Download del file - Gruppo Archeologico Salernitano
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Sono dieci anni che si stampa, a cura <strong>del</strong><br />
<strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>, la<br />
Rivista Sal(t)ernum. Mi sembra opportuno,<br />
pertanto, dedicare questo editoriale ad un<br />
bilancio su quanto è stato fatto, alla funzione<br />
<strong>del</strong>la rivista stessa, e alla sua incidenza sulla problematica<br />
dei Beni Culturali a Salerno.<br />
Mi si perdonerà se trascurerò i suoi primi<br />
anni di vita, quando non ne ero ancora Direttore<br />
scientifico, né ne ero stata in qualche modo<br />
coinvolta. Si può solo dire, sfogliando questi<br />
primi fascicoli, che già dal primo numero sono<br />
stati affrontati temi di indubbio interesse, e ad<br />
essi hanno collaborato persone altamente qualificate;<br />
fa comunque un certo effetto vedere a<br />
confronto quei volumetti smilzi, frutto di un<br />
lavoro accurato ma di un finanziamento certamente<br />
insufficiente, e l’ultimo numero di<br />
Sal(t)ernum, ricco di quasi novanta pagine e<br />
stampato da una tipografia nota in Città per la<br />
sua professionalità.<br />
Alla fine <strong>del</strong>lo scorso secolo, fui contattata<br />
dal Presidente <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong>, il dottore<br />
Felice Pastore, il quale mi chiese se volevo<br />
partecipare alla redazione <strong>del</strong>la loro Rivista. Io<br />
ero in pensione da qualche anno, ed abbastanza<br />
libera, e non ho avuto alcun problema ad<br />
accettare l’incarico, dopo essermi documentata<br />
sulla serietà e sulla civile disponibilità dei componenti<br />
<strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong>. Così cominciò per me una<br />
nuova avventura.<br />
Alla prima riunione <strong>del</strong> Comitato scientifico,<br />
formato tutto da professionisti nel campo dei<br />
Beni Culturali, ci mettemmo d’accordo su una<br />
linea di comportamenti da cui non ci si doveva<br />
scostare: occuparsi soprattutto <strong>del</strong>le antichità <strong>del</strong><br />
<strong>Salernitano</strong>, e <strong>del</strong>la Campania in genere, non<br />
GABRIELLA D’HENRY<br />
EDITORIALE<br />
Anniversario<br />
- 1 -<br />
rifiutando, tuttavia, validi contributi provenienti<br />
da altri Gruppi Archeologici, o da altre realtà italiane;<br />
accettare anche alcune ricerche che si riferivano<br />
o all’Oriente antico, o a determinate<br />
situazioni stimolanti in ambiente europeo; rivolgersi<br />
a studiosi seri, più o meno noti, per avere<br />
un loro contributo su alcune emergenze particolarmente<br />
significative; non trascurare in alcun<br />
modo le ricerche approfondite che venivano dai<br />
soci <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong>, i quali, se coinvolti nella collaborazione,<br />
erano ben disposti a discutere sui<br />
temi da loro proposti, creando così un rapporto<br />
interattivo tra di essi ed il Comitato scientifico.<br />
Armati di questo vademecum, abbiamo<br />
cominciato a lavorare, e ci siamo trovati di fronte<br />
un impatto molto forte, da noi cercato e voluto:<br />
l’edizione preliminare, in attesa <strong>del</strong>la sua<br />
pubblicazione scientifica, <strong>del</strong> complesso monumentale<br />
di S. Pietro a Corte nel centro storico di<br />
Salerno, nell’ambito <strong>del</strong> quale si susseguono le<br />
diverse fasi, dalle terme romane alla necropoli<br />
cristiana, alla ristrutturazione arechiana, agli<br />
affreschi datati dal Medioevo al Settecento, fino<br />
all’uso degli ambienti in un periodo più recente,<br />
ed al rinvenimento, studio e restauro <strong>del</strong>le preesistenze<br />
antiche.<br />
La fatica non fu poca, ma poi l’emozione alla<br />
presentazione <strong>del</strong> libro ci ricompensò ampiamente.<br />
In seguito, abbiamo cercato di tenere sempre<br />
la Rivista su di un livello alto, approfondito<br />
anche se facilmente abbordabile, ricordandoci<br />
che non tutti sono archeologi, ma tutti hanno<br />
diritto di capire e di partecipare attivamente ad<br />
una provocazione intellettuale. Inoltre, in un<br />
periodo di deprimente decadenza e di mancanza<br />
di impegno da parte <strong>del</strong>le Istituzioni nei
iguardi <strong>del</strong> Beni Culturali, cercammo di fare le<br />
nostre battaglie e di dimostrare, per quanto<br />
potesse servire, il nostro dissenso.<br />
Ora, non so ancora se questo periodo sia<br />
passato; ma noi siamo sempre pronti ad espri-<br />
SALTERNUM<br />
- 2 -<br />
mere chiaramente il nostro pensiero ed a collaborare,<br />
da volontari, alla tutela e valorizzazione<br />
dei nostri Beni Culturali.
CHIARA LAMBERT<br />
Testimonianze di vita dalle iscrizioni funerarie<br />
infantili <strong>del</strong>la Campania (secoli IV-VIII d.C.)<br />
Il quotidiano manifestarsi <strong>del</strong>la morte ne<br />
rende il tema eternamente attuale e<br />
costituisce parte integrante <strong>del</strong> bagaglio<br />
emotivo, affettivo e culturale di tutti e di ciascuno.<br />
Il momento esiziale, comunque lo si<br />
intenda, è infatti ‘l’unica certezza che si ha<br />
nella vita’ ed il modo di affrontarlo rappresenta<br />
un elemento unificante nel sentire di un consesso<br />
umano e di una civiltà, in tutte le epoche.<br />
Toccandoci più o meno da vicino, la morte<br />
accompagna e scandisce molti momenti <strong>del</strong>l’esistenza<br />
individuale e familiare, a tal punto che,<br />
negazione <strong>del</strong>la vita e sua contrapposizione e<br />
contraddizione in termini, paradossalmente,<br />
essa ne è complementare. Con questa realtà si<br />
instaura pertanto un rapporto personale e soggettivo:<br />
la scomparsa <strong>del</strong>le persone care induce<br />
a riflettere sulla caducità <strong>del</strong>la vita, traducendosi<br />
in scelte o mutamenti comportamentali,<br />
condizionati dai convincimenti religiosi di<br />
ognuno e <strong>del</strong>la collettività di cui è parte, ma in<br />
cui la sfera <strong>del</strong>l’individualità dei sentimenti e<br />
<strong>del</strong>le azioni è molto più salvaguardata di quanto<br />
non si creda comunemente 1 .<br />
Il trattamento riservato ai propri defunti<br />
dalla comunità dei vivi - vale a dire ciò di cui<br />
resta segno più tangibile attraverso i riti di inumazione,<br />
le tipologie tombali e gli eventuali<br />
oggetti deposti accanto ai corpi 2 – rappresenta<br />
la traduzione materiale dei rapporti socio-economici<br />
che regolano la collettività al suo interno;<br />
al contempo, la pietas che impone il rispetto<br />
e la cura nei confronti dei defunti è elemento<br />
primario di distinzione <strong>del</strong>l’uomo dagli altri<br />
esseri animati. Considerando il passato storico,<br />
le citazioni letterarie potrebbero essere numerose,<br />
ma per limitarsi a due estremi temporali e<br />
- 3 -<br />
culturali, basti pensare, nell’Iliade omerica, alle<br />
umiliazioni che Priamo è pronto a subire pur di<br />
riavere il corpo <strong>del</strong> figlio Ettore, non solo per<br />
piangerlo, ma per assicurargli degna sepoltura,<br />
e a quale livello di condivisione giunse infine il<br />
vincitore Achille 3 ; a circa dodici secoli di<br />
distanza, nell’Occidente tardoantico, Agostino<br />
di Ippona (354-430 d.C.) compone una sorta di<br />
trattato sulle attenzioni che si devono prestare<br />
ai corpi dei propri defunti, in cui viene negata<br />
l’importanza <strong>del</strong>le modalità e <strong>del</strong> luogo di seppellimento<br />
ai fini <strong>del</strong>la salvezza <strong>del</strong>l’anima,<br />
esplicitando il significato <strong>del</strong> tutto nuovo che i<br />
cristiani conferiscono alla morte 4 . Inteso come<br />
trapasso ad una condizione migliore, di riposo<br />
eterno e di raggiungimento <strong>del</strong>la pienezza <strong>del</strong>la<br />
vera vita in Cristo, il momento <strong>del</strong> distacco<br />
diventa dies natalis, compleanno alla vita 5 . Ne<br />
risulta evidente la fondamentale differenza dall’atteggiamento<br />
di sconforto o di generica speranza<br />
in un aldilà indistinto che aveva caratterizzato<br />
parte <strong>del</strong> paganesimo e ancor più dalle<br />
posizioni di quanti, sulla scia <strong>del</strong>l’epicureismo,<br />
filtrato nel mondo romano da Lucrezio, guardavano<br />
alla fine <strong>del</strong>l’esistenza come ad un inevitabile<br />
accadimento biologico: ‘la morte non ci<br />
riguarda in nulla e non è un male’, essendo l’anima,<br />
come tutti gli elementi <strong>del</strong>l’universo, formata<br />
di atomi, solo più leggeri e sottili <strong>del</strong>la<br />
materia corporea e, in quanto tale, destinata a<br />
disgregarsi, per poi raggiungere un diverso<br />
stato 6 .<br />
L’individualità <strong>del</strong> ‘sentire’ di fronte alla<br />
morte, se si eccettuano le non infrequenti citazioni<br />
nella letteratura poetica od epistolare, è<br />
tuttavia un fatto che raramente lascia testimonianze<br />
documentarie, al di là dei manufatti
tombali e dei segni dei riti di deposizione: un<br />
corredo più o meno ricco non traduce la sincerità<br />
degli affetti feriti, né questi vengono<br />
espressi da un cordoglio manifestato con maggiore<br />
o minore pompa, spesso inserita in un<br />
contesto socio-economico che la richiede 7 .<br />
E’ di particolare interesse, pertanto, indagare<br />
in che modo gli antichi vivevano il loro rapporto<br />
con l’ineluttabilità di questo evento finale,<br />
come lo traducevano a livello di espressioni<br />
esteriori che, oltre ad assolvere alla più elementare<br />
funzione memorativa o quella più<br />
complessa <strong>del</strong>la commemorazione, potevano<br />
anche essere strumenti in qualche modo ‘catartici’:<br />
l’esternazione <strong>del</strong> dolore e <strong>del</strong> cordoglio<br />
permette di alleggerirsi, condividendolo con<br />
altri, da un peso interiore troppo profondo, di<br />
liberarsi dalla sua componente negativa e di<br />
recuperare la carica vitale 8 .<br />
Da questo punto di vista, i testi <strong>del</strong>le epigrafi<br />
funerarie <strong>del</strong>la tarda antichità e <strong>del</strong>l’altomedioevo<br />
rappresentano una sorta di osservatorio<br />
privilegiato per la storia <strong>del</strong>le mentalità, con<br />
straordinari punti di tangenza con il mondo<br />
contemporaneo, che trovano giustificazione<br />
proprio nell’universalità dei messaggi e <strong>del</strong>le<br />
aspettative che essi trasmettono.<br />
Nel caso specifico <strong>del</strong>le morti premature, tali<br />
considerazioni sembrano accentuarsi ulteriormente:<br />
il dolore di fronte ad una vita che appare<br />
umanamente violata, inspiegabilmente strappata<br />
(un dono sottratto a chi lo ha ricevuto – i<br />
genitori – e rubato a chi ne è portatore – il neonato<br />
o il bambino in tenera età), non sembra<br />
trovare alcuna spiegazione adeguata. E al concetto<br />
<strong>del</strong> distacco si associa, inevitabilmente, il<br />
dolore che ne deriva.<br />
Fig. 1 - Mortalità<br />
infantile nella<br />
Campania<br />
tardoantica<br />
(IV-VII sec. d.C.).<br />
Istogramma di<br />
distribuzione per<br />
Province attuali.<br />
SALTERNUM<br />
- 4 -<br />
Quale che sia l’età nella quale essa sopravviene,<br />
la morte di una persona cara, e soprattutto<br />
quella di un figlio, è sempre ‘prematura’, tuttavia<br />
da un punto di vista strettamente biometrico,<br />
nonché sotto il profilo giuridico, per immmaturae<br />
mortes si intendono quelle circoscritte nella<br />
fascia di età che va dagli 0 ai 12 anni. La documentazione<br />
in questo senso è discretamente<br />
ricca per il mondo antico, in cui la mortalità fetale,<br />
perinatale, infantile era – per tutta una serie<br />
di ragioni sociali e igienico-comportamentali<br />
ben note - piuttosto alta 9 . Nel territorio <strong>del</strong>l’attuale<br />
Campania, gli elementi relativi al periodo<br />
qui preso in considerazione - la tarda antichità e<br />
l’altomedioevo, con i secoli dal IV all’VIII d.C. -<br />
sono tuttavia relativamente esigui da un punto<br />
di vista quantitativo; nella loro valutazione si<br />
deve comunque tenere presente che le testimonianze<br />
epigrafiche pervenute sono spesso occasionali<br />
e non rappresentano che una percentuale<br />
minima di quanto originariamente prodotto.<br />
Diversamente da altri tipi di fonti, inoltre, quasi<br />
mai esse nascono con la consapevole finalità di<br />
divenire documento storico da tramandare alla<br />
posterità 10 .<br />
Su un campione verificato di 338 iscrizioni, di<br />
cui una minima percentuale intestata a due individui,<br />
quelle di bambini al di sotto dei 12 anni<br />
sono in numero di 44, ripartiti in 26 maschi e 18<br />
femmine 11 (fig. 1). I decessi risultano relativamente<br />
più alti nei primi 4 anni di vita; più bassi tra i<br />
5 ed i 6 anni; scarsamente o per nulla attestati tra<br />
i 7 ed i 9, per poi risalire leggermente tra i 10 ed<br />
i 12 12 (fig. 2). Questi dati, pur con i limiti segnalati,<br />
sembrano sostanzialmente allineati con quelli<br />
di altre aree e dalla valutazione generale se ne<br />
evince che la soglia media di mortalità per i bam-<br />
Fig. 2 - Mortalità<br />
infantile nella<br />
Campania<br />
tardoantica<br />
(IV-VII sec. d.C.).<br />
Istogramma di<br />
distribuzione<br />
per fasce di età.
ini ed i giovani, calcolata sul range 3÷17 anni, è<br />
di 10 anni, sia per i maschi che per le femmine,<br />
mentre le condizioni generali di salute di quanti<br />
poterono permettersi un’epigrafe funeraria dovevano<br />
essere discretamente buone: l’età media<br />
degli individui adulti, sostanzialmente omogenea<br />
nelle località considerate, è di 56 anni per gli<br />
uomini e di 46 per le donne.<br />
Dal punto di vista numerico le iscrizioni<br />
infantili rappresentano dunque solo il 13% <strong>del</strong><br />
totale censito; esse sono tuttavia estremamente<br />
‘parlanti’ sotto il profilo <strong>del</strong> formulario e <strong>del</strong><br />
tenore dei testi e la loro stessa esistenza, inquadrata<br />
nel più generale contesto <strong>del</strong>la contrazione<br />
<strong>del</strong>la produzione epigrafica attuatasi proprio<br />
nel corso <strong>del</strong>la tarda antichità, conferma il carattere<br />
di assoluto privilegio goduto dagli individui<br />
in età preadolescenziale ai quali venne concessa<br />
una memoria lapidaria. Da manufatto relativamente<br />
comune quale era stato nei secoli centrali<br />
<strong>del</strong>l’impero, l’iscrizione funeraria divenne<br />
ovunque un riconoscimento di natura non solo<br />
affettiva, ma principalmente sociale ed appannaggio<br />
sempre più esclusivo di persone fortemente<br />
connotate dall’appartenenza ad un rango<br />
elevato 13 ; uno status proprio degli adulti - gli<br />
ultimi rappresentanti <strong>del</strong>l’aristocrazia senatoria,<br />
fino a che questa sopravvisse, e in seguito dei<br />
membri <strong>del</strong>le nuove élite di stirpe germanica –<br />
che eccezionalmente venne riverberato sui giovanissimi<br />
deceduti prima <strong>del</strong>l’assunzione di<br />
qualsiasi ruolo di prestigio.<br />
Nelle iscrizioni precristiane dei primi secoli<br />
<strong>del</strong>l’Impero manca inoltre un formulario specifico<br />
per i bambini (fig.3 a, b, c), ma la loro qualità<br />
anagrafica è talora esplicitata, oltre che dall’indicazione<br />
degli anni, mesi e giorni vissuti, da<br />
aggettivi o apposizioni quali parvulus/a, infans,<br />
accompagnati da vocaboli che esprimono i sentimenti<br />
(dulcissimus/a); così come per gli adulti,<br />
esistono tuttavia testi ad hoc per i piccoli<br />
defunti di famiglie agiate o altolocate, come<br />
Caius Longinius Proculus, di quasi cinque anni,<br />
per il quale il padre e la madre fecero comporre<br />
in Castellamare di Stabia un lungo testo metrico,<br />
autentico florilegio di citazioni poetiche 14 ,<br />
che lo ricorda insieme al cuginetto Antonio, premortogli:<br />
«Rapito da una malattia, secondo la<br />
CHIARA LAMBERT<br />
- 5 -<br />
Fig.3.- Iscrizioni infantili di I sec.d.C.<br />
3a*. Neoptolemus, di 9 anni, collactius<br />
(‘fratello di latte’) <strong>del</strong>l’anonimo<br />
dedicante. Sorrento, Museo<br />
Correale di Terranova (da<br />
MAGALHAES 2003).<br />
Fig. 3b*. Fronto, di 2 anni e 6 mesi.<br />
Salerno, Museo Provinciale (da<br />
ROMITO 1996).<br />
Fig. 3c. Eclecies, ragazzina di 10 anni. Salerno, Museo Provinciale<br />
(da ROMITO 1996).<br />
*Lastre antropomorfe, <strong>del</strong> tipo detto “a columella” o “ad ombra”.<br />
dura legge <strong>del</strong>le Parche, giaccio in questo luogo<br />
di nera terra, quattordici giorni prima di aver<br />
compiuto, io piccolo, i cinque anni. Un tempo<br />
avevo il nomen di Longinio, il praenomen Gaio,<br />
il cognomen Proculo; ora sono un’ombra, né,<br />
posto sotto terra, la tomba mi protegge dall’ombra<br />
<strong>del</strong>la morte. E, non diversamente, il figlio<br />
generato dal fratello di mia madre, maggiore di<br />
quattro anni meno quaranta giorni, immerse i<br />
suoi occhi nella notte eterna. Questo mio quasi<br />
fratello è sepolto con me nel lido di Stabia e nelle<br />
tenebre scivola sulle onde <strong>del</strong>l’Acheronte. Ora,<br />
per te, felice passante, chiunque tu sia, non sia
Fig.4. Iscrizione di Caius Longinius Priscus. II sec. d.C. (CIL X 8131).<br />
Fig.6. Iscrizione di Dianeses.Apografo (da<br />
MASIELLO 2003).<br />
Fig.6a. Iscrizione di Dianeses. 397 d.C.<br />
Capua, Museo Campano, sala XXX, inv. 324<br />
(CIL X 4493).<br />
Fig.5. Iscrizione di<br />
Marcellus, che visse 1<br />
anno e 46 giorni. IV sec.<br />
d.C. Particolare <strong>del</strong><br />
simbolo iconografico.<br />
Capua, Museo Campano,<br />
Sala I ‘Mommsen’, inv.<br />
195 (CIL X 4715).<br />
di peso dire: se i Mani hanno una qualche pietà<br />
dopo i funerali, le ossa di Antonio e di Proculo<br />
possano riposare dolcemente. Il Padre, Caio<br />
Longinio Prisco, trierarca <strong>del</strong>la prima flotta<br />
misenate e la madre Licinia Procella (posero)<br />
per il dolcissimo figlio» 15 (fig. 4).<br />
SALTERNUM<br />
- 6 -<br />
La progressiva diffusione ed il successivo radicamento<br />
<strong>del</strong> Cristianesimo, che poté esplicitarsi a<br />
partire dai provvedimenti di legalizzazione voluti<br />
da Costantino (a. 313 d.C.), si manifestarono a<br />
livello epigrafico con un graduale adattamento<br />
<strong>del</strong> formulario, che inizialmente abolì le espressioni<br />
proprie <strong>del</strong>la religiosità pagana, conferendo<br />
un carattere ‘neutro’ alle iscrizioni, quindi, in rapido<br />
progresso di tempo, le sostituì o le ‘risemantizzò’<br />
in chiave cristiana, attribuendo significati<br />
nuovi ad antichi vocaboli o simboli iconografici<br />
(fig. 5). Anche per i tituli 16 di bambini le formule<br />
di apertura furono quelle maturate a partire dal<br />
secondo quarto <strong>del</strong> IV sec. d.C. e codificatesi nel<br />
corso <strong>del</strong> V sec. d.C., che presentano rare varianti<br />
all’espressione locativo-obituaria hic requiescit<br />
in pace, hic requiescit in somno pacis (‘qui riposa<br />
in pace’; ‘qui riposa nel sonno <strong>del</strong>la pace’) 17 , finalizzata<br />
ad indicare il luogo <strong>del</strong>la tomba, a garantirne<br />
il rispetto e, al contempo, a dichiarare la<br />
fede <strong>del</strong>la famiglia dei piccoli inumati. Alla loro<br />
tenera età viene dato tuttavia un risalto particolare,<br />
ricorrendo ad una semplice aggettivazione,<br />
già presente nelle iscrizioni di età classica, ma<br />
che muta in modo emblematico con il generalizzarsi<br />
<strong>del</strong> nuovo credo religioso: si assiste infatti al<br />
passaggio dall’uso <strong>del</strong> qualificativo infans (raramente<br />
infas) –antis 18 , che significa: ‘non ancora in<br />
grado di parlare’ (quindi, bambino o bambina in<br />
tenerissima età), all’omologo innocens,-tis, che<br />
contiene in sé la radice <strong>del</strong> verbo nocére: ‘nuocere’’.<br />
Il bimbo cristiano viene dunque connotato<br />
non più solo dalla sua incapacità di esprimersi<br />
con un linguaggio compiuto, bensì, secondo una<br />
categoria morale, dal suo essere ‘esente dal male<br />
o da colpe’ 19 . Un’evoluzione ben attestata in<br />
Campania, a titolo di esempio, dalle iscrizioni<br />
<strong>del</strong>la piccola innocens Infansia di Benevento (IV<br />
– V sec. d.C.) 20 , <strong>del</strong> bimbo capuano Dianeses di<br />
due anni (a.397) 21 , (figg.6-6a), o <strong>del</strong>l’innocens<br />
Theodenanda, bimba di 3 anni, 6 mesi e 9 giorni,<br />
che nell’anno 566 fu sepolta nel cimitero antistante<br />
la chiesa tardoantica dei SS. Pietro e Paolo<br />
in Salerno, oggi meglio nota come complesso di<br />
S. Pietro a Corte 22 (figg. 7-7a). In taluni contesti<br />
particolari, quali le catacombe di S. Gennaro in<br />
Napoli, vennero realizzati manufatti esclusivi,<br />
quali gli affreschi a complemento degli arcosolî di
Fig.7. Iscrizione di Theodenanda. 566 d.C. Salerno, Chiesa dei SS. Pietro e<br />
Paolo (S.Pietro ‘a Corte’).<br />
famiglie agiate, ove al ritratto dei defunto viene<br />
associato un titulus pictus che ne esplicita il<br />
nome e l’età: è il caso <strong>del</strong>le piccole Nicatiola, di<br />
cui non viene indicata l’età, e Nonnosa di 2 anni<br />
e 10 mesi, entrambe riconducibili al V-VI sec.<br />
d.C. 23 (figg. 8-9).<br />
Sempre al VI secolo va riferita la toccante<br />
iscrizione metrica voluta da un Petrus, alto esponente<br />
<strong>del</strong>l’aristocrazia senatoria <strong>del</strong>l’area salernitana,<br />
per la moglie Fortunata e la figlioletta<br />
Petronia, morte insieme, tragicamente: «Qui<br />
Fig.8. Iscrizione di Nicatiola, dipinta sulla parete di<br />
un arcosolio.VI sec. d.C. Napoli, Catacomba di<br />
S.Gennaro.<br />
CHIARA LAMBERT<br />
Fig.9. Iscrizione di Nonnosa, dipinta sulla parete<br />
di un arcosolio.VI sec. d.C. Napoli, Catacomba di<br />
S.Gennaro.<br />
- 7 -<br />
Fig.7a. Iscrizione di Theodenanda. 566 d.C. Salerno, Chiesa dei SS. Pietro<br />
e Paolo (S. Pietro ‘a Corte’). Particolare.<br />
giaci, o Fortuna, abbattuta a terra da un disgraziato<br />
crollo. Ahimé!, o dolce moglie, ciò che mi<br />
opprime maggiormente è che hai concluso la tua<br />
vita all’improvviso, con una rovinosa morte. E<br />
mentre tu muori, per me non muore il dolore.<br />
Casta, graziosa, saggia, umile, gradita al marito,<br />
hai trasformato in gemiti tutta la mia gioia.<br />
Ma a te questa morte tanto cru<strong>del</strong>e non poté<br />
nuocere in nulla: la tua vita, infatti, rimane nei<br />
tuoi meriti. Giace anche questa figlioletta<br />
Petronia, uccisa dal destino che il giorno crude-<br />
Fig.10. Iscrizione di Fortunata, Clarissima<br />
Femina, e <strong>del</strong>la figlioletta Petronia, di 6 anni.VI<br />
sec. d.C. Ravello, perduta (CIL X 664 = CLE<br />
1440 = I.I., Salernum, n.168).
le <strong>del</strong>la morte ha congiunto a te.<br />
Qui riposa in pace Fortunata,<br />
Clarissima Femina, moglie di Petrus,<br />
Vir clarissimus, Pater Pauperum, la<br />
quale visse circa 36 anni e fu deposta<br />
in pace con la figlioletta Petronia,<br />
di 6 anni, nel VII giorno dalle<br />
Calende di Febbraio (il 26 gennaio),<br />
nell’Indizione … » 24 (fig. 10).<br />
Di grande impatto emozionale<br />
anche il breve testo di accompagnamento<br />
per il piccolo Caius Nonius Flavianus,<br />
membro di una famiglia altolocata di Pozzuoli<br />
che ancora ricorre al sistema trinominale per<br />
l’indicazione onomastica 25 , e che gli elementi di<br />
cui si dispone inducono a datare, ugualmente,<br />
nell’ambito <strong>del</strong> VI secolo. La sua iscrizione, carica<br />
di un sofferto pathos che travalica il tempo,<br />
testimonia di una maternità e paternità fortemente<br />
volute, <strong>del</strong>la trepida attesa dei genitori e<br />
<strong>del</strong> loro strazio per una morte davvero inattesa<br />
e prematura: ‘… richiesto con preghiere per molti<br />
anni, una volta nato, visse un anno ed undici<br />
mesi …’ 26 (fig. 11).<br />
In conclusione, un ultimo testo permette di<br />
tornare su due concetti già espressi in apertura:<br />
quello <strong>del</strong> valore ‘liberatorio’, oltre che memorativo,<br />
che alle antiche iscrizioni veniva affidato<br />
dai committenti e quello <strong>del</strong>la relatività <strong>del</strong> concetto<br />
di ‘morte prematura’. Si tratta <strong>del</strong> lungo<br />
epitaffio che Stefano II, vescovo di Napoli nella<br />
seconda metà <strong>del</strong>l’VIII secolo, fa predisporre per<br />
il figlio, il Console Cesario, che egli dice ‘teneris<br />
sublatus in annis’ benché avesse compiuto ventisei<br />
anni 27 : «Qui riposa Cesario Console rapito<br />
negli anni <strong>del</strong>la giovinezza; … E voi, o miei<br />
parenti, compiangete le ferite di me che l’ho<br />
generato, voi che tanto desiderate di godere <strong>del</strong>la<br />
buona sorte dei figli. La mia sorte è tanto più<br />
SALTERNUM<br />
Fig.11. Iscrizione <strong>del</strong> piccolo Caius Nonius Flavianus.Pozzuoli, perduta (CIL X 3310/11).<br />
- 8 -<br />
infelice per il lutto <strong>del</strong> figlio amato e la sua fiamma<br />
mi consuma dentro nel petto…. Con l’aiuto<br />
di lui, la mia annosa vecchiezza di padre si sentiva<br />
sicura, ed io ero ormai un uomo tranquillo….Console<br />
e poi vescovo io, tuo padre, ho<br />
dovuto prepararti la tomba, mentre avresti<br />
dovuto comporre tu i resti di tuo padre….Egli<br />
aveva appena superato i ventisei anni, quando<br />
restituì il suo spirito a Cristo nel cielo. Fragile<br />
diventa la vita di un vecchio dopo la morte acerba<br />
<strong>del</strong> proprio figlio; dopo di lui, credo, non<br />
durerà che pochi giorni. Ti preceda la luce di<br />
Cristo, o figlio carissimo, e tu, S. Gennaro, porta<br />
a Dio la mia preghiera. Deposto il 20 settembre,<br />
nell’anno XIII <strong>del</strong>l’impero di Costantino il giovane<br />
(VI) e di Irene, Augusti, nell’Indizione XII<br />
(789)» 28 .<br />
E’ una dimostrazione estremamente eloquente<br />
<strong>del</strong> dramma di un padre che vede rovesciarsi<br />
le leggi naturali e che si trova a riflettere sull’absurdum<br />
di un destino che impone, a lui ormai<br />
anziano, di prestare al giovane figlio premortogli<br />
quelle ultime cure che la logica avrebbe<br />
voluto essere riservate, dal figlio, a lui. Al di là<br />
<strong>del</strong> mero dato biometrico, anche in presenza di<br />
una fede che alimenta la speranza di un ricongiungimento<br />
e assicura la continuità <strong>del</strong>la vita<br />
nell’aldilà, nella sfera degli affetti, un funus è<br />
sempre acervus e la mors semper immatura.
*Il testo, con alcuni ampliamenti ed i dovuti rimandi bibliografici,<br />
ripropone quanto presentato nella seduta pomeridiana<br />
degli Incontri di Archeologia in occasione <strong>del</strong>la IX<br />
Borsa Mediterranea <strong>del</strong> Turismo <strong>Archeologico</strong>, Paestum<br />
18.11.2006, su invito <strong>del</strong> dott. Felice Pastore, Direttore <strong>del</strong><br />
<strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>, che ringrazio vivamente.<br />
NOTE<br />
1 Circa gli atteggiamenti <strong>del</strong>l’uomo, antico e moderno, di<br />
fronte alla morte, l’incidenza <strong>del</strong>le credenze religiose nei<br />
riti di seppellimento ed il ruolo <strong>del</strong>la Chiesa nella loro<br />
codificazione a partire dall’età tardoantica e particolarmente<br />
nell’altomedioevo carolingio, cf. SICARD 1978; ARIÈS<br />
1977 (1985), part. capp. I; III-IV; IDEM 1980; VOVELLE 1976;<br />
IDEM 1983; DUCOS 1987; FÉVRIER 1987; GEARY 1984, part.<br />
pp.89-92; TREFFORT 1996; REBILLARD 2003.<br />
2 Per una panoramica sui principali temi <strong>del</strong>l’archeologia<br />
funeraria, cf. L’inhumation privilegiée 1986; Sepolture e<br />
necropoli 1988; Burial Archaeology 1989; Archéologie du<br />
cimetière chrétien 1996; Sepolture tra IV e VIII secolo 1998.<br />
Circa i significati <strong>del</strong>la deposizione di oggetti in età altomedievale<br />
e la loro sostituzione con altre forme di ritualità,<br />
cf. LA ROCCA 1997; EADEM 1998 e 2000.<br />
3 HOMERI, Ilias, XXIV, 500-601.<br />
4 Il famoso scritto, significativamente intitolato De cura pro<br />
mortuis gerenda, fu occasionato da una lettera <strong>del</strong>l’amico<br />
Paolino da Nola, che interrogava Agostino circa l’atteggiamento<br />
da assumere nei confronti dei fe<strong>del</strong>i che richiedevano<br />
la pratica <strong>del</strong> seppellimento ad sanctum presso la<br />
tomba <strong>del</strong> confessore Felice nella basilica di Cimitile.<br />
5 LAMBERT 2004, Glossario, s.v., p.112.<br />
6 LUCR., De rerum Natura, III, 830: «nihil igitur mors est ad<br />
nos neque pertinet hilum»; per una sintesi <strong>del</strong> pensiero e<br />
<strong>del</strong>l’opera di Tito Lucrezio Caro, cf. PERELLI 1969 1 , pp.129-<br />
132; 134-135; TODINI 2005, pp.78-82; 145-151.<br />
7 Per un inquadramento <strong>del</strong> tema sotto il profilo filosofico,<br />
teologico e religioso cf. COENEN 1991 e DE CHIRICO 2007;<br />
per una trattazione monografica <strong>del</strong>l’atteggiamento <strong>del</strong>l’uomo<br />
moderno, credente e non, di fronte alla morte, cf.<br />
inoltre MESSORI 1982.<br />
8 L’iscrizione cristiana di un bimbo di 2 anni e 2 mesi (da<br />
Capua, a. 563 d.C.) recita: «…cuius rememoratio dolum<br />
parentibus demisit», («…Il ricordarlo, lenì il dolore ai genitori»),<br />
(MASIELLO 2003, p.65).<br />
9 Sulla mortalità antica letta attraverso i documenti epigrafici<br />
cf. MAZZOLENI s.d., p.62; IDEM 1999, pp.207-227.<br />
10 Circa le finalità <strong>del</strong>le iscrizioni, in cui domina la componente<br />
memorativa a livello per lo più familiare, e la loro<br />
potenziale durata nel tempo, cf. LAMBERT 2004, pp. 47-48.<br />
11 Il computo - nel quale non rientrano le iscrizioni infantili<br />
<strong>del</strong> secolo VIII, perché in numero così ridotto da non<br />
essere utilizzabili a fini statistici - è stato effettuato sulla<br />
base dei tradizionali corpora (CIL, I I, ICI, ILCV), nonché<br />
<strong>del</strong>le più recenti acquisizioni. Non si è conteggiata l’ulteriore<br />
ottantina di epigrafi proveniente dalla basilica paleocristiana<br />
di Atripalda, al momento ancora sostanzialmente<br />
inedita, ma di prossima pubblicazione in un volume <strong>del</strong>le<br />
Inscriptiones Christianae Italiae (ICI) a cura di Heikki<br />
Solin. Da colloqui intercorsi con l’A., sembra tuttavia che<br />
i bambini non vi siano significativamente rappresentati<br />
(per qualche anticipazione, cf. SOLIN 1998).<br />
12 Il numero relativamente più elevato di maschi non è di<br />
CHIARA LAMBERT<br />
- 9 -<br />
per sé significativo, data l’esiguità <strong>del</strong> campione, e può<br />
essere imputato alla casualità <strong>del</strong>la conservazione <strong>del</strong> materiale,<br />
che raramente proviene da scavi sistematici e che in<br />
passato è stato oggetto di ulteriori selezioni finalizzate al<br />
collezionismo museale o privato, che privilegiava testi integri,<br />
ben impaginati ed eventualmente dotati di un apparato<br />
iconografico.<br />
13 Sull’argomento, cf., da ultimo, DE RUBEIS 2007, part. pp.<br />
387-390.<br />
14 Il testo contiene tre citazioni da Ovidio, due dall’Eneide<br />
virgiliana, due da Valerio Flacco. I passi sono indicati in<br />
CLE, Indices, Versuum Auctores cognitores, pp. 915; 916-<br />
917; 919-920. Al Bücheler era tuttavia sfuggito, al v. 15,<br />
l’eco diretta <strong>del</strong>l’ovidiano «Anchisae molliter ossa cubent»,<br />
segnalatomi da U. Todini.<br />
15 CIL, X 8131= CLE, 428. L’iscrizione è databile tra I e II sec.<br />
d.C. La traduzione proposta nel testo è di U. Todini e di chi<br />
scrive.<br />
16 Il termine titulus (pl. tituli) indica in primo luogo la lastra<br />
di supporto di un testo iscritto (tituli erano definite anche<br />
le tabelle marmoree con incisi i nomi dei proprietari di una<br />
casa o di un mausoleo); per estensione definisce anche il<br />
contenuto <strong>del</strong> testo stesso (LAMBERT 2004, Glossario, s.v.,<br />
p.116).<br />
17<br />
COLAFRANCESCO CARLETTI 1995; CARLETTI 1997 e, per l’ambito<br />
specificamente campano, LAMBERT 2003, p.124, tabb. 1-4;<br />
EADEM 2007, pp. 47-48; EADEM cdsb , Tab. 3a.<br />
18 Il termine latino è mutuato dal greco in-femì [fhmí ><br />
fasía; a-fasía] > lat. fateor: ‘dire’, ‘dichiarare’, ‘parlare’.<br />
19 Il termine infans permane comunque occasionalmente<br />
anche nel corso <strong>del</strong> VI sec. Cf. ad es. il titulus dipinto di<br />
Nicatiola su di un arcosolio <strong>del</strong>la catacomba napoletana di<br />
S. Gennaro (figg. 8-9).<br />
20ICI VIII, Hirpini, pp.31-32, n.1. Il Felle non esclude che<br />
‘Infansia’ sia il nome <strong>del</strong>la defunta; quanto alla datazione,<br />
l’indicazione <strong>del</strong> console Albino rende possibili gli anni 345<br />
(?); 444; 493.<br />
21 CIL X 4493, a. 397 d.C.; MASIELLO 2003, p.63: «A-chrismòn-<br />
Ω. Hic est positus / Dianeses innocens/ qui vixit annos II /<br />
menses duo dep(ositus) / XV kal(endas) Iunias/ Fl(avio)<br />
Caesario et Nonio / Attico consul(ibus). Benemerenti et<br />
Dulci/tio parentes fecerunt», («Qui è deposto l’innocente<br />
Dianeses, che visse 2 anni e 2 mesi. Sepolto il XV giorno<br />
dalle calende di Giugno (18 maggio), sotto il consolato di<br />
Flavio Cesario e Nonio Attico. I genitori fecero per il dolcissimo figlio che ben meritò»).<br />
22 Ǡ Hic requiescit / in pace innocens / Theodenanda / quae<br />
vixit in pace / ann(os) pl(us) m(inus) III m(enses) VI / d(ies)<br />
VIIII deposita est / sub d(ie) V kal(endas) oct(o)b(res) /<br />
imp(erante) Iustino p(er)p(etuo) Aug(usto) / anno primo<br />
eodem / c(o)ns(ule) ind(ictione) XV». («Qui riposa in pace<br />
l’innocente Theodenanda, che visse circa tre anni, sei mesi<br />
e nove giorni; fu deposta il quinto giorno dalle calende di<br />
ottobre (27 settembre), nell’indizione quindicesima <strong>del</strong><br />
primo anno di consolato <strong>del</strong>l’imperatore Giustino (a.566)»,<br />
(LAMBERT 2004, pp.78-79, con bibliografia precedente).<br />
Circa la frequenza <strong>del</strong>l’apposizione innocens nei titoli<br />
sepolcrali infantili, cf. ILCV, Indices, p.539.<br />
23<br />
SILVAGNI 1943, Tabb. VII, 4; VIII, 1.<br />
24 «Hic Fortuna iaces casu prostrata ruinae/ heu dulcis<br />
coniunx me magis illa premit / clausisti subito cru<strong>del</strong>i<br />
funere vitam / et mihi non moritur te pereunte dolor / casta
decens sapiens humilis iocunda marito / vertisti in gemitus<br />
gaudia tanta meos / sed tibi nil potuit mors haec tam saeva<br />
nocere / de meritis veniens nam tua vita manet / hac quoque<br />
nata iacet Petronia sorte perempta / quam tecum iunxit<br />
mortis acerva dies. / Hic requiescit in pace Fortunata<br />
cl(arissima) fem(ina) coniux / Petri v(iri) c(larissimi)<br />
pat(ris) pau(perum) qui vixit / annos pl(us) m(inus) XXXVI<br />
cum filia Petronia / annorum sex deposita in pace sub d(ie)<br />
VII Kal(endas) / Feb(ruarias) indict(ione) [- - -]». (L’iscrizione<br />
proveniva da Ravello: CIL X 664 = CLE 1440 = I.I., Salernum<br />
- a c. di V. Bracco, 1981- p.93, n.168; LAMBERT cds c , Allegati,<br />
testo n.2; EADEM cds d . La traduzione proposta nel testo è di<br />
chi scrive).<br />
25 A partire dal IV sec. si generalizzò ovunque l’uso quasi<br />
esclusivo <strong>del</strong> solo cognomen, che corrisponde al nostro<br />
nome proprio; rari esempi di attardamento <strong>del</strong> sistema<br />
binominale/trinominale a livello di singole realtà locali,<br />
soprattutto nel territorio <strong>del</strong>le antiche diocesi di Aeclanum<br />
e Benevento, si riscontrano generalmente in testi di individui<br />
di alto rango dichiarato (cf. LAMBERT cds b ).<br />
26 CIL X 3310/11: «C(aius) Nonius Flavianus / plurimis annis<br />
orationibus petitus natus vixit anno uno / m(enses) XI in<br />
cuius honorem basilica haec a parentibus adquisita / contectaquae<br />
est requievit in pace XVIII kal(endas)<br />
ian(uarias)», («Caio Nonio Flaviano, richiesto con preghiere<br />
per molti anni, una volta nato visse un anno e 11 mesi.<br />
In suo onore questa basilica è stata acquistata e dotata di<br />
un tetto dai suoi genitori. Riposa in pace nel diciottesimo<br />
giorno dalle calende di gennaio (il 15 dicembre)». Il termine<br />
‘basilica’, come già sottolineato a suo tempo dal mons.<br />
Galante, è da intendersi come una cella memoriae, un piccolo<br />
mausoleo privato (GALANTE 1987, pp.79-82).<br />
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DE CHIRICO L. 2007, s.v. Morte, in Dizionario di Teologia evan-<br />
SALTERNUM<br />
- 10 -<br />
27 Stefano II fu duca di Napoli dal 755 e vescovo dal 767; il<br />
figlio, che egli si associò nel ducato, fu ostaggio di Arechi<br />
II a Benevento nel corso di una guerra tra Napoletani e<br />
Longobardi beneventani. Il carme, in distici, è acrostico<br />
nelle lettere iniziali degli esametri. L’iscrizione è giunta per<br />
tradizione indiretta (RUSSO MAILLER 1981, pp.83-86).<br />
28 «Caesarius Consul, teneris sublatus in annis,/ Hic recubat;<br />
moriens vae Ubi Parthenope!/ Aeternum medio gestas in<br />
pectore vulnus;/ Militibus periit murus et arma tuis./ Et<br />
mea, qui hunc genui, vos vulnera flere parentes, /Qui sobolum<br />
cupitis tam bene sorte frui. /Sors mea deterior dulcis in<br />
funere nati, /Cuius flamma meum pectus ubique cremat.<br />
/Aptus erat cunctis verbo, probus in actu; in /Consilio sollers,<br />
fortis ad arma simul. /Rex Romae praecelsa Novae quo<br />
sceptra reguntur, / Praetulit hunc nostra civibus urbe suis.<br />
/ Istius auxilio longeva paterna senectus /Tuta regebantur,<br />
tamque quietus eram. /Virtus, ingenium, pietas, patientia<br />
summa, /Vae cui cum genito tot periere bona! / Sic blandus<br />
Bardis eras, ut foedera Grais / Servares sapiens inviolata<br />
tamen. /Consul, post praesul genitor monumenta parabi,<br />
/Cui fuerat curae condere membra patris. /O mihi non prolis<br />
tantum sed collega fidus, /Cui tantos linquis quos tuus<br />
auxit amor. /Nutritus obses Arichis moderamine sancti,<br />
/Salvasti patriam, permemorande, tuam. /Sex quater et<br />
binos hic iam trascenderat annos /Cum flamen Christo reddidit<br />
aethre suum. / Vita senis tenuis post nati funus acervum,<br />
/Post illum paucis credo diebus eam. /Lux te praecedat<br />
Christi, carissime fili, /Sancte Ianuari quod peto posce<br />
Deum. /Depositus est XII Kalendas Octobris, imperante<br />
novo /Costantino et Eireni Aug., anno XIIII, Ind. XII» (RUSSO<br />
MAILLER 1981, pp.83-86).<br />
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- 11 -<br />
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BIANCA<br />
CANCELLARE
VINCENZA IORIO<br />
La gens Fadena nell’Italia centrale<br />
(Roma, Regio IV e Regio V)<br />
Il gentilizio Fadenus è una variante <strong>del</strong><br />
gentilizio Fadienus 1 , entrambi poco attestati<br />
nell’onomastica romana 2 .<br />
Secondo alcuni studiosi il gentilizio Fadenus<br />
deve essere legato al gentilizio Fadius 3 , quest’ultimo<br />
ben attestato nell’Italia centro-meridionale<br />
ed in particolare nella Regio IV e nella Regio V 4 .<br />
Recenti ritrovamenti avvenuti nell’attuale provincia<br />
di Ferrara, e più precisamente nella frazione<br />
di Gambulaga <strong>del</strong> comune di Portomaggiore,<br />
hanno fornito ulteriori conoscenze sulla gens<br />
Fadiena, essendo stato portato alla luce un<br />
sepolcreto gentilizio 5 .<br />
Come si è detto, si tratta di gentes poco attestate<br />
nell’onomastica romana ed infatti nessun<br />
personaggio con il gentilizio Fadenus o<br />
Fadienus è presente in opere che si occupano di<br />
prosopografia 6 .<br />
La necropoli di Gambulaga non è la prima di<br />
epoca romana ad essere venuta alla luce nel territorio<br />
<strong>del</strong> <strong>del</strong>ta <strong>del</strong> Po, poiché tra le necropoli<br />
<strong>del</strong>l’attuale provincia di Ferrara bisogna annoverare<br />
quella rinvenuta nel territorio <strong>del</strong> Comune<br />
di Voghenza 7 , la necropoli <strong>del</strong>la Vallona di<br />
Ostellato 8 e la necropoli di Stellata nei pressi di<br />
Bondeno (Fig. 1) 9 .<br />
Uno degli aspetti più importanti <strong>del</strong>la necropoli<br />
di Gambulaga è scuramente quello epigrafico,<br />
poiché gli scavi eseguiti 10 hanno messo in<br />
luce cinque iscrizioni nelle quali sono menzionati<br />
personaggi <strong>del</strong>la gens Fadiena, vissuti tra la<br />
fine <strong>del</strong> I sec. a.C. e la fine <strong>del</strong> I sec. d.C. 11 .<br />
Il Camodeca, che si è occupato <strong>del</strong>lo studio<br />
<strong>del</strong>le epigrafi, afferma che il gentilizio Fadienus<br />
è molto raro ed è presente in alcune città<br />
<strong>del</strong>l’Italia settentrionale, mentre la sua variante<br />
Fadenus è meglio attestata ed in particolare lo è<br />
- 13 -<br />
Fig. 1 - Ubicazione <strong>del</strong>le necropoli e <strong>del</strong>le tombe singole nel territorio<br />
<strong>del</strong>la provincia di Ferrara (da BERTI 2006, p. 2, Fig. 1).<br />
Fig. 2 - Il territorio <strong>del</strong>la Regio IV e <strong>del</strong>la RegioV (da CIL IX,Tav. I).<br />
in Sabina, con un preciso riferimento a Nursia<br />
(Norcia), dove sono state rinvenute alcune epigrafi<br />
nelle quali ricorrono personaggi di questa<br />
gens.<br />
I Fadieni di Gambulaga quindi avrebbero<br />
avuto le loro origini nell’Italia centrale ed in<br />
questa sede si cercherà di tracciare un quadro<br />
topografico <strong>del</strong>la presenza <strong>del</strong>la gens Fadena a<br />
Roma, nella Regio IV e nella Regio V (Fig. 2).
La Regio IV comprendeva parte <strong>del</strong> territorio<br />
<strong>del</strong>le moderne regioni <strong>del</strong>l’Abruzzo, <strong>del</strong>la<br />
Campania, <strong>del</strong> Lazio, <strong>del</strong> Molise e <strong>del</strong>l’Umbria 12 ,<br />
mentre la Regio V comprendeva parte <strong>del</strong> territorio<br />
<strong>del</strong>le moderne regioni <strong>del</strong>l’Abruzzo e <strong>del</strong>le<br />
Marche 13 .<br />
La Regio IV e la Regio V rientrano in quel programma<br />
amministrativo attuato da Augusto in<br />
base al quale tutto il territorio che allora indicava<br />
l’Italia fu diviso in varie regiones 14 .<br />
Nel Corpus Inscriptionum Latinarum le iscrizioni<br />
provenienti dalla Regio IV e dalla Regio V<br />
sono presenti nel IX volume <strong>del</strong>l’opera 15 , dal<br />
quale si partirà prendendo in considerazione<br />
quelle epigrafi lì riportate nelle quali compaiono<br />
personaggi <strong>del</strong>la gens Fadena 16 .<br />
Oltre alle epigrafi <strong>del</strong> Corpus Inscriptionum<br />
Latinarum, si esamineranno anche quelle riportate<br />
nei Supplementa Italica, nell’Année Épigraphique<br />
ed in un volume <strong>del</strong>la Rivista Notizie<br />
degli Scavi <strong>del</strong>l’Antichità.<br />
REGIO IV:<br />
1) Foruli:<br />
Non abbiamo molte notizie su questa località,<br />
che era comunque un vicus dipendente da<br />
Amiternum, ricordato dagli autori <strong>del</strong>la letteratura<br />
classica 17 e che oggi corrisponde a Civitatomassa<br />
(AQ), sita tra i resti <strong>del</strong>l’antica Amiternum e Rieti.<br />
In epoca romana ebbe una grande importanza<br />
poiché da qui partiva la Via Claudia Nova, aperta<br />
nel 47 d.C. 18 .<br />
1.1) CIL IX 4408 (Fig. 3).<br />
L’ iscrizione fu rinvenuta nella parete esterna<br />
<strong>del</strong>la chiesa di San Giovanni a Civitatomassa<br />
(AQ).<br />
Fig. 3 - CIL IX 4408.<br />
SALTERNUM<br />
- 14 -<br />
Trascrizione:<br />
C(aius) FADENUS (aii) F(ilius) PATER<br />
SEIENA TIBERI F(ilia) MATER<br />
FADENA C(aii) F(ilia) SOROR<br />
Q(uintus) FADENUS C(aii) F(ilius)<br />
Traduzione:<br />
Caio Fadeno, figlio di Caio, padre (e) Seiena, figlia di<br />
Tiberio, madre (e) Fadena, figlia di Caio, sorella (e)<br />
Quinto Fadeno, figlio di Caio.<br />
Il Mommsen, curatore <strong>del</strong> IX volume <strong>del</strong><br />
Corpus Inscriptionum Latinarum afferma che le<br />
lettere <strong>del</strong>l’epigrafe sono piuttosto antiche.<br />
L’osservazione <strong>del</strong> grande studioso concorda<br />
con la mancanza <strong>del</strong> cognomen nei personaggi<br />
citati, essendo il cognomen, tra gli elementi dei<br />
tria nomina distintivi <strong>del</strong> cittadino romano,<br />
quello il cui uso è più recente 19 .<br />
Si tratta di un’epigrafe sepolcrale relativa alla<br />
gens Fadena, nella quale sono riportati al nominativo<br />
i nomi <strong>del</strong>le persone i cui resti erano<br />
deposti nel sepolcro. Le parole sono divise da<br />
un punto di forma rotonda, molto usuale nell’epigrafia<br />
latina 20 .<br />
Alla prima riga si legge il nome <strong>del</strong> capofamiglia,<br />
cioè C. Fadenus, alla seconda riga il<br />
nome di una donna, Seiena, indicata come<br />
mater, ma non è chiaro se si tratti <strong>del</strong>la madre<br />
di C. Fadenus o di sua moglie, poiché nell’ultima<br />
riga è riportato il nome <strong>del</strong> figlio di C.<br />
Fadenus, Q. Fadenus e quindi Seiena, in quanto<br />
mater, potrebbe esserlo sia di C. Fadenus sia<br />
di Q. Fadenus.<br />
Nella terza riga invece è riportato il nome di<br />
un’altra donna, Fadena, figlia di Caius, indicata<br />
come soror e quindi sorella di C. Fadenus.<br />
Il secondo gentilizio riportato nell’epigrafe,<br />
Seienus, è anch’esso poco attestato nell’onomastica<br />
romana 21 .<br />
Le donne citate nell’epigrafe non hanno il<br />
praenomen poiché questo elemento nell’onomastica<br />
romana femminile era arcaico e raro 22 .<br />
La lettura <strong>del</strong>l’epigrafe pone qualche problema<br />
nella prima riga, dove dopo il praenomen ed il<br />
nomen <strong>del</strong> primo personaggio è riportata una lettera,<br />
la cui trascrizione, secondo chi scrive, è errata.
La lettera infatti sembra rappresentare una<br />
“A” con al di sopra un’asticella orizzontale, cosa<br />
che apparentemente non sembra avere un significato.<br />
Si potrebbe ipotizzare che l’asticella al di<br />
sopra <strong>del</strong>la “A” sia in realtà una scalfittura <strong>del</strong>la<br />
pietra e che chi ha ricopiato l’epigrafe, pensando<br />
che il segno facesse parte <strong>del</strong> testo, lo abbia<br />
comunque riportato.<br />
Questa presunta errata trascrizione non ci<br />
meraviglia, poiché la lettura di un’epigrafe può<br />
facilmente ingannare chi la trascrive e soprattutto<br />
perché molte <strong>del</strong>le epigrafi presenti nel<br />
Corpus Inscriptionum Latinarum non sono state<br />
trascritte da specialisti, per cui la possibilità di<br />
fraintendimento di lettere o spesso di semplici<br />
segni, è molto alta.<br />
Quindi nella nostra epigrafe dovremmo leggere<br />
semplicemente la lettera “A”, la quale, trovandosi<br />
dopo il nomen <strong>del</strong> nostro personaggio,<br />
corrisponderebbe al suo patronimico e quindi il<br />
praenomen <strong>del</strong> padre di C. Fadenus sarebbe<br />
stato Aulus.<br />
Come però si è detto, nell’epigrafe, alla terza<br />
riga, è ricordata la sorella di C. Fadenus, indicata<br />
anche con il nome <strong>del</strong> padre che inizia con la<br />
lettera “C” e che quindi deve essere letto come<br />
Caius.<br />
Essendo quindi C. Fadenus e Fadena, figlia di<br />
Caius, fratello e sorella, ne deduciamo che Caius<br />
era anche il padre di C. Fadenus e che quindi<br />
padre e figlio avevano lo stesso praenomen.<br />
Tenendo presente quanto sopra esposto, in<br />
questa sede si ipotizza che la trascrizione <strong>del</strong>la<br />
lettera “A” con un’asticella al di sopra sia errata,<br />
e che quindi in quella posizione era scritta la lettera<br />
“C”.<br />
L’epigrafe, per la mancanza dei cognomina<br />
dei personaggi, potrebbe essere datata tra la fine<br />
<strong>del</strong> I sec. a.C. e gli inizi <strong>del</strong> I sec. d.C.<br />
2) Nursia:<br />
È la località, tenendo presente che ad essa<br />
apparteneva anche il territorio <strong>del</strong>l’odierna<br />
Cascia, dalla quale proviene il maggior numero<br />
di iscrizioni relative a personaggi <strong>del</strong>la gens<br />
Fadena. Tutti gli autori antichi concordano sul<br />
fatto che l’antica Nursia, corrispondente all’at-<br />
VINCENZA IORIO<br />
- 15 -<br />
Fig. 4 - Suppl. It. XIII, n. 19.<br />
Fig. 5 - CIL IX 4550.<br />
tuale Norcia, fosse una città dei Sabini 23 . Dopo la<br />
conquista romana <strong>del</strong> territorio, Nursia divenne<br />
prima praefectura e poi un municipium retto da<br />
octoviri e da octoviri duovirali potestate 24 .<br />
2.1) CIL IX 4550= AE, 1950, n. 89; 1989, n.<br />
204; 1996, n. 529 a-f ; Suppl. It. XIII, n. 19 (Fig.<br />
4). Si tratta di un’epigrafe parzialmente nota nel<br />
Seicento, forse perché seminterrata sotto un’altra,<br />
sulla parete <strong>del</strong>l’abside <strong>del</strong>la chiesa di San<br />
Lorenzo a Norcia. Fu per la prima volta riportata<br />
parzialmente nel Corpus Inscriptionum<br />
Latinarum (IX 4550) (Figg. 4 e 5) ma il Ciucci,<br />
autore <strong>del</strong> manoscritto dal quale l’epigrafe fu<br />
tratta, commise alcuni errori nel trascriverla.<br />
L’epigrafe fu poi rinvenuta nel 1942 frammentata<br />
e capovolta, a mezzo metro sotto terra,<br />
nel campanile <strong>del</strong>la suddetta chiesa, e quindi<br />
ricomposta e murata a filo terra sul fianco<br />
destro, dov’è tuttora. In questa sede, si segue l’epigrafe<br />
pubblicata più recentemente e cioè quella<br />
presenta in Suppl. It. XIII, n. 19.<br />
Trascrizione:<br />
a. prima colonna:<br />
C(aio) FADENO Q(uinti) F(ilio)<br />
QUI(rina) BASSO<br />
VIII VIR(o) II VIR(ali) POT(estate)<br />
PATRONO PLEB(is)
. seconda colonna:<br />
[Q(uinto) F]ADEN[no – f(ilio)]<br />
QU[i(rina)—-]<br />
VIII[vir(o)]<br />
PATR[i]<br />
c. Terza colonna:<br />
[P?]ETILLENAE Q(uinti) F(ilia)<br />
MAXIMAE<br />
MATRI<br />
d. Quarta colonna:<br />
FA[denae - f]<br />
MA[ximae]<br />
A[mitae]<br />
e al centro ed in mezzo:<br />
[Ex t]ESTAMENTO C(aii) FADENI [Q(uinti) F(ilii)<br />
Qui(rina) Bassi]<br />
MODERATUS [l(ibertus)],<br />
f. nell’estremità inferiore:<br />
L(ocus)[d(atus) d(ecreto) d(ecurionum)?]<br />
Traduzione<br />
a. prima colonna:<br />
A Caio Fadeno, figlio di Quinto, <strong>del</strong>la tribù Quirina,<br />
Basso, octoviro per potestà duovirale, patrono <strong>del</strong>la<br />
plebe<br />
b. seconda colonna:<br />
A Quinto Fadeno, figlio di [-], <strong>del</strong>la tribù Quirina [—-<br />
], octoviro, padre<br />
c. terza colonna:<br />
A Petillena, figlia di Quinto, Massima, madre<br />
d. quarta colonna:<br />
A Fadena, figlia di [-] Massima, zia paterna<br />
e al centro ed in mezzo:<br />
per testamento di Caio Fadeno, figlio di Quinto, <strong>del</strong>la<br />
tribù Quirina, Basso<br />
il liberto Moderato<br />
f. nell’estremità inferiore:<br />
Il luogo è stato dato per decreto dei decurioni<br />
SALTERNUM<br />
- 16 -<br />
Le parole nell’epigrafe sono divise da un<br />
punto di forma rotonda, molto usuale nell’epigrafia<br />
latina 25 .<br />
L’epigrafe è l’unione di tre frammenti, ma<br />
probabilmente manca un quarto frammento da<br />
inserire tra il secondo ed il terzo, a partire da<br />
sinistra, sul quale doveva essere riportato alla<br />
prima riga il patronimico di Q. Fadenus e la<br />
prima lettera <strong>del</strong> gentilizio <strong>del</strong>la moglie di Q.<br />
Fadenus e madre di C. Fadenus Bassus, mentre<br />
nella seconda riga doveva essere riportato il<br />
cognomen <strong>del</strong>lo stesso Q. Fadenus. Si tratta di<br />
un’epigrafe scolpita per un monumento funerario<br />
costruito dal liberto Moderatus, seguendo il<br />
testamento di C. Fadenus Bassus. Nel monumento<br />
funerario, oltre allo stesso C. Fadenus<br />
Bassus, erano seppelliti suo padre, Q. Fadenus,<br />
di cui come si è detto non conosciamo il cognomen,<br />
sua madre Petillena Maxima e la zia paterna,<br />
Fadena Maxima. Si tratta di personaggi<br />
appartenenti ad una classe sociale molto alta,<br />
poiché Q. Fadenus era stato un membro <strong>del</strong> collegio<br />
degli octoviri, mentre suo figlio era stato<br />
membro di un sottocollegio degli octoviri duovirali<br />
potestate, con funzione giurisdicente, un sottocollegio<br />
che sembra proprio <strong>del</strong>l’amministrazione<br />
nursina 26 .<br />
Nell’epigrafe, oltre al gentilizio Fadenus è<br />
presente anche il gentilizio (P?)etillenus,<br />
anch’esso poco attestato nell’onomastica romana<br />
27 , mentre lo è maggiormente il gentilizio<br />
Petillius, al quale Petillenus potrebbe essere<br />
legato 28 .<br />
Due i cognomina presenti nell’epigrafe: il<br />
primo, Bassus, è quello di C. Fadenus, il secondo<br />
invece, Maxima, appartiene sia alla madre di<br />
C. Fadenus, Petillena Maxima sia alla sua zia<br />
paterna, Fadena Maxima.<br />
L’etimologia <strong>del</strong> cognomen Bassus pone alcuni<br />
problemi, poiché la parola non è di origine<br />
latina 29 , mentre molto semplice è l’etimologia <strong>del</strong><br />
cognomen <strong>del</strong>le due donne, Petillena Maxima e<br />
Fadena Maxima, poiché è un cognomen che<br />
augura la perfezione a chi lo possiede 30 .<br />
L’epigrafe può essere datata, per le caratteristiche<br />
paleografiche ed onomastiche e per il formulario,<br />
nella prima metà <strong>del</strong> I sec. d.C.
2.2) CIL IX 4594 (Fig. 6).<br />
Si tratta di un’epigrafe ricopiata dal Ciucci,<br />
così come è riportato nel Corpus Inscriptionum<br />
Latinarum. L’epigrafe fu vista dallo stesso<br />
Ciucci due volte presso due distinte case, la<br />
prima volta presso la casa dei signori Tesorieri<br />
e la seconda presso la casa <strong>del</strong>la signora Marzia<br />
Pichini.<br />
Trascrizione:<br />
D(iis) M(anibus) SECUNDO<br />
C(aii) FADEN(i) BASSI SERVO<br />
SECUNDUS PATER ET<br />
[—-]BLECAS MATER<br />
PARENTES FILIO (pi)ISSIMO<br />
V(ixit) ANN(um) MEN(ses) II DIES XII<br />
P(osuerunt)<br />
Traduzione<br />
Agli Dei Mani. A Secondo, schiavo di Caio Fadeno<br />
Basso, il padre Secondo e la madre [—-]blecas, genitori,<br />
al figlio piissimo (che) visse un anno, due mesi e<br />
dodici giorni, posero.<br />
Le parole nell’epigrafe sono divise da un<br />
punto di forma rotonda, molto usuale nell’epigrafia<br />
latina 31 .<br />
Nel riportare l’epigrafe è stato probabilmente<br />
commesso un errore, poiché le prime due lettere<br />
D(iis) M(anibus) nelle iscrizioni sepolcrali si<br />
trovano isolate e non sulla stessa riga di altre<br />
parole 32 .<br />
L’espressione D(iis) M(anibus) è molto frequente<br />
nelle iscrizioni sepolcrali e ricorda che la<br />
proprietà <strong>del</strong>la tomba, divenuta res religiosa, è<br />
degli Dei Mani e ciò anche per proteggerla da<br />
possibili manomissioni 33 .<br />
Il senso <strong>del</strong>l’epigrafe è molto chiaro poiché si<br />
tratta di una dedica da parte di due schiavi,<br />
marito e moglie, al loro figlio che visse un anno,<br />
due mesi e dodici giorni. Il padre ed il figlio<br />
avevano lo stesso nome, cioè Secundus, un<br />
nome ben attestato tra gli schiavi, la cui origine<br />
è un numerale 34 . Nell’onomastica romana,<br />
Secundus è anche attestato come cognomen 35 .<br />
Poco chiaro invece il nome <strong>del</strong>la madre <strong>del</strong><br />
bimbo morto, che il Ciucci riporta come IIBLE-<br />
VINCENZA IORIO<br />
- 17 -<br />
Fig. 6 - CIL IX 4594.<br />
CAS, ma nella cui trascrizione è stato forse commesso<br />
un errore, poiché nell’onomastica romana<br />
schiavile non è presente il nome (...)blecas,<br />
se lo leggiamo come il Ciucci lo ho trascritto.<br />
Secondo chi scrive, non è possibile stabilire<br />
con quali lettere iniziasse il nome <strong>del</strong>la madre<br />
<strong>del</strong> bambino morto, che poteva comunque terminare<br />
in - ECAS poiché questa terminazione è<br />
presente nell’onomastica romana schiavile 36 .<br />
Secundus e sua moglie erano schiavi di C.<br />
Fadenus Bassus, probabilmente lo stesso personaggio<br />
<strong>del</strong> quale si è discusso nel commento<br />
<strong>del</strong>l’epigrafe precedente, per cui l’epigrafe può<br />
essere datata nella prima metà <strong>del</strong> I sec. d.C.<br />
3) Cascia e dintorni<br />
Come si è detto, probabilmente in epoca<br />
romana il territorio <strong>del</strong>l’attuale cittadina di<br />
Cascia apparteneva a quello di Nursia (Norcia),<br />
non essendo Cascia presente nelle fonti <strong>del</strong>la<br />
letteratura classica. Il territorio era però abitato,<br />
come attestano numerosi ritrovamenti, soprattutto<br />
quelli legati alla presenza di un tempio etrusco-italico<br />
in località Villa San Silvestro 37 .<br />
3.1) CIL IX, 4627 (Figg. 7-9).<br />
L’epigrafe fu rinvenuta nell’ingresso <strong>del</strong>la<br />
chiesa di Santa Anatolia, ma già nell’Ottocento<br />
era irreperibile 38 . Nel Corpus Inscriptionum<br />
Latinarum di questa iscrizione si riportano due<br />
versioni, su due colonne, la prima a sinistra<br />
<strong>del</strong>l’Holstenius (Fig. 7) 39 , il quale affermò anche<br />
che l’epigrafe era fratturata nella parte inferiore,<br />
e la seconda, a destra, <strong>del</strong> Gudius (Fig. 8) 40 .
Fig. 7 - CIL IX, 4627 (lato sinistro).<br />
Inoltre il Sordini, nel volume di Notizie degli<br />
Scavi di Antichità pubblicato nel 1893, riporta<br />
un’altra versione <strong>del</strong>la stessa epigrafe, differente<br />
dalla prime due, ma più simile a quella <strong>del</strong><br />
Gudius (Fig. 9) 41 . Tra le versione <strong>del</strong> Sordini e<br />
quelle <strong>del</strong> Corpus Inscriptionum Latinarum si<br />
contano dieci anni di differenza, essendo il IX<br />
volume <strong>del</strong> Corpus pubblicato nel 1883.<br />
In questa sede si segue la versione <strong>del</strong><br />
Sordini poiché si ritiene che sia quella più verosimile,<br />
<strong>del</strong>la quale comunque si riportano due<br />
trascrizioni, diverse.<br />
1a Trascrizione:<br />
T(iti) FADENI [—-] T(iti) F(ilii)<br />
[—-] CATIANI T(iti) F(ilii)<br />
T(iti) [—-]<br />
C(aii) [—-]<br />
L(ucii) | FA[—-]<br />
T(itii) [·····]AERAR(i) [—-]<br />
Fig. 8 - CIL IX, 4627 (lato destro).<br />
Fig. 9 - da Sordini 1893,<br />
p. 381, n. 42.<br />
1a Traduzione<br />
Di Tito Fadeno, figlio di Tito, di Catiano, figlio di Tito,<br />
di Tito [—-], di Caio [—-], di Lucio Fa[—-], di Tito [—<br />
-]erario.<br />
SALTERNUM<br />
- 18 -<br />
2a Trascrizione:<br />
T(iti) FADENI [—-] T(iti) F(ilii)<br />
[—-] CATIANI T(iti) F(ilii)<br />
T(iti) [—-]<br />
C(aii) [—-]<br />
L(ucii)<br />
FA[—-]<br />
T(itii) [·····] AERAR[—-]<br />
2a Traduzione<br />
Di Tito Fadeno, figlio di Tito, di Catiano, figlio di Tito,<br />
di Tito [—-], di Caio [—-], di Lucio Fa[—-], di Tito [—-<br />
]erario.<br />
Le parole nell’epigrafe sono divise da un<br />
punto di forma rotonda, molto usuale nell’epigrafia<br />
latina 42 .<br />
L’epigrafe presenta numerosi problemi di lettura:<br />
sembra riportare una lista di nomi, in caso<br />
genitivo. Il primo nome sembra essere quello di<br />
T. Fadenus, seguito da uno spazio la cui presenza<br />
non è chiara poiché ci aspetteremmo subito il<br />
patronimico <strong>del</strong> personaggio e cioè Titi filus, che<br />
invece è riportato alla fine <strong>del</strong>la prima riga.<br />
La seconda riga potrebbe iniziare con il cognomen<br />
<strong>del</strong> primo personaggio, seguito dal gentilizio<br />
<strong>del</strong> secondo personaggio che era Catianus, un<br />
gentilizio attestato nell’onomastica romana 43 .<br />
Al gentilizio <strong>del</strong> secondo personaggio segue,<br />
sulla stessa riga, il suo patronimico e cioè Titi<br />
filius.<br />
Nelle righe terza e quarta sono probabilmente<br />
riportati i praenomina Titus e Caius, mentre nel<br />
quinto è riportato il praenomen Lucius di un personaggio<br />
il cui gentilizio inizia con le lettere FA,<br />
che potrebbe essere anch’egli un Fadenus, ma<br />
molti sono i gentilizi che iniziano con queste due<br />
lettere 44 .<br />
Veniamo infine all’ultima riga che differenzia<br />
le due trascrizioni sopra riportate da chi scrive. La<br />
prima parte <strong>del</strong>la riga è la stessa per entrambe le<br />
trascrizioni e sembra iniziare con le lettere Titi,<br />
genitivo <strong>del</strong> praenomen Titus.<br />
La differenza tra le due trascrizioni è posta nell’interpretazione<br />
<strong>del</strong>le lettere seguenti. Infatti<br />
dopo il probabile praenomen c’è uno spazio nel<br />
quale ci aspetteremmo il gentilizio al quale<br />
apparterrebbero le lettere “AERAR”.
In tal caso ci troveremmo di fronte ad un<br />
gentilizio che al caso nominativo avrebbe almeno<br />
dodici lettere, non essendo possibile stabilire<br />
quanto in realtà fosse lunga questa parola,<br />
poiché dopo la “T” <strong>del</strong> praenomen <strong>del</strong> personaggio<br />
ricordato nell’epigrafe c’è uno spazio<br />
con un puntino nel centro, che è quello di divisione<br />
tra il praenomen ed il gentilizio, come per<br />
i personaggi riportati nel primo e nel quinto<br />
rigo 45 ; successivamente c’è un altro spazio dove<br />
potrebbero essere collocate cinque lettere che<br />
vanno sommate alle cinque che leggiamo e cioè<br />
AERAR, alle quali andrebbe aggiunta la terminazione<br />
in –i <strong>del</strong> gentilizio al genitivo <strong>del</strong> nostro<br />
personaggio, come al genitivo sembrano essere<br />
i gentilizi dei personaggi riportati nella prima e<br />
nella seconda riga <strong>del</strong>l’epigrafe.<br />
Questa ipotesi potrebbe corrispondere al<br />
vero poiché nell’onomastica romana esistono<br />
gentilizi che al caso nominativo sono formati da<br />
dodici ma anche da più lettere 46 .<br />
Nella seconda trascrizione invece le lettere<br />
AERAR non sono considerate come parte <strong>del</strong><br />
gentilizio <strong>del</strong> personaggio riportato nell’epigrafe,<br />
ma come facenti parte di un’altra parola che<br />
potrebbe essere la parola AERAR, che indicherebbe<br />
l’erario, cioè il tesoro pubblico 47 , ma di cui<br />
non conosciamo il caso e quindi la desinenza<br />
con la quale la parola terminava.<br />
In questa seconda ipotesi quindi, il gentilizio<br />
<strong>del</strong> personaggio riportato andrebbe posto tra il<br />
suo praenomen e le lettere AERAR e quindi ci troveremmo<br />
di fronte ad un gentilizio che al caso<br />
genitivo era composto da cinque lettere, e che<br />
quindi al caso nominativo ne era composto da sei.<br />
Questa ipotesi potrebbe corrispondere al<br />
vero poiché nell’onomastica romana esistono<br />
gentilizi che al caso nominativo sono composti<br />
da sei lettere 48 .<br />
In questa ipotesi infine, dopo il gentilizio <strong>del</strong><br />
personaggio nominato, non sarebbe riportato il<br />
patronimico poiché lo spazio tra il praenomen e<br />
la parola AERAR sarebbe occupato totalmente<br />
da un gentilizio, in caso genitivo, composto da<br />
cinque lettere.<br />
A causa <strong>del</strong>l’esiguità <strong>del</strong> testo e <strong>del</strong>la difficoltà<br />
di trascrizione, non è possibile ipotizzare una<br />
datazione per questa epigrafe.<br />
VINCENZA IORIO<br />
- 19 -<br />
Fig. 10 - da SORDINI 1893,<br />
pp. 378-379, n. 35.<br />
3.2) Sordini 1893, pp. 378-379, n. 35 (Fig. 10).<br />
Le notizie relative a questa epigrafe sono<br />
riportate dal Sordini che così scrive 49 : “Cippo di<br />
travertino, di m 1,35x0,72 nel podere <strong>del</strong> sig.<br />
Caroli-Franceschini presso la Via di Malignano di<br />
Cascia…fu trovata nel 1764, nel piano di Padule,<br />
nel luogo dove era l’antica collegiata di San<br />
Panfilo e fu trasportata nel casale <strong>del</strong> sig. Luigi<br />
Franceschini, dove serve di piedistallo alla tracanna”.<br />
In questa sede si propongono due trascrizioni<br />
con le relative traduzioni poiché il testo,<br />
alla sesta riga, pone problemi di lettura.<br />
1a Trascrizione:<br />
D(iis) M(anibus)<br />
C(aio) VEDINACO<br />
DEXTRO MIL(iti) CHOR(tis)<br />
II PRAETOR(iae) OPTIONI<br />
CARCARIS MIL(itavit) A(nnis) XIIII<br />
V(ixit) A(nnis) XXXVII M(ensibus) IIII<br />
M(arcus) IULIUS SECUNDUS<br />
PATER FIL(io) PIENTISSIMO<br />
EQUITI AUGUSTOR(um) ET<br />
FADENAE SEMELINI MA(tri) SUIS B(ene) M(erenti) F(ecit)<br />
ET SIBI<br />
Fig. 11 - da SORDINI 1893,<br />
p. 381, n. 46.<br />
1a Traduzione<br />
Agli Dei Mani. A Caio Vedinaco Destro, soldato <strong>del</strong>la<br />
seconda coorte pretoria, soldato scelto <strong>del</strong> carcere.<br />
Militò per quattordici anni, visse trentasette anni e quattro<br />
mesi, Marco Iulio Secondo, padre, al figlio pietosissimo,<br />
cavaliere degli Augusti ed a Fadena Semelinis, sua<br />
madre, ben meritevole, fece e per i suoi.
2a Trascrizione:<br />
D(iis) M(anibus)<br />
C(aio) VEDINACO<br />
DEXTRO MIL(iti) CHOR(tis)<br />
II PRAETOR(iae) OPTIONI<br />
CARCARIS MIL(itavit) A(nnis) XIIII<br />
V(ixit) A(nnis) XXXVII M(ensibus) II (iebus) II<br />
M(arcus) IULIUS SECUNDUS<br />
PATER FIL(io) PIENTISSIMO<br />
EQUITI AUGUSTOR(um) ET<br />
FADENAE SEMELINI MA(tri) SUIS B(ene) M(erenti) F(ecit)<br />
ET SIBI<br />
2a Traduzione<br />
Agli Dei Mani. A Caio Vedinaco Destro, soldato <strong>del</strong>la<br />
seconda coorte pretoria, soldato scelto <strong>del</strong> carcere.<br />
Militò per quattordici anni, visse trentasette anni, due<br />
mesi e due giorni, Marco Iulio Secondo, padre, al figlio<br />
pietosissimo, cavaliere degli Augusti ed a Fadena<br />
Semelinis, sua madre, ben meritevole, fece e per i suoi.<br />
Le parole nell’epigrafe sono divise da un<br />
punto di forma rotonda, molto usuale nell’epigrafia<br />
latina 50 .<br />
Il senso <strong>del</strong>l’epigrafe, di carattere sepolcrale, è<br />
molto chiaro ma, oltre ai problemi di lettura, c’è<br />
un errore grammaticale (suius al posto di eius). Si<br />
tratta di un’epigrafe sepolcrale relativa ad una<br />
tomba che M. Iulius Secundus fece costruire per<br />
C. Vedinacus Dexter, morto all’età di trentasette<br />
anni durante il suo quattordicesimo anno di servizio<br />
militare, e per Fadena Semelinis.<br />
Nell’iscrizione M. Iulius Secundus indica C.<br />
Vedinacus Dexter come suo figlio, ma probabilmente<br />
doveva trattarsi di un figlio che la moglie<br />
doveva aver avuto da un precedente matrimonio,<br />
poiché se i due personaggi fossero stati padre e<br />
figlio naturali avrebbero dovuto avere lo stesso<br />
gentilizio, mentre hanno due gentilizi differenti:<br />
quello <strong>del</strong> primo è Iulius e quello <strong>del</strong> secondo<br />
Vedinacus. Quindi, quando M. Iulius Secundus<br />
sposò sua moglie questa doveva essere vedova<br />
ed avere almeno un figlio, e cioè C. Vedinacus<br />
Dexter, al quale M. Iulius Secundus si affezionò<br />
moltissimo, tanto da considerarlo come figlio proprio,<br />
così come lo indica nell’epigrafe.<br />
Dalla lettura <strong>del</strong>l’epigrafe inoltre non è possi-<br />
SALTERNUM<br />
- 20 -<br />
bile stabilire bene quale età Caius Vedinacus<br />
Dexter avesse quando morì e per questo motivo<br />
si propongono due trascrizioni e due traduzioni.<br />
L’unico dato certo sono gli anni, cioè trentasette,<br />
leggibili in entrambe le trascrizioni, mentre<br />
non è possibile stabilire bene i mesi che<br />
potrebbero essere quattro 51 o due 52 , a seconda<br />
<strong>del</strong>l’interpretazione che si dà all’ultima parte<br />
<strong>del</strong>la sesta riga <strong>del</strong>l’epigrafe.<br />
Il problema nasce in particolare dai quattro<br />
segni che seguono la lettera “M”, cioè mensibus;<br />
tali segni infatti possono essere intesi come il<br />
numerale quattro e quindi leggeremmo “mesi<br />
quattro” 53 oppure i primi due, come il numerale<br />
due e gli ultimi due come un altro numerale<br />
due, ma questa volta riferito ai giorni e quindi<br />
leggeremmo “mesi due e giorni due” 54 .<br />
Nel primo caso lo spazio lasciato tra le prime<br />
due asticelle e le seconde due asticelle <strong>del</strong><br />
numerale sarebbe puramente casuale 55 , nel<br />
secondo caso invece dopo le prime due asticelle,<br />
nello spazio che segue, il lapicida avrebbe<br />
dimenticato di apporre la lettera D(iebus) 56 .<br />
Un altro problema riguarda Fadena<br />
Semelinis, poiché nell’epigrafe è indicata come<br />
madre, ma non è possibile stabilire se essa fosse<br />
la madre di C. Vedinacus Dexter, e quindi la<br />
moglie di M. Iulius Secundus, oppure fosse la<br />
madre di M. Iulius Secundus, e quindi la nonna<br />
di C. Vedinacus Dexter.<br />
Infine, dalla lettura <strong>del</strong>l’epigrafe, apprendiamo<br />
che C.Vedinacus Dexter aveva ricoperto<br />
alcune cariche durante il suo servizio militare ed<br />
in particolare era stato un soldato <strong>del</strong>la seconda<br />
coorte pretoria, cioè la guardia <strong>del</strong> corpo dei<br />
generali 57 , un optio carcaris, cioè un soldato<br />
scelto, aiutante dei centurioni, 58 preposto alla<br />
sorveglianza <strong>del</strong> carcere 59 ed eques singularis<br />
Augusti, appartenente quindi al corpo di guardia<br />
a cavallo personale <strong>del</strong>l’imperatore, istituito probabilmente<br />
già durante l’impero di Nerva e rimasto<br />
attivo forse fino a Costantino 60 .<br />
Per quanto riguarda l’onomastica dei personaggi<br />
citati nell’epigrafe, Vedinacus è un gentilizio<br />
poco attestato nell’onomastica romana 61 ,<br />
mentre non lo è Iulius 62 .<br />
Ben attestati sono anche i cognomina dei<br />
personaggi maschili <strong>del</strong>l’epigrafe e cioè Dexter
che potrebbe essere relativo alla prudenza <strong>del</strong>l’intelletto<br />
63 e Secundus che invece si riferisce<br />
all’ordine di nascita tra i figli 64 .<br />
Probabilmente M. Iulius Secundus era un<br />
liberto, poiché il suo cognomen è diffuso come<br />
nome di schiavi 65 ; uno schiavo infatti quando<br />
diventava liberto assumeva il praenomen ed il<br />
nomen <strong>del</strong> patrono o <strong>del</strong>la patrona che lo<br />
aveva liberato e quello che era stato il suo<br />
nome da schiavo diventava il suo cognomen di<br />
liberto 66 .<br />
Nell’onomastica romana non è attestato<br />
invece il cognomen <strong>del</strong> personaggio femminile<br />
<strong>del</strong>l’epigrafe, Semelinis, probabilmente di provenienza<br />
greca, da accostare a Semele, che la<br />
mitologia greca indica come figlia di Cadmo e<br />
madre di Bacco 67 e che nell’onomastica romana<br />
è attestato come cognomen 68 .<br />
Per l’onomastica dei personaggi e per la presenza<br />
<strong>del</strong> corpo degli equites Augusti è possibile<br />
ipotizzare che l’epigrafe si dati alla fine <strong>del</strong><br />
I sec. d.C.<br />
3.3) Sordini 1893, p. 381, n. 46 (Fig. 11).<br />
Le notizie relative a questa epigrafe sono<br />
riportate dal Sordini che così scrive 69 : “Cippo di<br />
travertino di m. 0,80x0,68x0,25, murato in un<br />
gradino, a destra di chi entra, nella chiesa di s.<br />
Maria di Roccadervi alla Cerasola. Ivi stesso la<br />
vide e ne trasse copia il Franceschini”.<br />
Trascrizione:<br />
D(iis) <br />
C(aius) <br />
C(aio) FADEN(o)<br />
FORTUNA[to]<br />
PATRI PATRO<br />
NO BENE MER[en]<br />
TI V(ixit) AN(nis) LXXX<br />
SIBI ET<br />
POSTERI<br />
QE SUIS<br />
Traduzione<br />
Agli Dei Mani. Caio Fadeno, a Caio Fadeno Fortunato,<br />
padre (e) patrono, ben meritevole. Visse ottanta anni,<br />
per sé e per i suoi posteri.<br />
VINCENZA IORIO<br />
- 21 -<br />
Le parole nell’epigrafe sono divise da un<br />
punto di forma rotonda, molto usuale nell’epigrafia<br />
latina 70 .<br />
L’epigrafe, di carattere sepolcrale, pone problemi<br />
di lettura, inoltre non si conserva per intero ed<br />
in particolare non si conserva la sua parte sinistra.<br />
Nella prima riga <strong>del</strong>l’epigrafe, dopo la lettera<br />
D(iis) doveva esserci la M(anibus) 71 in quella<br />
parte <strong>del</strong>l’epigrafe che non si è conservata.<br />
Nell’epigrafe sembrano essere indicati due<br />
personaggi maschili, il primo nella seconda riga<br />
ed il secondo nella terza riga.<br />
Il nome <strong>del</strong> personaggio riportato nella<br />
seconda riga dovrebbe essere quello <strong>del</strong> dedicante<br />
e quindi dovremmo leggere, in caso nominativo,<br />
il suo praenomen ed il suo gentilizio;<br />
probabilmente questo personaggio non aveva il<br />
cognomen, che si sarebbe dovuto trovare nella<br />
riga successiva, dove invece si trovano già gli<br />
elementi onomastici <strong>del</strong> secondo personaggio.<br />
Inoltre nel ricopiare il nome <strong>del</strong> primo personaggio<br />
probabilmente sono stati commessi errori;<br />
infatti se il suo praenomen è chiaro e cioè,<br />
Caius, non lo è il suo gentilizio.<br />
Chi scrive ipotizza che il gentilizio <strong>del</strong> personaggio<br />
potese essere stato Fadenus poiché nelle<br />
righe successive <strong>del</strong>l’epigrafe è riportato Caius<br />
Fadenus Fortunatus, indicato come padre e<br />
patrono e che morì ad ottanta anni, un’età molto<br />
avanzata in epoca romana.<br />
Se l’ipotesi che qui si propone è giusta, dei<br />
due personaggi menzionati, il primo era il liberto<br />
ed il secondo il patrono e quindi entrambi<br />
dovevano avere lo stesso praenomen e gentilizio<br />
e cioè Caius Fadenus.<br />
Il liberto Caius Fadenus costruì quindi la<br />
tomba per il proprio patrono, che chiama affettuosamente<br />
anche “padre” forse perché lo aveva<br />
anche adottato, per se stesso e per i suoi posteri.<br />
Il cognomen Fortunatus <strong>del</strong> patrono è un<br />
cognomen molto attestato nell’onomastica romana<br />
ed è un nome di tipo augurale 72 .<br />
Per l’onomastica dei personaggi è possibile<br />
ipotizzare che l’epigrafe sia stata scolpita alla<br />
fine <strong>del</strong> I sec. d.C.
REGIO V<br />
4) Interamna Praettutorium.<br />
L’antica Intermna Praettutorium o<br />
Interamnia Praettutorium corrisponde all’attuale<br />
Teramo e la città è ricordata nelle fonti letterarie<br />
73 . La prima parte <strong>del</strong> nome <strong>del</strong>la città deriva<br />
dal fatto che era posta tra due fiumi (Interamnes),<br />
mentre la seconda deriva dal fatto che<br />
era la località più importante <strong>del</strong>l’Ager<br />
Praettutorum 74 .<br />
Fig. 12 - CIL IX, 5104.<br />
4.1) CIL IX, 5104 (Fig. 12)<br />
Non si conosce la provenienza <strong>del</strong>l’epigrafe<br />
che comunque si trovava nel Museo Delfico di<br />
Teramo e che è di tipo sepolcrale. L’epigrafe,<br />
come è presentata nel Corpus Inscriptionum<br />
Latinarum, è in realtà composta da due frammenti<br />
che rappresentano la sua parte iniziale e<br />
la sua parte finale. Dovrebbe però esistere almeno<br />
un terzo frammento che doveva essere posto<br />
tra i primi due.<br />
L’epigrafe pone qualche problema di lettura,<br />
per cui si propongono due trascrizioni e due traduzioni.<br />
1a Trascrizione:<br />
P(ublius) FADE[us] [—-] [—-]RUS SIBI ET<br />
FA[denae] [—-]E PATRON(ae)<br />
FA[dena] [—-]AE MATRI<br />
FERO(niae) [—-]AE UXOR(i)<br />
SP(urio) (f)AD(eno) [—-]EROT L(ucii)<br />
[—-]<br />
SALTERNUM<br />
- 22 -<br />
1a Traduzione<br />
Publio Fadeno [—-] [—-]rus per sé (e) per Fadena [—-<br />
]e, patrona (e) per Fadena [—-]ae madre (e) per<br />
Feronia [—-]ae, moglie, per Spurio Fadeno [—-]erote<br />
L(ucii)<br />
2a Trascrizione:<br />
P(ublius) FADE[us] [—-] [—-]RUS SIBI ET<br />
FA[denae] [—-]E PATRON(ae)<br />
FA[dena] [—-]AE MATRI<br />
FERO(niae) [—-]AE UXOR(i)<br />
SP(urio) (f)AD(eno) EROT L(ucii)<br />
[—-]<br />
2a Traduzione<br />
Publio Fadeno [—-] [—-]rus per sé (e) per Fadena [—-<br />
]e, patrona (e) per Fadena [—-]ae madre (e) per<br />
Feronia [—-]ae, moglie (e) per Spurio Fadeno Erote<br />
L(ucii)<br />
Le parole nell’epigrafe sono divise da un<br />
punto di forma rotonda, molto usuale nell’epigrafia<br />
latina 75 .<br />
L’epigrafe è di tipo sepolcrale e la sua lettura<br />
pone qualche problema nell’ultima riga. Nella<br />
prima riga è riportato il prenome P(ublius) ed il<br />
gentilizio Fade(nus) di colui che ha fatto costruire<br />
la tomba per sé e per le persone che sono<br />
elencate nelle righe successive.<br />
Nella seconda riga è probabilmente riportata<br />
la patrona di P. Fadenus poiché nella parte finale<br />
<strong>del</strong>la riga si leggono le lettere “PATRON” e<br />
poiché precedentemente a queste si legge “E”,<br />
questa ultima lettera molto probabilmente appartiene<br />
al cognomen in caso dativo terminante in -<br />
ae e quindi femminile. La presenza <strong>del</strong>la patrona<br />
di P. Fadenus nella seconda riga <strong>del</strong>l’epigrafe è<br />
anche attestata dalle prime lettere che si leggono,<br />
cioè “FAD” da integrare probabilmente con<br />
Fadenae, poiché essendo questa la padrona di P.<br />
Fadenus, i due personaggi devono avere lo stesso<br />
gentilizio; quando uno schiavo diventava<br />
liberto, assumeva il gentilizio <strong>del</strong> patrono o <strong>del</strong>la<br />
patrona che lo aveva liberato 76 .<br />
Alla terza riga <strong>del</strong>l’epigrafe sono riportati il<br />
nomen e il cognomen <strong>del</strong>la madre di P. Fadenus,<br />
mentre il suo gentilizio inizia con le lettere “FA”
quindi probabilmente era anch’essa una Fadena,<br />
per cui madre e figlio erano liberti <strong>del</strong>la stessa<br />
gens Fadena. In realtà però il gentilizio <strong>del</strong>la<br />
donna potrebbe anche essere un altro poiché<br />
molti sono i gentilizi attestati nell’onomastica<br />
romana che iniziano con le lettere “FA” 77 .<br />
Nella quarta riga <strong>del</strong>l’epigrafe sono riportati il<br />
nomen <strong>del</strong>la moglie di P. Fadenus, Feronia e la<br />
terminazione in –ae <strong>del</strong> suo cognomen.<br />
Il gentilizio Feronius è attestato nell’onomastica<br />
romana 78 ed ad Interamnia Praettutiorum<br />
ricorre anche in un’altra epigrafe 79 . Questo gentilizio<br />
si riallaccia alla dea Feronia, molto venerata<br />
tra le popolazioni <strong>del</strong>l’Italia centrale e protettrice<br />
dei liberti 80 .<br />
Anche nell’ultima riga <strong>del</strong>l’epigrafe, la quinta,<br />
sembra essere riportato il nome di un altro personaggio<br />
il quale probabilmente apparteneva<br />
anch’egli alla gens Fadena. Il praenomen <strong>del</strong><br />
personaggio era Sp(urius), il suo gentilizio iniziava<br />
con le lettere “FAD” e perciò probabilmente<br />
era anch’egli un Fadenus ed il suo cognomen<br />
potrebbe terminare in –erote 81 o essere Erote 82 . Il<br />
cognomen Erotis è attestato nell’onomastica<br />
romana 83 , per cui nella trascrizione Erote potrebbe<br />
essere sbagliata l’ultima lettera che dovrebbe<br />
essere la terminazione <strong>del</strong> dativo in –i e quindi<br />
è possibile che in realtà fosse scritto Eroti.<br />
L’ultima lettera che si legge nella quinta riga<br />
e una “L”, forse l’abbreviazione <strong>del</strong> praenomen<br />
Lucius e quindi l’epigrafe doveva continuare<br />
riportando in una riga successiva la parola libertus<br />
o filius.<br />
Per l’onomastica dei personaggi è possibile<br />
ipotizzare che l’epigrafe si dati nel I sec. d.C.<br />
5) Pausulae<br />
Si tratta di una località oggi nei pressi di<br />
Corridonia, in provincia di Macerata, che è ricordata<br />
da Plinio 84 come località <strong>del</strong> Piceno 85 .<br />
5.1) CIL IX, 5796 (Fig. 13).<br />
L’epigrafe proviene dalla località S. Claudio e,<br />
nel 1852, Ernesto Tambroni la spedì al<br />
Raffaellio.<br />
VINCENZA IORIO<br />
- 23 -<br />
Trascrizione:<br />
MEM(oria)<br />
C(aii) FADENI SE<br />
CUNDINI QUI<br />
VIX(it) AN(nis) XXXVI<br />
FADENUS EPIC<br />
TETUS FRATRI<br />
PIENTISSI(mo)<br />
Traduzione<br />
In memoria di Caio Fadeno Secondino che visse trentasei<br />
anni, Fadeno Epicteto al fratello piissimo.<br />
Fig. 13 - CIL IX, 5796.<br />
Le parole nell’epigrafe sono divise da un<br />
punto di forma rotonda, molto usuale nell’epigrafia<br />
latina 86 .<br />
La traduzione <strong>del</strong>l’epigrafe non pone problemi.<br />
Si tratta infatti di un’epigrafe sepolcrale nella<br />
quale Fadenus Epictetus dedica il sepolcro al fratello<br />
C. Fadenus Secundinus che visse trentasei<br />
anni.<br />
Il cognomen Secundinus è attestato nell’onomastica<br />
romana e deriva dal cognomen<br />
Secundus che si riferisce all’ordine di nascita tra<br />
i figli 87 .<br />
Di origine greca è invece il cognomen <strong>del</strong><br />
secondo personaggio <strong>del</strong>l’epigrafe, Epictetus,<br />
che deriva dall’aggettivo greco piktëtoß, che<br />
significa “di nuovo acquisto”, “aggiunto” 88 .<br />
Per l’assenza <strong>del</strong> praenomen di Fadenus<br />
Epictetus, l’epigrafe si potrebbe datare nel II sec.<br />
d.C., quando il praenomen comincia a non essere<br />
più utilizzato 89 .<br />
6) Roma<br />
Le epigrafi latine che riguardano Roma sono
accolte nel volume VI <strong>del</strong> Corpus Inscriptionum<br />
Latinarum. In particolare, l’epigrafe che qui si<br />
prende in considerazione è presente in CIL VI<br />
Pars III, dove sono raccolte le iscrizioni sepolcrali<br />
di Roma.<br />
Fig. 14 - CIL VI, 17647<br />
6.1) CIL VI, 17647 (Fig. 14).<br />
Non sappiamo in realtà se questa epigrafe sia<br />
stata veramente rinvenuta a Roma, ma questa è<br />
l’opinione di E. Bormann, G. Henzen ed Ch.<br />
Huelsen che hanno curato il volume CIL VI Pars<br />
III, pubblicato a Berlino nel 1886.<br />
Infatti per quanto riguarda l’epigrafe che qui<br />
si prende in considerazione, nel CIL VI Pars III<br />
si riporta quanto segue: “Tavola di marmo di origine,<br />
come sembra, urbana, si trovava a Parigi<br />
nel museo <strong>del</strong> comandante Blacas”. L’epigrafe<br />
fu descritta dal Mommsen.<br />
Trascrizione:<br />
FADENA C(aii) L(iberta) LAIS<br />
SIBI ET SUIS<br />
C(aio) PHELGINATI C(aii) L(iberto)<br />
PHAMPHILO VIRO SUO<br />
Traduzione<br />
Fadena Lais, liberta di Caio, per sé e per i suoi e per<br />
Caio Felginate Panfilo, liberto di Caio, suo marito.<br />
Le parole nell’epigrafe sono divise da un<br />
punto di forma rotonda, molto usuale nell’epigrafia<br />
latina 90 .<br />
SALTERNUM<br />
- 24 -<br />
La traduzione <strong>del</strong>l’epigrafe non pone problemi.<br />
Nella prima riga è menzionata una liberta,<br />
Fadena Lais che costruisce un sepolcro per sé,<br />
per i suoi e per suo marito C. Phelginas<br />
Pamphilus, anch’egli un liberto.<br />
Lais, il cognomen di Fadena, deriva dalla lingua<br />
greca ed era proprio <strong>del</strong>le etere 91 ; dalla lingua<br />
greca derivano anche il gentilizio<br />
Phelginas 92 ed il cognomen Pamphilus <strong>del</strong> marito<br />
di Fadena Lais 93 .<br />
Per il formulario e l’onomastica dei personaggi<br />
riportati nell’epigrafe, questa potrebbe essere<br />
datata nel I sec. d.C. La datazione inoltre potrebbe<br />
essere confermata anche dal modo di rendere<br />
la lettera I <strong>del</strong>la parola SVIS nel secondo rigo,<br />
essendo questa più lunga rispetto alle altre,<br />
fenomeno abbastanza frequente nelle epigrafi<br />
che datano tra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C. 94<br />
Tenendo presente le trascrizioni e le traduzioni<br />
proposte, diciotto quindi sono i personaggi<br />
<strong>del</strong>la gens Fadena attestati a Roma, nella<br />
Regio IV e nella Regio V ed in particolare undici<br />
nella Regio IV, sei nella Regio V ed uno a Roma<br />
(Fadena Lais).<br />
Per quanto riguarda più precisamente le città<br />
antiche <strong>del</strong>la Regio IV e nella Regio V dove i personaggi<br />
<strong>del</strong>la gens Fadena erano presenti,<br />
abbiamo il seguente schema:<br />
REGIO IV:<br />
1) Foruli:<br />
CIL IX 4408:<br />
1.1) C. Fadenus<br />
1.2) Fadena<br />
1.3) Q. Fadenus<br />
2) Nursia ed Ager Nursinus:<br />
CIL IX 4550 = AE, 1950, n. 89; 1989, n. 204;<br />
1996, n. 529 a-f ; Suppl. It. XIII, n. 19.<br />
2.1) C. Fadenus Bassus (probabilmente si<br />
tratta <strong>del</strong>lo stesso C. Fadenus Bassus riportato in<br />
CIL IX 4594)<br />
2.2) Q. Fadenus<br />
2.3) Fadena Maxima<br />
CIL IX 4627:<br />
2.4) T. Fadenus
2.5) L. Fadenus<br />
Sordini 1893, pp. 378-379, n. 35:<br />
2.6) Fadena Semelinis<br />
Sordini 1893, p. 381, n. 46:<br />
2.7) C.Fadenus<br />
2.8) C.Fadenus Fortunatus<br />
REGIO V:<br />
3) Interamna Praettutorium:<br />
CIL IX 5104.<br />
3.1) P. Fadenus Bassus<br />
3.2) Fadena<br />
3.3) Fadena<br />
3.4) Sp. Fadenus<br />
4) Pasulae:<br />
CIL IX 5796.<br />
4.1) C. Fadenus Secundinus<br />
4.2) Fadenus Epictetus<br />
Le epigrafi qui analizzate confermano la tesi<br />
<strong>del</strong> Camodeca sull’origine nursina <strong>del</strong>la gens<br />
Fadena.<br />
La gens Fadena forse non doveva essere una<br />
gens molto antica poiché, come si è visto, le epigrafi<br />
che attestano i suoi esponenti si datano a<br />
partire dalla fine <strong>del</strong> I sec. a.C.; inoltre si tratta<br />
di una gens appartenente all’aristocrazia locale, i<br />
cui esponenti principali furono probabilmente<br />
quelli riportati in CIL IX 4550, cioè C. Fadenus<br />
Bassus e suo padre Q. Fadenus, i quali avevano<br />
ricoperto importanti cariche amministrative a<br />
Nursia.<br />
Forse all’interno <strong>del</strong>la gens Fadena, i suddetti<br />
personaggi furono gli unici a ricoprire cariche<br />
importanti, poiché degli altri esponenti di questa<br />
gens attestati nelle epigrafi esaminate sono ricordati<br />
solo i lori nomi senza il cursus honorum,<br />
cosa che ci testimonia che essi probabilmente<br />
non dovettero ricoprire alcuna carica.<br />
Anche se non si tratta di una gens numerosa,<br />
molti però dovettero essere i suoi liberti e quindi<br />
si presuppone che i Fadeni dovettero avere<br />
molti interessi economici nei quali i loro liberti<br />
erano coinvolti.<br />
Inoltre, gli esponenti di questa gens non<br />
dovettero avere rapporti con gentes i cui espo-<br />
VINCENZA IORIO<br />
- 25 -<br />
nenti ricoprirono importanti cariche nel mondo<br />
romano poiché, come si è visto dall’analisi <strong>del</strong>le<br />
epigrafi, questi contrassero matrimoni con esponenti<br />
di gentes poco attestate nell’onomastica<br />
romana, come la gens Seiena 95 , la gens<br />
Petillena 96 , la gens Feronia 97 e la gens<br />
Phelginas 98 , mentre in un solo caso il matrimonio<br />
fu contratto con un personaggio appartenente<br />
ad una gens importante <strong>del</strong> mondo romano<br />
e cioè la gens Iulia 99 .<br />
Dall’Italia centrale, la gens Fadena si spostò<br />
poi in quella settentrionale e probabilmente lì<br />
cambiò leggermente il proprio gentilizio che da<br />
Fadenus diventò Fadienus; si tratta comunque<br />
di un cambiamento linguistico ben attestato nell’onomastica<br />
romana 100 .<br />
Non sappiamo però perché avvenne questo<br />
cambiamento, forse per meglio adattare la pronuncia<br />
<strong>del</strong> loro gentilizio alla fonetica <strong>del</strong>l’idioma<br />
parlato nell’area dove la gens Fadena si trasferì.<br />
Per quanto riguarda poi l’area <strong>del</strong>l’Italia settentrionale<br />
dove la gens Fadena si trasferì, lo<br />
Scarano Ussani ipotizza che sia quella <strong>del</strong>l’Italia<br />
nord-occidentale 101 , dove quindi il suo gentilizio<br />
diventò Fadienus, poiché in questa area sono<br />
attestati esponenti di questa gens databili non<br />
anteriormente all’età augustea.<br />
In particolare si tratta di esponenti attestati a<br />
Placentia 102 , ad Augusta Taurinorum 103 , a San<br />
Massimo di Collegno (TO), un vicus <strong>del</strong>la stessa<br />
Augusta Taurinorum 104 , mentre da Dertona (l’attuale<br />
Tortona), proveniva un esponente di questa<br />
gens, ricordato in un’epigrafe rinvenuta a<br />
Iader, l’attuale Zara 105 .<br />
La gens Fadiena è attestata comunque anche<br />
nell’Italia nord-orientale, ed in particolare nel<br />
Polesine, poiché suoi esponenti sono presenti a<br />
Stienta (RO), quindi sempre nell’area <strong>del</strong> <strong>del</strong>ta<br />
padano 106 .<br />
Dall’Italia nord-occidentale, i Fadieni si<br />
sarebbero quindi spostati verso quella nordorientale<br />
ed in particolare nella zona tra Stienta<br />
e Gambulaga di Portomaggiore (FE), dove è<br />
stato rinvenuto quello che fino ad ora è il loro<br />
maggiore sepolcreto.<br />
Per quanto riguarda l’epoca in cui avvenne il<br />
trasferimento di esponenti <strong>del</strong>la gens Fadena
dall’Italia centrale a quella settentrionale, questa<br />
deve essere posta prima <strong>del</strong>l’età augustea poiché,<br />
come si è detto, le epigrafi rinvenute nell’Italia<br />
settentrionale relative alla gens Fadiena, si datano<br />
non anteriormente a questa età.<br />
Non tutta però la gens Fadena lasciò l’Italia<br />
centrale poiché, come si è visto dall’analisi <strong>del</strong>le<br />
epigrafi, l’attestazione dei suoi esponenti in que-<br />
NOTE<br />
1 Con quest’articolo si dà inizio ad uno studio relativo alle<br />
attestazioni <strong>del</strong>la gens Falena, <strong>del</strong>la gens Fadiena e <strong>del</strong>la<br />
gens Fadia nel mondo romano.<br />
2 SOLIN – SALOMIES 1994, p. 76; CAMODECA 2006, p. 21.<br />
3 Cor<strong>del</strong>la – CRINITI 1988, p. 54.<br />
4 SOLIN – SALOMIES 1994, p. 76.<br />
5 BERTI 2006.<br />
6 Personaggi <strong>del</strong>la gens Fadiena e Fadena non sono infatti<br />
presenti nella prima edizione <strong>del</strong>la Prosopographia Imperii<br />
Romani: l’eventuale presenza dei loro gentilizi avrebbe<br />
dovuto essere riportata nel primo volume, dove sono raccolti<br />
tutti i personaggi compresi tra la lettera A e la lettera<br />
L, ed in particolare dopo Fabulla e prima di L. Fadius<br />
Gallus (cfr. PIR, 1897, p. 54). Tale mancanza si nota anche<br />
nella editio altera <strong>del</strong>la Prosopographia Imperii Romani,<br />
nella quale gli eventuali suddetti gentilizi avrebbe dovuto<br />
essere riportati nel quinto volume, dove sono raccolti tutti<br />
i personaggi compresi tra la lettera D e la lettera F, ed in<br />
particolare dopo Fabullus e prima di Fadilla (cfr. PIR,<br />
1943, p. 115).<br />
7 BERTI 1984, pp. 79-201; 2006, pp. 1-3.<br />
8 CORNELIO CASSAI 1997, pp. 33-65; DESANTIS 1997, pp. 15-31;<br />
BERTI 2006, pp. 3-4.<br />
9 CORNELIO CASSAI 1988, pp. 219-235; BERTI 2006, p. 4.<br />
10 DE DONNO 2006, pp. 49-54; NEGRELLI 2006, pp. 55-68.<br />
11 CAMODECA 2006, pp. 21-28.<br />
12 Plinio il Vecchio (PLIN. N. H., III, 12) riporta che nella<br />
Regio IV abitavano le seguenti etnie: Aequiculani,<br />
Albenses, Frentani, Marrucini, Marsi, Paeligni, Sabini,<br />
Samnites e Vestini.<br />
13 Plinio il Vecchio (PLIN. N. H., III, 12) riporta che nella<br />
Regio V abitavano le seguenti etnie: Piceni e Praetutii.<br />
14 Augusto divise quella che allora era considerata Italia in<br />
10 regiones (cfr. LO CASCIO, 1991, pp. 131-133).<br />
15 Il IX volume <strong>del</strong> Corpus Inscriptionum Latinarum fu<br />
edito a cura di T. MOMMSEN nel 1883.<br />
16 In questa sede si prendono in considerazione solo epigrafi<br />
nelle quali la lettura <strong>del</strong> gentilizio Fadenus è sicura, per<br />
cui non si esamina l’iscrizione CIL IX 3374, proveniente<br />
dalla Regio IV, nella quale sono riportate le lettere FAD che<br />
potrebbero appartenere al gentilizio Fadenus ma potrebbero<br />
appartenere anche al gentilizio Fadius, quest’ultimo ben<br />
SALTERNUM<br />
- 26 -<br />
sta area è databile fino al II sec. d.C.<br />
È auspicabile quindi il prosieguo degli scavi<br />
nel territorio <strong>del</strong> <strong>del</strong>ta <strong>del</strong> Po, poiché questi<br />
potrebbero offrirci ulteriori informazioni su una<br />
gens che dall’Italia centrale si spostò in quella<br />
settentrionale partecipando così a quell’importante<br />
fenomeno che fu la romanizzazione <strong>del</strong>le<br />
zone <strong>del</strong>l’Italia settentrionale.<br />
attestato (cfr. SOLIN – SALOMIES, 1994, p. 76). Per lo stesso<br />
motivo non si esamina l’iscrizione riportata in CORDELLA –<br />
CRINITI 1982, p. 65, nella quale la lettura sicura riguarda<br />
solo le lettere EN precedute da un’altra lettera che potrebbe<br />
essere D e quindi si potrebbe leggere [Fa]den[us]; l’esiguità<br />
<strong>del</strong>le lettere però non permette alcuna certezza.<br />
17 LIV. XVI 11, 11; XXVI, 12; SIL ITAL. VIII 415; STRABO V, 228;<br />
VERG. AEN. VII 714.<br />
18 Per una bibliografia su Foruli, cfr. MAU, s.v. Foruli, c. 55.<br />
19 CALABI LIMENTANI 1985, p. 157.<br />
20 CALABI LIMENTANI 1985, p. 149.<br />
21 SOLIN – SALOMIES 1994, p. 166.<br />
22 CALABI LIMENTANI 1985, p. 156.<br />
23 DIO XLVIII 13; PLIN. N. H. III 12; PLUT. SERT. II; PTOL. III 1,<br />
55; SERV. AD AEN. VII 715; SIL ITAL. VIII 418.<br />
24 Per una bibliografia su Nursia (Norcia), cfr. CIOTTI, s.v.<br />
Norcia, p. 544; Manconi, s.v. Norcia, pp. 42-44; PHILIPP, s.v.<br />
Nursia, cc. 1489-1490.<br />
25 CALABI LIMENTANI 1985, p. 149.<br />
26 Suppl. It. XIII 19.<br />
27 SOLIN – SALOMIES 1994, p. 142.<br />
28 CORDELLA – CRINITI 1982, p. 60; 1988, p. 54.<br />
29 KAJANTO 1982, p. 244.<br />
30 KAJANTO 1982, p. 275.<br />
31 CALABI LIMENTANI 1985, p. 149.<br />
32 CALABI LIMENTANI 1985, p. 202.<br />
33 CALABI LIMENTANI 1985, p. 202.<br />
34 SOLIN 1996, pp. 149-150.<br />
35 KAJANTO 1982, p. 292.<br />
36 SOLIN 1996, p. 656.<br />
37 CIOTTI, s.v. Cascia, pp. 400-401.<br />
38 CORDELLA – CRINITI 1988, p. 134.<br />
39 Cfr. 1a Trascrizione.<br />
40 Cfr. 2a Trascrizione.<br />
41 SORDINI 1893, pp. 381, n. 42<br />
42 CALABI LIMENTANI 1985, p. 149.<br />
43 SOLIN – SALOMIES 1994, p. 311.<br />
44 SOLIN – SALOMIES 1994, pp. 76-77.<br />
45 Come si è detto, è un segno molto usato nell’epigrafia latina<br />
per dividere le parole (cfr. CALABI LIMENTANI, 1985, p. 149).<br />
46 È questo il caso, ad esempio, di gentilizi come<br />
Abrupaternius, Blaesidienus, Cabdollonius, Demincilonius,<br />
Fagifulanius, Gallatronius, Haldauvonius, Instumennius,
Lacutulanius, Maetilianus, Navicularius, Ocbrotsinius,<br />
Pescennedius, Quintilianus, Rucletianius, Sallustucius,<br />
Taemulentius, Venicotenius, ecc…, cfr. SOLIN – SALOMIES<br />
1994, pp. 3, 35, 39, 67, 76, 85, 90, 97, 100, 110, 125, 130,<br />
141, 153, 157, 161, 180, 201.<br />
47 TLL, s.v. aerarium, cc. 1055-1059.<br />
48 È questo il caso, ad esempio, di gentilizi come Abbius,<br />
Babius, Cacius, Damius, Eienus, Fabius, Gabius, Halinus,<br />
Ialius, Labius, Maccus, Nacius, Occius, Pacius, Rabius,<br />
Sabius, Tadius, Ubcius, Vabius ecc…, cfr. SOLIN – SALOMIES<br />
1994, pp. 3, 30, 39, 66, 76, 90, 95, 100, 109, 124, 130, 135,<br />
153, 159, 180, 193, 196.<br />
49 SORDINI 1893, pp. 378-379, n. 35<br />
50 CALABI LIMENTANI 1985, p. 149.<br />
51 Cfr. 1a Trascrizione.<br />
52 Cfr. 2a Trascrizione.<br />
53 Cfr. 1a Trascrizione.<br />
54 Cfr. 2a Trascrizione.<br />
55 Cfr. 1a Trascrizione.<br />
56 Cfr. 2a Trascrizione.<br />
57 LE BOHEC 1990, pp. 20, 47, 59, 66, 104, 132, 203-204, 210,<br />
238; TLL, s.v. cohors, cc. 1549-1559; s.v. praetorianus – a -<br />
um, cc. 1066-1067.<br />
58 LE BOHEC 1990, pp. 44-45, 49-51, 53-55, 57, 119; TLL, s.v.<br />
optio, cc. 823-824.<br />
59 Il sostantivo carcar riportato nell’epigrafe è una variante<br />
di carcer, cfr. TLL, s.v. carcar, cc. 433-438.<br />
60 LE BOHEC 1990, pp. 23, 59, 66, 105, 131; BARTOCCINI, s.v.<br />
Equites singulares, pp. 2144-2153.<br />
61 SOLIN – SALOMIES 1994, p. 199.<br />
62 SOLIN – SALOMIES 1994, p. 98.<br />
63 KAJANTO 1982, p. 250.<br />
64 KAJANTO 1982, p. 292.<br />
65 SOLIN 1996, pp. 149-150.<br />
66 CALABI LIMENTANI 1985, p. 161.<br />
67 PARIBENI, s.v. Semele, pp. 189-190.<br />
68 SOLIN 2003, p. 604.<br />
69 SORDINI 1893, p. 381, n. 46.<br />
70 CALABI LIMENTANI 1985, p. 149.<br />
71 Sulla presenza <strong>del</strong>la formula D. M. nelle iscrizioni sepolcrali,<br />
cfr. CALABI LIMENTANI 1985, p. 202.<br />
72 KAJANTO 1982, p. 273.<br />
73 FRONT. p. 18; PTOL. III 1, 58.<br />
74 LA REGINA, s.v. Teramo, pp. 712-713; PHILIPP, s.v.<br />
Interamnia, cc. 1602-1603; SOMMELLA, s.v. Teramo, pp. 665-<br />
666.<br />
75 CALABI LIMENTANI 1985, p. 149.<br />
76 CALABI LIMENTANI 1985, p. 161.<br />
VINCENZA IORIO<br />
- 27 -<br />
77<br />
SOLIN – SALOMIES 1994, pp. 76-77.<br />
78<br />
SOLIN – SALOMIES 1994, p. 78.<br />
79 CIL IX 5140.<br />
80<br />
AEBISCHER, 1934, pp. 5-23.<br />
81 Cfr. 1a Trascrizione.<br />
82 Cfr. 2a Trascrizione.<br />
83<br />
SOLIN 2003, p. 361.<br />
84<br />
PLIN. N. H. III 13, 111.<br />
85<br />
ALFIERI, s.v. Pausulae, p. 998; BANTI, s.v. Pausulae, cc.<br />
2426-2428.<br />
86<br />
CALABI LIMENTANI 1985, p. 149.<br />
87<br />
KAJANTO 1982, p. 292.<br />
88 TLG, s.v. piktëtoß, c. 1660.<br />
89 CALABI LIMENTANI 1985, p. 156.<br />
90 CALABI LIMENTANI 1985, p. 149.<br />
91 SOLIN, 2003, pp. 274, 1451.<br />
92 SOLIN – SALOMIES 1994, p. 162.<br />
93 SOLIN 2003, pp. 134.<br />
94 CALABI LIMENTANI 1985, p. 148.<br />
95 CIL IX 4408.<br />
96 CIL IX 4550= AE, 1950, n. 89; 1989, n. 204; 1996, n. 529<br />
a-f ; Suppl. It. XIII, n. 19.<br />
97 CIL IX 5104.<br />
98 CIL VI 17647.<br />
99 SORDINI 1893, pp. 378-379, n. 35.<br />
100 È questo il caso, ad esempio, di gentes come la Aberrinia<br />
e la Aberrina, la Babrenia e la Babrena, la Caecinia e la<br />
Caecina, la Dativia e la Dativa, la Eitia e la Eita, la<br />
Faiania e la Faiana, la Gabinia e la Gabina, la Helenia e<br />
la Helena, la Iassia e la Iassa, la Labenia e la Labena, la<br />
Maccia e la Macca, la Naeriania e la Naeriana, la<br />
Octavenia e la Octavena, la Pacenia e la Pacena, la<br />
Quintinia e la Quintina, la Raiania e la Raiana, la Sabellia<br />
e la Sabella, la Tamsinia e la Tamsina, la Ultenia e la<br />
Ultena, la Vagellania e la Vagellana, ecc…, cfr. SOLIN –<br />
SALOMIES 1994, pp. 3, 30, 39, 67, 72, 76, 84, 91, 95, 99, 109,<br />
124, 130, 135, 153, 159, 181, 194, 196.<br />
101 SCARANO USSANI 2006, pp. 29-40. L’area <strong>del</strong>l’Italia nordoccidentale<br />
per la provenienza dei Fadieni <strong>del</strong>la necropoli<br />
di Gambulaga potrebbe essere confermata anche da una<br />
parte <strong>del</strong> vasellame da mensa vitreo rinvenuto nelle tombe<br />
(cfr. MARCHIONI 2006, p. 150).<br />
102 CIL XI 1217.<br />
103 CIL V 7002.<br />
104 CRESCI MARRONE – CULASSO GASTALDI 1984, pp. 170-172.<br />
105 CIL III 2915.<br />
106 CIL V 2469.
SALTERNUM<br />
ABBREVIAZIONI<br />
AE: Année Épigraphique.<br />
EAA: Enciclopedia <strong>del</strong>l’Arte Antica.<br />
RE: Real-Encyclopädie der Classischen Altertumswissenschaft, PIR 1897: Prosopographia Imperii Romani saec. I.II.III, I,<br />
Berolini, 1897.<br />
PIR 1943: Prosopographia Imperii Romani saec. I.II.III, V, Berolini et Lipsiae, 1943.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
AEBISCHER 1934: P. AEBISCHER, “Le culte de Feronia et le gentilice<br />
Feronius”, in Revue Belgique de Philologie et d’Histoire,<br />
XIII, 1934, pp. 5-23.<br />
Alfieri, s.v. Pausulae: N. Alfieri, “Pausulae”, in EAA, V, p. 998.<br />
Banti, s.v. Pausulae: L. Banti, “Pausulae”, in RE, XVIII, 4, cc.<br />
2426-2428.<br />
Bartoccini, s.v. Equites Singulares: R. Barroccini, “Equites<br />
Singulares”, in E. De Ruggiero (a cura di), Dizionario<br />
Epigrafico di Antichità Romane, II, Roma, 1922, pp. 2144-<br />
2153.<br />
BERTI 1984: F. Berti, “La necropoli romana di Voghenza”, in<br />
AA. VV. Una necropoli di età romana nel territorio ferrarese,<br />
Ferrara, 1984, pp. 79-201.<br />
BERTI 1997: F. Berti (a cura di), Percorsi di archeologia,<br />
Migliarino, 1997.<br />
BERTI 2006: F. Berti (a cura di), Mors inmatura. I Fadieni e il<br />
loro sepolcro, Firenze, 2006.<br />
BERTI 2006a: F. Berti, “La necropoli <strong>del</strong> Verginese e altre di età<br />
romana nel territorio di Ferrara”, in Berti 2006, pp. 1-8.<br />
Calabi Limentani 1985: I. Calabi Limentani Epigrafia latina,<br />
Milano-Varese, 1985.<br />
Camodeca 2006: G. Camodeca, “Le iscrizioni funerarie dei<br />
Fadieni”, in Berti 2006, pp. 21-30.<br />
Ciotti, s.v. Cascia: U. Ciotti, “Cascia”, in EAA, II, pp. 400-401.<br />
Ciotti, s.v. Norcia: U. Ciotti, “Norcia”, in EAA, V, p. 544.<br />
Cor<strong>del</strong>la – Criniti 1982: R. Cor<strong>del</strong>la – N. Criniti, Iscrizioni latine<br />
di Norcia e dintorni, Spoleto, 1982.<br />
Cor<strong>del</strong>la – Criniti 1988: R. Cor<strong>del</strong>la – N. Criniti, Nuove iscrizioni<br />
latine di Norcia, Cascia e Valnerina, Spoleto, 1988.<br />
Cornelio Cassai 1988: C. Cornelio Cassai, “La necropoli di<br />
Stellata”, in F. Berti – S. Gelichi – G. Steffè (a cura di),<br />
Bondeno ed il suo territorio dalle origini al Rinascimento,<br />
Bologna, 1988, pp. 219-235.<br />
Cornelio Cassai 1997: C. Cornelio Cassai, “1955-1995: la necropoli<br />
romana <strong>del</strong>la Vallona di Ostellato a quarant’anni dal ritrovamento”,<br />
in Berti 1997, pp. 33-65.<br />
Cresci Marrone – Culasso Gastaldi 1984: G. Cresci Marrone –<br />
E. Culasso Gastaldi, “Epigraphica Subalpina (S. Massimo di<br />
Collegno)”, in Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino,<br />
LXXXII, 1984, pp. 166-174.<br />
De Donno 2006: M. De Donno, “Podere Santa Caterina,<br />
Verginee (Gambulaga): da un rinvenimento fortuito a una<br />
prima indagine archeologica. La campagna di scavo 2002”, in<br />
Berti 2006, pp. 49-54.<br />
Desantis 1997: P. Desantis, “Per una carta archeologica <strong>del</strong><br />
territorio di Ostellato: appunti preliminari”, in Berti 1997,<br />
pp. 15-31.<br />
- 28 -<br />
Kajanto 1965: I. Kajanto, The Latin Cognomina, Roma, 1982.<br />
La Regina, s.v. Teramo: A. La Regina, “Teramo”, in EAA, VII,<br />
pp. 712-713.<br />
Le Bohec 1990: Y. Le Bohec, L’Armée Romaine, Paris, 1990.<br />
Lo Cascio 1991: E. Lo Cascio, “Le tecniche <strong>del</strong>l’amministrazione”,<br />
in AA. VV., Storia di Roma, II, Torino, 1991, pp. 116-<br />
192.<br />
Manconi, s.v. Norcia: D. Manconi, “Norcia”, in EAA, Secondo<br />
Supplemento, IV, pp. 42-44.<br />
Marchioni 2006: M. Marchioni, “I vetri”, in Berti 2006, pp.<br />
147-158<br />
Mau, s.v. Foruli: A. Mau, “Foruli”, in RE, VII, 1-2, c. 55.<br />
Negrelli 2006: C. Negrelli, “Lo scavo: campagna 2005”, in<br />
Berti 2006, pp. 55-68.<br />
Paribeni, s.v. Semele: E. Paribeni, “Semele”, in EAA, VII, pp.<br />
189-190.<br />
Philipp, s.v. Interamnia: H. Philipp, “Interamnia”, in RE, IX,<br />
1-2, cc. 1602-1603.<br />
Philipp, s.v. Nursia: H. Philipp, “Nursia”, in RE, XVII, 2, cc.<br />
1489-1490.<br />
Scarano Ussari 2006: V. Scarano Ussari, “I Fadieni nel <strong>del</strong>ta<br />
padano”, in Berti 2006, pp. 29-40.<br />
Solin, 1996: H. Solin, Die Stadtrömischen Sklavennaman.<br />
Ein Namenbuch, Stuttgart, 1996.<br />
Solin 2003: H. Solin, Die Griechischen Personennamen in<br />
Rom. Ein Namenbuch, Berlin – New York, 2003.<br />
Solin – Salomies 1994: H. Solin – O. Salomies, Repertorium<br />
nominum gentilium et cognominum Latinorum, Hildesheim<br />
– Zürich – New York, 1994.<br />
Sommella, s.v. Teramo: P. Sommella, “Teramo”, in EAA,<br />
Secondo Supplemento, V, pp. 665-666.<br />
Sordini 1893: G. Sordini, “Cascia – Notizie intorno alle scoperte<br />
di antichità avvenute in Cascia, ed iscrizioni antiche<br />
trovate in Cascia e nel suo territorio”, Notizie degli Scavi di<br />
Antichità, 1893, pp. 362-383.<br />
TLG, s.v. piktëtoß: Thesaurus Linguae Graecae, s.v. piktëtoß,<br />
III, c. 1660.<br />
TLL, s.v. aerarium: Thesaurus Linguae Latinae, s.v. aerarium,<br />
I, cc. 1055-1059.<br />
TLL, s.v. carcar: Thesaurus Linguae Latinae, s.v. carcar, III,<br />
cc. 433-438.<br />
TLL, s.v. cohors: Thesaurus Linguae Latinae, s.v. cohors, III,<br />
cc. 1549-1559.<br />
TLL, s.v. optio: Thesaurus Linguae Latinae, s.v. optio, IX.II,<br />
cc. 823-824.<br />
TLL, s.v. praetorianus: Thesaurus Linguae Latinae, s.v. praetorianus<br />
– a - um, X.II, cc. 1066-1067.
Quella <strong>del</strong> titolo è un’espressione in cui<br />
anche coloro che hanno una conoscenza non<br />
molto profonda <strong>del</strong>la civiltà e <strong>del</strong>la cultura<br />
romana avvertono tutto l’orgoglio dei cives, i<br />
cittadini, di sentirsi parte di Roma, membri di<br />
quella società di uomini liberi che costituiscono<br />
la res publica. Un’espressione questa che<br />
sostanzialmente ha il significato <strong>del</strong>la convergenza<br />
degli interessi <strong>del</strong>l’intera collettività attraverso<br />
quelli di tutti i singoli individui che la<br />
compongono. Il perseguimento e la difesa di<br />
questi comportano un insieme di diritti e di<br />
doveri commisurati al peso sociale <strong>del</strong>l’individuo.<br />
Colui che dispone di mezzi più consistenti<br />
e che ottiene o può ottenere, per nascita o<br />
per censo, onori più elevati ha per contropartita<br />
doveri maggiori e più onerosi. E’ il principio<br />
definito <strong>del</strong>la “uguaglianza geometrica” differente<br />
da quello <strong>del</strong>la “uguaglianza aritmetica”,<br />
al quale noi siamo abituati, in cui i diritti ed i<br />
doveri sono gli stessi per tutti. Non c’interessa<br />
qui discutere <strong>del</strong>la bontà dei due sistemi e di<br />
quale sia il migliore, sta di fatto che quello<br />
adottato a Roma ha funzionato abbastanza<br />
bene fino ai primi decenni <strong>del</strong> I sec. a.C., finchè<br />
onori ed oneri sono rimasti in sostanziale<br />
equilibrio. Nel momento in cui questo si è alterato,<br />
la situazione si è complicata sempre di<br />
più, al punto che, alla fine <strong>del</strong>la Repubblica e<br />
con l’inizio <strong>del</strong>l’Impero, le cose sono cambiate<br />
completamente. Il cittadino non era più quello<br />
che era stato in precedenza, ma solamente un<br />
suddito, talvolta blandito e viziato, ma senza<br />
più alcun peso effettivo nella vita pubblica.<br />
Tuttavia i privilegi fondamentali <strong>del</strong> singolo,<br />
connessi con la cittadinanza, restavano inalterati.<br />
È noto l’episodio di Paolo di Tarso, che,<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
Civis Romanus sum<br />
- 29 -<br />
Alessandro Algardi,<br />
Decapitazione di San Paolo.<br />
San Paolo Maggiore - Bologna.<br />
arrestato perché cristiano, stava per essere sottoposto<br />
a tortura: la sua rivendicazione d’appartenenza<br />
alla cittadinanza romana sospese<br />
ogni procedimento contro di lui; fu condotto a<br />
Roma per essere giudicato e qui, ritenuto colpevole,<br />
fu condannato a morte per decapitazione,<br />
come si conveniva ad un cittadino romano.<br />
Così, fu sottratto alle umiliazioni ed ai tormenti<br />
che normalmente in tali circostanze erano<br />
riservati ai non cittadini. La sua affermazione<br />
comportava ciò che giuridicamente si definiva<br />
provocatio ad Cesarem, evoluzione <strong>del</strong>la provocatio<br />
ad populum, ovvero il diritto <strong>del</strong> cittadino<br />
romano di essere giudicato a Roma dal<br />
popolo romano, che in epoca imperiale era<br />
rappresentato dall’Imperatore, e non da altri<br />
magistrati periferici come invece accadeva ai<br />
“peregrini”, a coloro cioè che cittadini romani<br />
non erano.<br />
Durante la Repubblica dunque i cives, che<br />
fossero senatori o no, intervenivano energicamente<br />
nella vita pubblica, naturalmente sempre<br />
in proporzione al loro peso sociale, mentre<br />
sotto l’Impero quasi tutte le facoltà decisionali<br />
erano rimesse all’Imperatore.
Statua di patrizio<br />
(il cosiddetto “Patrizio Barberini”)<br />
che tiene in mano i busti dei suoi<br />
antenati (I secolo a.C.).<br />
Nella Roma repubblicana ogni cittadino, tra<br />
quelli che per la loro posizione nella comunità<br />
potevano aspirarvi, era geloso <strong>del</strong> suo diritto di<br />
seguire il cursus honorum, la carriera <strong>del</strong>le cariche<br />
pubbliche che poteva portarlo fino a quella<br />
più elevata e di maggior prestigio, il consolato.<br />
Lungi dal comportare vantaggi di carattere economico,<br />
l’accesso alle magistrature, almeno in<br />
teoria, rappresentava un onore, ma anche un<br />
onere notevole. La consuetudine, soprattutto<br />
nella tarda Repubblica, imponeva a colui che<br />
era stato eletto di offrire ai concittadini spettacoli<br />
circensi, o d’altro genere, quando non addirittura<br />
la costruzione a proprie spese di edifici<br />
pubblici a vantaggio <strong>del</strong>la città. Molti si impegnavano<br />
in attività simili ancora prima di essere<br />
eletti o di presentare la propria candidatura, allo<br />
scopo di guadagnarsi la benevolenza degli elettori,<br />
tanto forte era il desiderio di raggiungere il<br />
prestigio connesso con le magistrature. A questo<br />
proposito si deve ricordare che Cicerone fece<br />
approvare una legge che introdusse, per coloro<br />
che intendevano presentare la propria candidatura<br />
a qualche funzione statale, il divieto di allestire<br />
giochi circensi nei due anni precedenti la<br />
tornata elettorale. Era un tentativo, <strong>del</strong> resto<br />
facilmente aggirabile, di ridurre l’effetto <strong>del</strong>la<br />
disparità economica fra i concorrenti nella competizione<br />
politica.<br />
SALTERNUM<br />
- 30 -<br />
È importante notare che, sia pure con il<br />
secondo fine di acquisire presso i concittadini<br />
dei meriti da sfruttare in un momento successivo<br />
a scopi politici, la sollecitudine e l’impegno<br />
dei Romani nell’abbellire la città con la costruzione<br />
di edifici, portici, basiliche ed altro erano<br />
molto vivi e ciò accadeva non solo a Roma, ma<br />
anche nelle altre località <strong>del</strong>l’Impero di una<br />
certa importanza. Abbiamo molteplici esempi di<br />
restauri di edifici, o di costruzioni ex novo,<br />
finanziate, nel corso degli anni, da personaggi<br />
<strong>del</strong>le varie città soggette a Roma anche se appartenenti<br />
a ceti di non grande rilievo. Se così non<br />
fosse stato non si vedrebbero tante imponenti<br />
rovine ancora presenti ovunque siano arrivate le<br />
aquile romane.<br />
Come si vede, l’esborso di denaro per candidarsi<br />
alle più alte cariche <strong>del</strong>lo stato era particolarmente<br />
oneroso. Infatti, se osserviamo i nomi<br />
dei consoli che si sono succeduti nel periodo<br />
repubblicano, fino alla fine <strong>del</strong> II sec. a.C, vediamo<br />
che appartengono quasi tutti ad un numero<br />
ristretto di gentes, una quindicina. Il seguito di<br />
popolarità e di clientele era conseguenza <strong>del</strong><br />
potere economico <strong>del</strong>la famiglia cui apparteneva<br />
l’aspirante magistrato.<br />
L’impegno richiesto dalle funzioni pubbliche<br />
era gravoso. Marco Terenzio Varrone, reatino,<br />
(116-27 a.C.), personaggio eminente per erudizione,<br />
nella sua opera De Lingua Latina (6.46)<br />
scrive testualmente: curare a cura dictum. Cura<br />
quod cor urat. (Curare si dice da cura. Cura perché<br />
brucia il cuore). Da questo stesso etimo fa<br />
derivare anche Curia. È noto che le etimologie<br />
varroniane sono piuttosto bizzarre e fantasiose e<br />
perciò il più <strong>del</strong>le volte non possono essere<br />
prese per buone, nondimeno la spiegazione fornita<br />
dallo studioso latino, pure se errata, è idonea<br />
a darci un’idea <strong>del</strong>l’impegno, anche emotivo,<br />
che i cives mettevano nello svolgimento dei<br />
compiti connessi con l’attività di magistrato e<br />
con le responsabilità che ne derivavano e quali<br />
preoccupazioni avessero di ben figurare di fronte<br />
ai concittadini. Lo stesso concetto, con le stesse<br />
parole, è ripetuto, più di due secoli dopo, da<br />
Sesto Pompeo Festo, che evidentemente segue<br />
Varrone e ne ritiene valida la spiegazione, nel<br />
suo lavoro De Verborum Significatu. Non posso-
no esservi dubbi perciò che gli incarichi di governo<br />
fossero molto gravosi e che gli onori avevano<br />
un prezzo molto alto, da pagarsi in termini di attività,<br />
di apprensione e di sforzo costante.<br />
Sarà proprio il peso rilevante <strong>del</strong>le prestazioni<br />
gravanti sugli eletti, unito alla perdita di potere<br />
e conseguentemente d’autorevolezza, che in<br />
epoca imperiale finirà per disamorare sempre di<br />
più strati progressivamente più vasti <strong>del</strong>la popolazione<br />
dall’impegnarsi nel cursus honorum.<br />
Divenire tribuno, console o altro significava<br />
solamente impegnare il proprio nome in una<br />
carica che era diventata priva di valore effettivo,<br />
mentre le spese connesse con la funzione o,<br />
meglio, con la non funzione, restavano sempre<br />
molto rilevanti. In proposito vale la pena ricordare<br />
l’acuta osservazione che fece, intorno al<br />
1780, lo storico inglese Edward Gibbon: “Il consolato<br />
in età repubblicana fu una realtà, con<br />
Augusto divenne un’ombra, con Diocleziano un<br />
nome”. Ma fino a quando le cariche pubbliche<br />
avevano avuto un vero valore, la gara si faceva<br />
accanita e i concorrenti si adoperavano in ogni<br />
modo per ottenere la vittoria, ricorrendo spesso<br />
anche a mezzi che stavano ai limiti <strong>del</strong>la legalità,<br />
e qualche volta anche superandola, tanto era<br />
il desiderio di emergere e di ottenere quegli<br />
onori e quella considerazione che il popolo<br />
romano riconosceva ai suoi magistrati.<br />
È stata ventilata l’ipotesi, forse non <strong>del</strong> tutto<br />
peregrina, che il Senato, al fine di distruggere<br />
Cesare, comprendendo di non averne la forza<br />
né il coraggio, gli abbia consapevolmente riversato<br />
addosso una montagna d’onori al fine di stimolare<br />
contro di lui il sospetto e soprattutto la<br />
gelosia e l’invidia di tutti coloro che, a torto o a<br />
ragione, ritenevano di esserne stati defraudati.<br />
Una maligna, sottile astuzia che non poteva<br />
suscitare il risentimento <strong>del</strong> destinatario di siffatte<br />
attenzioni, ma che doveva inesorabilmente<br />
portarlo alla rovina 1 .<br />
A ben vedere, gelosie e sospetti si accompagnano<br />
sistematicamente nelle società connotate<br />
da un forte sentimento di libertà a quelle personalità<br />
che, pur meritevoli, emergono eccessivamente<br />
al di sopra <strong>del</strong>la massa dei concittadini; in<br />
altri termini: va bene buoni e bravi, ma non<br />
troppo.<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
- 31 -<br />
Rilievo che raffigura la cavalcata dei giovani (dall’Austria).<br />
Busto d’argento<br />
raffigurante un<br />
patrizio (da<br />
Vaison-Francia).<br />
Prima di Cesare aveva fatto l’esperienza di<br />
questi sentimenti Scipione l’Africano, costretto a<br />
lasciare Roma in un volontario semiesilio al fine<br />
di placare la tempesta che Catone, forse per<br />
dispetto, si era caparbiamente impegnato ad<br />
addensare su di lui e su suo fratello Lucio, ventilando<br />
il dubbio che avessero tenuto per sé una<br />
parte <strong>del</strong> denaro riscosso come contributo risarcitorio<br />
da Antioco. Catone riuscì, in ogni modo, ad<br />
ottenere che Lucio Scipione Asiatico, fratello<br />
<strong>del</strong>l’Africano, che nel frattempo era deceduto<br />
(183 a.C.), fosse radiato dalla lista dei cavalieri. Il<br />
livore nutrito da Catone non doveva essere sfuggito<br />
ai contemporanei e il ricordo di quegli avvenimenti<br />
persistette nel tempo. Infatti, circa tre<br />
secoli dopo, Plutarco, nella vita di M. Catone,<br />
commentava: “Sembrò averlo fatto in spregio alla<br />
memoria di Scipione Africano”.
Un console sul carro circondato da quattro cavalieri; pannello dalla<br />
basilica di Giunio Basso (331 d.C. ca.) Roma.<br />
Eppure l’integrità di colui che aveva salvato<br />
Roma, sconfiggendo Annibale a Zama, era ben<br />
al di sopra di ogni sospetto. Riflettendo su questo<br />
comportamento che getta un’ombra poco<br />
edificante sulla figura di M. Porcio Catone, si è<br />
detto: “Forse obbediva ad un senso vivo <strong>del</strong><br />
dovere, ma non è escluso che tale nobile sentimento<br />
<strong>del</strong>l’homo novus fosse esasperato dalla<br />
gelosia contadinesca verso chi apparteneva ad<br />
illustri casate patrizie.” 2 . Ma ancora in precedenza<br />
era accaduto a Furio Camillo, colui che aveva<br />
conquistato Veio, di essere accusato di aver<br />
tenuto per sé una parte <strong>del</strong> bottino. Tutto questo<br />
non avveniva solo a Roma; pensiamo a ciò<br />
che accadde a coloro che ebbero il merito di salvare<br />
la Grecia dall’invasore persiano: Temistocle<br />
fu costretto a riparare in esilio proprio presso<br />
quei Persiani che aveva così aspramente combattuto<br />
e vinto. Pausania, il generale spartano<br />
che aveva sbaragliato e distrutto l’esercito nemico<br />
a Platea, fu accusato di tradimento e fatto<br />
morire. Gli scavi archeologici ci hanno restituito<br />
degli óstraka (frammenti di coccio) recanti<br />
graffito il nome di Aristide, esiliato con quella<br />
procedura che è ricordata appunto con il nome<br />
di “ostracismo”, perché aveva il “difetto” di essere<br />
troppo giusto e onesto. Certamente la libertà<br />
è bella, ma anche pericolosa; Leonida in<br />
fondo poteva dirsi fortunato per non avere<br />
dovuto fare l’esperienza <strong>del</strong>l’ingratitudine dei<br />
concittadini. Nil de mortuis nisi bonum (dei<br />
morti si dice solo bene).<br />
Parrebbe che a Roma, così come ad Atene, si<br />
sia attuato uno sforzo collettivo e costante per<br />
SALTERNUM<br />
- 32 -<br />
impedire che qualcuno arrivasse ad emergere<br />
eccessivamente sopra la massa degli altri. Ed<br />
invero quando ciò accadde fu la fine <strong>del</strong>la<br />
Repubblica. Non è un caso che il grande storico<br />
<strong>del</strong>la Roma antica, Teodoro Mommsen, ponga la<br />
nascita <strong>del</strong>la monarchia non dopo le battaglie di<br />
Farsalo e di Tapso, “…essa può datare la sua esistenza<br />
dal momento in cui Pompeo e Cesare,<br />
uniti, fondarono il potere autocratico e rovesciarono<br />
la costituzione aristocratica fino allora<br />
vigente” 3 .<br />
La funzione senatoriale era, normalmente, a<br />
vita, fatta salva la decadenza per motivi molto<br />
gravi, ma quelle di console, di edile e tutte le<br />
altre erano di durata annuale; addirittura semestrale<br />
quella, molto rara, di dittatore. Scopo evidente<br />
di questi limiti temporali era di evitare che<br />
un magistrato, con un maggior tempo a disposizione,<br />
potesse crearsi un seguito o addirittura un<br />
potere personale che si estendesse più in là<br />
<strong>del</strong>la durata <strong>del</strong>la magistratura.<br />
Tutto ciò era possibile ovviamente perché<br />
alle origini <strong>del</strong>lo stato repubblicano non si<br />
avvertiva ancora l’esigenza di sviluppare politiche<br />
di così ampio respiro da richiedere dei<br />
tempi che andassero al di là di quelli necessari<br />
all’ordinaria amministrazione. Per la continuità<br />
di un eventuale disegno politico era bastevole<br />
l’azione <strong>del</strong> Senato e l’appartenenza a quel consesso<br />
era a vita.<br />
Essere cittadini romani era la condizione<br />
essenziale per rivestire le cariche pubbliche, per<br />
i sacerdozi maggiori, per servire nell’esercito<br />
anche come semplice legionario. In nome <strong>del</strong>l’uguaglianza<br />
geometrica a cui si è accennato in<br />
precedenza, per queste incombenze si partiva<br />
dall’alto: alle magistrature ed ai sacerdozi più<br />
prestigiosi si accedeva partendo dagli strati<br />
sociali più elevati, ma così si procedeva anche<br />
per la chiamata alle armi. Teoricamente tutti<br />
coloro che godevano <strong>del</strong>la cittadinanza potevano<br />
esercitare il diritto e il dovere di essere soldati,<br />
di essere eletti alle cariche pubbliche o<br />
essere elettori, ma anche in questo caso vigeva<br />
il principio che la precedenza, nel bene e nel<br />
male, doveva essere riservata a coloro che avevano<br />
più da perdere nell’eventualità che non<br />
tutto andasse per il meglio; in fondo erano quel-
li che, sia per dignitas, sia per interesse economico,<br />
erano i più motivati ad impegnarsi al massimo<br />
<strong>del</strong>le loro energie per raggiungere un risultato<br />
che poi sarebbe stato utile all’intera collettività.<br />
Che il peso per il buon funzionamento <strong>del</strong>lo<br />
stato gravasse soprattutto sulle classi più abbienti<br />
è dimostrato dal fatto che, nel corso <strong>del</strong>la<br />
guerra annibalica, fu chiesto ai cittadini di sottoscrivere<br />
un prestito alla res publica, rimborsabile<br />
in tre rate, per fare fronte alle spese belliche.<br />
Nel 204 a.C. il Senato <strong>del</strong>iberò il pagamento<br />
<strong>del</strong>la prima rata <strong>del</strong> prestito. La seconda fu restituita<br />
due anni dopo, ma la terza, che doveva<br />
essere resa dopo cinque anni dalla prima, a<br />
causa <strong>del</strong>la guerra macedonica, scoppiata nel<br />
frattempo, fu liquidata solo nel 196, dopo la battaglia<br />
di Cinocefale. È evidente che l’onere economico<br />
ricadeva sulle classi più abbienti, che<br />
erano anche quelle che avevano potuto sostenere<br />
le finanze statali.<br />
Bisognava avere un patrimonio valutabile<br />
almeno ad un milione di sesterzi per accedere al<br />
Senato e ad almeno quattrocentomila per essere<br />
iscritti nella classe dei Cavalieri; questo era certamente<br />
un privilegio per coloro che potevano<br />
vantare una sostanza cospicua. Per contro,<br />
quando i consoli procedevano alla leva per formare<br />
le legioni che dovevano affrontare qualche<br />
nemico, la scelta degli uomini da arruolare per<br />
la guerra iniziava dai più facoltosi, perciò le classi<br />
meno abbienti erano quasi sempre escluse dai<br />
pericoli <strong>del</strong>la milizia se non in casi assolutamente<br />
eccezionali, così come accadde durante la<br />
guerra annibalica. In quella circostanza vennero<br />
perfino riscattati a spese <strong>del</strong>lo Stato circa ottomila<br />
schiavi che dichiararono la propria disponibilità<br />
ad arruolarsi in difesa di Roma. Ma si trattava<br />
di una situazione di particolare emergenza,<br />
che proprio per questo è rimasta memorabile.<br />
Fu Caio Mario il primo ad accogliere stabilmente<br />
nell’esercito i capite censi a preferenza<br />
<strong>del</strong>le altre classi sociali, con il risultato che quei<br />
soldati, altrimenti nullatenenti, combattevano<br />
più per i loro interessi, il bottino e il soldo, che<br />
per quelli <strong>del</strong>la collettività. In tal modo le legioni<br />
furono da allora in poi legate soprattutto ai<br />
loro generali piuttosto che alla res publica.<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
- 33 -<br />
L’area di più<br />
arcaica<br />
occupazione <strong>del</strong><br />
Foro, fra la Curia e<br />
le pendici <strong>del</strong><br />
Campidoglio,<br />
prende il nome di<br />
comitium: qui<br />
avevano luogo le<br />
assemblee<br />
cittadine.<br />
L’innovazione mariana dunque risolse dal solo<br />
punto di vista numerico il problema di avere<br />
disponibile per la milizia un numero maggiore<br />
di cittadini, ma ebbe conseguenze devastanti<br />
per lo Stato, perché fu all’origine <strong>del</strong>le guerre<br />
civili e degli scontri tra generali che portarono<br />
alla fine <strong>del</strong>la Repubblica. E gli effetti negativi<br />
continuarono durante l’Impero, crescendo in<br />
modo esponenziale quando gli arruolamenti<br />
compresero sempre meno i cittadini romani e<br />
sempre più uomini dalle origini più disparate,<br />
con la conseguenza di portare al principato elementi<br />
discussi come Eliogabalo o Massimino il<br />
Trace, voluti non dal popolo romano ma dai soldati,<br />
allettati solo dai vantaggi economici che<br />
dall’uno o dall’altro aspirante all’imperio erano<br />
stati promessi. Naturalmente quei soldati, quasi<br />
totalmente privi di ogni senso <strong>del</strong> dovere e di<br />
fe<strong>del</strong>tà alla res publica, non si facevano scrupolo<br />
di massacrare ferocemente quegli stessi personaggi<br />
che avevano precedentemente elevato<br />
alla dignità imperiale qualora non avessero soddisfatto<br />
le aspettative.<br />
È possibile che Caio Mario, uomo di origini<br />
provinciali e assolutamente non nobili, con la<br />
sua innovazione abbia voluto scardinare a proprio<br />
vantaggio la prevalenza <strong>del</strong>la nobiltà nell’organizzazione<br />
statale. Molto difficilmente<br />
sarebbe riuscito in altro modo a divenire console<br />
per ben sette volte, pure se le sue qualità di<br />
generale erano fuori <strong>del</strong> comune.<br />
Anche quando si procedeva all’elezione dei<br />
magistrati cittadini ci si regolava in un modo<br />
molto simile a quello che si adottava per la leva<br />
militare prima <strong>del</strong>la riforma mariana.<br />
La società romana, pur non disponendo di un<br />
esercito permanente, almeno durante il periodo<br />
repubblicano, era strutturata militarmente<br />
appunto perché ogni cittadino era un potenzia-
Dipinto ottocentesco riferito a un episodio verificatosi in senato nel<br />
279 a.C., che vide l’anziano Appio Claudio, ormai cieco, esortare i<br />
senatori a respingere le offerte di pace <strong>del</strong> re epirota Pirro.<br />
le soldato. Tutti i cittadini erano divisi in tribù<br />
che dalle tre originarie (Ramnes, Titii, Luceri)<br />
erano salite nel corso degli anni a trentacinque<br />
di cui quattro urbanae e trentuno rusticae. In<br />
questa veste partecipavano ai Comitia Tributa<br />
per eleggere i magistrati minori (edili, questori,<br />
tribuni militari) ma anche per votare le leggi<br />
proposte dai tribuni (una magistratura che deriva<br />
il proprio nome da tribus). Accanto e al di<br />
sopra di questi esistevano i Comitia centuriata,<br />
di chiara derivazione militare che erano l’assemblea<br />
più importante <strong>del</strong>lo stato romano e che<br />
Cicerone definisce comitiatus maximus.<br />
Quando dovevano riunirsi, la convocazione era<br />
bandita nel Foro, ma le operazioni di voto avvenivano<br />
al di fuori <strong>del</strong> Pomerium. Appare qui<br />
evidente l’origine militare <strong>del</strong>l’istituzione, perché<br />
l’accesso all’interno <strong>del</strong> pomerio (il sacro perimetro<br />
cittadino) era interdetto ai militari in attività<br />
di servizio. Inoltre, in quella circostanza<br />
doveva esporsi sulla rocca <strong>del</strong> Campidoglio il<br />
signum,cioè la bandiera di colore rosso indicante<br />
che le legioni erano in armi. Le centurie furono<br />
stabilite in numero di centonovantatre, di cui<br />
le prime diciotto erano di equites: queste comprendevano<br />
coloro che appartenevano al vecchio<br />
patriziato che nell’esercito militavano col<br />
cavallo fornito dallo stato, equites equo publico,<br />
integrati da plebei che disponessero di un censo<br />
almeno quattro volte superiore a quello occorrente<br />
per essere iscritti nella categoria dei combattenti<br />
a piedi, pedites. Le altre centurie comprendevano<br />
i rimanenti cittadini, suddivisi in<br />
cinque classi patrimoniali che arrivavano fino ai<br />
capite censi, cioè ai liberi privi di patrimonio<br />
censiti solo come individui. Naturalmente le<br />
varie fasi <strong>del</strong>la cerimonia erano accompagnate<br />
SALTERNUM<br />
- 34 -<br />
da riti religiosi che i Romani osservavano scrupolosamente.<br />
Il cerimoniale era anche certamente<br />
differente in base ai motivi di convocazione<br />
dei comitia, se di carattere legislativo,<br />
elettorale o giudiziario. La mentalità spiccatamente<br />
razionale dei Romani li portava a cogliere<br />
quelle differenze, anche sottili, che ad altri<br />
sarebbero sembrate irrilevanti.<br />
La tradizione vuole che i Comitia centuriata<br />
siano stati introdotti nella struttura statale di<br />
Roma da Servio Tullio intorno alla metà <strong>del</strong> VI<br />
secolo a.C. Ciò è possibile, ma naturalmente<br />
non certo. Cicerone, Livio e Dionigi di<br />
Alicarnasso narrano che quel re, quando creò le<br />
centurie, stabilì anche l’ordine in cui dovevano<br />
esprimere il loro voto allorché erano consultate.<br />
Le assemblee di cittadini, e per i Comitia centuriata<br />
e per i Comitia tributa, non potevano<br />
mai convocarsi autonomamente né si riunivano<br />
a date fisse, ma solo quando erano chiamate a<br />
<strong>del</strong>iberare, con un sì o con un no, su un preciso<br />
quesito che doveva essere posto da un magistrato<br />
giuridicamente abilitato a proporlo. Il tutto<br />
era regolato da norme di legge aventi un’origine<br />
sacra che erano intese ad evitare qualsiasi forma<br />
di abuso. Al cittadino non era consentito di decidere<br />
l’argomento su cui <strong>del</strong>iberare; egli poteva<br />
solo accettare o respingere la proposta <strong>del</strong> magistrato<br />
al quale la legge attribuiva la competenza<br />
sulla materia da esaminare.<br />
In ogni caso si votava per tribù o per centurie,<br />
iniziando da quelle che comprendevano le<br />
classi più abbienti per scendere via via a quelle<br />
più povere. Le operazioni di voto s’interrompevano<br />
allorché si era raggiunta la maggioranza<br />
<strong>del</strong>le tribù o <strong>del</strong>le centurie in un senso o in<br />
quello opposto. Cicerone, nella Pro Flacco,<br />
difende il sistema romano di votazione, rilevando<br />
la decadenza <strong>del</strong>la Grecia, che aveva pure<br />
avuto un passato glorioso, causata a suo giudizio,<br />
da «… un solo vizio: la libertà illimitata e la<br />
licenza <strong>del</strong>le sue assemblee. Uomini incompetenti<br />
in tutto, rozzi ed ignoranti, si adunavano nel<br />
teatro, decidevano inutili guerre, assegnavano il<br />
governo a uomini faziosi ed esiliavano i cittadini<br />
che avevano servito al meglio la patria».<br />
È chiaro che in questo sistema il censo aveva<br />
un’importanza fondamentale, perciò ogni cin
que anni avveniva il censimento: tutti coloro che<br />
godevano <strong>del</strong>la cittadinanza dovevano presentarsi<br />
a Roma per dichiarare ufficialmente le loro<br />
sostanze, la composizione <strong>del</strong>la familia (moglie,<br />
figli, servi) ed ogni altra notizia utile alla loro<br />
esatta collocazione nel quadro generale <strong>del</strong><br />
popolo romano. Nel caso che qualcuno non lo<br />
facesse o che fornisse una dichiarazione mendace<br />
avrebbe corso il rischio di vedersi confiscare<br />
tutti i beni e di essere venduto come schiavo. La<br />
gravità <strong>del</strong>la pena per i non adempienti a quel<br />
dovere è la prova <strong>del</strong>la rilevanza che i Romani<br />
davano alla conoscenza ufficiale di come era<br />
strutturata la loro società.<br />
Le operazioni <strong>del</strong> censimento erano presiedute<br />
e dirette da due magistrati appositamente<br />
eletti, scelti fra coloro che già avevano precedentemente<br />
fornito prova di serietà e di probità<br />
assolute. Quando dovevano valutare i meno<br />
abbienti, in genere si limitavano alla registrazione<br />
dei beni posseduti, ma quando esaminavano<br />
coloro che per la posizione economica erano<br />
anche automaticamente possibili candidati alle<br />
magistrature più elevate l’esame si faceva più<br />
puntiglioso e si estendeva non più alla sola persona<br />
ed alla sua famiglia, ma anche al suo modo<br />
di essere nella vita privata o addirittura familiare.<br />
Un uomo dal comportamento non irreprensibile<br />
o poco oculato nella conduzione degli<br />
affari, tollerante di una condotta sconveniente<br />
dei figli o <strong>del</strong>la moglie, poteva essere declassato<br />
nella scala sociale in modo irreparabile.<br />
Uno di questi magistrati valutatori, che è<br />
rimasto famoso, fu proprio Marco Porcio<br />
Catone, detto appunto “il censore”, lo stesso che<br />
abbiamo visto accanirsi contro gli Scipioni, fustigatore<br />
dei costumi licenziosi che si andavano<br />
diffondendo. Egli non accettava neppure che i<br />
Romani si dedicassero allo studio <strong>del</strong> greco che,<br />
a suo modo di vedere, era destinato a corrompere<br />
i sacri costumi degli antenati.<br />
Catone ostentò sempre, mentendo, di ignorare<br />
la lingua greca, che invece conosceva benissimo,<br />
e si accanì contro gli Scipioni che coltivavano<br />
con passione la cultura ellenica.<br />
È evidente che lo status di cittadino comportava<br />
oneri anche gravosi, nondimeno era una<br />
condizione ambita al punto che i socii italici, che<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
- 35 -<br />
Ricostruzione<br />
di un littore di età<br />
repubblicana Roma.<br />
Museo <strong>del</strong>la Civiltà<br />
Romana.<br />
erano stati alleati fe<strong>del</strong>i di Roma durante la guerra<br />
annibalica e che successivamente avevano<br />
fornito armati per le truppe ausiliarie nel corso<br />
<strong>del</strong>le varie guerre, presero nuovamente le armi<br />
per rivendicare quel riconoscimento che stimavano<br />
di avere ben meritato con il loro precedente<br />
comportamento. Il conflitto, ricordato come la<br />
Guerra Sociale, iniziato nel 91 a.C., si concluse<br />
nell’89 a.C. con la sconfitta definitiva degli insorti<br />
per mano di Lucio Cornelio Silla, che aveva<br />
ricondotto all’ordine quasi tutta la Campania e<br />
che quindi vi fece dedurre dal nipote Publio<br />
alcune colonie, fra queste una a Pompei, dei<br />
suoi veterani. Fu un provvedimento non eccessivamente<br />
punitivo, però ci si rese conto che la<br />
concessione <strong>del</strong>la cittadinanza era una misura<br />
non più procrastinabile, perciò nello stesso<br />
anno 89 a. C. fu accordato a tutti gli italici liberi,<br />
con solo qualche eccezione, quel riconoscimento<br />
che appena due anni prima aveva porta-
Ricostruzione<br />
di un cavaliere<br />
romano <strong>del</strong> I<br />
sec. d.C.<br />
Roma,<br />
Museo<br />
<strong>del</strong>la Civiltà<br />
Romana.<br />
to all’assassinio <strong>del</strong> tribuno Livio Druso, che per<br />
primo aveva osato proporlo. Da questi eventi<br />
emerge chiaramente quanto la cittadinanza fosse<br />
importante sia per chi già la possedeva, sia per<br />
chi ambiva ad ottenerla.<br />
I Romani erano discretamente generosi a<br />
concedere questo stato di privilegio a singoli<br />
individui: lo dimostra il fatto che un gran numero<br />
di ex schiavi, i liberti, erano accolti senza<br />
troppi problemi tra i cives, anche se con qualche<br />
limitazione, che però scompariva per i loro figli;<br />
al contrario erano molto restii a concederlo ad<br />
intere comunità. Evidentemente ciò accadeva<br />
perché il singolo individuo veniva ad essere<br />
come diluito nell’insieme <strong>del</strong>la popolazione,<br />
mentre coloro che appartenevano già ad una<br />
comunità omogenea erano adusi a proprie leggi<br />
e consuetudini e per questo, se accolti collettivamente,<br />
potevano in qualche modo inquinare<br />
quelle romane. Si deve anche osservare che lo<br />
schiavo liberato, il “liberto”, era ammesso a<br />
godere dei diritti civili, ma per poterne usufruire<br />
doveva entrare a fare parte di una familia,<br />
che era quella <strong>del</strong>l’ex padrone, prenderne il<br />
SALTERNUM<br />
- 36 -<br />
nome ed adottarne i culti familiari. In questo<br />
modo il padrone, divenuto patrono, veniva ad<br />
essere in qualche modo garante <strong>del</strong> successivo<br />
comportamento <strong>del</strong> suo ex schiavo.<br />
Sarà Cesare che, al suo ritorno a Roma dopo<br />
la vittoria su Pompeo ed i pompeiani, supererà<br />
quella diffidenza verso gli stranieri e concederà<br />
la cittadinanza ad intere regioni, così alla Gallia<br />
Cisalpina, alla città di Gades e all’intera legione<br />
V Alaudae, reclutata totalmente fra i Galli transalpini;<br />
ma non bisogna dimenticare che Cesare<br />
aveva bisogno di crearsi un seguito personale<br />
per consolidare anche politicamente la sua vittoria.<br />
Bisognerà attendere il 212 d.C. per vedere<br />
l’imperatore Caracalla emanare una “costituzione”<br />
che, con poche eccezioni, estendeva la cittadinanza<br />
a tutti gli uomini liberi <strong>del</strong>l’Impero.<br />
Poiché fra gli oneri che gravavano sul cittadino<br />
c’era anche quello di pagare le tasse di successione,<br />
gli avversari di Caracalla sostennero che<br />
lo scopo recondito <strong>del</strong>la sua costituzione era di<br />
assicurare a Roma i proventi di quell’imposta.<br />
Fra i vantaggi di essere cittadini c’era senza<br />
dubbio quello di potere usufruire <strong>del</strong>le distribuzioni<br />
di grano a prezzo calmierato o anche a<br />
titolo gratuito. Questa forma di elargizione, nata<br />
in un primo momento per alleviare i disagi che<br />
sorgevano in periodi di carestia, finì per divenire<br />
costante, con notevole gravame economico<br />
per le finanze statali. Da provvedimento episodico<br />
quale era stato in precedenza, fu con Gaio<br />
Gracco (lex Sempronia frumentaria, 123 a.C.)<br />
che si giunse a renderlo permanente, anche se<br />
le resistenze ad una misura chiaramente demagogica<br />
furono molte. Cicerone (Tusc., III, 48)<br />
racconta che Lucio Calpurnio Pisone si era battuto<br />
aspramente contro l’approvazione <strong>del</strong>la<br />
legge, ma che quando si giunse alla distribuzione<br />
<strong>del</strong> grano si presentò con gli altri per prelevare<br />
la sua quota. Gaio Gracco vedendolo tra la<br />
folla gli chiese innanzi a tutti, con evidente<br />
intento ironico, perché rivendicasse i benefici di<br />
una legge che aveva osteggiato e quegli rispose:<br />
«Avrei preferito, Gracco, che tu non distribuissi i<br />
miei beni, ma se lo fai voglio la mia parte».<br />
La riottosità dei Romani a concedere la cittadinanza<br />
ad intere popolazioni nel loro comples
so era giustificata da alcuni episodi che ci illuminano<br />
su quanto talvolta potessero essere inaffidabili<br />
coloro che bussavano alla porta <strong>del</strong>l’Urbe.<br />
Nel 216 a.C. dopo la disastrosa sconfitta dei<br />
Romani a Canne, mentre a Roma si diffondeva<br />
la preoccupazione, i Capuani sollecitarono la<br />
cittadinanza pretendendo anche che uno dei<br />
due consoli dovesse essere campano, ma contemporaneamente,<br />
di nascosto, si preparavano<br />
alla sedizione ed all’alleanza con Annibale. Tito<br />
Livio (XXIII, 6,6-7) ci racconta che essi inviarono<br />
un’ambasceria a Roma con siffatte proposte,<br />
affermando con una certa arroganza che questo<br />
era il prezzo da loro richiesto per l’aiuto che<br />
avrebbero fornito. Era chiaro che si erano convinti<br />
che i Romani in quella circostanza terribile<br />
avrebbero accettato qualsiasi condizione, anche<br />
la più gravosa che fosse stata loro offerta, pur di<br />
uscire da una situazione a dir poco drammatica.<br />
Ma non avevano capito nulla <strong>del</strong>l’orgoglio e <strong>del</strong>l’animo<br />
romano. Il tentativo di ricatto fu respinto<br />
con sdegno e gli ambasciatori furono letteralmente<br />
cacciati dal Senato. Qualche anno dopo,<br />
il 211 a.C. il pretore Claudio Nerone, lo stesso<br />
che al Metauro aveva vinto e ucciso Asdrubale,<br />
fratello di Annibale, conquistò Capua che nel<br />
frattempo si era data al Cartaginese ed i Capuani<br />
pagarono a caro prezzo il loro precedente comportamento.<br />
Una via di mezzo era già stata trovata con la<br />
concessione ad alcune città di una forma ridotta<br />
di cittadinanza, la civitas sine suffragio, una<br />
soluzione che escludeva quei cittadini dal diritto<br />
di voto, per cui in realtà con questo accorgimento<br />
quelle comunità erano poste in uno stato<br />
di dipendenza, non avendo alcuna voce in capitolo.<br />
Il primo caso fu quello <strong>del</strong>l’etrusca Caere,<br />
che ebbe questo riconoscimento come ringraziamento<br />
per l’aiuto fornito al tempo <strong>del</strong>l’invasione<br />
dei Galli nel 390 a.C. I cives sine suffragio tuttavia<br />
godevano degli stessi vantaggi di tutti gli altri<br />
e di una uguale protezione da parte <strong>del</strong>la legge;<br />
erano solamente esclusi dall’elettorato attivo e<br />
passivo per quanto concerneva le cariche <strong>del</strong>la<br />
res publica.<br />
Non deve sembrare eccessiva la resistenza<br />
dei Romani ad accordare la cittadinanza ad intere<br />
comunità di estranei: era ispirata dall’esigen-<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
- 37 -<br />
za di difendere la propria identità politica, sociale<br />
e religiosa da forze che potevano alterarla.<br />
Infatti, come si è detto, si mostrarono sempre<br />
piuttosto liberali nel concederla a singoli individui.<br />
In fondo nel mondo greco la concessione<br />
<strong>del</strong>la cittadinanza era ancora più difficile.<br />
Accantoniamo pure il caso di Sparta per la sua<br />
particolarissima costituzione, ma Atene non era<br />
certamente più generosa in questo senso e l’identica<br />
cosa si può dire <strong>del</strong>le altre città greche,<br />
tutte gelose custodi di se stesse. Va anzi ricordato<br />
che una legge ateniese <strong>del</strong> 451/450 a.C., forse<br />
ispirata da Pericle, stabilì che non potevano<br />
essere cittadini di Atene coloro che non fossero<br />
figli di genitori già entrambi cittadini. Come<br />
curiosità aggiungeremo che di questa legge fu<br />
vittima lo stesso Pericle, perché il figlio che lui<br />
ebbe da Aspasia, donna di Mileto, poté ottenere<br />
la cittadinanza solo in virtù di una speciale <strong>del</strong>ibera<br />
popolare dopo la morte degli altri due figli<br />
che lo statista aveva avuto dalla prima moglie.<br />
Quanto fosse ambita la cittadinanza romana<br />
lo dimostra il fatto che molti Latini, che pure si<br />
trovavano in uno stato di privilegio rispetto agli<br />
altri Italici, pur di ottenerla ricorrevano a dei sotterfugi,<br />
come quello di vendere se stessi o i propri<br />
figli a dei cittadini romani compiacenti, che<br />
subito dopo la vendita li affrancavano, rendendoli<br />
così, sia pure come liberti, cittadini a loro<br />
volta. Questa procedura creava dei problemi alle<br />
città da cui quelle persone provenivano perché,<br />
mentre quelli si sottraevano all’obbligo di pagare<br />
i tributi, le città d’origine erano costrette<br />
comunque a farvi fronte poiché le imposte<br />
erano già state in precedenza calcolate e concordate<br />
con Roma. Il Senato, riconoscendo la validità<br />
<strong>del</strong>le lamentele di alcune città latine ordinò<br />
al console in carica di presentare una legge che<br />
obbligasse tutti i Latini iscritti nel censo a tornare<br />
nelle città di provenienza. Così furono rimandati<br />
indietro dodicimila Latini (T. Livio, XXXIX,<br />
3,4).<br />
Accanto ai cives sine suffragio ed in una posizione<br />
più elevata c’erano i cives optimo iure,<br />
cioè i cittadini tali a tutti gli effetti, che votavano<br />
e potevano essere votati. Erano questi coloro<br />
che più degli altri potevano affermare con orgoglio:<br />
civis romanus sum. Anche se di origini
modeste, quando si trovavano in territori soggetti<br />
a Roma erano in una posizione di privilegio,<br />
appartenevano al popolo dominante, erano sottratti<br />
alle leggi ed ai tribunali locali, dovevano<br />
rendere conto <strong>del</strong> proprio operato solo ai magistrati<br />
ed al popolo romano. Abusavano di siffatta<br />
situazione? Forse non tanto quanto si pensa<br />
comunemente. In genere quando alcuni episodi<br />
o personaggi come Verre in Sicilia (propretore<br />
dal 73 al 71 a.C.) sono ricordati, è perché non<br />
rientrano nella consuetudine. Indubbiamente le<br />
orazioni di Cicerone, le Verrinae, hanno contribuito<br />
a dare a quegli avvenimenti un rilievo letterario<br />
e quindi una risonanza che altrimenti<br />
forse non avrebbero avuto, ma Verre era un<br />
magistrato, non un comune cittadino e anzi fra i<br />
capi di accusa che gli furono mossi c’era anche<br />
quello di non aver rispettato i diritti di alcuni cittadini<br />
romani. È risaputo che a Roma non si era<br />
teneri con gli autori di certi abusi, come è dimostrato<br />
dal fatto che Verre, dopo la prima orazione<br />
di Cicerone, non attese la fine <strong>del</strong> dibattimento<br />
ma preferì andare volontariamente in esilio,<br />
evitando guai peggiori.<br />
In ogni caso il crimen repetundarum contemplava<br />
le eventuali malversazioni che potevano<br />
essere commesse dai magistrati romani in<br />
danno di singoli o di intere comunità nelle provincie<br />
loro assegnate. Diverse furono le leggi<br />
che furono promulgate in proposito: la lex Acilia<br />
<strong>del</strong> 123 a.C. prevedeva per questo reato una<br />
sanzione pecuniaria pari al doppio <strong>del</strong> valore di<br />
quanto estorto. Questa sanzione fu poi confermata<br />
dalla lex Servilia <strong>del</strong> 111 a.C., dalla lex<br />
Cornelia <strong>del</strong>l’81 e dalla lex Iulia <strong>del</strong> 59 a.C.. Il<br />
susseguirsi di siffatte leggi, se da un lato evidenzia<br />
la volontà <strong>del</strong>lo Stato di stroncare gli abusi,<br />
dall’altro rivela che la tentazione di impinguare<br />
le tasche era comunque forte.<br />
Abbiamo affermato che in età imperiale si<br />
diffuse sempre più il rifiuto di impegnarsi nelle<br />
cariche pubbliche. Questo fenomeno era certamente<br />
negativo per lo stato romano ed era perciò<br />
necessario porvi riparo in qualche modo.<br />
Augusto, secondo quanto ricorda Svetonio 4 ,<br />
introdusse dei nova officia in modo da coinvolgere<br />
nell’attività di governo il maggior numero<br />
possibile di cittadini e farli partecipi <strong>del</strong>le<br />
SALTERNUM<br />
- 38 -<br />
responsabilità connesse alla pubblica amministrazione<br />
<strong>del</strong>egandoli alla cura <strong>del</strong>le opere pubbliche,<br />
<strong>del</strong>le vie, <strong>del</strong>le acque, <strong>del</strong>l’alveo <strong>del</strong><br />
Tevere, alla distribuzione di grano al popolo.<br />
Istituì anche la prefettura <strong>del</strong>la città, un triumvirato<br />
per la nomina dei senatori ed ancora altre<br />
funzioni, ma tutte di carattere amministrativo e<br />
con poca o nulla rilevanza politica. Gli incarichi<br />
di importanza vitale nella gestione <strong>del</strong>la res<br />
publica restavano nelle mani <strong>del</strong>l’Imperatore e<br />
di poche altre persone a lui vicine e di accertata<br />
fe<strong>del</strong>tà.<br />
La formazione di quella comunità di cives che<br />
va sotto il nome di civitas è in qualche modo<br />
avvolta nelle nebbie di un tempo antico. Si è<br />
avanzata l’ipotesi da parte di alcuni studiosi che<br />
sia stata una forma evolutiva di alcune strutture<br />
sociali caratteristiche dei popoli indoeuropei 5 .<br />
Naturalmente al riguardo mancano <strong>del</strong>le prove<br />
certe e pertanto si deve fare ricorso ad indizi<br />
tratti da quanto conosciamo <strong>del</strong>la vita e dei<br />
costumi religiosi e militari <strong>del</strong>la società romana.<br />
Come tutti sanno, fin dalle origini il popolo<br />
romano era costituito da due classi di cittadini: i<br />
patrizi ed i plebei. La derivazione <strong>del</strong> termine<br />
“patrizio” da pater è più che evidente. I Patres<br />
erano i capifamiglia (Paterfamilias) che, riuniti<br />
in assemblea, discutevano i problemi <strong>del</strong>la collettività<br />
arcaica e prendevano insieme le decisioni<br />
che ritenevano più opportune. L’espressione<br />
rimase e si consolidò col passare <strong>del</strong> tempo<br />
assumendo un significato politico. Patres o<br />
Patres conscripti erano chiamati i senatori,<br />
riunendo in un unico termine i Patres, d’origine<br />
patrizia, ed i Conscripti, ovvero i senatori d’origine<br />
plebea. La parola plebe, con l’aggettivo<br />
corrispondente plebeo, sembra invece che si<br />
possa far risalire etimologicamente ad un termine<br />
arcaico d’origine indoeuropea (radice ples)<br />
affine al greco plêqoß significante la moltitudine,<br />
la massa dei cittadini, quelli, in altri termini,<br />
che non avevano rilevanza politica.<br />
Era inevitabile che la separazione <strong>del</strong> popolo<br />
in due classi, una dominante e l’altra sottomessa,<br />
dovesse avere la conseguenza di determinare<br />
attriti e scontri, di cui la leggenda di Menenio<br />
Agrippa e <strong>del</strong> suo famoso apologo è una lontana<br />
eco. Senza alcun dubbio ci furono tentativi di
secessione da parte <strong>del</strong>la plebe, rientrati in<br />
seguito ad accordi fra le parti. Il primo, che risale<br />
al 494 a.C., vide i secessionisti ritirarsi fuori<br />
<strong>del</strong>le mura cittadine, sull’Aventino, ove risiedeva<br />
una comunità di mercanti greci adusi ad idee e<br />
costumi democratici. Questi movimenti popolari<br />
non rimasero senza effetto, ma portarono alla<br />
pubblicazione di leggi scritte su tavole bronzee,<br />
esposte al pubblico in modo che tutti potessero<br />
leggerle e farvi riferimento. Leggi dette “<strong>del</strong>le XII<br />
Tavole” (451 a.C.). Seguirono altri attriti, altre<br />
trattative ed altre leggi, fra le quali è importante<br />
ricordare le leges Liciniae Sextiae <strong>del</strong> 367 a.C.<br />
che avevano decretato una divisione dei poteri<br />
fra le due classi sociali, stabilendo l’attribuzione<br />
<strong>del</strong>le cariche pubbliche in modo bilanciato: un<br />
console patrizio ed uno plebeo, alternanza nelle<br />
altre magistrature, ecc.<br />
L’aspetto più importante <strong>del</strong>la questione è<br />
tuttavia il fatto che per i Romani non c’era alcun<br />
dubbio che la loro società, così com’era, risalisse<br />
alla mitica fondazione <strong>del</strong>l’Urbe e ciò dimostra<br />
quanto fosse sentita l’appartenenza alla civitas.<br />
Seguendo Tito Livio (I, 13,4), si può arguire<br />
che quel concetto si sia formato allorché i<br />
Romani e i Sabini, facendo la pace, fusero in<br />
una sola “le due città” ed insieme assunsero il<br />
nome di Quiriti.<br />
Come accade molto frequentemente, anche<br />
questo mito contiene un fondo di verità. Infatti,<br />
la parola civitas è l’equivalente romano <strong>del</strong>la<br />
parola greca politeía. Tuttavia, mentre il significato<br />
originario di quest’ultima è legato all’altra<br />
parola póliß, che letteralmente significherebbe<br />
“citta<strong>del</strong>la”, la parola latina etimologicamente si<br />
riallaccia ad una radice indoeuropea che ha il<br />
significato di “famiglia, amico, ospite”, legato<br />
cioè alle persone ed ai rapporti fra queste e non<br />
a <strong>del</strong>le strutture architettoniche.<br />
Continuando nell’esposizione <strong>del</strong>l’indagine<br />
etimologica si può affermare al di là di ogni<br />
dubbio che il nome di Quiriti si può fare derivare<br />
da co-uiri “uomini che si uniscono” e lo stesso<br />
vale per Curia. Con queste considerazioni<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
- 39 -<br />
Ricostruzione<br />
di una <strong>del</strong>le XII tavole.<br />
Roma, Museo <strong>del</strong>la Civiltà<br />
Romana.<br />
siamo arrivati al momento <strong>del</strong>la formazione o,<br />
se si preferisce, <strong>del</strong>la fondazione di Roma.<br />
Un’aggregazione di uomini che insieme si<br />
danno <strong>del</strong>le leggi e regolano la vita <strong>del</strong>la loro<br />
società guardando sia all’interno che all’esterno<br />
di essa, riservando a se stessi, come è naturale,<br />
dei privilegi che non sono riconosciuti agli estranei.<br />
In conclusione, bisognerà osservare che il<br />
prestigio e la struttura mentale, prima ancora<br />
che politica, dei Romani determinò il formarsi di<br />
una “nazione” italiana, il confluire verso un<br />
unico centro politico e culturale dei popoli che<br />
vivevano nella penisola, l’aspirazione a sentirsi<br />
tutti cives romani. La stessa guerra sociale <strong>del</strong> 91<br />
a.C. fu una guerra intrapresa dai socii italici per<br />
ottenere il diritto di unirsi a Roma. Una guerra<br />
“per” e non “contro” Roma. Un modo energico<br />
per fare conoscere il proprio desiderio di confluire<br />
nella romanità. È importante avere presente<br />
che in siffatto impulso centripeto furono progressivamente<br />
coinvolte anche quelle città greche<br />
<strong>del</strong>l’Italia meridionale e <strong>del</strong>la Sicilia che<br />
pure avevano in atto ed alle spalle una tradizione<br />
culturale di prim’ordine. Molte di quelle città,<br />
pur continuando a vivere alla greca nella quotidianità,<br />
utilizzando il greco come lingua locale,<br />
ebbero strutture politiche tipicamente romane,<br />
mostrando altresì una effettiva adesione alla<br />
romanità.
NOTE<br />
1<br />
F.DUPONT, La vita quotidiana nella Roma repubblicana,<br />
Laterza, Bari 2000, p.12<br />
2 G. CORRADI, Le grandi conquiste mediterranee, Ed.<br />
Cappelli, Bologna, 1945, passim.<br />
3 T. MOMMSEN, Storia di Roma, Berlino, 1854-1856 cap. X,<br />
p. 42.<br />
SALTERNUM<br />
- 40 -<br />
4 SVETONIO, Aug. XXXVII<br />
5 R.E.PALMER, The Archaic Community of the Romans,<br />
Cambridge, 1970. Citato da CLAUDE NICOLET in Il Mestiere di<br />
Cittadino nell’antica Roma, Roma 1992, p. 31.
WALTER FALAPPA<br />
La città romana di Suasa (Ancona)<br />
La presentazione di questo sito sarà divisa<br />
in due parti: questa prima parte<br />
riguarda la storia <strong>del</strong> ritrovamento, la<br />
presentazione <strong>del</strong>le prime fasi di scavo e la<br />
descrizione dei ritrovamenti dei materiali all’interno<br />
<strong>del</strong>la domus dei Coiiedi, su cui si sono<br />
concentrate le forze vista l’imponenza <strong>del</strong> ritrovamento<br />
<strong>del</strong>la domus.<br />
La seconda parte tratterà <strong>del</strong>le procedure<br />
adottate nelle fasi di scavo ai fini conservativi, i<br />
metodi, gli interventi di prima necessità, la situazione<br />
al momento <strong>del</strong>lo scavo e le problematiche<br />
<strong>del</strong>la messa in luce dei materiali.<br />
Si farà anche una analisi <strong>del</strong>le metodologie<br />
ed un accenno a come il volontariato può collaborare<br />
con le diverse strutture operanti a Suasa<br />
sulla base di una esperienza condotta a maggio<br />
2007 dal <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> Ferrarese.<br />
Introduzione al sito archeologico.<br />
Direzione dei lavori:<br />
PIER LUIGI DALL’AGLIO, SANDRO DE MARIA<br />
I resti <strong>del</strong>la città romana di Suasa sorgono<br />
lungo la valle <strong>del</strong> Cesano all’altezza di Pian<br />
Volpello.<br />
La città antica, menzionata dagli autori latini<br />
tra i centri <strong>del</strong>la stessa regio <strong>del</strong>la divisione<br />
Augustea (che comprende l’Umbria e le Marche<br />
meridionali), (Fig. 1) fu oggetto di interesse da<br />
parte di importanti studiosi locali. Tra questi<br />
possiamo ricordare Vincenzo Maria Cimarelli<br />
che descrisse alcuni ruderi ancora visibili nel<br />
1642, a cui si aggiunse, alla metà <strong>del</strong> secolo<br />
appena trascorso, la solerte opera di recupero di<br />
oggetti di varia provenienza da parte di Gello<br />
- 41 -<br />
Fig. 1 - Territorio <strong>del</strong>le Marche.<br />
Si noti come le valli abbiano un andamento a pettine verso il mare.<br />
Fig. 2 - La RegioVI<br />
<strong>del</strong>la divisione<br />
Augustea.<br />
Giorni. Questi reperti, assieme agli altri necessari<br />
a ricostruire la storia <strong>del</strong> territorio, erano conservati<br />
nel vicino museo di S. Lorenzo in Campo<br />
(in fase di ristrutturazione), mentre quelli provenienti<br />
dall’area urbana si trovano nel Museo di<br />
Castelleone di Suasa.
Fig. 3 - La via Flaminia.<br />
Fig. 4 - La<br />
viabilità dei<br />
diverticoli nella<br />
valle <strong>del</strong> Cesano.<br />
La viabilità: l’abitato di Suasa si è formato<br />
negli ultimi decenni <strong>del</strong> III secolo a.C. sul fondovalle<br />
alla destra <strong>del</strong> Cesano (Fig. 2), dopo che<br />
il plebiscito promosso da Gaio Flaminio nel 232<br />
a.C. stabilì la necessità di distribuzione di terra ai<br />
coloni romani anche in questo territorio. Poiché<br />
la viabilità <strong>del</strong> sistema stradale legato alla<br />
Flaminia venne attuata nel 220 a.C. sul fianco<br />
sinistro <strong>del</strong>la valle (Fig. 3), si ritiene che a quel<br />
tempo il primo insediamento dovesse già esiste-<br />
SALTERNUM<br />
Fig. 5 - Veduta aerea <strong>del</strong>la città di Suasa. Figg. 6 - 7 - Pianta<br />
<strong>del</strong>la città di Suasa.<br />
- 42 -<br />
re, altrimenti l’abitato sarebbe stato attratto dall’importante<br />
via di transito posta sull’altro lato<br />
(Fig. 4).<br />
La presenza di coloni all’interno di un denso<br />
popolamento rurale rese necessaria la creazione<br />
di luoghi adatti per il commercio e l’amministrazione<br />
<strong>del</strong>la giustizia da parte di un prefetto.<br />
Suasa si strutturò dunque prima come Prefettura<br />
e poi si ampliò fino a diventare, dopo il 49 a.C.,<br />
Municipio retto da duoviri. Proprio in questo<br />
momento si pone lo sviluppo <strong>del</strong>la città con<br />
spazi pubblici adeguati e aree abitative all’interno<br />
di un sistema urbano regolare e pianificato<br />
(Figg. 5-6), di cui ci sono giunte significative<br />
tracce. Nel corso <strong>del</strong> II e III secolo d.C. crebbe<br />
a cavallo <strong>del</strong>l’asse stradale basolato che percorre<br />
ancor oggi Pian Volpello, con edifici pubblici<br />
privati di grande impegno edilizio, taluni ben<br />
noti dai recenti scavi: una grande piazza porticata<br />
sul lato settentrionale, l’anfiteatro sul lato<br />
meridionale, il teatro, forse le terme (Fig. 7), il<br />
sistema idrico di approvvigionamento, diverse<br />
abitazioni private, talvolta sontuose come la<br />
domus dei Coiiedi.<br />
Gli edifici principali<br />
L’area di abitazioni posta a Est <strong>del</strong>la strada<br />
principale rappresenta la parte più cospicua <strong>del</strong>l’area<br />
archeologica già musealizzata, che comprende<br />
una grande domus di età imperiale e<br />
un’abitazione più piccola di età repubblicana.<br />
La domus dei Coiiedi prende nome dalla<br />
importante famiglia che ne fu proprietaria, nota<br />
per mezzo di epigrafi gemelle a quella rinvenuta<br />
nel corso <strong>del</strong>lo<br />
scavo.<br />
La dimora fu edificata<br />
nel II d.C. su<br />
un’originale casa ad<br />
atrio di metà <strong>del</strong> I<br />
a.C., di cui rimase in<br />
uso il sistema di<br />
ingresso, mentre il<br />
nuovo atrio (A) fu<br />
spostato a Est. Il<br />
vano di maggior<br />
rilievo era l’oecus
tricliniare (G), pavimentato in opus sectile con<br />
vista sul giardino retrostante, mentre in un piccolo<br />
quartiere autonomo, con una diaeta (AF)<br />
e due cubicula (AK e AN), fu ricavata nel III d.C.<br />
più a Sud. Il settore sud-occidentale era occupato<br />
dal quartiere termale e da alcuni vani di servizio<br />
(Fig. 8).<br />
I resti <strong>del</strong>l’abitato repubblicano sono stati<br />
individuati anche nell’area a ridosso <strong>del</strong> muro<br />
perimetrale sud, dove si trovano intatte alcune<br />
strutture <strong>del</strong> II a.C.<br />
La situazione <strong>del</strong>la domus dei Coiiedi<br />
Gli scavi iniziati nel 1988, incentrati particolarmente<br />
nell’area <strong>del</strong>la domus dei Coiiedi, è<br />
stata interamente indagata e l’espansione complessiva<br />
comporta un fronte sulla strada di m.<br />
33,50 e un’estensione all’interno di circa m. 103,<br />
per una superficie complessiva assai rilevante di<br />
quasi 3.500 mq (Fig. 9).<br />
(PIER LUIGI DALL’AGLIO, SANDRO DE MARIA,<br />
ENRICO GIORNI, BEPPE LEPORE, MIRCO ZACCARIA,<br />
Scavi e Ricerche <strong>del</strong> Dipartimento di<br />
Archeologia, University Press Bologna: 1977,<br />
pp. 55-67).<br />
Durante le prime campagne di scavo effettuate<br />
dall’allora Istituto di Archeologia <strong>del</strong>l’Università<br />
di Bologna, oggi Dipartimento di Archeologia,<br />
(1988-1992), è emersa una rilevante presenza di<br />
intonaci dipinti, che accompagnano, con rifacimenti<br />
e nuove stesure, le diverse fasi edilizie <strong>del</strong><br />
complesso.<br />
Le pitture possono essere raggruppate in tre<br />
categorie, distinte a seconda <strong>del</strong>la situazione di<br />
rinvenimento e <strong>del</strong>lo stato di conservazione: frammenti<br />
isolati, zoccolature, stati di crollo (Fig. 10).<br />
1. Frammenti isolati.<br />
Frammenti di intonaco dipinto di ridotte<br />
dimensioni sono stai rinvenuti in tutta l’area di<br />
scavo,variamente distribuiti nei vani <strong>del</strong>le diverse<br />
unità stratigrafiche.<br />
La provenienza di tali lacerti nel sistema<br />
decorativo di una parete (o soffitto) <strong>del</strong>l’ambiente<br />
di ritrovamento è spesso incerta, poiché i<br />
frammenti non appartengono a strati di crollo<br />
definiti, ma vengono in luce talvolta frammisti a<br />
WALTER FALAPPA<br />
- 43 -<br />
Fig. 8 - Pianta <strong>del</strong>la domus dei Coiiedi.<br />
Fig. 10 - Situazione planimetrica dei crolli.<br />
Fig. 9 - Pianta <strong>del</strong>la domus di<br />
Coiiedi. Prima fase: domus<br />
tardo-repubblicana ad atrio.<br />
Seconda fase: grande domus<br />
degli inizi <strong>del</strong> II sec. d.C.<br />
(3.000 mq).<br />
materiali all’interno di strati di abbandono di<br />
fosse agricole.<br />
Degno di nota è, poi, il ritrovamento di alcuni<br />
frammenti di intonaco dipinto all’interno di<br />
sondaggi eseguiti al di sotto <strong>del</strong>la fase edilizia
medio-imperiale: essi sono stati riutilizzati come<br />
materiale di riempimento e attestano l’esistenza<br />
di una fase pittorica precedente a quella <strong>del</strong> rifacimento<br />
degli inizi <strong>del</strong> II sec. d.C.<br />
Fig. 11 - Ambiente G.<br />
Fig. 12 -Zoccolo <strong>del</strong>l’ambiente C.<br />
Fig. 13 - In questo dettaglio si evidenziano i numeri di stati preparatori<br />
degli intonaci che rispondono ai canoni scritti da Vitruvio.<br />
Gli stati di intonaco sono 5; fra il primo ed il secondo si evidenzia una<br />
infiltrazione argillosa.<br />
L’ultimo strato (intonachino), di soli 0,2 - 0,5 mm è poco visibile ed è lo<br />
strato su cui si ancora la pellicola pittorica.<br />
SALTERNUM<br />
- 44 -<br />
2. Zoccolature.<br />
In tutta l’area di scavo i resti <strong>del</strong>le pareti conservano<br />
una parte, più o meno ampia, <strong>del</strong> rivestimento<br />
dipinto. Si tratta <strong>del</strong>la parte bassa <strong>del</strong>la<br />
decorazione, a contatto col pavimento. Essa si<br />
presenta in due varianti: come vasta campitura<br />
monocroma oppure come imitazione di crustae<br />
marmoree, variamente ripartite da bande di<br />
separazione.<br />
L’osservazione di queste porzioni di pittura<br />
ha permesso di trarre diverse indicazioni utili:<br />
l’ordine di stesura, il numero e la composizione<br />
degli strati preparatori ed il rapporto tra la pavimentazione<br />
e la decorazione parietale; infine ha<br />
permesso di verificare l’applicazione di una<br />
norma raccomandata da Vitruvio (VII, 4) per<br />
preservare l’intonaco dalle infiltrazioni di umidità:<br />
infatti nei vani C, E e G il primo strato aderente<br />
alla muratura è costituito da cocciopesto<br />
spesso 1,5-2 cm, che, nella sua impermeabilità,<br />
assolve alla funzione ricordata da Vitruvio (Figg.<br />
11-12-13).<br />
3. Strati di crollo.<br />
Diversi ambienti <strong>del</strong>l’edificio hanno restituito<br />
interi strati di crollo <strong>del</strong>le pitture parietali, talora<br />
ancora in posizione di caduta, talora manomessi<br />
durante le fasi di frequentazioni successive<br />
all’abbandono <strong>del</strong>la domus. Semplificando, possiamo<br />
distinguere diverse categorie, che tuttavia<br />
presentano un elemento in comune: l’assenza (o<br />
la minima presenza) dei materiali <strong>del</strong> crollo<br />
<strong>del</strong>le coperture e dei muri (laterizi, tegole,<br />
coppi, chiodi <strong>del</strong>le travature, ecc…).<br />
Questo fenomeno è dovuto, probabilmente,<br />
alla massiccia operazione di spoglio <strong>del</strong>le strutture<br />
avvenuta nelle fasi successive all’abbandono<br />
<strong>del</strong>la domus, al fine di recuperare materiali<br />
riutilizzabili (Figg. 14-15-16).<br />
Un primo tipo di crollo si può definire “pluristratificato”:<br />
si tratta di un accumulo d’intonaco<br />
dipinto disposto su diversi strati sovrapposti fino<br />
all’altezza massima di 60-70 cm. Gli esempi più<br />
consistenti sono stati rinvenuti nell’ala Q e nell’atrio<br />
B, ma presentano alcune differenze: l’ala<br />
Q ha restituito il crollo <strong>del</strong>la decorazione di tre<br />
pareti, variamente mescolato, ma sostanzialmente<br />
in posizione di caduta, se si esclude l’azione
Fig. 14.<br />
distruttrice di alcune fosse agricole che, attraversando<br />
lo scavo in senso est-ovest, hanno intaccato<br />
gli strati più superficiali <strong>del</strong> crollo. Il crollo<br />
<strong>del</strong>l’atrio B, invece è relativo ad una sola parete<br />
dipinta (quella orientale), per di più manomessa<br />
durante la fase di abbandono <strong>del</strong>la dimora, in<br />
cui le placche dipinte sono state ammassate in<br />
un angolo <strong>del</strong> vano per permettere il passaggio<br />
verso il giardino (Fig. 17).<br />
Un secondo tipo si può individuare nei crolli<br />
cosi detti “planari”: l’intonaco crollato si presenta<br />
come un unico strato, direttamente a contatto<br />
col pavimento e occupa per lo più l’intera<br />
estensione <strong>del</strong> vano. E’ il caso dei vani O (il cui<br />
intonaco completamente bianco si può riferire al<br />
soffitto) e AF (in cui l’intonaco è riferibile alla<br />
parete sud <strong>del</strong>l’ambiente) (Fig. 18).<br />
Nel crollo cosiddetto “a fisarmonica” l’intonaco<br />
si è staccato dal supporto murario, ammassandosi<br />
alla base <strong>del</strong>la parete in strati disposti<br />
con la superficie dipinta alternatamente verso<br />
l’alto e verso il basso.<br />
E’ il caso dei vani G e AK (Figg. 19-20-21-22-23).<br />
Nei vani <strong>del</strong> settore sud <strong>del</strong>la domus<br />
(BA,BB,BC) sono stati recuperati i crolli e alcune<br />
strutture murarie intere: in questo caso il<br />
muro ha conservato il rivestimento pittorico su<br />
entrambe le facce, relative a due vani comunicanti.<br />
In questo settore (portico ovest <strong>del</strong> peristilio)<br />
sono state recuperate, inoltre, ampie porzioni<br />
<strong>del</strong>le colonne in laterizi, col rivestimento in<br />
WALTER FALAPPA<br />
- 45 -<br />
Fig. 16 - Ambiente A. Si notino le fosse.<br />
Fig. 15.<br />
Fig. 17.<br />
Fig. 18.
stucco modanato e dipinto (Figg. 24-25).<br />
Un ultimo tipo di crollo si può definire<br />
“misto”: si tratta di vani che hanno restituito<br />
macerie dei muri in cui sono mescolati frammenti<br />
di intonaco dipinto (vano AQ e AO).<br />
Conclusioni<br />
Sin dal primo anno di scavo si è resa necessaria<br />
una scheda analitica che potesse riassumere,<br />
in maniera il più possibile sintetica, tali differenti<br />
situazioni di rinvenimento. La scheda è stata elaborata<br />
dall’équipe che opera a Suasa. Questa<br />
scheda è stata messa a punto considerando e<br />
ampliando – in base alle mutate esigenze – alcune<br />
proposte precedenti e già utilizzate (Fig. 26).<br />
La scheda è stata concepita in modo tale da<br />
permetterne l’uso in una casistica il più possibile<br />
ampia: essa è composta di otto sezioni distinte,<br />
disposte in ordine “cronologico”, così che la<br />
scheda possa accompagnare la pittura durante<br />
tutte le fasi di lavorazione, dal recupero al<br />
Fig. 19.<br />
Fig. 20 - Crollo omogeneo esteso.<br />
SALTERNUM<br />
- 46 -<br />
restauro. La prima sezione riguarda le generalità<br />
e permette l’identificazione <strong>del</strong> frammento<br />
(località, anno, unità stratigrafica, etc.).<br />
La seconda riguarda la situazione di rinvenimento:<br />
sono riportati almeno tre casi: “crollo”,<br />
“parete” e “isolato”. Per ognuna di queste situazioni<br />
sono suggerite diverse condizioni conservative<br />
(“difetti di coesione”, “di adesione”, “fratture”,<br />
“incrostazioni”, etc.). Si prosegue poi coi<br />
primi interventi, effettuati direttamente sullo<br />
scavo (“pulitura”, “consolidamento”, “velatura”,<br />
etc.). La sezione successiva riguarda la stratigrafia:<br />
in primo luogo si riportano i dati generali<br />
<strong>del</strong>l’intero frammento (spessore e numero degli<br />
strati, misure), poi si procede ad una descrizione<br />
analitica dei singoli strati, a partire dall’intonachino.<br />
Una sezione a parte è dedicata alla pellicola<br />
pittorica, con un ampio spazio riservato<br />
alla descrizione verbale, da sostituire eventualmente<br />
con il disegno oppure con la fotografia<br />
<strong>del</strong>la decorazione dipinta.<br />
Fig. 21 - Crollo omogeneo composto.<br />
Fig. 22 - Crollo omogeneo frammentato.
Fig. 23 - Esempio di un’altra situazione simile nella prima unità si scavo,<br />
si noti come il crollo omogeneo sia caduto a fisarmonica su se stesso<br />
nello stesso ambiente<br />
I due settori successivi possono essere compilati<br />
solo quando lo studio è in una fase avanzata:<br />
l’interpretazione, con riferimento ad una<br />
datazione e ai confronti con decorazioni note e<br />
il restauro. L’ultima sezione chiude la scheda<br />
con i riferimenti alla documentazione: disegni,<br />
fotografie e piante.<br />
Ogni voce <strong>del</strong>la scheda può essere compilata<br />
semplicemente barrando una casella desiderata,<br />
mentre lo spazio restante permette di specificare<br />
meglio il dato riportato (materiali usati, percentuali,<br />
note, etc.).<br />
(PIER LUIGI DALL’AGLIO, SANDRO DE MARIA,<br />
ENRICO GIORNI, GIUSEPPE LEPORE, MIRCO ZACCARIA,<br />
Functional and spatial analysis of wall painting,<br />
Amsterdam, 8-12 sept., edit. by ERIK M.<br />
MORORMAN 1992, pp. 205 -211).<br />
*L’articolo è composto di vari stralci di documenti ufficiali<br />
di convegni internazionali sulla pittura romana e su<br />
documenti prodotti dal Dipartimento di Archeologia<br />
<strong>del</strong>l’Università di Bologna .<br />
Gli autori sono S. DE MARIA, P. L. DALL’AGLIO, G. LEPORE,<br />
E. GIORGI eM. ZACCARIA.<br />
WALTER FALAPPA<br />
- 47 -<br />
Fig. 24 - Ambienti A e B<br />
Fig. 25.<br />
Fig. 26 - Uno dei metodi per una prima schedatura quello di rilievi 1:1 e<br />
rodotti a tavole disegno in vari formati, che illustrano lo stato <strong>del</strong> crollo<br />
in ciascuna unità di scavo.
BIANCA<br />
CANCELLARE
VINCENZO INTORCIA<br />
L’Arco <strong>del</strong> Sacramento in Benevento<br />
Delle vicende attraverso i secoli che hanno<br />
interessato l’Arco <strong>del</strong> Sacramento e il sito sul<br />
quale insiste e come essi si mostrano al presente<br />
Nell’articolo pubblicato sul precedente<br />
numero <strong>del</strong>la rivista Sal(t)ernum<br />
riguardante l’Arco <strong>del</strong> Sacramento in<br />
Benevento si sono date le coordinate circa la<br />
descrizione <strong>del</strong> monumento, l’epoca di costruzione<br />
e le sue funzioni urbanistiche nella città<br />
romana. Nel presente contributo si cercherà<br />
invece di mettere in luce le trasformazioni accorse<br />
al monumento nel corso dei secoli dagli albori<br />
<strong>del</strong>l’età medievale fino ai nostri giorni.<br />
Dopo la caduta <strong>del</strong>l’Impero romano d’Occidente,<br />
l’Italia fu sconvolta dalla guerra grecogotica<br />
(535-553). In questo frangente le mura<br />
romane di Benevento furono rase al suolo nel<br />
545 da Totila, il quale, secondo Procopio di<br />
Cesarea, espugnò la città che si era data a<br />
Belisario. Sulla traccia <strong>del</strong> De Nicastro, che attribuì<br />
a Narsete l’epigrafe dedicata all’eminente<br />
personaggio che provvide al restauro <strong>del</strong>la città, 1<br />
gli storici locali seguirono questa tradizione<br />
secentesca, come fa l’Isernia che indica sempre<br />
il generale bizantino quale autore <strong>del</strong> restauro<br />
<strong>del</strong>la cinta difensiva, precisando che le nuove<br />
mura furono ricostruite in un perimetro assai<br />
ristretto che toccava l’Arco <strong>del</strong> Sacramento. 2<br />
Secondo l’ipotesi più verosimile e oggi largamente<br />
condivisa, la cinta muraria fu ricostruita al<br />
tempo <strong>del</strong> primo duca longobardo Zottone, o al<br />
massimo nei primi anni <strong>del</strong> governo di Arechi I. 3<br />
In effetti le condizioni di indigenza provocate<br />
dalle guerre fecero sì che l’abitato <strong>del</strong>la<br />
Benevento longobarda si restringesse lasciando<br />
fuori dal nuovo perimetro le zone occidentali e<br />
l’area <strong>del</strong> Teatro.<br />
2 A PARTE<br />
- 49 -<br />
Benevento. Il piano<br />
particolareggiato Zevi-Rossi<br />
per la sistemazione <strong>del</strong>’area<br />
<strong>del</strong> Duomo e <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento (1988-89).<br />
Così, come all’altro capo <strong>del</strong>la città, nella<br />
zona settentrionale, l’Arco di Traiano andava a<br />
costituire la Porta Aurea, anche l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento, raggiunto dalle mura, diveniva l’ingresso<br />
a meridione. Questa funzione la mantenne<br />
però fino all’addizione <strong>del</strong>la cinta muraria<br />
promossa da Arechi II (758-787), la civitas nova,<br />
che permise alla città longobarda di recuperare<br />
all’abitato la zona <strong>del</strong> Teatro. A Sud <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento, allora, si andò sviluppando il quartiere<br />
medievale “Triggio”.<br />
Da questo momento comunque, per la scarsità<br />
di documenti e di reperti, il percorso che si<br />
può tracciare <strong>del</strong>le vicende <strong>del</strong>l’Arco attraverso i<br />
secoli è reso difficile da molte zone d’ombra.
Benevento.Veduta area <strong>del</strong>l’area <strong>del</strong> Duomo con in evidenza la zona a Ovest<br />
<strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento (1985).<br />
Benevento. Lavori di restauro per lo svuotamento <strong>del</strong> fornice <strong>del</strong>l’arco romano ad<br />
Ovest <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento (2005).<br />
Può darsi che già al tempo <strong>del</strong>la guerra<br />
greco-gotica, o con l’arrivo dei Longobardi, per<br />
le vicende belliche o durante i saccheggi, l’Arco<br />
<strong>del</strong> Sacramento avesse perso la sua decorazione<br />
marmorea, visto che invece, quando si diede<br />
una prima sistemazione <strong>del</strong>la città, all’atto di<br />
divenire Port’Aurea, le sculture <strong>del</strong>l’Arco di<br />
Traiano furono accuratamente conservate integre.<br />
Diversamente, non credo che la dispersione<br />
<strong>del</strong> paramento decorativo sia da imputarsi ad<br />
uno stato di incuria e di abbandono, poiché la<br />
zona in questione non fu lasciata in disuso dalla<br />
nuova città longobarda, e anzi un episodio<br />
monumentale come l’Arco <strong>del</strong> Sacramento<br />
sarebbe risultato molto gradito ai Longobardi<br />
per nobilitare un ingresso cittadino, così come<br />
fu fatto con l’Arco di Traiano. C’è da considerare,<br />
inoltre, che probabilmente molte strutture<br />
romane siano giunte alle soglie <strong>del</strong> Medioevo<br />
già in stato di parziale degrado, incoraggiando-<br />
SALTERNUM<br />
- 50 -<br />
ne così l’adattamento a nuovi usi o lo sfruttamento<br />
quali cave di materiale da costruzione.<br />
Mentre il centro <strong>del</strong>la Benevento longobarda<br />
si andò spostando verso Oriente attorno al<br />
Piano di Corte, la zona <strong>del</strong>l’antico Foro e<br />
<strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento rimase comunque viva,<br />
caratterizzandosi per numerosi edifici religiosi.<br />
Qui, infatti, forse sulle strutture <strong>del</strong> Tempio di<br />
Iside, sorse la prima Cattedrale consacrata alla<br />
Vergine. E in questa zona in epoca medievale<br />
sono documentate l’ecclesia S. Jacobi a Foro e<br />
l’ecclesia S. Stephani de monialibus de Foro. 4<br />
Secondo l’uso consueto <strong>del</strong>l’epoca, probabilmente<br />
le chiese e gli edifici longobardi furono<br />
costruiti sfruttando anche le imponenti cave di<br />
ottimo materiale a buon mercato e già lavorato<br />
fornito dalle vestigia <strong>del</strong>le strutture romane:<br />
adattamenti a nuovi usi o reiterate spoliazioni.<br />
Ma oltre che una funzione meramente costruttiva,<br />
i pezzi provenienti dagli edifici romani potevano<br />
assolvere anche un altro ufficio. La pratica<br />
diffusa nel Medioevo di riutilizzare i marmi e le<br />
pietre già decorate e scolpite dei monumenti<br />
romani con funzioni di ornamento e di nobilitazione<br />
dei propri edifici, può anche aver giocato<br />
a favore <strong>del</strong>la perdita <strong>del</strong>le sculture <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento. In effetti sia nella cinta muraria, sia<br />
negli edifici religiosi, negli edifici di rappresentanza<br />
<strong>del</strong> potere longobardo come nelle case<br />
civili, si possono notare molti resti e frammenti<br />
d’arte classica. Nella peggiore <strong>del</strong>le ipotesi,<br />
sarebbe da considerare anche la possibilità che<br />
le sculture <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento siano andate<br />
a finire nelle fornaci per produrre <strong>del</strong>la buona<br />
calce. La Port’Arsa che si trova nelle vicinanze,<br />
tra l’altro, era conosciuta anche con il nome di<br />
Porta <strong>del</strong>le Calcare 5 , appunto per la presenza in<br />
quel sito di tali attività produttive. Né, infine, è<br />
da sottovalutare l’eventualità che la perdita <strong>del</strong>la<br />
decorazione <strong>del</strong>l’Arco sia avvenuta in seguito ad<br />
uno dei tanti sismi che colpirono la città di<br />
Benevento a cominciare dal primo che ci è stato<br />
tramandato, nel 369 d.C., di cui ci informa<br />
Aurelio Simmaco, o quello violentissimo <strong>del</strong>l’11<br />
ottobre 1125, che, narra il cronista Falcone,<br />
rovesciò al suolo anche le mura <strong>del</strong>la città diroccando<br />
le torri e le case in modo da non sembrare<br />
più umane abitazioni. 6
Quel che è probabile, comunque, in mancanza<br />
di dati certi, è che la perdita dei rilievi marmorei<br />
<strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento sia avvenuta<br />
abbastanza presto nei tempi 7 : in un certo senso<br />
è proprio la carenza di notizie documentarie che<br />
induce a pensare che l’attenzione verso il monumento<br />
sia stata poco rilevante in ragione <strong>del</strong>lo<br />
spoglio <strong>del</strong>le sculture ab antiquo; di conseguenza,<br />
neanche il nome <strong>del</strong>l’importante personalità<br />
a cui l’Arco era dedicato fu tramandato attraverso<br />
i secoli.<br />
Nel Seicento cominciano un po’ a dissiparsi<br />
le nebbie nelle quali è avvolto il percorso storico<br />
<strong>del</strong> nostro monumento fino ai giorni nostri, e<br />
abbiamo la prima notizia di un intervento<br />
sull’Arco <strong>del</strong> Sacramento trasmessa dal<br />
Meomartini, il quale scrive:<br />
“fo avvertire che il grosso <strong>del</strong>la muratura che<br />
oggi si eleva al di sopra degli stilobati non è tutto<br />
antico, e che una parte, cioè quella che guarda<br />
a settentrione, è moderna, essendovi stata<br />
aggiunta dal Cardinale Arcivescovo Agostino<br />
Oregio … sulla serraglia <strong>del</strong>l’archivolto settentrionale<br />
esiste ancora il suo stemma, scolpito su<br />
di una pietra rettangolare, la quale misura m.<br />
0.40 x 0.60. Sulla cartella sottoposta allo scudo<br />
vi è l’iscrizione: AVG. CARD. ORECIVS<br />
ARCHPVS. BNVS.<br />
Nelle due sezioni si vede preciso il distacco tra<br />
la muratura aggiunta e l’antica che si appartiene<br />
proprio al monumento, come si scorge pure<br />
bene che l’archivolto sulla facciata settentrionale,<br />
costituito di ventisette cunei di tufo trachitico<br />
intercalati con un filare di mattoni, sia di epoca<br />
moderna. Di modo che l’aggiunzione è stata<br />
praticata non solo nelle pilastrate, ma ben anche<br />
nel volto”. 8<br />
L’Arcivescovo Agostino Oregio resse<br />
l’Arcidiocesi di Benevento dal 1633 al 1635, 9 un<br />
tempo piuttosto breve, e i suoi biografi si soffermano<br />
più sulle sue sottigliezze teologiche che<br />
sugli interventi edilizi promossi. La notizia riferita<br />
dal Meomartini non ha trovato ancora un<br />
fonte documentaria d’archivio, e allo stato attuale<br />
<strong>del</strong> monumento non sono purtroppo più visibili,<br />
perché asportati, né le aggiunte nell’archivolto<br />
né lo stemma <strong>del</strong>l’Arcivescovo con l’iscrizione<br />
di cui faceva fede sempre il Meomartini.<br />
VINCENZO INTORCIA<br />
- 51 -<br />
In una rarissima foto <strong>del</strong>la facciata settentrionale<br />
<strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento prima degli interventi<br />
<strong>del</strong> secondo dopoguerra <strong>del</strong> Novecento, è<br />
però ancora visibile la decorazione <strong>del</strong>l’archivolto,<br />
mentre non risulta più in situ lo stemma<br />
<strong>del</strong>l’Arcivescovo con l’iscrizione.<br />
Non si sa con certezza se i terremoti di fine<br />
Seicento e di inizio Settecento arrecarono danni<br />
al monumento e in quale misura. È probabile,<br />
però, che in conseguenza <strong>del</strong>le ricostruzioni cit-<br />
Benevento. Pianta per il progetto di recupero e la valorizzazione <strong>del</strong>l’area nodale<br />
<strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento (2000).<br />
Benevento.Arco romano ad Ovest <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento (1985).<br />
tadine successive al 1702 e di quelle promosse<br />
dall’Orsini nel palazzo Arcivescovile, l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento venisse completamente inglobato<br />
da case d’abitazione e dall’ampliamento<br />
<strong>del</strong>l’Episcopio. 10<br />
La prima fonte 11 che ci mostra una descrizione<br />
attendibile <strong>del</strong>l’Arco è un’incisione ad acquaforte<br />
rinforzata a bulino eseguita da Pierre<br />
Gabriel Berthauld (1748-1819) 12 su disegno di<br />
De Pres ed inserita con il nome di Vue d’une
Benevento. Arco <strong>del</strong> Sacramento, incisione ad acquaforte rinforzata e bulino di<br />
Pierre Gabriel Berthauld (1781-1785).<br />
Benevento. Arco <strong>del</strong> Sacramento,“Arco antico in Benevento, incisione ad<br />
acquaforte o bulino di Luigi Rossini (fine XIX secolo).<br />
ancienne Porte de Benevent nel Voyage pittoresque<br />
ou description des Royaumes de Naples et de<br />
Sicile di Richard de Saint-Non, edito a Parigi tra<br />
il 1781 e il 1785. Che l’incisione sia una veduta<br />
dal vero e non un’opera di fantasia, è confermato<br />
almeno da tre ordini di fattori. Innanzitutto,<br />
dal confronto tra le costruzioni descritte e le<br />
indicazioni topografiche rinvenibili nelle mappe<br />
<strong>del</strong>l’epoca che andremo a presentare. In secondo<br />
luogo, la veduta <strong>del</strong> Berthauld appare assolutamente<br />
veritiera se confrontata con un’altra<br />
incisione di Luigi Rossini <strong>del</strong> 1839 e con le<br />
prime fotografie disponibili di fine Ottocento.<br />
Infine, non c’è motivo di dubitare <strong>del</strong>l’attendibilità<br />
<strong>del</strong>la veduta per il semplice fatto che anche<br />
le altre incisioni contenute nel Voyage <strong>del</strong> Saint-<br />
Non, come la veduta <strong>del</strong> Teatro Romano incisa<br />
sempre dallo stesso Berthauld, risultano precise<br />
e obiettive.<br />
La Vue d’un ancienne Porte de Benevent 13 è<br />
presa dallo slargo oggi intitolato a Manfredi di<br />
SALTERNUM<br />
- 52 -<br />
Svevia, e ci mostra, quindi, la facciata meridionale<br />
<strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento. La decorazione<br />
marmorea risulta ormai inesistente. Nel pilastro<br />
orientale sono riconoscibili i blocchi di pietra<br />
degli stilobati, mentre l’incavo <strong>del</strong>la nicchia è<br />
stato riempito. Il pilastro è subito collegato a<br />
destra senza soluzione di continuità con la fabbrica<br />
<strong>del</strong> Palazzo arcivescovile. Il pilastro occidentale,<br />
invece, risulta completamente occultato<br />
da un’abitazione a due piani, dove in corrispondenza<br />
<strong>del</strong>la pilastrata vi è una veranda con il<br />
tetto che termina all’altezza <strong>del</strong>l’imposta <strong>del</strong> fornice.<br />
Fortunatamente la veduta è di ampio respiro,<br />
e possiamo scorgere l’Arco in tutta la sua<br />
altezza che si staglia sul cielo. Al di sopra <strong>del</strong>l’archivolto,<br />
infatti, si elevano ben due piani,<br />
appartenenti e collegati con l’Episcopio, coperti<br />
con un tetto di tegole dove si intravedono due<br />
camini. In corrispondenza <strong>del</strong>la linea mediana<br />
con la chiave di volta <strong>del</strong>l’archivolto, in ciascuno<br />
dei due piani è aperta una finestra. Dunque<br />
l’attico <strong>del</strong>l’Arco romano, dove si trovava un<br />
seconda arcata, risulta completamente inglobato,<br />
mentre sopra di esso è stato elevato un altro<br />
piano. Guardando il primo piano subito al di<br />
sopra <strong>del</strong>l’archivolto:<br />
“vien fatto di scorgere sulla sinistra, in alto,<br />
verso il cantone sud-ovest, un blocco di muratura<br />
a getto, lungo m. 3.00, altrettanto alto e sporgente<br />
di m. 1.10 dal vivo <strong>del</strong>la pilastrata.<br />
Sebbene questa muratura sia antica, non la si<br />
può affatto ritenere coeva <strong>del</strong> monumento che<br />
stiamo esaminando; vi fu aggiunta in processo<br />
di tempo, per collegare probabilmente quest’arco<br />
a qualche fortilizio innalzato colà presso per<br />
difesa <strong>del</strong>la città”. 14<br />
Vedremo poi cosa ci dice Meomartini, al suo<br />
tempo, di questi vani che si innalzano al di<br />
sopra <strong>del</strong> fornice. Sempre ad Occidente, poco<br />
sotto quel blocco di muratura ora descritto e al<br />
di sopra dei tetti <strong>del</strong>le abitazioni, si può osservare<br />
un tratto di muro che si ammorsa sul cantone<br />
esterno <strong>del</strong>l’Arco; questo pezzo è probabilmente<br />
parte <strong>del</strong>la prima cinta di murazione medievale<br />
che raggiunse l’Arco quando divenne porta<br />
cittadina.<br />
Conducendo lo sguardo sotto l’arcata, si vede<br />
bene che la strada continua con un muro rettili
neo fino ad un pontile. All’epoca la via si chiamava<br />
Chiaviche Vecchie, poiché vicino si trovava<br />
probabilmente il macello, e, come mostra la<br />
seppure un po’ schematica 15 Pianta <strong>del</strong>la pontificia<br />
città di Benevento <strong>del</strong>ineata da Liborio<br />
Pizzella e incisa dall’Aloia entro il 1764, l’Arco<br />
<strong>del</strong> Sacramento si trovava effettivamente stretto<br />
da costruzioni sia ad Oriente che ad Occidente.<br />
La Topografia <strong>del</strong>la Pontificia Città di<br />
Benevento umiliata alla Santità D.N.S. Papa Pio<br />
Sesto dai Consoli <strong>del</strong>la medesima redatta dall’architetto<br />
Saverio Casselli e incisa da Carlo<br />
Antonini intorno il 1781, è praticamente coeva<br />
all’incisione <strong>del</strong> Berthauld, e in maniera <strong>del</strong> tutto<br />
attendibile riporta sulla mappa la pianta reale<br />
degli edifici <strong>del</strong>la città. Si nota perfettamente la<br />
linea <strong>del</strong> cardo romano che costeggia ad Occidente<br />
la fabbrica <strong>del</strong> Duomo. Qui l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento è individuabile dal tratteggio di due<br />
linee che corrispondono all’identificazione di un<br />
passaggio voltato. Ad Est lo vediamo congiunto<br />
con l’Episcopio, e ad Ovest è <strong>del</strong>ineata la pianta<br />
dei fabbricati che abbiamo visto riprodotti<br />
nell’incisione. Dietro l’Arco <strong>del</strong> Sacramento, ad<br />
Occidente, troviamo uno slargo chiuso ad Est<br />
verso via Chianche Vecchie da un muro che<br />
abbiamo osservato essere anche nell’incisione;<br />
risalendo la via, infine, si possono notare segnati<br />
anche gli altri pontili.<br />
Nel 1839, all’interno <strong>del</strong> Viaggio pittoresco da<br />
Roma a Napoli di Luigi Rossini (1790-1857), 16<br />
troviamo l’Arco <strong>del</strong> Sacramento raffigurato in<br />
un’incisione ad acquaforte e bulino dal titolo<br />
Arco antico in Benevento/creduto avanzi di<br />
terme. L’incisione di Rossini (che ritrae sempre<br />
la facciata meridionale) mostra notevoli somiglianze<br />
con quella di Berthauld, confermando<br />
che la situazione <strong>del</strong> monumento è rimasta nell’arco<br />
di tempo trascorso sostanzialmente la stessa.<br />
La veduta riguarda sempre la facciata meridionale<br />
<strong>del</strong> monumento. Ad Occidente notiamo<br />
ancora la veranda <strong>del</strong>l’abitazione che si sovrappone<br />
al pilastro ovest <strong>del</strong>l’Arco, e al di sopra <strong>del</strong><br />
tetto <strong>del</strong>la dimora si scorge sempre il collegamento<br />
con il muro di cinta di matrice medievale.<br />
Ad Oriente l’Arco è sempre collegato con il<br />
Palazzo arcivescovile. I blocchi degli stilobati<br />
sotto il fornice e <strong>del</strong> pilastro orientale si mostra-<br />
VINCENZO INTORCIA<br />
- 53 -<br />
no già consunti e si possono osservare i resti<br />
<strong>del</strong>le cornici <strong>del</strong>la decorazione originaria<br />
<strong>del</strong>l’Arco che praticamente sono quelle che<br />
vediamo anche al presente. Il chiaroscuro <strong>del</strong><br />
tratteggio <strong>del</strong>l’artista mostra che la superficie<br />
<strong>del</strong>la muratura <strong>del</strong>l’Arco lascia osservare la sua<br />
struttura di mattoni nell’arcata principale e nelle<br />
arcate <strong>del</strong>le nicchie laterali; anche da alcuni tratti<br />
<strong>del</strong> monumento si intravede l’opera in laterizi,<br />
Benevento. Progetto di<br />
recupero e la<br />
valorizzazione <strong>del</strong>l’area<br />
nodale <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento (2000).<br />
Benevento. Plastico per il progetto di<br />
recupero e la valorizzazione <strong>del</strong>l’area<br />
nodale <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento<br />
(2000).<br />
mentre altri tratti sono intonacati. Purtroppo dall’incisione<br />
di Rossini non è possibile seguire lo<br />
sviluppo in altezza <strong>del</strong>le fabbricazioni che si elevano<br />
alla sommità <strong>del</strong> fornice, (anche se queste<br />
si lasciano ancora intuire), ma come vedremo<br />
nello scritto e nelle foto di Meomartini, l’attico<br />
<strong>del</strong>l’Arco è ancora occupato da due piani di<br />
costruzione. Risalendo il cardo/via <strong>del</strong><br />
Sacramento notiamo che ad Ovest, lì dove nell’incisione<br />
di Berthauld vi era un muro rettilineo,<br />
adesso la zona è occupata dal prospetto laterale<br />
di un edificio. In fondo poi si scorge sempre un<br />
passaggio voltato. Nella Mappa originale <strong>del</strong>la<br />
città di Benevento realizzata sotto la direzione di
Benevento. L’arco <strong>del</strong> Sacramento dopo i bombardamenti <strong>del</strong> 1943.<br />
Benevento.Area ad Occidente <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento con i resti dei pilastri <strong>del</strong><br />
palazzo residenziale, iniziato a costruire e poi bloccato nel 1946.<br />
Luigi Mazzarini nel 1823 (quindi di pochi anni<br />
antecedente l’incisione di Rossini), si nota, difatti,<br />
che la zona libera ad Occidente <strong>del</strong>l’Arco è<br />
stata coperta dalla mole di un nuovo fabbricato,<br />
l’Ospedale femminile di S. Gaetano.<br />
La profonda trasformazione urbanistica che<br />
interessa Benevento nei primi decenni dopo<br />
l’Unità d’Italia, 17 nell’ambito <strong>del</strong> centro storico,<br />
si concentra soprattutto lungo l’asse <strong>del</strong>la vecchia<br />
via Magistrale, ora diventata Corso<br />
Garibaldi, e ne fanno le spese ampi tratti <strong>del</strong><br />
circuito <strong>del</strong>le antiche mura, ma per quanto<br />
riguarda la zona <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento, l’area<br />
rimase dunque pressoché inalterata secondo<br />
la sistemazione settecentesca post-terremoto.<br />
Nel 1889, ne I monumenti e le opere d’arte<br />
<strong>del</strong>la città di Benevento, Almerico Meomartini,<br />
che fu il primo studioso ad interessarsi <strong>del</strong>la<br />
costruzione romana, così introduceva la descrizione<br />
<strong>del</strong> monumento: “di fronte alla casa <strong>del</strong>la<br />
famiglia Torre, trovasi quest’arco, il quale pre-<br />
SALTERNUM<br />
- 54 -<br />
sentemente è serrato in mezzo, ad occidente dall’ospedale<br />
di S. Gaetano e da basse case <strong>del</strong>l’avvocato<br />
Ferdinando Torre, ad oriente dalle fabbriche<br />
<strong>del</strong>l’episcopio; per la qual cosa, ove non vi<br />
fosse un quadrivio dinanzi la facciata meridionale,<br />
tutto l’antico edifizio sarebbe occultato alla<br />
vista”. 18<br />
Tenendo presenti le indicazioni sin qui offerte<br />
dallo studioso su come si presentava l’Arco<br />
alla fine <strong>del</strong>l’Ottocento, leggiamo cosa egli ci<br />
riferisce a proposito <strong>del</strong>la zona <strong>del</strong>l’attico:<br />
“Allorquando io rilevai i disegni di questo<br />
monumento potei discendere nel vuoto sotto questa<br />
volto [si riferisce al secondo arco presente<br />
nella zona <strong>del</strong>l’attico] per una botola che vi esisteva<br />
in un fianco, sotto la cucina <strong>del</strong>l’episcopio;<br />
ma ora vi si può pervenire dal vicino ospedale di<br />
San Gaetano, al quale questo vuoto è stato<br />
aggregato da un paio di anni per concessione<br />
temporanea <strong>del</strong> nostro Emin. Arcivescovo<br />
[Cardinale Camillo Siciliano Di Rende], che ne<br />
aveva il possesso. Al presente tal vuoto è stato<br />
ridotto ad uso di stanza, ed è stata aperta una<br />
finestra nel muro meridionale…oggi l’interno è<br />
stato pure intonacato a nuovo; ma allorquando<br />
io vi penetrai la prima fiata vi era un intonaco<br />
antico su porzione <strong>del</strong>le pareti con avanzi di pitture<br />
e molte iscrizioni graffite. Supposi che fosse<br />
servito di prigione in una certa epoca, e vi siano<br />
fatti discendere i condannati per la botola per la<br />
quale io vi discesi”. 19<br />
Dunque, per esperienza verificata personale,<br />
il Meomartini ci conferma che ai suoi tempi, al<br />
di sopra <strong>del</strong>l’archivolto principale <strong>del</strong>l’Arco, esistevano<br />
ancora ulteriori due piani di costruzione<br />
di proprietà <strong>del</strong>l’Arcivescovato. Nel primo era<br />
stato ricavato un ambiente abitabile, mentre ai<br />
giorni nostri, che l’Arco è stato liberato, si può<br />
notare il volto dove questa stanza era stata adattata.<br />
Nel secondo piano, invece, trovava posto<br />
una cucina <strong>del</strong> palazzo Arcivescovile, ma questo<br />
ambiente dopo i bombardamenti <strong>del</strong>la seconda<br />
guerra mondiale non è più esistente. La botola<br />
attraverso la quale era disceso il Meomartini,<br />
seppure sussistesse ancora ai giorni nostri, non<br />
potrebbe essere più visibile, visto che l’attico<br />
<strong>del</strong>l’Arco è stato consolidato con uno strato di<br />
cemento. Per il passaggio menzionato che colle-
gava l’ambiente sotto il secondo archivolto<br />
<strong>del</strong>l’Arco all’Ospedale di San Gaetano (dunque<br />
fungeva da collegamento diretto di servizio tra<br />
l’ospedale e il palazzo <strong>del</strong>l’Arcivescovo), diversamente,<br />
è possibile accertarne l’esistenza, visto<br />
che attualmente alla costruzione romana non è<br />
addossato più alcun edificio. Ed infatti, alla sommità<br />
<strong>del</strong> pilastro occidentale, si può tutt’oggi<br />
scorgere questo varco aperto nell’attico.<br />
Rispetto all’incisione di fine Settecento, dopo<br />
circa un secolo, non si registrano per il nostro<br />
Arco sostanziali cambiamenti. Una foto pubblicata<br />
da Meomartini nel volume Benevento con<br />
144 illustrazioni edito a Bergamo nel 1909,<br />
mostra che al di sopra <strong>del</strong>l’archivolto sussistono<br />
sempre due piani, e più specificamente sembra<br />
che la muratura sia sensibilmente aumentata in<br />
altezza. C’è la finestra descritta da Meomartini, e<br />
salendo ancora si scorge una seconda finestra<br />
sulla sinistra. Mentre tra le due finestre, ad Occidente,<br />
si osserva pure bene e ancora esistente il<br />
blocco di muratura che fuoriesce dalla struttura<br />
che si è già in precedenza esaminato. La porzione<br />
al di sopra <strong>del</strong> fornice risulta quasi completamente<br />
intonacata, viceversa nelle zone laterali<br />
<strong>del</strong>l’Arco affiora la struttura primigenia di mattoni.<br />
Anche in alcune fotografie di fine Ottocento<br />
e di inizio Novecento che riguardano la porzione<br />
inferiore <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento si evince<br />
che la situazione non mostra sostanziali cambiamenti.<br />
Ad Occidente si vede sempre la casa <strong>del</strong>l’avvocato<br />
Torre, e le linee <strong>del</strong>l’archivolto e degli<br />
archi <strong>del</strong>le edicole sono individuabili dalla<br />
muratura in laterizi, così come si osservano<br />
anche i blocchi in cinque filari sovrapposti agli<br />
stilobati. Sussistono ancora qualche pezzo <strong>del</strong>le<br />
piccole cornici d’imposta al di sopra <strong>del</strong>la cimasa<br />
degli stilobati e all’inizio <strong>del</strong>la curvatura <strong>del</strong><br />
fornice. La nicchia destra è riempita di legante<br />
misto a pietrisco in opera incerta. Dalla fotografia<br />
si nota anche che l’illuminazione elettrica sta<br />
sostituendo le lampade a petrolio. Via Carlo<br />
Torre è ormai un suggestivo e stretto vicolo<br />
dove salendo si osserva il bel pontile sovrastato<br />
ormai da una considerevole porzione di muratura.<br />
Il contesto architettonico <strong>del</strong>la zona <strong>del</strong>l’Arco<br />
<strong>del</strong> Sacramento risulta stabile, 20 quindi, nelle sue<br />
VINCENZO INTORCIA<br />
- 55 -<br />
caratteristiche principali fino ai bombardamenti<br />
anglo-americani che colpiscono Benevento nell’agosto<br />
e nel settembre <strong>del</strong> 1943, nel corso <strong>del</strong>la<br />
campagna di liberazione dal nazi-fascismo. Il<br />
Piano regolatore redatto da Luigi Piccinato nel<br />
1932 non prevedeva alterazioni rilevanti nella<br />
zona <strong>del</strong> centro storico e si pose comunque in<br />
maniera sostanzialmente eccentrica, per la considerazione<br />
deputata all’edilizia storica rispetto<br />
ai progetti in parte eseguiti in parte paventati<br />
dalla retorica <strong>del</strong> regime fascista, risultando tuttavia<br />
ineffettivo per l’ostracismo politico e l’avvento<br />
<strong>del</strong>la guerra; mentre neanche gli invocati<br />
interventi di risanamento <strong>del</strong>l’edilizia storica <strong>del</strong><br />
quartiere “Triggio”, subito a Sud <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento, ritenuta dall’ing. Antonio Fabrizio<br />
“meschine casupole”, furono mai attuati. 21<br />
L’area compresa tra piazza Orsini e piazza<br />
Cardinal Pacca fu una <strong>del</strong>le zone più colpite nel<br />
secondo conflitto bellico. Ad eccezione <strong>del</strong> campanile<br />
e <strong>del</strong>la facciata, il Duomo è completamente<br />
distrutto, altrettanto il Palazzo arcivescovile.<br />
Nello spazio ad Ovest <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento<br />
una profonda ferita si apre nel tessuto edilizio. Le<br />
case e l’Ospedale femminile di San Gaetano vengono<br />
rasi al suolo. Tra le macerie affiorano, dopo<br />
che erano stati coperti dalle abitazioni, i resti<br />
<strong>del</strong>le costruzioni romane <strong>del</strong>l’area <strong>del</strong> Foro.<br />
Agli inizi degli anni Cinquanta, dall’allora<br />
Sovrintendente A. De Franciscis, fu condotta una<br />
prima campagna di scavi: “Nella zona tra il<br />
Duomo ed il fiume Calore, dove attraverso gli<br />
eventi bellici s’erano rivelati numerosi ruderi<br />
antichi, si è sterrata un’area limitata prospiciente<br />
il fianco <strong>del</strong> Duomo. Son venuti in luce i resti<br />
di un grandioso edificio, probabilmente termale,<br />
d’età romana imperiale, che comprende in particolare<br />
una grande aula rettangolare con pilastri<br />
in muratura addossati alle pareti e con tracce<br />
di un doppio pavimento; una seconda aula,<br />
anch’essa con tracce di doppio pavimento e una<br />
suspensura; un’aula rettangolare col piano leggermente<br />
sopraelevato rispetto alle precedenti,<br />
con ingressi sui quattro lati, tracce <strong>del</strong>la volta ed<br />
elementi di un piano superiore, e con vasche<br />
quadrate nel pavimento, ma forse costituenti un<br />
rifacimento posteriore; infine una sala poligonale<br />
solo in parte esplorata, probabilmente a pian-
ta esagonale con vasca rivestita di lastre di<br />
marmo nel pavimento. Essendo i ruderi enucleati<br />
in abitazioni medievali e moderne, lo scavo ha<br />
dato scarsi reperti di materiale vario. Tra questi<br />
si nota qualche base e qualche mozzo di colonna<br />
ed un capitello corinzio, probabilmente pertinenti<br />
alla decorazione <strong>del</strong>l’edificio”. 22<br />
I complessi romani riportati in luce non furono<br />
però oggetto di un restauro dai criteri scientifici<br />
con la conseguente conservazione e valorizzazione<br />
dei ruderi emersi, né fino ai giorni<br />
nostri sono stati completamente liberati dalle<br />
abitazioni che ne incastellavano le strutture.<br />
Furono consolidati in fretta e qua e là furono<br />
eretti dei barbacani in tufo per puntellarli e preservarli<br />
da ulteriori demolizioni. Nell’area più a<br />
Sud subito ad Occidente <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento, è stato inoltre rinvenuto un secondo<br />
Arco romano, in posizione obliqua rispetto il<br />
nostro monumento, completamente inglobato in<br />
un’abitazione. Ad esso si ammorsa un tratto<br />
<strong>del</strong>la prima cinta difensiva longobarda in opus<br />
incertum. È possibile però osservare di questo<br />
altro Arco romano la struttura in opera di mattoni<br />
molto simile a quella <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento, e dal terreno affiorano due filari dei<br />
blocchi <strong>del</strong> basamento. Probabilmente questo<br />
Arco costituì un secondo ingresso da Sud all’area<br />
<strong>del</strong> Foro.<br />
Venendo adesso alla situazione <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento, si deve purtroppo registrare che<br />
nessun resoconto e relazione degli interventi<br />
subiti dal monumento è stata mai pubblicata<br />
dalla Soprintendenza. Dal materiale fotografico<br />
a disposizione è però possibile dedurre alcune<br />
conclusioni di come siano andate le vicende. È<br />
verosimile che l’Arco <strong>del</strong> Sacramento sia stato<br />
interessato a più riprese da restauri nel corso dei<br />
primi tre decenni dopo i bombardamenti. In un<br />
primo momento è infatti probabile che sia stato<br />
soltanto liberato, insieme all’area sulla quale<br />
insiste, dalle macerie <strong>del</strong>la guerra. Le prime fotografie<br />
di cui si è in possesso risalgono alla fine<br />
degli anni Cinquanta o agli inizi degli anni<br />
Sessanta. Alle spalle <strong>del</strong>l’Arco si vede già ricostruito<br />
il palazzo Arcivescovile edificato, insieme<br />
al Duomo, su progetto <strong>del</strong>l’architetto romano<br />
Paolo Rossi De Paoli, a partire dal 1952. 23 A<br />
SALTERNUM<br />
- 56 -<br />
monte <strong>del</strong>la zona è già stato costruito il palazzo<br />
(ex Upim), mentre ancora non sono stati innalzati<br />
gli altri edifici che come vedremo circonderanno<br />
l’area dalla metà degli anni Sessanta.<br />
L’Arco <strong>del</strong> Sacramento si presenta completamente<br />
isolato sia dalla fabbrica <strong>del</strong> vecchio<br />
Episcopio sia dalle case e dall’ospedale ad Occidente.<br />
Il pilastro ovest sulla facciata meridionale<br />
mostra di essere stato sventrato al momento<br />
<strong>del</strong>la liberazione dalle abitazioni, ed alcuni suoi<br />
blocchi giacciono ancora riversi sul terreno. I<br />
parallelepipedi <strong>del</strong>lo stilobate occidentale nel<br />
cantone esterno, invece, si presentano in buone<br />
condizioni poiché qui, probabilmente, la muratura<br />
<strong>del</strong>le abitazioni vi era solamente addossata.<br />
Si conservano bene lo zoccolo e la cimasa <strong>del</strong><br />
pilastro, e sono venute alla luce un pezzo <strong>del</strong>la<br />
piccola cornice di marmo che decorava l’Arco e<br />
più in su il solco da essa lasciata. Le nicchie<br />
sulle pilastrate sono state interamente svuotate,<br />
e l’arco non mostra più alcuna traccia di intonaco<br />
sulla muratura a vista di mattoni. Nella zona<br />
<strong>del</strong>l’attico il secondo arco di scarico è stato liberato<br />
dalle abitazioni ricavate sin dal Settecento,<br />
e alla sommità <strong>del</strong>l’archivolto è stato liberato dal<br />
secondo ambiente un tempo adibito a cucina<br />
<strong>del</strong>l’Episcopio. A destra <strong>del</strong> pilastro orientale<br />
<strong>del</strong>l’Arco è inoltre venuta allo scoperto una<br />
parte di muratura romana con due ordini di<br />
archi in mattoni che si ammorsa direttamente nel<br />
cantone <strong>del</strong> pilastro, e ad Est si congiunge con<br />
un'altra muraglia sempre romana di grossi blocchi<br />
di parallelepipedi di struttura pseudisodoma.<br />
24<br />
I profili generali murari <strong>del</strong>l’Arco, dunque, si<br />
mostrano abbastanza consunti, segno che dalla<br />
prima fase di liberazione <strong>del</strong>la struttura ancora<br />
non si è passati alla fase di consolidamento <strong>del</strong>la<br />
muratura. Faccio inoltre notare che sulla superficie<br />
<strong>del</strong> monumento sono cresciuti abbondantemente<br />
cespugli di vegetazione spontanea, indice,<br />
questo, che forse già da qualche anno l’Arco<br />
è stato interessato dal primo intervento.<br />
Nel volume di F. Romano edito nel 1968,<br />
all’interno di un paragrafo dedicato all’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento si legge la seguente informazione:<br />
“L’Arco, inferiore a quello di Traiano solo per<br />
le dimensioni e per le sculture, ultimamente è
stato oggetto di una frettolosa riparazione non<br />
secondo le regole <strong>del</strong> restauro dei monumenti.<br />
Per la piena valorizzazione <strong>del</strong> monumento è<br />
opportuno che si proceda alla sistemazione <strong>del</strong>la<br />
zona”. 25<br />
La fotografia a corredo <strong>del</strong> paragrafo, <strong>del</strong>la<br />
fine degli anni Sessanta (l’area <strong>del</strong> Sacramento si<br />
presenta difatti aggredita dalla mole dei palazzi<br />
moderni), ci mostra una situazione <strong>del</strong>le strutture<br />
<strong>del</strong>l’Arco molto diversa rispetto a quanto si<br />
poteva osservare nell’immediato dopoguerra. Il<br />
monumento, infatti, è stato interessato da un<br />
intervento volto al rafforzamento <strong>del</strong>le murature.<br />
Per quanto riguarda la facciata meridionale,<br />
nello stilobate Ovest, quello più danneggiato,<br />
nell’ultimo filare di pietre, in corrispondenza<br />
con l’apertura <strong>del</strong>l’edicola, il vuoto presente è<br />
stato colmato con una fascia di cemento. La stessa<br />
cosa si ripete alla base <strong>del</strong>l’altra nicchia nel<br />
pilastro orientale. Ma ad osservare bene tutta la<br />
muratura, si nota che un po’ in ogni punto dove<br />
la superficie in laterizi era disgregata, i fori sono<br />
stati riempiti con getti di cemento. Soprattutto in<br />
corrispondenza <strong>del</strong>l’imposta dei volti <strong>del</strong>le edicole,<br />
dove correvano le cornici marmoree, i solchi<br />
lasciati dalla loro asportazione sono stati<br />
ricoperti sempre con materiale cementizio. Un<br />
uso altrettanto abbondante se ne è fatto anche<br />
nella facciata settentrionale, nella corona <strong>del</strong> fornice,<br />
nei pilastri <strong>del</strong>le nicchie ed in modo veramente<br />
copioso nell’attico. Uno strato spesso di<br />
cemento, infine, ricopre come una fodera la<br />
sommità <strong>del</strong>l’attico e la spalla di muratura sopra<br />
la nicchia orientale. Riguardo il fronte settentrionale<br />
<strong>del</strong>l’Arco vi è da notare che qui <strong>del</strong>la decorazione<br />
marmorea originaria permangono attualmente<br />
una colonna sulla pilastrata occidentale<br />
(rifissata alla muratura in modo molto approssimativo),<br />
e due pezzi <strong>del</strong> fregio alla sommità di<br />
essa che lasciano intuire come fosse costituita la<br />
trabeazione. Lo spigolo nord-est <strong>del</strong> pilastro<br />
orientale, inoltre, ha perso i suoi blocchi calcarei<br />
<strong>del</strong> dado e <strong>del</strong>la cimasa, e salendo con lo<br />
sguardo si incontra nell’attico il passaggio che<br />
collegava l’ambiente installato nel secondo arco<br />
di scarico all’Ospedale di S. Gaetano.<br />
Il consolidamento <strong>del</strong>la muratura, però, non<br />
si è limitato solo a getti di cemento: soprattutto<br />
VINCENZO INTORCIA<br />
- 57 -<br />
ai lati <strong>del</strong>l’archivolto e nell’attico <strong>del</strong>la facciata<br />
meridionale, i profili <strong>del</strong>l’Arco sono stati ripristinati<br />
con <strong>del</strong> pietrisco di piccola grandezza <strong>del</strong><br />
tipo ad opus incertum. La medesima soluzione<br />
si osserva, in maniera più limitata, alla sommità<br />
<strong>del</strong>l’attico <strong>del</strong> fronte settentrionale. Ora, data la<br />
evidente disparità dei due metodi adottati, sembrerebbe<br />
quasi di trovarsi di fronte a due distinti<br />
interventi di restauro. Ad ogni modo se risulta<br />
<strong>del</strong> tutto accettabile la scelta di ripristinare le<br />
linee di inviluppo <strong>del</strong>l’Arco con la differenziazione<br />
però dei materiali e <strong>del</strong>l’opera muraria in<br />
pietrisco rispetto all’opera originale in laterizi<br />
<strong>del</strong>l’Arco (e questa soluzione rende subito evidenti<br />
gli inserti come opera moderna ma non<br />
fortemente dissonante nei confronti <strong>del</strong>l’opera<br />
antica, secondo i corretti principi <strong>del</strong> restauro<br />
dei monumenti che mirano anzitutto a consolidare<br />
la struttura per trasmetterla al futuro nel<br />
rispetto <strong>del</strong>l’istanza estetica <strong>del</strong> monumento,<br />
senza commettere un falso artistico e un falso<br />
storico) appare al contrario <strong>del</strong> tutto approssimativa,<br />
superficiale, poco decorosa e irrispettosa,<br />
la rappezzatura <strong>del</strong>le chiazze di cemento,<br />
che sembra essere stato applicato in maniera<br />
frettolosa, senza alcun riguardo per l’estetica <strong>del</strong><br />
monumento.<br />
Ma il fattore che ha compromesso maggiormente<br />
una corretta conservazione <strong>del</strong>l’area<br />
monumentale <strong>del</strong>l’Arco fu lo sviluppo urbanistico<br />
<strong>del</strong> dopoguerra. Il Piano di Ricostruzione<br />
post-bellica <strong>del</strong> 1947, 26 infatti, che rimase in<br />
sostanza in vigore fino all’approvazione <strong>del</strong><br />
Piano Regolatore <strong>del</strong> 1970, 27 consentì un’elevata<br />
proliferazione <strong>del</strong>le volumetrie nell’edificazione<br />
dei nuovi edifici, anche per quelli subentranti<br />
sul suolo <strong>del</strong>le abitazioni distrutte nel centro storico.<br />
Così nel corso degli anni Cinquanta e<br />
Sessanta vediamo sorgere nell’intorno <strong>del</strong><br />
Duomo e <strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento tutta una<br />
serie di costruzioni che superano costantemente<br />
i sette piani di altezza. I caratteri architettonici e<br />
ambientali <strong>del</strong>l’area storica di via Carlo Torre<br />
sono stati in questo modo irrimediabilmente<br />
compromessi. Scomparsa quasi <strong>del</strong> tutto l’edilizia<br />
minore prebellica che, seppur priva di specifici<br />
caratteri monumentali, garantiva comunque<br />
una compatta armonia <strong>del</strong>l’insieme <strong>del</strong> costruito,
l’area <strong>del</strong>l’Arco è soffocata dall’arroganza speculativa<br />
<strong>del</strong>le costruzioni moderne. Né il Piano<br />
regolatore di Luigi Piccinato <strong>del</strong> 1958, 28 che prevedeva<br />
una più contenuta e tipologicamente<br />
corretta ricostruzione edilizia, insieme all’individuazione<br />
di diverse aree di salvaguardia nel<br />
centro storico soprattutto quella nella zona <strong>del</strong><br />
Teatro, riuscì ad invertire la tendenza, perché<br />
prima osteggiato e poi reso ineffettivo dal ‘partito<br />
dei costruttori’.<br />
Ma la vicenda che di più ha pregiudicato i<br />
valori storici <strong>del</strong>l’area fu la concessione di una<br />
licenza edilizia per una costruzione a soli pochi<br />
metri ad Ovest <strong>del</strong>l’Arco, nel cuore <strong>del</strong>la zona di<br />
grande rilevanza archeologica: “A seguito di una<br />
edificazione avviata alla fine degli anni ’60 in<br />
attuazione di un superficiale Piano di<br />
Ricostruzione, l’area si presenta, ad una lettura<br />
aerea, nettamente divisa in due parti…la parte<br />
più vicina all’Arco <strong>del</strong> Sacramento è stata interessata,<br />
a partire dai primi anni ’60, da una<br />
campagna di scavi archeologici che una poco<br />
esigente (rispetto agli attuali criteri conservativi)<br />
Soprintendenza archeologica ritenne all’epoca<br />
di poter concludere senza necessità di preservare<br />
alcuna struttura. Sull’area di tale scavo venne<br />
avviata la costruzione di un grande (circa<br />
14.000 metri cubi) edificio residenziale. Di tale<br />
edificio, interrotto per la decadenza <strong>del</strong>la<br />
Licenza Edilizia fortunatamente non rinnovata,<br />
restano oggi le fondazioni e gli imponenti pilastri”.<br />
29<br />
Dunque sull’area <strong>del</strong>l’antico Foro romano fu<br />
prima concessa, e poi avallata finanche dal giudizio<br />
<strong>del</strong>la Soprintendenza competente la<br />
costruzione di un edificio di sette piani.<br />
SALTERNUM<br />
- 58 -<br />
Nel 1970, però, il Comune aveva approvato il<br />
nuovo Piano Regolatore e all’atto <strong>del</strong>la richiesta<br />
<strong>del</strong> rinnovo <strong>del</strong>la Licenza Edilizia presentò il suo<br />
diniego. Purtroppo, nel frattempo, il getto <strong>del</strong>le<br />
fondazioni era già stato effettuato, ed erano stati<br />
innalzati una serie di pilastri in cemento armato.<br />
In attesa che se ne decidesse il nuovo destino,<br />
l’intera area di via Carlo Torre fu lasciata al<br />
degrado e assalita dallo sviluppo spontaneo<br />
<strong>del</strong>la vegetazione, completamente in abbandono<br />
per oltre un trentennio.<br />
Il Piano Particolareggiato <strong>del</strong> centro storico in<br />
attuazione al P.G.R. <strong>del</strong> Settanta, redatto da Bruno<br />
Zevi e Sara Rossi, che prevedeva un progetto di<br />
massima per la riqualificazione <strong>del</strong>l’area, vide la<br />
sua stesura, infatti, solo nel 1978, 30 per essere<br />
però ritirato nel 1982 a seguito <strong>del</strong>le urgenti problematiche<br />
urbanistiche emerse dopo il terremoto<br />
<strong>del</strong> 1980 che colpì la città di Benevento. Nel<br />
1985 si decise così la redazione di una Variante<br />
Generale al Piano Regolatore, che comportò la<br />
progettazione di ulteriori Piani Particolareggiati,<br />
affidati sempre al gruppo Zevi-Rossi, approvati<br />
nel 1989. 31 La zona ad Ovest <strong>del</strong> Duomo viene<br />
quindi indicata come area interessata ad un Piano<br />
di Recupero in base alle prescrizioni <strong>del</strong> piano<br />
particolareggiato <strong>del</strong> 1989. Solo alle soglie <strong>del</strong><br />
Duemila si giunti però al bando di un “Concorso<br />
nazionale di progettazione per il recupero e la<br />
valorizzazione <strong>del</strong>l’area nodale Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento” per tentare di offrire una decorosa<br />
sistemazione ad una <strong>del</strong>le più importanti zone,<br />
carica di memorie, <strong>del</strong> tessuto urbanistico e <strong>del</strong><br />
patrimonio storico-artistico di Benevento.
NOTE<br />
1 R. GARRUCCI, 1875, pp. 78-79.<br />
2 E. ISERNIA, 1895, p. 424 vol. I, p. 145 vol. II; D. PETROCCIA, in<br />
F. ROMANO, 1968, p. 115.<br />
3 M. ROTILI, 1986, pp. 86-87.<br />
4 A ZAZO, Le chiese parrocchiali di Benevento <strong>del</strong> XII-XIV<br />
secolo, in “Samnium” 1959, n. 1/2, p. 98.<br />
5 S. BORGIA, 1769, ristampa fotomeccanica 1968, vol. II. p. 420,<br />
6 D. PETROCCIA, 1968, p. 130.<br />
7 Un’indicazione in proposito potrebbe essere fornita dalla<br />
pietra sicuramente non appartenente alla costruzione originaria<br />
sullo stilobate ovest, nel fronte nord, posta alla sommità<br />
<strong>del</strong> dado, con il lato verso l’esterno che presenta la raffigurazione<br />
di un vaso da cui fuoriescono dei tralci. Come<br />
argomentato, infatti, l’Arco in epoca romana dovette certamente<br />
essere rivestito da lastre di marmo, la qual cosa, quindi,<br />
fa escludere che tale blocco si trovasse in opera originariamente<br />
al di sotto <strong>del</strong>la fodera marmorea, né la consuetudine<br />
costruttiva dei romani, che per queste costruzioni usavano<br />
materiale tutto prodotto ex novo, induce a pensare<br />
contrariamente. Si deve perciò concludere che già in epoca<br />
medievale, l’Arco <strong>del</strong> Sacramento, già spoglio di parte <strong>del</strong><br />
suo rivestimento, fu interessato da un intervento di consolidamento<br />
e sistemazione <strong>del</strong>le sue strutture che portò alla<br />
collocazione sullo stilobate di questo blocco.<br />
8 A. MEOMARTINI, 1889, p. 224.<br />
9 M. TURDEK, 1965; “Cardinale Agostino Oregio <strong>del</strong> tit. di S.<br />
Sisto, Arcivescovo LVI eletto da papa Urbano VIII a’ 17 di<br />
novembre 1633. Ne prese il possesso a’ 16 di dicembre <strong>del</strong>lo<br />
stesso anno. Sedette un anno, mesi sette, giorni 25. Morì in<br />
Benevento a’ 12 di luglio 1635; P. SARNELLI, 1691, p. 151.<br />
10 Il lungo episcopato (1686-1724) a Benevento di frate<br />
Vincenzo Maria Orsini <strong>del</strong>l’ordine dei Predicatori, lascia un<br />
impronta sulla città <strong>del</strong>la sua forte personalità, <strong>del</strong> magistero<br />
<strong>del</strong>la Chiesa e, soprattutto, segna il volto di un notevole<br />
cambiamento nel tessuto urbano e nei suoi monumenti. G.<br />
GIORDANO, L’impegno missionario <strong>del</strong> card. V. M. Orsini,<br />
Benevento 1982, p. 29; per una fonte diretta vedi: I primi<br />
diari beneventani <strong>del</strong> card. V.M.Orsini, a cura di G.<br />
GIORDANO, Benevento 1984. La prova di gran lunga più difficile<br />
e gravosa per il cardinale Orsini e per Benevento furono<br />
i terremoti distruttori <strong>del</strong> 5 giugno 1688 e <strong>del</strong> 14 marzo<br />
1702, che rovinarono in macerie copiosa parte <strong>del</strong> costruito.<br />
Lo stesso Orsini, sorpreso nel suo palazzo e fortunosamente<br />
scampato ai crolli, lo vediamo subito affaccendarsi tra i detriti<br />
e, per la ricostruzione, attingere al suo patrimonio personale<br />
di famiglia, chiamare in città gli architetti: Raguzzini,<br />
Buratti e Nauclerio. Gli eventi sismici arrecano gravi danni e<br />
aprono ferite in vari punti di Benevento, in particolare nell’area<br />
che ci interessa, dov’è sito l’Arco <strong>del</strong> Sacramento, notevoli<br />
guasti vengono riportati dalla Cattedrale e dal palazzo<br />
vescovile. L’Orsini, che non ama il fasto barocco dei superflui<br />
ornamenti, degli apparati teatrali, nella ricostruzione<br />
sembra già orientato verso quella semplificazione e sobrietà<br />
<strong>del</strong>le architetture e decorazioni che nel giro di pochi anni<br />
spingeranno, soprattutto con anticipo a Roma, le forme <strong>del</strong><br />
Barocco non verso l’evanescenza <strong>del</strong> Rococò, ma nel solco<br />
<strong>del</strong>la stagione neoclassica. Applica, quindi, alle strutture<br />
danneggiate e nelle ricostruzioni quella sua particolare visione<br />
<strong>del</strong> ‘restauro’ che si concretizza: “nel ridurre la proporzione<br />
degli edifici alla simmetria <strong>del</strong>lo spazio”. Una pratica, non<br />
bisogna dimenticare, dettata anche dalle necessità economi-<br />
VINCENZO INTORCIA<br />
- 59 -<br />
che. Di questo tono sono proprio gli interventi che porteranno<br />
all’abbattimento di una <strong>del</strong>le navate <strong>del</strong>la Cattedrale, precisamente<br />
quella retrostante il campanile, e la ricostruzione<br />
<strong>del</strong> palazzo arcivescovile alla chiesa contiguo. S. BASILE,<br />
Restauri settecenteschi a Benevento, in “Samnium”, Napoli n.<br />
3/4, 1970.<br />
11 Dalla fine <strong>del</strong> Settecento e soprattutto nel corso<br />
<strong>del</strong>l’Ottocento, l’Italia è la meta prediletta di viaggiatori, artisti,<br />
uomini di cultura. Al di là di personaggi molto conosciuti<br />
come Goethe o Stendhal, è tutta la società europea di certa<br />
una certa cultura <strong>del</strong>l’epoca ad essere attratta dalle bellezze<br />
artistiche e dal patrimonio storico <strong>del</strong> nostro Paese. Così, da<br />
autodidatti, o alla fine dei corsi di studi alle accademie <strong>del</strong>le<br />
belle arti di tutta Europa, i giovani venivano in Italia per<br />
quello che fu detto il grand tour <strong>del</strong>la cultura, tappa ormai<br />
quasi obbligata di una completa formazione. Le soste principali<br />
erano naturalmente le città di Roma, Napoli, Milano,<br />
Firenze, Genova, Bologna, Venezia, e i viaggiatori affascinati<br />
dai paesaggi naturali e artistici lasciavano spesso nei loro<br />
diari i resoconti <strong>del</strong>le impareggiabili bellezze visitate. Anche<br />
numerosi artisti si spostavano, attratti dalle opere <strong>del</strong>l’antichità,<br />
diffondendo, tramite i loro quaderni di vedute e di<br />
‘viaggi pittoreschi’, l’immagine dei luoghi osservati. In tutto<br />
questo pellegrinaggio di ‘turisti’ (sicuramente più coscienti e<br />
preparati dei loro corrispettivi contemporanei), la città di<br />
Benevento, pur non essendo al centro dei percorsi principali,<br />
attirava anch’essa numerosi artisti italiani e stranieri. Da<br />
Luigi Vanvitelli a Carlo Labruzzi, da Gian Paolo Pannini a<br />
Jean Du Plessys Berteaux, Saverio Casselli, Achille Vianelli,<br />
Nicola Palizzi, fino al grande Giovan Battista Piranesi, soprattutto<br />
richiamati dal maestoso esempio <strong>del</strong>l’Arco di Traiano,<br />
ma affascinati poi anche dagli altri monumenti quali il<br />
Teatro, il Ponte Leproso, i Santi Quaranta, e da aspetti caratteristici<br />
<strong>del</strong>le vie di Benevento che seducevano la curiosità<br />
<strong>del</strong> loro occhio, ci lasciarono stupendi disegni e testimonianze<br />
<strong>del</strong>la città <strong>del</strong>l’epoca (cfr. G. ANIELLO, 1982).<br />
12 Artista abilissimo nello schizzo e nella veduta, venne a<br />
Roma al seguito <strong>del</strong> conte Tessè. Collaborò, così, largamente<br />
al Voyage pittoresque <strong>del</strong> Saint-Non. A 69 anni, per incarico<br />
di Napoleone, diresse la pubblicazione di una monumentale<br />
opera dedicata all’Egitto. E. GALASSO (a cura di), 1965, p. 23<br />
13 Il nome suggerisce che ormai nel Settecento il monumento<br />
non veniva già più considerato nelle sue caratteristiche<br />
originali di arco onorario, ma secondo la funzione urbanistica<br />
storica di porta <strong>del</strong>la città medievale.<br />
14 A. MEOMARTINI, 1889, pp. 234-235.<br />
15 In questa pianta, infatti, le sagome degli edifici sono <strong>del</strong>ineati<br />
in maniera schematica secondo i loro contorni di massima,<br />
non seguendo una misurazione reale poi riportata<br />
sulla mappa in scala. Per le maggiori emergenze monumentali<br />
invece si ricorre ad una rappresentazione degli edifici in<br />
alzato, ma la raffigurazione assume più una valenza descrittiva<br />
non seguendo le regole <strong>del</strong>la prospettiva. Tuttavia, nel<br />
suo complesso, la Pianta <strong>del</strong> Piazzella <strong>del</strong>inea un’attendibile<br />
viabilità <strong>del</strong>la città pontificia di Benevento, dei suoi contorni<br />
dentro le mura e <strong>del</strong>la posizione dei maggiori edifici.<br />
16 Formatosi a Bologna e a Roma, operò quale architetto in<br />
molte città italiane, collaborando con il Canova nei disegni<br />
per la chiesa di Possagno. Gli studi prospettici per la basilica<br />
di S. Pietro a Roma furono i suoi primi tentativi nel campo<br />
<strong>del</strong>l’incisione, dove in breve tempo acquistò larga fama. Le<br />
stampe di soggetto beneventano, comprese nella raccolta Gli
archi di trionfo degli antichi Romani (1836) e nel Viaggio<br />
pittoresco da Roma a Napoli (1839) mostrano l’influsso di<br />
Piranesi. E. GALASSO (a cura di), 1965, p. 24.<br />
17 M. BOSCIA- F. BOVE, in F. ROMANO, 1968, p. 153.<br />
18 A. MEOMARTINI, 1889, p. 219.<br />
19 A. MEOMARTINI, 1889, pp. 231-232.<br />
20 Devo però riportare in nota il commento ad una fotografia<br />
<strong>del</strong>l’Arco <strong>del</strong> Sacramento che suscita alcuni interrogativi non<br />
facili da risolvere nella scarsità <strong>del</strong>le informazioni a disposizione.<br />
A pagina 204 <strong>del</strong> volume di F. ROMANO, <strong>del</strong> 1968, è<br />
infatti pubblicata un’immagine <strong>del</strong>l’Arco con una didascalia<br />
che reca genericamente: “L’Arco <strong>del</strong> Sacramento nell’anteguerra”.<br />
Il commento non specifica null’altro e non mi è<br />
stato possibile trovare gli estremi cronologici di detta fotografia.<br />
Intanto questa è l’unica immagine un po’ indietro nel<br />
tempo che mostra la facciata settentrionale <strong>del</strong>l’Arco, e purtroppo<br />
appare non di buona qualità ed è abbastanza sfocata.<br />
Come detto in precedenza qui si notano ancora le decorazioni<br />
nelle pilastrate e nell’archivolto fatte eseguire probabilmente<br />
dal vescovo Oregio (1633-1635). Le perplessità<br />
nascono però dal fatto che da un confronto tra la suddetta<br />
fotografia e le foto di fine Ottocento e di inizio Novecento<br />
che si è adesso esaminate, la situazione <strong>del</strong>l’Arco appare<br />
molto diversa tra i due termini di paragone. Se si prende per<br />
buona la didascalia <strong>del</strong>la foto di Romano, bisognerebbe<br />
necessariamente concludere invece che la zona e l’Arco <strong>del</strong><br />
Sacramento hanno subito profondi mutamenti. Innanzitutto<br />
l’Arco mostra di aver perso al di sopra <strong>del</strong> fornice i due piani<br />
di costruzione ancora sussistenti fino agli inizi <strong>del</strong><br />
Novecento. I contorni est e ovest sono inoltre liberi e non<br />
più completamente inglobati nelle fabbriche <strong>del</strong>l’Episcopio e<br />
<strong>del</strong>l’Ospedale. In via Carlo Torre non si vedono più i prospetti<br />
degli edifici che si congiungevano all’Arco, come<br />
mostrano diversamente le vedute sotto il fornice <strong>del</strong>le foto<br />
antecedenti, e al posto di queste costruzioni vi sono due<br />
muri rettilinei. L’atmosfera <strong>del</strong>la strada appare dunque libera<br />
e ariosa, in netto contrasto con le indicazioni sin qui accumulate.<br />
Si sarebbe quindi indotti a considerare che tra le due<br />
guerre siano intervenuti profondi mutamenti. Ma l’entità<br />
stessa dei cambiamenti a mio avviso non giustifica la collocazione<br />
<strong>del</strong>l’immagine tra i due conflitti bellici mondiali.<br />
Sono invece propenso a credere che la foto riproduca una<br />
situazione già posteriore ai bombardamenti, che spiegherebbero<br />
meglio le variazioni. Come esporrò nelle pagine<br />
seguenti, sono convinto che l’Arco <strong>del</strong> Sacramento fu interessato<br />
non da uno, ma da più interventi di restauro nel<br />
corso <strong>del</strong>la fine degli anni Quaranta e negli anni Cinquanta<br />
<strong>del</strong> Novecento. L’immagine di Romano potrebbe allora testimoniare<br />
una situazione intermedia in questi due decenni,<br />
SALTERNUM<br />
- 60 -<br />
una situazione in evoluzione dunque, in progresso, come a<br />
mio parere suggerisce il fatto che nella zona <strong>del</strong>l’attico è presente<br />
una piccola apertura che poi verrà chiusa in concomitanza<br />
con lo svuotamento <strong>del</strong> secondo arco; inoltre, la sommità<br />
<strong>del</strong>l’attico mostra già un contorno netto e deciso non<br />
facilmente ipotizzabile se non in seguito ad un restauro di<br />
chiusura <strong>del</strong>l’alto <strong>del</strong>l’Arco per preservarlo dalle infiltrazioni<br />
degli agenti atmosferici. Infine, il Palazzo arcivescovile, che<br />
prima risultava a filo con la muratura interna <strong>del</strong> pilastro<br />
orientale, non si vede più poiché dopo i bombardamenti che<br />
lo distrussero fu ricostruito leggermente più indietro rispetto<br />
al piano <strong>del</strong> profilo stradale e quello spazio, che adesso nella<br />
foto di Romano è chiuso da un muretto, verrà infine serrato<br />
da una ringhiera per <strong>del</strong>imitare l’accesso alle proprietà <strong>del</strong>la<br />
chiesa, così come è possibile vedere ai giorni nostri.<br />
21 A. BOSCO-P. IADICCIO, in F. ROMANO, 1968, p. 168; G.<br />
VERGINEO, 1985, p. 290; A. FABRIZIO, La bonifica <strong>del</strong> Triggio e<br />
lo scoprimento <strong>del</strong> Teatro Romano, “Il Sannio Fascista”, VII,<br />
n.11, 18 gennaio 1935, p. 3.<br />
22 A DE FRANCISCIS, Benevento. Scavi in “Fasti Archeologici”,<br />
1953, vol. VI, 4573, pp. 346-347.<br />
23 A. JELARDI, 2000, p. 77. La consacrazione <strong>del</strong> nuovo Duomo<br />
avvenne nel 1965.<br />
24 Tale porzione adiacente all’Arco era stata già osservata dal<br />
Meomartini che scriveva: “Da un contiguo sotterraneo <strong>del</strong>l’episcopio<br />
ebbi l’opportunità di osservare che la parete orientale<br />
<strong>del</strong>la pilastrata <strong>del</strong> nostro monumento è libera dalle fabbriche<br />
<strong>del</strong>l’episcopio stesso, essendovi un profondo vuoto<br />
(serve di pozzo nero), ed è rivestita tutta di mattoni. Di là<br />
ebbi occasione di scovrire che parallelamente a detta parete<br />
esiste ancora una muraglia romana, di grossi parallelepipedi<br />
calcarei di struttura pseudisodoma, la quale verrebbe tutta<br />
in luce, ove si demolisse appena il cantone sud-ovest <strong>del</strong><br />
muro <strong>del</strong> giardino <strong>del</strong>l’episcopio, dove al presente esiste una<br />
fontana pubblica”. A. MEOMARTINI, 1889, p. 232. Il cantone<br />
esterno <strong>del</strong> pilastro orientale è, infatti, in buono stato di conservazione<br />
dopo la liberazione poiché, come abbiamo adesso<br />
visto, qui il vecchio palazzo Arcivescovile lasciava un<br />
vuoto.<br />
25 F. ROMANO, 1968, p. 204.<br />
26 A. BOSCO-P. IADICCIO, in F. ROMANO, 1968. p. 169.<br />
27 Ibidem, p. 172.<br />
28 A. JELARDI, 2000, p. 85.<br />
29 G. IADICICCO, P. PALMIERI (a cura di), 2000, p. 15.<br />
30 Quando la zona fu finalmente sottoposta a vincolo urbanistico<br />
ai sensi <strong>del</strong>la legge 1089 <strong>del</strong> 1939. G. IADICICCO, P.<br />
PALMIERI (a cura di), 2000, p. 15.<br />
31 F. BENCARDINO, 1991, p. 84.
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G. IADICCIO, P. PALMIERI (a cura di), Arco <strong>del</strong> Sacramento,<br />
progetti a concorso, Napoli 2000.<br />
A. JELARDI, Benevento antica e moderna, architettura e<br />
urbanistica dall’Unità d’Italia, Benevento 2000.
BIANCA<br />
CANCELLARE
CARLO EBANISTA<br />
La cristianizzazione <strong>del</strong>le aree funerarie nella tarda<br />
antichità: il caso di Cimitile/Nola<br />
Le necropoli di Nola<br />
Sebbene non manchino testimonianze di<br />
sepolcreti nella zona orientale <strong>del</strong>l’attuale<br />
centro urbano di Nola, le principali<br />
aree cimiteriali sorgevano a Nord-Ovest <strong>del</strong>l’abitato<br />
romano 1 . In via S. Massimo, tanto per<br />
segnalare i rinvenimenti di età tardoantica, sono<br />
state scoperte sepolture in anfora e alla cappuccina<br />
che hanno restituito monete di III-IV secolo<br />
d.C. 2 , mentre in via Anfiteatro Laterizio, presso<br />
la necropoli preromana, è stato individuato<br />
uno scarico contenente numerosissimi frammenti<br />
ceramici databili tra il II e il IV secolo d.C. 3 .<br />
Nella località Torricelle, che prende il nome dai<br />
due mausolei visibili ad Ovest <strong>del</strong>la città 4 (fig. 1),<br />
la necropoli sembra disporsi ai lati di un percorso<br />
stradale con orientamento nord-sud che<br />
mostra segni di usura e ricalca forse un percorso<br />
più antico: oltre a tombe ad inumazione di<br />
prima e media età imperiale, sono venute alla<br />
luce sepolture infantili in anfore, a cassa di tufo,<br />
a fossa semplice o alla cappuccina; in uno dei<br />
sarcofagi tufacei, ai piedi <strong>del</strong>la defunta, era<br />
deposto un gruzzolo di dieci sesterzi <strong>del</strong>la prima<br />
metà <strong>del</strong> III secolo d.C. 5 .<br />
Nel suburbio settentrionale, in corrispondenza<br />
<strong>del</strong>l’attuale territorio comunale di Cimitile, è<br />
stata individuata un’area cimiteriale costituita da<br />
una quindicina di mausolei in opus vittatum<br />
mixtum e da tombe sub divo 6 (fig. 2). Le sepolture<br />
in laterizi si succedevano con ordine perfetto<br />
in lunghe <strong>file</strong> all’aperto o serrate entro locali<br />
in gruppi ordinati 7 . I mausolei, che oltre alle<br />
tombe terragne accoglievano arcosoli e sarcofagi<br />
in marmo, corrispondevano in prevalenza ad<br />
unità familiari, destinate purtroppo a rimanere<br />
senza nome perché non si conosce la prove-<br />
- 63 -<br />
Fig. 1 - Nola, località Torricelle. Mausoleo funerario di età romana.<br />
Fig. 2 - Cimitile,<br />
l’area sepolcrale<br />
alla fine <strong>del</strong> III secolo,<br />
pianta ricostruttiva.<br />
nienza esatta <strong>del</strong>le iscrizioni 8 . La presenza di<br />
un’urna cineraria strigilata (fig. 3) risalente al I-<br />
II d.C. potrebbe costituire un utile elemento<br />
datante, qualora ne fosse accertata con sicurezza<br />
la pertinenza al sepolcreto 9 . Analoga considerazione<br />
va fatta per le due lastre di fregio-architrave<br />
con raffigurazioni d’armi anch’esse sistemate<br />
nell’Antiquarium (primo trentennio <strong>del</strong> II<br />
secolo d.C.), laddove fosse provata la loro<br />
appartenenza ad un mausoleo funerario 10 .<br />
L’assoluta predominanza <strong>del</strong>le inumazioni<br />
rispetto al rito <strong>del</strong>l’incinerazione, attestato soltanto<br />
dall’urna (per la quale non si può esclude-
Fig. 3 - Cimitile.<br />
Antiquarium, urna<br />
strigilata.<br />
re <strong>del</strong> tutto la provenienza da un’altra area cimiteriale)<br />
e da tre nicchie (non è chiaro se effettivamente<br />
destinate a cinerari) esistenti nel mausoleo<br />
7, sembrerebbe indicare che il sepolcreto<br />
sorse nel III secolo d.C. 11 . Nella necropoli di<br />
Porto all’Isola Sacra, ad esempio, a partire dai<br />
primi decenni <strong>del</strong> II secolo è documentata la<br />
compresenza dei riti <strong>del</strong>l’incinerazione e <strong>del</strong>l’inumazione,<br />
mentre dal secolo successivo si assistette<br />
alla graduale scomparsa <strong>del</strong>le nicchie per<br />
urne cinerarie e alla massiccia diffusione <strong>del</strong>le<br />
inumazioni 12 . I due sarcofagi marmorei con<br />
scene mitologiche tuttora conservati a Cimitile<br />
(fig. 4) attestano la presenza nel cimitero di strati<br />
sociali privilegiati, almeno sotto il profilo eco-<br />
Fig. 4 - Cimitile. Antiquarium, sarcofago con mito di Endimione.<br />
SALTERNUM<br />
- 64 -<br />
nomico 13 . Non va escluso che questa necropoli,<br />
ubicata a circa 1,5 km a Nord <strong>del</strong>la città romana,<br />
sia sorta in relazione alla popolazione residente<br />
nelle adiacenti ville rustiche; è noto, infatti, che<br />
soprattutto nelle aree più lontane dalle città in<br />
età imperiale si trovavano piccoli sepolcreti relativi<br />
per lo più a ville o fattorie che si estendevano<br />
direttamente sulle strade di passaggio o nelle<br />
immediate vicinanze <strong>del</strong>la villa di pertinenza 14 .<br />
La tomba di S. Felice e la cristianizzazione<br />
<strong>del</strong>la necropoli settentrionale<br />
Alla fine <strong>del</strong> III secolo d.C. nella necropoli a<br />
Nord di Nola fu seppellito il sacerdote Felice,<br />
morto il 14 gennaio di un anno a noi sconosciuto;<br />
prestigioso esponente <strong>del</strong>la locale comunità<br />
cristiana, Felice aveva amministrato la Chiesa<br />
nolana durante l’assenza forzata <strong>del</strong> vescovo<br />
Massimo, rinunciando però a succedergli nella<br />
carica 15 . Qualche decennio prima <strong>del</strong>la deposizione<br />
di S. Felice si era formato un nucleo di<br />
deposizioni cristiane con tombe ornate di affreschi<br />
16 . Le scene veterotestamentarie dipinte nel<br />
mausoleo 13 nella seconda metà <strong>del</strong> III secolo<br />
indicano, infatti, l’appartenenza <strong>del</strong>l’ambiente<br />
funerario a membri <strong>del</strong>la comunità cristiana 17 .
Paolino di Nola nel carme 18, composto per<br />
il 14 gennaio 400, riferisce che S. Felice fu seppellito<br />
in una solitaria e profumata campagna,<br />
ma non fornisce indicazioni sulla tipologia <strong>del</strong>la<br />
sepoltura 18 . Gli scavi hanno invece appurato che<br />
il santo fu inumato in una tomba terragna in<br />
laterizi (usm 892) nell’ambito <strong>del</strong>la preesistente<br />
necropoli 19 (fig. 2). La sepoltura, orientata secondo<br />
l’asse est-ovest, fu costruita sul terreno vergine,<br />
a breve distanza dal mausoleo 1. Il fondo<br />
venne costituito da quattro mattoni: sull’esemplare<br />
situato più ad Ovest fu realizzato il cuscino<br />
funebre in malta con incavo centrale per<br />
accogliere il capo <strong>del</strong> defunto. Per la copertura<br />
s’impiegarono tre grossi laterizi decorati, sul<br />
piatto inferiore, da una sorta di T (con il tratto<br />
orizzontale leggermente ricurvo) realizzata con<br />
la pressione <strong>del</strong> dito sull’argilla ancora fresca. La<br />
circostanza che la sepoltura 892 fu impiantata<br />
sul terreno vergine potrebbe giustificare, in un<br />
certo senso, quanto Paolino dice a proposito<br />
<strong>del</strong>la deposizione di S. Felice in una solitaria<br />
campagna 20 .<br />
S. Felice, come hanno accertato gli scavi, fu<br />
deposto a Sud di una tomba con orientamento<br />
est-ovest (usm 893), impiantata sul terreno vergine;<br />
realizzata anch’essa in laterizi, la sepoltura<br />
venne completamente rivestita all’interno da<br />
lastre di marmo 21 . Il rivestimento marmoreo indica<br />
che si tratta di un sepoltura privilegiata, relativa<br />
ad un esponente di rilievo <strong>del</strong>la societas<br />
christiana di Nola; non va escluso che possa<br />
trattarsi <strong>del</strong> vescovo Massimo, contemporaneo<br />
di S. Felice. A Nord <strong>del</strong>la tomba 893 è stata scoperta<br />
la forma 894, rivestita di marmo e impiantata<br />
quasi alla stessa quota <strong>del</strong> sepolcro di S.<br />
Felice; è stato supposto che questa tomba sia<br />
appartenuta al vescovo Quinto, successore di<br />
Massimo sulla cattedra nolana 22 .<br />
Nei primi anni <strong>del</strong> IV secolo, anteriormente<br />
alla pace religiosa, le sepolture 892, 893 e 894<br />
furono racchiuse da un piccolo edificio quadrato<br />
(mausoleo A), cui si accedeva da Sud in rapporto<br />
alla strada che giungeva da Nola.<br />
Realizzato in opus vittatum mixtum, l’ambiente<br />
era rivestito all’esterno da un intonaco dipinto in<br />
rosso; all’interno, invece, le pareti erano affrescate<br />
con un motivo ad imitazione <strong>del</strong>l’opus sec-<br />
CARLO EBANISTA<br />
- 65 -<br />
Fig. 5 - Lastra<br />
con i due fori e il<br />
crioforo sulla tomba<br />
di S. Felice.<br />
Fig. 6 - Il mausoleo A, ricostruzione assonometrica.<br />
tile 23 . Qualche tempo dopo la costruzione <strong>del</strong><br />
mausoleo A, la tomba di S. Felice venne interessata<br />
da un intervento volto a consentire alla<br />
comunità cristiana una più adeguata venerazione<br />
24 . L’operazione comportò l’innalzamento <strong>del</strong><br />
calpestio e la parziale distruzione <strong>del</strong>l’affresco: i<br />
due laterizi, che coprivano la parte occidentale<br />
<strong>del</strong>la tomba, furono incavati e sfondati per sistemarvi<br />
un vaso marmoreo a corpo troncoconico<br />
terminante con un puntale. Il recipiente, che<br />
venne a trovarsi pressappoco all’altezza <strong>del</strong> torace<br />
<strong>del</strong> defunto, fu murato tra due strati di malta<br />
con interposto piano di laterizi. Su questo con-
Fig. 8 - Epigrafe di un diacono morto nel 541.<br />
Fig. 7 -<br />
Cimitile.<br />
L’area<br />
sepolcrale<br />
alla fine <strong>del</strong> III<br />
secolo, pianta<br />
ricostruttiva.<br />
Fig. 9 - Ricostruzione assonometrica <strong>del</strong>l’aula ad corpus e <strong>del</strong> mausoleo<br />
15 (prima metà <strong>del</strong> IV secolo).<br />
glomerato e sull’orlo <strong>del</strong> vaso, pressappoco in<br />
quota con la soglia <strong>del</strong> mausoleo A, venne sistemata<br />
una lastra marmorea di reimpiego (fig. 5)<br />
che in origine doveva essere inquadrata, su<br />
almeno tre lati, da una cornice con fregio vegetale,<br />
da un listello e da un kyma lesbio. Il fregio<br />
che decorava verosimilmente il quarto lato <strong>del</strong>la<br />
SALTERNUM<br />
- 66 -<br />
lastra (quello attualmente rivolto verso Sud)<br />
dovette scomparire in occasione <strong>del</strong> reimpiego,<br />
allorché il marmo fu tagliato fino ad assumere<br />
una larghezza di 81 cm. Nel campo centrale<br />
venne scolpito a rilievo un personaggio stante<br />
che indossa una corta tunica e reca un animale<br />
(pecora?) all’altezza <strong>del</strong> torace. Alcuni indizi<br />
sembrano suggerire che la raffigurazione, riconoscibile<br />
come l’immagine <strong>del</strong> Buon Pastore, sia<br />
stata scolpita in occasione <strong>del</strong> reimpiego e che,<br />
quindi, non facesse parte <strong>del</strong>l’originaria decorazione.<br />
In occasione <strong>del</strong> riutilizzo, ad Ovest <strong>del</strong><br />
crioforo ma sempre all’interno <strong>del</strong> campo centrale<br />
<strong>del</strong>la lastra, furono praticati due fori circolari<br />
di diverso diametro. Quello meridionale<br />
venne fatto corrispondere al sottostante vaso ed<br />
era chiuso da un tappo marmoreo circolare.<br />
L’altro foro intercettò il vaso solo parzialmente,<br />
tanto che per metterlo in comunicazione con il<br />
recipiente si dovette tagliarne l’orlo; tutt’intorno<br />
venne ricavato un leggero avvallamento in corrispondenza<br />
<strong>del</strong> quale furono praticati quattro<br />
piccoli incassi destinati ad alloggiare un coperchio<br />
metallico o una grata.<br />
La lastra con i due fori ha permesso di identificare<br />
la sottostante sepoltura 892 con la tomba<br />
di S. Felice. Il primo riferimento al marmo che<br />
copriva il venerato sepolcro ricorre nel carme<br />
18 25 (scritto per il 14 gennaio 400), ove Paolino<br />
di Nola racconta che i fe<strong>del</strong>i cospargevano di<br />
profumo di nardo la tomba e ne traevano<br />
unguenti resi salutari dal contatto 26 , secondo l’usanza<br />
descritta anche dal contemporaneo<br />
Prudenzio. I due foramina sono descritti nel<br />
carme 21, composto per il 14 gennaio 407, nel<br />
quale Paolino narra la ricognizione <strong>del</strong> sepolcro<br />
di S. Felice 27 ; l’iniziativa fu originata dal desiderio<br />
di comprendere il motivo per cui i vasetti<br />
calati nei due fori <strong>del</strong>la lastra, invece di trarre<br />
fuori il nardo che vi era stato versato, trascinavano<br />
su sabbia, polvere, ossicini, cocci e calcinacci<br />
28 . La presenza dei foramina e la loro posizione<br />
rispetto alla tomba sottostante rinviano<br />
alla consuetudine, diffusa in ambito pagano ma<br />
anche tra i cristiani, di versare nelle tombe latte,<br />
miele, vino, sostanze aromatiche attraverso fori<br />
o tubuli (metallici oppure fittili) che terminavano<br />
in corrispondenza <strong>del</strong> capo <strong>del</strong> defunto.
La sistemazione <strong>del</strong>la tomba di S. Felice a<br />
Cimitile documenta un precoce caso di reimpiego<br />
di spolia; la lastra, databile forse al I secolo<br />
d.C., venne prelevata da un monumento abbandonato.<br />
Il riutilizzo lascia intuire un discreto<br />
impegno finanziario da parte <strong>del</strong>la comunità cristiana<br />
di Nola e nello specifico di quella élite<br />
colta, ma praticamente anonima, attiva in campo<br />
edilizio prima <strong>del</strong>l’arrivo di Paolino 29 . L’uso <strong>del</strong><br />
marmo, sia pure di reimpiego, indica una certa<br />
disponibilità economica e il desiderio di conferire<br />
pregio alla tomba di S. Felice. Rilavorata<br />
accuratamente per ricavare l’immagine <strong>del</strong> Buon<br />
Pastore e i fori, la lastra venne adattata con<br />
attenzione al contesto funerario e al sottostante<br />
vaso, onde allestire al meglio il dispositivo cultuale<br />
(fig. 6). Se l’orlo arrotondato dei fori sembra<br />
finalizzato a facilitare l’introduzione <strong>del</strong>le<br />
essenze odorose e dei vascula, la fuoriuscita di<br />
sabbia, polvere, ossicini, cocci e calcinacci<br />
segnalata da Paolino nel carme 21 indica che<br />
almeno uno di essi fosse lasciato aperto o, piuttosto,<br />
che fosse protetto soltanto da una grata<br />
che permetteva l’infiltrazione di sporcizia e altro.<br />
Le sepolture ad sanctos e la trasformazione<br />
<strong>del</strong>la prassi funeraria<br />
Nel panorama funerario tardoantico l’elemento<br />
nuovo è, senza dubbio, rappresentato dalle<br />
tombe dei martiri, ma un’altra significativa innovazione<br />
è costituita dalla costruzione <strong>del</strong>le aule<br />
di culto capaci di appagare il desiderio dei più<br />
di ottenere una sepoltura ad sanctos, oltre che<br />
di accogliere i fe<strong>del</strong>i nelle celebrazioni annuali 30 .<br />
Le inumazioni usufruivano, grazie alla vicinanza<br />
alla tomba venerata, <strong>del</strong>l’energia salvifica attribuita<br />
alla presenza <strong>del</strong> corpo santo 31 . Il sepolcro<br />
di S. Felice rientra a pieno titolo in questa prassi<br />
dal momento che funzionò da polo di attrazione<br />
<strong>del</strong>le sepolture e determinò una massiccia<br />
e disordinata sovrapposizione di tombe cristiane<br />
in tutti gli spazi disponibili, sia all’interno degli<br />
ambienti funerari sia al loro esterno 32 .<br />
Già anteriormente alla pace religiosa <strong>del</strong> 313<br />
d.C. due sepolture ad sanctos (usm 926, 927)<br />
furono impiantate nello stesso mausoleo A, al di<br />
CARLO EBANISTA<br />
- 67 -<br />
sopra rispettivamente <strong>del</strong>le tombe 893 e 894, di<br />
cui conservarono l’orientamento. Solo lo spazio<br />
occupato dal sepolcro di S. Felice venne lasciato<br />
libero per il riguardo dovuto e per consentire<br />
le pratiche devozionali 33 . Ben più numerose<br />
furono le sepolture ad sanctos sistemate, agli<br />
inizi <strong>del</strong> IV secolo, nei mausolei B e C che prospettavano<br />
sul piazzale antistante l’edificio funerario<br />
A 34 (fig. 7). L’ambiente B, che è coevo al<br />
mausoleo A, ospitò sei inumazioni orientate<br />
Nord-Sud e disposte su tre strati. Il mausoleo C,<br />
cui si accedeva da Sud, accolse forse nove<br />
tombe; al di sopra <strong>del</strong>le coperture, costituite da<br />
laterizi alloggiati nelle pareti <strong>del</strong>l’ambiente, iniziava<br />
la decorazione a fresco che alla base presentava<br />
un motivo vegetale analogo a quello<br />
che ornava il mausoleo B. Il desiderio di essere<br />
deposti presso il sepolcro di S. Felice diede<br />
luogo all’affollamento di inumazioni anche all’esterno<br />
dei mausolei. Nel piazzale antistante gli<br />
ambienti A e B, ad esempio, vennero sistemati<br />
due sarcofagi ricavati da un unico blocco di<br />
tufo, ma con due distinti coperchi 35 . Anche negli<br />
altri edifici funerari <strong>del</strong>la necropoli, ubicati a<br />
maggiore distanza dalla tomba di S. Felice, le<br />
sepolture occuparono tutti gli spazi disponibili.<br />
Diversamente da quanto era accaduto in precedenza,<br />
allorché le tombe terragne sfruttavano<br />
razionalmente lo spazio, le sepolture finirono<br />
per occupare disordinatamente l’interno (raggiungendo<br />
talora quasi le volte) e l’esterno degli<br />
ambienti funerari. Queste sepolture ‘disordinate’<br />
sono databili per lo più al IV secolo, quando la<br />
necropoli, costellata sempre più di tombe cristiane<br />
sin dalla fine <strong>del</strong> secolo precedente, perse<br />
forse già dall’epoca <strong>del</strong>la pace religiosa il suo<br />
carattere privato o famigliare accentuando quello<br />
comunitario 36 . Questo cambiamento è certamente<br />
all’origine <strong>del</strong>l’addensarsi <strong>del</strong>le sepolture<br />
negli edifici funerari e nelle loro vicinanze,<br />
secondo una prassi ricorrente nelle aree cimiteriali<br />
cristiane. In relazione a questo fenomeno<br />
faccio rilevare, tanto per citare qualche esempio,<br />
le stringenti analogie con quanto avvenne nella<br />
necropoli <strong>del</strong>la via Laurentina ad Ostia 37 o nell’area<br />
cimiteriale di età imperiale ubicata nel suburbio<br />
orientale di Pozzuoli. In quest’ultimo caso<br />
negli ambienti funerari, entro il IV secolo, furo-
no realizzate <strong>del</strong>le sepolture «in fossa terragna o<br />
in cassa di muratura di tufo e copertura di tegole,<br />
che spesso riempivano gli edifici sino al livello<br />
d’imposta <strong>del</strong>le volte» 38 , senza che ci fossero<br />
«più risorse economiche sufficienti ad erigere<br />
nuove costruzioni» 39 .<br />
Sebbene fuori contesto, le epigrafi cristiane<br />
forniscono utili elementi datanti sull’utilizzo<br />
funerario <strong>del</strong>la necropoli di Cimitile. Tra le iscrizioni<br />
recanti la data consolare, la più antica è<br />
quella di Serbilla deceduta nel 359 40 , mentre la<br />
più recente è dedicata ad una diciottenne di<br />
nome Urbica 41 († 567). La gran parte <strong>del</strong>le epigrafi<br />
appartiene al V-VI secolo, a testimonianza<br />
<strong>del</strong>la modesta frequenza d’inumazioni di riguardo<br />
presso la tomba di S. Felice per buona parte<br />
<strong>del</strong> IV secolo 42 . Nell’interessante varietà di personaggi<br />
cui fanno riferimento le iscrizioni troviamo,<br />
oltre a rappresentanti <strong>del</strong> clero (fig. 8), vergini<br />
consacrate, personalità <strong>del</strong>la vita cittadina e<br />
<strong>del</strong>la pubblica amministrazione 43 .<br />
1<br />
EBANISTA, 2005, pp. 317-320.<br />
2<br />
POZZI PAOLINI, 1987, pp. 567-568; POZZI PAOLINI, 1988, pp. 722-723;<br />
POZZI PAOLINI, 1989-90, p. 629; SAMPAOLO, 1990, p. 54.<br />
3<br />
SAMPAOLO, 1984, p. 507.<br />
4 Le più antiche attestazioni dei due monumenti sono dovute agli<br />
eruditi locali (LEONE, 1514, c. 12v; REMONDINI, 1747, pp. 106-107); i<br />
resti di un terzo monumento funerario di età augustea sono stati<br />
scoperti in via traversa S. Agata, nei pressi di uno dei mausolei da<br />
sempre in vista (ZEVI, 2004, p. 907).<br />
5<br />
ALBORE LIVADIE - MASTROLORENZO - VECCHIO, 1988, p. 79; DE CARO,<br />
1999a, p. 840.<br />
6<br />
EBANISTA, 2003, pp. 49-111.<br />
7<br />
CHIERICI, 1957, p. 107.<br />
8<br />
TESTINI, 1985, p. 341.<br />
9<br />
EBANISTA, 2003, pp. 61-63, fig. 11.<br />
10<br />
PENSABENE, 2003, p. 163.<br />
11<br />
EBANISTA, 2003, p. 58.<br />
12<br />
CALZA, 1940, p. 68; BALDASSARRE, 1980, p. 127; PAVOLINI, 1983, p.<br />
262; TAGLIETTI, 2001, p. 149.<br />
13<br />
EBANISTA, 2003, pp. 64-68, figg. 12-13.<br />
14<br />
EBANISTA, 2003, p. 558.<br />
15<br />
EBANISTA, 2006, pp. 17-18.<br />
16<br />
TESTINI, 1985, p. 339.<br />
17<br />
KOROL, 1987, p. 177.<br />
18<br />
PAUL. NOL. carm. 18, 131-137.<br />
19<br />
EBANISTA, 2006, pp. 23-24, figg. 4-7.<br />
20<br />
EBANISTA, 2003, pp. 49, 101.<br />
21<br />
EBANISTA, 2006, pp. 24-27, figg. 4-5, 8.<br />
22<br />
EBANISTA, 2006, pp. 27-28, figg. 4-5, 9.<br />
23<br />
EBANISTA, 2003, pp. 98-99.<br />
24<br />
EBANISTA, 2006, pp. 31-37, figg. 11-15.<br />
25<br />
PAUL. NOL. carm. 18, 92-93 (Ecce vides tumulum sacra martyris<br />
ossa tegentem | et tacitum obtento servari marmore corpus).<br />
26<br />
PAUL. NOL. carm. 18, 38-39 (Martyris hi tumulum studeant perfundere<br />
nardo, | ut medicata pio referant unguenta sepulchro).<br />
27<br />
PAUL. NOL. carm. 21, 558-642; cfr. EBANISTA, 2003, p. 135.<br />
28<br />
PAUL. NOL. carm. 21, 590-600 (Ista superficies tabulae gemino patet<br />
SALTERNUM<br />
- 68 -<br />
Nessuna memoria, invece, è rimasta <strong>del</strong>la<br />
massa anonima dei devoti <strong>del</strong> santo, se si eccettua<br />
la preziosa testimonianza dei graffiti 44 che<br />
alcuni pellegrini tracciarono all’esterno <strong>del</strong>la<br />
chiesa (fig. 9) eretta dai Nolani, nella prima metà<br />
<strong>del</strong> IV secolo, sulla tomba di S. Felice, a seguito<br />
<strong>del</strong>la demolizione dei mausolei A, B e C 45 . L’area<br />
cimiteriale si stava intanto trasformando in un<br />
grandioso e frequentatissimo santuario, grazie<br />
soprattutto alla fervente attività di Paolino di<br />
Nola che vi si stabilì alla fine <strong>del</strong> IV secolo.<br />
Presso il complesso martiriale, collegato a Nola<br />
da una strada lastricata, sorse un villaggio che<br />
Paolino ricorda per la prima volta nel 399-400.<br />
Dall’originaria destinazione sepolcrale, il santuario<br />
e l’abitato derivarono la denominazione di<br />
Cimiterium che nell’altomedioevo si affiancò a<br />
quella ben più antica di Nola; attestato per la<br />
prima volta nell’839, il toponimo si trasformò nel<br />
corso dei secoli in Cimitino e quindi in Cimitile 46 .<br />
ore | praebens infuso subiecta foramina nardi. | Quae cineris<br />
sancti veniens a sede reposta | sanctificat medicans arcana spiritus<br />
aura, | haec subito infusos solito sibi more liquores | vascula de<br />
tumulo terra subeunte biberunt, | quique loco dederant nardum,<br />
exhaurire parantes, | ut sibi iam ferrent, mira novitate repletis | pro<br />
nardo vasculis cumulum erumpentis harenae | inveniunt pavidique<br />
manus cum pulvere multo | faucibus a tumuli retrahunt), 605-<br />
608 (pulvis ... | quem manus e tumulo per aperta foramina promptum<br />
| hauserat et varia concretum sorde ferebat | cum ossiculis<br />
simul et testis cum rudere mixtis).<br />
29 TESTINI, 1985, p. 365.<br />
30 PANI ERMINI, 1989, p. 845; ARIÈS, 1992, pp. 37-45; DELLE ROSE, 1993,<br />
p. 772.<br />
31 L’orientamento canonico <strong>del</strong>le tombe scomparve quando il culto<br />
dei martiri provocò nei cimiteri il formarsi di poli di attrazione intorno<br />
ai quali sorsero sepolcri e mausolei; è proprio la presenza di<br />
edifici-fulcro di carattere monumentale, verso i quali convergono le<br />
sepolture, che più colpisce nei cimiteri sub divo <strong>del</strong>l’epoca <strong>del</strong>la<br />
pace e che distingue nettamente l’urbanistica <strong>del</strong>le necropoli cristiane<br />
da quella <strong>del</strong>le antiche aree pagane (FASOLA - FIOCCHI NICOLAI,<br />
1989, p. 1175).<br />
32 EBANISTA, 2003, pp. 59-60, 558.<br />
33 EBANISTA, 2003, p. 107.<br />
34 EBANISTA, 2003, pp. 97-98, 558-559, fig. 23.<br />
35 EBANISTA, 2003, p. 111, fig. 27 (usm 919-920).<br />
36 TESTINI, 1978, p. 168.<br />
37 PAROLI, 1993, p. 155.<br />
38 GIALANELLA - DI GIOVANNI, 2001, p. 166.<br />
39 DE CARO, 1999b, p. 226, tav. X n. 1.<br />
40 CIL,X/1, p. 152, n. 1338.<br />
41 CIL, X/1, p. 154, n. 1361.<br />
42 TESTINI, 1985, p. 368.<br />
43 TESTINI, 1985, pp. 367-370.<br />
44 FERRUA, 1965; EBANISTA, 2003, pp. 124-126, fig. 37; LAMBERT, 2004,<br />
p. 61, fig. 18; GALANTE, 2005; EBANISTA, 2006, pp. 52-53, fig. 27.<br />
45 EBANISTA, 2003, pp. 118-158; EBANISTA, 2006, pp. 49-51, figg. 24-25.<br />
46 EBANISTA, 2003, pp. 556-558; EBANISTA, 2005, pp. 350-357.
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STEFANIA DE MAJO<br />
Il commercio <strong>del</strong>l’allume in età romana:<br />
un monopolio dimenticato<br />
‘La grande storia ha per lungo tempo ignorato<br />
l’allume, protagonista assai discreto <strong>del</strong>le<br />
vicende umane, così come ha lungamente trascurato<br />
il grano, l’olio e, in generale, tutto ciò<br />
che è indispensabile alla vita quotidiana: <strong>del</strong><br />
resto è soltanto quando il fornaio non ha più il<br />
pane che si parla di lui. Contadini, artigiani e<br />
operai sono più necessari alla vita degli uomini<br />
che non tutti i Carlo V, ma si tratta di gente<br />
modesta che non ama parlare di sé’ (DELUMEAU,<br />
1962, p. 301).<br />
La bellissima riflessione di Jean<br />
Delumeau, calzante perfettamente con<br />
qualsiasi periodo storico, è in particolar<br />
modo riferita, nel discorso specifico <strong>del</strong>l’allume,<br />
all’età moderna, ma sarebbe, a mio parere,<br />
ancor più appropriata per l’età antica. Se è vero<br />
che quelle classi sociali che hanno permesso a<br />
tutte le altre di esistere e di fare la storia al posto<br />
loro sono state poco considerate dalla storia di<br />
tutti i tempi, è anche vero che gli scrittori greci<br />
e romani sono stati i più inclementi. Esaltato nel<br />
1540 come ‘non meno utile per i tintori che il<br />
pane per l’uomo’ 1 , l’allume non ritrova la stessa<br />
popolarità nel mondo antico se non in pochi<br />
autori. Giuseppe Nenci denuncia a ragione<br />
come l’allume sia “il grande dimenticato nella<br />
storia <strong>del</strong>l’economia antica” 2 , eppure esso ha<br />
ricoperto un ruolo tale, per la molteplicità di usi<br />
cui si prestava, da essere un prodotto non solo<br />
utile ma indispensabile.<br />
Ma che cos’è l’allume?<br />
Alla luce <strong>del</strong>la chimica moderna, quello che<br />
Plinio definisce un ‘sale sudato dalla terra’ 3 è un<br />
solfato doppio di alluminio e potassio (K 2 SO 4 .<br />
- 71 -<br />
Fig. 1 - Anfora tipo Richborough 527-<br />
Lipari 2b (da TYERS 1996*).<br />
Al 2 (SO 4 ) 3 . 24H2 O) che assume il nome di<br />
‘‘allume di rocca’’ quando si presenta sotto<br />
forma vetrosa. Attualmente viene impiegato nell’industria<br />
<strong>del</strong>la carta per la sbiancatura e la collatura,<br />
per la depurazione <strong>del</strong>l’acqua, come<br />
emostatico dopobarba, come antiodorante (lo<br />
troviamo di frequente in vendita sulle bancarelle<br />
sotto il nome di ‘cristallo di potassio’), nell’agricoltura<br />
biologica per la conservazione <strong>del</strong>le<br />
banane durante l’immagazzinamento, come<br />
ignifugo per vernici e prodotti antincendio.<br />
Nelle fonti antiche è indicato di frequente<br />
come medicinale utilizzato per scongiurare mali<br />
diversi grazie alle sue proprietà astringenti, antisettiche,<br />
lenitive. Era poi utilizzato come impregnante<br />
in strutture architettoniche lignee,<br />
soprattutto in ambito bellico, per proteggerle<br />
dagli incendi; nella lavorazione dei metalli 4 e per<br />
la conservazione <strong>del</strong>l’uva e <strong>del</strong> vino. L’allume<br />
però trovava il suo maggiore impiego in ambito<br />
artigianale come mordente nella tintura dei tessuti<br />
e nella concia <strong>del</strong>le pelli, essendo, se non<br />
l’unica, la migliore sostanza atta a questo scopo<br />
fino all’introduzione <strong>del</strong> tannino nell’Ottocento.
Fig. 2 - Alcuni tipi di allume nativo (da SINGER 1948, p. 235).<br />
Riflettere su quali e quanto svariati usi trovavano<br />
prodotti quali cuoio (dall’abbigliamento alla<br />
costruzione di barche, alla fabbricazione di<br />
scudi e contenitori) e lana (‘frutto straordinario<br />
<strong>del</strong> bestiame [...] come la pecora ci dà il suo frutto<br />
per le vesti, così la capra il pelo per usi nautici,<br />
per macchine da guerra, e per vasi fabbrili’) 5 ,<br />
aiuta a comprendere ancor di più il peso anzi, la<br />
necessità <strong>del</strong>l’allume nell’economia antica.<br />
Il termine greco στυπτηρíα (στúφειν =<br />
restringere) è indicativo <strong>del</strong>la caratteristica per la<br />
quale era meglio nota questa sostanza (‘Summa<br />
omnium generum vis astringendo, unde nomen<br />
Graecis’ 6 ; τοúνοµα παρωνóµασται τêß sτúφει 7 ),<br />
mentre la falsa etimologia latina di ‘alumen…a<br />
lumine quod lumine coloribus praestat tingendis’<br />
di Isidoro di Siviglia 8 proviene dalla proprietà<br />
di rendere le sostanze coloranti insolubili<br />
nelle fibre e più brillanti. In effetti l’origine <strong>del</strong><br />
termine latino non è chiara e secondo alcuni<br />
potrebbe derivare, insieme con bitumen, da una<br />
lingua non indoeuropea. Il primo autore in cui<br />
si trova questo termine è Varrone, il quale lo<br />
associa allo zolfo 9 .<br />
SALTERNUM<br />
- 72 -<br />
Il monopolio eoliano<br />
L’informazione di maggior rilievo che riusciamo<br />
ad acquisire dalle fonti antiche è che l’allume<br />
era un prodotto di monopolio, dunque un<br />
prodotto indispensabile e raro. Indispensabile<br />
perché legato ad un artigianato volto a produrre<br />
beni di prima necessità (lana e pelli). Raro per<br />
quantità ma soprattutto qualità. Formato soprattutto<br />
dall’azione fumarolica o idrotermale, l’allume<br />
è potenzialmente presente in tutte le zone<br />
vulcaniche ma in forme spesso molto impure. Le<br />
terre alluminose di Pozzuoli, ad esempio, sono<br />
conosciute in età romana (ne fa menzione<br />
Vitruvio 10 ) ma non sfruttabili in ambito artigianale<br />
perché le frequenti impurità avrebbero macchiato<br />
i tessuti. Era invece la piccola isola di<br />
Lipari a produrre l’allume più puro e a rifornire<br />
tutto l’Occidente romano 11 detenendo un vero e<br />
proprio monopolio. Preziose sono state per l’individuazione<br />
<strong>del</strong>l’isola le testimonianze di<br />
Strabone 12 e soprattutto di Diodoro Siculo: “ E<br />
quest’isola (Lipari) possiede miniere di allume,<br />
da cui i Liparesi e i Romani traggono grandi<br />
profitti. Dal momento che l’allume non si trova<br />
da nessuna parte nel mondo abitato ed è di<br />
grande utilità, essi ne detengono il monopolio e<br />
possono alzarne il prezzo traendo un incredibile<br />
guadagno” 13 . A livello archeologico però non<br />
esisteva alcuna conferma di quanto affermato<br />
dai due storici fino alla scoperta nel 1993 <strong>del</strong>la<br />
prima ed unica fornace di anfore da allume, le<br />
cosiddette Richborough 527, in contrada<br />
Portinenti a Lipari, anfore rimaste per decenni<br />
senza patria né contenuto 14 (Fig. 1). La loro<br />
incredibile diffusione, che copre tutti i paesi<br />
<strong>del</strong>l’Occidente romano e non solo, rappresenta<br />
l’unica testimonianza materiale <strong>del</strong> monopolio<br />
esercitato da Lipari, permettendoci di seguire le<br />
rotte commerciali di un bene deperibile e finora<br />
ignorato.<br />
Una ulteriore conferma che si trattasse proprio<br />
di allume e non di un altro prodotto è costituta<br />
da una testimonianza proveniente dalla<br />
necropoli romana di Lipari. Si tratta di un’iscrizione<br />
marmorea ormai perduta, appartenente al<br />
basamento di un monumento dedicato al ‘procurator<br />
Cornelius Masutus Tiberii Caesaris<br />
Augusti et Iuliae Augustae’ 15 . Questi non poteva
certo essere l’amministratore di un latifondo<br />
imperiale in un’isola di 9x4 km e non coltivabile<br />
per più <strong>del</strong>la metà. Seppure la rimanente<br />
parte è ricordata sia da Strabone che da Diodoro<br />
per la particolare fertilità, i prodotti potevano<br />
essere sufficienti per il consumo locale, non<br />
certo per avviare una rete commerciale nel<br />
Mediterraneo. Più logico sarebbe dunque pensare<br />
che questo Cornelio Masuto amministrasse le<br />
cave di zolfo e allume.<br />
E’ probabile che l’allume eoliano fosse sfruttato<br />
sin dalla preistoria insieme con l’ossidiana.<br />
E’ invece quasi certo che questo era un importante<br />
motivo di richiamo per le popolazioni<br />
micenee che, tra XVI e IX secolo a.C., hanno<br />
lasciato ampie tracce di frequentazione commerciale<br />
in Sicilia e Italia meridionale.<br />
Nonostante l’interesse che l’allume ha risvegliato<br />
negli studi degli ultimissimi anni, restano<br />
ancora diversi aspetti da comprendere, soprattutto<br />
per quanto riguarda i metodi di estrazione<br />
e lavorazione in età antica. Per le epoche successive<br />
siamo infatti più fortunati.<br />
L’età medievale e moderna: l’allume artificiale<br />
A partire dall’età medievale la storia <strong>del</strong>l’allume<br />
comincia ad essere meno oscura; compare<br />
spesso in trattati tecnici e appunti artigiani.<br />
In opere quali le Compositiones varia ad tingenda<br />
musiva, ricette messe insieme all’inizio<br />
<strong>del</strong>l’800, la Mappae Clavicula, <strong>del</strong> 950 circa, l’opera<br />
<strong>del</strong> monaco Teofilo De diversis artibus o il<br />
De coloribus et artibus Romanorum attribuita<br />
ad Eraclio, l’allume è ingrediente fondamentale<br />
di numerose ricette. Per la proprietà di fissare i<br />
colori e quindi anche di ‘inaurare’, è citato in<br />
moltissimi scritti di alchimia araba e latina (‘gli<br />
alchemici e li parteliori molto se ne serveno,<br />
anzi senza esso le loro acque acutesar non posseno…’<br />
16 ). Non dobbiamo poi dimenticare<br />
quanto grande sia in età medievale la diffusione<br />
di libri miniati detti anche ‘alluminati’ o ‘illuminati’<br />
poiché la loro brillantezza era dovuta<br />
soprattutto a lacche alluminate (miscele di allume,<br />
zucchero e miele, incorporate in soluzioni<br />
di gomma arabica e chiara d’uovo) cosparse sui<br />
colori per fissarli e proteggerli. In più la pergamena<br />
(presumibilmente conciata all’allume),<br />
STEFANIA DE MAJO<br />
- 73 -<br />
Fig. 3<br />
VANNUCCIO<br />
BIRINGUCCIO,<br />
De la<br />
pirotechnia<br />
libri decem,<br />
1540.<br />
prima <strong>del</strong>la pittura, era impregnata di una<br />
soluzione di allume e piccole quantità di cinabro.<br />
L’allume liparota si esaurisce nell’VIII secolo<br />
circa a causa probabilmente di una violenta eruzione,<br />
costringendo l’intero mercato artigiano<br />
alla ricerca di altre cave. E’ di fondamentale<br />
importanza sottolineare che questo tipo di allume,<br />
detto naturale o nativo, era una cristallizzazione,<br />
una efflorescenza che non necessitava di<br />
una lavorazione complessa. Tuttavia aveva il<br />
grande svantaggio di trovarsi in natura in forme<br />
quasi sempre impure, mescolate con altre<br />
sostanze, e soprattutto di essere solubile in<br />
acqua, quindi facilmente deperibile. A partire<br />
dal X secolo si scopre nel Vicino Oriente il<br />
modo di ottenere allume da rocce comuni contenenti<br />
solfato di alluminio e zolfo (scisti piritici)<br />
mettendole a bollire con urina, che è una<br />
sostanza ammoniacale: si formava così allume di<br />
ammonio. In Asia Minore intanto si incominciava<br />
già da tempo a ricavare il prezioso mordente<br />
dal minerale di alunite che, dopo una lunga e<br />
complessa lavorazione, viene trasformato in<br />
allume, detto erroneamente artificiale, che gradualmente<br />
sostituisce quello naturale.
Fig. 4<br />
Lavorazione<br />
<strong>del</strong>l’alunite<br />
per ottenere<br />
allume<br />
(da GIORGIO<br />
AGRICOLA<br />
1556, p. 571<br />
ed. Hoover).<br />
Purtroppo l’Occidente non disponeva di<br />
minerale di alta qualità e dovette usufruire <strong>del</strong>le<br />
importazioni di allume da Oriente che, durante<br />
le Crociate, diventarono problematiche ma non<br />
cessarono mai <strong>del</strong> tutto. Dal 1275 l’allume orientale<br />
torna in auge grazie ai mercanti genovesi<br />
che estraggono e importano in Occidente il<br />
minerale da Focea e da Chio, dando vita ad un<br />
traffico esteso e redditizio, un vero e proprio<br />
monopolio. La conquista ottomana nel 1453<br />
andrà a colpire questi traffici in un momento di<br />
particolare sviluppo, i Genovesi perdono Focea,<br />
mentre la Maona di Chio è costretta a subire tributi<br />
sempre più pesanti, tanto da rendere, alla<br />
fine <strong>del</strong> XV secolo, raro e costoso l’allume orientale<br />
sui mercati occidentali. In una situazione<br />
così disperata la scoperta dei giacimenti laziali<br />
<strong>del</strong>la Tolfa fu provvidenziale. Le parole di<br />
Giovanni da Castro, commerciante e parente di<br />
Papa Pio II, all’indomani <strong>del</strong> felice rinvenimento<br />
sono significative:<br />
‘‘Oggi ti reco la vittoria sui Turchi. Essi estorcono<br />
ai Cristiani ogni anno più di trecentomila<br />
SALTERNUM<br />
- 74 -<br />
ducati, fornendoci l’allume con il quale tingiamo<br />
la lana nei diversi colori. E ciò perché l’allume<br />
non si trova presso i Latini se non in piccola<br />
quantità nell’isola d’Ischia, un tempo chiamata<br />
Aenaria, vicino a Pozzuoli, e nella grotta<br />
Liparea di Vulcano, che però fu a tal punto sfruttata<br />
dai Romani da essere quasi esaurita 17 ”<br />
E’ in questo contesto che si collocano due<br />
opere davvero interessanti per lo studio <strong>del</strong>l’allume<br />
poiché descrivono in maniera dettagliata il<br />
processo di lavorazione <strong>del</strong> minerali: Li diece<br />
libri de la pirotechnia 18 (1540) di Vannuccio<br />
Biringuccio e il De re metallica 19 (1556) di<br />
Giorgio Agricola, testimoni importanti di una<br />
pratica che per più di tre secoli, fino all’epoca<br />
industriale, non è mutata (Figg. 3-4).<br />
Sarebbe davvero interessante poter compensare<br />
la carenza di notizie che abbiamo sull’allume<br />
sfruttato in età antica con gli scritti successivi.<br />
Purtroppo ciò non è sempre possibile per un<br />
motivo molto semplice: l’allume di cui parlano<br />
Biringuccio e Agricola è sempre di tipo artificiale,<br />
derivato soprattutto da alunite. E’ più che<br />
probabile che in epoca romana non si conoscesse<br />
il modo di ricavare l’allume da questo minerale;<br />
mancano infatti tracce di strutture o testimonianze<br />
scritte di questa complessa lavorazione:<br />
‘Fu cosa cognita fin da gli antichi, ma non<br />
si vede per gli scrittori che usassero li modi per<br />
trovarlo e per estraerlo che usano li moderni, e<br />
materia che oltre alintrinseca e natural sua salsedine<br />
ha grandissima viscosità…’ 20 .<br />
Il ruolo <strong>del</strong>l’artigiano: una diversa prospettiva<br />
La conoscenza che abbiamo <strong>del</strong>l’allume in<br />
età romana è dovuta in gran parte ai ritrovamenti<br />
di anfore che, oltre a confermare quanto riportato<br />
dalle fonti, rappresentano l’unico fossileguida<br />
di una produzione e di un traffico commerciale<br />
di portata eccezionale, che ha contribuito<br />
alla studio <strong>del</strong>l’economia antica in generale,<br />
di Lipari in particolare e soprattutto <strong>del</strong>l’artigianato<br />
antico che tanto necessita di uscire dalla<br />
penombra. Tintori, lanaioli e pellai fanno parte<br />
di quella schiera di lavoratori che avendo prodotto<br />
beni deperibili sono destinati ad essere<br />
sottorappresentati fra le testimonianze archeologiche.<br />
Un aiuto proviene dalle strutture rimaste,
in pochi fortunati casi, intatte o quasi <strong>del</strong>le fulloniche,<br />
<strong>del</strong>le officine infectoriae e offectoriae di<br />
Pompei, di Ercolano, di Ostia, e <strong>del</strong>le uniche<br />
due officine coriariae presenti in Italia, quella<br />
<strong>del</strong>la Regio I di Pompei e quella di Sepino.<br />
Il mondo artigiano merita di ottenere il giusto<br />
riconoscimento per ciò che ha rappresentato<br />
all’interno <strong>del</strong>la società (in questo caso) antica.<br />
Lo studio <strong>del</strong>la cultura materiale sta in questo<br />
NOTE<br />
1 VANNUCCIO BIRINGUCCIO, 1540, VI, p. 13.<br />
2 G. NENCI 1982 , 183.<br />
3 Naturalis Historia, XXXV, 183.<br />
4 Di particolare interesse è l’uso <strong>del</strong>l’allume per la purificazione<br />
degli strati superficiali <strong>del</strong>le leghe d’oro o d’argento<br />
da altri metalli, in modo da far apparire, esternamente, una<br />
percentuale di metallo prezioso più alta. Questo procedimento<br />
(arricchimento superficiale <strong>del</strong>le leghe) era usato dai<br />
Romani in periodi di inflazione (tra il 63 e il 260 d.C.) per<br />
fabbricare i denarii d’argento con solo il 12-18 % di metallo<br />
prezioso.<br />
5 VARRONE, De re rustica, II, 11, 1.<br />
6 PLINIO, Naturalis Historia, XXXV,LII, 189.<br />
7 GALENO, De compositione medicamentorum secundum<br />
locos, p. 236 (ed. Kuhn).<br />
8 Etymologiae, XVI, 2, 2.<br />
9 De Lingua latina, V, 25.<br />
10 De Architectura, VIII, 4-5.<br />
11 Il mercato di allume orientale era probabilmente soddisfatto<br />
da un altro centro di produzione, l’isola di Milo. Oltre<br />
STEFANIA DE MAJO<br />
- 75 -<br />
senso continuando a dare grandi contributi,<br />
ricostruendo la storia dal punto di vista di chi<br />
l’ha vissuta senza poter tramandare altro ai<br />
posteri se non, quando possibile, i propri resti<br />
materiali. Le anfore di Lipari ci permettono di<br />
risalire ad un mezzo, l’allume, attraverso il quale<br />
si può indirettamente ‘spiare’ il mondo di un<br />
artigiano e il suo umile quanto indispensabile<br />
lavoro.<br />
ad essere menzionata nelle fonti insieme a Lipari, negli ultimissimi<br />
anni sono state scoperte anfore da allume di produzione<br />
melina che raggiungono anche le coste adriatiche<br />
<strong>del</strong>la nostra penisola. Tuttavia l’allume di Milo doveva essere<br />
di ottima qualità ma di scarsa quantità (Diodoro Siculo<br />
ne dà conferma), motivo per cui Lipari si trovò a sopperire<br />
anche al mercato orientale, anche non sappiamo ancora<br />
in che misura.<br />
12 “...στυπτηρíα µéταλλον éµπρósoδον” (Geografia, VI, 2,<br />
10).<br />
13<br />
DIODORO SICULO, V, 10, 2 .<br />
14 L’allume è solubile in acqua, motivo per cui non se ne è<br />
mai trovata traccia all’interno <strong>del</strong>le anfore.<br />
15 CIL X , 7489.<br />
16<br />
VANNUCCIO BIRINGUCCIO, 1540, VI.<br />
17<br />
PIO II, De la pirotechnia, Commentarii, VII, 12.<br />
18 VI, p. 12-14.<br />
19 De re metallica, XII, p. 564-572 (ed. Hoover).<br />
20 De la pirotechnia, VI.<br />
* www.intarch.ac.uk
BIBLIOGRAFIA<br />
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International (Naples/Lipari, 4-8 juin 2003), a cura di PH.<br />
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greca in Italia e nelle isole tirreniche IX, Pisa-Roma,<br />
pp. 164-185.<br />
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(XLVI, 1993-95), in Meligunìs Lipara X. Scoperte e scavi<br />
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BORGARD PH., 2001. L'Alun de l'Occident romain: production<br />
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DELUMEAU J., 2003. L’allume di Roma. XV-XIX secolo. Ed.<br />
SALTERNUM<br />
- 76 -<br />
italiana de ‘L’alun de Rome’, 1962. Comunità Montana<br />
‘Monti <strong>del</strong>la Tolfa’, Allumiere (Roma), 2003.<br />
MANNONI T., GIANNICHEDDA E., 1996. Archeologia <strong>del</strong>la produzione,<br />
Einaudi, Torino, 1996, pp. xiii-xx.<br />
NENCI G., 1982. L’allume di Focea, in «Parola <strong>del</strong> Passato»,<br />
CCIV-CCVII, Napoli, 1982, pp . 183-188.<br />
PICON M., 2006. Des aluns naturels aux aluns artificiels et<br />
aux aluns de synthèse: matières premières gisements et procédés,<br />
in AA.VV., L’Alun de Méditerranée, pp. 13-38.<br />
SINGER C., 1948. The Earliest Chemical Industry. An Essay in<br />
the Historical Relations of Economics & Technology<br />
Illustrated from the Alum Trade. Chiswick Press, London,<br />
1948.
SOFIA LOVERDOU<br />
Il Diolco antico:<br />
speranze per un monumento indifeso<br />
Chi sta presso il limite occidentale <strong>del</strong><br />
Canale di Corinto diventa spesso testimone<br />
di una specie di tsunami: al<br />
passaggio di una grossa nave, dapprima l'acqua<br />
si ritira e, subito dopo, onde furiose si scagliano<br />
contro alcune pietre, che conservano a mala<br />
pena la loro forma originale. Sono i resti di un<br />
grande monumento, il Diolco antico.<br />
Il passaggio degli antichi Corinzi per l'istmo<br />
era una cosa nota. La loro città, ai piedi <strong>del</strong>la<br />
rocca <strong>del</strong>l'Acrocorinto, aveva il controllo <strong>del</strong><br />
commercio tra due terre, ed anche tra due mari.<br />
Chi desiderava evitare il terribile Capo Maléaß<br />
ed il giro <strong>del</strong> Peloponneso, non aveva che da<br />
avvicinarsi alla città “dei due mari” e affidarsi ai<br />
Corinzi. Era tale la prontezza dei Corinzi a superare<br />
quell'ostacolo naturale, che Aristofane ci<br />
scherza su nelle Qesmoforiáqusai. "Quando le<br />
donne scoprono che un uomo si è intromesso fra<br />
di loro, lui cerca di nascondere la ...prova <strong>del</strong><br />
suo sesso girandola ora davanti ora di dietro".<br />
"Hai qualche istmo là, buon uomo?" gli fa il giovane<br />
che aveva avvertito le donne <strong>del</strong>l'intruso.<br />
“Trascini (diélkeiß) quel tuo fallo su e giù più<br />
lesto dei Corinzi”. Anche se il riferimento a navi<br />
non è esplicito, si sa che quando la commedia<br />
fu presentata, ai tempi <strong>del</strong>la Guerra <strong>del</strong><br />
Peloponneso, intere flotte furono trasportate da<br />
una parte all'altra <strong>del</strong>l'Istmo, passando per il<br />
Diolco. Tucidide ci dà un primo riferimento relativo<br />
a tale trasporto nel 428 a.C. Ma anche per il<br />
411 a.C. (anno <strong>del</strong>la rappresentazione <strong>del</strong>le<br />
Qesmoforiáqusai) lo storico ci informa che gli<br />
Spartani mandarono dei rappresentanti nella<br />
zona <strong>del</strong>l'Istmo, per disporre un passaggio di<br />
navi verso il Golfo Saronico, allo scopo di procedere<br />
contro Chio. Per distrarre l'attenzione<br />
- 77 -<br />
Fig. 1 - Un maestoso monumento ridotto in bran<strong>del</strong>li. La stessa parte <strong>del</strong><br />
Diolco nel 1960 e nel 2006. Da notare, nella prima foto, la costruzione a<br />
destra. Data la prematura morte di Nikos Ver<strong>del</strong>is, il Diolco non è stato<br />
mai propriamente pubblicato, quindi molte informazioni vengono<br />
cancellate dall’erosione.<br />
Foto: En Athinais Archaiologiki Etairia (1960), S. Loverdou (2006).<br />
Fig. 2 - Il tracciato <strong>del</strong> Diolco, parzialmente portato alla luce, durante gli<br />
scavi. La piattaforma si estende nella zona in fondo, a destra.<br />
Foto: En Athinais Archaiologiki Etairia.<br />
degli Ateniesi, si decise anche di far passare<br />
dapprima metà <strong>del</strong>la flotta, e di farla partire<br />
subito. All'epoca di Aristofane e di Tucidide, il<br />
Diolco non era una novità. Le lettere <strong>del</strong>l'alfabeto<br />
corinzio che, durante gli scavi condotti tra il<br />
1956 ed il 1962 da Nikos Ver<strong>del</strong>is, furono trovate<br />
incise sulle sue pietre, anche se non permettono<br />
una datazione sicura fanno pensare ad
Fig. 3 - Il fronte <strong>del</strong>l’erosione negli ultimi mesi <strong>del</strong> 2005.Tutta una serie di<br />
blocchi è caduta nel periodo 2002 – 2005. L’erosione sta per attaccare<br />
l’intera zona <strong>del</strong> monumento anche lateralmente.<br />
Foto: S. Loverdou.<br />
Fig. 4 - Un primo atto di rispetto, messo in atto dalla Direzione per il<br />
Restauro dei Monumenti Antichi (DAAM) agli inizi di marzo 2007.<br />
Troppo poco, a giudicare dal fatto che l’erosione chiaramente prosegue.<br />
Foto: S. Loverdou.<br />
un'epoca di costruzione <strong>del</strong>la struttura intorno o<br />
poco dopo il 600 a.C., in una Corinto fiorente,<br />
governata da Periandro (VERDELIS 1956). Tutte le<br />
fonti che parlano <strong>del</strong>l'utilizzo <strong>del</strong> Diolco si riferiscono<br />
a navi da guerra. Molti studiosi ritengono,<br />
però, che il Diolco fosse usato anche per le<br />
navi mercantili: in questo caso, i due porti di<br />
Corinto servivano forse come luoghi di carico e<br />
scarico <strong>del</strong>le merci. Plinio non sembra riferirsi<br />
solo a navi militari quando menziona il difficile<br />
passaggio oltre Capo Maléaß per i natanti che,<br />
a causa <strong>del</strong>le loro dimensioni, non potevano<br />
oltrepassare l'Istmo. Le leggere liburnae di<br />
Ottaviano poterono invece essere trainate al di<br />
là <strong>del</strong>l'Istmo nel 31 a.C., quando, dopo la battaglia<br />
di Azio, il futuro imperatore inseguiva la<br />
flotta di Antonio (Dione Cassio). Le difficoltà di<br />
circumnavigare il Peloponneso, e le dimensioni<br />
<strong>del</strong>le navi, certamente spinsero Nerone a tenta-<br />
SALTERNUM<br />
- 78 -<br />
re quello che Periandro aveva sognato: la realizzazione<br />
di un canale. E non si sa se i lavori che<br />
l'imperatore iniziò nel 67 d.C. avessero lasciato<br />
il Diolco intatto. Non mancano testimonianze di<br />
navi che passavano sopra l'Istmo. Intorno all'880<br />
d.C., troviamo un generale di Bisanzio che arriva<br />
al porto di Kexréia e, nella stessa notte, fa<br />
trasportare le sue navi nell'altro mare, servendosi<br />
di numerosa manodopera (FRANTZIS). Ci si<br />
domanda se il Diolco fosse ancora funzionale<br />
quasi quindici secoli dopo la sua costruzione. Le<br />
fonti esistenti non riferiscono dettagli né sulla<br />
costruzione, né sull'uso <strong>del</strong> Diolco; Strabone,<br />
nel 30 d.C., è uno dei pochi che lo nomina, e<br />
non manca di informarci che il suo sbocco nel<br />
Golfo Saronico si trovava presso l'odierna<br />
Kalamáki, ad una distanza di 45 stadi dal porto<br />
di Kexréia. Nonostante vari indizi, non è chiaro<br />
il tracciato <strong>del</strong> Diolco: si ritiene che seguisse<br />
l'andamento <strong>del</strong> terreno, formando un'ampia<br />
curva dalla parte <strong>del</strong> Peloponneso (WERNER<br />
1997). Il suo sbocco vicino a Kalamáki non è<br />
ancora venuto alla luce. Pausania, nel II secolo<br />
d.C., non fa riferimenti al Diolco. Le ultime testimonianze<br />
<strong>del</strong> trasporto <strong>del</strong>le navi sopra l'Istmo<br />
risalgono alla metà <strong>del</strong> XII secolo con Edrisi, che<br />
riferisce (in francese): “Le piccole imbarcazioni<br />
(...) arrivano all'estremità <strong>del</strong> canale e vengono<br />
trainate per terra per sei miglia”. Parlando <strong>del</strong><br />
canale, Edrisi intende naturalmente il lungo<br />
golfo di Corinto, visto che il canale vero e proprio<br />
non fu scavato che alla fine <strong>del</strong> XIX secolo.<br />
Dopo di che, le fonti tacciono.<br />
RINVENIMENTO DEL DIOLCO<br />
Nel 1883, l'archeologo Habbo Gerhard<br />
Lolling ci dà notizie di tracce <strong>del</strong> Diolco in un<br />
luogo che doveva trovarsi all'estremità superiore<br />
<strong>del</strong>l'Istmo (LOLLING); nel 1913, l'etnologo scozzese<br />
J.G. Frazer parla di suoi possibili resti sulla<br />
via da Kalamáki a Corinto (FRAZER). Oggi questo<br />
luogo non si può più localizzare con esattezza.<br />
Le lastre di pietra cui H.N.Fowler si riferiva nel<br />
1932 (FOWLER), situate vicino all'ingresso occidentale<br />
<strong>del</strong> canale dalla parte <strong>del</strong> Peloponneso,<br />
sono invece chiaramente identificabili. Lo stesso<br />
vale per le tracce che, secondo lo stesso Fowler,<br />
erano state identificate dall'archeologo america
no Oscar Broneer, ai lati <strong>del</strong>la via che, da<br />
Corinto, portava al "passaggio" dove si traghettava<br />
tra le due sponde <strong>del</strong> Canale. Come si è<br />
potuto constatare durante gli scavi, le lastre visibili<br />
erano parte di una piattaforma che si estendeva<br />
prima, ed al lato, <strong>del</strong> tracciato vero e proprio<br />
<strong>del</strong> Diolco. Questa ampia struttura ha sofferto<br />
danni a metà degli anni quaranta, durante<br />
i lavori di riapertura <strong>del</strong> Canale dopo gli eventi<br />
<strong>del</strong>la seconda guerra mondiale (ELEFTHERIA,<br />
1956). Nel 1946, alcune pietre <strong>del</strong> Diolco vennero<br />
alla luce - e distrutte - durante l'apertura di<br />
una strada secondaria (VERDELIS 1956): esse<br />
erano situate alcune centinaia di metri più ad<br />
oriente, e dalla parte <strong>del</strong>l'Attica. Una di queste<br />
pietre, su cui è incisa la lettera X, venne trasferita<br />
al Museo di Corinto. Nel 1956, la scoperta<br />
accidentale di testimonianze <strong>del</strong> Diolco nell'area<br />
<strong>del</strong>la Scuola <strong>del</strong> Genio Militare diede l'avvio agli<br />
scavi. I lavori, effettuati lungo le due sponde <strong>del</strong><br />
canale fino al 1962, hanno portato alla luce<br />
un'ampia strada in blocchi di poros, larga da<br />
m.3,5 a quasi m.6. La lunghezza complessiva <strong>del</strong><br />
Diolco, di cui abbiamo conoscenza, è di m.1.100<br />
(VERDELIS 1962), mentre la parti conservate sono<br />
molto meno estese. La prima parte <strong>del</strong> tracciato<br />
proprio <strong>del</strong>la struttura (interrotta dopo circa 145<br />
metri dalla via che conduce al luogo <strong>del</strong> traghetto),<br />
era quasi parallela al canale odierno; e dopo<br />
circa 53 metri il tracciato riprendeva verso Est.<br />
Di questa porzione si conservavano 42 metri;<br />
seguiva un'interruzione di 15 metri, dopo di che<br />
l'antico tracciato si ritrovava lungo l'orlo <strong>del</strong><br />
canale. La porzione di Diolco, scavata in territorio<br />
attico, nel terreno <strong>del</strong>la Scuola <strong>del</strong> Genio, si<br />
estende invece per una lunghezza di 204 metri<br />
(VERDELIS 1960). Caratteristici, sulla superficie <strong>del</strong><br />
Diolco, i solchi lasciati dalle ruote dei veicoli<br />
con cui venivano effettuati i trasporti: essi sono<br />
molto più pronunciati nel settore occupato dalla<br />
Scuola <strong>del</strong> Genio. La distanza tra queste tracce<br />
parallele è di m.1,50. Altre tracce, meno profonde,<br />
sono presenti nello stesso settore: non è<br />
chiaro se si tratti di veicoli più stretti, o piuttosto<br />
se una traccia, a questa parallela, ricadeva al di<br />
fuori <strong>del</strong>l'area esplorata (RAEPSAET e TOLLEY).<br />
Torniamo però al limite occidentale <strong>del</strong> Diolco.<br />
Una possibile riproduzione <strong>del</strong> modo in cui le<br />
SOFIA LOVERDOU<br />
- 79 -<br />
navi venivano trasportate le vedrebbe dapprima<br />
trainate sull'ampia piattaforma, per essere poi<br />
portate su di una costruzione rettangolare, racchiusa<br />
da muretti su tre lati; ma questa costruzione<br />
costituisce un'aggiunta posteriore al tracciato<br />
originale <strong>del</strong> Diolco, il quale, come<br />
VERDELIS ha potuto constatare, prosegue sotto<br />
questa pavimentazione (Ver<strong>del</strong>is 1960). I primi<br />
resti visibili <strong>del</strong> tracciato <strong>del</strong> Diolco vero e pro-<br />
Fig. 5 - Alcuni dei blocchi con lettere incise, durante gli scavi. Oggi, la stessa<br />
parte <strong>del</strong> monumento è dislocata, quasi sempre sommersa e perennemente<br />
minacciata.Foto:En Athinais Archaiologiki Etairia (1960),S.Loverdou (2006).<br />
Fig. 6 - Alcuni dei blocchi con lettere incise, durante gli scavi.<br />
Foto: En Athinais Archaiologiki Etairia (1960), S. Loverdou (2006).<br />
prio dimostrano di essere stati costruiti con grande<br />
cura; essi non presentano solcature. Le lettere<br />
che troviamo incise sui blocchi, e che sono<br />
diffuse in altre parti <strong>del</strong>la struttura, qui sono frequentissime,<br />
anzi, alcuni blocchi ne portano più<br />
d'una. La porzione <strong>del</strong> Diolco che insiste sul terreno<br />
<strong>del</strong>la scuola <strong>del</strong> Genio è ancora da interpretare.<br />
Quasi alla metà <strong>del</strong> tracciato rinvenuto<br />
vi è una doppia serie di pietre che si estende per<br />
una quindicina di metri al di sopra <strong>del</strong> tracciatobase.
Fig. 7 - Lo smagliamento <strong>del</strong> Diolco porta alla luce anche caratteristiche<br />
nascoste, come una lettera incisa nella parte inferiore di un blocco. La<br />
presenza di lettere incise sul «rovescio» di alcune pietre era stato già<br />
notato da Werner. Foto: S. Loverdou.<br />
Fig.8 - Nikos Ver<strong>del</strong>is accanto alla prima parte rinvenuta <strong>del</strong> monumento.<br />
Il termine occidentale <strong>del</strong> Diolco è in fondo. Davanti a Ver<strong>del</strong>is, la strada<br />
che porta al «passaggio».<br />
Foto: archivio privato di Fivos Ver<strong>del</strong>is (figlio di Nikos Ver<strong>del</strong>is).<br />
A giudicare dall'assenza di solcature lungo<br />
questo tratto, e dal fatto che questa assenza continua<br />
anche oltre, Ver<strong>del</strong>is è <strong>del</strong> parere che questa<br />
struttura, originariamente, si estendesse per<br />
31 metri e suggerisce che essa, situata su una<br />
curva <strong>del</strong> tracciato, proteggesse i veicoli da<br />
eventuali sbandamenti (VERDELIS 1956); Raepsaet<br />
eTolley, che riportano, tra l'altro, una lunghezza<br />
inferiore, propongono invece che si tratti di<br />
una rampa di carico (RAEPSAET e TOLLEY). Inoltre,<br />
procedendo verso Oriente, venne alla luce una<br />
parte <strong>del</strong>la struttura con i solchi; ma questa parte<br />
è ora coperta, ragione per cui è visibile soltanto<br />
il tracciato generico. Un moderno parcheggio<br />
per i veicoli <strong>del</strong>la Scuola non è stato esplorato<br />
ed alcune tracce <strong>del</strong> Diolco sono venute alla<br />
luce anche al di fuori dei terreni <strong>del</strong>la Scuola.<br />
SALTERNUM<br />
- 80 -<br />
DISAVVENTURE RECENTI.<br />
Oggi, chi si reca nell'area <strong>del</strong> limite occidentale<br />
dei Diolco non vede la maestosa struttura<br />
venuta alla luce appena cinque decenni fa; questo<br />
documento di fama internazionale è ridotto<br />
a decine di metri di blocchi sconnessi, in parte<br />
anche sommersi o addirittura coperti da terreno<br />
in frana. Dapprima la terra, che al tempo degli<br />
scavi separava la struttura dal canale, ed in<br />
seguito la struttura stessa, sono state lasciate alla<br />
mercè <strong>del</strong>l'erosione, senza neppure un tentativo<br />
di salvaguardarla. Il Diolco aveva resistito per<br />
migliaia di anni per arrivare fino a noi; poi, in<br />
cinquant'anni, tanto scempio...Anche la piattaforma<br />
che si estendeva presso l'inizio <strong>del</strong> tracciato<br />
vero e proprio si è in gran parte dispersa;<br />
e questa era l'unica parte <strong>del</strong> tracciato che, all'epoca<br />
degli scavi, era a contatto con l'acqua. I<br />
dettagli <strong>del</strong> travaglio moderno <strong>del</strong> Diolco, come<br />
appaiono anche dai documenti, sono raccapriccianti:<br />
il monumento veniva dilaniato, non solo<br />
senza che nessuno si preoccupasse di proteggerlo,<br />
ma anche sotto false dichiarazioni di salvaguardia.<br />
Dopo cinquanta anni di abbandono,<br />
una comunicazione <strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>la Cultura<br />
informava così il Primo Ministro greco: "le onde<br />
hanno ormai cominciato ad erodere il substrato<br />
<strong>del</strong> monumento". Dopo decenni di quasi sistematica<br />
distruzione <strong>del</strong> Diolco, i servizi che<br />
avrebbero dovuto salvaguardarlo e non l'hanno<br />
fatto, trovavano per l'ennesima volta una "via<br />
d'uscita", descrivendo l'erosione come se fosse<br />
appena iniziata. Ma questo “teatro <strong>del</strong>l'illogico”<br />
potrebbe anche contenere <strong>del</strong>le buone notizie.<br />
Se queste arriveranno, il monumento verrà finalmente<br />
protetto e restaurato senza ulteriori indugi<br />
e senza ipocrisia, come chiede la petizione<br />
internazionale indirizzata al Primo Ministro<br />
greco. Contrariamente a quanto pensano (e<br />
forse sperano) alcuni, il Diolco è ancora vivo.<br />
Chi si è chinato sopra le sue ferite, ha sentito il<br />
suo respiro.
Fig. 9 - La piattaforma, unica parte <strong>del</strong> Diolco che era a contatto con<br />
l’acqua ai tempi degli scavi, nel suo stato attuale.<br />
Foto: S. Loverdou<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
ARISTOFANE: ARISTOFANE, Qesmoforiáqusai.<br />
ELEFTERIA 1956: La scoperta e l'importanza <strong>del</strong> Diolco di<br />
Corinto, articolo non firmato sul giornale “Elefteria”, 18<br />
agosto 1956.<br />
DIONE CASSIO: DIONE CASSIO, Storia Romana I, 1,5 (Augusto);<br />
EDRISI: EDRISI 1154 (Geographie), p.123.<br />
FOWLER: H.N. FOWLER, Diolcus, Nero's Canal, Kechreia, in<br />
“Corinth and the Corinthia, Corinth I”, pp. 49-71,<br />
Cambridge Mass. 1932.<br />
FRAZER: J.G. FRAZER, Pausanias III, p.5 (riportato in FOWLER,<br />
p.50).<br />
LOLLING 1883: H.G. LOLLING, in Griechenland Handbuch fur<br />
Reisende, Leipzig, 1883.<br />
PHRANTZIS: GEORGIUS PHRANTZES (o Phrantzis), e, 33 in Corp.<br />
Script. Hist. Byz, XX, ed. Becker, p.96.<br />
PLINIO: PLINIO, Naturalis Historia, IV, 10.<br />
SOFIA LOVERDOU<br />
Fig. 11 - Solchi scavati nel poros, che caratterizzano la parte orientale <strong>del</strong> Diolco (recinto<br />
<strong>del</strong>la Scuola <strong>del</strong> Genio). Condizioni al 1960 ed al 2006.<br />
Foto: archivio di Fivos Ver<strong>del</strong>is<br />
- 81 -<br />
Fig. 10 - I resti <strong>del</strong> Diolco, danneggiati dal passaggio di una grossa nave<br />
(agosto 2006).<br />
Foto: S. Loverdou<br />
Fig. 12 - Parte <strong>del</strong> Diolco come si presentava nel 1960.<br />
Oggi devastata dall’erosione.<br />
Foto:En Athinais Archaiologiki Etairia<br />
RAEPSET E TOLLEY: G.RAEPSAET e M. TOLLEY, “Le diolkos de l'Istme<br />
à Corinthe: son tracé, son fonctionnement.” in Bulletin de<br />
Corrispondence Hellenique 117, 1993, 233-261, C369; H,<br />
2, C335; H, 22, C380.<br />
STRABONE: STRABONE, Geografia, H, VI, 4.<br />
TUCIDIDE: TUCIDIDE, Storia, 15,1.<br />
VERDELIS 1956: N. VERDELIS, in Archaiologikà Chronikà, 1956;<br />
VERDELIS 1960: N.VERDELIS, Praktikà tes en Athinais<br />
Archaiologikis Etairias, pp.136-143.<br />
VERDELIS 1962: N. VERDELIS, Praktikà tes en Athinais<br />
Archaiologikis Etairias, pp.48-50.<br />
WERNER : W. WERNER, “The largest ship truckway in ancient<br />
times: the Diolkos of the Isthmus of Corinth, Greece, and<br />
early attemps to build a canal”, in The International Journal<br />
of Nautical Archaeology (1997) 26.2, 98-119, The Nautical<br />
Archaeology Society, 1997.
BIANCA<br />
CANCELLARE
Tu sì sei santa, tu sei in ogni tempo<br />
salvatrice <strong>del</strong>l’umana specie, tu, nella tua<br />
generosità, porgi sempre aiuto ai mortali,<br />
tu offri ai miseri in travaglio il dolce<br />
affetto che può avere una madre.<br />
(Apuleio, Metamorfosi, XI, 25)<br />
Il legame fra l’Egitto e Benevento, due<br />
mondi apparentemente estranei sia geograficamente<br />
che culturalmente, è rappresentato<br />
da una dea, anzi dalla dea per eccellenza<br />
<strong>del</strong> pantheon egizio: Iside, “una che sei tutte le<br />
cose”, come recita una celebre epigrafe capuana<br />
(CIL X 3800). Il culto <strong>del</strong>la grande divinità egizia<br />
si diffuse, nel corso <strong>del</strong> II sec. a.C., in tutto il bacino<br />
<strong>del</strong> Mediterraneo, approdando ai porti campani<br />
insieme ai mercanti italici che commerciavano<br />
con l’Egeo. Pozzuoli ha ospitato il primo Serapeo<br />
<strong>del</strong>la Penisola 1 , mentre Iside, sposa e paredra<br />
(divinità che forma una coppia divina o che<br />
generalmente si accompagna ad un’altra <strong>del</strong><br />
medesimo pantheon) di Serapide, in virtù forse<br />
<strong>del</strong>la maggiore antichità e <strong>del</strong> carattere fortemente<br />
soterico <strong>del</strong> suo culto, da “compagna” <strong>del</strong> dio<br />
tolemaico assurse presto al ruolo di protagonista<br />
e fulcro <strong>del</strong>l’attenzione dei fe<strong>del</strong>i; alla fine <strong>del</strong> II<br />
sec. a.C. la maggior parte dei templi sono dedicati<br />
a lei, mentre il culto <strong>del</strong> compagno è sovente<br />
ospitato in una piccola cella attigua al naòs,<br />
luogo in cui si trovava la statua <strong>del</strong>la dea, inaccessibile<br />
ai semplici fe<strong>del</strong>i.<br />
A Pompei si conserva l’unico Iseo pressoché<br />
integro, che nella sua prima fase costruttiva è di<br />
poco posteriore al Serapeo puteolano; contemporaneamente<br />
molte città <strong>del</strong>la Campania, come<br />
Cuma, Neapolis e Capua divennero importanti<br />
luoghi di culto per le divinità egizie, e il loro successo<br />
superò presto i confini campani, seguendo<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
L’Egitto a Benevento<br />
- 83 -<br />
le grandi rotte commerciali. Anche il Lazio<br />
(Praeneste, Ostia) accolse favorevolmente Iside e<br />
gli altri dei nilotici, e la stessa Roma, nonostante<br />
l’iniziale ostilità <strong>del</strong>la classe senatoria, dovrà alla<br />
fine cedere al fascino <strong>del</strong>la religione egizia.<br />
Non sappiamo se Benevento sia stata coinvolta<br />
dal grande moto di diffusione dei culti egizi iniziato<br />
nel II sec. a.C., poiché mancano in merito<br />
prove archeologiche o documentarie, tuttavia è<br />
molto probabile che questo si sia verificato,<br />
essendo la città un importante centro commerciale,<br />
nonché fondamentale snodo stradale lungo<br />
l’Appia, regina viarum, e punto di passaggio<br />
obbligato per il tragitto <strong>del</strong>le merci da Roma<br />
all’Oriente e viceversa.<br />
Durante il periodo imperiale, il successo dei<br />
culti isiaci fu dovuto, più che ai commerci o alle<br />
attività di proselitismo, alla volontà degli Imperatori.<br />
Se alcuni di essi, come Augusto e Tiberio,<br />
furono ostili, anzi nemici degli isiaci, pur non<br />
potendosi sottrarre all’incredibile fascino <strong>del</strong>la<br />
cultura egizia, percepibile ad esempio nella<br />
splendida decorazione <strong>del</strong>l’Aula Isiaca sul<br />
Palatino, altri principi furono ad essi estremamente<br />
favorevoli. La dinastia flavia 2 fu assai benevola<br />
nei confronti <strong>del</strong>le divinità egizie, favorendo la<br />
diffusione <strong>del</strong> loro culto ed edificando grandiosi<br />
santuari. Il legame fra i Flavi e l’Egitto fu sempre<br />
molto forte: Domiziano aveva nei confronti di<br />
Iside un debito di gratitudine, essendosi salvato<br />
dall’assalto dei vitelliani al Campidoglio travestendosi<br />
da sacerdote <strong>del</strong>la dea. Alla sua iniziativa si<br />
deve la ricostruzione <strong>del</strong>l’Iseo Campense (il tempio<br />
isiaco edificato a Roma nel I sec. a.C. ed ospitato<br />
nel Campo Marzio, al di fuori <strong>del</strong> pomerio)<br />
nonché l’edificazione <strong>del</strong> santuario di Iside a<br />
Benevento, che si data, grazie alle iscrizioni<br />
geroglifiche sui due obelischi in granito presenti
Fig. 2.<br />
Fig. 1.<br />
in città, all’ottavo anno <strong>del</strong> principato domizianeo,<br />
cioè all’88-89 d.C.. L’interesse <strong>del</strong>l’Imperatore<br />
allo sviluppo dei culti egizi era legato non<br />
tanto ad una personale propensione religiosa,<br />
quanto al desiderio di essere venerato come un<br />
monarca ellenistico, presentandosi al popolo<br />
romano come dominus et deus e sfruttando il<br />
carisma divino che la cultura egizia conferiva al<br />
sovrano. Ma il sovrano ricorse all’arte egizia<br />
anche per distinguere nettamente il tempio <strong>del</strong>la<br />
dea orientale dai santuari <strong>del</strong>le divinità tradizionali<br />
romane, di cui tentò di riportare in auge il<br />
culto, proseguendo la politica religiosa <strong>del</strong> padre.<br />
Sull’obelisco che il princeps flavio fece erigere a<br />
Roma, egli è definito “amato da Iside”, mentre gli<br />
obelischi beneventani, edificati in un periodo in<br />
cui l’imperatore aveva dato una svolta più marcatamente<br />
teocratica al principato, lo presentano<br />
SALTERNUM<br />
- 84 -<br />
come “figlio di Ra ”, al pari dei Faraoni. E’ per<br />
questo che il Müller interpreta le statue di falco<br />
beneventane come incarnazione di Domiziano in<br />
Horus 3 . Domiziano, quindi, da un lato conferisce<br />
nuova linfa vitale agli dèi nilotici, dall’altro, adottando<br />
per i loro templi i canoni <strong>del</strong>l’arte egizia,<br />
mira a far avvertire al popolo la differenza fra le<br />
religioni orientali e le divinità <strong>del</strong> pantheon romano.<br />
Il Malaise 4 rileva un altro elemento di notevole<br />
importanza: il legame che sotto i Flavi Iside<br />
presenta con gli eventi bellici. La dea viene molte<br />
volte avvicinata a Minerva, che compare al centro<br />
<strong>del</strong>l’Arcus ad Isis, innalzato dall’imperatore nei<br />
pressi <strong>del</strong>l’Iseo Campense. L’uguaglianza Iside =<br />
Neith (dea guerriera <strong>del</strong>la tradizione egizia) =<br />
Athena era già stata formulata all’epoca di<br />
Erodoto (V sec. a.C.) 5 e le prerogative di Iside-<br />
Athena guerriera sarebbero confluite, per volontà<br />
dei Flavi, nella figura di Minerva. Anche a<br />
Benevento la costruzione <strong>del</strong> tempio domizianeo<br />
è strettamente connessa all’impresa dacica, come<br />
testimoniano le iscrizioni degli obelischi, e vi<br />
sono molti elementi per ritenere che i Flavi abbiano<br />
creato un legame fra Iside-Minerva guerriera e<br />
le loro conquiste militari, come testimonia la vicinanza<br />
<strong>del</strong>l’Iseo Campense al tempio di Minerva<br />
Chalcidica in Roma.<br />
La maggior parte dei materiali conservati al<br />
Museo <strong>del</strong> Sannio sono pertinenti a questo edificio,<br />
ed è la loro qualità più che quantità a sorprendere<br />
il visitatore: Domiziano, infatti, volle<br />
edificare, decorare ed arredare il santuario beneventano<br />
secondo i canoni <strong>del</strong>l’arte egizia, utilizzando<br />
materiali come il granito rosa, il porfido<br />
rosso, l’anfibolite e facendo ricorso al repertorio<br />
iconografico faraonico per le opere all’interno <strong>del</strong><br />
luogo di culto. E’ per questo che è parso opportuno<br />
intitolare quest’articolo “L’Egitto a<br />
Benevento”, piuttosto che “I culti isiaci a<br />
Benevento”, poiché l’Egitto fu “fisicamente” presente<br />
nel capoluogo sannita dal I sec. d.C. almeno<br />
fino al III sec. d.C., e gli dèi nilotici furono<br />
venerati in atmosfere consone alle loro origini,<br />
anziché in templi simili a quelli <strong>del</strong>le altre divinità<br />
<strong>del</strong> pantheon greco- romano, come avveniva<br />
invece a Pozzuoli, Pompei, Napoli ed in molti<br />
altri contesti.
I materiali<br />
I reperti egizi presenti a Benevento 6 , circa cinquanta,<br />
possono essere divisi in quattro gruppi<br />
principali:<br />
1) Reperti di epoca faraonica, fabbricati in<br />
Egitto in tempi molto antichi e portati a<br />
Benevento in occasione (o in conseguenza) <strong>del</strong>l’edificazione<br />
<strong>del</strong> santuario. Essi sono: un frammento<br />
di statua <strong>del</strong> faraone Meri-shepses-Ra assiso<br />
in trono, <strong>del</strong>la XIII dinastia, datata al 1700 a.C.<br />
circa, che è il pezzo più antico presente in città;<br />
la statua-cubo <strong>del</strong>lo Scriba Reale Neferhotep (fig.<br />
1) <strong>del</strong>la XXII dinastia, datata alla seconda metà<br />
<strong>del</strong> IX sec. a.C.; due statue di Horus-falco <strong>del</strong>la<br />
XXX dinastia.<br />
2) Reperti di epoca tolemaica fabbricati in<br />
Egitto: una testa di Iside proveniente da Behbetel-Hagar<br />
(fig. 2), sul Delta <strong>del</strong> Nilo, forse un frammento<br />
<strong>del</strong>la statua venerata nel naòs; cinque<br />
<strong>del</strong>le dieci sfingi beneventane (fig. 3) oggi conservate<br />
in parte al Museo <strong>del</strong> Sannio ed in parte<br />
al Museo Barracco di Roma, e che probabilmente<br />
erano pertinenti ad un unico drómos, corridoio<br />
monumentale che fungeva da accesso al naòs, ai<br />
lati <strong>del</strong> quale trovavano collocazione le sfingi, le<br />
statue di faraone con “pilastro dorsale” e gli obelischi<br />
in granito.<br />
3) Reperti <strong>del</strong>la tarda epoca ellenistica di fabbricazione<br />
greca: frammento <strong>del</strong>la nave di Iside<br />
Pelagia (?) (fig. 4 ) e toro Apis (?) in marmo bianco.<br />
4) Reperti di epoca romana imperiale, alcuni<br />
fabbricati in Egitto, altri in Italia che testimoniano<br />
lo “stato di decadenza” <strong>del</strong>l’arte egizia nel I sec.<br />
<strong>del</strong>la nostra era: due obelischi in granito (fig. 5);<br />
le statue regali che riproducono Domiziano (fig.<br />
6) e Caracalla (?); la statua di Anubis (?); la coppia<br />
di sacerdoti con “vaso canopo” (fig. 7); il<br />
sacerdote con sistro, tre oranti inginocchiate e<br />
diverse statue di animali sacri (due cinocefali, tre<br />
falchi, le restanti cinque sfingi, fra cui due teste di<br />
faraone, tre leoni gradienti in granito rosa, di cui<br />
uno incastonato nel campanile <strong>del</strong>la Cattedrale, il<br />
toro Apis di viale S. Lorenzo ed il toro Apis in pietra<br />
scura). A questo gruppo appartengono anche<br />
l’elemento di decorazione architettonica con toro<br />
Apis e quattro frammenti di rilievo raffiguranti<br />
Iside alata, un ginocchio con parte <strong>del</strong> gonnelli-<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 85 -<br />
no tipico egizio (lo shendit), l’imperatore<br />
Domiziano in vesti faraoniche con le corone<br />
<strong>del</strong>l’Alto e <strong>del</strong> Basso Egitto (fig. 8), oggi perduto,<br />
Fig. 3.<br />
Fig. 4.<br />
Fig. 5.
Fig. 7.<br />
Fig. 6.<br />
e la sfinge alata acefala (fig. 9) riutilizzata nella<br />
costruzione <strong>del</strong> settecentesco Convento degli<br />
Scolopi, in p.zza Piano di Corte. Fanno inoltre<br />
parte di questo gruppo un’epigrafe in cui è menzionata<br />
Iside ed un’altra in cui si celebra la costruzione<br />
<strong>del</strong> Canopus 7 , anch’essa perduta. Grande<br />
interesse destano le opere “egittizzanti” fabbrica-<br />
SALTERNUM<br />
- 86 -<br />
te in Italia da artisti locali o romani, che testimoniano<br />
da un lato l’affezione <strong>del</strong>l’imperatore<br />
Domiziano alle forme ed ai materiali <strong>del</strong>la plastica<br />
faraonica, dall’altro la scarsa familiarità che<br />
avevano gli artisti italici con le forme ed i materiali<br />
tipici <strong>del</strong>l’arte egizia 8 .<br />
Uno degli oggetti più interessanti è la c.d. cista<br />
mystica (fig. 10), oggetto dal contenuto e dalla<br />
funzione misteriosi pertinente al tempio di “Iside<br />
Signora di Benevento”. Una cista analoga, in<br />
vimini, era portata in trionfo durante le processioni<br />
sacre assieme alle statue degli dèi e conteneva,<br />
secondo la testimonianza di Apuleio, i “<br />
sacri corredi, e nascondeva nell’intimo i misteri di<br />
quella sublime religione” 9 . Il Müller ritiene che la<br />
cista contenesse dei serpenti - visto che un rettile<br />
è appunto rappresentato sul coperchio - oppure<br />
il fallo <strong>del</strong> dio Osiride o un “vaso canopo”<br />
pieno di acqua lustrale 10 .<br />
L’ipotesi dei serpenti sembra tuttavia da scartare.<br />
In molte raffigurazioni la cista è accompagnata<br />
da due rettili 11 . L’uno, recante la corona <strong>del</strong><br />
Basso Egitto, è Agathodaimon; l’altro, con le<br />
corna bovine ed il disco solare di Isis-Hator sul<br />
capo, è Thermouthis. Agathodaimon era il patrono<br />
di Alessandria, venerato presso un heroon edificato<br />
in suo onore; è l’interpraetatio graeca<br />
(alessandrina) <strong>del</strong> dio egizio Psois, dio <strong>del</strong> destino<br />
che regge le sorti degli uomini e degli Stati.<br />
Thermouthis è invece la dea <strong>del</strong>la fertilità e <strong>del</strong>la<br />
vegetazione, che sovente accompagna il primo<br />
nelle raffigurazioni.<br />
Sul disco di una lucerna rinvenuta a Pozzuoli 12<br />
(fig. 11) è raffigurata Isis Panthea nell’atto di versare<br />
il contenuto di una patera all’interno di una<br />
cista, la quale è piena di frutti dalla forma tondeggiante,<br />
indistinguibili. In un rilievo conservato<br />
al Museo Egizio di Torino 13 (fig. 12) è possibile<br />
notare la medesima cista, questa volta accompagnata<br />
da entrambi i rettili, il cui contenuto è<br />
chiaramente rappresentato da una pigna. Resti di<br />
pigne e di altri frutti carbonizzati (datteri, fichi,<br />
castagne, noci, nocciole) sono stati rinvenuti nella<br />
fossa in muratura presso l’altare maggiore<br />
<strong>del</strong>l’Iseo di Pompei, destinata ad accogliere i resti<br />
di ciò che veniva bruciato durante i sacrifici 14 . E’<br />
quindi probabile che a ciò fosse destinata anche<br />
la cista beneventana.
I Santuari<br />
Hans Wolfgang Müller, l’egittologo tedesco<br />
che per primo ha portato alla ribalta internazionale<br />
l’importanza <strong>del</strong>le scoperte beneventane,<br />
sulla base dei materiali rinvenuti ipotizzò l’esistenza<br />
di tre santuari distinti 15 :<br />
1) Un santuario dedicato a Iside “Signora di<br />
Benevento”, costruito per volere <strong>del</strong>l’imperatore<br />
Domiziano nell’88-89 d.C., la cui esistenza è<br />
dimostrata, oltre che dal gran numero di opere<br />
egizie o egittizzanti, anche dalle epigrafi sui due<br />
obelischi. Nella ricostruzione <strong>del</strong> Müller questo<br />
edificio sarebbe stato eretto secondo i canoni <strong>del</strong>l’architettura<br />
e <strong>del</strong>l’arte egizia, rappresentando<br />
pertanto una vera e propria “enclave egizia” in<br />
territorio italico.<br />
2) Un Canopus dedicato al culto di Osiride-<br />
Canopo, divinità paredra di Iside-Menouthis<br />
venerata nella città nilotica di Canopo. A tale tempio<br />
sono riferibili un numero minore di opere, la<br />
cui datazione si colloca fra la metà <strong>del</strong> I e la<br />
seconda metà <strong>del</strong> II sec.d.C.. Un’iscrizione di<br />
carattere celebrativo, oggi perduta, ci informa che<br />
l’edificio è frutto <strong>del</strong>la munificenza di un privato,<br />
Umbrio Eudrasto, Patronus Coloniae<br />
Beneventanorum, cui il collegium Martensium<br />
Infraforanum dedica appunto l’epigrafe.<br />
3) Un tempio in cui era venerata Iside Pelagia,<br />
epiclesi 16 ellenistica <strong>del</strong>la dea molto diffusa in<br />
ambiente egeo dal II sec. a.C., e strettamente<br />
legata alla navigazione ed al commercio.<br />
L’esistenza di questo terzo edificio è testimoniata<br />
da un numero esiguo di reperti, e poggia sull’interpretazione<br />
<strong>del</strong> frammento di imbarcazione<br />
in marmo pario come parte <strong>del</strong>la statua di culto<br />
di Iside Pelagia. Tale ipotesi, come vedremo, è<br />
fortemente criticata da molti studiosi.<br />
Non essendo stata individuata la collocazione<br />
di nessuno dei tre templi, è possibile solo formulare<br />
ipotesi circa la loro architettura ed i loro arredi,<br />
partendo dallo studio dei reperti ad essi pertinenti.<br />
Riguardo al santuario di epoca domizianea,<br />
ciò che colpisce è l’uso di materiali e forme che<br />
rimandano immediatamente al mondo egizio.<br />
Allo stesso modo, le divinità non sono mai raffigurate<br />
nella loro interpraetatio graeca o romana<br />
(ovvero secondo tipi iconografici elaborati in<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 87 -<br />
Fig. 9.<br />
Fig. 10.<br />
Fig. 8.
Fig. 12.<br />
Fig. 11.<br />
contesti ellenistico-romani e più consoni ai canoni<br />
<strong>del</strong>l’arte “occidentale”); sono invece presentate<br />
secondo la più antica iconografia faraonica, che<br />
ignora le conquiste <strong>del</strong>l’arte greca. Questo elemento<br />
distingue le opere egizie beneventane da<br />
quelle rinvenute in molti contesti campani, come<br />
Pozzuoli o Pompei. La città flegrea, soprattutto,<br />
ospitava un importante tempio ellenistico dedicato<br />
alla divinità tolemaica Serapide, di cui si conserva<br />
al Museo Nazionale di Napoli una statua <strong>del</strong><br />
II sec. d.C. che, secondo l’ipotesi di molti studiosi,<br />
riprende il prototipo elaborato sotto Tolomeo<br />
I Sotér. Mentre nella zona costiera <strong>del</strong>la<br />
Campania, infatti, gli dèi egizi erano “giunti attraverso<br />
il mare” grazie soprattutto al contributo dei<br />
mercanti, a Benevento il tempio di Iside è frutto<br />
<strong>del</strong>la diretta volontà imperiale, eseguita mediante<br />
un “demiurgo” il cui nome appare più volte sugli<br />
obelischi: Rutilio Lupo. Pertanto è possibile inter-<br />
SALTERNUM<br />
- 88 -<br />
pretare il santuario beneventano come manifestazione<br />
<strong>del</strong>la stessa ideologia domizianea, volta<br />
all’autoesaltazione mediante l’uso di sculture e<br />
materiali che, richiamando il mondo degli antichi<br />
sovrani egizi, conferisse dignità divina allo stesso<br />
Princeps, nuovo Faraone.<br />
Dato il grande numero di sculture egizie, è<br />
ipotizzabile un coinvolgimento diretto <strong>del</strong>lo stesso<br />
imperatore nella decisione di importarle. Onde<br />
arricchire maggiormente il tempio, però, fu<br />
necessario anche far produrre molte opere, le<br />
quali sono qualitativamente inferiori alle più antiche,<br />
dato lo stato di decadenza <strong>del</strong>la stessa arte<br />
egizia in età flavia o la scarsa pratica degli scultori<br />
locali con le forme ed i materiali egizi 17 .<br />
I materiali rinvenuti inducono a pensare che il<br />
santuario di “Iside Signora di Benevento” (come è<br />
chiamata la dea sui due obelischi) fosse simile<br />
nella struttura agli antichi templi egizi <strong>del</strong>la Valle<br />
<strong>del</strong> Nilo, e la presenza di un così elevato numero<br />
di sfingi, alcune <strong>del</strong>le quali molto simili fra di<br />
loro, porta a ipotizzare l’esistenza di un drómos,<br />
ove queste opere potessero essere collocate. Al<br />
termine di tale corridoio erano posti i due obelischi,<br />
antico simbolo <strong>del</strong> dio Atoum ed ora recanti<br />
il nome di Domiziano identificato pienamente<br />
con Horus. Il naòs, imitando nella struttura i templi<br />
egizi, avrebbe potuto trovarsi al livello <strong>del</strong><br />
suolo, con una cella ipostila che introduce al<br />
sancta sanctorum.<br />
L’esistenza stessa <strong>del</strong> drómos induce a ritenere<br />
che il tempio isiaco a Benevento fosse integrato<br />
architettonicamente nel contesto urbanistico e<br />
collegato in modo “aperto” con il centro urbano,<br />
e non isolato dal suo peribolo dal resto <strong>del</strong>la città,<br />
come avviene invece a Pompei. Non è facile proporre<br />
una collocazione <strong>del</strong>le altre opere, ma è<br />
probabile che la statua di Domiziano si trovasse<br />
all’interno <strong>del</strong> tempio, come anche la statuetta di<br />
Caracalla. Il frammento <strong>del</strong>la testa di Iside, che<br />
potrebbe appartenere alla vera e propria statua di<br />
culto, si trovava certo all’interno <strong>del</strong>la cella, e<br />
forse era posizionata in modo da essere visibile<br />
anche dall’esterno, dato che i fe<strong>del</strong>i non potevano<br />
entrare nel luogo ove era il simulacro. La statua<br />
di Anubis probabilmente non era ospitata<br />
all’interno <strong>del</strong> naòs, ma in una <strong>del</strong>le nicchie ricavate<br />
nelle pareti esterne <strong>del</strong>la cella, ancora visibi-
li a Pompei e dinanzi ad ognuna <strong>del</strong>le quali era<br />
un altare. Le altre sculture provenienti dall’Egitto<br />
facevano parte <strong>del</strong>l’arredo <strong>del</strong> tempio; è probabile<br />
che non fossero posizionate nella cella ma in<br />
qualche altro luogo <strong>del</strong> santuario.<br />
La collocazione <strong>del</strong>l’Apis in pietra scura è<br />
anch’essa problematica: il toro avrebbe potuto<br />
essere venerato in uno spazio attiguo al tempio,<br />
in una cappella privata o forse nel naòs stesso,<br />
data l’assenza, a Benevento, di testimonianze <strong>del</strong><br />
culto di Serapide, che avrebbe potuto essere<br />
sostituito da Osiride (venerato nel Canopus) e,<br />
appunto, da Apis, cioè dalle due divinità cui deve<br />
il nome 18 . Il culto di Apis, data l’avversità dei<br />
Romani verso gli dèi zoomorfi, non ebbe mai<br />
grande successo in Italia, tuttavia il toro, che in<br />
Egitto incarnava il potere faraonico, venne ben<br />
presto collegato da Domiziano al potere imperiale,<br />
di cui divenne espressione. E’ significativo che<br />
durante il principato domizianeo siano state<br />
coniate molte monete alessandrine con l’immagine<br />
<strong>del</strong>l’animale, il cui legame con il sovrano era,<br />
in Egitto, una prassi consolidata. Apis era venerato<br />
nel tempio beneventano non perché godesse<br />
di particolare seguito fra i fe<strong>del</strong>i, ma perché simboleggiava<br />
la divinità <strong>del</strong> sovrano.<br />
Il Canopus è legato strettamente al foro cittadino<br />
dall’epigrafe <strong>del</strong> collegium dei Martenses<br />
Infraforani 19 , datata ad epoca adrianea (117- 138<br />
d.C.), in cui i membri <strong>del</strong>l’associazione ringraziano<br />
Umbrio Eudrastus, patronus coloniae per aver<br />
edificato il tempio “a solo propriis sumptibus”. Il<br />
culto di Osiride-Canopo nasce come “variante”<br />
<strong>del</strong> culto ellenistico di Osiride-Hydreios, ovvero<br />
di Osiride incarnato nell’acqua fecondatrice <strong>del</strong><br />
Nilo, conservata in appositi contenitori (hydreia)<br />
oggetto di venerazione. Il legame fra lo sposo di<br />
Iside e l’acqua <strong>del</strong> Nilo è antichissimo; già i Testi<br />
<strong>del</strong>le Piramidi identificano Osiride con il Nilo in<br />
piena e con il limo fecondatore. In ambito ellenistico<br />
il culto <strong>del</strong>l’acqua sacra verrà esteso anche<br />
al suo contenitore, che diventerà esso stesso<br />
oggetto di adorazione. Dall’isola di Delo la devozione<br />
verso il vaso, soprattutto nella sua variante<br />
“canopica”, passerà in Italia insieme a quella per<br />
gli dèi nilotici 20 . Nella città di Canopo, sul Delta<br />
<strong>del</strong> Nilo, l’acqua era venerata in particolari contenitori<br />
panciuti, con la testa <strong>del</strong> dio come coper-<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 89 -<br />
chio, chiamati “canopi”, i quali in epoca imperiale<br />
presero in Italia il posto <strong>del</strong>l’hydreion 21 .<br />
Tali vasi compaiono nelle due sculture beneventane<br />
di “sacerdoti con canopo”, opere di<br />
epoca adrianea prodotte in una bottega alessandrina.<br />
Esse facevano parte di un gruppo scultoreo<br />
completato dalla figura di sacerdote con abito<br />
frangiato, gruppo che rappresentava la celebrazione<br />
<strong>del</strong>l’atto principale <strong>del</strong> culto isiaco mattutino,<br />
ovvero l’esposizione <strong>del</strong> ritrovato Osiride<br />
sotto forma di “vaso canopo” davanti alla folla dei<br />
fe<strong>del</strong>i. Un confronto con tale raffigurazione è fornita<br />
da un affresco ercolanense, in cui è visibile il<br />
gruppo dei tre ministri (sacerdoti con canopo e<br />
sacerdote con abito frangiato) nell’atto di eseguire<br />
la cerimonia di apertura <strong>del</strong> tempio 22 . Il Müller<br />
colloca queste sculture all’interno <strong>del</strong> Canopus,<br />
che ospitava anche le tre statue di oranti inginocchiate,<br />
omogenee tipologicamente ma molto<br />
distanti cronologicamente: la più antica, infatti, è<br />
databile alla prima metà <strong>del</strong> I sec. d.C. mentre la<br />
più recente alla prima metà <strong>del</strong> II sec. d.C..<br />
Non è inoltre necessario ipotizzare l’esistenza<br />
di un edificio separato dall’Iseo domizianeo per<br />
ospitare il culto <strong>del</strong> “canopo”: una cappella adiacente<br />
al tempio avrebbe potuto svolgere tale funzione,<br />
anche perché durante il rito d’apertura <strong>del</strong><br />
naòs il sacerdote faceva libagioni versando da un<br />
vaso l’acqua sacra presa all’interno <strong>del</strong> santuario<br />
23 .<br />
Il collegamento stabilito dall’iscrizione <strong>del</strong> collegium<br />
Martensium Infraforanum tra il Canopus<br />
ed il foro non autorizza a ritenere che il tempio<br />
si trovasse al suo interno, anche se i culti isiaci,<br />
dato il loro legame con la classe mercantile, si sviluppano<br />
spesso in ambienti vicini al cuore cittadino,<br />
come è evidente dall’esempio di Pompei.<br />
L’ipotesi <strong>del</strong> Müller circa l’esistenza di un tempio<br />
isiaco più antico di quello domizianeo è basata<br />
sull’interpretazione di due controversi reperti:<br />
il frammento di imbarcazione interpretata come<br />
Iside Pelagia ed il toro in marmo bianco interpretato<br />
come Apis.<br />
La statua di Iside Pelagia è la più antica testimonianza<br />
a Benevento di un culto <strong>del</strong>la dea<br />
schiettamente ellenistico, diverso da quello introdotto<br />
da Domiziano che aveva invece carattere<br />
“faraonico”. Inoltre, il santuario di Iside Pelagia è
strettamente connesso al culto di Serapide, divinità<br />
creata dalla dinastia Lagide (l’ultima e la più<br />
longeva <strong>del</strong>l’Antico Egitto, che regnò dal 304 al<br />
30 a.C.) diffusamente venerata in ambito mediterraneo,<br />
specie fra i mercanti, ma di cui a<br />
Benevento non c’è traccia.<br />
La provenienza <strong>del</strong>l’opera da un contesto (alla<br />
base <strong>del</strong> muro longobardo settentrionale) in cui<br />
sono stati rinvenuti altri oggetti legati ai culti egizi<br />
non ne prova la pertinenza a tali culti; nello stesso<br />
luogo sono state portate alla luce anche statue<br />
di divinità romane.<br />
Lo stile e il materiale <strong>del</strong> manufatto sono<br />
molto diversi dalle altre sculture egizie; esse sono<br />
quasi sempre, infatti, realizzate in materiale “esotico”,<br />
come il granito di Assuan, la diorite, l’anfibolite,<br />
mentre lo stile è, nella maggior parte dei<br />
casi, egizio o comunque una imitazione <strong>del</strong>lo<br />
stile egizio. Al contrario, Bruneau crede che nemmeno<br />
il toro in marmo <strong>del</strong> Museo <strong>del</strong> Sannio sia<br />
da identificare con Apis 24 . A sfavore <strong>del</strong>l’identificazione<br />
<strong>del</strong>l’opera come Iside Pelagia gioca<br />
anche la posizione geografica di Benevento,<br />
alquanto distante dal mare.<br />
Se è probabile che la città ospitasse un culto<br />
isiaco già prima <strong>del</strong>la tarda epoca flavia, è dunque<br />
molto difficile pensare che si tratti <strong>del</strong> culto<br />
di Iside Pelagia; la sua festività annuale, il<br />
Navigium Isidis, era la cerimonia con cui si riapriva<br />
la navigazione estiva dopo la pausa invernale.<br />
Essa aveva luogo il 5 marzo, e ci è descritta in<br />
modo molto dettagliato da Apuleio, che ambienta<br />
proprio nel corso di questa festa la deuterometamorfosi<br />
di Lucio in forma umana.<br />
Anche se di certo gli interessi dei commercianti<br />
locali erano legati anche alla navigazione, risulta<br />
difficile collocare la processione <strong>del</strong> Navigium<br />
nel contesto beneventano.<br />
Il problema <strong>del</strong>la collocazione nell’ambito<br />
urbano dei santuari beneventani è stato sollevato<br />
fin dall’inizio <strong>del</strong> secolo scorso. Il Meomartini era<br />
convinto che l’Iseo si trovasse nei pressi <strong>del</strong><br />
Convento di S. Agostino, vista la grande quantità<br />
di reperti rinvenuti nelle vicinanze. Il Müller, che<br />
ipotizza invece l’esistenza di tre templi diversi,<br />
colloca il santuario domizianeo nel pressi <strong>del</strong>l’attuale<br />
Palazzo Arcivescovile, che si trovava all’incrocio<br />
fra la via Appia e la Latina, in una zona<br />
SALTERNUM<br />
- 90 -<br />
quindi di grande traffico nei pressi <strong>del</strong> foro.<br />
Nella stessa zona sono stati rinvenuti alcuni<br />
reperti di grande rilevanza, come i due obelischi,<br />
la statua-cubo <strong>del</strong>lo scriba reale Neferhotep ed il<br />
fregio con il toro Apis. Infine sono noti casi di<br />
“sostituzione” di luoghi di culto isiaci con luoghi<br />
di culto cristiani; la cattedrale di Benevento, originariamente<br />
dedicata a S. Maria, potrebbe sorgere<br />
sui resti <strong>del</strong>l’antico Iseo domizianeo 25 .<br />
Altra zona interessata da notevoli rinvenimenti<br />
è piazza Cardinal Pacca 26 , che molti studiosi<br />
sono concordi nel considerare la sede <strong>del</strong>l’antico<br />
foro, il quale si estendeva probabilmente sino<br />
all’odierna piazza Orsini 27 . Secondo il Müller è in<br />
quest’area che doveva sorgere il Canopus <strong>del</strong> collegium<br />
Martensium Infraforanum. A questo<br />
complesso apparterrebbero le due statue di<br />
sacerdoti con “vaso canopo” di epoca adrianea e<br />
la statua di sacerdote isiaco, datata all’età di<br />
Domiziano. La pertinenza <strong>del</strong> Canopus ad un collegio<br />
di militari, a mio avviso, conferma l’ipotesi<br />
formulata dal Malaise sulla relazione fra le imprese<br />
belliche <strong>del</strong>l’ultimo imperatore flavio ed Iside;<br />
anche i veterani <strong>del</strong> Canopus, in linea con la politica<br />
imperiale, avrebbero quindi scelto come divinità<br />
protettrice e rappresentativa <strong>del</strong> collegium<br />
non una divinità romana, ma la dea che<br />
Domiziano aveva collegato alle proprie conquiste.<br />
L’esistenza di un culto isiaco nella zona di<br />
piazza Cardinal Pacca, sia esso legato al tempio<br />
di Iside Pelagia, al santuario domizianeo o al<br />
Canopus, potrebbe essere suffragata anche dalla<br />
presenza – attestata per la prima volta nell’VIII<br />
sec. d.C. - di una chiesa dedicata a S. Stefano,<br />
oggi non più esistente 28 . Il legame fra il culto <strong>del</strong><br />
protomartire ed i luoghi in cui erano venerate le<br />
divinità egizie non è stato ancora chiarito, ma è<br />
provato che presso le antiche sedi di santuari<br />
isiaci è possibile trovare successivamente chiese<br />
dedicate a questo santo. Tale legame risulta evidente<br />
anche dall’analisi di altri contesti: il Müller<br />
osservò come a Roma nell’area occupata in<br />
epoca imperiale dall’Iseo Campense sia sorta<br />
poi la chiesa di S. Stefano <strong>del</strong> Cacco, ed anche<br />
a Verona si è avuta un’evoluzione analoga.<br />
Nemmeno Pozzuoli, ho notato, sfugge a questa<br />
norma: la lex parieti faciendo, infatti, è stata rin
venuta all’interno <strong>del</strong>la chiesa di S. Stefanino a<br />
Pontone, oggi non più esistente 29 .<br />
Basandosi ugualmente sull’ipotesi che le<br />
chiese dedicate al protomartire indichino una<br />
precedente frequentazione isiaca, altri studiosi<br />
sostengono che nei pressi di piazza Piano di<br />
Corte, dove un tempo sorgeva un’altra chiesa di<br />
S. Stefano in plano curie (sic), debba essere collocato<br />
almeno uno dei templi cittadini 30 .<br />
Ne sarebbero ulteriore prova il rinvenimento<br />
di un bassorilievo raffigurante una sfinge alata,<br />
elemento probabilmente collegabile ai culti isiaci<br />
cui si è conferita finora scarsa importanza 31 . Al<br />
piano terra di un edificio che affaccia sul lato<br />
nord <strong>del</strong>la piazza vi è inoltre una colonna frammentaria<br />
in granito rosso, di dimensioni minori<br />
rispetto a quelle usate per S. Sofia 32<br />
Nonostante siano state formulate molte ipotesi<br />
valide sulla collocazione dei templi isiaci,<br />
nessuna di esse può considerarsi definitiva; solo<br />
il Canopus, legato al foro dal nome <strong>del</strong> citato<br />
collegium, trova collocazione con molta probabilità<br />
nell’area di piazza Cardinal Pacca, che<br />
avrebbe potuto ospitare, secondo l’opinione <strong>del</strong><br />
Müller, anche uno dei santuari isiaci.<br />
Non c’è accordo fra gli studiosi nemmeno<br />
circa l’aspetto originario <strong>del</strong>l’edificio. Il Müller,<br />
che riteneva esistessero due edifici distinti per<br />
il culto di Iside Pelagia e di Iside “Signora di<br />
Benevento”, propone un’architettura in stile<br />
ellenistico-romano per il primo, paragonabile<br />
quindi ai templi di Pozzuoli e di Pompei, ed in<br />
stile egizio per il secondo, il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> quale<br />
sarebbe stato l’Iseo Campense. Un terzo edificio,<br />
separato dagli altri due, avrebbe ospitato il<br />
culto di Osiride-Canopo, ubicato nel foro 33 . La<br />
Pirelli, che considera l’edificio domizianeo un<br />
ampliamento <strong>del</strong> santuario preesistente e non<br />
un’alternativa ad esso, propende al contrario<br />
per attribuire alla sua architettura uno stile<br />
misto, influenzato dall’arte ellenistica ed egizia<br />
quanto a forme e decorazioni 34 . L’intervento<br />
domizianeo autorizza a pensare che, effettivamente,<br />
la struttura <strong>del</strong>l’edificio si rifacesse a<br />
quello in Roma; in tal caso l’Iseo beneventano<br />
avrebbe avuto una pianta simile a quella ricostruita<br />
dal Roullet per il santuario <strong>del</strong> Campo<br />
Marzio 35 .<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 91 -<br />
In sintesi, il contesto cultuale beneventano<br />
appare molto complesso, e non è possibile,<br />
ovviamente, chiarirne tutti gli aspetti. E’ certo che<br />
vi fu un grande interesse da parte <strong>del</strong>l’imperatore<br />
Domiziano a che il culto beneventano venisse<br />
ospitato in un santuario adatto, di notevoli<br />
dimensioni e arredato con elementi esotici il cui<br />
trasporto dall’Egitto o dalla Grecia fu certamente<br />
costoso.<br />
Le tracce <strong>del</strong> culto “imperiale” ed ufficiale<br />
sono numerose, mentre le testimonianze di devozione<br />
privata sono praticamente nulle; non è<br />
stato rinvenuto nemmeno un sistro o un ex voto.<br />
Tuttavia non credo che la religione isiaca abbia<br />
goduto di scarso seguito in Benevento. E’ vero<br />
che essa era strettamente legata all’imperatore ed<br />
alla dignità principesca, ma la decisione stessa di<br />
Domiziano di impiantare un santuario proprio in<br />
questa città è indicativa <strong>del</strong> successo di cui le<br />
divinità nilotiche già godevano. Inoltre, non c’è<br />
motivo di supporre che il capoluogo sannita, al<br />
centro di traffici commerciali di grande portata e<br />
collegata sia con la costa campana che con Roma,<br />
sia stata esclusa dal fenomeno di diffusione <strong>del</strong>la<br />
religione egizia che ha interessato in modo vario<br />
tutta la Penisola fra la metà <strong>del</strong> II e l’inizio <strong>del</strong> I<br />
sec. a.C.<br />
Il culto di Iside è attestato in città almeno fino<br />
al III sec. d.C.: il reperto più tardo, infatti, è la statuetta<br />
che ritrae l’imperatore Caracalla (che regna<br />
dal 211 al 217).<br />
La fine dei culti isiaci, in tutto il mondo romano,<br />
è parallela alla fine <strong>del</strong> Paganesimo: nel 391<br />
d.C. il patriarca cristiano Teofilo diede alle fiamme<br />
il Serapeo di Alessandria e distrusse la statua<br />
di Briasside. Poco dopo, in Campania, Paolino di<br />
Nola lanciava contro Iside ed i suoi fe<strong>del</strong>i un’invettiva<br />
feroce 36 .<br />
Non conosciamo il momento preciso in cui il<br />
Paganesimo ebbe fine in modo definitivo nel territorio<br />
beneventano. E’ probabile che questo sia<br />
avvenuto fra il V e VI sec.; durante la guerra <strong>del</strong><br />
535-553 la città venne colpita gravemente, ed è<br />
probabile che anche i templi pagani siano stati<br />
materialmente distrutti nel corso di questo conflitto,<br />
oppure abbattuti in seguito.<br />
In forma di superstizione popolare, però, è<br />
possibile che i culti isiaci siano sopravvissuti fino
al VII sec., se il vescovo Barbato chiese l’estirpazione<br />
di ogni culto idolatrico per salvare la città<br />
dall’assedio <strong>del</strong>l’imperatore Costante II (663) 37 . A<br />
seguito di tale richiesta il duca longobardo<br />
Grimoaldo munì il palazzo mediante la costruzione<br />
<strong>del</strong> muro nord, che fu eseguita in fretta ed alla<br />
base <strong>del</strong> quale, forse a dimostrazione <strong>del</strong> voto<br />
mantenuto, vennero gettate varie spoglie provenienti<br />
da antichi templi pagani, fra cui proprio<br />
molti dei più importanti reperti legati ad Iside; è<br />
molto probabile, quindi, che ancora nel VII seco-<br />
*Articolo tratto dalla Tesi di Laurea in Beni Culturali “L’Egitto<br />
a Benevento fra fonti letterarie e archeologia”, a.a. 2005-<br />
2006, Università degli Studi di Salerno (Relatore prof.ssa C.<br />
M. Lambert, Correlatore prof.ssa E. Mugione).<br />
NOTE<br />
1 Tempio di Serapide, dio che nel pantheon tolemaico prende<br />
il posto <strong>del</strong> “vecchio” sposo di Iside, Osiride, assumendone<br />
molti dei tratti iconografici. Serapide nasce come dio<br />
dei morti, ma ben presto diviene protettore dei mercanti e<br />
<strong>del</strong>la navigazione, ed il suo culto attecchisce nei grandi<br />
emporia <strong>del</strong> Mediterraneo come Delo, che ospitava ben tre<br />
Serapeia (BRUNEAU - DUCAT 2005, pp. 58-60; 277-279).<br />
2 Tale dinastia, che regnò dal 69 al 96 d.C., fu rappresentata<br />
da Vespasiano, Tito e Domiziano.<br />
3 Di diverso avviso il Malaise, che sottolinea l’avversione dei<br />
Romani verso le divinità zoomorfe (MALAISE 1972, pp. 295-<br />
305).<br />
4<br />
MALAISE 1972, pp. 295-305.<br />
5<br />
ERODOTO, Historiae, II, 28.<br />
6 La pertinenza dei materiali beneventani al santuario di<br />
epoca domizianea, al Canopus o al tempio più antico di<br />
Iside Pelagia è fondata esclusivamente su ipotesi di carattere<br />
tipologico, formulate per la prima volta dal Müller (MÜLLER<br />
1971) e poi accolte dalla maggior parte degli studiosi. Non è<br />
possibile tuttavia essere certi <strong>del</strong>l’attribuzione <strong>del</strong>le opere.<br />
7 Vedi infra.<br />
8 A questo gruppo appartengono tre <strong>del</strong>le sfingi rinvenute,<br />
due <strong>del</strong>le quali conservate al Museo Barracco di Roma (cat.<br />
nn. 39, 306).<br />
9<br />
APULEIO, Metamorfosi, XI, 11.<br />
10<br />
MÜLLER 1971, p. 99.<br />
11 Cfr. affresco da Ercolano conservato al Museo<br />
<strong>Archeologico</strong> Nazionale di Napoli, inv. 8848; Egittomania<br />
2006, p. 111, Tav. II.51, 1.74; ibidem p. 187, Tav. III.57.<br />
12 Cfr. TRAN TAM TINH 1973, pp. 69-70, Tav. XXXI, 40, 40 bis.<br />
13 Cfr. TRAN TAM TINH 1973, pp. 79-80, Tav. VII, 8.<br />
14 Cfr. TRAN TAM TINH 1964, p. 34.<br />
15<br />
MÜLLER 1971, pp. 27- 30.<br />
16 Particolare interpretazione di una determinata divinità,<br />
caratterizzata da certi attributi e rituali che la distinguono<br />
dalle altre. Nel caso di Iside, le epiclesi più note, oltre<br />
appunto a quella di Pelagia o Pharia, sono Isis -Fortuna o<br />
SALTERNUM<br />
- 92 -<br />
lo vi fosse un luogo in cui tali antichi simulacri<br />
erano conservati e forse oggetto di venerazione.<br />
Ancora nell’VIII sec. i resti <strong>del</strong> santuario domizianeo<br />
dovevano essere ben visibili in città, se<br />
Arechi II – o forse il suo predecessore Gisulfo II<br />
– nell’edificare la chiesa di S. Sofia utilizzò alcune<br />
monumentali colonne in granito rosa <strong>del</strong>l’antico<br />
tempio, che data la loro mole non poteva<br />
essere eccessivamente lontano dal cantiere <strong>del</strong><br />
nascente monastero.<br />
Tyche, in cui la dea è assimilata alla Fortuna; Isis-Regina,<br />
assimilabile a Iuno Regina e legata sovente alla figura <strong>del</strong>l’imperatore<br />
(spesso nella forma di Isis-Augusta), Isis-Venus,<br />
in cui la dea egizia è rivestita degli attributi di Venere. Molto<br />
diffuso è anche il tipo iconografico Isis-Lactans, con la dea<br />
nell’atto di allattare il figlio Horus.<br />
17 MÜLLER 1971, p. 22.<br />
18 Per l’interpretazione <strong>del</strong> nome Sarapis come fusione fra<br />
Osiris ed Apis, cfr. TURCAN 1989, pp. 76-77; MALAISE 1972, p.<br />
212.<br />
19 Associazione di veterani il cui stesso nome indica un collegamento<br />
con il foro cittadino (Torelli 2002, pp. 218-219).<br />
20 MALAISE 1972, pp. 206, 280, 307-311.<br />
21 Id, ibidem, p. 307.<br />
22 MÜLLER 1971, pp. 94-96; tuttavia, la statua di sacerdote n.<br />
286 appare anteriore alle altre due, forse di epoca domizianea.<br />
23 PIRELLI 2006, p. 134.<br />
24 “Dans l’état actuel de la statue, ne présente aucune des particularités<br />
auxquelles se reconnaît Apis”.<br />
BRUNEAU 1974, p.24.<br />
25 MÜLLER 1971, pp. 30-33.<br />
26 Nell’area sono stati trovati il frammento <strong>del</strong>la statua di<br />
faraone in trono ed il frammento <strong>del</strong> piccolo obelisco in<br />
marmo con pseudo-geroglifici.<br />
27 TORELLI 2002, pp. 109-110.<br />
28 ZAZO 1964, p. 25; nei pressi di piazza Piano di Corte esiste<br />
ancora un vicolo intitolato a S. Stefano. Esso porta ad una<br />
chiesa, sconsacrata, che corrisponde alla descrizione fornita<br />
dal lo Zazo e reca sull’ingresso la scritta “RESTAURATA<br />
ANNO 1690”.<br />
29 Egittomania 2006, p. 77.<br />
30 GALASSO 1968.<br />
31 Il rilievo è stato riutilizzato nella parete esterna <strong>del</strong> settecentesco<br />
Convento degli Scolopi.<br />
32 Vedi infra.<br />
33 MÜLLER 1971, pp. 27-30.<br />
34 PIRELLI 2006, pp. 129-136.<br />
35 Egittomania 2006, p. 136.<br />
36 Paolino, Carmina, XIX, 110-113, cit. in SANZI 2003, pp. 428-<br />
429.<br />
37 VERGINEO 1985, pp. 58-60, 64-67.
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Pélagia ?, in “Bulletin de Correspondance Hellénique”,<br />
XCVIII, 1.<br />
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Délos, Ecole Française d'Athènes, Sites et monuments - 1,<br />
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tenutasi al Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale di Napoli, 12<br />
Ottobre 2006 - 26 Febbraio 2007 (a cura di S. De Caro).<br />
GALASSO 1968 - E. Galasso Il tempio di Iside ed il Sacrum<br />
Palatium, problemi di urbanistica storica, in Benevento cerniera<br />
di sviluppo interregionale, a cura di F. ROMANO,<br />
Napoli.<br />
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de diffusion des cultes égyptiens en Italie, “Études<br />
Préliminaires aux Religions Orientales dans l’ Empire<br />
Romain”, vol. 22, Leiden.<br />
MEOMARTINI, MARUCCHI, SAVIGNONI 1904 - A. Meomartini, O.<br />
Marucchi, L. Savignoni Scoperta archeologica nelle<br />
vicinanze <strong>del</strong> Tempio di Iside, in “Notizie dagli Scavi”, 1904,<br />
pp.107-13.<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 93 -<br />
MÜLLER 1971 - H.W. Müller, Il culto di Iside nell’antica<br />
Benevento - Catalogo <strong>del</strong>le sculture provenienti dai santuari<br />
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Benevento.<br />
PIRELLI 2006 - R. Pirelli, Il culto di Iside a Benevento, in<br />
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TORELLI 2002 - M. R. Torelli, Benevento Romana, Roma.<br />
TRAN TAM TINH 1964 - V. Tran Tam Tinh, Essai sur le culte<br />
d’Isis a Pompéi, Paris.<br />
TRAN TAM TINH 1972 - V. Tran Tam Tinh, Le culte des divinités<br />
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monde Romain, Paris, (Trad. inglese a cura di A. Neville,<br />
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VERGINEO 1985 - G. Vergineo, Storia di Benevento e dintorni,<br />
1, Benevento.<br />
ZAZO 1964 - A. Zazo, Le chiese Parrocchiali di Benevento<br />
<strong>del</strong> XII-XVI secolo, in Ricerche e studi storici, VI, p. 31,<br />
Napoli.
BIANCA<br />
CANCELLARE
STEFANIA FIORE<br />
La Valle <strong>del</strong> Sabato<br />
tra Tarda Antichità e Medioevo<br />
Il fiume Sabato, uno dei principali affluenti<br />
<strong>del</strong> Calore irpino, lungo circa 50 Km,<br />
nasce ai piedi <strong>del</strong> massiccio <strong>del</strong>l’Accellica<br />
(1.660 m s.l.m.), ai confini <strong>del</strong>le province di<br />
Avellino e Salerno, e scorre nella vallata attraversando<br />
il territorio irpino per raggiungere infine<br />
Benevento. Il fiume, oggi ridotto ad un modesto<br />
ruscello a causa <strong>del</strong>la captazione <strong>del</strong>le acque, in<br />
antico doveva avere una portata maggiore e fu<br />
di vitale importanza per Abellinum ed il suo<br />
entroterra, poiché, grazie all’ampio sistema di<br />
percorsi naturali che raccordavano il territorio<br />
con le principali arterie <strong>del</strong>la regione e soprattutto<br />
con il Beneventano e il <strong>Salernitano</strong>, assicurò<br />
le comunicazioni e permise lo sviluppo di<br />
aree estreme poste in altura.<br />
Una <strong>del</strong>le principali traverse stradali era la<br />
Via antiqua maior che, passando per la colonia<br />
romana di Abellinum (oggi Atripalda), univa la<br />
Via Appia alla Regio – Capuam. Nel periodo<br />
Medievale a tale strada sarà preferita la Via<br />
Regia <strong>del</strong>le Puglie, fatto che favorì l’abbandono<br />
e il successivo degrado <strong>del</strong>le antiche vie consolari<br />
(Fig. 1) 1 .<br />
Il Sabato fu anche il fulcro dei primi insediamenti,<br />
per lo più sparsi nel fondovalle, fino alla<br />
dinamica occupazione dei Romani. A loro si<br />
deve la creazione in epoca sillana (88-80 a.C.)<br />
<strong>del</strong>la colonia di Abellinum che, posta lungo le<br />
maggiori direttrici, costituiva per i villaggi limitrofi<br />
il luogo dei mercati e <strong>del</strong>la vita associativa.<br />
In epoca imperiale si verificò un grande sviluppo<br />
edilizio soprattutto nella Civita, mentre nelle<br />
campagne si diffusero le ville rustiche, dove si<br />
svolgevano attività artigianali ed agricole. Nel<br />
corso <strong>del</strong>la tarda antichità e <strong>del</strong>l’altomedioevo<br />
queste terre divennero crocevia di apporti inno-<br />
- 95 -<br />
Fig. 1 - Sistema viario di epoca romana lungo la valle <strong>del</strong> Sabato.<br />
Fig. 2 – Atripalda (AV). Planimetria <strong>del</strong> quartiere di Capo la Torre. In<br />
evidenza le strutture murarie messe in luce, comprendenti i resti <strong>del</strong>la<br />
basilica paleocristiana <strong>del</strong> IV sec. d.C. e <strong>del</strong>l’edificio altomedievale a<br />
doppia abside (da FARIELLO SARNO 1996, p. 162).<br />
vativi, legati, in particolare, alla progressiva integrazione<br />
<strong>del</strong>le popolazioni allogene al sostrato<br />
culturale preesistente e al contestuale affermarsi<br />
<strong>del</strong> Cristianesimo, destinato a rivelarsi - qui<br />
come altrove - non solo determinante fattore di<br />
stabilità religiosa, ma anche elemento vitalizzante<br />
a livello insediativo.<br />
Le indagini archeologiche condotte dopo il<br />
sisma <strong>del</strong> 1980 nell’odierno quartiere di Capo la
Fig. 3 (come nel testo).Atripalda, Capo la Torre, planimetria <strong>del</strong>l’edificio<br />
absidato altomedievale, edificato sulla preesistente basilica<br />
paleocristiana.<br />
Fig. 4. Abellinum - Atripalda. Planimetria generale; al centro la Civita.<br />
Torre di Abellinum (Fig. 2) hanno riportato alla<br />
luce un cimitero paleocristiano (IV-VI d.C.) che<br />
si sviluppò intorno all’originaria cripta <strong>del</strong> santo<br />
martire Ippolisto (vissuto nel III sec. d.C.), con<br />
parte di una necropoli monumentale più antica,<br />
che ha restituito una fitta presenza di tombe<br />
disposte su più livelli, tra le quali si concentrano,<br />
nello strato superiore, quelle cristiane 2 .<br />
All’interno <strong>del</strong>la necropoli sono stati recuperati<br />
ampi resti monumentali, rivelatisi pertinenti<br />
ad una Basilica che ebbe forse anche il ruolo di<br />
chiesa episcopale. L’edificio basilicale, con<br />
SALTERNUM<br />
- 96 -<br />
orientamento Est-Ovest è riferibile, per l’impianto<br />
e la tipologia <strong>del</strong>le opere murarie in opus<br />
listatum, ai primi decenni <strong>del</strong> IV secolo d.C. ed<br />
è comparabile a numerosi monumenti edificati<br />
dopo l’Editto di Costantino (313 d.C.). Esso ha<br />
profondamente alterato il tessuto insediativo<br />
precedente, costituito da una necropoli pagana<br />
di età imperiale, cui vanno riferiti i numerosi<br />
elementi di spoglio reimpiegati nelle fondazioni<br />
3 .<br />
Le sepolture sono per la maggior parte corredate<br />
di iscrizioni che rappresentano un corpus di<br />
eccezionale valore, che si colloca tra il 357 ed il<br />
558 d.C 4 . Tali documenti attestano una diffusione<br />
<strong>del</strong> Cristianesimo relativamente tarda, ma<br />
profondamente radicata nel territorio soprattutto<br />
nel corso <strong>del</strong> V-VI secolo d.C 5 .<br />
Nel VI secolo d.C. l’area urbana <strong>del</strong>la Civita<br />
di Abellinum – già spopolatasi a causa <strong>del</strong> terremoto<br />
che si verificò nel 346 d.C., poi a causa<br />
<strong>del</strong>l’eruzione vesuviana datata tra il 472 d.C. e il<br />
507-511 d.C., e quindi a seguito <strong>del</strong>le invasioni<br />
barbariche – si contrasse e i suoi spazi furono<br />
rifunzionalizzati. La città fu in seguito abbandonata<br />
e non più ricostruita e la diocesi fu probabilmente<br />
soppressa: per il periodo che va dal VI<br />
al X secolo d.C. non si hanno più notizie circa i<br />
vescovi di Abellinum 6 .<br />
L’ultimo vescovo noto è Sabino, vissuto nel<br />
VI secolo d.C. e sepolto nello Speco di<br />
Atripalda, dove se ne conserva l’iscrizione metrica<br />
sul retro di un sarcofago reimpiegato 7 . Questo<br />
silenzio nella cronotassi vescovile viene da alcuni<br />
studiosi attribuito alla conquista e al dominio<br />
longobardo, che avrebbero provocato l’abbandono<br />
di Abellinum. La sede vescovile temporanea<br />
tra la seconda metà <strong>del</strong> VI secolo e il 663<br />
d.C. sarebbe stata la chiesa di San Johannis de<br />
Pratola (Pratola Serra, AV) che dista da<br />
Benevento 18 Km e da Abellinum circa 12 Km 8 .<br />
Tale chiesa, con orientamento Est-Ovest, fu<br />
scoperta nel 1981 sul pianoro “Pioppi” durante<br />
lo scavo di un settore (già adibito a magazzino),<br />
di una villa romana di II-III secolo d.C..<br />
L’edificio di culto era accompagnato da strutture<br />
riferibili ad un battistero con fonte a croce greca<br />
estradossa e da un sepolcreto, entrambi datati<br />
alla metà <strong>del</strong> VI secolo d.C.; i reperti archeolo-
gici rinvenuti in sepolture di epoca longobarda<br />
scavate all’interno <strong>del</strong>la chiesa si datano tra VI e<br />
VII secolo d.C.; sette croci in argento e una in<br />
oro e ricchi tessuti ricamati dimostrano che la<br />
costruzione fu voluta da classi agiate. La proposta<br />
di ritenere la chiesa di S. Giovanni di Pratola<br />
sede episcopale sarebbe avvalorata dalla natura<br />
<strong>del</strong>le strutture architettoniche, i cui resti lasciano<br />
intendere che in corrispondenza <strong>del</strong>l’arco trionfale<br />
vi fosse un triforium sorretto dal basamento<br />
<strong>del</strong>l’abside, dove poteva trovare posto un<br />
eventuale seggio vescovile.<br />
La rinascita <strong>del</strong>la sede episcopale <strong>del</strong>la<br />
Abellinum longobarda è documentata nel 969<br />
d.C., quando compare con il titolo di Sancta<br />
Maria sedis Abellinensis quale dipendenza<br />
<strong>del</strong>l’Arcivescovato di Benevento, con sede presso<br />
la collina “La Terra” (centro attuale di Avellino) 9 .<br />
Questa nuova sede venne ad assumere la<br />
giurisdizione ecclesiastica che in precedenza era<br />
stata svolta dalla basilica paleocristiana di Capo la<br />
Torre, le cui strutture in epoca altomedievale<br />
furono integrate da un edificio a doppia abside,<br />
con orientamento Nord-Sud, di cui ancora non è<br />
stata chiarita la funzione 10 (Fig. 3).<br />
Pochi sono i dati circa le dinamiche insediative<br />
longobarde in Abellinum, ma è appurato che<br />
i nuovi dominatori scelsero la collina “la Terra”,<br />
distante appena tre chilometri dall’antica colonia,<br />
per creare dapprima un abitato fortificato, poi<br />
una contea e una nuova sede episcopale (Figg. 4-<br />
5). La città ricoprirà dunque nel X secolo d.C. il<br />
ruolo di centro propulsore, fino a quando nel<br />
Medioevo si assisterà al moltiplicarsi di nuovi<br />
nuclei, attivi economicamente, politicamente e<br />
militarmente.<br />
Per quanto riguarda le campagne, in età tardoantica<br />
il fenomeno di abbandono dei centri<br />
era stato generale: il territorio, già disseminato di<br />
villae rusticae, durante il VI secolo risentì <strong>del</strong><br />
cedimento <strong>del</strong>l’economia, ma la vita non scomparve,<br />
riducendosi tuttavia alla sussistenza <strong>del</strong>la<br />
sola curtis. Con le distruzioni di Totila 11 (VI sec.<br />
d.C.) le genti abbandonarono le ville e cercarono<br />
riparo sui monti in posizioni naturalmente<br />
difese, secondo un fenomeno ampiamente<br />
documentato nella valle <strong>del</strong> Sabato, ma fu<br />
soprattutto a partire dal VII secolo d.C., durante<br />
STEFANIA FIORE<br />
- 97 -<br />
la prima costituzione <strong>del</strong> Ducato di Benevento,<br />
che la popolazione di Abellinum si andò disperdendo<br />
gradualmente nelle campagne lungo l’antica<br />
rete viaria, sviluppando una serie di nuovi e<br />
più sicuri insediamenti.<br />
In questo processo di riorganizzazione <strong>del</strong><br />
territorio, tra VI e IX secolo d.C., in piena espansione<br />
longobarda, si assiste alla costruzione di<br />
castra lungo tutta la valle <strong>del</strong> Sabato, fortificazioni<br />
che nei secoli successivi <strong>del</strong>imiteranno<br />
aree sulle quali si ergeranno dapprima i masti<br />
normanni, poi i castelli-residenza <strong>del</strong> periodo<br />
angioino-aragonese.<br />
fig. 5. Antica carta di Avellino.<br />
Fig. 6. Prata di Principato Ultra (AV). Pianta <strong>del</strong>la Basilica <strong>del</strong>la SS.<br />
Annunziata (da MUOLLO 2001, p. 23).<br />
Durante i primi secoli <strong>del</strong> Ducato di<br />
Benevento si assiste alla rivitalizzazione di luoghi<br />
già occupati in epoca imperiale, con la<br />
costruzione di basiliche con annessi cimiteri al<br />
posto <strong>del</strong>le ville rustiche, come abbiamo visto<br />
per Pratola Serra.
Un altro esempio è dato da Prata di<br />
Principato Ultra (AV), che da questa dista circa<br />
1 Km: qui si assiste alla trasformazione di una<br />
<strong>del</strong>le cripte cimiteriali di età imperiale (II-III<br />
sec. d.C.) in chiesa dedicata alla SS. Annunziata<br />
(Figg. 6-7). Grazie agli scavi e al restauro storico-artistico<br />
condotto nel 1999 sono stati messi<br />
in evidenza elementi che consentono di assegnare<br />
la basilica all’età longobarda e di proporne<br />
la datazione tra la fine <strong>del</strong> VII e la prima<br />
metà <strong>del</strong>l’VIII secolo 12 .<br />
Altro sito interessato da queste trasformazioni<br />
è Altavilla Irpinia: sul Monte Toro, l’impianto altomedievale<br />
<strong>del</strong>la chiesetta di S. Martino s’inserisce<br />
su un precedente insediamento rurale romano<br />
costituito da una villa con annesse fornaci 13 .<br />
Fig. 7. Prata di Principato Ultra (AV). Basilica <strong>del</strong>la SS.Annunziata.<br />
Planimetria generale e sezione.<br />
Fig. 8. Prata di<br />
Principato<br />
Ultra (AV).<br />
Triphorium e<br />
deambulatorio<br />
<strong>del</strong>la Basilica.<br />
SALTERNUM<br />
- 98 -<br />
I dati ricavati dall’analisi sistematica <strong>del</strong>le<br />
dinamiche insediative <strong>del</strong>la valle <strong>del</strong> Sabato, pur<br />
essendo limitati per alcune zone, offrono un<br />
quadro d’insieme abbastanza ricco per il periodo<br />
pre-romano e romano, mentre esiguo è quello<br />
relativo alla tarda antichità e all’altomedioevo.<br />
Labili le tracce <strong>del</strong> periodo bizantino, che si<br />
scorgono nell’influsso di alcuni culti provenienti<br />
dall’Oriente e nell’arte figurativa, caratterizzata<br />
da un’iconografia marcatamente aulica 14 (Fig. 9).<br />
Per il periodo medievale gli elementi sono<br />
maggiori: numerosi paesi conservano ancor oggi<br />
gli impianti e la struttura abitativa originaria di<br />
tale epoca, tipicamente arroccata su colline o su<br />
speroni rocciosi dominati da castelli più o meno<br />
riconoscibili.<br />
Sul piano cultuale, i vescovi si fecero promotori<br />
<strong>del</strong>la devozione verso i santi locali, talvolta<br />
in sostituzione <strong>del</strong>le scelte operate in precedenza<br />
dalle élite politiche longobarde, particolarmente<br />
legate all’Angelo Michele e al Salvatore.<br />
Con i Normanni non si avrà una particolare<br />
attenzione per i culti estranei alle comunità -<br />
come avverrà invece con gli Angioini e gli<br />
Aragonesi - ma soltanto la promozione di nuove<br />
costruzioni o ricostruzioni di chiese per legittimare<br />
il loro potere e per stabilire intese con i<br />
dominati. Solo in un caso essi introdussero un<br />
culto che apparteneva alla propria tradizione e<br />
riguardò gli Oldoini, attestati in Irpinia nella<br />
seconda metà <strong>del</strong>l’XI secolo, in particolare a<br />
Candida e a Serra (frazione di Pratola).<br />
Tutto il comprensorio si presenta dunque<br />
ricco di testimonianze archeologiche che attestano<br />
una continuità insediativa iniziata nella preistoria<br />
e protrattasi sino ad oggi. Gli elementi che<br />
emergono da tale contesto permettono di impostare<br />
lo studio di diverse problematiche storiche,<br />
che attendono di essere oggetto di studi e di<br />
ulteriori indagini, affinché i fatti antichi, i monumenti<br />
superstiti e le tracce archeologiche relativi<br />
alla vita che lungo gli argini <strong>del</strong> fiume Sabato<br />
si è andata svolgendo diventino un patrimonio<br />
comune.
*Questo articolo sintetizza i risultati di una tesi di<br />
Laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali,<br />
Università di Salerno a.a. 2005-2006 (Relatore:<br />
prof.ssa C. Lambert; Correlatore: prof. P.<br />
Peduto).<br />
NOTE<br />
1 Per la Via Antiqua Maior cfr. SCANDONE 1947,<br />
pp. 66-69; la Via Appia, detta “regina viarum”,<br />
fu costruita nel 312 a.C. dal console Appio<br />
Claudio, da cui prese il nome, e collegava Roma<br />
con Brindisi. La Via Regio-Capuam, detta anche<br />
Annia dal console Tito Annio Rufo, fu costruita<br />
nel 152 a.C.. Ad epoca medievale e moderna<br />
vanno ascritti i lavori <strong>del</strong>la Via Regia <strong>del</strong>le<br />
Puglie, iniziati nel 1270 e terminati solo nel 1585.<br />
2 L’originaria cripta va identificata con l’attuale<br />
ipogeo <strong>del</strong>la chiesa di S. Sabino o Specus<br />
Martyrum, in Atripalda. FARIELLO SARNO 1996, p.<br />
165; PESCATORI COLUCCI 2005, pp. 298-306.<br />
3 FARIELLO SARNO 1996b, p. 161.<br />
4 CIL, X, 1191; CIL, X, 1193; le iscrizioni abellinati sono state<br />
studiate da H. Solin e costituiranno un volume specifico<br />
<strong>del</strong>le Inscriptiones Christianae Italiae saeculo septimo antiquiores<br />
(ICI), di imminente pubblicazione. Alcune anticipazioni<br />
in SOLIN 1998, p. 483. Per la cristianizzazione <strong>del</strong>la<br />
regione cfr. LAMBERT 2004, cds.<br />
5 LAMBERT 2004, cds.<br />
6 La prima notizia certa sull’organizzazione diocesana di<br />
Abellinum risale al 499 d.C., quando il vescovo Timotheus<br />
partecipò al Sinodo Romano a favore di Papa Simmaco<br />
(498-514 d.C.) cui il partito bizantino aveva contrapposto<br />
l’antipapa Lorenzo che gli resistette fino all’anno 506 d.C.<br />
(UGHELLI 1721, p. 191). Sicuramente non attribuibile al<br />
presbyter Iohannis, citato nell’epigrafe funeraria CIL, X,<br />
1192 di Ajello <strong>del</strong> Sabato, il ruolo di ultimo vescovo di<br />
Abellinum voluto dallo Scandone e dal Mommsen; si tratta<br />
più probabilmente <strong>del</strong> sacerdote di una locale comunità<br />
rurale (in proposito, cfr. GAMBINO 1983, pp. 41-44; SOLIN<br />
1998, p. 472; LAMBERT 2004, cds; LAMBERT 2007, pp. 45; 52;<br />
67, fig. 1).<br />
STEFANIA FIORE<br />
Fig. 9. Prata di Principato Ultra (AV). Basilica <strong>del</strong>la SS.Annunziata, abside centrale:<br />
affresco <strong>del</strong>la Madonna orante tra due Santi (da MUOLLO 2001, p. 64).<br />
- 99 -<br />
7 CIL, X, 1194; LAMBERT C. 2007, pp. 43-45; 51-52; 69, fig. 3.<br />
8 Il 663 d.C. fu l’anno in cui il territorio <strong>del</strong> vasto Ducato<br />
beneventano fu totalmente ristrutturato da Grimoaldo (642-<br />
662 d.C. duca di Benevento; 662-671 d.C. re dei<br />
Longobardi) e da suo figlio Romualdo (671-687 d.C.) e<br />
venne contestualmente riorganizzata la diocesi di<br />
Benevento, che vide a sé annesse anche sedi molto lontane.<br />
L’ipotesi <strong>del</strong> trasferimento è in PEDUTO 1996, pp. 209-<br />
218.<br />
9<br />
PESCATORI COLUCCI 1996, p. 204.<br />
10<br />
FARIELLO SARNO 1996, p. 173.<br />
11 Totila, re degli Ostrogoti, durante la guerra greco-gotica<br />
(535-553 d.C.) distrusse tutte, o quasi tutte, le opere di difesa<br />
per impedire ai Bizantini la rioccupazione.<br />
12<br />
MUOLLO 2001, pp. 38-39.<br />
13<br />
FARIELLO SARNO 1987, pp. 171-179; PESCATORI COLUCCI 1996,<br />
p. 200.<br />
14 Un esempio è dato dagli affreschi <strong>del</strong>la Basilica di Prata<br />
Principato Ultra, per i quali cfr. MUOLLO 2001, pp. 49-62.
BIBLIOGRAFIA<br />
FARIELLO SARNO 1987 - M. FARIELLO SARNO, Complesso di fornaci<br />
tardo antiche ad Altavilla Irpina, in “L’Irpinia nella<br />
Società Meridionale”, Centro di Ricerca Guido Dorso,<br />
“Annali” 1985-1986, II, Milano, 1987, pp. 171-179.<br />
FARIELLO SARNO 1996 - M. FARIELLO SARNO, Abellinum paleocristiana,<br />
in Storia illustrata di Avellino e <strong>del</strong>l’Irpinia, I,<br />
1996, pp. 161-174.<br />
GAMBINO 1983 - N. GAMBINO, Rilettura <strong>del</strong>la iscrizione di<br />
Ajello <strong>del</strong> Sabato nel contesto <strong>del</strong>l’epigrafia cristiana avellinese,<br />
in “Civiltà altirpina” VIII, gennaio-aprile, fasc. 1-2,<br />
1983, pp. 35-44.<br />
LAMBERT 2004 cds - C. LAMBERT, La cristianizzazione <strong>del</strong>la<br />
Campania: il contributo <strong>del</strong>l’epigrafia, in Atti <strong>del</strong> IX<br />
Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana, Agrigento<br />
2004.<br />
LAMBERT 2007 - C. LAMBERT, Iscrizioni di vescovi e presbiteri<br />
nella Campania tardoantica ed altomedievale (secc. IV-<br />
VIII), in “Schola Salernitana”, Annali XI, 2006, Salerno,<br />
2007, pp. 31-70.<br />
MOMMSEN 1863-1872 - TH. MOMMSEN, Corpus Inscriptionum<br />
Latinarum, X, Berlino, 1863-72.<br />
MUOLLO 2001 - G. MUOLLO, La Basilica di Prata Principato<br />
Ultra, Viterbo, 2001.<br />
PEDUTO 1992 - P. PEDUTO, San Giovanni di Pratola Serra.<br />
SALTERNUM<br />
- 100 -<br />
Archeologia e storia nel ducato longobardo di Benevento,<br />
Salerno, 1992.<br />
PEDUTO 1996 - P. PEDUTO, Le Basiliche di Pratola e Prata, in<br />
Storia illustrata di Avellino e <strong>del</strong>l’Irpinia, I, 1996 pp. 209-<br />
223.<br />
PESCATORI COLUCCI 1996 - G. PESCATORI COLUCCI, Abellinum e<br />
l’alta Valle <strong>del</strong> Sabato tra tardo-antico e alto Medioevo, in<br />
Storia illustrata di Avellino e <strong>del</strong>l’Irpinia, I, 1996, pp. 193-<br />
206.<br />
PESCATORI COLUCCI 2005 - G. PESCATORI COLUCCI, Città e centri<br />
demici <strong>del</strong>l’Hirpinia: Abellinum, Aeclanum, Aequum<br />
Tuticum, Compsa, in Le città campane fra tarda antichità e<br />
alto medioevo (a cura di G. Vitolo), Salerno, 2005, pp. 283-<br />
311.<br />
SOLIN 1998 - H. SOLIN, Le iscrizioni paleocristiane di<br />
Avellino, in Epigrafia romana in area adriatica. Actes de la<br />
IX rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du mond<br />
romain (Macerata, 1995), Macerata, 1998, pp. 471-484.<br />
SCANDONE 1947, F.SCANDONE Storia di Avellino, I, parte I,<br />
1947: Abellinum Romanum, Avellino, 1947.<br />
Storia illustrata di Avellino e <strong>del</strong>l’Irpinia 1996, (a cura) di<br />
G. Pescatori Colucci, E. Cuozzo, F. Barra, Pratola Serra,<br />
1996.<br />
UGHELLI 1721 - F. UGHELLI, Italia Sacra, vol. VIII, col. 191,<br />
Venezia, 1721.
ROSANNA BARONE<br />
Iconografia e scrittura nei mosaici<br />
<strong>del</strong>la Cattedrale di Salerno<br />
Nella seconda metà <strong>del</strong>l’XI secolo, grazie<br />
alla cooperazione <strong>del</strong>l’arcivescovo<br />
Alfano I e <strong>del</strong> duca Roberto il<br />
Guiscardo, in Salerno vennero poste le fondamenta<br />
e si diede forma alla Cattedrale romanica,<br />
che sarà consacrata a S. Matteo (fig. 1).<br />
I numerosi saggi dedicati al Duomo salernitano<br />
ne evidenziano principalmente il rapporto di<br />
filiazione dall’Abbazia di Montecassino, la valenza<br />
storica rivestita nell’età di trapasso dalla<br />
dominazione longobarda a quella normanna,<br />
nonché il valore <strong>del</strong>le opere d’arte scultoree che<br />
nel tempo contribuirono ad abbellirla. Gli studi<br />
in proposito sono numerosi e spesso di alto<br />
valore contenutistico: basti pensare all’amplissima<br />
bibliografia di Monsignor Arturo Carucci,<br />
che dedicò una vita di studi alla Cattedrale salernitana,<br />
ed al recente volume monografico di<br />
Antonio Braca 1 . In tutti questi scritti, di carattere<br />
descrittivo o di inquadramento <strong>del</strong> monumento<br />
nell’ambito <strong>del</strong>la cultura architettonica e storicoartistica<br />
<strong>del</strong> Medioevo nell’Italia meridionale,<br />
manca tuttavia una trattazione specifica sul rapporto<br />
architettura-decorazione musiva e, ancor<br />
più, sull’iconografia dei mosaici ed il loro legame<br />
con la scrittura epigrafica 2 .<br />
L’esame che si è condotto sulle decorazioni<br />
interne <strong>del</strong> Duomo di Salerno per indagare questo<br />
aspetto ha evidenziato, pur nella lacunosità<br />
<strong>del</strong>le parti conservate, uno stretto rapporto con<br />
la funzione didascalica <strong>del</strong>la scrittura, ridotta<br />
quasi esclusivamente a tituli esplicativi - quali i<br />
nomi dei personaggi - o a brevi passi biblici.<br />
La prima menzione sui mosaici <strong>del</strong>la<br />
Cattedrale è <strong>del</strong>l’arcivescovo M. A. Marsilio<br />
Colonna (1574-1581), il quale, nella descrizione<br />
<strong>del</strong>l’edificio, dopo aver ricordato che tre altari<br />
- 101 -<br />
Fig. 1 - Salerno, Duomo.<br />
Assonometria con localizzazione dei mosaici parietali.<br />
erano collocati “ad estremos parietes ad<br />
Orientem versus”, aggiunge che “hos vero parietes<br />
ultimos templi valde incunea miniati operis<br />
pictura convestit” 3 . Il muro orientale è indicato<br />
con il plurale “parietes”, che potrebbe significare<br />
“le absidi”, le quali rappresentano in effetti gli<br />
estremi <strong>del</strong>la cattedrale “ad Orientem versus” e<br />
che alla fine <strong>del</strong> secolo XVI erano rivestite sicuramente<br />
di mosaici e dotate di un altare. Il<br />
Colonna, immediatamente dopo, chiama però<br />
l’abside emispherium, precisando che il popolo<br />
le dava il nome di tribuna e non di parietes.<br />
Non si può escludere, pertanto, che l’intera<br />
parete orientale fosse rivestita di mosaici.<br />
Tale decorazione “ad Orientem versus” fu<br />
messa in opera tra la fine <strong>del</strong> secolo XI e la metà<br />
<strong>del</strong> secolo XII ed è oggi parzialmente superstite
Fig. 2 - Salerno, Duomo.Abside centrale ed arco trionfale.<br />
nell’abside di sinistra, in parte ripristinata in quella<br />
di destra 4 . L’abside centrale, dove l’originale è<br />
andato interamente perduto salvo che per ampi<br />
frammenti <strong>del</strong>l’arco trionfale 5 , è frutto <strong>del</strong> restauro<br />
<strong>del</strong> 1953, anno in cui, con l’approssimarsi <strong>del</strong>le<br />
celebrazioni millenarie <strong>del</strong>la traslazione in Salerno<br />
<strong>del</strong>le reliquie di San Matteo (954-1954), fu deciso<br />
di rivestire l’abside maggiore con nuovi mosaici,<br />
la cui composizione rivela il gusto <strong>del</strong> XX secolo<br />
(fig. 2). La Vergine vi campeggia in una mandorla<br />
dorata su fondo blu 6 ; nella parte inferiore un<br />
angelo in volo regge il libro <strong>del</strong> Vangelo aperto<br />
alla pagina iniziale di san Matteo. Ai lati <strong>del</strong>la<br />
Madonna vengono identificati, attraverso tituli,<br />
Alfano I (1015/20-1085), che fu l’ideatore e il<br />
direttore dei lavori nel Duomo salernitano e<br />
Gregorio VII (1020/1085) che lo consacrò nel<br />
1084 7 .<br />
Nella fascia sottostante si è inteso ricordare<br />
i Pontefici che hanno onorato Salerno con la<br />
propria presenza. Mancano tuttavia, strana-<br />
SALTERNUM<br />
- 102 -<br />
mente, Innocenzo II, che si trattenne a Salerno<br />
per più giorni nell’agosto <strong>del</strong> 1137, e Pio IX,<br />
che fu a Salerno nell’ottobre <strong>del</strong> 1849, né si<br />
conosce la ragione che ha fatto attribuire l’aureola<br />
e il titolo di “Santo” a ciascun Papa raffigurato,<br />
escludendo da questa arbitraria canonizzazione<br />
Clemente II e Alessandro III, che<br />
iniziano e chiudono la serie di questi Pontefici<br />
- santi solo nei mosaici salernitani; fanno eccezione<br />
Leone IX, unico effettivamente canonizzato<br />
dalla Chiesa, e Vittore III, il famoso<br />
Desiderio fondatore <strong>del</strong>l’Abbazia di Montecassino,<br />
ritenuto santo dai Benedettini. I singoli personaggi<br />
sono identificabili grazie ai tituli musivi.<br />
Alfano, il cui nome è trascritto per errata<br />
versione latina come Alphanus per Alfanus,<br />
regge con la mano un cartiglio con la scritta<br />
Laetare felix civitas / Laetare sanctis gaudiis. Il<br />
lettore, però, non troverà questi versi nei<br />
numerosi carmi <strong>del</strong> Vescovo poeta, perché<br />
sono opera di un ignoto epigono.
Finalità principalmente<br />
dedicatoria e celebrativa riveste<br />
invece il lungo testo sottostante<br />
8 , che pone l’edificio<br />
sotto la triplice protezione <strong>del</strong><br />
Cristo, <strong>del</strong>la Vergine e di S.<br />
Matteo, evidenziando al contempo<br />
il ruolo eminente<br />
<strong>del</strong>l’Arcivescovo Alfano I 9<br />
(fig. 3). La collocazione <strong>del</strong><br />
suo nome nei primi due versi<br />
<strong>del</strong>l’iscrizione musiva non<br />
può passare inosservata,<br />
riproponendosi come esaltazione<br />
<strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> fondatore<br />
così come per Desiderio<br />
a Montecassino, il quale, proprio<br />
nel catino absidale, aveva a sua volta parafrasato<br />
la scritta di Costantino nella basilica di<br />
San Pietro in Vaticano. La presenza <strong>del</strong> solo<br />
nome di Alfano accompagnato alla preghiera<br />
indica l’esclusione dei laici dalla vita <strong>del</strong>la chiesa,<br />
una sottolineatura <strong>del</strong>la separazione dei ruoli<br />
e <strong>del</strong>le competenze sollecitata dalla Riforma<br />
<strong>del</strong>l’XI secolo. A differenza di Desiderio e di<br />
Costantino, nessun merito viene tuttavia rivendicato<br />
al Vescovo salernitano, il cui nome è invece<br />
“associato al programma teologico, che viene<br />
espresso nei versi successivi, con i dogmi<br />
<strong>del</strong>l’Incarnazione divina, dalla verginità mariana,<br />
<strong>del</strong>la Passione e <strong>del</strong>la Resurrezione, in altri termini<br />
la strada <strong>del</strong>la Salvezza” 10 . Ne emerge una figu-<br />
ROSANNA BARONE<br />
Fig. 3 - Salerno, Duomo.Abside centrale, particolare <strong>del</strong>l’iscrizione ai piedi <strong>del</strong>la teoria di Papi.<br />
- 103 -<br />
ra profondamente diversa e nuova rispetto ai<br />
suoi diretti mo<strong>del</strong>li, non legata ai fatti terreni e<br />
non collegata alle vicende materiali <strong>del</strong>la costruzione<br />
<strong>del</strong>l’edificio: non c’è una dedica al fondatore,<br />
ma una invocazione che ha l’arcivescovo<br />
per oggetto. Il secondo verso, dove si chiede che<br />
egli “sia per sempre beato” è particolarmente eloquente<br />
e poiché questo è uno status non concesso<br />
in vita, ma riconosciuto dalla Chiesa solo<br />
dopo la morte, da tali versi si possono trarre due<br />
indicazioni importanti: il personaggio va identificato<br />
inequivocabilmente con Alfano I ed il testo<br />
musivo è di sicuro postumo, poiché sarebbe<br />
stato singolare ed alquanto inopportuno che egli<br />
autocelebrasse in vita la propria beatitudine.<br />
Fig. 4 - Salerno, Duomo. Lunetta <strong>del</strong>la<br />
controfacciata con la raffigurazione di<br />
San Matteo.
Se ne evince dunque che le parti superstiti<br />
<strong>del</strong>la decorazione musiva, con le relative iscrizioni,<br />
si datano al XII secolo nella stesura originaria,<br />
anche se modificate nella forma a seguito<br />
<strong>del</strong> restauro.<br />
Nell’esame <strong>del</strong>la decorazione musiva <strong>del</strong>la<br />
Cattedrale va infine presa in considerazione la<br />
lunetta <strong>del</strong>la controfacciata, entro la quale campeggia<br />
la figura di S. Matteo; essa costituisce<br />
infatti un insieme cronologico omogeneo e riferibile<br />
con certezza al nucleo superstite <strong>del</strong>la fase<br />
decorativa più antica <strong>del</strong> Duomo (fig. 4).<br />
L’esame <strong>del</strong>le lettere, analizzate singolarmente<br />
nel tentativo di evidenziarne le variabili grafiche,<br />
*Articolo tratto dalla propria Tesi di Laurea in Beni<br />
Culturali: I mosaici <strong>del</strong> Duomo di Salerno: Iconografia e<br />
scrittura, Università degli Studi di Salerno, a.a. 2005-2006<br />
(Relatore: prof.ssa C. M. Lambert). Le foto n. 2-3-4-5<br />
(Archivio <strong>del</strong>la Soprintendenza per i Beni Ambientali,<br />
Architettonici, Artistici e Storici per le Province di Salerno e<br />
Avellino) sono state debitamente autorizzate. Per aver favorito<br />
la ricerca e l’acquisizione di tale materiale sono particolarmente<br />
riconoscente verso il sig. Vincenzo D’Antonio,<br />
Fotografo, e la sig.ra Amelia Storace. La figura n. 1 è una<br />
rielaborazione dalla Rivista “Bella Italia” n. 150, ott. 1998,<br />
p. 70.<br />
NOTE<br />
1 Le principali opere di monsignor A. Carucci, edite dal<br />
1922 al 2005 sono elencate in A. BRACA, Il Duomo di<br />
Salerno, architettura e culture artistiche <strong>del</strong> Medioevo e<br />
<strong>del</strong>l’Età Moderna, Salerno, 2003, testo cui si rimanda quale<br />
trattazione più aggiornata sul Duomo di Salerno, corredata<br />
inoltre da un ricco apparato fotografico.<br />
2 Nel panorama generale degli studi di epigrafia medievale,<br />
<strong>del</strong> resto, i contributi di tale genere sono ancora numericamente<br />
scarsi e limitati principalmente ad alcuni monumenti<br />
di età tardoantica-altomedievale <strong>del</strong>la città di Roma, o<br />
alle grandi costruzioni religiose normanne in Sicilia. In proposito<br />
cfr. rispettivamente P. BOSIO, Edifici di culto e produzione<br />
epigrafica (VI-IX secolo) in Ecclesiae Urbis, Atti <strong>del</strong><br />
congresso internazionale di studi sulle chiese di Roma, (IV<br />
- IX secolo) Roma 2000, Città <strong>del</strong> Vaticano, 2002 e G.<br />
CAVALLO - F. MAGISTRALE, Mezzogiorno normanno e scritture<br />
esposte, in Epigrafia medievale greca e latina ideologia e<br />
funzione, a cura di G. Cavallo - C. Mango, Spoleto, (Centro<br />
SALTERNUM<br />
- 104 -<br />
permette di trarre alcune conclusioni, pur nella<br />
consapevolezza <strong>del</strong>le peculiarità <strong>del</strong>la resa, legata<br />
alla materia prima e alle difficoltà intrinseche<br />
<strong>del</strong>la posa in opera <strong>del</strong>le tessere (fig. 5).<br />
I confronti paleografici con gli esempi scrittori<br />
su materiale morbido (pergamene) e duro<br />
(materiali lapidei), fatti salvi i limiti imposti dalla<br />
natura dei supporti e dalle differenti finalità di<br />
fruizione, consentono di confermare per questo<br />
specimen <strong>del</strong>la decorazione più antica la cronologia<br />
alla seconda metà <strong>del</strong>l’XI secolo, nota da<br />
altre fonti, ed un’attribuzione alla diretta committenza<br />
di Alfano I.<br />
Italiano di studi sull’alto medioevo), 1991, pp. 293-328.<br />
3 M. A. COLONNA, De vita et gestis Beati Matthaei Apostoli et<br />
Evangelistae, Napoli, 1580.<br />
4 L’abside di sinistra, in parte a mosaico e in parte ad affresco,<br />
raffigura il Battesimo di Gesù, cui assistono due schiere<br />
di angeli e cherubini. Nell’abside di destra, al centro di<br />
un luminoso fondo d’oro, campeggiano le immagini di san<br />
Michele e di san Matteo. A lato <strong>del</strong>l’Evangelista, divisi dall’arcata<br />
<strong>del</strong> finestrone absidale, sono raffigurati a sinistra<br />
Giovanni da Procida in ginocchio e i santi Fortunato e<br />
Giovanni; a destra i santi Giacomo e Lorenzo.<br />
L’identificazione di questi santi è affidata esclusivamente a<br />
tituli, peraltro frutto di restauro.<br />
5 J. SCHLOSSER, L’arte nel Medioevo, Torino, 1935.<br />
6 G. BERGAMO, Il Duomo di Salerno, Battipaglia, 1972.<br />
7 I due artefici <strong>del</strong>la edificazione <strong>del</strong> Duomo salernitano<br />
morirono entrambi nel 1085. Il papa fu sepolto presso il<br />
sepolcro di S. Matteo nella Basilica Inferiore e successivamente<br />
trasferito nella Basilica Superiore, a lato <strong>del</strong>la<br />
Cappella <strong>del</strong>le Crociate.<br />
8 E. KITZINGER, The first mosaic decoration of Salerno<br />
Cathedral in “Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik”,<br />
XXI, 1972, pp. 150-167. Il Kitzinger riporta che in una pubblicazione<br />
<strong>del</strong> 1580 si leggeva che “in Emispherio maiori”<br />
era collocata un’iscrizione musiva, la stessa che tutt’oggi è<br />
posta nell’abside maggiore sotto la teoria di Papi.<br />
9 La posizione e la funzione <strong>del</strong> testo trovano ampi riscontri<br />
nelle figurazioni absidali <strong>del</strong> Medioevo. In proposito cfr.<br />
P. BOSIO, Edifici di culto e produzione epigrafica (VI-IX<br />
secolo), cit., p. 284.<br />
10 A. BRACA, Il Duomo di Salerno, architettura e culture artistiche<br />
<strong>del</strong> Medioevo e <strong>del</strong>l’Età Moderna, cit. p. 115.
Fig. 5a.<br />
Fig. 5c.<br />
ROSANNA BARONE<br />
- 105 -<br />
Fig. 5b.<br />
Fig. 5d.
Fig. 5e.<br />
Fig. 5g.<br />
Fig. 5i.<br />
SALTERNUM<br />
Fig. 5f.<br />
Fig. 5h.
La chiesa di Sant’Ilario (fig.1), in base ai<br />
più recenti studi, potrebbe essere uno<br />
dei primi esempi di architettura altomedievale<br />
nel territorio beneventano, precedente<br />
anche alla costruzione <strong>del</strong>la nota chiesa di Santa<br />
Sofia, voluta da Arechi II nell’anno 758.<br />
L’edificio è noto con il nome di “Sant’ Ilario a<br />
port’Aurea” perché eretto nei pressi <strong>del</strong>l’arco di<br />
Traiano, inglobato in epoca longobarda nella<br />
nuova cinta muraria e divenuto la “porta Aurea”<br />
<strong>del</strong>la città (fig. 2).<br />
Problemi tuttora aperti sono l’attribuzione<br />
<strong>del</strong>la chiesa ad una matrice longobarda o bizantina<br />
e la sua datazione viene variamente collocata<br />
nel VII secolo, alla fine <strong>del</strong> VII – inizi VIII o<br />
perfino nell’XI secolo.<br />
La più antica fonte che permette di identificare<br />
nel modesto edificio superstite la chiesa di<br />
Sant’Ilario risale agli inizi <strong>del</strong> XII secolo: un<br />
documento datato al novembre 1110 attesta l’esistenza,<br />
fuori Port’Aurea, di un orto appartenente<br />
all’ecclesia vocabolo sancti ylari 1 . Questa<br />
cartula commutationis rappresenta il terminus<br />
ante quem per la fondazione <strong>del</strong>la piccola chiesa,<br />
ma l’attestazione di una presenza monastica<br />
in S.Ilario si ha solo nel dicembre 1148, in un<br />
documento in cui si legge:“In Nomine Domini,<br />
anno millesimo centesimo quadragesimo octavo<br />
a me Gaydo qui sum procurator et vicecomes<br />
Monasteri Sancti Ylari quod constructum est a<br />
foris prope Portam Auream …” 2 . Nei trent’anni<br />
tra la data <strong>del</strong> più antico documento relativo<br />
all’ecclesia e la prima attestazione <strong>del</strong> convento<br />
non è da escludere che un primo corpo di<br />
ambienti abitativi e di servizio si fosse già svilup-<br />
DANIELA VISCONTI<br />
La chiesa di Sant’Ilario a Benevento:<br />
un prototipo <strong>del</strong>l’architettura longobarda<br />
- 107 -<br />
Fig. 1 - Chiesa di Sant’Ilario, vista Sud – Ovest.<br />
Fig. 2 - Topografia di Benevento longobarda.<br />
pato intorno al Sant’Ilario (fig.3). Nei primi<br />
decenni <strong>del</strong> XIII secolo la chiesa appare attestata<br />
come dipendente dal monastero femminile di<br />
S.Paolo extra muros; nella prima metà <strong>del</strong> XV<br />
secolo essa era ormai semi-abbandonata e l’ultima<br />
attestazione compare nei decreti di una visita<br />
apostolica <strong>del</strong> 1581 3 . Prima <strong>del</strong> 1708 l’edificio<br />
venne adibito a casa colonica 4 e da allora divenne<br />
irriconoscibile e bisognerà attendere il 1802<br />
perché Emanuele Annecchini riconosca la chiesa<br />
e la citi nel suo inedito manoscritto “Breve<br />
Compendio Istorico <strong>del</strong>le principali notizie <strong>del</strong>la<br />
città di Benevento” 5 .
Fig. 3 - Veduta <strong>del</strong> monastero nel XVII secolo (da LEPORE 1995).<br />
Sull’identità <strong>del</strong>l’edificio, tuttavia, vi erano<br />
ancora perplessità, nate dalla lettura <strong>del</strong>la<br />
“Pianta Sofiana Orsina”, conservata nell’Archivio<br />
Storico Provinciale di Benevento (fol.7, n.2), che<br />
aveva fatto sorgere il dubbio che la struttura<br />
presso l’Arco di Traiano fosse l’antica chiesa di<br />
S.Pietro, a causa <strong>del</strong>le dimensioni pressocchè<br />
uguali. Anche quella piccola chiesa infatti era ad<br />
aula unica divisa in due campate, con una piccola<br />
abside semicircolare dove era stato ricavato<br />
un forno durante il suo uso abitativo. Fu Mario<br />
Rotili, in un suo intervento nel corso <strong>del</strong> III<br />
Congresso Internazionale di studi sull’Alto<br />
medioevo <strong>del</strong> 1956, a precisare, con convincenti<br />
argomenti, che si trattava proprio <strong>del</strong>l’antica<br />
chiesa di Sant’Ilario e non di quella di S.Pietro,<br />
che invece era situata nella contrada ad<br />
Caballum 6<br />
Durante gli interventi di consolidamento <strong>del</strong>l’edificio,<br />
eseguiti in seguito al terremoto <strong>del</strong><br />
1980, emersero elementi che resero indispensabili<br />
i primi scavi di emergenza (1981), nel corso<br />
dei quali vennero alla luce resti di costruzioni<br />
romane e alcune sepolture di età basso medievale,<br />
realizzate entro cassoni in muratura. Nel<br />
1986 furono pianificati gli scavi <strong>del</strong>l’interno, che<br />
misero in evidenza come la chiesa era stata<br />
costruita su un grossa struttura in opera laterizia,<br />
SALTERNUM<br />
- 108 -<br />
pertinente ad un complesso monumentale databile<br />
genericamente all’età imperiale. Nella tarda<br />
antichità si ebbe un primo parziale processo di<br />
obliterazione, sotto spessi strati di terreno di<br />
riporto. I vari livelli di riempimento hanno restituito<br />
materiali di età compresa tra il IV secolo<br />
a.C. ed il II secolo d.C. Nello spazio <strong>del</strong>la prima<br />
campata <strong>del</strong>la chiesa attuale fu rinvenuta una<br />
fossa granaria costituita da un’anfora di grandi<br />
dimensioni che conteneva statuette votive in terracotta<br />
(teste, bambini fasciati <strong>del</strong> tipo medio -<br />
italico) di difficile inquadramento cronologico 7 .<br />
L’abbandono potrebbe essere coinciso con il<br />
degrado strutturale determinato dai numerosi<br />
eventi sismici, come quello <strong>del</strong> 369 d.C., che<br />
provocò ingenti danni. Tra i secoli IV e V una<br />
parte degli antichi ambienti fu occupata da<br />
nuove murature, come la possente fondazione<br />
in opera cementizia ancor oggi visibile sotto<br />
l’angolo nord – orientale <strong>del</strong>la chiesa 8 , che sorse<br />
probabilmente tra la fine <strong>del</strong> VII e l’inizio<br />
<strong>del</strong>l’VIII secolo ed alla quale è forse pertinente<br />
un’area sepolcrale individuata nelle vicinanze 9 .<br />
L’utilizzo <strong>del</strong>le vecchie strutture influenzò l’orientamento<br />
e la planimetria <strong>del</strong>l’edificio di<br />
culto: l’aula rettangolare <strong>del</strong>la chiesa fu posizionata<br />
in modo tale da coincidere con il lato nord<br />
<strong>del</strong>l’antico ambiente rettangolare <strong>del</strong> II secolo<br />
d.C.<br />
Per la decorazione interna <strong>del</strong>l’edificio nel<br />
periodo altomedievale si dispone solo <strong>del</strong><br />
ritrovamento di 12 frammenti di stucco 10 ; quanto<br />
alla ceramica, se ne rinvennero frammenti<br />
databili al II secolo d.C. e alcuni pezzi dipinti “a<br />
bande strette”, riferibili ai secoli XIII e XIV,<br />
periodo cui vanno riferiti anche dei resti di<br />
intonaco affrescato. Ciò ha fatto supporre che la<br />
fase costruttiva <strong>del</strong>la chiesa abbia portato alla<br />
rimozione degli strati appartenenti ai secoli<br />
intermedi 11 .<br />
Nelle murature esterne invece è testimoniato<br />
il reimpiego di diversi elementi architettonici di<br />
età classica, a conferma di una pratica molto<br />
attestata nell’alto medioevo e che trova non<br />
poche conferme nel territorio beneventano 12 . In<br />
corrispondenza <strong>del</strong>l’angolo sud – ovest <strong>del</strong>l’accesso<br />
attuale e <strong>del</strong> portale maggiore, oggi murato,<br />
che sul lato sud si apriva verso la strada,
DANIELA VISCONTI<br />
Fig. 4 - Pianta e sezione <strong>del</strong>la chiesa di Sant’Ilario allo stato attuale (da G.AUSIELLO, Architettura medievale, tecniche costruttive in Campania, Napoli,<br />
1999, p. 53).<br />
compaiono due frammenti di architravi di età<br />
romana 13 e un’epigrafe. Oltre ai fregi, sempre di<br />
reimpiego, sono diversi blocchi squadrati, in calcare<br />
e marmo bianco, inseriti negli angoli e nei<br />
pilastrini interni, inquadrabili stilisticamente tra<br />
l’età tardo – repubblicana e l’età imperiale. Ad<br />
epoca successiva si possono attribuire i grandi<br />
blocchi di calcare di differente qualità, impiegati<br />
nella costruzione <strong>del</strong> plinto di fondazione <strong>del</strong><br />
pilastro centrale. L’epigrafe situata sul lato destro<br />
<strong>del</strong>l’ingresso occidentale <strong>del</strong>la chiesa, incisa su<br />
una lastra di calcare che reca ben visibili le tracce<br />
<strong>del</strong>l’usura, dovute presumibilmente alla sua<br />
precedente funzione di soglia, che l’hanno resa<br />
quasi illeggibile, è databile probabilmente ad età<br />
tardoantica 14 .<br />
Nell’età bassomedievale si assiste ad un<br />
ampliamento <strong>del</strong>le strutture <strong>del</strong> cenobio 15 : furono<br />
aggiunti due spazi porticati, uno di fronte<br />
all’ingresso ovest <strong>del</strong>la chiesa e l’altro lungo il<br />
lato nord; fu realizzata anche una struttura ipogea<br />
con archi di rinforzo, in cui è riconoscibile<br />
una cisterna, addossata alla fondazione <strong>del</strong>la<br />
- 109 -<br />
parete sud <strong>del</strong>la chiesa. Oltre ad essa sono state<br />
trovate anche tracce di molti pozzi per la captazione<br />
<strong>del</strong>l’acqua, probabilmente connessi ad usi<br />
agricoli.<br />
Uniche testimonianze antropologiche <strong>del</strong>la<br />
piccola comunità monastica sono le semplici<br />
sepolture terragne di età bassomedievale, che<br />
costituivano il nuovo sepolcreto situato lungo il<br />
muro perimetrale sud <strong>del</strong>la chiesa e che in parte<br />
si estendeva anche all’interno, lungo il lato nord<br />
<strong>del</strong>l’area conventuale - di cui peraltro non si<br />
conosce l’estensione - sostituendo definitivamente<br />
la zona sepolcrale precedente.<br />
Il monastero di Sant’Ilario non subì sostanziali<br />
modifiche fino al terremoto <strong>del</strong> 1688, che<br />
distrusse gran parte <strong>del</strong> complesso, portandolo<br />
al definitivo abbandono. La chiesa invece rimase<br />
intatta e si è conservata per i quattro secoli<br />
successivi, con l’aspetto di una piccola casa<br />
colonica 16 . E’ in questo lungo periodo che l’edificio<br />
subì <strong>del</strong>le trasformazioni finalizzate all’adeguamento<br />
a scopo residenziale 17 . Il terremoto<br />
<strong>del</strong> 1930 causò il crollo <strong>del</strong> tetto anteriore (che
Fig. 5 - Chiesa di Sant’Ilario. Planimetria <strong>del</strong>le evidenze architettoniche<br />
dal periodo romano ad oggi (da BURATTO 2003).<br />
Fig. 6 - Cupole <strong>del</strong>la<br />
chiesa di Sant’Ilario (da<br />
MA.ROTILI 1986).<br />
poi è stato ricostruito a capanna) e di parte <strong>del</strong>la<br />
parete occidentale. La struttura rimase tuttavia<br />
invariata fino al terremoto <strong>del</strong> 1980 cui seguirono<br />
gli interventi successivi, finalizzati a riportare<br />
la chiesa al suo aspetto originario.<br />
La chiesa di Sant’Ilario si presenta ad aula rettangolare<br />
monoabsidata, divisa in due campate.<br />
La copertura è formata da due cupole in asse, di<br />
altezza diversa, contenute entro tiburi separati e<br />
con tetto a padiglione. In ciascuna campata<br />
quattro pennacchi sostengono le cupole 18 . Sia<br />
l’arco che separa le campate che quelli laterali<br />
presentano una tessitura listata in tufo grigio e<br />
mattoni (fig. 4). Il paramento murario, in opus<br />
incertum, si avvale di materiale reperito in loco,<br />
conci calcarei di origine fluviale, rotondeggianti,<br />
SALTERNUM<br />
- 110 -<br />
ed elementi di spoglio, entrambi messi in opera<br />
senza alcun tipo di lavorazione<br />
L’utilizzo <strong>del</strong>le cupole spinse molti studiosi a<br />
sostenere che la chiesa fosse un esempio di<br />
architettura bizantina. Studi più approfonditi,<br />
incentrati soprattutto sull’analisi <strong>del</strong> paramento<br />
murario, hanno portato a datare il Sant’Ilario<br />
all’età longobarda 19 . L’impiego <strong>del</strong>la struttura<br />
cupolata si ritrova a Benevento anche in altre<br />
due chiese: S.Sofia e S.Pietro ad Caballum.<br />
In Campania ci sono anche altri edifici con<br />
copertura a cupola inquadrabili nel periodo tardoantico<br />
- altomedievale, come gli illustri esempi<br />
<strong>del</strong> battistero di S.Maria Maggiore a Nocera<br />
Superiore e quello di S. Giovanni in Fonte a<br />
Napoli, databili entrambi al VI sec. d.C. La chiesa<br />
di Sant’Ilario e quella di S.Pietro ad Caballum<br />
si differenziano tuttavia dagli altri esempi campani<br />
perché hanno <strong>del</strong>le caratteristiche strutturali,<br />
come i pennacchi e i tiburi staccati tra loro,<br />
che, associati, conferiscono a questi due edifici<br />
un segno di originalità, rendendole i prototipi<br />
meridionali <strong>del</strong> tipo di chiese con cupole in<br />
asse.<br />
In piena età romanica questa idea<br />
architettonica troverà eco nell’ambiente pugliese,<br />
dove la cupola, entro un involucro piramidale di<br />
pietra, diverrà motivo costante di molti edifici di<br />
culto. Il tempietto di Seppannibale (fig.7) presso<br />
Fasano (BR), è ritenuto una derivazione proprio<br />
<strong>del</strong>la chiesa di Sant’Ilario.<br />
La chiesetta è un edificio di piccole<br />
dimensioni, la cui abside è andata<br />
completamente distrutta. Lo spazio interno è<br />
suddiviso in tre navate; la centrale risulta<br />
qualificata dalla presenza di due cupolette <strong>del</strong>la<br />
stessa altezza, di sezione quasi parabolica,<br />
arricchite nei tamburi, oltre che da monofore, da<br />
quattro nicchie angolari, in parte ancora<br />
affrescate, che permettono il passaggio dalla<br />
pianta quadrata di base a quella circolare <strong>del</strong>le<br />
cupole. Gli studi più recenti la datano tra gli<br />
ultimi decenni <strong>del</strong>l’VIII secolo e i primi <strong>del</strong> IX<br />
secolo 20 . Un elemento a sostegno di questo<br />
confronto è rappresentato dalla viabilità antica<br />
che fu alla base di collegamenti vitali e duraturi<br />
tra il territorio campano e quello pugliese.<br />
Anche la chiesa di Seppannibale infatti, come
l’edificio beneventano, sorge negli immediati<br />
dintorni <strong>del</strong> tracciato medievale <strong>del</strong>la via Traiana<br />
ed è probabilmente proprio attraverso questa via<br />
di comunicazione che le maestranze<br />
longobarde, dal beneventano, importarono il<br />
proprio bagaglio di conoscenze anche in Puglia,<br />
dove per il IX e X secolo possono essere<br />
ricordatati altri due edifici qualificati dalla<br />
presenza di due cupole in asse, confrontabili<br />
con Seppannibale: S.Maria di Gallana e S.Pietro<br />
di Crepacore a Torre S. Susanna, presso Oria<br />
(Brindisi) 21 .<br />
Un’ulteriore caratteristica <strong>del</strong>la chiesa di<br />
Sant’Ilario è l’utilizzo di un particolare sistema di<br />
raccordo tra la pianta quadrata <strong>del</strong>l’edificio e<br />
quella circolare <strong>del</strong>le cupole, che si attua<br />
mediante l’inserimento di pennacchi angolari,<br />
soluzione tipicamente bizantina. Per quanto<br />
riguarda questo elemento è interessante il raffronto<br />
con il Battistero di S. Giovanni in Fonte a<br />
Napoli, <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> VI secolo, in cui si utilizza<br />
il pennacchio a cuffia.<br />
L’interno <strong>del</strong>l’edificio è caratterizzato dalla<br />
presenza di archi a tutto sesto e a sesto ribassato<br />
in tufo e mattoni. L’arco listato in tufo grigio<br />
alternato a mattoni si pone in posizione centrale<br />
nel raccordo dei due quadrati <strong>del</strong>la pianta, in<br />
alcuni archi di scarico <strong>del</strong>le pareti laterali, nei<br />
pennacchi di raccordo con le cupole, nella definizione<br />
<strong>del</strong> vano di ingresso e nelle tre piccole<br />
monofore che si aprono sul tiburio più alto. È<br />
uno dei più antichi esempi, in ambito altomedievale,<br />
di interposizione di elementi in laterizio tra<br />
due conci di tufo a cuneo, che anticipa il largo<br />
ed elegante uso che ne verrà fatto in S.Sofia.<br />
Per quanto riguarda il paramento murario<br />
(fig.8), in Benevento l’utilizzo di pietra calcarea<br />
arrotondata di origine fluviale, aggregata con<br />
malta, caratterizza anche alcuni tratti sia <strong>del</strong>la<br />
cinta <strong>del</strong> VI secolo, sia <strong>del</strong>la civitas nova <strong>del</strong><br />
secondo periodo longobardo (fig.9) e qualifica<br />
prevalentemente le cortine murarie <strong>del</strong>la Torre<br />
Catena. La tecnica costruttiva raffinata di tale<br />
struttura è contraddistinta dall’uso di conci più<br />
tondi e regolari, che garantiscono un risultato<br />
esteriore di grande uniformità e dall’uso di blocchi<br />
angolari di calcare per rafforzare gli spigoli<br />
(elemento che si ritrova anche in Sant’Ilario). La<br />
DANIELA VISCONTI<br />
- 111 -<br />
Fig. 7 -<br />
Tempietto di<br />
Seppannibale<br />
di Fasano<br />
(BR), (da<br />
BERTELLI<br />
1994).<br />
torre era in posizione molto avanzata rispetto al<br />
perimetro <strong>del</strong>le mura <strong>del</strong>l’VIII secolo, cosa che,<br />
insieme all’analisi <strong>del</strong>le tracce superstiti degli<br />
innesti murari, induce a stabilire la contemporaneità<br />
<strong>del</strong>la costruzione con la prima fortificazione<br />
longobarda <strong>del</strong> VI secolo.<br />
Fig. 8 - Chiesa di Sant’Ilario. Fregi riutilizzati nella muratura sud-est<br />
<strong>del</strong>l’edificio.<br />
Quello <strong>del</strong>la datazione è un problema che<br />
ancora non ha trovato una soluzione definitiva.<br />
Vari studiosi si sono pronunciati sulla questione,<br />
proponendo datazioni che si distribuiscono in<br />
un ampio arco temporale, che va dal VI all’XI<br />
secolo, ma la proposta che oggi gode di maggior<br />
favore è che l’edificazione <strong>del</strong>la chiesa sia<br />
da collocare nella metà <strong>del</strong> VII secolo, sulla base<br />
<strong>del</strong>le affinità con l’edificio di Seppannibale.<br />
Marcello Rotili data quest’ultimo all’VIII secolo<br />
in base alle caratteristiche paleografiche <strong>del</strong>l’iscrizione<br />
conservata nell’abside e ad un frammento<br />
di affresco con “l’annuncio di Zaccaria”.
Fig. 9 - Benevento. Cinta muraria <strong>del</strong> VI- VII secolo,Torre “De Simone”.<br />
Se dunque la chiesa pugliese può essere ritenuta<br />
di pochi decenni posteriore alla beneventana<br />
S.Sofia, S.Ilario, che di essa è considerata il prototipo,<br />
può quindi essere datata, se non alla fine<br />
<strong>del</strong> VII, almeno alla prima parte <strong>del</strong>l’VIII secolo 22 .<br />
SALTERNUM<br />
- 112 -<br />
Alcuni studiosi collocano l’edificio beneventano<br />
all’età protoromanica, anche per il fatto che<br />
la più antica notizia di Sant’Ilario si trova in un<br />
documento <strong>del</strong> 1148; la datazione all’XI secolo è<br />
però poco condivisibile, perché le murature di<br />
Sant’Ilario non sono confrontabili con esempi<br />
coevi.<br />
Allo stato attuale, si ritiene dunque verosimile<br />
l’attribuzione <strong>del</strong>l’edificio al periodo tra la fine<br />
<strong>del</strong> VI e l’inizio <strong>del</strong> VII secolo, principalmente<br />
per le caratteristiche architettoniche che – come<br />
si è visto – ricorrono anche in altre chiese databili<br />
all’VIII secolo e di cui l’edificio beneventano<br />
sembra essere il prototipo. In secondo luogo<br />
non va trascurata la dedica <strong>del</strong>la chiesa a S.Ilario<br />
di Poiters che, nato in Francia all’inizio <strong>del</strong> IV<br />
secolo, è ritenuto in Occidente il simbolo <strong>del</strong>la<br />
lotta <strong>del</strong> cattolicesimo contro l’arianesimo. Il<br />
fatto che il suo culto sia attestato soprattutto nel<br />
VI secolo potrebbe coincidere proprio con la<br />
lotta che nello stesso periodo i Romani cristiani<br />
intrapresero contro i Longobardi ariani e la<br />
costruzione di una chiesa dedicata a S. Ilario<br />
potrebbe alludere alla loro conversione 23 .
*Articolo tratto dalla tesi di Laurea in Beni Culturali, La<br />
Chiesa di Sant’Ilario a Benevento: fonti documentarie ed<br />
evidenze architettoniche, Università degli Studi di Salerno,<br />
a.a.2004-2005 (Relatore prof.ssa C.Lambert).<br />
NOTE<br />
1 C. LEPORE, Monasticon Beneventanum, in “Studi<br />
Beneventani”, Benevento, 1995, p. 71.<br />
2 Il documento è edito da STEFANO BORGIA in Memorie istoriche<br />
<strong>del</strong>la pontificia città di Benevento dal secolo VIII al secolo<br />
XVIII, vol. I, parte III, Roma 1769, pp.136 – 138. In esso è<br />
registrata la concessione per ventinove anni di una casa di<br />
proprietà <strong>del</strong>la curia da parte <strong>del</strong> cardinale Pietro, rettore pontificio<br />
<strong>del</strong>la città, a Guidone <strong>del</strong> fu Pietro, procuratore e<br />
visconte <strong>del</strong> monastero di Sant’Ilario situato presso la Porta<br />
Aurea.<br />
3 Il Lepore (C. LEPORE, Monasticon Beneventanum, cit., 71 –<br />
73) fornisce una esauriente documentazione sul periodo che<br />
va dalle prime menzioni fino all’abbandono <strong>del</strong>l’edificio. Al<br />
riguardo egli scrive: “Recensita come chiesa parrocchiale sul<br />
finire <strong>del</strong> secolo XII, nei primi decenni <strong>del</strong> secolo successivo<br />
appare attestata come grangia <strong>del</strong> monastero femminile di<br />
S.Paolo extra muros di Avellino e retta da monaci benedettini<br />
(…). Il 1° gennaio 1443 papa Eugenio IV unì una parte <strong>del</strong>le<br />
sue rendite alla mensa capitolare beneventana. Ciò nonostante<br />
la dipendenza da S.Paolo si perpetuò ancora per più d’un<br />
trentennio e cessò solo nel 1479. Unita definitivamente al<br />
Capitolo metropolitano nel 1504: il visitatore apostolico raccomandò<br />
che fosse risarcita, intonacata e riattata in breve tempo<br />
prescrivendo la demolizione <strong>del</strong> pulpito per il canto <strong>del</strong><br />
Vangelo e anche <strong>del</strong>le pareti che separavano l’altare maggiore<br />
da due piccoli altari laterali. Successivamente continuò ad<br />
essere ufficiata almeno fino al 1690, anno in cui risulta ancora<br />
registrata nell’inventario <strong>del</strong> beni capitolari”.<br />
4 Il foglio 85r <strong>del</strong> catalogo <strong>del</strong> 1713, contenente le piante dei<br />
beni <strong>del</strong> Rev.do Capitolo Metropolitano di Benevento, descrive<br />
la chiesa come “profanata”. In tale documento, conservato<br />
presso la Biblioteca Capitolare di Benevento, si legge: “Borgo<br />
di Port’Aurea possiede il Rev.do Capitolo nel sud.to Borgo la<br />
chiesa profanata di Sant’Ilario” (C. LEPORE, Monasticon<br />
Beneventanum, cit. pp.71 – 73).<br />
5 “(…) A mano sinistra uscendo da port’Aurea vi era anticamente<br />
la Badia di Sant’Ilario la quale nell’anno 1504 da papa<br />
Giulio II fu unita al Capitolo di Benevento”. (A. ANNECHINI,<br />
Breve compendio istorico <strong>del</strong>le principali notizie <strong>del</strong>la città di<br />
Benevento, Ms. LIV Archivio Storico Provinciale di Benevento,<br />
1802, p.49).<br />
6 “Ecclesia S.Petri ad Caballum, sita a lato <strong>del</strong> Trescene verso<br />
tramontana, annessa alla Commenda di S. Sofia, nella contrada<br />
ad Caballo” (M. ROTILI, La chiesa di Sant’Ilario a<br />
Port’Aurea a Benevento, in Atti <strong>del</strong> III Congresso<br />
Internazionale di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 1956, pp.<br />
525 - 531).<br />
7 D. GIAMPAOLA, Il restauro <strong>del</strong>l’arco di Traiano e il resoconto<br />
<strong>del</strong>l’attività di scavo a Benevento, in Atti <strong>del</strong> XXVII Convegno<br />
sulla Magna Grecia, Taranto – Paestum, 1987, Taranto 1998,<br />
p. 830.<br />
DANIELA VISCONTI<br />
- 113 -<br />
8 Si è supposta una funzione di carattere difensivo per la possente<br />
costruzione, ma gli elementi a disposizione non consentono<br />
di andare oltre l’ipotesi (A. BURATTO, L’anticamera<br />
<strong>del</strong>l’Imperatore, in “La provincia sannita di Benevento”,<br />
Benevento, anno XIII, n°2, 2003, p. 8).<br />
9 Si tratta di deposizioni realizzate in fosse terragne, ad eccezione<br />
di un unico esemplare dotato di cassa in muratura,<br />
realizzata con blocchi irregolari di tufo giallo.<br />
10 Di tali frammenti prese visione il prof. P. Peduto che ne<br />
osservò le affinità con analoghi frammenti trovati nella<br />
Langobardia Maior, e precisamente con quelli <strong>del</strong> Tempietto<br />
di Cividale <strong>del</strong> Friuli e con altri di S. Salvatore di Brescia (P.<br />
PEDUTO, La Campania, in R. FRANCOVICH (a cura di), La storia<br />
<strong>del</strong>l’Alto medioevo italiano (VI-X secolo) alla luce <strong>del</strong>l’archeologia,<br />
Firenze, 1994, p. 293).<br />
11 M. ZAMPINO, Benevento, chiesa di Sant’Ilario, in Terremoto e<br />
restauro: dieci anni di esperienza, Soprintendenza dei<br />
B.A.A.A.S. per le Province di Caserta e Benevento (a cura di),<br />
Caserta 1991, p. 43.<br />
12 P. PENSABENE, A. LUPIA, Il reimpiego nel periodo longobardo<br />
a Benevento, in I longobardi dei ducati di Spoleto e<br />
Benevento - Atti <strong>del</strong> XVI Congresso internazionale di studi<br />
sull’Alto - medioevo, II, Spoleto, 2002, pp. 1555 - 1576.<br />
13 Uno dei due frammenti è di tipo ionico ed è parte di un<br />
fregio di cui si conservano altri elementi nel Museo <strong>del</strong><br />
Sannio. La decorazione è a motivi di animali fantastici entro<br />
due cornici orizzontali e si pensa sia ascrivibile alla fine <strong>del</strong><br />
periodo repubblicano o alla prima età augustea. L’altro<br />
frammento di fregio inserito come pietra d’angolo nella<br />
muratura <strong>del</strong>la facciata est ha un’ornamentazione più raffinata,<br />
con nastro a volute intervallato da fiori e palmette.<br />
14 F. BOVE, Città monastica beneventana in “Studi beneventani”,<br />
n° 6, Benevento, 1995, p. 186.<br />
15 Probabilmente a promuovere tale ingrandimento fu il<br />
convento avellinese di S.Paolo fuori le mura, a cui S.Ilario<br />
apparteneva.<br />
16 A. BURATTO, L’anticamera <strong>del</strong>l’Imperatore, cit., p. 10.<br />
17 L’edificio fu suddiviso in due livelli di abitazione mediante<br />
un solaio ligneo. Un forno fu localizzato nell’abside,<br />
dove fu aperta una porta. Infine le finestre <strong>del</strong>la facciata est<br />
vennero trasformate in porte di accesso al piano superiore,<br />
cui si arrivava a mezzo di due scale a giorno.<br />
18 La cupola più bassa è quella che copre lo spazio d’ingresso,<br />
mentre quella più alta è prossima all’abside e reca una<br />
monofora al centro di ognuno dei tre lati liberi <strong>del</strong> tiburio<br />
su cui è impostata (fig.6).<br />
19 A. VENDITTI, Architettura bizantina nell’Italia meridionale,<br />
Napoli, 1967, pp. 584 – 589.<br />
20 G. BERTELLI, Cultura longobarda nella cultura medievale,<br />
Il tempietto di Seppannibale, Bari, 1994, pp.28 – 32.<br />
21 G. BERTELLI, Cultura longobarda nella cultura medievale,<br />
cit. pp. 47 – 48.<br />
22 MA. ROTILI (Benevento romana e longobarda. L’immagine<br />
urbana, Napoli, 1986 pp. 182 – 183) posticipa quindi di<br />
qualche decennio la cronologia proposta dal padre.<br />
23 E. RAPISARDA, s.v Ilario di Poiters, in Enciclopedia<br />
Cattolica, vol. VI, Città <strong>del</strong> Vaticano, 1951, pp. 1614 – 1615.
BIANCA<br />
CANCELLARE
MARCO AMBROGI<br />
Monachesimo, fondazioni ecclesiastiche e sviluppo<br />
urbano nella Diano medioevale<br />
La cittadina di Teggiano, dall’alto di una<br />
terrazza protesa nel ferace Vallo di<br />
Diano, da secoli vigila il transito lungo<br />
l’antica Via Consolare Annia e controlla i valichi<br />
che alle sue spalle conducono verso il Cilento<br />
ed il mare di Paestum. La posizione di riguardo,<br />
scelta dagli antichi Lucani, ha costituito per<br />
secoli il vanto e la sicurezza di una città che ha<br />
saputo risollevarsi da distruzioni ed assedi, un’espressione<br />
geografica nata per motivi di controllo<br />
sugli attacchi esterni e per difesa dalle acque<br />
stagnanti <strong>del</strong> fondovalle tanagrino. Su quel pianoro<br />
i Romani elessero un fiorente municipium,<br />
dopo aver soggiogato la fierezza dei Lucani e<br />
dalle memorie latine <strong>del</strong>la civitas si sviluppò nel<br />
Medioevo uno dei borghi fortificati più importanti<br />
<strong>del</strong> Principato Citra.<br />
Teggiano, l’antica Diano medioevale, sonnecchiando<br />
nell’alto <strong>del</strong>la sua posizione strategica,<br />
ancora racconta, a chi sale per la via da<br />
Piedimonte o dalla strada a meridione, <strong>del</strong> suo<br />
glorioso passato, pregno di accadimenti storici,<br />
civili e militari, ma soprattutto di un mosaico<br />
ampio di storia religiosa, che ne ha decretato<br />
una sorta di “monte sacro”, in cui ancora permangono<br />
nella loro originalità chiese, monasteri,<br />
ruderi e cappelle, alcuni integri nel loro primitivo<br />
aspetto, altri menzionati solo nei documenti<br />
pergamenacei. La ricchezza artistica e<br />
monumentale <strong>del</strong>la Dianum medioevale affonda<br />
le sue radici storiche nell’alto Medioevo, in<br />
quel periodo in cui sulle vestigia <strong>del</strong> municipium<br />
di Tegianum si ricostituì l’assetto urbano<br />
di una nuova città, con l’insediamento dei<br />
monasteri italo-greci e di quelli benedettini sull’area<br />
interna alle mura, ma in posizione periferica.<br />
In quell’anello urbano si svilupperanno, nel<br />
- 115 -<br />
Fig. 1 - Teggiano dall’alto. Si noti l’ortogonalità degli assi cardo-decumanus.<br />
basso Medioevo, le strutture dei conventi mendicanti<br />
e degli ospedali, che oggi caratterizzano<br />
in modo originale l’impronta urbana <strong>del</strong> centro.<br />
Tegianum, il fiorente municipium, che<br />
Nerone considerava una <strong>del</strong>le colonie più rilevanti<br />
<strong>del</strong> primo Impero 1 , oggi si riconosce per lo<br />
più in pianta, dalla presenza <strong>del</strong>l’asse cardodecumanus,<br />
che equipartisce l’assetto urbano<br />
<strong>del</strong> pianoro in quattro quadranti, ognuno dei<br />
quali contrassegnato dalle sue chiese e dai suoi<br />
conventi. La parte più identificabile attualmente<br />
<strong>del</strong>l’impianto ortogonale <strong>del</strong>l’urbanistica romana<br />
di Teggiano è la piazza principale, su cui prospettano<br />
la cattedrale, il seggio ed il convento di<br />
San Francesco (attuale municipio), che nel suo<br />
proseguimento verso Sud, nella via che appellasi<br />
“discesa di Sant’Andrea”, allinea l’antico asse
Fig. 2 - Emergenze architettoniche di Teggiano romana: 1. Portello. 2.<br />
Foro.3.Barbacane o “posteruola”. 4. Porta <strong>del</strong>l’Annunziata. 5.Tempio. 6.<br />
Porta <strong>del</strong>le Pietà.<br />
<strong>del</strong> decumanus. A Nord, il “Portello” segna uno<br />
degli ingressi minori <strong>del</strong>la cittadina, in età romana<br />
e poi nel Medioevo, degradante su uno sperone<br />
roccioso molto ripido; dall’altro lato l’antica<br />
porta “<strong>del</strong>l’Annunziata”, costruita con grossi<br />
blocchi di calcare locale, riporta per analogia<br />
tipologica alle costruzioni di impianto lucano,<br />
pseudomegalitico, rendendo evidente che l’asse<br />
<strong>del</strong> cardo si formalizzò su un’urbanistica di più<br />
antica data. La via ortogonale alla piazza e all’asse<br />
appena descritto lo attraversa nel punto in cui<br />
si erge il seggio quattrocentesco e si <strong>del</strong>inea per<br />
la “salita Corpo di Cristo”, che conduce allo slargo<br />
<strong>del</strong> seminario, da un lato, e per la via “San<br />
Giorgio”, dall’altro, segnate agli estremi da punti<br />
in cui la memoria storica colloca altre due porte<br />
urbiche nella cinta muraria e di cui attualmente<br />
si riconosce solo il “Barbacane”, sul lato occidentale;<br />
la parte bassa <strong>del</strong>la torre di guardia di<br />
questa entrata minore è impostata su una base<br />
con grossi blocchi quadrangolari, in modo simile<br />
alla porta <strong>del</strong>l’Annunziata. Una porta collocabile<br />
cronologicamente all’epoca romana era sita<br />
nell’area <strong>del</strong>l’attuale convento <strong>del</strong>la Pietà 2 , mentre<br />
il centro latino individuava la presenza di<br />
edifici di importanza pubblica, tra cui è possibile<br />
ipotizzare un foro (sul posto <strong>del</strong>l’attuale via<br />
SALTERNUM<br />
- 116 -<br />
Roma ed in cui era collocata la mensa ponderaria,<br />
ora al Museo Diocesano), dei templi (si riconosce<br />
lo stilobate di uno di essi al di sotto <strong>del</strong><br />
portico <strong>del</strong>l’ex chiesa di San Pietro), una palestra<br />
e un teatro o odéon (da cui proverrebbe il telamone<br />
(?) nel Museo Diocesano di San Pietro, la<br />
cui iconografia, con le braccia dietro al collo, lo<br />
paragona ad altro simile <strong>del</strong> teatro di Pompei).<br />
Delle vestigia romane Teggiano conserva oggi<br />
numerose iscrizioni e le cosiddette imagines<br />
maiorum, alcune murate nella parete esterna<br />
<strong>del</strong> coro <strong>del</strong>la cattedrale ed altre presenti al<br />
Museo Diocesano. Alcuni storici hanno ipotizzato<br />
che la città romana ebbe un momento di gloria<br />
in età imperiale, considerato che in essa furono<br />
innalzati i monumenti a Galerio, Flavio<br />
Severo e Costantino, per opera dei decurioni e<br />
costituiti da basi con iscrizioni sormontate da<br />
statue 3 . Il pianoro <strong>del</strong>la civitas era racchiuso da<br />
una possente cinta muraria, ancora visibile nel<br />
‘600 e descritta dal cronista Luca Man<strong>del</strong>li, sulla<br />
quale si era <strong>del</strong>ineata con sovrapposizione la<br />
linea difensiva medioevale 4 .<br />
Dalla città retratta ai primi insediamenti<br />
monastici e agli ospedali di mendicità<br />
In età tardo antica ed alto medioevale, la città<br />
romana di Tegianum si contrasse al pari degli<br />
agglomerati antichi, come documentato altrove,<br />
finendo per ricompattarsi all’interno <strong>del</strong>le stesse<br />
mura: il fenomeno di restringimento urbano va<br />
sotto il nome di “città retratta” e riguarda le aree<br />
periferiche a ridosso dei circuiti murari, che vengono<br />
abbandonate per permettere alla scarsa<br />
popolazione <strong>del</strong>le città di origine romana di<br />
concentrarsi meglio al centro <strong>del</strong> nucleo antico.<br />
Ciò determina un’alta percentuale di suoli liberi,<br />
giardini e ruderi, sui quali verrà incentrato lo sviluppo<br />
successivo <strong>del</strong>la città, riguardante in<br />
modo particolare l’edilizia monastica e conventuale.<br />
Il monachesimo italo-greco preferì luoghi<br />
isolati e impervi, intorno ai quali poi sorsero<br />
agglomerati di piccoli borghi (come è documentato<br />
per il vicino paese di Sant’Arsenio), ma non<br />
disdegnò affatto gli antichi centri di tradizione<br />
latina (a Diano è documentata una via denominata<br />
dei Greci).
In effetti l’abbazia di Grottaferrata possedeva<br />
alcune grancie in vari paesi <strong>del</strong>la Lucania, tra cui<br />
Diano 5 , per cui è possibile ipotizzare la presenza<br />
di cenobi o piccoli monasteri anche nel centro<br />
dianense, nel quale il toponimo di Santa<br />
Venera, attuale succorpo <strong>del</strong>la chiesa di<br />
Sant’Angelo, è di chiara ascendenza greca. I<br />
Benedettini, con l’avvento <strong>del</strong>l’età normanna e<br />
la predominanza territoriale dei monaci di<br />
Venosa e di Cava dei Tirreni, non fecero altro<br />
che sostituire i religiosi di rito italo-greco o<br />
affiancarvisi. Nella cittadina dianense il<br />
Macchiaroli colloca qualche fondazione benedettina<br />
tacendo su altre di derivazione greca;<br />
infatti, secondo il cronista ottocentesco, alla<br />
china orientale <strong>del</strong> borgo, esistevano ai suoi<br />
tempi <strong>del</strong>le vestigia di mura nella contrada di<br />
San Nicola 6 , ultimo ricordo <strong>del</strong> monastero benedettino<br />
omonimo 7 , mentre il ramo femminile<br />
<strong>del</strong>l’ordine <strong>del</strong> patriarca umbro aveva una sua<br />
sede nell’area <strong>del</strong>l’attuale chiesa <strong>del</strong>la SS. Pietà.<br />
Il San Nicola riportato da Macchiaroli potrebbe<br />
identificarsi con la dipendenza cavense di<br />
Scaulano (entrata nell’orbita <strong>del</strong>la SS. Trinità tra<br />
il 1116 ed il 1136) 8 , mentre sulla fondazione religiosa<br />
<strong>del</strong>la Pietà non abbiamo dati documentari<br />
che vanno oltre il 1311 9 . Il cenobio <strong>del</strong>le<br />
Benedettine occupò già nel corso <strong>del</strong> Duecento,<br />
con molta probabilità, un’area perimetrale <strong>del</strong>l’abitato,<br />
ma entro le mura romane, proprio in aderenza<br />
alla porta di ingresso alla città dal lato<br />
orientale. Infatti, in un documento <strong>del</strong> 1420 10 ,<br />
quando le monache erano ancora presenti nel<br />
monastero, si specifica, per un atto di un’abitazione,<br />
che questa si trova “in convicinio porte<br />
seu posterule Monialium”. Se osserviamo attentamente<br />
l’attuale planimetria <strong>del</strong>la chiesa <strong>del</strong>la<br />
SS. Pietà, <strong>del</strong>l’ordine degli Osservanti, che ricalcò<br />
in parte (la navata minore) l’assetto <strong>del</strong>la<br />
chiesa <strong>del</strong>le Benedettine, appare evidente che la<br />
prima cappella di sinistra, dalla pianta poligonale,<br />
altro non è che una <strong>del</strong>le due torri <strong>del</strong>l’antica<br />
porta, su cui si innestavano le mura e su cui<br />
le monache avevano edificato parte <strong>del</strong>l’edificio<br />
religioso <strong>del</strong> loro monastero.<br />
Esisteva in età medioevale a Diano un monastero<br />
intitolato a San Vito 11 , che non sappiamo a<br />
quale ordine appartenesse, ma che risulta già<br />
MARCO AMBROGI<br />
- 117 -<br />
Fig. 3 - La porta <strong>del</strong>l’Annunziata in opera poligonale.<br />
Fig. 4 - Configurazione religiosa di Diano altomedievale: monasteri ed<br />
ospedali: 1. S. Giovanni de Hospitali (Gerosolimitani?). 2. Ospedale di S.<br />
Caterina. 3. Ospedale di S. Spirito. 4. Monastero <strong>del</strong>la SS.Annunziata<br />
(Celestini). 5. Ospedale di S. Nicola de Carranis (per le donne). 6.<br />
Monastero di S. Nicola (Scaulano, Benedettini). 7. Monastero di S.Vito<br />
(incerta localizzazione). 8. Ospedale di S.Antonio de Vienne (Antoniani).<br />
9. Monastero di S. Benedetto (femminile).<br />
vitale nel 1373. Il problema per il riconoscimento<br />
di questa fondazione è dato anche dalla presenza<br />
di più chiese dedicate al Santo, con appellativi<br />
diversi (tra essi figura spesso “alla<br />
Bucana”), di cui una di certo esistente al di fuori<br />
<strong>del</strong> perimetro murario <strong>del</strong>la città medioevale.<br />
Nel punto in cui la porta meridionale <strong>del</strong>la<br />
città 12 si apriva verso le prime lievi balze <strong>del</strong> pianoro<br />
su cui sorge Teggiano, ma entro il circuito<br />
difensivo di età romana, sorse nel secolo XIV o<br />
poco prima il monastero <strong>del</strong>la SS. Annunziata<br />
dei frati Celestini. Denominati così dal nome <strong>del</strong><br />
fondatore, fra Pietro da Morrone (1209-1296),
Fig. 5 - Ex Chiesa di Santo Spirito degli Ospitalieri.<br />
Fig. 6 - Frate Ospitaliere nell’affresco <strong>del</strong>la Cappella Franconi in San<br />
Pietro.<br />
eletto papa nel 1294, costituirono una riforma<br />
sotto la regola di San Benedetto, nata nel 1264,<br />
con forti connotazioni di eremitismo, povertà,<br />
austerità e centralizzazione. Ebbero discreto sviluppo<br />
in Italia, specialmente nel Meridione,<br />
favoriti dai regnanti Angioini 13 . Del ricordo che<br />
questi frati lasciarono nell’immaginario di<br />
Teggiano e dei suoi abitanti, ci è pervenuta<br />
soprattutto la foggia ed il colore <strong>del</strong>l’abito di San<br />
Cono, cittadino e patrono di Teggiano e diocesi,<br />
che pur facente parte <strong>del</strong>la congregazione benedettina<br />
cassinese (monastero di Cadossa a<br />
Montesano), è stato rappresentato nell’età<br />
moderna con l’abito dei Celestini. Paradosso evi-<br />
SALTERNUM<br />
- 118 -<br />
dente è che l’unica immagine più antica <strong>del</strong><br />
santo dianense, in abiti da benedettino, si trova<br />
proprio nella chiesa <strong>del</strong>l’Annunziata, nella parte<br />
chiusa <strong>del</strong>la navata destra. Il primo documento<br />
che possediamo sulla presenza dei monaci, che<br />
accolsero tra le loro fila anche un ramo <strong>del</strong>l’ordine<br />
francescano, i poveri eremiti di papa<br />
Celestino, aggregati nel 1294 all’ordine contemplativo<br />
ma dimoranti in romitaggi propri e indipendenti<br />
dalla giurisdizione <strong>del</strong>l’ordine 14 , è <strong>del</strong>l’anno<br />
1342 (7 dicembre), quando Marino di<br />
Ippolito, nobile di Diano, sceglie come luogo<br />
per la sua sepoltura Santa Maria Annunziata (il<br />
1504, data impressa sul portale di ingresso segna<br />
la seconda ricostruzione <strong>del</strong> sacro edificio), il<br />
cui cenobio era retto dall’abate Francesco de<br />
Galliciano 15 . Possediamo note circa la filiazione<br />
<strong>del</strong> monastero, dalla casa madre di Santo Spirito<br />
di Sulmona da un documento <strong>del</strong> 25 maggio<br />
1408 in cui si specifica la dipendenza <strong>del</strong>la casa<br />
di Diano dal monastero principale abruzzese,<br />
retto allora da frate Nicola di San Giuliano, abate<br />
<strong>del</strong>l’ordine dei Celestini 16 . Il monastero di Diano<br />
possedeva molti beni e proprietà, oltre ad alcuni<br />
edifici sacri, tra i quali figura una chiesa di<br />
Sant’Eustachio, che nel 1584 risulta cadente e in<br />
attesa di ricostruzione; la cappella, definita da<br />
tempo appartenente alla congregazione<br />
<strong>del</strong>l’Annunziata 17 , potrebbe anche identificarsi<br />
con l’antica parrocchia che in età medioevale<br />
curava spiritualmente una parte <strong>del</strong> territorio cittadino<br />
di Diano.<br />
Nel processo di insediamento degli ordini<br />
monastici italo-greci e benedettini, anche se in<br />
una fase tarda, sorsero i primi ricoveri di ospitalità<br />
urbana, dapprima, forse, in modo spontaneo,<br />
poi riassorbiti all’interno di congregazioni<br />
religiose votate all’accoglienza e al sostegno di<br />
poveri e mendicanti ammalati. Dalle fonti storiche<br />
18 apprendiamo che a Diano esistevano gli<br />
ospedali di San Nicola per le donne 19 , posto<br />
nelle vicinanze <strong>del</strong>la chiesa di Sant’Angelo (con<br />
fabbriche crollanti al tempo <strong>del</strong> Macchiaroli), di<br />
Santo Spirito (ancora esistente), di Santa<br />
Caterina alla “Postierla” o “Barbacane” (il<br />
Macchiaroli poteva ancora vederne le fabbriche<br />
<strong>del</strong> ricovero e <strong>del</strong>la piccola chiesa) e di<br />
Sant’Antonio di Vienne, alla china esterna con
ducente alla porta <strong>del</strong>la Pietà, extra muros. Gli<br />
ospedali di Sant’Antonio, di Santa Caterina<br />
(entrambi diruti) e di Santo Spirito, sono ricordati<br />
anche dal Man<strong>del</strong>li 20 . Per ciò che concerne il<br />
ricovero degli Ospitalieri di Santo Spirito (una<br />
casa era presente anche nella vicina Sala<br />
Consilina (SA) nel XVI sec.), la prima data che<br />
compare a conferma <strong>del</strong>la presenza in Diano<br />
<strong>del</strong>l’ordine è <strong>del</strong> 1309 (o 1310) 21 , esattamente il<br />
20 gennaio, quando fra Tommaso, precettore<br />
<strong>del</strong>l’ospedale, <strong>del</strong>la casa e <strong>del</strong>la chiesa di Santo<br />
Spirito, cede a Tommaso de Maliano un terreno<br />
lavorativo in cambio di un altro in Sassano. Il<br />
riferimento alla prima data sul cenobio dianense<br />
è messo in dubbio da un’affermazione di<br />
Vitolo, che considera esistente l’ospedale già nel<br />
XII secolo 22 . Gli Ospitalieri o Fratelli <strong>del</strong>la<br />
Colomba, ordine cittadino, furono fondati nel<br />
1175 da Guy di Montpellier nella sua città natale<br />
e la regola fu approvata nel 1198 da papa<br />
Innocenzo III, che affidò a loro in Roma l’ospedale<br />
di Santa Maria divenuto poi Santo Spirito<br />
(l’ordine fu sciolto nel 1847 da Pio IX). Le dipendenze<br />
erano state fondate con il motivo di assistere<br />
i poveri, gli infermi e i trovatelli. Sull’abito<br />
<strong>del</strong>l’ordine è bene soffermarsi, perché figura<br />
anche a Teggiano nell’affresco <strong>del</strong>la cappella<br />
Francone in San Pietro, giusto al di sopra <strong>del</strong><br />
corpo scolpito <strong>del</strong> soldato Bartolomeo (periodo<br />
di esecuzione: XIV sec.), dove una teoria di personaggi,<br />
tra cui una monaca benedettina ed un<br />
cavaliere di Malta 23 , fanno da ala all’immagine<br />
centrale <strong>del</strong> Cristo. Ebbene, l’ultima figura sul<br />
lato destro porta un abito bruno con una particolare<br />
croce bianca, che pare identificarsi proprio<br />
con la foggia <strong>del</strong>l’abito degli Ospitalieri 24 ,<br />
presenti nella città di Diano nel XIV secolo (già<br />
documentati). La regola <strong>del</strong>l’Ordine imponeva<br />
che tutti i religiosi dovessero portare il segno<br />
<strong>del</strong>la croce tanto sull’abito (sul petto), quanto<br />
sul mantello (a lato sinistro); nell’uno e nell’altro<br />
caso, esso doveva essere posto all’altezza <strong>del</strong><br />
cuore. Sia l’abito sia il mantello erano neri 25 . Le<br />
note <strong>del</strong>la presenza dei frati in Diano continuano<br />
per tutto il XV secolo 26 , segnando un’attività<br />
stabile e determinante per la comunità cittadina<br />
e per gli ospiti ed i forestieri che vi giungevano.<br />
Per questo già nel XVI secolo il centro di rico-<br />
MARCO AMBROGI<br />
- 119 -<br />
Fig. 7 - Parrocchie di Diano in età medievale e moderna: 1. Plebana di S.<br />
Maria Assunta. 2. S. Matteo al Barbacane. 3. S. Eustacchio. 4. S. Barbara. 5.<br />
S.Agostino Abate. Parrocchie recenti: A. S.Andrea. B. S.Angelo. C. S.<br />
Pietro. D. S. Martino.<br />
Fig. 8 - Pianta <strong>del</strong>la Cattedrale di S. Maria: l’edificio medievale era<br />
simmetricamente invertito.<br />
vero conventuale è oggetto di un’ampia ristrutturazione<br />
dei suoi ambienti, considerando la<br />
presenza di uno stemma, sul prospetto sudorientale<br />
<strong>del</strong>l’edificio, che riporta la data <strong>del</strong><br />
1585. Il ricovero di Sant’Antonio de Vienne (la
Fig. 10 - La Chiesa di San Pietro nella sua prima fase costruttiva.<br />
Fig. 9 - La Chiesa di San Pietro nella fase costrutiva finale.<br />
cui protezione era invocata contro il morbo <strong>del</strong>l’herpes<br />
zoster), da non confondere con la parrocchia<br />
e con la chiesa attuale di Sant’Antuono,<br />
figura per la prima volta nel 1369 27 , ma già nel<br />
1482 il precettore <strong>del</strong>l’Ospedale di Sant’Antonio<br />
de Vienne di Napoli, conferisce al presbitero<br />
Nicola de Monsa la facoltà di reggere l’ospedale<br />
dianense, extra moenia 28 . L’ordine, il cui nome<br />
effettivo era: “canonici regolari di Sant’Agostino<br />
di Sant’Antonio”, prese il nome <strong>del</strong> grande abate<br />
omonimo, le cui reliquie giunsero in Occidente<br />
SALTERNUM<br />
- 120 -<br />
presso Vienne. L’Ordine fu eretto come canonicato<br />
regolare con bolla di Bonifacio VIII <strong>del</strong><br />
1297 e terminò il suo compito verso la fine <strong>del</strong><br />
XVIII secolo, allorché fu unito all’Ordine di<br />
Malta. La protezione dal cosiddetto “fuoco di<br />
Sant’Antonio” (ergotismo), dovuto all’ingestione<br />
<strong>del</strong> fungo <strong>del</strong>la segala cornuta, costituì il motivo<br />
per erigere una confraternita nell’XI secolo che<br />
divenne successivamente Ordine regolare. I<br />
canonici vestivano nel XIV secolo con una tunica<br />
ampia completa di burello nero con cappuccio.<br />
Una cintura di cuoio o un cordone per la<br />
vita ed un semplice mantello, oltre agli zoccoli<br />
robusti e pesanti, completavano la foggia <strong>del</strong>l’abito<br />
29 . E la reggenza dei presbiteri di<br />
Sant’Antuono, nei confronti <strong>del</strong>l’ospedale di<br />
Sant’Antonio de Vienne, continuò almeno fino<br />
alla prima metà <strong>del</strong> XVI secolo, se è vero che nel<br />
1536 Giovanni De Velasco, commissario generale<br />
e procuratore <strong>del</strong>l’Ordine di Sant’Antonio de<br />
Vienne per le province di Principato Citra e<br />
Ultra, conferì al sacerdote Federico Marresio,<br />
arciprete <strong>del</strong>la terra di Diano, il beneficio <strong>del</strong>la<br />
cappella di Sant’Antonio de Carbonibus in<br />
Diano, con l’obbligo di censo alla precettoria<br />
generale <strong>del</strong>l’ordine, dimorante nel monastero<br />
di Sant’Antonio extra muros di Napoli 30 . Allo<br />
stato attuale, pur avendo distinto i due edifici<br />
sacri, entrambi intitolati a Sant’Antonio Abate, l’identificazione<br />
certa tra i documenti afferenti<br />
all’uno o all’altro non è ben chiara e <strong>del</strong>ineata.<br />
Anche la presenza di un istituto religioso denominato<br />
San Giovanni de hospitali, che compare<br />
in un documento <strong>del</strong> 1397 31 , lascia supporre l’esistenza<br />
di un altro monastero (i<br />
Gerosolimitani?) o meglio ancora di un ulteriore<br />
ricovero per gli ammalati.<br />
La plebana di Santa Maria e le parrocchie<br />
antiche<br />
Nella piazza centrale <strong>del</strong>la cittadina si erge<br />
imponente la cattedrale di Santa Maria, punto di<br />
contatto tra l’espressione dignitaria ecclesiastica<br />
<strong>del</strong>le parrocchie antiche di Diano ed il titolo di<br />
ecclesia cattedralis, centro <strong>del</strong>la diocesi di<br />
Teggiano-Policastro. L’edificio risulta nelle cronache<br />
storiche, già nel 967 32 e nel 1132 (mese di<br />
dicembre) come chiesa plebana 33 e con molta
probabilità l’istituzione rientrava nella particolare<br />
cura spirituale dei vescovi caputaquensi, che<br />
non mancavano di celebrarvi frequentemente.<br />
Infatti, è documentato negli anni ’40 <strong>del</strong> XII<br />
secolo il presule Giovanni, che, dimorando a<br />
Diano lungamente, vi morì (1146) e venne<br />
sepolto proprio in Santa Maria, nella cona maggiore<br />
34 . Nel luglio <strong>del</strong>l’anno 1261, la chiesa era<br />
diruta nelle strutture <strong>del</strong>la navata maggiore ed in<br />
quelle laterali, per cui vennero raccolti alcuni<br />
proventi di vendite e offerte al fine di ricostruire<br />
il sacro edificio 35 . Con la scelta, caduta su<br />
Diano e Padula, da parte dei Sanseverino di<br />
Marsico, quali sedi predilette dei propri domini,<br />
l’antico edificio <strong>del</strong>la pieve dianense venne<br />
ingrandito ed abbellito con un programma edilizio<br />
e architettonico degno di nota, che denota la<br />
presenza di un artifex o magister dalle notevoli<br />
conoscenze nel campo <strong>del</strong>l’architettura. Quel<br />
progettista potrebbe essere Melchiorre da<br />
Montalbano, allievo <strong>del</strong> ben più celebre<br />
Bartolomeo da Foggia, autore <strong>del</strong>la cattedrale di<br />
Rapolla e qui a Teggiano <strong>del</strong> portale e <strong>del</strong> pulpito,<br />
datato 1271, presenti nella cattedrale di<br />
Santa Maria. La scultura dei due pezzi più antichi<br />
<strong>del</strong>la chiesa potrebbe essere il suggello o la<br />
firma alla conclusione dei lavori di restauro,<br />
voluti nella seconda metà <strong>del</strong> XIII secolo dalla<br />
nobile casata dei Sanseverino, su concessione<br />
dei regnanti angioini, grati ai nobili marsicensi<br />
per aver dato un degno contributo nella battaglia<br />
di Scurcola Marsicana, decisiva per le sorti<br />
positive degli Angiò, contro gli Svevi. Ma il programma<br />
di ricostruzione, da quanto evidenziato,<br />
si rese necessario anche per le cattive condizioni<br />
in cui versava l’edificio. La chiesa fu consacrata<br />
il 12 agosto <strong>del</strong> 1274 da tre vescovi: monsignor<br />
Gualtieri, <strong>del</strong>l’Ordine dei Predicatori, presule<br />
di Potenza, monsignor Luca dei frati Minori,<br />
reggente la diocesi di Acerno, e da monsignor<br />
Palermo di Muro Lucano 36 . È significativo riportare<br />
per tratti la descrizione <strong>del</strong>la consacrazione<br />
<strong>del</strong>la chiesa di Santa Maria, al fine di evidenziarne<br />
l’importanza religiosa e spirituale nella società<br />
<strong>del</strong> tempo: l’altare maggiore fu benedetto dal<br />
vescovo Gualtieri con le reliquie <strong>del</strong> legno <strong>del</strong>la<br />
Croce, di Santo Stefano, di San Matteo, <strong>del</strong> Santo<br />
Sepolcro e di altri corpi santi. L’altare <strong>del</strong>la parte<br />
MARCO AMBROGI<br />
- 121 -<br />
destra fu dedicato dal vescovo di Muro Lucano<br />
a San Giacomo Apostolo, con il posizionamento<br />
<strong>del</strong>le reliquie <strong>del</strong>la “Mensa Domini” e di Santa<br />
Maria <strong>del</strong> Monte Calvario; l’altare di fronte, invece,<br />
fu dedicato dal vescovo di Acerno a San<br />
Nicola vescovo, con la deposizione <strong>del</strong>le reliquie<br />
<strong>del</strong> Beato Gennaro, di San Barbato, <strong>del</strong><br />
Beato Cono e <strong>del</strong>la Manna di San Nicola. Infine<br />
l’altare sotto il lettorino fu dedicato dal vescovo<br />
di Acerno alla “Vergine Dei Genitrix”, con la collocazione<br />
<strong>del</strong>le reliquie <strong>del</strong> beato Vincenzo martire,<br />
<strong>del</strong>la Manna <strong>del</strong>la Vergine, <strong>del</strong> dito di<br />
Sant’Anna e dei capelli di Santa Maria<br />
Maddalena. L’anno successivo, Pietro, vescovo<br />
di Capaccio, concesse 40 giorni di indulgenza<br />
per la festività <strong>del</strong>la Vergine Maria e l’anno 1276,<br />
Filippo, arcivescovo di Palermo, concesse nella<br />
festa <strong>del</strong>l’Assunta altri 40 giorni di indulgenza 37 .<br />
L’importanza <strong>del</strong>la chiesa di Santa Maria, quale<br />
centro religioso di una <strong>del</strong>le città fortificate più<br />
eminenti <strong>del</strong> territorio, risulta anche dalla presenza<br />
di una campana, ricordata ai tempi <strong>del</strong><br />
Macchiaroli 38 come la seconda più grande <strong>del</strong><br />
Principato Citra, dopo quella di San Matteo a<br />
Salerno; la chiesa dianense era retta poi da un<br />
abate, figura di spicco, che venne eletta successivamente<br />
anche per le altre parrocchiali di<br />
Diano. Un’interessante descrizione <strong>del</strong>la chiesa,<br />
prima che i restauri ottocenteschi ne sconvolgessero<br />
la planimetria e l’alzato, ci viene<br />
dall’Apprezzo <strong>del</strong> feudo <strong>del</strong>lo Stato di Diano di<br />
fine Seicento 39 :<br />
“Poco distante dal Castello vi è la chiesa<br />
Madre sotto il titolo di S. Maria <strong>del</strong>l’Assunta. In<br />
essa s’entra per porta lavorata attorno di pietra<br />
di taglio; consistente in tre navi di mediocre<br />
grandezza; la nave maggiore coverta a tetti con<br />
suo soffitto di tavole pintate, le navi piccole<br />
coverte a lamia con tetti sopra, in testa vi è la<br />
crociera medesimamente coverta a tetti con soffitto<br />
di tavole pintate, dove vi è il coro con suoi<br />
sedili di noce, avanti <strong>del</strong> quale mediante tre<br />
arcate di fabrica sostenute nel mezzo con due<br />
colonne di pietra viva <strong>del</strong> paese, in mezzo <strong>del</strong>le<br />
quali sta situato l’altare maggiore con cona<br />
grande di legname indorato anticha con statua<br />
<strong>del</strong>la Madonna Santissima nel mezzo, con due<br />
altre statue a’ fianchi, suoi quadri sopra rappre-
sentanti diversi Santi, vi è la sua custodia, et<br />
ornamenti.<br />
Al lato destro, e sinistro di detto altare maggiore<br />
vi sono due cappelle, una sotto il titolo <strong>del</strong>la<br />
Circoncisione con sua cona, e quadro grande, e<br />
l’altra <strong>del</strong>la Madonna Santissima <strong>del</strong> Rosario<br />
con quadro, a lato <strong>del</strong> quale altare in un stipo<br />
grande pintato conservano la statua di Nostra<br />
Signora <strong>del</strong> Rosario, quale portano in processione<br />
una volta l’anno nel giorno <strong>del</strong>la sua festa.<br />
Nelle due navi piccole vi sono cinque cappelle<br />
sotto il titolo di diversi Santi, due <strong>del</strong>le quali<br />
stanno sguarnite, e l’altre con li loro poveri<br />
ornamenti. Vi sono ancora due altre cappelle,<br />
seu altari, una sotto il pulpito, e l’altra sotto il lettorino<br />
formato di pietra viva all’antica. Vi sono<br />
similmente due organi dentro la detta crociera,<br />
a lato <strong>del</strong> detto coro, fonte battesimale, e confessionarij”.<br />
L’urbanizzazione <strong>del</strong>l’anello murario di Diano<br />
fu costituita non solo dagli insediamenti monastici<br />
e di ospitalità, ma anche da una serie non<br />
indifferente di parrocchie e di chiese, che hanno<br />
donato alla cittadina di Teggiano l’appellativo di<br />
“città dalle cinquanta chiese”, così come ricordano<br />
ancora molti anziani. L’alta presenza di luoghi<br />
sacri si può spiegare solo con il fenomeno<br />
<strong>del</strong>le aspettative ultraterrene dei fe<strong>del</strong>i ed il<br />
cosiddetto “timor di Dio”, che contribuirono a<br />
far sì che in molti testamenti (allo scopo <strong>del</strong>la<br />
salvezza <strong>del</strong>l’anima) i donanti lasciassero parte<br />
<strong>del</strong>l’eredità alle chiese, ai conventi ed agli ospedali.<br />
Il formulario unificato con cui sono stati<br />
redatti molti dei testamenti 40 <strong>del</strong>la Diano<br />
medioevale evidenzia le precise disposizioni per<br />
i riti funebri <strong>del</strong> donante e per le celebrazioni di<br />
messe, a cui seguono i lasciti alle chiese, ai conventi,<br />
alle confraternite e ai poveri. Trattasi di<br />
una condizione diffusa nella società medioevale<br />
e non solo, che riserva a ricchi e meno abbienti<br />
le stesse prerogative di poter beneficiare di<br />
preghiere ed invocazioni per l’anima <strong>del</strong> defunto.<br />
Allo stesso tempo dispensa ai luoghi beneficiari<br />
una serie considerevole di denaro, terreni o<br />
semplici oggetti, in grado di assommare i patrimoni<br />
sacri in un crescendo di fioritura economica<br />
e di benefici. Il ruolo strategico di posizionamento<br />
degli insediamenti monastici all’interno<br />
SALTERNUM<br />
- 122 -<br />
<strong>del</strong> circuito murario valse anche per le parrocchie.<br />
Infatti, oltre alla plebana di Santa Maria, le<br />
chiese con funzione di amministrazione parrocchiale<br />
più antiche ed operanti tra il IX ed il XIII<br />
secolo furono San Matteo, Sant’Eustachio, Santa<br />
Barbara e Sant’Antonio Abate 41 , <strong>del</strong>le quali se ne<br />
riescono attualmente a localizzare ben tre. San<br />
Matteo era posizionata nelle vicinanze <strong>del</strong><br />
“Barbacano”, di cui riportava l’appellativo e conservava,<br />
murata in una parete esterna, una lapide<br />
con iscrizione di età romana; la sua collocazione<br />
nel settore occidentale <strong>del</strong> nucleo antico<br />
la metteva in rapporti di vicinanza con la plebana,<br />
nella quale probabilmente confluirono i beni<br />
e le rendite di San Matteo al momento <strong>del</strong>la soppressione<br />
<strong>del</strong> beneficio parrocchiale. Ancora<br />
oggi una via che corre parallelamente al circuito<br />
murario nel settore <strong>del</strong>la “posteruola” (al<br />
Barbacane), si appella con il nome <strong>del</strong>l’apostolo<br />
ed evangelista. Sant’Eustachio invece non risulta<br />
al momento ben identificabile 42 , anche se un’equa<br />
partizione di influenze ecclesiastiche <strong>del</strong><br />
centro di Teggiano la porterebbe a collocarsi<br />
nelle vicinanze <strong>del</strong>la chiesa <strong>del</strong>l’Annunziata, ma<br />
nel settore occidentale (vedasi riferimento più<br />
avanti). Santa Barbara è riconoscibile nella piccola<br />
aula di culto situata alle spalle <strong>del</strong>la piazza<br />
dei Mori, alla giusta distanza tra la chiesa di<br />
Sant’Antuono e l’altra di San Martino. Infine<br />
Sant’Antonio Abate, volgarmente appellata<br />
Sant’Antuono, si trova alle spalle <strong>del</strong> castello dei<br />
Sanseverino ed è arricchita in facciata da un portale<br />
di età altomedioevale, costituito da un architrave<br />
con decorazioni, su cui è inciso anche il<br />
nome <strong>del</strong> suo artefice: Nicola de Selcia (“Hoc<br />
fieri fecit N. Nicolaus De Selcia). Il portale costituisce<br />
una <strong>del</strong>le opere d’arte lapidee sacre più<br />
antiche di Teggiano. Non possiamo accertare se<br />
le funzioni di parrocchia svolte dalle chiese<br />
menzionate siano principiate, come afferma il<br />
Macchiaroli 43 , nel IX secolo, avendo egli consultato<br />
antiche carte che affermavano la preminenza<br />
cronologica <strong>del</strong>le parrocchie citate rispetto a<br />
quelle <strong>del</strong> suo tempo, perché l’istituto parrocchiale,<br />
svolto dalla plebana di Santa Maria, ebbe<br />
di certo la sua preminenza almeno fino al XIII o<br />
XIV secolo 44 , ma per ciò che concerne l’esistenza<br />
di questi sacri luoghi in epoca anteriore alle
parrocchie, possiamo con molta probabilità<br />
affermarlo in modo chiaro. Nel tempo in cui<br />
Diano assurse a ruolo di guida <strong>del</strong>lo Stato che<br />
fino agli inizi <strong>del</strong> XIX secolo ne portò il nome,<br />
la saturazione <strong>del</strong>lo spazio all’interno <strong>del</strong> circuito<br />
murario e l’aumentata popolazione, nel centro<br />
e nei casali, contribuì a riorganizzare il sistema<br />
<strong>del</strong>le parrocchie dianensi, con la costituzione<br />
di quattro nuovi titoli: San Martino 45 , San<br />
Pietro, San Michele e Sant’Andrea 46 , che gradualmente<br />
si affiancarono alle vecchie parrocchie e<br />
poi andarono a sostituirle completamente, incamerandone<br />
i benefici e le prebende. Un’analisi<br />
attenta <strong>del</strong>la collocazione dei titoli parrocchiali<br />
integrali ci porta a comprendere che la vita religiosa<br />
<strong>del</strong>la cittadina nei secoli XIII e XIV fu<br />
alquanto ricca e fervida; infatti la disposizione<br />
<strong>del</strong>le chiese gerarchiche saturava uno spazio di<br />
influenze di benefici e di soggezioni spirituali,<br />
compresso e racchiuso dalle mura romane. Si<br />
comprende il perché i vecchi titoli siano stati<br />
soppressi a vantaggio <strong>del</strong>le nuove parrocchie,<br />
comunque riconoscendo il vertice di gerarchia<br />
alla primaziale di Santa Maria. La proliferazione<br />
dei luoghi di culto in epoca medioevale, costituiti<br />
da oratori privati e cappelle, completa il<br />
panorama religioso fin qui elencato, costituendo<br />
per la città di Diano una sorta di piccola<br />
Gerusalemme o “monte santo”: dai documenti<br />
pergamenacei traspare infatti una ricchezza di<br />
spiritualità costituita da una lunga serie di luoghi<br />
sacri e di confraternite, tra cui è da annoverare<br />
anche una di “Battenti”. Tra gli edifici religiosi<br />
<strong>del</strong>la cittadina medioevale più importanti figurano<br />
il Corpo di Cristo, la SS. Trinità al vicinato<br />
omonimo (con molta probabilità la chiesa fu<br />
riaccomodata dalle Benedettine sul finire <strong>del</strong><br />
‘400 47 , mutando il nome nel santo patriarca <strong>del</strong>l’ordine),<br />
San Mauro (vicina a San Matteo), San<br />
Giorgio (lungo la via omonima, parte <strong>del</strong> cardo<br />
romano), San Sebastiano (adiacente la chiesa di<br />
Sant’Andrea), Santa Venera (ora succorpo di<br />
Sant’Angelo), San Giuseppe 48 , ecc. Merita un’attenzione<br />
particolare la chiesa <strong>del</strong> Corpo di<br />
Cristo, allineata lungo la metà orientale <strong>del</strong><br />
cardo e ora ridotta a giardino, crollata a seguito<br />
<strong>del</strong> terremoto <strong>del</strong> 1857 insieme con l’adiacente<br />
Seggio, che doveva costituirne parte integrante.<br />
MARCO AMBROGI<br />
- 123 -<br />
Fig. 11 - L’isolato <strong>del</strong>l’Annunziata; in basso a sinistra si riconosce la<br />
pianta <strong>del</strong>la Chiesa <strong>del</strong> Santo Spirito.<br />
L’attuale disposizione <strong>del</strong> portico ad archi, conosciuto<br />
come sedile <strong>del</strong>la città medioevale, è frutto<br />
di una ricostruzione tardo-ottocentesca 49 o <strong>del</strong><br />
XX secolo, che ne ha modificato l’orientamento,<br />
disponendo la fuga degli archi sulla via Corpo di<br />
Cristo, diversamente dalla posizione originaria,<br />
che invece si allineava sulla discesa di<br />
Sant’Andrea. Il portico antico, opera di Iacobello<br />
de Babino 50 <strong>del</strong> 1472, costituì quasi sicuramente<br />
lo spazio di accesso voltato alla chiesa <strong>del</strong><br />
Corpo di Cristo 51 , nel quale l’Universitas Civium<br />
dianense si riunì per discutere e dirimere i problemi<br />
e le cause civili dall’età medioevale<br />
all’Ottocento. Nel Medioevo fu frequente per le<br />
corporazioni e le assemblee civiche “adottare”<br />
una chiesa, per lo più degli ordini mendicanti,<br />
da eleggere quale luogo fisso per le riunioni: lo<br />
stesso accadde a Diano, con la chiesa <strong>del</strong> Corpo<br />
di Cristo, la quale oltre ad avere un elegante<br />
portico 52 , nel quale si poteva bene espletare la<br />
funzione di assemblea, si trovava proprio sulla
Fig. 12 - Diano in età basso medievale: 1. Convento dei Minori<br />
Conventuali. 2. Convento dei Minori Osservanti. 3. Convento degli<br />
Agostiniani.A. Cattedrale. B. Monastero dei Celestini. C. Monastero<br />
<strong>del</strong>le Benedettine. D. Seminario Diocesano.<br />
piazza principale <strong>del</strong>la città, non lontana dai<br />
simboli <strong>del</strong> potere civile, il castello, e religioso,<br />
la plebana di Santa Maria. La cospicua presenza<br />
di edifici religiosi in città era eguagliabile a quella<br />
<strong>del</strong>la campagna. Nelle borgate ai piedi dei<br />
monti, infatti, si enumeravano anche qui tante<br />
fondazioni ecclesiastiche: San Paolo, San<br />
Salvatore, Santa Maria Piccirella (fabbricata su<br />
un tempio pagano con frammenti lapidei di<br />
reimpiego), Santa Lucia, Sant’Elia, Madonna<br />
<strong>del</strong>la Misericordia, San Biagio, Sant’Antonio<br />
Abate, San Giovanni, San Vito (vi è più di una<br />
chiesa a lui dedicata), Madonna di Piedimonte,<br />
San Michele, San Rocco, Santa Caterina, San<br />
Silvestro e San Marco 53 . La tradizione popolare<br />
ricorda anche altri edifici, tra cui la cappella di<br />
San Cono (edificata forse sul luogo in cui esisteva<br />
la casa <strong>del</strong> santo) e quella <strong>del</strong> Salvatore. A<br />
queste facevano seguito numerose congreghe,<br />
di cui le più vicine a noi cronologicamente<br />
erano intitolate al SS. Rosario, ai defunti sacerdoti,<br />
al SS. Corpo di Cristo, al Purgatorio ed a<br />
Santa Margherita 54 .<br />
SALTERNUM<br />
- 124 -<br />
Gli ordini mendicanti e la saturazione <strong>del</strong>lo<br />
spazio urbano<br />
Nonostante la ricchezza <strong>del</strong>le fondazioni religiose<br />
ed ecclesiastiche presenti già nel XIII<br />
secolo all’interno <strong>del</strong>la cerchia muraria di Diano,<br />
l’insediamento dei nuovi Ordini mendicanti finì<br />
col saturare in modo completo lo spazio libero<br />
nell’anello esterno <strong>del</strong>la cittadina medioevale.<br />
Evidentemente le aree disponibili a fine<br />
Duecento in Diano non erano di certo numerose<br />
ed i frati Minori di San Francesco si attestarono<br />
nell’angolo nord occidentale <strong>del</strong>lo spazio<br />
urbano, nelle immediate vicinanze <strong>del</strong> castello<br />
normanno e <strong>del</strong>le sue appendici militari. Non<br />
abbiamo date certe sulla presenza dei Francescani<br />
in Diano, anche se la loro venuta nella cittadina<br />
si deve collocare nell’arco di tempo che<br />
va dall’ultimo quarto <strong>del</strong> XIII secolo agli inizi <strong>del</strong><br />
secolo successivo, in analogia con le dinamiche<br />
insediative dei Mendicanti attestate nel territorio<br />
<strong>del</strong>la Lucania. La fama di santità di Angelo<br />
Clareno, <strong>del</strong> ramo spirituale dei Francescani, che<br />
visse gli ultimi anni <strong>del</strong>la sua vita nel convento<br />
di Santa Maria <strong>del</strong>l’Aspro di Marsico Vetere,<br />
venendovi ivi sepolto, contribuì a raccogliere<br />
consensi favorevoli intorno al nuovo ordine dei<br />
seguaci di Francesco d’Assisi. Il portale <strong>del</strong>la<br />
chiesa dianense di San Francesco, che data al<br />
1307, segna la fine dei lavori di costruzione <strong>del</strong><br />
grande edificio religioso, dalla forma tipologica<br />
inequivocabile, analoga alle costruzioni minoritiche<br />
di seconda generazione. Quindi, possiamo<br />
ipotizzare che il programma costruttivo <strong>del</strong>la<br />
chiesa risalga perlomeno alla fine <strong>del</strong> Duecento.<br />
La cronologia <strong>del</strong>l’edilizia mendicante viene<br />
spesso divisa in tre periodi: la prima fase che va<br />
dal 1220 al 1240 circa con un primo insediamento<br />
e uso di piccole chiese o cappelle esistenti da<br />
parte dei frati Minori; una seconda fase (1240<br />
ca.-1270 ca.) con la costruzione <strong>del</strong>le prime<br />
chiese, di medie dimensioni; l’ultimo periodo,<br />
dal 1270 circa in poi (fino al XV secolo), con l’edificazione<br />
<strong>del</strong>le grandi aule sacre 55 . I primi<br />
documenti certi sulla presenza dei frati Minori in<br />
Diano sono <strong>del</strong> 28 settembre 1311 56 e <strong>del</strong> 4 aprile<br />
1321, quando Sarolo, figlio di Ruggero de<br />
Lisa, giacendo a letto ammalato, detta il suo ultimo<br />
testamento, a favore di varie chiese, tra cui
figura appunto San Francesco 57 . E la chiesa <strong>del</strong>l’Ordine<br />
diviene presto luogo sacro al centro<br />
<strong>del</strong>la vita religiosa e civile <strong>del</strong>la cittadina. Nel<br />
1322 58 un documento pergamenaceo attesta il<br />
deposito di un testamento redatto in atto pubblico<br />
presso i Frati Minori, che rileva l’uso frequente<br />
nell’età medioevale di affidare ai Frati mendicanti<br />
la garanzia di particolari privilegi o testamenti.<br />
Ben presto il convento dei Minori si<br />
avvalse <strong>del</strong>la figura di un procuratore in grado<br />
di gestire i rapporti con il mondo esterno negli<br />
affari di compravendita di beni: nel 1355 59 figura<br />
un tal Macciotto de Guglielmotto, giudice e procuratore<br />
di San Francesco, al tempo <strong>del</strong> guardianato<br />
di frate Antonio di Montella. Da una descrizione<br />
<strong>del</strong>l’Apprezzo <strong>del</strong> feudo, di fine Seicento,<br />
abbiamo anche un’ampia presentazione <strong>del</strong>la<br />
chiesa dei conventuali:<br />
“Vicino il Castello vi è il convento dei pp.<br />
Minori Conventuali di S. Francesco, nel quale vi<br />
sono due sacerdoti, e due laici; questi hanno la<br />
commodità <strong>del</strong>la chiesa, consistente in un vase<br />
grande coverto con intempiatura di legname in<br />
testa <strong>del</strong>la quale vi è l’altare maggiore isolato con<br />
custodia grande di legname pintata, et indorata<br />
con li suoi ornamenti di frasche e can<strong>del</strong>ieri, alli<br />
lati <strong>del</strong> quale per portelle intagliate, e lumeggiate<br />
d’oro s’entra nel coro anche coverto con intempiatura<br />
di legname simile, have li suoi sedini<br />
attorno lavorati di noce, e lettorino nel mezzo, a<br />
lato destro <strong>del</strong> quale vi è la sagristia piccola coverta<br />
anche con intempiatura di legname, dove vi<br />
sono li suoi stipi, e bancone dove si conservano<br />
tutte le soppelletili necessarie, come pianete, e<br />
paliotti di tutti colori, et ogn’altro; have altresì la<br />
croce, calici, patene, ingensiero, navetta, sicchietto<br />
et aspersorio, con la pisside, il tutto d’argento.<br />
Sopra <strong>del</strong> detto altare maggiore vi è l’architrave di<br />
legname lavorato, et indorato con Crocifisso pintato<br />
sopra tavola contornata con tutti ornamenti<br />
di pottini di rilievo indorati.<br />
In essa chiesa vi sono n. 8 cappelle sotto il titolo<br />
di diversi Santi, parte con cone di legname<br />
indorate, parte di stucco, una <strong>del</strong>le quali è sfondata<br />
coverta a lamia, con sedini attorno di<br />
castagno scorniciati; due <strong>del</strong>le dette cappelle<br />
sono patronate, una degl’heredi <strong>del</strong> quondam<br />
Herrico di Costanzo e l’altra degl’heredi <strong>del</strong><br />
MARCO AMBROGI<br />
- 125 -<br />
Fig. 13 - Assonometria <strong>del</strong>la Chiesa di S. Francesco in epoca medievale.<br />
Fig. 14 - Chiesa e convento <strong>del</strong>la SS. Pietà. Si noti la cappella poligonale a<br />
sinistra <strong>del</strong>la navatella: residuo <strong>del</strong>l’antica porta urbica.<br />
quondam Francesco Buonuomo; tutte le dette<br />
cappelle hanno li loro apparati necessarij, organo<br />
pulpito, confessionarij, et altro; have il suo<br />
campanile con tre campane. Vi è la commodità<br />
di due dormitorij, chiostro con due corritori con<br />
suoi pilastri isolati, refettorio, cocina dispenza,<br />
cellaro, et altro; vi è la commodità di un giardino<br />
grande…” 60
Fig. 15 - Scorcio <strong>del</strong>la parte absidale <strong>del</strong>la chiesa <strong>del</strong>la SS. Pietà.<br />
Fig. 16 - Settore nord-ovest <strong>del</strong>la cittadina di Teggiano, con il<br />
castello, il Convento di San Francesco e la Cattedrale.<br />
La configurazione <strong>del</strong>la chiesa descritta è<br />
ancora quella originaria, prima che la ristrutturazione<br />
in chiave barocca ne cambiasse l’aspetto<br />
interno. È presente ancora la cappella di San<br />
Marco, che si apriva sul lato sinistro, sede pro-<br />
SALTERNUM<br />
- 126 -<br />
babilmente di una confraternita, visto che la si<br />
descrive provvista di un coro.<br />
I Francescani non sono l’unico Ordine mendicante<br />
a stabilirsi in Diano, nella seconda metà<br />
<strong>del</strong> Trecento; nel settore orientale <strong>del</strong>la cittadina,<br />
che guarda verso Sala Consilina, gli Eremitani di<br />
Sant’Agostino iniziano a fabbricare il loro convento,<br />
terminando la chiesa nel 1370 61 , secondo<br />
quanto si rileva dalla data <strong>del</strong> portale di ingresso.<br />
La presenza dei Frati è documentata perlomeno<br />
al 1369, quando in un documento <strong>del</strong> 19<br />
dicembre 62 si fa menzione <strong>del</strong>la chiesa di<br />
Sant’Agostino. La dinamica insediativa di questo<br />
nuovo Ordine si può ipotizzare che segua quella<br />
dei Minori, con un iniziale stanziamento in<br />
ricoveri di fortuna e poi la costruzione di una<br />
grande chiesa con convento annesso. La nascita<br />
<strong>del</strong>l’Osservanza francescana, nel XIV secolo,<br />
determina la presenza in Diano di un nuovo<br />
convento, che avrà migliore sorte e fortuna<br />
rispetto al San Francesco, per la benevolenza<br />
<strong>del</strong>la famiglia dei Sanseverino nei suoi confronti.<br />
La posizione <strong>del</strong> nuovo convento francescano<br />
si attesterà alla porta orientale <strong>del</strong>la cittadina, nel<br />
sito che fino al 1471 63 era <strong>del</strong>le Benedettine, in<br />
collocazione strategica rispetto ai due conventi<br />
mendicanti già presenti dei Minori e degli<br />
Agostiniani. Fu per ordine di Sisto IV che le<br />
Benedettine di Diano dovettero trasferirsi al centro<br />
<strong>del</strong>la città 64 , e in conseguenza di ciò venne<br />
più facile alla famiglia dei Sanseverino 65 donare<br />
il luogo sacro ai Minori Osservanti, per il loro<br />
nuovo insediamento nella cerchia muraria. La<br />
piazza d’armi configurata sullo slargo davanti al<br />
monastero <strong>del</strong>le Benedettine e la vicinanza alle<br />
mura urbiche non garantivano alle monache la<br />
sicurezza di una vita contemplativa e di reclusione<br />
senza rischi, per cui la soluzione di spostarsi<br />
al vicinato <strong>del</strong>la Trinità risolse molti problemi di<br />
carattere politico, di mecenatismo e di sicurezza.<br />
La scelta dei Mendicanti di posizionarsi ai<br />
margini <strong>del</strong>la città medioevale orientò anche le<br />
espressioni edilizie dei conventi con le relative<br />
tipologie architettoniche, contribuendo a far sì<br />
che il cenobio divenisse un polo stesso di orientamento<br />
per l’espansione urbana. Il significato<br />
ed il valore <strong>del</strong> convento si espresse così in considerazione<br />
<strong>del</strong>l’importanza che assumeva per la
città scelta dai religiosi: il cenobio diveniva un<br />
luogo di relazioni comuni, quasi un’attrezzatura<br />
al servizio pubblico, utilizzato per la cittadinanza<br />
in diverse occasioni. Nelle chiese si tenevano<br />
assemblee, si rogavano atti notarili, ad esse facevano<br />
capo le comunità forestiere che vi fondavano<br />
le loro cappelle, ed in esse si usava seppellire<br />
i personaggi importanti <strong>del</strong>la politica,<br />
<strong>del</strong>l’economia e <strong>del</strong>la cultura 66 . Non solo, in caso<br />
di calamità naturali o belliche il convento offriva<br />
ospitalità come ospizio e ospedale con l’assistenza<br />
spirituale e materiale. L’insediamento dei<br />
ritiri dei Mendicanti era di frequente sollecitato<br />
da personaggi influenti e costituiva un evento<br />
positivo per tutta la comunità, di carattere spirituale,<br />
oltre a garantire anche una stabilità economica<br />
e sociale. Il convento diveniva così un simbolo<br />
<strong>del</strong>l’autorità insieme a quelli <strong>del</strong> potere<br />
comunale e vescovile. L’insediamento <strong>del</strong>la<br />
comunità, che spesso dava il nome al luogo<br />
stesso ove si attestava (nel corso <strong>del</strong> tempo),<br />
sfruttava la forma disponibile <strong>del</strong> lotto di terreno<br />
concesso o acquistato, formando le strutture<br />
secondo le condizioni <strong>del</strong> luogo, senza imporre<br />
direttive stilistiche e strutturali (agli inizi), tranne<br />
che per le chiese, che seguirono l’assetto tipologico<br />
degli Ordini contemplativi (i Cistercensi, in<br />
particolare, seguirono la tipologia <strong>del</strong>le grange)<br />
costruite con le proprie finanze e i propri mezzi<br />
manuali (i cosiddetti frati costruttori).<br />
Al lungo elenco di parrocchie, monasteri e<br />
ospedali di Diano fin qui menzionati, bisogna<br />
aggiungere anche altre istituzioni caritatevoli e<br />
religiose, tra le quali un posto di rilievo spetta<br />
alla dipendenza <strong>del</strong>l’Ordine Gerosolimitano,<br />
facente capo alla Commenda di San Giovanni in<br />
Fonte di Padula, documentata fino al 1722 67 . In<br />
effetti un luogo di culto dedicato a San Giovanni<br />
Gerosolimitano figura a Diano nel 1597 68 , mentre<br />
l’Ordine omonimo è presente nella cittadina<br />
con fra Giovanni de Adamo già nel 1352 69 . Come<br />
riferito in precedenza la sede <strong>del</strong>l’Ordine<br />
potrebbe essere quella di San Giovanni de<br />
hospitali, riportato dai documenti antichi e per il<br />
quale non sembra azzardato indicarne la sede<br />
nella cappella omonima posta su via Roma, di<br />
fronte alla Cattedrale, per la quale sembra certa<br />
la sua funzione di Battistero <strong>del</strong>la vicina Santa<br />
MARCO AMBROGI<br />
- 127 -<br />
Fig. 17 - Vecchia fotografia <strong>del</strong> largo <strong>del</strong>la SS.Annunziata, con il<br />
monastero dei Celestini e l’Ospedale di S. Spirito (sulla sinistra).<br />
Maria. L’unica fondazione monastica che non<br />
ebbe seguito fu quella <strong>del</strong> monastero di Santa<br />
Chiara, al vicinato di Sant’Angelo, per il quale il<br />
nobile Giovanni Carrano aveva lasciato nel<br />
testamento l’ordine per gli eredi di innalzare le<br />
strutture <strong>del</strong> cenobio, che avrebbe dovuto accogliere<br />
4 o 5 monache 70 .<br />
Sul finire <strong>del</strong> ‘300 la società religiosa di Diano<br />
era molto vitale e arricchita anche dalla presenza<br />
di confraternite, tra le quali la posizione preminente<br />
era occupata di certo dal sodalizio dei<br />
Disciplinati, documentato nel 1396 71 , e da altre<br />
congreghe, afferenti alle chiese parrocchiali<br />
locali, tra cui figurano Santa Maria Maggiore, San<br />
Nicola e la SS. Annunziata 72 . La confraternita dei<br />
Disciplinati figura anche nell’anno 1397, ma con<br />
il nome di Battenti 73 , che rimanda alla tipica particolarità<br />
nelle processioni penitenziali dei membri<br />
di questo sodalizio di battersi il petto. In<br />
Campania già dal periodo medioevale è diffusa<br />
la presenza di questa congrega, che segna per<br />
Diano una ricchezza in termini religiosi esemplificativa<br />
<strong>del</strong>l’importanza <strong>del</strong>la cittadina assunta<br />
tra il periodo medioevale e quello moderno: per<br />
intenderci, dalla ricostruzione <strong>del</strong>la civitas rupta<br />
(la città retratta) al tramonto <strong>del</strong>la fortuna dei<br />
Sanseverino. Una particolarità finale per evidenziare<br />
con maggiore dettaglio la fortuna economica,<br />
sociale e religiosa di Diano in età medioevale<br />
e moderna è data dalla presenza di una sinagoga,<br />
sita nella località omonima sotto il paese<br />
attuale (distrutta per il passaggio di una strada)<br />
e di cui il ricordo di una fontana a mascherone<br />
di Gorgone, trasportata nell’ex chiesa <strong>del</strong> Corpo
di Cristo (ora non più esistente). L’unica testimonianza<br />
è resa visibile in passato <strong>del</strong>l’antico luogo<br />
di riunione <strong>del</strong>la colonia ebraica dianense.<br />
La presenza <strong>del</strong> luogo di culto ebraico a<br />
Diano è confermata anche dall’attività, agli inizi<br />
<strong>del</strong> XVI secolo, di un banco di pegni, tenuto dai<br />
NOTE<br />
1 A giudizio di Nerone, Pozzuoli, Anzio, Teggiano e Pompei<br />
erano colonie esemplari; il Mommsen nel suo Corpus<br />
Inscriptionum Latinarum, riporta che nella casa dei Vettii<br />
di Pompei esisteva un’iscrizione ora non più visibile che<br />
così recitava: Iudicis Aug(usti) felic(iter)! Puteolos Antium<br />
Tegeano Pompeios: hae sunt verae colonia(e); ARTURO<br />
DIDIER, Teggiano romana, Ricerche storiche, Salerno 1964,<br />
p. 6.<br />
2 Ivi, p. 13.<br />
3 A. DIDIER, Teggiano romana, op. cit., p. 4. Lo storico riferisce<br />
<strong>del</strong>la presenza di un’iscrizione murata nell’atrio laterale<br />
<strong>del</strong>la chiesa di San Giovanni a Napoli, risalente al II<br />
sec. d. C., in cui figura il genitivo plurale Tegianensium, a<br />
testimoniare la presenza e l’importanza <strong>del</strong>la colonia <strong>del</strong><br />
Vallo di Diano; op. cit., p. 7. Documenti già analizzati<br />
nell’Ottocento per la storia romana di Teggiano sono in<br />
Stefano Macchiaroli, Diano e l’omonima sua valle, Ricerche<br />
Storico-Archeologiche, Napoli 1868, Ristampa Anastatica<br />
con L’Ambone <strong>del</strong>la cattedrale di Diano, Napoli 1874,<br />
Teggiano 1995, p. 75 e segg. L’autore riferisce che le porte<br />
romane <strong>del</strong>la città, propriamente dette, erano quelle <strong>del</strong>la<br />
Pietà e <strong>del</strong>l’Annunziata, cit. p. 128. Gli ingressi ulteriori<br />
sono da intendere quindi come piccole porte o postierle.<br />
4 A. DIDIER, Teggiano romana, op. cit., p. 13. Nelle campagne<br />
di Teggiano esistono alcune vestigia che riconducono<br />
alla storia romana <strong>del</strong>la cittadina, tra cui è doveroso menzionare<br />
i ponti di San Marco e <strong>del</strong>l’Anca, nelle omonime<br />
località campestri, il mosaico posto alla base <strong>del</strong> campanile<br />
<strong>del</strong>la parrocchiale di San Marco e frammenti di iscrizioni<br />
e sculture disseminate nelle borgate rurali.<br />
5 R. ALAGGIO, Monachesimo e territorio nel Vallo di Diano,<br />
Salerno 2004, p. 84. I dati sono ripresi da A.S.S. (Archivio<br />
di Stato di Salerno), Fondo Corporazioni Religiose, busta<br />
15, Grancie di Grottaferrata a. 1710.<br />
SALTERNUM<br />
- 128 -<br />
fratelli Daniele e Michele (documentato nel<br />
1510), che prestavano denaro nella cittadina ed<br />
a Sala Consilina, Polla, Sassano, San Giacomo,<br />
Padula, Sanza e Laurino, ricevendone in pegno<br />
dei corrispettivi da restituire con il ritorno <strong>del</strong>la<br />
somma prestata, comprensiva di interessi 74 .<br />
6 I priorati di San Nicola e di Santa Maria di Diano, figurano<br />
nel Medioevo come dipendenze di Cava (R. ALAGGIO,<br />
Monachesimo…, op. cit., p. 83, estratto da P. GUILLAME,<br />
L’Abbaye de Cava, LXXX-LXXXIX).<br />
7 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., p. 168.<br />
8 G. VITOLO, “Dalla pieve rurale alla chiesa ricettizia”, in<br />
Storia <strong>del</strong> Vallo di Diano, Vol. II, Età medievale, Salerno<br />
1982, p. 147. L’autore afferma, a p. 151, che il San Nicola<br />
di Diano nel 1248 era officiato o dal priorato di<br />
Sant’Arsenio o da quello di San Pietro di Polla.<br />
9 A. DIDIER, Regesti <strong>del</strong>le pergamene di Teggiano (1197-<br />
1806), Salerno 2003, p. 10, doc. 22. Altri documenti relativi<br />
al monastero femminile di San Benedetto sono <strong>del</strong> 1349<br />
e <strong>del</strong> 1359, quando viene nominata suor Benedetta, quale<br />
rettrice e badessa <strong>del</strong> monastero; Ivi, pp. 34-35 e 53, doc.<br />
84 e 132.<br />
10 Ivi, p. 98, doc. 239.<br />
11 Il documento riferisce di una vendita a fra Marco<br />
Martusciello di una vigna nel luogo detto “Pastina”, indicativa<br />
<strong>del</strong> sistema di coltivazione in uso nel Cilento già<br />
nell’alto Medioevo. In un altro documento si parla <strong>del</strong>la<br />
chiesa di San Vito alla Bucana per la quale si lasciano 3<br />
tarì per la commissione <strong>del</strong>la statua <strong>del</strong> santo. (A.DIDIER,<br />
Regesti…, op. cit., pp. 34-35 e 69, doc. 84 e 168). La chiesa<br />
di San Vito “de capite Bucane” era suffraganea di<br />
Sant’Andrea già nel 1359 per cui probabilmente non poteva<br />
costituire il centro di un monastero. (Ivi, p. 52, doc.<br />
129).<br />
12 Mons. Sacco enumerava venticinque torri intramezzate<br />
alle mura, di cui la metà esistente al suo tempo. (A. SACCO,<br />
La Certosa di Padula, disegnata, descritta e narrata su<br />
documenti inediti, Ristampa Anastatica, Salerno 1982,<br />
Vol. II, p. 194).<br />
13 La sostanza <strong>del</strong>l’effimero, Gli abiti degli Ordini religiosi in<br />
Occidente, G. ROCCA (a cura di), Roma 2000, p. 202.
14 Ivi, p. 332.<br />
15 A. DIDIER, Regesti…, op. cit., p. 29, doc. 73.<br />
16 Ivi, p. 91, doc. 223.<br />
17 Ivi, p. 263, doc. 638. Il monastero aveva beni anche alla<br />
contrada Sinagoga, il cui toponimo indica la presenza di un<br />
edificio per il culto di una colonia di Ebrei, presente a<br />
Diano, che tra l’altro vi teneva anche un banco di pegni.<br />
18 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., pp. 168-169.<br />
19 Il ricovero dovrebbe coincidere con quello che si appellava<br />
“San Nicola de Carranis” e che figura in un documento<br />
<strong>del</strong> 1 aprile 1545, con Ferdinando Brittonio quale procuratore.<br />
(A. DIDIER, Regesti…, op. cit., p. 191, doc. 461). Nella<br />
descrizione <strong>del</strong>l’Apprezzo <strong>del</strong> feudo di fine Seicento, nella<br />
SS. Pietà era presente una cappella, dedicata a San<br />
Francesco, afferente all’Abbadia di San Nicola <strong>del</strong>la famiglia<br />
Carrani (A.DIDIER, Diano città antica e nobile,<br />
Documenti per la storia di Teggiano, Teggiano 1997, p.<br />
110).<br />
20 “La Lucania sconosciuta”, in A. DIDIER, Diano…, op. cit.,<br />
p. 82. Nel 1420 le chiese di Santa Barbara e Sant’Antonio<br />
dei Carboni risultano dirute (A. DIDIER, Regesti…, op. cit., p.<br />
98, doc. 239).<br />
21 A. DIDIER, Regesti…, op. cit., p. 9, doc. 21.<br />
22 G. VITOLO, “Dalla pieve…”, op. cit., p. 149, ripreso da P.<br />
De Angelis, L’Ospedale di Santo Spirito in Saxia e le sue<br />
filiali nel mondo, Roma 1958, p. 146.<br />
23 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., pp. 152-3.<br />
24 I contatti frequenti <strong>del</strong>l’ospedale dianense con quello<br />
gerarchico romano di Saxia, sono evidenti anche da riferimenti<br />
artistici, infatti Ercole Perillo, pittore nativo di Diano,<br />
affrescò tra il 1575 ed il 1582 i locali <strong>del</strong> ricovero romano<br />
e non è escluso che la presenza <strong>del</strong>l’artista nella città eterna<br />
sia stata favorita da una benevolenza personale <strong>del</strong> priore<br />
di Diano.<br />
25 La sostanza…, op. cit., p. 391.<br />
26 Nel 1408, il 14 novembre, fra Corrado de Trevio, precettore<br />
generale <strong>del</strong>l’Ospedale di Santo Spirito in Saxia di<br />
Roma, autorizza i frati <strong>del</strong>l’Ospedale di Santo Spirito di<br />
Diano ad amministrare i beni <strong>del</strong>l’ospedale stesso (A.<br />
DIDIER, Regesti…, op. cit., p. 92, doc. 227). Tra le fila <strong>del</strong>la<br />
comunità figurano nel XV secolo anche degli oblati, tale è<br />
fra Marino de Cineda nel 1409 (ivi, pp. 92-93, doc. 228).<br />
27 A. DIDIER, Regesti…, op. cit., pp. 65-66, doc. 163.<br />
28 Ivi, p. 130, doc. 320.<br />
29 La sostanza…, op. cit., pp. 252-253.<br />
30 A. DIDIER, Regesti…, op. cit., p. 174, doc. 421.<br />
31 Ivi, pp. 84-85, doc. 207.<br />
32 G. VITOLO, Dalla pieve…, op. cit., p. 131; trattasi <strong>del</strong> privilegio<br />
concesso da Giovanni XIII al vescovo di Paestum-<br />
Capaccio il 23 agosto ed in cui figurano le località di<br />
Matinianu Dianu, Sassanu e Atena, quali centri con altrettante<br />
pievi. Matunianu potrebbe essere la localizzazione<br />
<strong>del</strong>la chiesa di Santa Maria, sempre a Diano, distrutta in<br />
tempi antichi ed aggregata, prima <strong>del</strong> 1149, all’Abbazia<br />
<strong>del</strong>la Trinità di Cava (Ivi, p. 131, ripreso da C. CARLONE, I<br />
principi Guaimario e i monaci cavensi nel Vallo di Diano,<br />
in “Archivi e Cultura”, 10, 1976, pp. 47-60).<br />
33 G. VITOLO, Dalla pieve rurale…, op. cit., p. 130; Santa<br />
Maria era conosciuta come plebs dianensis. Vitolo riprende<br />
la nota dall’archivio <strong>del</strong>l’Abbazia <strong>del</strong>la Trinità di Cava,<br />
XXIII, 54. Più tardi il sacro edificio figura come ecclesia<br />
archipresbiteralis, nelle Rationes Decimarum Italiae, op.<br />
MARCO AMBROGI<br />
- 129 -<br />
cit., p. 131.<br />
34 A. TORTORELLA, La Chiesa di Teggiano-Policastro: alcune<br />
annotazioni storiografiche, in “Annuario 2004-2005”,<br />
Diocesi di Teggiano-Policastro, Castelcivita, 2004, pp. 21 e<br />
22.<br />
35 G. VITOLO, Dalla pieve rurale…, op. cit., p. 135.<br />
36 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., p. 134.<br />
37 Estratto dalle “Memorie Antiche”, raccolte da don Michele<br />
Cavallaro di Teggiano nel 1806, Archivio Vescovile di<br />
Teggiano, ciclostilato, a me pervenuto per mano <strong>del</strong> defunto<br />
e caro don Peppino Cataldo, archivista e bibliotecario<br />
<strong>del</strong>la diocesi.<br />
38 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., p. 133.<br />
39 A. DIDIER, Diano…, op. cit., pp. 104 e segg.<br />
40 A. DIDIER, Regesti…, op. cit.<br />
41 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., p. 165.<br />
42 Nei regesti dei documenti di Teggiano di A. Didier, la<br />
chiesa compare già in un documento <strong>del</strong> 1365 (doc. 157,<br />
p. 62-63), anche se la sua presenza è da ascrivere a data<br />
anteriore. Il culto è ben attestato anche nella vicina Sala<br />
Consilina, ove sussiste ancora l’edificio di culto.<br />
43 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., p. 165<br />
44 G. VITOLO, Dalla pieve …, op. cit., p. 136, documenta che<br />
nel febbraio <strong>del</strong> 1433 il vescovo caputaquense, Francesco<br />
Tomacello, affidò la cura <strong>del</strong>le parrocchie di Sant’Eustachio<br />
e <strong>del</strong> Salvatore all’abate ed ai canonici di Santa Maria. La<br />
discordanza tra i riferimenti di Macchiaroli e Vitolo riguarda<br />
in particolare la parrocchia <strong>del</strong> Salvatore, ulteriore fondazione<br />
ecclesiastica o identificabile con una <strong>del</strong>le altre tre<br />
parrocchie <strong>del</strong>la prima generazione a Diano<br />
45 Riedificata in forme più ampie per la munificenza <strong>del</strong>la<br />
famiglia Carrano, di cui si vedono impressi gli stemmi in<br />
più punti <strong>del</strong> sacro edificio, nell’anno 1526. A. Didier, “La<br />
società <strong>del</strong> Cilento e <strong>del</strong> Vallo di Diano nei secoli XV e XVI,<br />
in «Il Cilento ritrovato», La produzione artistica nell’antica<br />
diocesi di Capaccio, Napoli 1990, p. 36.<br />
46 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., p. 169.<br />
47 Figura ancora in costruzione a fine Seicento l’attuale chiesa<br />
di San Benedetto, secondo la descrizione <strong>del</strong>l’Apprezzo<br />
<strong>del</strong> feudo (A. DIDIER, Diano…, op. cit., p. 109); stando a ciò<br />
la chiesa preesistente alla ricostruzione potrebbe essere<br />
appunto la SS. Trinità.<br />
48 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., pp. 166 e segg.<br />
49 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., p. 131, riferisce <strong>del</strong> crollo<br />
<strong>del</strong> sedile nel 1857, specificando che al suo tempo<br />
(quando compose lo scritto) esisteva il solo spazio.<br />
50 Sepolto nella chiesa <strong>del</strong>la SS. Pietà, in cui se ne riconosce<br />
la lapide terragna, avanti alla cappella dei duchi di Diano,<br />
a forma di torre con pianta centrica poligonale e coperta<br />
con volta ad ombrello.<br />
51 Nello spazio <strong>del</strong> giardino che occupa l’area di sedime<br />
<strong>del</strong>la chiesa è collocata una notevole scultura in pietra raffigurante<br />
un Cristo o un Eterno Padre in mandorla, richiamo<br />
al titolo <strong>del</strong> sacro luogo. Anche il SACCO, La certosa…,<br />
op. cit., Vol. III, p. 106, specifica che Teggiano ai suoi<br />
tempi (considerando il periodo <strong>del</strong>la prima stesura dei<br />
volumi, la fine <strong>del</strong>l’Ottocento), possedeva quattro portici:<br />
di San Martino, <strong>del</strong>la Pietà, <strong>del</strong>l’Annunziata e <strong>del</strong> Corpo di<br />
Cristo, profanato.<br />
52 Al centro <strong>del</strong> timpano sommitale vi fu collocato lo stemma<br />
<strong>del</strong>la città, costituito da una stella a cinque punte con<br />
coda, dove i cinque cunei rappresentano gli altrettanti
casali <strong>del</strong>lo Stato di Diano: Sant’Arsenio, San Pietro, San<br />
Rufo, San Giacomo e Sassano.<br />
53 S. MACCHIAROLI, Diano…, op. cit., pp. 169-170.<br />
54 Ivi, p. 170.<br />
55 R. BONELLI, Nuovi sviluppi di ricerca sull’edilizia mendicante,<br />
in “Gli ordini mendicanti e la città”, a cura di J. RASPI<br />
SERRA, Milano 1990, p. 25.<br />
56 A. DIDIER, Regesti…, op. cit., p. 10, doc. 22.<br />
57 Ivi, p. 13, doc. 30.<br />
58 Ivi, p. 13, doc. 31.<br />
59 Ivi, p. 50-51, doc. 125.<br />
60 A. DIDIER, Diano…, op. cit., p. 111. La descrizione<br />
<strong>del</strong>l’Apprezzo presenta anche le chiese ed i conventi <strong>del</strong>la<br />
SS. Pietà e di Sant’Agostino, oltre agli altri luoghi sacri <strong>del</strong>la<br />
città.<br />
61 È di quella data la fondazione <strong>del</strong>la chiesa, da parte di<br />
Marino de Forza e <strong>del</strong> figlio Antonio, secondo A. SACCO, La<br />
Certosa…, op. cit., Vol. III, p. 93.<br />
62 A. DIDIER, Regesti…, op. cit., pp. 65-66, doc. 163. La fabbrica<br />
<strong>del</strong> convento è ancora in piedi nel dicembre <strong>del</strong> 1397,<br />
op. cit., pp. 84-85, doc. 207.<br />
63 È di quella data la donazione ai frati Minori, da parte dei<br />
Sanseverino (A. SACCO, La certosa…, op. cit., Vol. III, p. 94).<br />
SALTERNUM<br />
- 130 -<br />
64 Il riferimento è di L. MANDELLI, monaco agostiniano, originario<br />
di Diano, che compose negli anni ’70 <strong>del</strong> XVII secolo<br />
la sua opera: La Lucania sconosciuta (in A. DIDIER,<br />
Diano città antica…”, op. cit., p. 81).<br />
65 La tradizione storica lega a Roberto e Giovanna<br />
Sanseverino, nell’anno 1474, la fondazione <strong>del</strong>la SS. Pietà.<br />
A. DIDIER, La società…, op. cit., p. 36.<br />
66 Per una più ampia panoramica sull’insediamento dei francescani<br />
nel territorio si rimanda a: M. AMBROGI,<br />
L’architettura e l’urbanistica francescana nel Vallo di<br />
Diano, in “Il Francescanesimo nel Vallo di Diano”, Atti dei<br />
convegni di Atena Lucana, 28 dicembre 2002 e Polla, 4<br />
aprile 2003, Cava dei Tirreni 2003, pp. 53 e segg.<br />
67 R. ALAGGIO, Monachesimo…, op. cit., p. 132, nota 57.<br />
68 A. DIDIER, Regesti…, op. cit., pp. 298-299, doc. 724.<br />
69 Ivi, p. 45, doc. 110.<br />
70 A. DIDIER, “La società…”, op. cit., p. 36.<br />
71 G. VITOLO, “Dalla pieve…”, op. cit., p. 145 e nota 86.<br />
72 Ivi, p. 145.<br />
73 A. DIDIER, Regesti…, op. cit., p. 85, doc. 207.<br />
74 A. DIDIER, Un banco di pegni di ebrei a Teggiano agli inizi<br />
<strong>del</strong> Cinquecento, in “Rassegna Storica Salernitana”, Nuova<br />
Serie, n. 8, 1987, pp. 185 e ss.
LAURA MAGGIO<br />
Archeosud: notizie dagli scavi<br />
Nel leggere le notizie sui<br />
tanti avvenimenti legati<br />
all’ambito storico-archeologico<br />
<strong>del</strong> 2007, si rintracciano interessanti<br />
spunti che meritano di essere<br />
rimarcati e che coprono, quest’anno<br />
più di altri, l’intero arco cronologico<br />
degli studi di antichità. Intensa<br />
ci è apparsa principalmente l’attività<br />
di studio e restauro di complessi e di<br />
singoli reperti, tra cui risalta l’impegnativo<br />
progetto di valorizzazione<br />
<strong>del</strong> Parco di Veio e <strong>del</strong>le statue di<br />
Apollo ed Eracle, provenienti da<br />
Portonaccio e conservate presso il Museo di<br />
Villa Giulia, a Roma. Dalla stessa area etrusca<br />
proviene anche una nuova interessante tomba a<br />
camera, denominata “dei Leoni Ruggenti” dai<br />
soggetti <strong>del</strong>le pitture in essa rinvenute, databile<br />
verso la fine <strong>del</strong> VII a.C. Dovendo necessariamente<br />
operare una scelta si è preferito, però,<br />
approfondire la disamina di due rinvenimenti<br />
particolarmente interessanti, tanto da richiamare<br />
l’interesse degli studiosi in tutto il mondo.<br />
Per quanto concerne il Pleistocene inferiore<br />
(tra 1,3 ed 1,6 milioni di anni fa) sono proseguite<br />
infatti le ricerche presso Apricena (FG) dove,<br />
in una <strong>del</strong>le note cave di pietra calcarea locale,<br />
un consorzio di cinque Università italiane,<br />
Torino, Roma La Sapienza, Roma Tre, Ferrara e<br />
Firenze, ha evidenziato un nuovo possibile scenario<br />
sulle dinamiche <strong>del</strong> popolamento<br />
<strong>del</strong>l’Europa; esso non risulta essere più legato<br />
in maniera esclusiva ai processi migratori che<br />
dall’Africa settentrionale si sarebbero diretti<br />
verso la Spagna, raggiungendo di lì il continente<br />
europeo, ma piuttosto si è individuata una<br />
Fig. 1 - Apricena (FG), la cava<br />
Pirro (Foto Consorzio<br />
universitario).<br />
- 131 -<br />
diversa direttrice che, dall’Est<br />
<strong>del</strong>l’Africa, attraverso una sorta di<br />
passaggio a Levante, ha percorso il<br />
bacino <strong>del</strong> Mediterraneo, raggiungendo<br />
l’Italia meridionale e da lì il<br />
resto d’Europa. Infatti il recupero di<br />
diversi ciottoli e schegge di selce<br />
attesta la più antica presenza <strong>del</strong>l’uomo<br />
in Europa, comprovando il<br />
possesso di un bagaglio di conoscenze<br />
tecnologicamente complesse,<br />
tanto da saper produrre oggetti di<br />
grande utilità per la vita quotidiana.<br />
Una vasta eco l’ha riscossa, anche<br />
al di là <strong>del</strong>le pubblicazioni scientifiche e di settore,<br />
il rinvenimento in territorio cisgiordano, da<br />
parte <strong>del</strong>l’Università Ebraica di Gerusalemme,<br />
<strong>del</strong>la cosiddetta tomba di Erode il Grande.<br />
Si tratta di un complesso di edifici costruiti a<br />
partire dal 20 d.C. per eseguire le cerimonie<br />
funebri in memoria <strong>del</strong> “re dei Giudei”.<br />
L’ubicazione sulla “collina di Furedidis” era<br />
nota già dalle descrizioni <strong>del</strong>lo storico<br />
Giuseppe Flavio, ma il rinvenimento dei frammenti<br />
di un sarcofago con decorazione a rosette,<br />
entro l’area destinata ad un grande edificio<br />
circolare con podio ed alcune urne affini a<br />
coevi rinvenimenti di Petra, suggerisce l’esatta<br />
ubicazione <strong>del</strong> luogo, distrutto tra il 62 ed il 72<br />
d.C., in connessione con la rivolta dei Giudei<br />
contro i Romani.<br />
Sembra opportuno, infine, accennare ad<br />
alcune riflessioni legate all’acceso dibattito<br />
politico, e quindi culturale, attualmente in<br />
corso sulla figura istituzionale <strong>del</strong>l’archeologo<br />
in Italia, e sulle prospettive lavorative di chi<br />
oggi decide di intraprendere questa carriera.
Fig. 2 - I° congresso nazionale Associazione Nazionale Archeologi<br />
(Foto Laura Maggio).<br />
I concorsi pubblici sono sempre stati piuttosto<br />
ridotti, i giovani perlopiù assolvono un<br />
ruolo minimo e decisamente transitorio nel privato,<br />
affatto garantiti nei diritti essenziali, mentre<br />
i più adulti tendono a cambiar lavoro o ad<br />
affiancarlo ad altro, di fatto rinunciando non<br />
solo alle proprie aspirazioni ma anche e soprattutto<br />
a titoli di studio e professionali piuttosto<br />
elevati, accontentandosi di svolgere incarichi<br />
spesso di livello inferiore alla propria qualifica<br />
pur di vedere garantita una certa continuità<br />
lavorativa.<br />
La mancata pubblicazione di concorsi adeguatamente<br />
calibrati per sanare le gravi carenze<br />
d’organico <strong>del</strong>le Soprintendenze archeologiche,<br />
con la conseguente ineluttabile necessità di<br />
demandare sempre più spesso impegni e obblighi<br />
<strong>del</strong>lo Stato alle Università o a gruppi di<br />
volontari, di fatto negli anni ha ampliato una<br />
lacuna gravissima per l’Italia, dove i Beni Culturali<br />
restano una significativa ed imprescindibile<br />
risorsa economica.<br />
SALTERNUM<br />
- 132 -<br />
Ma il mancato ricambio di personale qualificato<br />
negli uffici periferici <strong>del</strong> Ministero promette<br />
di determinare nel tempo una dequalificazione<br />
dei futuri funzionari, che non potranno<br />
godere <strong>del</strong> privilegio di un contatto diretto con<br />
le esperienze maturate nel passato, non garantendo<br />
quindi alcuna continuità con il pregresso.<br />
In quest’ottica ha fatto molto discutere il<br />
bando di concorso per Dirigente archeologo<br />
promulgato dal Ministero per i Beni Culturali, in<br />
base al quale il titolo di studio richiesto per<br />
accedere ad una qualifica di così alto livello<br />
è…il diploma di laurea triennale!<br />
Già lo scorso marzo a Pompei la problematica<br />
era stata affrontata nel corso <strong>del</strong> I Congresso<br />
nazionale <strong>del</strong>la neonata Associazione<br />
Nazionale Archeologi, che vede raggruppati per<br />
la prima volta gli archeologi operanti in Italia al<br />
fine di ottenere il riconoscimento e la regolamentazione<br />
di questa professione. I Delegati<br />
giunti da tutt’Italia in quella sede hanno proposto<br />
una definizione <strong>del</strong>la nuova figura <strong>del</strong>l’archeologo<br />
alla luce <strong>del</strong>la riforma universitaria,<br />
suggerendo una ripartizione <strong>del</strong>le competenze<br />
specifiche in due livelli: quello <strong>del</strong>la laurea<br />
magistrale e quello <strong>del</strong>la specializzazione post<br />
lauream, che, insieme ad un congruo curriculum<br />
professionale devono corrispondere a mansioni<br />
distinte e direttamente proporzionali ai<br />
titoli conseguiti.<br />
---------------------------www.beniculturali.it<br />
www.archeologi.org<br />
www.patrimoniosos.it<br />
archeosud@yahoogroups.com
O. Bounegrou, Traffiquants et navigateus<br />
sur le Bas Danube et dans le Pont Gauche à<br />
l’époque romaine, Wiesbaden, 2006, pp. 197.<br />
Nella prospettiva <strong>del</strong>la storia economica<br />
antica, l’area occidentale <strong>del</strong><br />
Mar Nero va analizzata come un<br />
organismo complesso che funziona in collegamento<br />
con le zone adiacenti. In realtà, questo<br />
spazio era aperto su due fronti verso il bacino<br />
<strong>del</strong> Mediterraneo: attraverso la Dalmazia, con il<br />
mondo occidentale e, attraverso l’Egeo, verso il<br />
mondo orientale. In tutto ciò, la Propontide<br />
giocava un ruolo fondamentale, perché per il<br />
suo tramite si realizzava il collegamento tra i<br />
Balcani e l’Anatolia, e cioè tra Oriente e<br />
Occidente. In tale quadro di rapporti, il punto<br />
più estremo ad Occidente era rappresentato da<br />
Aquileia, ad Oriente troviamo Tomis sul Mar<br />
Nero, ed all’estremità meridionale c’era<br />
Tessalonica. Al di fuori di questo contesto, non<br />
va sottovalutata l’importanza di Nicomedia, in<br />
Bitinia, che rappresentava il punto di passaggio<br />
per la penetrazione in Anatolia.<br />
Le vie commerciali sopra <strong>del</strong>ineate poggiavano<br />
su una solida tradizione ellenistica, che<br />
funzionava in parallelo, senza apparente rivalità,<br />
con le istituzioni romane: le strutture <strong>del</strong>l’impero<br />
romano rappresentavano un prolungamento,<br />
su un piano superiore, <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo<br />
economico di tradizione ellenistica.<br />
L’interesse dimostrato da Roma per l’area<br />
occidentale <strong>del</strong>le rive <strong>del</strong> Mar Nero era motivato<br />
dal contesto geopolitico <strong>del</strong>le tre provincie,<br />
la Mesia, la Tracia, la Dacia: provincie che vennero<br />
integrate abbastanza rapidamente nell’insieme<br />
generale <strong>del</strong>la vita economica <strong>del</strong>l’Impero<br />
romano.<br />
GABRIELLA D’HENRY - ALFREDO PLACHESI<br />
Recensioni<br />
- 133 -<br />
Fig. 1 -<br />
Colonna<br />
Traiana:<br />
l’Imperatore<br />
si imbarca<br />
per la<br />
seconda<br />
campagna<br />
dacica.<br />
Queste, in sintesi, sono le conclusioni esposte<br />
dallo storico rumeno O. Bounegrou, nel suo<br />
ottimo trattato Trafiquants et navigateurs sur le<br />
Bas Danube et dans le Pont Gauche à l’époque<br />
romaine, pubblicato a Wiesbaden nel 2006, nell’ambito<br />
<strong>del</strong>la collana “PHILIPPIKA”, Marburger<br />
altertumskundliche Abhandlungen, 9, e che noi<br />
abbiamo avuto la fortuna di poter esaminare per<br />
una recensione. Tanto più importante è questo<br />
contributo, in quanto abbiamo l’occasione di<br />
osservare un episodio <strong>del</strong>la conquista romana in<br />
Europa non dal punto di vista <strong>del</strong>l’Urbe, ma da<br />
quello di un’area periferica che è stata oggetto<br />
di conquista e che è la patria <strong>del</strong>lo studioso.<br />
Il volume, corredato da una ricca bibliografia,<br />
da indici analitici e dalla trascrizione di tutti i<br />
testi epigrafici che sono serviti di supporto alla<br />
ricerca, è suddiviso in diversi capitoli che verranno<br />
esaminati partitamente in questa sede.
Fig. 2 - M. BARATTA - P. FRACCARO, Atlante storico - fasc. primo: la Mesia,<br />
La Tracia e la Dacia in età imperiale romana.<br />
Nell’introduzione, lo studioso afferma che già<br />
nella seconda metà <strong>del</strong> II secolo a.C. alcuni<br />
avvenimenti storici sono alla base di quel processo<br />
di integrazione <strong>del</strong>lo spazio balcanico<br />
nelle strutture amministrative romane; ma, con<br />
la creazione graduale <strong>del</strong>le tre provincie, di<br />
Mesia, di Tracia e di Dacia, l’equilibrio si modifica,<br />
con il prolungamento <strong>del</strong>l’asse commerciale<br />
fino al Mar Nero.<br />
Con il primo capitolo, il Bounegrou fa un<br />
excursus storico, percorrendo la storia <strong>del</strong>la<br />
nascita <strong>del</strong>le provincie romane nell’area nordorientale,<br />
iniziando con l’istituzione <strong>del</strong>le provincie<br />
di Macedonia ed Illiria; quindi, in occasione<br />
<strong>del</strong>le guerre mitridatiche, l’interesse di Roma<br />
si sposta ancora più ad Est. Dapprima, l’area <strong>del</strong><br />
Basso Danubio era ancora scarsamente controllata;<br />
ma già Giulio Cesare, dopo la battaglia di<br />
Farsalo, avrebbe voluto espandersi in direzione<br />
<strong>del</strong> regno geto-dacico, però non ne ebbe il<br />
tempo. Con l’avvento di Augusto, l’interesse per<br />
queste terre si fa sempre più pressante, interesse<br />
che si concretizza nell’istituzione <strong>del</strong>le tre<br />
provincie: di Mesia, tra il 13 a.C. ed il 15 d.C.; di<br />
Tracia, il 46 d.C.; infine di Dacia, già nel corso<br />
<strong>del</strong> II secolo d.C.<br />
Il secondo capitolo (“Denominazione degli<br />
armatori nelle fonti letterarie ed epigrafiche greche<br />
e latine”) è, con il terzo, la parte più significativa<br />
<strong>del</strong> trattato. Anzitutto, lo studioso analizza<br />
i termini usati nelle fonti per indicare, sia in<br />
SALTERNUM<br />
- 134 -<br />
greco che in latino, i navigatori. Le<br />
nostre conoscenze sono ancora piuttosto<br />
sommarie su questo argomento, ma<br />
comuque lo storico fa un tentativo di<br />
decrittare alcuni termini, quali il greco<br />
naúklhroß, che probabilmente corrisponde,<br />
in linea di massima, al latino<br />
navicularius. Questo termine, in<br />
ambiente romano, indicava un imprenditore<br />
di trasporti marittimi, sottoposto<br />
ad un sistema corporativo e forse anche<br />
legato ad un servizio per l’annona,<br />
mentre il corrispettivo greco indicava<br />
probabilmente un imprenditore marittimo<br />
indipendente; difatti, i commercianti<br />
nel mondo greco-orientale non seguivano<br />
dei criteri rigorosi, le loro funzioni<br />
erano molto elastiche, e godevano di una<br />
notevole mobilità.<br />
Il terzo capitolo (“Denominazione dei mercanti<br />
nelle fonti letterarie ed epigrafiche greche<br />
e latine”), tratta <strong>del</strong>la terminologia degli operatori<br />
di commercio. In base alla documentazione<br />
scritta, sembrerebbe che il termine negotiatores,<br />
corrispondente in linea di massima al greco<br />
Émporoi, si riferisca ai grandi mercanti, quelli<br />
che praticavano il commercio sulle lunghe<br />
distanze. Invece, il termine mercatores, corrispondente<br />
al greco káphloi, indicava i commercianti<br />
al dettaglio. Ma con il passare dei secoli,<br />
questa distinzione si fa sempre più sfumata. Ad<br />
un’attenta analisi <strong>del</strong>le sfere di attività dei grandi<br />
mercanti, appare chiaro che la loro attestazione<br />
nella zona <strong>del</strong> Basso Danubio è essenziale<br />
per l’individuazione <strong>del</strong>le grandi linee commerciali,<br />
viste nel contesto <strong>del</strong>le aree economiche<br />
con cui le provincie danubiane erano in contatto.<br />
Un discorso a parte va fatto per i commercianti<br />
in dettaglio, a cui si possono avvicinare i<br />
venditori che erano anche produttori in proprio.<br />
In questo commercio di tipo locale era molto<br />
più forte la tradizione ellenistica di lunga durata;<br />
e ciò si può dedurre anche dalla loro presenza<br />
più numerosa in Tracia e nella Mesia<br />
Inferiore, che erano le zone in cui si sentiva più<br />
forte l’influsso greco-orientale; nella Mesia<br />
Superiore e nella Dacia, invece, i mo<strong>del</strong>li orga-
nizzativi romani erano prevalenti, anche se il<br />
controllo non era assoluto.<br />
Dai documenti, inoltre, si ricava la presenza<br />
di una particolare comunità, quella dei cives<br />
romani consistentes: di questa comunità, che<br />
compare già nel II secolo a.C., non si conosce<br />
bene la funzione. Lo studioso avanza l’ipotesi<br />
che si tratti di comunità italiche stabilite in<br />
Oriente, che erano in concorrenza con i mercanti<br />
orientali, ed avevano probabilmente anche un<br />
incarico di controllo da parte <strong>del</strong>le strutture<br />
romane; essi non erano quasi mai assimilati alla<br />
gente <strong>del</strong> luogo ed in un certo senso diffondevano<br />
la cultura latina; dovevano essere organizzati<br />
secondo un mo<strong>del</strong>lo corporativo ed agivano<br />
anche in zone rurali, forse allo scopo di attuare<br />
una politica di colonizzazione.<br />
Il quarto capitolo tratta di navigazione e di<br />
mezzi marittimi e fluviali di trasporto.<br />
Dal 1895, data <strong>del</strong>la scoperta <strong>del</strong> mosaico di<br />
Althiburus in Tunisia, su cui sono rappresentate<br />
ventiquattro navi, di cui ventidue con i nomi<br />
indicati a fianco, si conoscono i nomi di molte<br />
imbarcazioni antiche; anche le esplorazioni subacquee<br />
hanno dato il loro contributo, anche se<br />
su questo argomento ci sono ancora molti elementi<br />
oscuri.<br />
In ogni modo, le grandi navi a vela che avevano<br />
funzioni commerciali interprovinciali venivano<br />
chiamate corbitae; esse erano onerarie e,<br />
quando trasportavano cereali, venivano chiamate<br />
frumentariae; queste ultime erano al servizio<br />
<strong>del</strong>l’annona per recare approvigionamenti nelle<br />
città <strong>del</strong>l’Impero, e venivano sorvegliate da militari.<br />
Esse sono rappresentate su alcuni rilievi di<br />
Tomis e di Histria.<br />
Abbiamo pure la testimonianza <strong>del</strong>le naves<br />
lapidariae, che trasportavano pietre e marmi dalla<br />
cave <strong>del</strong> bacino egeo verso le aree danubiane.<br />
Navi più piccole servivano per il controllo dei<br />
porti, per il trasbordo di materiale dalle navi più<br />
grandi che restavano alla fonda, o anche per la<br />
pesca: esse venivano chiamate musculi, ed<br />
erano usate anche per scopi militari. Le scaphae<br />
erano invece imbarcazioni ausiliarie.<br />
Esiste la documentazione anche di navi a<br />
funzioni miste (le naves auctariae), che risalivano<br />
i corsi d’acqua, e spesso trasportavano anfo-<br />
GABRIELLA D’HENRY - ALFREDO PLACHESI<br />
- 135 -<br />
re, e di navi prettamente fluviali, cui forse accennano<br />
le imbarcazioni rappresentate numerose<br />
sulla Colonna Traiana.<br />
La presenza documentata di tutte queste navi<br />
prova l’intensità di scambi nei porti danubiani<br />
più importanti, Histria, Tomis, Callatis, Odessos,<br />
che si ponevano come punti di diffusione verso<br />
l’interno dei prodotti trasportati, e, con questi, di<br />
cultura materiale.<br />
Per quanto riguarda le basi navali, resti e<br />
tracce di porti si sono trovati a Callatis, Tomis,<br />
Histra; altri attracchi esistevano certamente<br />
lungo il corso <strong>del</strong> Basso Danubio, ma non ne è<br />
rimasta alcuna traccia: di essi, il più importante<br />
era quello di Noviodunum, situato vicino ad uno<br />
stanziamento militare.<br />
Nel sesto capitolo, lo studioso affronta il tema<br />
<strong>del</strong>l’organizzazione doganale.<br />
Anche su questo argomento non si sa ancora<br />
molto, ma se il rinvenimento ad Efeso di una<br />
lunga ed importante iscrizione, la lex Portori<br />
Asiae, battezzata per assonanza con il<br />
Monumentum Ancyranum di Augusto il<br />
Monumentum Ephesenum, ci fa capire qualcosa<br />
di più. Questo documento è estremamente lungo<br />
e si riferisce alla Provincia d’Asia; fu elaborato nel<br />
75 a.C, l’anno prima <strong>del</strong>la terza guerra mitridatica,<br />
e venne rivisto varie volte, fino al 62 d.C., in<br />
età neroniana. In esso si nominano i publicani,<br />
gli esattori <strong>del</strong>le tasse che erano localizzati sulla<br />
due rive <strong>del</strong> Bosforo, ed il centro doganale per la<br />
Propontide, che era situato presso lo stretto, a<br />
Calcedonia. Dal documento si ricava che il controllo<br />
romano in Asia Minore e nel bacino egeo<br />
era già molto forte nel I secolo a.C.; ma il suo<br />
regolamento rigido era anche un espediente politico,<br />
fatto per mettere in difficoltà Mitridate: nella<br />
zona <strong>del</strong> Bosforo non si applicava, infatti, alcuna<br />
esenzione doganale, che veniva applicata<br />
invece in altre realtà, come l’area danubiana. Da<br />
altre documentazioni si può dedurre, infine, che<br />
nella zona <strong>del</strong> Basso Danubio esisteva un organismo<br />
doganale autonomo.<br />
Copia <strong>del</strong> trattato <strong>del</strong> Bounegrou è depositata<br />
presso la Biblioteca <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> di<br />
Salerno, per permettere la lettura a chi volesse<br />
approfondire l’interessante argomento.
Adriano CAFFARO - Giuseppe<br />
FALANGA, Il libellus di Chicago.<br />
Un ricettario veneto di arte, artigianato<br />
e farmaceutica (secolo<br />
XV), ArciPostiglione, Salerno<br />
2005, pp. 175.<br />
Lo studio storico <strong>del</strong>le<br />
tecniche artistiche non<br />
può non considerare i<br />
fattori ideali e materiali che, in<br />
una data epoca, hanno determinato<br />
la genesi e la fortuna <strong>del</strong>l’opera<br />
d’arte. Tale considerazione<br />
ha un rilievo storiografico particolare,<br />
perché il “momento” teorico<br />
e quello pratico trovano<br />
nella trattazione storica <strong>del</strong>l’arte una forma<br />
spontanea di coniugazione, che può riflettere il<br />
naturale dispiegarsi <strong>del</strong>le vicende culturali.<br />
Nel XX secolo, la storia sociale <strong>del</strong>l’arte, alla<br />
luce <strong>del</strong>le acquisizioni scientifiche relative anche<br />
alla cultura materiale, ha inteso esprimere tale<br />
assunto in termini d’opportunità metodologica,<br />
invitando a considerare insieme all’interazione<br />
tra gli artisti, i mecenati, i committenti ed il pubblico<br />
anche l’altra importante tripartizione esistente<br />
tra la disponibilità di taluni materiali in<br />
un’area geografica, la competenza tecnica richiesta<br />
all’artista-artigiano nel lavorare la materia e le<br />
condizioni socio-economiche in cui il lavoro<br />
<strong>del</strong>l’arte poteva esprimersi al meglio.<br />
Questa considerazione ha permesso, insomma,<br />
di disegnare una fisionomia più nitida <strong>del</strong><br />
contesto dinamico in cui s’è realizzato il perfezionamento<br />
tecnico <strong>del</strong>la produzione artistica. È<br />
quanto tenta di dimostrare l’ultima impresa di<br />
studi che ha oggi il suo referente divulgativo<br />
nella collana “L’officina <strong>del</strong>l’arte”, ideata e diretta<br />
da Adriano Caffaro per le “Edizioni Arci<br />
Postiglione”. Lo studioso salernitano, da anni<br />
impegnato nella ricerca <strong>del</strong>le fonti letterarie <strong>del</strong>l’arte<br />
medievale e moderna, è andato a ritroso<br />
nel tempo lungo i sentieri <strong>del</strong>l’ermeneutica<br />
testuale per giungere a dischiudere ‘mondi’ inesplorati<br />
<strong>del</strong>l’arte e <strong>del</strong>l’artigianato. Capire come<br />
la conoscenza tecnica e l’ambiente sociale, in<br />
cui essa maturò, si sono entrambe sedimentate<br />
SALTERNUM<br />
- 136 -<br />
nelle tracce talvolta lacunose dei<br />
documenti letterari è la sfida sottesa<br />
a questo ambizioso progetto<br />
editoriale.<br />
L’ultimo volume in catalogo,<br />
scritto da Caffaro insieme a<br />
Giuseppe Falanga, segue questa<br />
luminosa scia di domande per<br />
darne una risposta. Si tratta de Il<br />
libellus di Chicago. Un ricettario<br />
veneto di arte, artigianato e farmaceutica<br />
(secolo XV), terzo<br />
numero <strong>del</strong>la nuova Collana<br />
inaugurata da entrambi gli storici<br />
con Il papiro di Leida. Un<br />
documento di tecnica artistica e<br />
artigianale <strong>del</strong> IV secolo d. C. e<br />
arricchita dal prezioso volume di Adriano<br />
Caffaro De clarea. Manuale medievale di tecnica<br />
<strong>del</strong>la miniatura (secolo XI).<br />
Il nuovo libro propone una lettura, per l’appunto<br />
“integrata”, di un testo latino quattrocentesco,<br />
presumibilmente composto in area veneta,<br />
in ambiente speziale, trascritto e pubblicato<br />
nel 1985 da Domenico Bommarito, ora migliorato<br />
nella trascrizione, tradotto in lingua italiana e<br />
commentato dai due studiosi salernitani. A testimoniare<br />
la dinamicità <strong>del</strong> contesto genetico <strong>del</strong>l’arte<br />
è, in questo caso, una fonte letteraria che<br />
potremmo definire “anfibia”, giacché essa vive<br />
<strong>del</strong>la duplice natura che oggi consente di associare<br />
un giudizio di valore all’originaria funzione<br />
pragmatica per cui il testo stesso fu redatto.<br />
Si tratta, infatti, di un “libellus”, ossia di un<br />
ricettario, in cui trovano spazio ben 90 prescrizioni<br />
il cui ambito applicativo non è invero di<br />
facile definizione, perché le nozioni raccolte<br />
nelle singole ricette fanno riferimento a campi<br />
disparati <strong>del</strong> sapere, oscillanti tra l’arte e l’artigianato,<br />
la cosmetica e la farmaceutica. Un esempio?<br />
La prima ricetta indica come rendere azzurra<br />
l’acqua, la seconda suggerisce come tingere i<br />
capelli di nero o rosso scuro. Tra un rigo e l’altro,<br />
la terza slitta nel campo <strong>del</strong>la miniatura ed<br />
indica come scrivere lettere d’oro, d’argento e di<br />
rame, seguita dalla quarta che riporta come far<br />
scomparire quelle lettere. La quinta ricetta arriva<br />
a suggerire in un sol tempo come cancellare le
lettere dalla pergamena e come sbiancare i<br />
denti! Con la sesta si passa a lucidare finestre...<br />
Insomma, la presenza simultanea di tecniche e<br />
materiali eterogenei risponde ad un ordine concettuale<br />
che, a quanto pare, non segmenta le<br />
competenze artigianali in attività specialistiche,<br />
bensì trattiene lo spettro <strong>del</strong>le contingenze in cui<br />
quelle competenze si misuravano ed affinavano<br />
nella pratica quotidiana <strong>del</strong> mestiere. Del resto,<br />
quest’ordine testuale tradisce una consuetudine<br />
che, pur variando nel tempo, non ha mai smarrito<br />
alcuni tratti tipici <strong>del</strong>la tradizione ricettaria.<br />
Basti guardare alla varietà <strong>del</strong>le materie naturali<br />
citate nel testo, recuperate in loco o importate<br />
dall’Oriente: dall’aloe al buon miele, dal fico<br />
all’allume saccarino, dall’incenso alla resina di<br />
lentisco, dal bolo armeno alla gomma amigdali-<br />
GABRIELLA D’HENRY - ALFREDO PLACHESI<br />
- 137 -<br />
na. Il più <strong>del</strong>le volte, però, sono materie che<br />
ritroviamo già sui deschi <strong>del</strong>le officine monastiche<br />
medievali. Per non parlare <strong>del</strong>le tecniche:<br />
quella di bollire le sostanze in aceto, ad esempio,<br />
era già nota a Plinio il Vecchio, agli alchimisti<br />
egizi <strong>del</strong>l’età tardo-antica, ai Romani e ai<br />
monaci artigiani <strong>del</strong>l’Europa medievale.<br />
L’edizione <strong>del</strong> libellus, curata da Caffaro e<br />
Falanga, è pregevole, quindi, per la corretta<br />
impostazione metodologica che non manca di<br />
integrare l’analisi dei contenuti specifici emergenti<br />
dal testo in una più ampia panoramica,<br />
che sovente dilata le proprie coordinate tanto in<br />
senso sincronico, con lo sguardo rivolto a ciò<br />
che c’è “dietro” la formula ricettaria, quanto in<br />
senso diacronico, allo scopo di ricostruire il filone<br />
evolutivo cui quel testo appartiene.
BIANCA<br />
CANCELLARE
CORINNA FUMO<br />
L’enigma degli avori medievali<br />
da Amalfi a Salerno<br />
La mostra “L'enigma degli avori medievali<br />
da Amalfi a Salerno” (20 Dicembre<br />
2007 - 30 Aprile 2008), cofinanziata dal<br />
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla<br />
Regione Campania con fondi <strong>del</strong>l’Unione<br />
Europea, nasce da un'idea progettuale di rilevante<br />
interesse storico-artistico, che punta a<br />
ricostruire il tessuto figurativo <strong>del</strong>la lavorazione<br />
<strong>del</strong>l’avorio fra Amalfi e Salerno fra XI e XII secolo.<br />
Curata dal prof. Ferdinando Bologna d’intesa<br />
con la Soprintendenza per i B.A.P.P.S.A.E. di<br />
Salerno ed Avellino e giunta ormai ad un avanzato<br />
livello operativo, essa riunirà le non poche<br />
opere eburnee prodotte nella regione fra Amalfi<br />
e Salerno, due dei principali centri mediterranei<br />
di lavorazione <strong>del</strong>l’avorio, caratterizzati da un’elevata<br />
raffinatezza tecnica ed ideologica.<br />
Le sale <strong>del</strong> Museo Diocesano di Salerno, che<br />
per l’occasione saranno oggetto di una completa<br />
ristrutturazione, ospiteranno le varie sezioni<br />
<strong>del</strong> percorso espositivo, il cui nucleo principale<br />
verterà intorno alle pregevoli tavolette che compongono<br />
il ciclo Vetero - Neo Testamentario<br />
salernitano. Unico al mondo nel suo genere,<br />
questo insieme di 69 tavolette, narranti episodi<br />
biblici ed evangelici, rappresenta l’espressione<br />
di una fervente congiuntura culturale che, attraverso<br />
una profonda conoscenza <strong>del</strong>la teologia<br />
medievale e <strong>del</strong>l’iconografia paleocristiana, racchiude<br />
in sé elementi stilistici di assoluta novità<br />
in campo artistico, dove in maniera rinnovata<br />
trovano sintesi istanze di matrice carolingia,<br />
ottoniana e bizantina, con particolari riferimenti<br />
alla cultura islamica. Il risultato è stata una<br />
straordinaria e complessa opera di dimensione<br />
europea oltre che mediterranea.<br />
- 139 -<br />
Salerno. Museo Diocesano “San Matteo”.<br />
Tavoletta d’avorio: Visitazione; I Magi presso Erode (fine <strong>del</strong>l’XI sec.).<br />
A questa sezione si lega tutta una serie di<br />
pezzi che, anche se in maniera diversa, manifestano<br />
l’ampio raggio di influenza culturale <strong>del</strong>la<br />
bottega salernitana o comunque amalfitana e<br />
che nel corso dei secoli successivi sono andati<br />
ad arricchire le collezioni di diversi musei stra-
nieri. Proprio i Direttori di questi Musei, ben<br />
consapevoli <strong>del</strong>l’importanza culturale <strong>del</strong>l’evento,<br />
hanno permesso alle opere di essere nuovamente<br />
riunite insieme, anche solo temporaneamente.<br />
Fra questi pezzi, in particolare, rientrano nel<br />
ciclo <strong>del</strong> Vecchio Testamento la tavoletta con la<br />
Creazione degli uccelli, dei pesci e degli animali<br />
terrestri, segata in due parti, una <strong>del</strong>le quali conservata<br />
al Museo <strong>del</strong>le arti applicate di Budapest<br />
e l’altra al Metropolitan Museum of Art di New<br />
York. Notevoli pure i rilievi con il Fratricidio di<br />
Caino e Abele e l’ammonizione di Caino <strong>del</strong><br />
Museo <strong>del</strong> Louvre di Parigi e i due medaglioni<br />
quadrati raffiguranti i simboli degli evangelisti<br />
Matteo e Giovanni, i quali, insieme con la<br />
Visitazione, giungeranno dall’Hermitage di San<br />
Pietroburgo.<br />
Tavoletta eburnea. Creazione degli uccelli, dei pesci e degli animali terrestri.<br />
(Parte conservata a Budapest, Museo <strong>del</strong>le Arti Applicate).<br />
Astuccio d'avorio amalfitano. New York, Metropolitan Museum of Art.<br />
SALTERNUM<br />
- 140 -<br />
Nella sezione “amalfitana”, ossia quella<br />
dedicata ad opere attribuibili alla bottega di<br />
Amalfi, si collocano certamente la cassetta<br />
eburnea proveniente dall’Abbazia di Farfa, consegnata<br />
già alle cure dei Funzionari <strong>del</strong>la<br />
Soprintendenza per un intervento di restauro,<br />
nonché l’astuccio eburneo proveniente dal<br />
Dipartimento di Arti Islamiche <strong>del</strong> Metropolitan<br />
Museum of Art di New York, entrambe sicuramente<br />
commissionate da amalfitani. La prima,<br />
infatti, reca il nome di Mauro de Maurone<br />
Comite, ricco mercante amalfitano. Il secondo,<br />
invece, porta sui lati corti il nome di Manso<br />
figlio di Tauro.<br />
L’individuazione di una bottega amalfitana<br />
consente l’apertura di un filone di ricerca<br />
orientato verso l’arte saracena e fatimida, come<br />
si evince soprattutto dall’astuccio di New York<br />
e dall’olifante <strong>del</strong> Museo di Cluny di Parigi.<br />
Altre due cassette di avorio saranno presenti<br />
in mostra ed in particolare si tratta <strong>del</strong>la cassetta<br />
con figure di Santi <strong>del</strong> Victoria and Albert<br />
Museum di Londra e una cassetta con scene di<br />
caccia proveniente dalla Basilica di San<br />
Servatius di Maastricht.<br />
Nella complessa questione figurativa fra<br />
Amalfi e Salerno si collocano gli avori provenienti<br />
dal Museo <strong>del</strong> Castello Sforzesco di<br />
Milano, dal Victoria and Albert Museum di<br />
Londra (Sogno di San Giuseppe, la<br />
Presentazione al tempio, le Nozze di Cana) e<br />
da altri Musei, appartenenti alla cosiddetta<br />
Cattedra di Grado, nei quali si nota una forte<br />
tangenza iconografica con la serie evangelica<br />
di Salerno, che diventa addirittura identica<br />
nella Natività <strong>del</strong>la Dumbarton Oaks Collection<br />
di Washington.
Presenti alla mostra sono anche altri musei<br />
italiani, tra i quali il Museo <strong>del</strong> Bargello di<br />
Firenze e il Museo Civico medievale di<br />
Bologna. Nessuna notizia positiva è purtroppo<br />
giunta dai musei tedeschi, i quali sono custodi<br />
di opere che fino agli anni Cinquanta <strong>del</strong> secolo<br />
scorso erano parte integrante <strong>del</strong> ciclo di<br />
Salerno.<br />
Il repertorio figurativo è arricchito, inoltre,<br />
da altre sezioni nelle quali saranno esposti una<br />
serie di oggetti eburnei come gli olifanti, grandi<br />
corni d’avorio, completamente intarsiati,<br />
ricavati dalla zanna <strong>del</strong>l’elefante e usati a<br />
seconda dei casi come strumento musicale, di<br />
richiamo oppure come reliquiario. Notevoli<br />
sono gli olifanti prestati per questo evento:<br />
l’Olifante di Cluny (Francia), quello di Boston,<br />
l’Olifante <strong>del</strong> Tesoro <strong>del</strong>la Basilica <strong>del</strong> Pilar di<br />
Saragoza (Spagna) e l’ Olifante <strong>del</strong>l’Abbazia di<br />
Muri <strong>del</strong> Kunsthistorisches Museum di Vienna<br />
(Austria).<br />
Altri oggetti rilevanti che completano le<br />
varie sezioni sono un altarolo a tre ante raffigurante<br />
l’Ascensione di Cristo e numerosi<br />
Crocifissi, alcuni dei quali appartengono a collezionisti<br />
privati. La dimostrazione, invece, di<br />
quanto l’uso <strong>del</strong>l’avorio fosse attestato non solo<br />
in ambito religioso ma anche laico e ludico, è<br />
favorita dalla presenza di alcuni pezzi <strong>del</strong> gioco<br />
degli scacchi di provenienza italiana.<br />
Fanno da corollario alle opere di avorio, ma<br />
legati ideologicamente ad esse, dei documenti<br />
a stampa che arricchiscono la sezione <strong>del</strong>le<br />
fonti e <strong>del</strong>le ipotesi di ricostruzione, una porta<br />
di legno proveniente da Celano e due frammenti<br />
scultorei <strong>del</strong> Museo <strong>Archeologico</strong> di<br />
Venosa, il trono ligneo di Montevergine, che<br />
presentano evidenti similitudini con le decorazioni<br />
realizzate negli avori.<br />
Un anticipo <strong>del</strong>la mostra si è potuto avere<br />
nella recente manifestazione, tenutasi presso il<br />
Museo Diocesano, con la presentazione <strong>del</strong><br />
restauro e relativa esposizione <strong>del</strong>la cassetta<br />
eburnea di Farfa.<br />
L'opera costituisce un fondamentale tassello<br />
per gli sviluppi <strong>del</strong>la lavorazione eburnea nella<br />
regione, in quanto fu commissionata dal ricco<br />
e potente mercante amalfitano Mauro de<br />
CORINNA FUMO<br />
- 141 -<br />
Maurone. Quest'ultimo offrì il cofanetto-reliquiario<br />
all'abbazia di Farfa, in provincia di<br />
Rieti, noto santuario mariano.
BIANCA<br />
CANCELLARE
CORINNA FUMO<br />
La presentazione <strong>del</strong> restauro <strong>del</strong>la cassetta eburnea<br />
di Farfa al Museo Diocesano<br />
Dal 14 al 30 Settembre presso il Museo<br />
Diocesano di Salerno è stata esposta<br />
la celebre cassetta d’avorio di Farfa,<br />
dal nome <strong>del</strong>l’Abbazia benedettina in provincia<br />
di Rieti dov’è conservata. Si tratta di una straordinaria<br />
opera d’arte con la quale si dimostra la<br />
nascita di una bottega <strong>del</strong>l’avorio in costa<br />
d’Amalfi. Essa, infatti, fu commissionata dal<br />
potente mercante amalfitano Mauro, appartenente<br />
alla nobile famiglia dei Maurone Comites,<br />
il quale ha fatto incidere sui lati lunghi una preghiera<br />
alla Vergine, di protezione per sé e per i<br />
suoi sei figli di cui riporta il nome. La scritta epigrafica<br />
fornisce un terminus post quem non alla<br />
datazione <strong>del</strong>l’opera, in quanto al 1072 i figli di<br />
- 143 -<br />
Mauro, Giovanni e Mauro, risultano morti nella<br />
guerra con i Longobardi di Salerno. Il carattere<br />
mariano <strong>del</strong> cofanetto, forse una piccola urnareliquiario,<br />
si evince chiaramente anche dalle<br />
immagini scolpite a rilievo, fra le quali la più<br />
rappresentativa è quella <strong>del</strong>la Koimésis (la dormizione<br />
di Maria), raffigurata su tutto un lato<br />
lungo, e in coerenza con la Crocifissione e<br />
l’Ascensione di Cristo presenti sull’altro lato.<br />
Da un punto di vista storico-artistico la scritta<br />
inserisce l’opera a pieno titolo nel dibattito<br />
sull’esistenza di una bottega specializzata nella<br />
lavorazione <strong>del</strong>l’avorio ad Amalfi. Altro elemento<br />
che certamente radica in maniera inequivocabile<br />
la manifattura <strong>del</strong>la cassetta all’ambiente
amalfitano è la presenza, nella scena<br />
<strong>del</strong>l’Annuncio ai pastori, di un suonatore di<br />
liuto, strumento conosciuto solo in una città<br />
come Amalfi che, nell’XI secolo, era al centro<br />
dei commerci con l’Oriente bizantino. Si tratta di<br />
una <strong>del</strong>le principali scoperte venute fuori dallo<br />
studio che ha accompagnato la manifestazione.<br />
Il restauro <strong>del</strong>la cassetta è ancora in corso e<br />
viene effettuato dalla Soprintendenza per i<br />
B.A.P.P.S.A.E. di Salerno e Avellino in collaborazione<br />
con l’Opificio <strong>del</strong>le Pietre Dure di Firenze.<br />
Esso costituisce un raffinato anticipo <strong>del</strong>la<br />
SALTERNUM<br />
- 144 -<br />
Mostra internazionale “L'enigma degli avori<br />
medievali da Amalfi a Salerno”, prossima all’inaugurazione<br />
(20 Dicembre 2007).<br />
Sebbene il confronto con gli avori <strong>del</strong> nostro<br />
Museo Diocesano, di manifattura certamente più<br />
raffinata e intellettualmente più elevata, sia<br />
caratterizzato da un evidente divario, la cassetta<br />
di Farfa costituisce sicuramente l’avvio di un<br />
percorso tecnico e stilistico nell’area fra Amalfi e<br />
Salerno che trova nella materia eburnea un<br />
momento di espressione figurativa molto significativo.
ROSA ALBA TRUONO IANNONE<br />
Appunti di viaggio:<br />
Arzachena, tra antiche pietre megalitiche<br />
Nel territorio di Arzachena, tra i mirti, i<br />
ginepri ed i cisti <strong>del</strong>la sarda Gallura,<br />
misteriose e suggestive pietre granitiche<br />
si ergono in forma spettacolare a rappresentare<br />
due “tombe di giganti”: quelle di Li Lolghi e<br />
di Coddu Vecchju o Ecchju. Nomi e siti interessanti,<br />
che accendono curiosità e fantasie, siti che<br />
evocano usi e costumi dei primi abitanti di quell’isola<br />
meravigliosa che è la Sardegna. Avvolti<br />
dall’intenso profumo di lentisco e da un millenario<br />
silenzio, le pietre incantano lo spettatore<br />
attento, pronto a raccogliere il loro racconto<br />
affascinante sulla presenza, in quel luogo, di<br />
una grande civiltà autoctona, vitale nel periodo<br />
<strong>del</strong> bronzo. E i recinti megalitici, i cerchi magici<br />
di sapore più celtico che mediterraneo, accertano<br />
la confluenza nell’isola di popoli e civiltà<br />
provenienti da ogni dove, elementi che indicano<br />
nella Sardegna il “Reader’s Digest” <strong>del</strong>la storia<br />
antica mediterranea. Le tombe dei giganti di<br />
Li Lolghi e di Coddu Vecchju evocano rituali,<br />
consuetudini e comportamenti di antiche comunità;<br />
testimoniano un tipo di sepolcro collettivo,<br />
proprio <strong>del</strong>la civiltà nuragica. Dei due monumenti<br />
ciò che colpisce di più la vista <strong>del</strong> visitatore<br />
è la fronte: l’esedra, con i suoi quattordici<br />
lastroni infissi a coltello, di altezza decrescente<br />
verso i lati. Al centro campeggia un’alta stele,<br />
formata da un’unica lastra granitica e decorata<br />
da un bordo a bassorilievo, che divide la superficie<br />
in due parti. Questa grande lastra appare<br />
come un maestoso portale: l’ingresso alla vita<br />
ultraterrena. Quella di Coddu Vecchju è più<br />
slanciata, infatti è alta 4,40 metri e meno larga<br />
(1,90 metri) di quella di Li Lolghi. Essa è formata<br />
da due blocchi di granito sovrapposti.<br />
L’esedra, che attesta l’elaborazione sarda di un<br />
- 145 -<br />
Fig. 1 - Arzachena (Sassari), Coddu Ecchiu.<br />
Fig. 2 - Arzachena (Sassari), Li Lolghi.<br />
tipo tombale diffuso nel resto <strong>del</strong>l’Europa, era<br />
riservata al culto e alle offerte per i defunti. I<br />
due monumenti sono il risultato di due momenti<br />
costruttivi. Nel primo, risalente all’età <strong>del</strong><br />
Bronzo Antico (1800-1600 a.C.), venne realizzata<br />
la parte terminale che costituisce una allée<br />
couverte, ossia una tomba di forma allungata,<br />
formata da lastre verticali e coperta, inizialmente,<br />
da lastroni piani circondata da un recinto<br />
ellissoidale di pietre: il peristatile, con funzione<br />
di contenimento <strong>del</strong> tumulo che lo ricopriva. In
un secondo momento, alla fine <strong>del</strong> Bronzo<br />
Medio (1400 a.C.), si aggiunsero il lungo corridoio<br />
funerario e l’esedra. Il primo è costituito da<br />
lastroni infissi verticalmente nel terreno, integrati<br />
da muratura con in fondo una lastra orizzontale,<br />
una specie di ripiano per contenere oggetti<br />
di corredo. In corrispondenza di essa è l’unica<br />
lastra di copertura, attualmente conservata.<br />
Della parte più antica restano vasetti a peducci,<br />
ciotole troncoconiche, riferibili al Bronzo Antico<br />
SALTERNUM<br />
- 146 -<br />
(1800-1600 a.C.), mentre altri materiali <strong>del</strong> corridoio<br />
funerario e <strong>del</strong>l’esedra risalgono al periodo<br />
compreso tra il 1400 e il 1100 a.C. È da allora<br />
che ancora oggi nel silenzio <strong>del</strong>la profumata<br />
macchia mediterranea queste pietre, testimoni<br />
<strong>del</strong> passato, vivono. Le loro considerevoli<br />
dimensioni ci lasciano fantasticare e pensare,<br />
come nella credenza popolare, ai “giganti” che<br />
gli antichi credettero abitarvi e che oggi aleggiano<br />
come fantasmi misteriosi.
La nuova sede <strong>del</strong> Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale<br />
di Pontecagnano è stata realizzata con il proposito<br />
di dare una adeguata collocazione alla ricchissima<br />
raccolta di materiali archeologici portati<br />
alla luce nel corso degli ultimi quaranta anni nel<br />
territorio comunale, con una intensa e inarrestabile<br />
attività di ricerca che ha consentito di <strong>del</strong>ineare<br />
la forma e gli aspetti culturali di un grande<br />
insediamento. Con lo scavo sistematico <strong>del</strong>le<br />
necropoli, intrapreso da Bruno d’Agostino nel<br />
1962, si è aperto un nuovo capitolo <strong>del</strong>la storia<br />
antica <strong>del</strong>la Campania. Le vaste necropoli, che, a<br />
partire dalla fine <strong>del</strong> X - inizi <strong>del</strong> IX sec. a.C., si<br />
distribuiscono intorno ad un ampio spazio abitativo,<br />
sono la più eloquente testimonianza <strong>del</strong>l’espansione<br />
<strong>del</strong>le genti protoetrusche ed etrusche<br />
nell’Italia meridionale, in anticipo<br />
e poi in concomitanza con il processo<br />
di colonizzazione greca<br />
<strong>del</strong>la fascia costiera. Il grande centro<br />
di Pontecagnano costituisce la<br />
punta più avanzata di quella<br />
espansione e, almeno a partire<br />
dalla fine <strong>del</strong> VI sec. a.C., ebbe<br />
vere e proprie caratteristiche urbane.<br />
La notevole quantità di oggetti<br />
di importazione presenti nei<br />
corredi funerari, sia dal mondo<br />
greco e orientale sia da quello<br />
magnogreco e italico, ne testimoniano<br />
la funzione emporica e la<br />
ricchezza culturale.<br />
La realizzazione <strong>del</strong> nuovo<br />
Museo, che illustra in maniera<br />
rigorosamente scientifica, ma al<br />
tempo stesso suggestiva e attraente,<br />
l’evidenza restituita dall’antico<br />
GIULIANA TOCCO SCIARELLI<br />
Gli Etruschi di frontiera<br />
Pontecagnano (SA). Oinochoe d’argento<br />
con palmetta in lamina d’oro all’attacco<br />
<strong>del</strong>l’ansa, dalla tomba 928. Secondo<br />
quarto <strong>del</strong> VII sec. a.C.<br />
- 147 -<br />
Pontecagnano (SA). Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale. Kotyle eponima <strong>del</strong><br />
‘Pittore <strong>del</strong> Lupo Cattivo’, dalla tomba 865. Inizio <strong>del</strong> VI secolo a.C.<br />
insediamento, nasce da un’intensa e proficua collaborazione<br />
tra la Soprintendenza per i Beni<br />
Archeologici <strong>del</strong>le province di Salerno, Avellino e<br />
Benevento, l’Università degli Studi di Napoli<br />
‘l’Orientale’ e l’Università degli Studi di Salerno. Il<br />
Museo è stato realizzato per lotti funzionali, grazie<br />
ai finanziamenti assicurati in<br />
tutti questi anni dal Ministero per<br />
i Beni e le Attività Culturali e dalla<br />
Regione Campania, mentre il<br />
Comune di Pontecagnano ha<br />
acquisito il suolo sul quale sorge il<br />
nuovo edificio.<br />
Pontecagnano (SA).<br />
Coppa carenata<br />
d’impasto con l’ansa<br />
sormontata da due<br />
cavallini, dalla tomba<br />
575. Ultimo quarto<br />
<strong>del</strong>l’VIII secolo a.C.
BIANCA<br />
CANCELLARE
LAURA IBISCO<br />
Pesci, barche, pescatori nell’area mediterranea<br />
dal Medioevo all’età contemporanea<br />
Si è svolto dal 3 al 6<br />
ottobre, tra Fisciano,<br />
Vietri sul Mare e<br />
Cetara, il Convegno<br />
Internazionale Pesci, barche,<br />
pescatori nell’area mediterranea<br />
dal Medioevo all’età contemporanea<br />
inserito nell’ambito<br />
dei seminari permanenti <strong>del</strong>la<br />
SISE (Società Italiana degli<br />
Storici <strong>del</strong>l’Economia). Questo<br />
incontro segue quelli precedenti<br />
di Bosa (1994), Alghero-<br />
Cabras (2001) e Roma (2003) e<br />
ha aperto il confronto con aree<br />
geografiche diverse al fine di<br />
approfondire il momento <strong>del</strong>la<br />
comparazione storica. E’ stato scelto un ambito<br />
geografico molto vasto, comprendente l’intero<br />
Mediterraneo, partendo dall’area lusitana e<br />
marocchina, proprio per confrontare le diverse<br />
realtà storiche e storiografiche <strong>del</strong> settore<br />
peschiero.<br />
La pesca ha da sempre rappresentato una<br />
<strong>del</strong>le attività primarie <strong>del</strong>l’uomo sin dalle originarie<br />
forme di organizzazione economica ed è<br />
quindi possibile tracciare un continuum tra età e<br />
periodi anche distanti molti secoli tra di loro attraverso<br />
la ricostruzione di tecniche di pesca e di<br />
lavorazione, di tipologie <strong>del</strong>le imbarcazioni utilizzate,<br />
di strumenti di lavoro e di cicli biologici ed<br />
economici al contempo.<br />
- 149 -<br />
Al Convegno hanno partecipato<br />
31 relatori, di cui ben 13<br />
stranieri da Malta, Marocco,<br />
Portogallo, Spagna, Francia,<br />
Tunisia, Albania, Romania;<br />
hanno inoltre aderito alla<br />
Tavola Rotonda 8 relatori che<br />
hanno affrontato i temi più<br />
urgenti <strong>del</strong>la pesca italiana ed<br />
europea, evidenziando limiti e<br />
prospettive di questo settore<br />
che potrebbe costituire, in realtà,<br />
una risorsa di primaria<br />
importanza nei prossimi decenni<br />
da un punto di vista <strong>del</strong>l’alimentazione<br />
e <strong>del</strong>l’economia<br />
regionale così come avveniva<br />
nei secoli precedenti e come è emerso dalle relazioni<br />
storiche presentate.<br />
La pubblicazione degli Atti, prevista per il<br />
prossimo anno, permetterà di apprezzare l’apporto<br />
scientifico innovativo degli interventi succedutisi<br />
nelle 8 sessioni di studio. Durante le giornate<br />
di lavoro è stata allestita, a cura <strong>del</strong>l’Assessorato<br />
ai Beni e Attività Culturali <strong>del</strong>la Provincia di<br />
Salerno e <strong>del</strong>la Direzione Provinciale, la mostra<br />
Arti e Mestieri nell’antico Sud. Il Ceramista e il<br />
Pescatore, che ha permesso di ammirare numerosi<br />
oggetti di cultura materiale legati al mondo<br />
<strong>del</strong>la pesca nell’antichità e, ancora, altri reperti<br />
conservati e messi gentilmente a disposizione dal<br />
<strong>Gruppo</strong> Habitat di Vietri sul Mare.
BIANCA<br />
CANCELLARE
MONICA VISCIONE<br />
In ricordo di Antonella Fiammenghi<br />
È passato qualche mese dalla sua scomparsa,<br />
ma il vuoto che ha lasciato appare ancora incolmabile!<br />
È una perdita per l’Archeologia e per chi<br />
ha imparato ad apprezzarla per il suo infaticabile<br />
lavoro per la salvaguardia e la valorizzazione<br />
di Velia e tutto il Cilento.<br />
Fin dai suoi primi passi di Funzionario <strong>del</strong><br />
Ministero dei Beni Culturali, sul finire degli anni<br />
Settanta, aveva conquistato il cuore e la simpatia<br />
di tutti; nel corso <strong>del</strong>la sua lunga carriera<br />
aveva incrementato anche l’ammirazione e la<br />
gratitudine dei tanti giovani archeologi che<br />
hanno avuto la fortuna di completare la loro formazione<br />
sul campo con la sua guida, ma soprattutto<br />
aveva accresciuto la stima e la considerazione<br />
degli amministratori con i quali ha sempre<br />
concertato una politica di collaborazione per<br />
valorizzare l’inestimabile patrimonio archeologico<br />
presente nel Cilento. Antonella è stata per 20<br />
anni l’anima degli scavi di Elea-Velia, l’ideatrice<br />
<strong>del</strong> Parco <strong>Archeologico</strong>, l’attenta custode dei siti<br />
archeologici cilentani, da Agropoli a Sapri.<br />
- 151 -<br />
Al primo posto la salvaguardia <strong>del</strong> Cilento!<br />
Era una forza <strong>del</strong>la natura, la sua straordinaria<br />
vitalità era pari alla sua professionalità, al suo<br />
rigore scientifico; a lei si devono gli studi sulla<br />
fase arcaica di Agropoli, sulla necropoli di S.<br />
Marco di Castellabate, sull’abitato lucano di<br />
Caselle in Pittari, oltre che i numerosi approfondimenti<br />
su Velia.<br />
Era una entusiasta che infondeva entusiasmo,<br />
un paladino <strong>del</strong>la tutela instancabile, un vulcano<br />
di iniziative e di idee. Era una persona speciale!<br />
Il suo sorriso e la luce che brillava nei suoi occhi<br />
sono indimenticabili. Ci lascia in eredità un tesoro<br />
come Velia, la rete dei piccoli Musei <strong>del</strong><br />
Cilento, da Roccagloriosa a Palinuro, e i siti da<br />
Moio <strong>del</strong>la Civitella a Policastro a Caselle in<br />
Pittari, ma soprattutto resteranno come punto di<br />
riferimento la sua tenacia, la sua intelligenza e<br />
la sua capacità di non dimenticare mai il valore<br />
<strong>del</strong>l’amicizia e <strong>del</strong>l’amore verso gli altri.
Finito di stampare<br />
nel mese Novembre 2007<br />
da Arti Grafiche Sud, Salerno