivere dei pezzi un po' funky, in stile americano. La sorpresa è stata poi vedere quanto siano stati apprezzati in America: loro, che sono pieni di funk e di hip hop, a un certo punto hanno iniziato a pescare dalla mia musica. È accaduto con molti rapper”.

Per esempio?
“Sono tantissimi. Il primo è stato Cassidy con Jadakiss che ha campionato il tema di
Roma a mano armata, un film sempre di Lenzi, e lo ha trasformato in una canzone d'amore intitolata Can I Talk to You?. Mi fece telefonare da un italoamericano, di notte, per avere l'autorizzazione a usare una delle composizioni. Gli dissi: 'Sì, ma come si intitola?'. Lui: 'Mi pare si chiami Affiano'. E io: 'Aff... Affiano Romano... ma che è?!'. Poi ho capito che intendeva Affanno. È fantastico perché è un pezzo molto drammatico con una big band di fiati ma Cassidy l'ha reso un brano strappalacrime, con lei che lo lascia.... Mi è piaciuta molto la sua versione: in fondo anche l'amore, certe volte, possiede la drammaticità di un poliziottesco!".

Ha cominciato nei night come chitarrista. Il lavoro è molto diverso rispetto a quello del compositore: sul palco sei in scena, come maestro stai in sala di registrazione, lontano dal pubblico.
“Certo. Lo dico sempre: ho la grandissima fortuna di aver fatto la gavetta vera. Che è la cosa più bella che può capitare quando si comincia un mestiere: bisogna iniziare veramente dalle origini, partire molto dal basso per avere poi la possibilità di salire, salire, salire...”.


Quando ha scoperto che la musica era la sua via?
“Lo ricordo ancora: un bel giorno, mollai gli studi. Ero con mia madre in Piazza Indipendenza, perché la mia scuola era lì vicino, e la presi da parte: 'Mamma, quest'anno sono stato promosso', le dissi, 'però adesso voglio dedicarmi completamente alla musica'. Avevo finito il ginnasio e stavo per entrare al liceo. Continuai: 'Mamma, da domani prendiamo dei maestri privati che mi facciano lezione, studierò come se fossi a scuola, con la stessa intensità, ma la mia vita è la musica'. Lei mi guardò. Ho ancora in mente il suo sguardo... Era quello di una madre che ti adora e che ti capisce e ti vuole accontentare. Pur sapendo di rischiare, rispose: 'Va bene, va bene, adesso ne parlo io con tuo padre...'. E così è cominciato tutto”.

C'è stato un disco che ha fatto scoccare la scintilla? Un artista in particolare?
“No, no, non andavo per aspirazioni. Una volta ho chiesto a me stesso: 'Ma tu, che vuoi fare nella vita veramente? Vuoi prenderti la laurea e fare l'avvocato o magari andarti a impiegare da qualche altra parte?'. Provavo orrore per queste cose perché mi sembrava tutto noiosissimo. Non avrei mai potuto farlo. Il mio sogno era lo spettacolo e la musica, da quando ho capito che esistevano. Da ragazzino, a otto anni, passavo i pomeriggi al cinema”.

Quindi è partito tutto dal cinema, non sotto al palco di un concerto.
“Sì, al cinema, perché si poteva ascoltare la musica bene. Specialmente quando davano dei film americani. A casa si sentiva con la radiolina. Sa, andavo nel salotto 'buono', quello che si tiene sempre in penombra, chiuso, con il cellophane sui divani, perché altrimenti tutto si impolvera. Entravo in questa sala al buio, accendevo la radio e cercavo le stazioni con la musica che mi piaceva. Devo tornare ancora una volta a mia madre: per farmi addormentare non mi cantava le ninne-nanne classiche ma Parlami d'amore Mariù oppure Lili Marleen, tutte le canzoni che in quel momento erano note. Mi piaceva tanto, la sentivo cantare bene, con sentimento, e provavo una cosa strana, che mi faceva stare bene. La musica è un sogno: non potrei vivere senza. Morirei dopo mezz'ora”.

La composizione vera e propria quando è arrivata?
“A un certo punto degli studi. Io ormai suonavo nei locali, facevamo le serate danzanti, cose così. Allora mi notò un pianista francese di nome Robby Poitevin, che era di passaggio in Italia. Mi chiamò al telefono e mi chiese se volevo entrare nel gruppo che stava formando per partire in tournée. Figurarsi se avrei detto di no! Quel pianista fu formidabile per me: da lui, che era un jazzista notevole, imparai moltissimo. Era un grandissimo artista ma anche un pazzo, uno che si metteva sempre nei guai, coi debiti, le mogli... ne ha fatte di tutti i colori. Una sorta di Michelangelo: ha fatto casini nella vita ma ha suonato cose bellissime. Devo ammettere che almeno il 50% di quello che so l'ho imparato da lui”.

Il 1970, l'anno di Lo chiamavano Trinità..., coincide anche con il suo momento d'oro.
Smisi di andare in giro, dopo che mi ero fatto mezza Europa nelle orchestre, quando è nato il mio primo figlio, Alessandro. Avevo un amico che lavorava alla RCA italiana, quella storica al km 12 della via Tiburtina: era il produttore Italo Zingarelli. In RCA cercavo di conoscere i vari produttori perché sono loro che ti possono affidare il lavoro, comunicandolo al regista. Con Zingarelli ci frequentavamo; era estremamente simpatico, un signore bello grosso, molto romano, baffuto e soprattutto era un'ottima forchetta: spesso eravamo a pranzo insieme. E lì, praticamente, mi sono autocommissionato l'incarico. Gli chiesi esplicitamente, appena fosse possibile, di farmi scrivere le musiche per un film perché era il mio sogno. Lui tardava a darmi quell'occasione, finché un giorno sentii che stavano pensando a Lo chiamavano Trinità.... Partiva come un filmettino che si fa per 'recuperare' soldi: si andava a girare sui set già pronti, si sfruttavano i saloon già costruiti e utilizzati da altri; era tutto più o meno nei dintorni di Roma, come in Abruzzo, dove allestirono il campo dei mormoni. Molti non sanno che le passeggiate a cavallo di Bud Spencer e Terence Hill sono state fatte alla Magliana, lungo il Tevere. Hitchcock d'altronde diceva che tanto lo spettatore vede solo quello che sta nell'obiettivo. Però se lo alzavi un po', quello di Trinità, vedevi le fabbriche e i pennoni!”.

L'Italia si era inventata gli spaghetti western anni prima ma, con Bud Spencer e Terence Hill inaugurò un nuovo filone: film-parodie fatti per sdrammatizzare un genere che, in modo un po' denigratorio, all'estero chiamavano 'macaroni western'.
All'inizio nemmeno qui erano convinti di Lo chiamavano Trinità..., tanto che rimase nei cassetti dei produttori per parecchio, forse per un paio d'anni. Dicevano: 'Se parla tanto e se spara poco' o 'se ride troppo'. Queste erano le frasi che si sentivano nei corridoi, quando leggevano la sceneggiatura.... Venivano appunto dai film di Sergio Leone, che faceva film seri, volutamente molto lenti, con tanto sangue e tanta violenza. Invece Lo chiamavano Trinità... è esattamente l'opposto. Ha 'depurato' quello stile. Poi si decisero e la buttarono lì: 'Vabbè, vediamo, qualche soldo lo rimedieremo...'. Così presero questi due protagonisti, che avevano già fatto qualcosa insieme ma senza speciale successo. Ed ecco Terence Hill-Trinità e Bud Spencer-Bambino”.

C'è una scena che secondo lei è rappresentativa della forza di Lo chiamavano Trinità...?
“Sì. La scena iniziale di Terence Hill che mangia i fagioli è emblematica: al di là dello spirito e del divertimento, chi la guarda resta incollato allo schermo. La osservi e immagini: 'Ma 'sti fagioli devono essere buonissimi! Oddio, che bòni, me sa che domani me faccio fa' i fagioli da mia moglie!'. Ti viene l'acquolina in bocca per come li mangia! A Barboni feci i complimenti per quell'idea. E lui: 'Ma Fra', io ho fatto la campagna de Russia e, a parte il freddo, sapessi la fame!'. L'italiano ha una fame atavica, nel suo dna. Era una scena – ma soprattutto lo erano quei fagioli – destinata a diventare famosa”.

Enzo Barboni le ha dato precise indicazioni sulla colonna sonora o completa carta bianca?
“No. Aveva ricevuto la chiamata da Zingarelli che gli aveva detto: 'Guarda che allora la colonna sonora del film la facciamo fare a Micalizzi, che è un nuovo musicista'. E Barboni, anche lui esordiente alla regia dopo aver lavorato come direttore della fotografia per film importanti e registi grossi, accettò. È stata la mia prima commissione per un film e anche una fortuna enorme. Tante coordinate si sono incontrate in quel punto, in quel giorno, per quella cosa lì: due attori diventati un mito, un regista bravissimo che poi ha fatto una vita di film insieme a loro, un produttore lungimirante che ha voluto rischiare... e anche io”.

Lei è stato sul set?
“No. Il musicista, sul set, non ci va quasi mai. Mi hanno dato una sceneggiatura e quando il film era finito sono stato chiamato per vedere il primo montaggio. Lo vedi insieme al regista, scambi qualche opinione, ma sei tu che devi capire dalle immagini qual è il sapore del tutto. Io la chiamo la 'tac': ecco, devi fare la tac al film per capire cosa c'è internamente”.

Il regista Enzo Barboni con Bud Spencer e Terence Hillfoto @ pagina Facebook di Enzo Barboni
Il regista Enzo Barboni con Bud Spencer e Terence Hill
foto @ pagina Facebook di Enzo Barboni 

Con Bud Spencer e Terence Hill che tipo di rapporto c'era?
“Li ho incontrati in varie occasioni, dopo che il film era finito. Bud era incredibilmente comunicativo, vivace, gli piaceva far tutto, era molto simpatico. Terence invece era una persona estremamente chiusa, davvero 'tedesco', come sua madre. Riservato, silenzioso, poco loquace. Abbiamo appena fatto, con Nusia e Frankie, il brano per i cinquant'anni di Trinity. Nel video c'è un attore di prosa che interpreta un mitomane che vuole essere Trinità e, nelle nostre intenzioni, sul finale si sarebbe dovuto incontrare con l'originale, Terence Hill. Si trattava di una sola inquadratura. L'ho contattato ma lui mi ha mandato una lunga lettera dicendo che non se la sentiva: 'Non amo i compleanni, mi danno tristezza, perché sono vissuto in una famiglia dove non si festeggiava nulla'. Però mi ha ringraziato per la colonna sonora di
Lo chiamavano Trinità... e mi ha scritto che, secondo lui, il 50% di merito del successo del film era dovuto alle musiche. Ecco, il 'vero' Trinità è esattamente l'opposto di quello che abbiamo visto sullo schermo”.

'Trinity', il maestro Franco Micalizzi regala il singolo a Nusia e Frankie

Le musiche, oltre che il film diventato subito campione d'incassi e di share in tv, sono ancora oggi molto ascoltate.
Qualche anno fa mi hanno fatto avere i dati di ascolto sulle piattaforme di streaming, con la classifica delle colonne sonore. Al primo posto c'era quella di Lo chiamavano Trinità..., al secondo Il buono, il brutto e il cattivo di Ennio Morricone...”.

Ai tempi, in RCA, con Morricone avete scambiato pareri sulla colonna sonora di Lo chiamavano Trinità...?
“No, perché lui era già andato via dalla casa discografica, dove aveva iniziato come arrangiatore. Il primo giorno che entrai come assistente musicale mi buttarono subito in studio. Mi dissero: 'Così ti rendi conto di cosa succede'. E lì, a pochi metri, c'era Morricone che stava registrando la base musicale per Gianni Morandi e Rita Pavone che dovevano partecipare a Studio Uno. Lui si sentiva il numero uno, quindi quando c'era qualcuno che si avvicinava ai suoi livelli si scocciava. Si arrabbiava un po'. Quando ho ricevuto i dati della classifica degli ascolti in streaming ho pensato subito a lui. Mi sono detto: 'Mamma mia, se m'incontra mi prende a sberle!'".

Franco Micalizzi con Ennio Morriconefoto @ pagina Facebook di Franco Micalizzi
Franco Micalizzi con Ennio Morricone
foto @ pagina Facebook di Franco Micalizzi 

C'è qualche aneddoto che ricorda, di quando lavoravate entrambi in RCA?
"Posso raccontare un episodio significativo: quando uscì il melò L'ultima neve di primavera, per il quale avevo composto le musiche due anni dopo Lo chiamavano Trinità..., ci vollero poche settimane perché diventasse un grandissimo successo. Arrivò ai primi posti della classifica, in Argentina rimase in testa per moltissimo tempo. Un giorno vado in RCA per incontrare l'editore e, nel corridoio che attraversa gli studi, incrocio Morricone. Mi veniva incontro, così lo salutai da lontano, e lui arrivava a passo spedito, sempre più vicino, con quegli occhi penetranti, fissi. Gli dico: 'Ennio, ciao... ma che c'è?'. Lui si ferma, mi guarda con più intensità, e mi dà un schiaffo. È partito veloce col braccio ma la mano si è arrestata sulla guancia, morbida, non è stato un vero schiaffone. Poi se n'è andato via. Lì ho capito che se l'era presa, che era lesa maestà”.

Non è stato un vero litigio, quindi.
"Ma no, no. Era solo il suo istinto, perché la musica era tutto per lui. Più avanti mi fece anche i complimenti.... Mi diceva: 'Ma Fra', dimmi la verità: ma a te, chi ti piace di più? Io o Piccioni? Dillo!'. Lo faceva perché voleva mettermi un po' in difficoltà, imbarazzarmi. Era diventata la nostra gag”.

Nel tema principale c'è il fischio del grande Alessandro Alessandroni. Ha subito pensato a lui quando le hanno affidato la colonna sonora?
“Prima de I Cantori Moderni Alessandroni aveva fatto parte del gruppo vocale 4 + 4. Era anche un bravo chitarrista e naturalmente il più bravo 'fischiatore' in circolazione, tanto che anche Morricone lo ha utilizzato molto. Quando dovevo comporre le musiche per Lo chiamavano Trinità... l'ho chiamato immediatamente. Ogni volta che tornava a Roma – abitava nel sud dell'Africa – si faceva sentire. Un giorno squilla il telefono: ''A, Franco, come stai, io sto a Roma', mi dice, 'adesso riesco di nuovo a fischiare, sai, fischio benissimo!', sbottò. Era contento, perché era guarito da alcuni problemi alla bocca. Era il momento in cui stavo realizzando il nuovo tema di Trinity. Così lo fermai subito: 'Sta' bono lì, ti porto tutto, i microfoni, e registriamo'. E così abbiamo fatto: aveva 92 anni. L'ultimo fischio l'ha fatto con me”.

Oggi, riguardando il film, quali sono i momenti sonori di cui va fiero? Ci vede delle imperfezioni?
“No, non cambierei nulla fortunatamente. Le scene che per me hanno avuto più significato sono quelle della scazzottata dei mormoni, che dura quasi cinque minuti. Bisognava risolverla musicalmente e non era semplice per via della lunghezza: così mi sono inventato il tema dei mormoni, un tema 'alto', in crescendo. Idilliaco, che andava avanti, con gli archi... mi piace la contrapposizione, il sentire quella melodia soave e vedere tutti quei pugni. Funziona a contrasto. Poi, direi quando i cattivi sono stati sconfitti, la rissa è finita e Trinità decide di sposarsi con una ragazza mormona. Saluta Bambino, ovvero Bud Spencer, si toglie il cinturone, poggia le pistole. Poi sente il capo del villaggio dire: 'Ecco, adesso finalmente torneremo alla nostra vita fatta di duro lavoro e di digiuno' e va avanti a elencare cose terribili. Inquadrano Trinità, poi riprendono la scena, e lui è sparito. E lì parte il celebre fischio. È fantastico”.

Franco Micalizzi con Marco Tullio Barboni
Franco Micalizzi con Marco Tullio Barboni 

Adesso, però, ci deve svelare la ricetta dei famosi fagioli.
“(ride, ndr) Marco Barboni, il figlio del regista, allora era il ciakkista. Aveva 16 anni. Andava sul set perché c'era il 'cestino', un pranzo molto prelibato che davano solo lì. Poco tempo fa l'ho sentito e mi fa: 'Mi ha chiamato il figlio di un attrezzista il quale si è un po' lamentato perché suo padre non viene mai nominato, mentre per Lo chiamavano Trinità... menzioniamo sempre tutti. Ma possibile?', mi spiega. E io: 'Ma che ha fatto suo padre?'. 'È quello che ha costruito la famosa lettiga di Trinità', replica lui, 'e poi i fagioli, i fagioli!'. Il giorno della mangiata Barboni si accorge che non c'è pronto nulla: 'E mo 'sti fagioli chi li fa?'. L'attrezzista alza la mano e si mette a cucinare. Nell'immaginario doveva sembrare un piatto messicano, piccante, con i peperoni e i pomodori, una cosa densa, condita, da intingere. Appena posso mi faccio dare gli ingredienti precisi e ve li passo”.

Non mi dica che non li ha mai assaggiati!
“Sinceramente? No! Io mangio quelli cucinati da mia moglie, che sono eccezionali. Anzi, sa cosa le dico? Li metterò in tavola proprio stasera!”.