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SALTERNUM<br />

SEMESTRALE DI INFORMAZIONE STORICA, CULTURALE E ARCHEOLOGICA<br />

A CURA DEL GRUPPO ARCHEOLOGICO SALERNITANO


REG. TRIB. DI SALERNO<br />

N. 998 DEL 31/10/1997<br />

ANNO XIV - NUMERO 24-25<br />

GENNAIO/DICEMBRE 2010


Quest’anno la rivista si è particolarmente arricchita.<br />

E questo grazie alla lungimiranza ed<br />

alla generosità <strong>del</strong>l’ultimo Soprintendente ai Beni<br />

archeologici, dottoressa Maria Luisa Nava - che certo<br />

rimpiangeremo - che ha compreso l’unicità <strong>del</strong> discorso<br />

culturale sul territorio e, sulla base di un accordo<br />

verbale, ha fatto sì che su ‘Sal(t)ernum’ apparisse uno<br />

‘speciale’ intitolato ‘Notizie dagli scavi’. Qualcosa di<br />

simile, ma in forma meno ampia, era già uscito nei<br />

numeri scorsi, ma si riferiva quasi esclusivamente al<br />

territorio foggiano; ora, invece, si parla dei lavori di<br />

scavo nella zona di competenza <strong>del</strong>la locale<br />

Soprintendenza. In pratica, la dottoressa Nava ha dato<br />

incarico ad una sua collaboratrice di raccogliere le relazioni<br />

dei giovani archeologi scientificamente responsabili<br />

di alcuni scavi condotti a Salerno e nelle immediate<br />

vicinanze, particolarmente interessanti per la storia<br />

<strong>del</strong>la nostra città, e di farli pubblicare su<br />

‘Sal(t)ernum’. Questo, per ottenere un doppio beneficio:<br />

per noi, di poter avere notizie di prima mano sui reperti<br />

ed accrescere così le nostre conoscenze storiche; per<br />

le Istituzioni (Soprintendenza ed Università) di rendere<br />

subito noto il lavoro dei nostri giovani archeologi, lavoro<br />

che spesso non viene presentato al pubblico prima di<br />

qualche decennio, o non viene presentato affatto, con il<br />

rischio, per le Istituzioni, di non stabilire un contatto<br />

interattivo con la Società dei cittadini.<br />

Un caro amico che non c’è più, Nicola Fierro, ci ha<br />

lasciato, come estremo contributo, il racconto di un<br />

GABRIELLA D’HENRY<br />

Editoriale<br />

- 3 -<br />

oscuro episodio di lotta tra poteri nell’ambito <strong>del</strong><br />

Medioevo, maturato in Campania con il punto di riferimento<br />

a Capaccio, con un seguito di lutti ed orrori.<br />

Di un altro caro amico che non c’è più, il compianto<br />

Werner Johannowsky, già Soprintendente ai Beni<br />

Archeologici di Salerno, pubblichiamo un ricordo da<br />

parte di un collega che lo conosceva fin da ragazzo.<br />

Nella Rivista possiamo trovare, inoltre, un importante<br />

studio di Maurizio Gualtieri, <strong>del</strong>l’Università di<br />

Alberta (Canada), a proposito di un’iscrizione osca su<br />

bronzo rinvenuta negli scavi di Roccagloriosa, nel<br />

Cilento, contenente alcune prescrizioni di carattere<br />

istituzionale. Un quadro <strong>del</strong>la Campania antica dal<br />

punto di vista letterario è dovuto alla penna di<br />

Francesco Montone e per quanto riguarda l’età tardoantica,<br />

il Socio <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong><br />

Pietro Crivelli ci offre una vivace descrizione <strong>del</strong>la<br />

poliedrica personalità <strong>del</strong>l’Imperatore Giustiniano.<br />

A proposito di periodi più recenti, volentieri pubblichiamo<br />

tre studi sul fenomeno <strong>del</strong>le chiese rupestri,<br />

così frequenti nell’Italia meridionale, i cui autori sono<br />

Adriano Caffaro, Claudio Armenise ed Aurelia<br />

Daniela Rana, ed una scheda tecnica sullo stato di<br />

conservazione <strong>del</strong>le pitture di due chiese salernitane,<br />

da parte di Maria Amoruso.<br />

Non manca, infine, il racconto di viaggio di<br />

Rosalba Truono, che questa volta ci parla <strong>del</strong>la Cina e<br />

<strong>del</strong>le schiere di armati in terracotta che vigilano<br />

sull’Imperatore Qin Shihuang.


- 4 -


In ricordo <strong>del</strong> nostro Fondatore,<br />

Nicola Fierro<br />

«Se le ingiurie <strong>del</strong> fato ci hanno privi<br />

di tanti meravigliosi edifizi,<br />

ci hanno però lasciato una brama ardente<br />

di considerarne ogni avanzo e di scoprirlo.<br />

Quindi apriamo spaziosamente la terra desiderosi<br />

di ritrovare in quella le sepolte magneficenze,<br />

e ritrovandole con gioia le contempliamo, temperata<br />

di mestizia per la dolce memoria».<br />

Ogni qualvolta rileggo questi versi di<br />

Alessandro Verri 1 , il mio pensiero va al<br />

prof. Nicola Fierro, Ispettore onorario<br />

<strong>del</strong>la Soprintendenza archeologica di Salerno e<br />

Avellino, fondatore <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong> e<br />

<strong>del</strong>la sua Rivista di Informazione storica, culturale e<br />

archeologica, ‘Sal(t)ernum’.<br />

L’amico Nicola, il compagno di tante campagne<br />

archeologiche, ci ha lasciato un anno fa, il 30 ottobre<br />

<strong>del</strong> 2009, in silenzio, con grande dignità, com’era suo<br />

costume, per far ritorno alla casa <strong>del</strong> Signore e, nel rito<br />

<strong>del</strong>la sepoltura, alla terra natia, la sua Bisaccia. Un<br />

ritorno da lui stesso voluto nella nobile patria irpina,<br />

che tante volte l’aveva visto difensore <strong>del</strong>la sua memoria<br />

storica. Quella memoria che si nasconde in profonde<br />

stratificazioni, a testimonianza di un glorioso passato<br />

sannita, ancora oggi vivo nel cuore di tante comunità,<br />

rese sensibili dall’operato di questo valente studioso.<br />

Il castello ducale di Bisaccia, oggi sede <strong>del</strong><br />

Museo Civico <strong>Archeologico</strong>, il cui recupero e la nuova<br />

destinazione d’uso erano stati voluti dalla determinazione<br />

e dalla tenacia di Nicola, possono oggi custodire<br />

i reperti rinvenuti durante le numerose campagne di<br />

ricognizioni e di scavo fatte in quel territorio, a cui egli<br />

stesso era chiamato a partecipare a seguito <strong>del</strong>le sue<br />

segnalazioni alle Autorità competenti.<br />

Anche per queste sue illuminate operazioni per la<br />

tutela e la valorizzazione dei Beni culturali, i Bisaccesi<br />

FELICE PASTORE<br />

- 5 -<br />

possono essere orgogliosi di aver avuto come concittadino<br />

Nicola Fierro: con il suo attaccamento alle radici<br />

dei suoi avi sanniti ha fatto conoscere loro la storia<br />

<strong>del</strong> territorio e li ha fatti riappropriare <strong>del</strong>la loro identità.<br />

Avevo conosciuto Nicola Fierro a Salerno, un<br />

pomeriggio di parecchio tempo fa, negli anni Novanta<br />

<strong>del</strong> secolo scorso. Ero da poco rientrato a Salerno<br />

dopo una lunga permanenza a Milano per impegni di<br />

lavoro. Conoscevo poche persone e una di loro una<br />

sera mi aveva portato al Club Alpino Italiano - sezione<br />

di Salerno, allora sede comune <strong>del</strong> neonato <strong>Gruppo</strong><br />

<strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>. Si teneva una Conferenza sulla<br />

città oraziana di Venosa, preparazione a un viaggio di<br />

studio in quella città, che poi facemmo insieme.<br />

Quando il mio sguardo si incrociò con quello di<br />

Nicola, capii subito che si trattava di una persona preparata<br />

e sensibile. Una persona che in quel momento<br />

si stava emozionando e provava le mie stesse sensazioni.<br />

Alla fine di quella serata un amico comune ci presentò:<br />

«il prof. Fierro, Fondatore <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong><br />

<strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>». Una stretta di mano di conoscenza<br />

e nacque subito una reciproca simpatia.<br />

Eravamo entrambi degli appassionati di archeologia e<br />

ripercorrere le strade <strong>del</strong>la storia ci affascinava.<br />

Trovammo subito un’intesa perfetta su come procedere<br />

nelle ricognizioni, che iniziammo presto a fare<br />

insieme all’amico Pietro Crivelli. Scegliemmo come<br />

campo d’azione la via Regio-Capuam e concentrammo<br />

la nostra attenzione su cinque stationes romane: Ad<br />

Silarum, Nares Lucanae, Acerronia, Forum Annii,<br />

Marcelliana. Così iniziarono gli studi <strong>del</strong> progetto A<br />

Silaro ad Marcellianum, ampliato poi, quando fui nominato<br />

direttore <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>,<br />

in quello più ampio, dal titolo L’archeodromo <strong>del</strong>la<br />

Campania meridionale (antica Lucania), oggi pubblicato<br />

sul sito web <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong> 2 e


che fu oggetto di una mostra fotografica con catalogo<br />

3 . Eravamo diventati praticamente inseparabili e fu<br />

proprio grazie anche ad una sua segnalazione ad un<br />

Funzionario <strong>del</strong>la Soprintendenza di Salerno che fui<br />

poi nominato Ispettore onorario <strong>del</strong> Ministero<br />

MI.BAC per la zona Monti Alburni - Vallo di Diano.<br />

La nostra amicizia era riuscita anche ad accomunarci<br />

nelle cariche di volontariato: entrambi Ispettori<br />

onorari, entrambi Direttori - lui tecnico, io amministrativo<br />

- <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>.<br />

La mattina dei fine settimana partivamo per ritrovare<br />

le ‘sepolte magneficenze’ <strong>del</strong>la via Regio-Capuam.<br />

Guardavo Nicola negli occhi: erano pieni di gioia;<br />

erano occhi che guardavano dappertutto, scrutavano<br />

ogni particolare che affiorava sul terreno, desiderosi di<br />

ritrovare qualche indizio che permettesse di ricostruire<br />

la storia di questo o quel posto. «Chi aveva costruito<br />

questa via? Marco Aquilio Gallo, Lucio Popilio<br />

Lenate, oppure i due Tito Annio, Lusco o Rufo?». Da<br />

queste domande, le sue ipotesi di come si dovesse<br />

chiamare questa strada: Via Aquilia, Popilia o Annia.<br />

Alla fine, forte di due documenti epigrafici, la chiamò<br />

‘via Appia-Annia’ 4 , quasi a voler fondere insieme le<br />

due ‘creature’ oggetto dei suoi studi.<br />

A ogni ricognizione recitavamo quei versi citati all’inizio…<br />

Nicola era desideroso e speranzoso di ritrovare,<br />

in quelle escursioni <strong>del</strong> sabato o <strong>del</strong>la domenica<br />

mattina, le «sepolte magneficenze». Un giorno, alle Nares<br />

Lucanae, quelle «magneficenze» le abbiamo ritrovate.<br />

Quella volta eravamo in quattro, con noi c’era anche la<br />

dott.ssa A<strong>del</strong>e Lagi, Ispettrice <strong>del</strong>la Soprintendenza<br />

Archeologica di Salerno. Eravamo andati a Zuppino,<br />

frazione di Sicignano degli Alburni, per prendere visione,<br />

in località Casali, di uno sterro fatto in un terreno<br />

privato, sbancato dalle ruspe per la costruzione di un<br />

nuovo fabbricato. Quel posto l’avevamo già indicato<br />

quale probabile luogo <strong>del</strong>la statio Nares Lucanae, ma non<br />

avevamo nessuna prova, se non un rinvenimento<br />

casuale fatto nel 1929 nello stesso luogo a seguito di<br />

lavori per portare l’acqua alla Stazione ferroviaria di<br />

Sicignano degli Alburni. Le Nares Lucanae erano importanti<br />

nell’economia <strong>del</strong>la strada e per questo erano state<br />

scelte per una sosta forzata da Cicerone in quel lontano<br />

8 aprile <strong>del</strong> 58 a. C. quando dovette scappare da<br />

Roma per ragioni politiche; lo stesso Cicerone le cita in<br />

SALTERNUM<br />

- 6 -<br />

un’accorata lettera all’amico Attico 5 . Le Nares erano<br />

state anche la sosta <strong>del</strong> bivacco di Spartaco durante la<br />

rivolta servile <strong>del</strong> 73 a. C., prima di arrivare a Forum<br />

Annii, l’attuale Polla, anch’essa citata nelle fonti scritte 6 .<br />

La scoperta che facemmo quel pomeriggio fu eccezionale<br />

perché ci permise di confermare la nostra ipotesi<br />

sull’ubicazione <strong>del</strong>le Nares Lucanae, che, dalla radice<br />

arcaica NAHAR, NAR, NER (corso d’acqua, fiume),<br />

significa ‘luogo ove abbondano acque sorgive’, come è<br />

ancora oggi di quel territorio. Sotto un cumulo di pietre<br />

furono rinvenuti due cippi funerari di II sec. d. C.,<br />

appartenuti uno ad un arcario, ovvero un esattore <strong>del</strong>le<br />

tasse, di nome Marco Mulusio Iuliano 7 , e l’altro ad uno<br />

schiavo, Ilarione, sposato a una certa Fallusa 8 . Due<br />

testimonianze che «…contemplammo con gioia, temperata di<br />

mestizia per la dolce memoria». Quel pomeriggio capimmo<br />

che avevamo concluso un percorso per il recupero di<br />

una identità storica: l’arcario poteva essere presente<br />

solo nelle mansiones e non nelle mutationes; le Nares,<br />

dunque, erano state senza dubbio una mansio. Quel<br />

giorno avevamo ridato ai cittadini di Zuppino e<br />

Sicignano degli Alburni quell’identità storica che cercavano<br />

sui loro antenati. Quei due cippi, affidati al proprietario<br />

<strong>del</strong> terreno e da lui mal custoditi, purtroppo<br />

scomparvero quasi subito e non ne abbiamo saputo<br />

più nulla.<br />

Ho voluto citare questa scoperta, tra le tante fatte da<br />

Nicola Fierro, perché ritengo che sia la più significativa<br />

per il <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>, ma grazie alla<br />

sua guida capace e intelligente molte altre scoperte sono<br />

state portate a termine e meglio conservate. Nell’Alta<br />

Irpinia, Bisaccia e la via Appia debbono a lui i rinvenimenti<br />

più esaltanti, a seguito <strong>del</strong>le preziose campagne di<br />

scavo egregiamente condotte dal compianto Gianni<br />

Bailo Modesti; alle sue molteplici segnalazioni, spesso<br />

pubblicate, si debbano tanti rinvenimenti e altrettanti<br />

vincoli disposti dalle Soprintendenze.<br />

Nicola Fierro non sarà una ‘sentinella dimenticata’<br />

- come è stato scritto 9 - ma un ‘segnacolo’, vigile e<br />

saldo nel nostro territorio; noi tutti, che abbiamo tratto<br />

dai suoi studi un valido insegnamento, fatto di<br />

amore e di dedizione per la ricerca <strong>del</strong>la verità storica,<br />

continueremo su quelle stesse strade; idealmente pensiamo<br />

che, da Lassù, lui le percorrerà insieme a noi,<br />

guidandoci nella nostra azione di volontariato.


Note<br />

1 VERRI A., Le notti romane, 1804: le tombe <strong>del</strong>la<br />

via Appia in Via Appia, sulle ruine <strong>del</strong>la<br />

Magnificenza antica, 1997, Guida alla Mostra,<br />

Roma, Palazzo Ruspoli.<br />

2 http://www.gruppoarcheologicosalernitano.org/ricerca_scientifica.html.<br />

3 Archeodromo <strong>del</strong>la Campania meridionale (anti-<br />

FELICE PASTORE<br />

ca Lucania), Catalogo <strong>del</strong>la Mostra, a cura<br />

<strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>,<br />

Salerno 1999.<br />

4 CIL, VI 31338a (= ILS, I, 452), anno 214<br />

d. C.; CIL, VI, 31370.<br />

5 Cicero, Epistula III ad Atticum, 3,2.<br />

6 Sallustius, Historiae, libro III, fr. 98 B (ed.<br />

Bibliografia principale di Nicola Fierro<br />

La Via Appia da Benevento a Canosa nella<br />

Satira di Orazio, in “Rassegna Storica<br />

Irpina”, nn. 13-14, 1999.<br />

Aquilonia in Hirpinis - Lacedonia in età sannitica<br />

e romana, Progetto culturale a cura <strong>del</strong><br />

<strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> Akudunnia dei<br />

Gruppi Archeologici d’Italia, diretto da<br />

Michele Miscia, Lacedonia 2000.<br />

Gli Stati tribali irpini in epoca sannitica e romana,<br />

in “Rassegna Storica Irpina”, 1992, pp. 1-31.<br />

Le guerre sannitiche e gli Irpini, a cura <strong>del</strong> Circolo<br />

‘La Torre’- Bisaccia (AV), Agenzia di stampa<br />

«La Via Lattea» - Roma, 1991, pp. 1-79.<br />

Il castello di Bisaccia, in “La Torre”, 1995.<br />

Amina, Marcina e Salernum nella Campania<br />

antica, Supplemento di “Salternum”, anno<br />

III, nn. 3-4, 1999, a cura <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong><br />

<strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>.<br />

La transumanza, in “La Torre”, 1-2-3, 2003.<br />

Ha collaborato con le Riviste:<br />

“Il Postiglione”, a cura <strong>del</strong>l’Arci-Postiglione;<br />

“l’Eco di Andretta”, Periodico socio-culturale<br />

e di informazione, Pro Loco di Andretta<br />

- 7 -<br />

Maurenbrecher).<br />

7 FIERRO N. 1966, Volcei e le Nares<br />

Lucanae, in ‘Il Postiglione’, a. VIII, n. 9, pp.<br />

5-36.<br />

8 Ibidem.<br />

9 La Memoria, in “Il Mattino”, 2/11/2009.<br />

(AV); “Rassegna Storica Irpina”; “Rassegna<br />

Storica Salernitana”; “Salternum”, Semestrale<br />

di Informazione storica, culturale e archeologica,<br />

a cura <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong><br />

<strong>Salernitano</strong>; “Vicum”, Periodico trimestrale<br />

<strong>del</strong>l’Associazione P. S. Mancini - Trevico<br />

(AV).<br />

E’ stato Consulente scientifico nel Catalogo<br />

<strong>del</strong>la Mostra L’Archeodromo <strong>del</strong>la Campania<br />

meridionale (antica Lucania), a cura <strong>del</strong><br />

<strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>, Giffoni<br />

Valle Piana (SA), 1999.


- 8 -


Il papa Innocenzo IV, dopo la sua destituzione<br />

decretata il 17 luglio 1245 nel Concilio di<br />

Lione, aveva scatenato contro Federico II una<br />

campagna denigratoria in tutti i luoghi di culto: efficaci<br />

strumenti di propaganda erano gli ordini religiosi e,<br />

in particolare, preti e frati mendicanti. Nel Settembre<br />

1245, l’Imperatore era passato al contrattacco. Per far<br />

fronte alle continue spese di guerra aveva convocato<br />

una Dieta a Parma, dove aveva imposto pesanti tasse.<br />

Intanto il Papa sparpagliava nel Regno i più fanatici<br />

frati mendicanti a predicare contro lo scomunicato<br />

Federico, che veniva dipinto come «dispregiatore <strong>del</strong>la<br />

fede cristiana e persecutore <strong>del</strong>la Chiesa».<br />

L’Imperatore reagì energicamente: per far dispetto<br />

al Papa aveva ordinato di non perseguitare più gli eretici<br />

(fatto insolito e sorprendente) e si era scagliato<br />

contro tutti i preti che si rifiutavano di celebrare i servizi<br />

religiosi nel Regno. Per stroncare l’intensa propaganda<br />

papalina aveva adottato anche drastiche misure<br />

di sicurezza e di polizia: aveva decretato di allontanare<br />

dal Regno frati e monaci considerati spie nemiche e<br />

sobillatori, aveva ordinato di ignorare la scomunica e il<br />

provvedimento <strong>del</strong> Concilio con il quale era stato<br />

deposto come Imperatore.<br />

In questa situazione Federico aveva deciso di attaccare<br />

di nuovo Milano e tutti i suoi alleati. Era una guerra<br />

dura, costosa e senza quartiere. Il 4 Novembre 1245,<br />

lungo le sponde <strong>del</strong> Ticino, l’esercito imperiale fu<br />

respinto dalle truppe milanesi, comandate da Gregorio<br />

di Montelongo, legato pontificio. Questi aveva creato in<br />

Parma un forte nucleo <strong>del</strong> partito guelfo e ora animava<br />

l’opposizione e la resistenza dei Comuni lombardi contro<br />

l’Imperatore. Proprio in quei giorni, Enzo, il figlio<br />

<strong>del</strong>l’Imperatore, aveva affrontato il nemico a<br />

Gorgonzola, presso Bergamo, ma nella confusione<br />

generale era caduto prigioniero. Per sua fortuna non fu<br />

riconosciuto e fu liberato nello scambio dei prigionieri.<br />

NICOLA FIERRO<br />

La congiura di Capaccio<br />

- 9 -<br />

Federico, da Parma, aveva preso misure per evitare<br />

la defezione di Reggio ed era partito per una spedizione<br />

‘punitiva’ contro Milano; non essendo riuscito<br />

a prendere contatto con l’esercito milanese, esasperato<br />

per una guerra inconcludente, si era trasferito<br />

a Grosseto per svernare in Maremma. Qui poteva<br />

praticare il suo sport preferito (la caccia) e tenere<br />

anche sotto controllo militare tutta la Toscana.<br />

L’Imperatore intanto si era accorto di alcune<br />

irregolarità amministrative e <strong>del</strong>la corruzione di vari<br />

funzionari. Adottò subito un provvedimento drastico:<br />

depose Pandolfo di Fasanella che da anni ricopriva<br />

la carica di capitano generale <strong>del</strong>la Toscana e,<br />

al suo posto, nominò Federico d’Antiochia, figlio<br />

illegittimo, che prese subito il titolo di re di<br />

Toscana. Aveva venti anni. Il giovane molto abile,<br />

energico e prudente, era in grado di tenere sotto<br />

controllo la difficile situazione in Toscana.<br />

Guerriero valoroso e poeta, autore di varie canzoni,<br />

aveva un carattere amabile e gentile. Non si sapeva<br />

nulla <strong>del</strong>la madre di Federico d’Antiochia, ma si<br />

affermava che fosse figlio di una sorella <strong>del</strong> sultano<br />

Al Kamil, amico <strong>del</strong>l’Imperatore. Il deposto<br />

Pandolfo Fasanella, che l’anno precedente aveva<br />

operato in Toscana con Orlando de’ Rossi, podestà<br />

di Firenze, rimase a disposizione <strong>del</strong>l’Imperatore.<br />

Enzo, figlio legittimo di Federico II, invece, si era<br />

recato a Cremona, «capitale e fondamento<br />

<strong>del</strong>l’Impero» (caput et fundamentum imperii).<br />

Federico, mentre si trovava a caccia, ebbe una cattiva<br />

notizia: nel Marzo 1246 arrivò a Grosseto un corriere,<br />

inviato da Riccardo di Sanseverino, conte di<br />

Caserta, che gli comunicò che era in corso una congiura<br />

ordita dal papa Innocenzo IV. L’avviso era giunto<br />

proprio all’ultima ora: il giorno di Pasqua, avrebbero<br />

dovuto essere assassinati l’Imperatore, il figlio Enzo e<br />

il terribile Ezzelino.


Federico II cadde in una momentanea depressione:<br />

pensava di non meritare una sorte <strong>del</strong> genere 1 . La notizia<br />

<strong>del</strong> complotto, con tutti i dettagli <strong>del</strong>l’esecuzione,<br />

era stata data a Riccardo Sanseverino da Giovanni da<br />

Presenzano, un congiurato pentito.<br />

La notizia, annunziata da Riccardo, genero<br />

all’Imperatore 2 , trovò immediata conferma nella fuga<br />

di alcuni complici. I cospiratori erano nobili e alti funzionari<br />

<strong>del</strong> Regno. I congiurati Pandolfo e Matteo<br />

Fasanella, Roberto e Guglielmo di Marzano, Giacomo<br />

e Goffredo di Morra, insieme con altri presenti nella<br />

corte imperiale, fuggirono precipitosamente riparando<br />

a Roma, presso la Corte Pontificia 3 .<br />

Promotore e mente <strong>del</strong>la congiura era Innocenzo<br />

IV. Le prove circostanziali erano la fuga dei congiurati<br />

riparati presso la Corte pontificia e le confessioni dei<br />

ribelli prima di essere giustiziati e i diplomi originali<br />

inviati dal Papa trovati nel castello di Capaccio dopo la<br />

resa dei congiurati. In questo folle tentativo di far<br />

assassinare l’Imperatore, il Pontefice era sostenuto dai<br />

pochi cardinali rimasti a Roma, fra cui si distingueva il<br />

fanatico Ranieri di Viterbo.<br />

Nel Settembre <strong>del</strong> 1245, Federico già aveva scoperto<br />

i primi segni premonitori <strong>del</strong>la congiura. Nel<br />

Convento di Fontevivo, presso Parma, erano stati rinvenuti<br />

alcuni documenti da cui risultava un complotto<br />

diretto ad assassinare l’imperatore e il figlio Enzo. Il<br />

complotto era stato ideato a Parma, città che stava per<br />

tradirlo.<br />

Federico per impedire questa defezione, recatosi a<br />

Parma in tutta fretta, scoprì con sua sorpresa che<br />

Orlando de’ Rossi, cognato <strong>del</strong> Papa, uno dei suoi<br />

migliori partigiani, era fuggito con un certo numero di<br />

cavalieri guelfi e aveva preso la via di Piacenza e<br />

Milano. Era il primo segnale <strong>del</strong> tradimento.<br />

Questo personaggio, noto in tutta l’Italia settentrionale,<br />

era molto vicino all’Imperatore: aveva ricoperto<br />

più volte la carica di podestà in città imperiali come<br />

Siena e Firenze. Federico aveva nominato podestà il<br />

cognato <strong>del</strong> Papa perché sperava di concludere le trattative<br />

di pace allora in corso.<br />

Ernest Kantorovicz scrive in proposito: «Il gioco<br />

fallì questa volta perché, invece di essere Orlando a<br />

guadagnargli il papa, fu il papa a fare un guelfo <strong>del</strong><br />

cognato». Orlando de’ Rossi era anche un guerriero<br />

terribile capace di far roteare a dritta e a manca la sua<br />

mazza ferrata: la sua presenza in campo di battaglia<br />

atterriva e metteva in fuga i suoi nemici.<br />

SALTERNUM<br />

- 10 -<br />

La congiura era stata organizzata materialmente<br />

proprio da Bernardo Orlando de’ Rossi di Parma, che<br />

aveva sposato una sorella <strong>del</strong> Papa; questo personaggio,<br />

già sostenitore di Federico, dopo la scomunica<br />

comminata a quest’ultimo, era passato dalla parte <strong>del</strong><br />

cognato, Innocenzo IV; in veste di podestà di Firenze,<br />

aveva coinvolto nella congiura Pandolfo Fasanella,<br />

podestà di Novara, e Teobaldo Francesco, vicario<br />

generale <strong>del</strong>la Marca trevigiana, il quale, per la sua<br />

posizione nella pubblica amministrazione, era considerato<br />

il capo dei congiurati.<br />

Appena ebbe la notizia che il complotto era fallito,<br />

Teobaldo, che era in contatto con Andrea de’ Cicala,<br />

capitano di Sicilia, con Ruggero de’ Amicis e con il<br />

poeta Giacomo Morra, fuggì precipitosamente. I congiurati<br />

erano persone che godevano la fiducia e la<br />

stima di Federico e perciò governavano le province<br />

più importanti.<br />

I promotori <strong>del</strong> piano criminale erano proprio i<br />

personaggi di corte più vicini all’Imperatore (erano le<br />

persone di cui Federico si fidava di più) e che si erano<br />

fatte irretire e corrompere dalle promesse mirabolanti<br />

<strong>del</strong> Papa.<br />

La scoperta <strong>del</strong>la congiura fu un brutto colpo per<br />

l’Imperatore: i congiurati erano persone che egli riteneva<br />

degne <strong>del</strong>la sua massima fiducia, erano amici intimi<br />

che sedevano alla sua stessa tavola, che conversavano<br />

con lui nelle sale <strong>del</strong>la corte, che conoscevano i<br />

suoi segreti, che partecipavano alle feste e alle danze di<br />

corte. Federico definì quei rinnegati, che avevano ordito<br />

la congiura, «parricidi, figliastri, omuncoli miserabili,<br />

animali inferiori, dotati solo d’istinto bestiale».<br />

Chi erano i cospiratori? Erano tutti nobili e alti<br />

funzionari <strong>del</strong> regno, i quali, dopo il Concilio <strong>del</strong> 1245,<br />

si erano orientati verso la politica pontificia. In primo<br />

luogo avevano aderito alla congiura i Sanseverino,<br />

discendenti di una famiglia, che, sorta e glorificata<br />

sotto la dinastia normanna, avevano ereditato la devota<br />

sudditanza al Papa e l’odio atavico contro<br />

l’Imperatore.<br />

I principali congiurati erano, come abbiamo accennato,<br />

i più alti funzionari di corte: Pandolfo Fasanella,<br />

podestà imperiale a Novara nel 1238 e vicario generale<br />

<strong>del</strong>la Toscana dal 1240 al Febbraio 1246, che poco<br />

tempo prima era stato deposto dall’Imperatore dalla<br />

prestigiosa carica, a causa di accertate corruzioni e<br />

irregolarità amministrative; Teobaldo Francesco,<br />

podestà di Parma, cui era stato promesso il Regno


<strong>del</strong>la Sicilia. Due famiglie strettamente imparentate 4 , i<br />

Fasanella e i Francesco, costituivano il nucleo principale<br />

<strong>del</strong>la congiura. Del casato Fasanella erano implicati<br />

Pandolfo, Riccardo, Gilberto, Roberto, Matteo,<br />

Tommaso; <strong>del</strong>la famiglia Francesco: Teobaldo,<br />

Riccardo, Guglielmo, Matteo e Demetrio. I due fratelli<br />

Pandolfo e Riccardo Fasanella avevano sposato due<br />

sorelle Francesco: Pandolfo Fasanella aveva sposato<br />

Alessandra Francesco e Riccardo aveva impalmato la<br />

sorella minore di Alessandra. Secondo un cronista<br />

arabo 5 , ai tre cospiratori più vicini a Federico II furono<br />

promessi premi consistenti: a Teobaldo Francesco<br />

la Toscana, a Pandolfo Fasanella la Puglia, a Giacomo<br />

Morra la Sicilia. Ma secondo gli Annali Piacentini 6 , a<br />

Teobaldo il Papa aveva promesso, invece, il regno di<br />

Sicilia.<br />

I cospiratori avevano i feudi quasi tutti nel<br />

Principato. Oltre i Sanseverino, avevano aderito alla<br />

congiura alti funzionari e potenti baroni <strong>del</strong> Regno:<br />

Ruggero de Morra e i suoi fratelli Goffredo e<br />

Giacomo 7 ; Andrea de’ Cicala, capitano e maestro giustiziere<br />

(capitaneus et magister iustitiarius); Bartolomeo de<br />

Alicio 8 , che aveva feudi in Terra di Gifoni; Ruggero de<br />

Amicis, alto funzionario imperiale in Sicilia, marito di<br />

Mabilia de Amicis 9 ; Riccardo di Bisaccia 10 (Riccardo de<br />

Bisaciis), che era signore anche <strong>del</strong> feudo di Castel<br />

Labello (oggi Lavello); Francesco I, che era feudatario<br />

di Monteforte 11 ; Guglielmo da Caggiano 12 che aveva i<br />

feudi di Caggiano, Sant’Angelo e Salvitelle, in provincia<br />

di Salerno; Giovanni Capece, titolare di beni vicino<br />

Capua; Francesco, Ottone (o Oddone) e Riccardo de<br />

Laviano che avevano beni nella Campania nord-orientale;<br />

Enrico, Nicola e Tommaso de Lettera nel tenimento<br />

di Castellammare; Riccardo di Montefuscolo (oggi<br />

Montefusco); Bartolomeo de Tegora 13 (oggi Teora), che<br />

aveva beni presso Calitri; Andrea de’ Cicala che aveva<br />

un possedimento nel territorio di Nola; Tommaso<br />

Saponara, che forse aveva beni nel circondario di<br />

Potenza; Gisulfo de Maina (oggi Villamaina).<br />

Parteciparono alla congiura anche due feudatari calabresi:<br />

Ruggero de Amicis e Pietro de Luzzi. Il primo,<br />

nobile messinese, uno dei funzionari più in vista <strong>del</strong>la<br />

corte di Federico, fu prima giustiziere e successivamente<br />

capitano o gran giustiziere di Sicilia 14 . Federico II,<br />

per evitare che i giustizieri avessero troppo potere,<br />

aveva riunito i giustiziariati siciliani in due gruppi,<br />

ognuno dei quali era sorvegliato da un capitano o gran<br />

giustiziere. Nel continente tale incarico fu affidato ad<br />

NICOLA FIERRO<br />

- 11 -<br />

Andrea de’ Cicala e in Sicilia a Ruggero de Amicis.<br />

Ruggero, si dilettava anche di poesia: si sa che egli<br />

scambiò versi con Rinaldo d’Aquino 15 , poeta più giovane<br />

di lui e falconiere di Federico II.<br />

Nel 1240, i crociati erano sbarcati in Siria, dove,<br />

grazie alla loro proverbiale carenza di organizzazione,<br />

nel mese di Novembre subirono una severa sconfitta:<br />

Gerusalemme cadde subito nelle mani <strong>del</strong> principe<br />

musulmano Kerak, figlio <strong>del</strong> defunto Al Kamil.<br />

Federico II, che, in quel momento assediava Faenza, si<br />

mise subito in contatto con i sultani di Damasco e di<br />

Egitto per ottenere il rilascio dei prigionieri. Fu mandato<br />

in Egitto come ambasciatore proprio l’abile capitano<br />

siculo Ruggero de Amicis, con l’incarico di concludere<br />

un trattato di pace con il sultano Malek Saleh,<br />

figlio di Al Kamil, che era morto nel 1238. Al Kamil era<br />

un vecchio amico di Federico e la sua morte fu per lui<br />

una grave perdita. In una lettera scritta al re<br />

d’Inghilterra, egli asserì che se Al Kamil fosse vissuto<br />

ancora, le cose in Terrasanta sarebbero andate diversamente.<br />

Intimo di Federico II, Ruggero de Amicis fu inviato<br />

come ambasciatore e uomo di fiducia alla corte egizia<br />

al Cairo 16 .<br />

L’altro cospiratore calabrese, Pietro de Luzzi,<br />

aveva il feudo in Calabria, a Sud di Bisignano; per<br />

ordine di Federico, le sorelle di costui, insieme ad altre<br />

donne, furono messe al rogo a Napoli.<br />

Alla congiura avevano partecipato anche Elia di<br />

Gesualdo, che fu decapitato; Ruggero De Amicis,<br />

morto in carcere il 1248, e un fratello di Pandolfo<br />

Fasanella, che fu impiccato a Foggia 17 .<br />

A questi congiurati vanno aggiunti, come abbiamo<br />

detto in precedenza, i Sanserverino, i quali avevano<br />

immensi possedimenti vicino Salerno e a Sala<br />

Consilina. Un cronista guelfo - il cosiddetto<br />

Mediolanensis Anonimus -, autore degli Annali Milanesi,<br />

riferisce che i Milanesi, dopo l’accordo fatto con<br />

Teobaldo Francesco, Guglielmo Sanseverino e persino<br />

con Pier <strong>del</strong>le Vigne, avrebbero pagato una somma<br />

ingente per far assassinare a pugnalate Federico nel<br />

suo letto. L’accusa fatta dall’anonimo cronista guelfo<br />

anche al logoteta di Federico appare inverosimile.<br />

La congiura, ordita dal Papa, fu scoperta proprio<br />

da un membro <strong>del</strong>la nobile famiglia dei Sanseverino,<br />

Riccardo. Uno dei congiurati, Giovanni da<br />

Presenzano, si era pentito e aveva rivelato il complotto<br />

a Riccardo, genero di Federico; questi, per spegne-


e subito i focolai <strong>del</strong>la rivolta, rimase a guardia <strong>del</strong><br />

Regno e immediatamente inviò un corriere via mare a<br />

Grosseto che informò tempestivamente l’Imperatore<br />

<strong>del</strong>l’attentato imminente.<br />

Ma chi era questo Riccardo? Aveva sposato<br />

Violante, la figlia di Federico II. Proprio un<br />

Sanseverino, il conte di Caserta, aveva svelato la terribile<br />

congiura, in cui erano implicati anche i suoi congiunti<br />

<strong>del</strong> ramo primogenito. Per motivi dinastici, tra i<br />

due rami dei Sanseverino, infatti, non era mai corso<br />

buon sangue 18 . Riccardo era più legato alla Casa sveva<br />

che ai Sanseverino, suoi stretti parenti, in quanto aveva<br />

sposato Violante, figlia di Federico. Poteva egli consentire<br />

che il suocero, il padre di sua moglie, fosse<br />

assassinato?<br />

Tommaso e Guglielmo Sanseverino aspettavano<br />

nel Regno l’annuncio <strong>del</strong>la morte di Federico, ma,<br />

appena arrivò la notizia che la congiura era fallita, terrorizzati,<br />

si rifugiarono nel castello di Sala (Consilina) 19<br />

con le loro famiglie.<br />

L’Imperatore 20 attesta che i castelli occupati dai<br />

congiurati erano di sua proprietà:<br />

«Alcuni dei nostri sudditi – tiene a far presente<br />

l’Imperatore - sobillati dal pontefice e dai Frati Minori,<br />

che, sostenitori <strong>del</strong>la Chiesa Romana, diedero ad essi<br />

la Croce, cospirarono contro la nostra persona.<br />

Invitati a giustificarsi, non comparvero alla nostra presenza.<br />

Teobaldo Francesco e Guglielmo Sanseverino<br />

occuparono nel Regno di Sicilia due nostri Castelli,<br />

Capaccio e Sala».<br />

Anche altri congiurati - tra cui Riccardo di<br />

Bisaccia-, guidati da Teobaldo, occuparono il castello<br />

di Capaccio, posto in luogo sicuro e elevato, e si prepararono<br />

a sostenere l’attacco violento <strong>del</strong>l’Imperatore. I<br />

ribelli avevano scelto come rifugio i castelli di Sala<br />

Consilina, Altavilla Silentina e di Capaccio perché<br />

erano i migliori presidi nel Regno 21 . I principali congiurati,<br />

asserragliatisi nel castello di Capaccio, ben<br />

riforniti di viveri e d’acqua, si prepararono a subire<br />

l’attacco e l’assedio <strong>del</strong>le truppe imperiali. Sapevano<br />

che Federico non avrebbe risparmiato loro le punizioni<br />

più dure e spietate.<br />

Appena arrivata la notizia <strong>del</strong>la fallita congiura, il<br />

Pontefice, da Lione, dove si era rifugiato, inviò ai congiurati<br />

lettere di consolazione, infarcite di retorica religiosa:<br />

«Noi dal dì che fummo elevati a pastore <strong>del</strong>la<br />

Chiesa non cessammo di effondere lunghi e amari<br />

SALTERNUM<br />

- 12 -<br />

sospiri, elevando a Dio coi gemiti <strong>del</strong> cuore la nostra<br />

preghiera che si fosse degnato Egli di rendervi <strong>del</strong><br />

numero dei nostri figli.<br />

Mentre ci allieta la fiducia che per divina bontà sia<br />

dato esito salutare alle vostre angustie e a quelle di<br />

tanti altri, scongiuriamo voi tutti e v’ingiungiamo, a<br />

remissione dei vostri peccati, di voler presto inviare a<br />

Noi e ai vostri fratelli, che come Noi gemono sulla<br />

vostra afflizione, la lieta novella <strong>del</strong> vostro ritorno in<br />

seno alla santa romana Chiesa, vostra madre, di cui<br />

siete figli prediletti, sottraendovi per sempre al giogo<br />

di quell’uomo scomunicato, al quale non dovete più<br />

niente, sciolti come siete per Noi da ogni giuramento<br />

di fe<strong>del</strong>tà.<br />

Noi sempre pronti ad aiutarvi nel modo che<br />

meglio possiamo nel Signore, per procurare la vostra<br />

salvezza, ecco che vi mandiamo quegli aiuti che più<br />

sono necessari in questo momento. Ecco quello che fa<br />

d’uopo a voi che gemete sotto il torchio di pene e di<br />

dolori, voi che vi dolete perché le continue esazioni<br />

sminuiscono le vostre sostanze. Ormai vi è noto che<br />

cosa Noi vi promettiamo. Pensate a far cadere dal<br />

vostro collo la catena <strong>del</strong> servaggio perché possiate<br />

rifiorire nel gaudio <strong>del</strong>la libertà e <strong>del</strong>la pace» 22 .<br />

«Iddio vi ha irradiati con lo splendore <strong>del</strong> suo<br />

volto, sottraendo le vostre persone al giogo <strong>del</strong><br />

Faraone […]. Voi dunque da satelliti <strong>del</strong>l’empio tiranno,<br />

divenuti lottatori <strong>del</strong> Cristo Signore, procurate con<br />

costanza e animo indefesso di rendere il vostro nome<br />

più glorioso innanzi alle genti, nella ferma fiducia che<br />

se la virtù <strong>del</strong>l’Altissimo per mezzo vostro e con l’aiuto<br />

dei figli devoti <strong>del</strong>la Chiesa porrà fine ai gemiti di<br />

coloro che versano nel dolore e nell’afflizione, la Sede<br />

apostolica vi reputerà tra i suoi figli più cari come<br />

quelli cui rendono illustri la nobiltà <strong>del</strong> sangue e il<br />

valore <strong>del</strong>l’animo» 23 .<br />

In queste lettere, come si può notare, il Pontefice<br />

non menziona mai il nome <strong>del</strong>l’Imperatore: lo definisce<br />

con disprezzo «uomo scomunicato». Nella lettera<br />

di consolazione, inoltre, egli allude ai feudi promessi<br />

ai congiurati («Ormai vi è noto che cosa Noi vi promettiamo»);<br />

egli aveva promesso anche aiuti militari<br />

agli assediati e aveva incaricato due suoi speciali legati,<br />

il cardinale Ranieri di S. Maria in Cosmedin e il cardinale<br />

di S. Maria in Trastevere, di recare soccorso agli<br />

assediati 24 .<br />

La spedizione militare era stata preparata nel mese<br />

di Marzo. Il cardinale Ranieri, allestito un esercito, for-


mato da soldati provenienti soprattutto da Perugia e<br />

da Assisi, si apprestava a raggiungere i confini <strong>del</strong><br />

Regno per recare soccorso ai congiurati; arrivato a<br />

Spello, in Umbria, l’esercito papale fu sonoramente<br />

sconfitto da Marino di Eboli, vicario generale di<br />

Spoleto. Sul campo di battaglia rimasero uccisi molti<br />

soldati papalini e oltre cinquemila soldati, catturati,<br />

furono gettati nelle prigioni 25 .<br />

Fallita la prima spedizione, il Papa volle tentarne una<br />

seconda, ma anche questa finì miseramente 26 . I rivoltosi,<br />

intanto, si erano rifugiati nei castelli di Sala Consilina,<br />

Altavilla Silentina e Capaccio 27 . L’imperatore, a marce<br />

forzate, accorse immediatamente dalla Toscana («La<br />

pupilla <strong>del</strong> nostro occhio non deve essere offesa!»),<br />

dopo aver assegnato a Riccardo Sanseverino, suo genero,<br />

l’incarico di espugnare il castello di Sala Consilina; gli<br />

abitanti, rimasti fe<strong>del</strong>i a Federico, ancor prima <strong>del</strong> suo<br />

arrivo avevano già assediato le rocche di Sala, Capaccio<br />

e Altavilla. Sala si arrese dopo pochi giorni. Altavilla fu<br />

presa e rasa al suolo ed i parenti dei congiurati, fino al<br />

quarto e quinto grado, furono accecati ed arsi vivi.<br />

Rimaneva da espugnare il castello di Capaccio 28 ,<br />

presso Paestum, posto in luogo elevato, nel feudo dei<br />

Sanseverino. Era l’impresa più difficile: l’Imperatore,<br />

alla guida <strong>del</strong>le sue truppe, riservò a se stesso il compito<br />

di espugnarlo, per mettere le mani sui maggiori<br />

traditori. Prima attaccò e rase al suolo il vecchio paese<br />

di Capaccio, ma subito dopo pose il suo campo nel<br />

tenimento di Giungàno, a S. Lucia. Da questa posizione<br />

diresse le operazioni d’assedio al castello. I congiurati,<br />

assediati da tutte le parti, non avevano via di<br />

scampo e tuttavia riuscirono ad opporre una resistenza<br />

lunga e tenace 29 .<br />

In una lettera così l’Imperatore descrive la situazione<br />

dei baroni ribelli:<br />

«Nella speranza di una lunga difesa, quantunque<br />

essi avessero da un lato una rupe altissima e dall’altro<br />

forti mura, quantunque non difettassero di armati e<br />

difensori, tuttavia mancavano <strong>del</strong> necessario alla vita e<br />

perfino <strong>del</strong>l’acqua. Né le cisterne potevano contenere<br />

tanta acqua da essere loro sufficiente dall’inizio <strong>del</strong>la<br />

primavera, in cui cominciarono a fortificarsi, fino a<br />

tutta l’estate; tanto più che essi ne bevevano in gran<br />

quantità per l’arsura cagionata dall’asprezza <strong>del</strong>la battaglia.<br />

Anche se il cielo avesse mandato la pioggia, che<br />

non meritavano, le acque non avrebbero potuto raccogliersi<br />

nelle cisterne perché tutti gli acquedotti erano<br />

stati distrutti dalle nostre macchine» 30 .<br />

NICOLA FIERRO<br />

- 13 -<br />

I congiurati assediati non avevano via di scampo,<br />

come attesta l’Imperatore nella seguente lettera:<br />

«Sono stati investiti con le nostre macchine con<br />

tanta veemenza che non potranno sfuggire dalle<br />

nostre mani se non col darsi da loro stessi la morte o<br />

con il precipitarsi dall’alta rupe che si innalza dalla<br />

parte <strong>del</strong> mare» 31 .<br />

L’assedio, iniziato nel mese di Aprile, durò quattro<br />

mesi, ma il 17 Luglio 1246, l’Imperatore per avere<br />

nelle mani i congiurati ordì uno stratagemma: fece<br />

entrare nel castello una donna di facili costumi, la<br />

quale tolse il tappo all’unica cisterna rimasta ancora<br />

intatta. Rimasti senza una goccia d’acqua, i congiurati,<br />

tormentati dalla sete, si arresero. Il castello fu preso e<br />

devastato: ancora oggi si possono vedere le sue mura<br />

sventrate e spettrali 32 .<br />

Nella rocca di Capaccio furono catturati Tebaldo<br />

Francesco e altri centocinquanta congiurati con i loro<br />

soldati: quaranta erano combattenti lombardi, ostaggi<br />

<strong>del</strong>l’imperatore, liberati da Tebaldo. A tutti i traditori<br />

furono cavati gli occhi, troncato il naso, le mani e le<br />

gambe. All’antico podestà di Parma, il capo più in<br />

vista <strong>del</strong>la congiura, l’Imperatore riservò un castigo<br />

particolare: dopo essere stato accecato, egli fu portato<br />

in giro in tutte le regioni, recando sulla fronte una<br />

copia di una bolla papale, trovata tra le rovine <strong>del</strong><br />

castello di Capaccio 33 . Era una bolla con cui il Papa gli<br />

aveva promesso un lauto compenso: la corona di<br />

Sicilia. La tremenda lezione inflitta a Tebaldi<br />

Francesco era diretta a ferire soprattutto l’orgoglio<br />

<strong>del</strong>la Lega Lombarda. Chi sapeva leggere, poteva leggere<br />

la bolla papale e il manifesto imperiale:<br />

«Venite, o popoli, e ammirate qual giusta vendetta<br />

ha saputo fare l’Imperatore di quelli che avevano<br />

cospirato contro la sua vita; dal supplizio di Tebaldi,<br />

qui presente, che viene portato per il mondo qual<br />

oggetto di scherno, intuite qual pena è riservata agli<br />

altri congiurati. Guardate, dunque, questo mostro di<br />

uomo, scolpitelo nelle vostre menti talché mai più se<br />

ne cancelli il ricordo, e perenne se ne tramandi ai<br />

posteri la memoria» 34 .<br />

Tutti i maggiori congiurati, caduti nelle mani<br />

<strong>del</strong>l’Imperatore, subirono sevizie e pene inaudite:<br />

furono accecati con ferri roventi, legati alle code dei<br />

cavalli, trascinati per terra, squartati o bruciati vivi. Ai<br />

congiurati più compromessi con il Papa, Federico<br />

riservò una sorte peggiore: chiusi in sacchi di cuoio,


furono gettati nelle acque di Paestum. Scrive Pandolfo<br />

Colenuccio:<br />

«I congiurati, cuciti in sacchi di cuoio e con ciascuno<br />

di loro postovi dentro un cane, una scimmia, un<br />

gallo e una vipera, furono gettati in mare acciò che privati<br />

de l’uso di tutti gli elementi, fussino ancora vivendo<br />

da quegli animali insieme inimici e per fame rabbiosi,<br />

lacerati e consunti» 35 .<br />

Il Camera nei suoi Annali così sintetizza quella<br />

drammatica vicenda:<br />

«Degli insorgenti alcuni rimasti prigionieri vennero<br />

spietatamente cuciti in sacchi di cuoio e quindi buttati<br />

a mare. Pochi si salvarono con la fuga. Circa 4 mila<br />

persone credute complici di fellonia furono arrestate e<br />

punite ed i rei principali vennero bruciati vivi e le loro<br />

mogli e figli, inviati nelle prigioni di Palermo, miseramente<br />

vi morirono di fame».<br />

A tutti i traditori che avevano aderito alla congiura,<br />

appena caduti nelle sue mani, Federico fece assaporare<br />

quanto era pesante il «martello <strong>del</strong>la sua potenza» 36 .<br />

Nel castello di Capaccio l’Imperatore recuperò<br />

ingenti somme, sottratte all’erario <strong>del</strong>lo Stato da<br />

Pandolfo Fasanella, e anche i tesori dei baroni che avevano<br />

aderito alla congiura. Anche il tesoro di<br />

Riccardo, barone di Bisaccia, cadde nelle mani<br />

<strong>del</strong>l’Imperatore. In proposito l’Imperatore scrive:<br />

«Il nostro erario non si è affatto diminuito; anzi le<br />

nostre ricchezze sono diventate più vistose. Si sono<br />

arresi nelle nostre mani con gran quantità di oggetti<br />

preziosi e di monete. Si è impinguato il cumulo <strong>del</strong>le<br />

nostre entrate, poiché sono passate a Noi tutte le rendite<br />

di cui Noi stessi prima li avevamo arricchiti» 37 .<br />

L’oro dei congiurati, dice Federico, erano il prezzo<br />

sborsato dal Papa per il vile tradimento 38 . Dopo aver<br />

catturato nel castello di Capaccio i maggiori protagonisti<br />

<strong>del</strong>la congiura, egli aggiunge alcune sue riflessioni:<br />

«Se Noi li trucidiamo come omicidi, non facciamo<br />

loro ingiustizia. Se li sbalziamo nel mare vicino perché,<br />

vivi ancora, comincino a sperimentare la mancanza di<br />

tutti gli elementi, certo non peccheremo, Noi che li<br />

nutrimmo come figli con le carezze paterne, non peccheremo,<br />

no, contro di loro che esposero i loro genitori<br />

al capestro e i propri figli al martirio. Ma finalmente<br />

è giunto ad essi il pungolo <strong>del</strong>la nostra vendetta!» 39 .<br />

Federico, dopo aver fatto demolire tutte le sale<br />

interne <strong>del</strong> castello di Capaccio, fece trasferire a<br />

Napoli tutti i congiurati, i soldati prigionieri e tutti i<br />

SALTERNUM<br />

- 14 -<br />

nobili catturati a Sala Consilina. Qui tutti furono bruciati<br />

vivi. Le donne dei congiurati, prese prigioniere<br />

nel castello di Capaccio, furono invece trasferite a<br />

Palermo, dove furono gettate nel carcere. Di lì non<br />

uscirono più 40 . Uno storico, il Fazzello 41 , attesta che le<br />

donne dei congiurati morirono di fame. Nel 1514,<br />

durante i lavori di restauro <strong>del</strong> castello di Palermo, in<br />

una grotta sotterranea furono trovati due cadaveri di<br />

quelle nobili donne: avevano i vestiti ancora intatti.<br />

Tommaso e Guglielmo Sanseverino, stando alla<br />

testimonianza di Federico, ebbero a confessare di<br />

essere stati coinvolti nella congiura direttamente dal<br />

Papa:<br />

«Essi poco prima di morire, quando vergogna sarebbe<br />

menzogna, hanno liberamente confessato innanzi a<br />

tutti che essi e tutti i loro complici non erano che mandatari<br />

<strong>del</strong>la Chiesa. Avevano agito per autorità <strong>del</strong><br />

Sommo Pontefice, il quale era l’istigatore <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto; i<br />

Frati Minori li attorniavano da ogni parte ed essi ricevettero<br />

dalle loro mani contro di Noi la Croce» 42 .<br />

Secondo Karl Hampe, il Pontefice era al corrente<br />

<strong>del</strong>la congiura perché in una lettera, datata al principio<br />

<strong>del</strong> 1242, manifestava il suo implacabile livore usando<br />

l’espressione: «Lavare le mani nel sangue <strong>del</strong> peccatore»<br />

«lavare manus in sanguine peccatoris».<br />

Non si ha notizia di quale trattamento sia stato<br />

riservato a Riccardo di Bisaccia, estensore <strong>del</strong>le<br />

Costituzioni di Melfi, ma si sa che morì nel 1248.<br />

Una cosa è certa: tutti i baroni ribelli perdettero i<br />

loro feudi. Quelli dei Fasanella, confiscati, furono<br />

assegnati a Princivallo e a Pietro di Potenza; <strong>del</strong>la<br />

potente famiglia dei Sanseverino si salvò soltanto un<br />

nipote <strong>del</strong> conte di Marsico, Ruggero, il figliuolo di<br />

Guglielmo. «Il piccirillo di nove anni», unico superstite<br />

<strong>del</strong> suo casato, era stato rinchiuso nel carcere <strong>del</strong><br />

castello di Venosa con i familiari di altri feudatari<br />

ribelli. Ma un servo dei Sanseverino, un certo<br />

Donatello di Stasio, dopo aver corrotto il carceriere,<br />

si fece consegnare e mise in salvo il piccolo Ruggiero,<br />

che, tornato a casa, riottenne poi dagli Angioini i<br />

feudi confiscati dall’Imperatore. Anche Riccardo<br />

perdette i due feudi: quello di Bisaccia e quello di<br />

Lavello. In quelle tempestose vicende, numerose<br />

famiglie di Bisaccia che risiedevano nell’antico centro<br />

abitato si erano trasferite nel feudo di Castiglione,<br />

oggi frazione di Calitri (AV).<br />

Dopo la battaglia di Benevento, quando era già<br />

caduta la dinastia sveva, Riccardo II, figlio di Ruggero


e nipote di Riccardo I, riebbe da Carlo d’Angiò il<br />

feudo di Lavello (castrum Labella) e il feudo di Bisaccia.<br />

Avendo trovato spopolato il suo feudo, egli chiese al<br />

re Carlo d’Angiò di far rientrare a Bisaccia tutte le<br />

famiglie emigrate a Castiglione in seguito agli eventi<br />

bellici <strong>del</strong> 1246.<br />

Il castello di Bisaccia, dopo la morte violenta di<br />

Riccardo I, era stato confiscato ed era divenuto proprietà<br />

di Federico. Durante la faticosa e vagabonda sua<br />

vita, l’Imperatore amava rifugiarsi nei boschi appartati<br />

e remoti per dedicarsi alla caccia, una <strong>del</strong>le sue più<br />

grandi passioni.<br />

Giovanni Villani scrive: «Fece egli il parco <strong>del</strong>l’uccellagione<br />

al Pantano di Puglia (Incoronata), e fece il<br />

parco <strong>del</strong>la caccia presso Gravina (Garagnone) e a<br />

Melfi alla Montagna (Lagopesole); e il verno stava a<br />

Foggia a uccellare, la state alla Montagna a sua diletto».<br />

In precedenza, l’Imperatore sicuramente era già<br />

stato a Bisaccia con Riccardo, il grande umanista,<br />

autore <strong>del</strong>la commedia Paolino e Polla (De Paulino et Polla<br />

libellus), dedicata proprio a Federico 43 :<br />

«Voglia gradire quest’opera Federico Cesare, diletti<br />

Sua Maestà, sia di suo gradimento. Il giudice Riccardo,<br />

alunno di gente venosina (vale a dire <strong>del</strong> poeta Orazio,<br />

nativo di Venosa), dedica quest’opera al suo genio»<br />

(«Hoc acceptet opus Fridericus Caesar, et illud / majestate<br />

iuvet atque favore suo ! / Cujus ad intuitum venusinae gentis<br />

alumnus, / judex Richardus, tale peregit opus»).<br />

L’Imperatore per questa dedica lo aveva gratificato<br />

concedendogli il feudo di Lavello, come si desume dagli<br />

atti angioini. Riccardo era un ammiratore <strong>del</strong> poeta latino<br />

Orazio Flacco. I suoi versi hanno un forte sapore di<br />

poesia oraziana: egli amava tanto il poeta di Venosa che<br />

si professava suo discepolo, alunno di gente venosina<br />

(venusinae gentis alumnus). Probabilmente Riccardo di<br />

Bisaccia è da identificare con il ‘Maestro R.’ (=Maestro<br />

Riccardo), professore <strong>del</strong>l’arte grammaticale (professor<br />

artis grammaticae) nell’Università di Napoli. Nel suo epistolario<br />

Nicola da Rocca 44 offre un quadro <strong>del</strong>la carriera<br />

dei notai: tra questi cita appunto un non meglio<br />

NICOLA FIERRO<br />

- 15 -<br />

identificato ‘Maestro R.’, esperto di grammatica. Nel<br />

suo studio egli desiderava accogliere pochi, ma buoni<br />

alunni (paucos sed bonos alumnos) per ammaestrarli sia<br />

nella composizione metrica e prosaica (dictamen tam<br />

metricum quam prosaicum 45 ), sia nello stile epistolare e<br />

diplomatico. Anche un notaio aveva affidato nello studio<br />

napoletano 46 i suoi due figli al ‘Maestro R.’, esperto<br />

nell’ars dictandi.<br />

Ma quale ruolo ebbe nella corte sveva Riccardo di<br />

Bisaccia ?<br />

Per sua diretta testimonianza si sa che era ‘giudice<br />

imperiale’ nella Magna Curia di Melfi. Allora, i giovani<br />

iscritti al corso di diritto a Bologna, a Salerno, a<br />

Palermo e a Napoli, dopo aver dato prova <strong>del</strong>la loro<br />

perizia giuridica e letteraria e, dopo aver prestato il<br />

prescritto giuramento, ottenevano la nomina a giudici,<br />

direttamente dalla Curia imperiale. Non tutti diventavano<br />

giudici cittadini o facevano carriera negli uffici<br />

di un giustizierato o di un vicariato. Molti giuristi<br />

entravano direttamente come consiglieri o familiari<br />

nella corte imperiale, dove servivano come cancellieri:<br />

erano adoperati in missioni diplomatiche, svolgevano<br />

un ruolo di camerarii o magni camerari, o erano impiegati<br />

nell’amministrazione finanziaria (esattori, custodi<br />

<strong>del</strong> tesoro reale).<br />

Riccardo, cugino di Guglielmo di Bisaccia, autorevole<br />

membro <strong>del</strong>l’assemblea costituente di Melfi, era<br />

un grande giurista, umanista e poeta <strong>del</strong>la Scuola siciliana.<br />

Nel testamento redatto a Melfi da Riccardo per<br />

suo cugino Guglielmo di Bisaccia è espressamente<br />

indicato il suo ruolo nella Magna Curia di Federico<br />

II 47 : Defensor iuris est a Cesare censor («Esperto di diritto,<br />

è stato nominato da Cesare giudice») 48 .<br />

Riccardo di Bisaccia, in seguito a nomina fatta<br />

direttamente dall’Imperatore, svolgeva un ruolo molto<br />

importante nella Magna Curia di Melfi: aveva la funzione<br />

di giurista e giudice, vale a dire di interprete <strong>del</strong><br />

diritto (defensor iuris) e giudice imperiale (censor). Come<br />

giurista fu membro <strong>del</strong>la commissione che elaborò il<br />

Liber Augustalis.


Note<br />

1<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, t. VI, pp.<br />

403; 441.<br />

2<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 403.<br />

3<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, ibidem.<br />

L’imperatore, sconvolto dalla notizia, scrisse<br />

una lettera veemente ai senatori e al<br />

popolo di Roma (GREGOROVIUS 1925 (ed.),<br />

vol. II, t. II, p. 442 ).<br />

4Il libello di Carlo I d’Angiò evidenzia i rapporti<br />

di parentela dei congiurati (cfr.<br />

CAPASSO 1874, pp. 345 ss).<br />

5<br />

PSEUDO YÂFI’Î, in AMARI 1880, vol. II, pp.<br />

516 -256.<br />

6<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1852-1861, p. 208.<br />

7 La partecipazione alla congiura dei feudatari<br />

irpini di Morra si desume dal Liber<br />

Inquisitionum Caroli I Pro feudatariis Regni<br />

(CAPASSO 1874, p .350 ): «Domino Rogerio de<br />

Morra, filio q.d. Henrici fuit restitutum castrum<br />

Morre et castrum Caselle et baronia Corbellarum<br />

et feuda in Cilento, cujus baronie fuit dominus<br />

Henricus de Morra, qui abuit tres filios<br />

Goffridum, Jacobum, et Rogerium, et duo primi<br />

fuerunt devastati tempore rebellionis Caputacii, et<br />

Rogerius fuit cecatus, et dicte terre fuerunt concesse<br />

a principe Manfrido d. Philippo Tornello; et post<br />

adventum regis fuerunt restitute dicto Rogerio cecato»,<br />

(«Al barone Ruggero di Morra, figlio <strong>del</strong><br />

defunto Enrico, fu restituito il castello di<br />

Morra, il castello di Caselle, la baronia <strong>del</strong>le<br />

Corbelle e i feudi <strong>del</strong> Cilento, <strong>del</strong>la cui baronia<br />

fu signore Enrico di Morra, che ebbe tre<br />

figli, Goffredo, Giacomo e Ruggero, i due<br />

primi castelli furono devastati all’epoca<br />

<strong>del</strong>la ribellione di Capaccio, e Ruggero fu<br />

accecato, e le dette terre furono concesse<br />

dal principe Manfredi al barone Filippo<br />

Tornello; e dopo l’avvento <strong>del</strong> re furono<br />

restituite al detto Ruggero accecato»).<br />

8 Carlo I d’Angiò restituì il feudo in terra di<br />

Giffoni e il castello di Pisciotta (castrum<br />

Pissocte), revocati da Federico II, a Ligorio<br />

Caracciolo di Napoli, genero di Bartolomeo<br />

de Alicio.<br />

9 Due donne <strong>del</strong>la casata De Amicis, avevano<br />

sposato due congiurati <strong>del</strong> 1246: Mabilia<br />

era andata sposa a Ruggero da Bisaccio<br />

(oggi Bisaccia), signore di Castel Labello<br />

(oggi Lavello, in provincia di Potenza) e<br />

Bella, invece, era andata sposa a Guglielmo<br />

di Monte Marano. Ruggero, in seguito alla<br />

congiura, perdette i feudi di Castel Labello<br />

e quello di Bisaccia (CAPASSO 1874, p. 348).<br />

Ruggero morì il 1248 e la sua baronia fu<br />

restituita dal papa Innocenzo IV alla vedo-<br />

SALTERNUM<br />

va Mabilia de Amicis (BERGER 1896, p.<br />

4035). Nell’estate <strong>del</strong> 1248, a Bella De<br />

Amicis furono restituite dal Papa i beni <strong>del</strong><br />

marito defunto, Guglielmo di Monte<br />

Marano (BERGER 1896, p. 4036). Anche a<br />

Corrado, figlio <strong>del</strong> congiurato Ruggero de<br />

Amicis, furono restituiti da Innocenzo IV i<br />

beni perduti (BERGER 1896, p. 4034).<br />

10 Cfr. CAPASSO 1874, p. 350: «Domino<br />

Riccardo de Bisaciis fuit restituta Bisaccia, de qua<br />

fuit spoliatus ab imp. Friderico, tempore rebellionis<br />

Caputacii, d. Riccardus de Bisaciis ejus avus, et<br />

fuit donata a principe Manfrido d. comiti<br />

Acerrarum, et postea d. Mattheo de Monticulo, et<br />

medietas casalibus Sancti Leonardi; et castrum<br />

Corbane in excambium castri Labelle, quod retinuit<br />

sibi d. Rex Carolus primus, et fuit concessum<br />

ab imperatore Friderico d. Riccardo avo d. Riccardi<br />

ut supra, et d. Riccardus maritavit sororem suam<br />

tempore turbationis Corradini sine licentia regis, et<br />

dedit eam in uxorem d. Mattheo de Monticulo,<br />

proditori regis cum medietate Bisacciarum», («Al<br />

barone Riccardo di Bisaccia fu restituita<br />

Bisaccia, di cui, al tempo <strong>del</strong>la congiura di<br />

Capaccio, fu spogliato dall’imperatore<br />

Federico il barone Riccardo di Bisaccia, suo<br />

avo, e fu donata dal principe Manfredi al<br />

conte di Acerra, e successivamente a don<br />

Matteo di Monticchio, e metà <strong>del</strong> casale di<br />

S. Leonardo; e il castello di Corbane<br />

[Carbone, detta Carbonara, oggi Aquilonia],<br />

che il re Carlo I tenne per sé, e fu concesso<br />

dall’imperatore Federico al barone<br />

Riccardo, avo di Riccardo come sopra, e il<br />

barone Riccardo maritò sua sorella al<br />

tempo <strong>del</strong> tentativo di riconquista di<br />

Corradino senza il permesso <strong>del</strong> re, e la<br />

diede in moglie al barone Matteo di<br />

Monticchio, traditore <strong>del</strong> re, con la metà di<br />

Bisaccia»). A Riccardo I di Bisaccia, giudice<br />

imperiale, Federico II aveva donato il feudo<br />

e il castello di Lavello, probabilmente nel<br />

1231, quando questi gli aveva dedicato la<br />

commedia Paolina e Polla. Ruggero, figlio di<br />

Riccardo I, aveva sposato Mabilia di<br />

Amicis. Dal matrimonio era nato Riccardo<br />

II. Carlo I d’Angiò trattenne per sé il feudo<br />

di Lavello e restituì a Riccardo II il feudo di<br />

Bisaccia, perduto dal nonno, ma, in cambio,<br />

gli concesse il feudo di Carbonara.<br />

11 Il castello di Monteforte e la terza parte <strong>del</strong><br />

castello di Mallano (oggi Magliano Vetere, in<br />

provincia di Salerno) furono restituiti da<br />

Calo I d’Angiò a Francesco II di Monteforte,<br />

figlio <strong>del</strong> congiurato (CAPASSO 1874, p. 346).<br />

- 16 -<br />

12 Carlo I d’Angiò restituì la baronia di<br />

Caggiano a Roberto, figlio di quel Gugliemo<br />

da Caggiano che aveva aderito alla congiura<br />

di Capaccio. Guglielmo ebbe due figli:<br />

Roberto, morto in esilio, e Guglielmo, a cui<br />

fu restituita la baronia (CAPASSO 1874, p.<br />

347).<br />

13 Il castello di Teora fu restituito a<br />

Riccardo, figlio di Ruggero de Camera,<br />

massimo esponente <strong>del</strong>la corte imperiale.<br />

14 Fu gran giustiziere in Sicilia dal 10 ottobre<br />

1239 al 3 maggio 1240.<br />

15 TORRACA 1902, p. 113 ss.; cfr. anche<br />

SCANDONE 1903, pp. 226 e ss; nota a p. 693;<br />

Appendice IX, p. 741.<br />

16 BÖHMER, Regesta Imperii, V, 3 -5, in FIKER<br />

– WINKELMANN (ed.) 1892 –1901; cfr.<br />

anche AMARI 1880, vol. I, p. 523.<br />

17 MORGHEN 1974.<br />

18 PORTANOVA 1977, p. 88.<br />

19 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 403. Il<br />

testo riporta una lezione errata ‘Scala’, che<br />

invece è una città sita sulla Costiera<br />

Amalfitana.<br />

20 PEDIO 1998, p. 268.<br />

21 COLENUCCIO 1539, p. 96.<br />

22 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 411.<br />

23 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 413.<br />

24 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 12.<br />

25 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 406.<br />

26 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 514.<br />

Federico II scrisse una lettera ai nobili <strong>del</strong><br />

Regno di Sicilia, in cui accusava il papa di<br />

aver dato aiuto ai congiurati fuggiti ad<br />

Anagni.<br />

27 Cfr. supra, n. 10: il paese è chiamato<br />

Caputacii. Nel Catalogus Baronum (anno 1150-<br />

1168 ) è detto Capuaccio (n. 554). Nel Codex<br />

Diplomaticus Cavensis (a. 936) è menzionato<br />

anche Capacii (gen.). Negli atti d’archivio di<br />

età normanna, angioina e aragonese, invece,<br />

è detto Capaucium; altre volte Caputaqueam.<br />

A mio avviso, il nome Capaccio deriva dall’oronimo<br />

Calpatium. Capaccio è la deformazione<br />

fonetica di Calpatium. Nel corso<br />

dei secoli, il toponimo ha avuto la seguente<br />

evoluzione linguistica: Calpatium > Capatium<br />

> Capuaccio (Catalogus Baronum n. 544, aa.<br />

1150-1168), Capaucium (in età normanna,<br />

angioina, aragonese) > Capacium ><br />

Capaccio. Un’altra interpretazione, invece,<br />

fa derivare il nome <strong>del</strong> paese dal toponimo<br />

tardo medievale Caputaqui, Caputaqueam (=<br />

Capo d’Acqua o Capo di Fiume).<br />

28 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 403.


29 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 439.<br />

30 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 408.<br />

31 Questo storico castello, rimasto abbandonato<br />

dal 1246, non può essere lasciato ad un ulteriore<br />

degrado: merita di essere restaurato per<br />

iniziativa <strong>del</strong>le pubbliche istituzioni (Comune<br />

di Capaccio, Regione, Soprintendenza ai Beni<br />

A.A.A. di Salerno e Avellino).<br />

32 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 457.<br />

33 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 440.<br />

34 COLENUCCIO 1539, pp. 136 ss.; cfr. anche<br />

NATELLA – PEDUTO 1970, p. 36, n. 6.<br />

Bibliografia<br />

AMARI M. 1880, Biblioteca arabo-sicula,<br />

Torino-Roma, 2 voll.<br />

BERGER E. 1896, Les registres d’Innocent IV,<br />

“Bibliotheque des Écoles Françaises<br />

d’Athènes et de Rome”, Parigi.<br />

CANTOROWCZ E. 1976, Federico II, imperatore,<br />

Milano.<br />

CAPASSO B. 1874, Historia diplomatica regni<br />

Siciliae inde ab a. 1250 ad a.1266, Napoli.<br />

COLENUCCIO P. 1539, Compendio <strong>del</strong>l’Istoria<br />

<strong>del</strong> regno di Napoli, Venezia.<br />

FAZZELLO T. 1558, De rebus Siculis, Palermo.<br />

FICKER J. - WINKELMANN E. (ed.) 1892 -<br />

1901, Regesta Imperii, Innsbruck.<br />

GREGOROVIUS 1925 (ed.), Storia <strong>del</strong>la città di<br />

Roma nel Medioevo, a cura di E. PAIS.<br />

NICOLA FIERRO<br />

35<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 404.<br />

36<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, pp. 404;<br />

440.<br />

37<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 405.<br />

38<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 439.<br />

39<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 458.<br />

40<br />

FAZZELLO 1558, lib. VIII.<br />

41<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 405.<br />

42 Poésies inédites du moyen âge 1854, p. 375.<br />

43<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES 1865, p. 370, n. 74 ss.<br />

44<br />

WATTENBACH 1855, vol. 14, p. 33.<br />

HASKINS CH. H. 1928, Latin Litterature under<br />

Frederick II, in “Speculum”, 3, pp. 129-151.<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES J. U. L. 1860,<br />

Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parisii.<br />

HUILLARD-BRÉHOLLES J. U. L. 1865, Vie et<br />

corrispondance de Pierre de la Vigne, Parigi.<br />

MORGHEN R. 1974, Gli Svevi in Italia,<br />

Palermo.<br />

NATELLA P. - PEDUTO P. 1970, Il castello di<br />

Capaccio in provincia di Salerno, in “Rivista di<br />

Studi Salernitani”, VI, pp. 29-42.<br />

PEDIO T. 1998, Cartulario <strong>del</strong>la Basilicata<br />

(476-1443), Venosa.<br />

Poésies inédites du moyen âge 1854, Paris<br />

(Librairie Frank, Rue Richelieu, 67).<br />

PORTANOVA D. G. 1977, I Sanseverino e<br />

- 17 -<br />

45 WATTENBACH 1855, p. 52; cfr. anche<br />

HASKINS 1928, p. 140; CANTOROWCZ 1976,<br />

p. 356.<br />

46 SCANDONE 1957, p. 217.<br />

47 Su un quadro antico di Capua, Pier <strong>del</strong>le<br />

Vigne è detto censor legum; un noto studioso<br />

ha dimostrato che detta espressione si riferisce<br />

alle sole «funzioni di giudice», espletate<br />

da Pier <strong>del</strong>le Vigne (SAVAGNONE 1925,<br />

pp. 3-4).<br />

48 SAVAGNONE 1925, pp. 3-4.<br />

l’Abbazia Cavense (1061-1324), Badia di Cava<br />

- Isola <strong>del</strong> Liri.<br />

SAVAGNONE F. G. 1925, I compilatori <strong>del</strong>le<br />

«Costitutiong» di Federico II, in “Archivio<br />

Storico Siciliano”, n.s., XLVI.<br />

SCANDONE F. 1903, Studi di letteratura italiana,<br />

Napoli.<br />

SCANDONE F. 1957, L’alta Valle <strong>del</strong>l’Ofanto,<br />

Avellino.<br />

TORRACA F. 1902, Studi su la lirica italiana <strong>del</strong><br />

Duecento, Bologna.<br />

WATTENBACH W. 1855, Iter Austriacum,<br />

Archiv. Für Kunde österreichischer<br />

Geschichtsquellen, Vienna, vol. 14.


- 18 -


«Gli ambiti regionali nei quali si presentava divisa e<br />

differenziata la realtà <strong>del</strong>la penisola italica prima<br />

<strong>del</strong>la unificazione romana erano caratterizzati da<br />

condizioni geografiche, etniche, sociali, economiche<br />

e culturali profondamente diverse. Questa varietà di<br />

condizioni e di strutture non permette di considerare<br />

in modo unitario il fenomeno città e sembra<br />

anche rendere impossibile una definizione <strong>del</strong>lo<br />

stesso concetto di ‘città’ valida per queste aree…».<br />

(GABBA 1987, p. 109)<br />

Breve storia <strong>del</strong>la ricerca<br />

Iniziato oltre tre decenni fa, lo scavo sul sito di<br />

Roccagloriosa (SA), con alterne vicende, si è<br />

gradualmente trasformato da iniziale esplorazione<br />

di uno dei tanti siti di altura <strong>del</strong>l’hinterland<br />

magno-greco (più in generale, <strong>del</strong>le aree interne <strong>del</strong>la<br />

penisola italiana in età pre-romana) in un utilissimo<br />

caso di studio sul livello di complessità insediativa<br />

raggiunto dagli abitati italici in quel cruciale periodo di<br />

trasformazione <strong>del</strong>le culture e <strong>del</strong>la geografia politica<br />

<strong>del</strong>la penisola italiana che è stato il IV sec. a.C. 1 .<br />

Mi sembra opportuno sottolineare<br />

che, non sorprendentemente, l’enfasi<br />

iniziale <strong>del</strong>la ricerca sistematica sul<br />

terreno2 sia stata posta sulla esplorazione<br />

<strong>del</strong>la linea di difesa <strong>del</strong> poderoso<br />

muro di fortificazione3 e sulla<br />

topografia <strong>del</strong> sito arroccato sulle<br />

pendici <strong>del</strong> crinale <strong>del</strong> M. Capitenali,<br />

a controllo <strong>del</strong>le valli <strong>del</strong> Mingardo e<br />

<strong>del</strong> Bussento. La successiva scoperta<br />

di vaste aree di abitato, sia all’interno<br />

che sui pianori immediatamente all’esterno<br />

<strong>del</strong>la fortificazione e, certamente<br />

di rilevanza non minore, lo<br />

scavo di un’area di necropoli monumentale<br />

individuata nel settore sud<br />

MAURIZIO GUALTIERI<br />

Roccagloriosa, la tabula osca ed il caduceo:<br />

frammenti di un discorso sulla ‘città’ italica<br />

Fig. 1 - Roccagloriosa: nuclei di abitato di IV sec. a. C.<br />

- 19 -<br />

<strong>del</strong>l’abitato di altura all’esterno <strong>del</strong> muro di fortificazione<br />

ed in eccezionale stato di conservazione, hanno<br />

poi orientato la ricerca in ben altre direzioni.<br />

A partire dal 1982, grazie ad una Concessione di<br />

Scavo <strong>del</strong> Ministero e con il sostegno finanziario<br />

<strong>del</strong>l’Università <strong>del</strong>l’Alberta e <strong>del</strong> Consiglio <strong>del</strong>le<br />

Ricerche <strong>del</strong> Canada, è stato possibile intraprendere<br />

un progetto di esplorazione su larga scala di uno dei<br />

principali nuclei di abitato localizzati sul cd. Pianoro<br />

Centrale all’interno <strong>del</strong>la fortificazione (fig. 1). Una<br />

tale esplorazione sistematica <strong>del</strong>le aree abitative ha<br />

inoltre posto fra gli obiettivi primari <strong>del</strong>la ricerca<br />

anche l’esplorazione degli altri nuclei abitativi identificati,<br />

sia mediante ricognizione intensiva di superficie<br />

entro una griglia sufficientemente ristretta in modo<br />

tale da fornire significative distribuzione dei materiali<br />

raccolti 4 , sia mediante prospezioni geo-archeologiche<br />

opportunamente calibrate in relazione alla natura <strong>del</strong><br />

terreno. Queste ultime sono state condotte con la collaborazione<br />

<strong>del</strong>la Fondazione Lerici Prospezioni<br />

Archeologiche <strong>del</strong> Politecnico di Milano, che ha voluto<br />

inserire l’esplorazione estensiva <strong>del</strong>l’abitato pre-


Fig. 2 - Roccagloriosa: pianta generale <strong>del</strong>l’abitato fortificato.<br />

romano tra i progetti di interesse scientifico <strong>del</strong>la<br />

Fondazione stessa. Parallelamente, la ricognizione<br />

sistematica di superficie <strong>del</strong> territorio tutt’intorno al<br />

sito fortificato ha <strong>del</strong>ineato il quadro dettagliato <strong>del</strong><br />

paesaggio e <strong>del</strong>le forme di occupazione <strong>del</strong> territorio<br />

in cui si collocava l’abitato di altura. Tutto ciò, è<br />

opportuno ribadirlo, in un comprensorio che, sin<br />

quasi alla fine degli anni ’70, rimaneva ancora una<br />

sorta di ‘terra incognita’ nel panorama generale <strong>del</strong>la<br />

Magna Grecia e, più in particolare, nel quadro degli<br />

sviluppi <strong>del</strong> popolamento italico nel sud <strong>del</strong>la penisola.<br />

La ricerca condotta in maniera continuativa e<br />

sistematica, con ripetute verifiche <strong>del</strong>le strategie di<br />

intervento sul terreno e degli obiettivi <strong>del</strong>la ricerca,<br />

adattandoli alla documentazione che l’esplorazione sul<br />

terreno veniva progressivamente accumulando, ha<br />

fornito serie complementari di dati che (caso più<br />

unico che raro per un sito ‘indigeno’ <strong>del</strong>la Magna<br />

Grecia), riguardano i diversi aspetti <strong>del</strong>la organizzazione<br />

<strong>del</strong>la comunità. Tali dati si integrano utilmente,<br />

permettendoci di definire con ricchezza di dettagli<br />

modi di occupazione <strong>del</strong> territorio con le attività economiche<br />

connesse, l’organizzazione sociale ed una<br />

embrionale struttura istituzionale. Ne deriva un quadro<br />

coerente di un abitato che, da iniziale insediamento<br />

di limitate dimensioni nei decenni finali <strong>del</strong> V secolo<br />

a. C., probabilmente ancora a livello di poche famiglie<br />

appartenenti al gruppo gentilizio ristretto che ne<br />

manteneva il controllo, si va sviluppando tra IV e<br />

prima metà <strong>del</strong> III secolo in un vasto agglomerato con<br />

un tipo di strutturazione che include spazi collettivi ed<br />

edifici di natura non abitativa che potremmo in prima<br />

approssimazione, seppur con molta cautela, assimilare<br />

alla categoria <strong>del</strong> ‘pubblico’ 5 .<br />

SALTERNUM<br />

- 20 -<br />

Organizzazione generale <strong>del</strong>l’abitato<br />

Alla luce dei dati raccolti (in buona parte già pubblicati<br />

in maniera analitica) e <strong>del</strong> dibattito che ne è seguito<br />

6 è possibile definire alcuni aspetti fondamentali <strong>del</strong>l’organizzazione<br />

topografica, socio-economica e territoriale<br />

<strong>del</strong>la Roccagloriosa lucana, che riassumo brevemente.<br />

Il sito di Roccagloriosa (SA), a ca. 6 km in linea d’aria<br />

da Policastro Bussentino 7 e in posizione di comando<br />

nell’entroterra <strong>del</strong>l’omonimo Golfo, costituisce<br />

indubbiamente un punto di osservazione privilegiato<br />

per quelle forme di organizzazione insediativa ed i<br />

mutamenti <strong>del</strong>l’assetto territoriale che si verificano fra<br />

V e IV secolo a. C. in numerose aree <strong>del</strong>l’Italia centromeridionale<br />

8 che siamo soliti denominare quali ‘sannitizzazione’<br />

o ‘lucanizzazione’.<br />

La poderosa cinta muraria di Roccagloriosa, costruita<br />

nel corso <strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong> IV secolo, se da un<br />

lato costituisce una linea di difesa <strong>del</strong>la parte piu’ elevata<br />

<strong>del</strong>l’abitato (fig. 2), naturalmente protetto verso la<br />

costa dal crinale <strong>del</strong> M. Capitenali, viene altresì a definire<br />

un’area insediativa (quella sul Pianoro Centrale) che<br />

mostra una più rigorosa organizzazione <strong>del</strong>lo spazio .<br />

Sono contemporanee a questo processo di monumentalizzazione<br />

<strong>del</strong>l’abitato di altura le grandi case a<br />

cortile e, poco più tardi, la impostazione dei due grandi<br />

recinti funerari alle estremità <strong>del</strong>l’area di necropoli in<br />

località La Scala, utilizzata da gruppi elitari con un rituale<br />

funerario ben caratterizzato 9 . La presenza costante<br />

<strong>del</strong> cinturone di tipo ‘sannitico’ nelle tombe dei maschi<br />

adulti, pur in assenza di armi, ne sottolinea lo status di<br />

guerriero, in almeno un caso montato a cavallo, come<br />

mostrano gli elementi <strong>del</strong>la bardatura equina rinvenuti<br />

in una tomba a camera <strong>del</strong> recinto nord (T. 19). Lungo<br />

un arco cronologico che va fra il 400 ed il 290/280 a. C.,<br />

le tombe <strong>del</strong>la necropoli in località ‘La Scala’, ci consentono<br />

di seguire nella sua gradualità il processo di strutturazione<br />

di gruppi socialmente egemoni 10 che potremmo<br />

più specificamente qualificare quali esponenti <strong>del</strong>le<br />

«familiae illustres lucanae» di Livio (8, 24, 4) o, utilizzando<br />

una felice definizione di E. Lepore, quale una vera e propria<br />

‘oligarchia’ lucana. E’ interessante, a Roccagloriosa,<br />

osservare il fatto che, considerata la stretta relazione<br />

topografica fra le aree di necropoli monumentali e l’abitato<br />

fortificato, è legittimo ipotizzare che si tratti <strong>del</strong>le<br />

sepolture <strong>del</strong>le stesse élites stanziate nelle dimore signorili<br />

(spesso a cortile centrale lastricato) 11 documentate nei<br />

nuclei abitativi all’interno <strong>del</strong>la mura. Inoltre, alla luce


<strong>del</strong>la citata lex che ci documenta in maniera significativa<br />

il fenomeno di maturazione politica <strong>del</strong>la comunità<br />

lucana di Roccagloriosa, sembra verosimile pensare che,<br />

proprio all’interno degli stessi gruppi elitari ben documentati<br />

dal Complesso A sul pianoro centrale 12 e dai<br />

grandi recinti funerari <strong>del</strong>la necropoli ‘La Scala’, il processo<br />

di differenziazione funzionale che porta alla definizione<br />

di uno o più ‘meddes’ e di un’organo assembleare<br />

avrà enucleato le nuove cariche istituzionali che vengono<br />

a costituire la embrionale struttura politica <strong>del</strong>la<br />

‘touta‘ di Roccagloriosa.<br />

Per quanto riguarda il territorio, a partire dalla<br />

metà <strong>del</strong> IV secolo a.C. è stato possibile documentare<br />

con abbondanza di dati l’accentuarsi <strong>del</strong> fenomeno di<br />

occupazione <strong>del</strong>la campagna mediante piccoli insediamenti<br />

rurali (fig. 1, supra), fenomeno osservabile,<br />

sia pur in maniera assai più rada, già nella prima metà<br />

<strong>del</strong> IV secolo 13 . Un tale quadro di densa occupazione<br />

<strong>del</strong>la campagna, mediante fattorie a conduzione familiare<br />

con annesse aree cimiteriali (scaglionate lungo un<br />

arco cronologico di pochi decenni) ed un certo numero<br />

di piccoli agglomerati rurali, segnala l’emergere di<br />

gruppi ‘intermedi’ all’interno <strong>del</strong>la compagine lucana,<br />

evidenziando ulteriori aspetti <strong>del</strong>le rapide trasformazioni<br />

sociali che si verificano tra la seconda metà <strong>del</strong><br />

IV ed i decenni iniziali <strong>del</strong> III secolo a. C. 14 . Nel caso<br />

specifico in esame, é stato possibile dimostrare, grazie<br />

ai dati forniti dall’analisi dei reperti archeozoologici<br />

ed archeobotanici 15 recuperati dai contesti stratigrafici<br />

<strong>del</strong>lo scavo <strong>del</strong>l’abitato fortificato, un fenomeno di<br />

intensificazione agricola e soprattutto un crescente<br />

impatto <strong>del</strong>la viticoltura nel periodo a cavallo fra IV e<br />

III secolo a. C.<br />

Il frammento di tabula bronzea con iscrizione osca: testimonianza<br />

di una embrionale organizzazione istituzionale <strong>del</strong>la<br />

comunità locale<br />

Una eccezionale spia sul livello di complessità<br />

organizzativa raggiunto dall’abitato nei decenni a<br />

cavallo tra IV e III sec. è stata fornita dal rinvenimento<br />

16 di un frammento di tabula bronzea opistografa<br />

(cioè iscritta su ambedue le facce) con testo in lingua<br />

osca (la lingua dei Sanniti - a Roccagloriosa attestata<br />

nella sua variante meridionale), redatto adoperando<br />

l’alfabeto greco <strong>del</strong> tipo ionico-tarantino (fig. 3).<br />

Sebbene il documento sia stato immediatamente identificato<br />

quale importante attestazione di un testo di<br />

‘legge’, come indicano le molte statuizioni prescrittive<br />

MAURIZIO GUALTIERI<br />

- 21 -<br />

Fig. 3 - Roccagloriosa: pianta generale <strong>del</strong>l’abitato fortificato.<br />

Fig. 4 - Frammento di<br />

tabula bronzea opistografa<br />

dal Pianoro Centrale.<br />

con frequente uso <strong>del</strong>l’imperativo futuro, la complessità<br />

stessa <strong>del</strong> testo e l’assenza di documentazione di<br />

raffronto ha indotto ad ipotizzarne, in una prima<br />

frettolosa presentazione <strong>del</strong> documento, una datazione<br />

esageratamente bassa di fine II secolo a. C. 17 . Ciò<br />

potrebbe essere dovuto al fatto che, in assenza di<br />

documenti raffrontabili dall’area lucana ad eccezione<br />

<strong>del</strong> corpus <strong>del</strong>le epigrafi su pietra dal santuario di<br />

Rossano di Vaglio (di diversa natura e, tra l’altro, già<br />

tutte in buona parte inquadrabili in un contesto di<br />

progressiva ‘romanizzazione’), il testo sia stato, automaticamente,<br />

posto a confronto con l’unico altro<br />

documento di paragonabile lunghezza e complessità<br />

quale la Tabula Bantina.<br />

Non è un caso che, in occasione <strong>del</strong>la Mostra su<br />

L’Italia dei Sanniti inaugurata al Museo Nazionale


Fig. 5 - Frammento di tabula bronzea opistografa dal Pianoro Centrale.<br />

Apografo <strong>del</strong>la faccia A.<br />

Fig. 6 - Frammento di tabula bronzea opistografa dal Pianoro Centrale.<br />

Apografo <strong>del</strong>la faccia B.<br />

Romano nel gennaio 2000, il testo fosse stato (direi,<br />

un po’ frettolosamente) esposto accanto alla menzionata<br />

Tabula Bantina, una circostanza che ha in parte<br />

contribuito a non lasciarne valutare in maniera adeguata<br />

il ben diverso contesto archeologico (e cronologico!)<br />

di appartenenza 18 .<br />

E’ comprensibile, tra l’altro, che l’ottica ‘sannitica’<br />

<strong>del</strong> Catalogo in cui era stata inquadrata questa prima<br />

scheda <strong>del</strong> manufatto costituisse di per sé una forte<br />

remora a rialzarne la datazione oltre il II secolo a. C.,<br />

tenendo presente il quadro fornito dalla documentazione<br />

epigrafica in osco dal Sannio interno, che nella<br />

stragrande maggioranza dei casi noti appartiene ad un<br />

taglio cronologico più basso. L’editio princeps <strong>del</strong> testo<br />

per mano di P. Poccetti, unitamente ad un esame <strong>del</strong>la<br />

SALTERNUM<br />

- 22 -<br />

paleografia <strong>del</strong>l’iscrizione, non lasciano alcun dubbio<br />

che si tratti di un testo appartenente ad un taglio cronologico<br />

alto, nei decenni a cavallo tra IV e III secolo<br />

a. C. e comunque entro il III secolo a. C. «….sulla base<br />

di convincenti evidenze paleografiche ed ortografiche»<br />

19 .<br />

Senza alcuna pretesa di entrare nello specifico <strong>del</strong>l’esegesi<br />

testuale, di cui molteplici aspetti rimangono<br />

oggetto di discussione 20 , mi sembra opportuno sintetizzare<br />

nell’ambito <strong>del</strong>la problematica di questo articolo<br />

alcuni degli aspetti principali <strong>del</strong>la organizzazione<br />

istituzionale che traspaiono dal testo <strong>del</strong>la tabula. La<br />

parte <strong>del</strong> testo a noi pervenuta include molti vocaboli<br />

sinora non attestati la cui interpretazione è resa più<br />

complessa dall’assenza di interpunzioni. Un termine<br />

noto e di uso ripetuto nel testo a noi pervenuto è quello<br />

<strong>del</strong> meddes: al rigo 5 <strong>del</strong>la faccia A il termine è seguito<br />

inoltre dalla designazione <strong>del</strong>la carica medeika(tud),<br />

(fig. 5). E’ da sottolineare il fatto che almeno in un<br />

caso il termine venga senza dubbio adoperato al plurale,<br />

come indica il relativo che lo precede «pous meddes…»<br />

al rigo 7 <strong>del</strong>la faccia B. Sempre sulla faccia B<br />

(fig. 6) sono da menzionare due importanti attestazioni,<br />

per la rilevanza che esse assumono rispetto alla<br />

problematica <strong>del</strong>l’organizzazione istituzionale <strong>del</strong>la<br />

comunità lucana di Roccagloriosa. Sul primo rigo, <br />

agginoud è l’ablativo di un noto termine osco per ‘<strong>del</strong>iberato’<br />

(lat. sententia) e in altre iscrizioni dove appare<br />

esso è preceduto dal genitivo <strong>del</strong>l’organo <strong>del</strong>iberante,<br />

lasciando dunque spazio per ipotizzare l’esistenza di<br />

un embrionale organo assembleare.<br />

Infine, il temine touteikais (lat. publicis) al rigo 4 <strong>del</strong>la<br />

faccia B è il dativo plurale <strong>del</strong>l’aggettivo derivante da<br />

touta, il termine che connota l’entità ‘statale’ 21 nelle lingue<br />

italiche: dunque un chiaro riferimento alla categoria<br />

<strong>del</strong> ‘pubblico’.<br />

La nuova documentazione dall’edificio ‘pubblico’ sul Pianoro<br />

Centrale<br />

Alla luce di quanto appena discusso, risulta pertanto<br />

evidente che la importante (seppur frammentaria)<br />

documentazione fornita dal testo epigrafico su tabula<br />

bronzea abbia riproposto su nuove basi la dibattuta<br />

questione sulla esistenza o meno di spazi collettivi<br />

o veri e propri edifici ‘pubblici’, solo ipoteticamente<br />

identificati in alcune <strong>del</strong>le strutture scavate, soprattutto<br />

sulla base <strong>del</strong>la topografia e caratteristiche architettoniche<br />

(qualunque possa esserne stata la specifica


natura), almeno a partire dalla seconda metà (o, forse,<br />

i decenni finali) <strong>del</strong> IV secolo a. C.. Tali presunti edifici<br />

‘pubblici’, tuttavia, non sono stati sinora sufficientemente<br />

documentati per quanto riguarda sia l’impianto<br />

architettonico sia la specifica funzionalità, a causa di<br />

una documentazione ancora molto frammentaria al<br />

riguardo.<br />

Ancor più, rimane oggetto di discussione la possibile<br />

presenza di spazi collettivi di natura cultuale, per<br />

cui Roccagloriosa ci ha fornito esclusivamente (ad un<br />

taglio cronologico di IV secolo a. C.) la eccezionale<br />

documentazione <strong>del</strong> sacro inserito all’interno <strong>del</strong> cortile<br />

porticato di una residenza signorile. Sembra possibile<br />

affermare, tuttavia, alla luce <strong>del</strong>la più recente<br />

documentazione sugli sviluppi <strong>del</strong>l’organizzazione<br />

insediativa tra i decenni finali <strong>del</strong> IV secolo e gli inizi<br />

<strong>del</strong> III, che potrebbe essersi sviluppato sui cd. ‘Piani<br />

di Mariosa’ 22 , all’esterno <strong>del</strong>la cinta muraria, su di una<br />

collinetta a comando <strong>del</strong>la media valle <strong>del</strong> Mingardo,<br />

un probabile edificio di culto ‘collettivo’. Ciò, sulla<br />

sola base dei massicci resti architettonici in superficie<br />

di un lungo muro in grossi blocchi di calcare, a cui<br />

appartenevano due basi di colonna 23 che presentano<br />

raffronti stringenti con quelle adoperate per il portico<br />

di un tempio italico di III secolo a. C. rinvenuto a<br />

Macchia Porcara di Casalbore da W. Johannowsky 24 .<br />

Tra gli edifici per cui è stato possibile ipotizzare,<br />

sulla base di una documentazione archeologica più<br />

vistosa, una funzione collettiva (o genericamente<br />

‘pubblica’) è da menzionare il vasto ambiente al margine<br />

nord <strong>del</strong> cd. ‘pianoro centrale’, di cui sono stati<br />

scavati massicci resti di murature. Quest’ultimo è<br />

apparso senza dubbio quello con il ‘paradigma indiziario’<br />

più trasparente per una destinazione a funzioni di<br />

carattere ‘pubblico’. Innanzi tutto per la sua collocazione:<br />

l’edificio si trovava immediatamente all’interno<br />

<strong>del</strong>le mura, in prossimità <strong>del</strong>la postierla B 25 e non lontano<br />

(ca. 50 m a Nord) <strong>del</strong>la monumentale porta centrale.<br />

La sua collocazione sul limite settentrionale <strong>del</strong><br />

pianoro centrale in un’area di accentuato sfalsamento<br />

altimetrico, ha fatto sì che l’edificio sia stato rinvenuto<br />

in uno stato di conservazione disastroso a causa <strong>del</strong>le<br />

frane successive all’abbandono. Lo scavo si è limitato<br />

a documentare solo alcuni allineamenti di poderosi<br />

muri che ne indicano caratteristiche più complesse ed<br />

un tipo di costruzione alquanto diversi da quanto<br />

riscontrato nei complessi abitativi sinora scavati sul<br />

pianoro centrale. Sebbene la pianta risulti irrimediabil-<br />

MAURIZIO GUALTIERI<br />

- 23 -<br />

Fig. 7 - ‘Falere’ di bronzo da edificio ‘pubblico’ sul Pianoro Centrale.<br />

mente frammentaria, è da sottolineare che la quantità<br />

e varietà di manufatti recuperati dal pur parziale intervento<br />

di scavo stanno ad indicarne una funzione <strong>del</strong><br />

tutto particolare. La ceramica rinvenuta si data dalla<br />

metà <strong>del</strong> IV alla seconda metà avanzata <strong>del</strong> III sec. a.<br />

C.: è da sottolineare la cospicua presenza di skyphoi,<br />

patere a vernice nera, ciotole emisferiche e baccellate<br />

sovradipinte (tipo ‘Gnathia’) 26 , esemplari di vasi miniaturistici<br />

ed anfore che ne documentano un uso cerimoniale<br />

27 .<br />

Significativa è la presenza di armi, <strong>del</strong> tutto assenti<br />

negli altri contesti abitativi scavati sul sito, rappresentate<br />

da almeno tre punte di lancia o giavellotto in<br />

ferro, frammenti di un cinturone in bronzo e la ricca<br />

serie di appliques di bronzo (fig. 7) raffiguranti uno<br />

scudo bilobato, documentati anche in altre zone <strong>del</strong><br />

pianoro centrale, ma qui rinvenuti in una particolare<br />

concentrazione 28 . Il filo di bronzo rinvenuto intatto, in<br />

più di un caso all’interno dei due fori di attacco, lascia<br />

pensare con tutta probabilità ad un gancio che ci induce<br />

a configurare tale gruppo di appliques dall’edificio in<br />

questione quale una sorta di phalerae bronzee per un<br />

oggetto di armatura di materiale organico deperibile<br />

(corpetti, cinturoni, elmi, scudi) 29 . Le phalerae sono <strong>del</strong><br />

tutto assenti nelle tombe di individui maschi adulti a<br />

Roccagloriosa che sono caratterizzate dalla presenza<br />

<strong>del</strong> cinturone di bronzo, ma sono state rinvenute nelle<br />

tombe maschili di altri siti. 30


Fig. 8 - Impugnatura bronzea di caduceus, con l’iscrizione «DE».<br />

Il documento di gran lunga più qualificante fra i<br />

reperti <strong>del</strong>l’edificio in questione è un grosso puntale di<br />

bronzo (h 25 cm ca.), sagomato in maniera piuttosto<br />

elaborata, da cui usciva un’asta in ferro ora disgregata<br />

a causa <strong>del</strong>l’avanzato stato di ossidazione (fig. 8), che<br />

ha fornito la forte suggestione che possa trattarsi <strong>del</strong>l’impugnatura<br />

di un oggetto da parata, identificato da<br />

una iscrizione quale oggetto di proprietà ‘pubblica’ e<br />

depositato nell’edificio in questione.<br />

Il caduceo con iscrizione «de(mosion)»: l’emergere di una identità<br />

‘politica’?<br />

Ritorniamo dunque in maggior dettaglio su quello<br />

che senza dubbio costituisce, da solo, il dato più qualificante<br />

per la natura e funzionalità <strong>del</strong>l’edificio in questione:<br />

l’impugnatura in bronzo con iscrizione incisa<br />

<strong>del</strong>le due lettere «DH» = «de(mosion)» 31 (fig. 8). Lo stato<br />

di conservazione frammentario <strong>del</strong>l’oggetto ha dato<br />

adito a non pochi equivoci sulla sua interpretazione,<br />

ancor più quando si consideri il fatto che un tale rinvenimento<br />

è avvenuto in uno stadio iniziale <strong>del</strong>la ricerca<br />

sul sito (nel Marzo 1977) cioè in un momento in cui,<br />

nonostante gli obiettivi e le ipotesi di lavoro qui formulati<br />

nel primo paragrafo, la documentazione sul tipo di<br />

organizzazione <strong>del</strong>l’abitato all’interno <strong>del</strong>la fortificazione<br />

era estremamente frammentaria ed inquadrata<br />

per lo più nell’ambito di un approccio concettuale che<br />

privilegiava la natura non-complessa e certamente non<br />

‘urbana’ di tali insediamenti. Non deve stupire pertanto<br />

il fatto che una iscrizione <strong>del</strong> genere, peraltro in<br />

greco, che dichiarava la natura ‘pubblica’ <strong>del</strong> manufatto<br />

abbia dato adito, in un momento iniziale, ad ipotesi<br />

interpretative che, con il senno di poi (in particolare<br />

l’importantissimo testo in osco di contenuto giuridico<br />

<strong>del</strong> frammento di tabula bronzea rinvenuto nel 1999) 32<br />

SALTERNUM<br />

- 24 -<br />

potrebbero apparire approssimate, se non <strong>del</strong> tutto<br />

fuorvianti. In una prima presentazione, tale manufatto<br />

33 , sulla base di raffronti tipologici puntuali dall’area<br />

magno-greca, era stato identificato quale sauroter, cioè<br />

puntale di lancia, evidentemente per particolari usi ‘da<br />

parata’, date le dimensioni e l’elaborata sagomatura,<br />

simili a quelle di due esemplari iscritti con dedica provenienti<br />

da un’area sacra di Crotone, in località Vigna<br />

Nuova 34 . Inoltre, la paleografia <strong>del</strong> graffito nonché la<br />

particolare disposizione <strong>del</strong>le lettere e <strong>del</strong> nesso <strong>del</strong>taeta,<br />

perfettamente raffrontabili con i bolli su mattoni<br />

velini <strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong> III secolo, aveva fatto inizialmente<br />

pensare ad un trofeo dalla vicina Velia (con<br />

cui <strong>del</strong> resto il centro è strettamente legato per la circolazione<br />

monetaria, sino ai primi decenni <strong>del</strong> III secolo)<br />

35 . Come già sopra accennato, tuttavia, alla luce <strong>del</strong>la<br />

più recente documentazione epigrafica sul sito è possibile<br />

darne una ben diversa interpretazione. Si tratta evidentemente<br />

<strong>del</strong>l’impugnatura bronzea di un kerykeion<br />

(lat. caduceus) 36 , originario attributo di Hermes, che poi<br />

diviene in età classica il simbolo qualificante <strong>del</strong>l’araldo<br />

(greco: keryx) «… che parla a nome <strong>del</strong>la città…».<br />

Pertanto, come efficacemente sottolineato da M.<br />

Guarducci , esso viene a costituire un «simbolo ufficiale<br />

<strong>del</strong>lo Stato» 37 e, aggiungerei, il simbolo pregnante<br />

<strong>del</strong>le ambascerie di guerra e pace 38 .<br />

Presumibilmente, l’esemplare dal pianoro centrale<br />

<strong>del</strong>l’abitato lucano di Roccagloriosa era depositato nel<br />

menzionato edificio ‘pubblico’ in cui è stato rinvenuto.<br />

Il graffito «DE» enfaticamente ne designa l’appartenenza<br />

‘al popolo’, ovverosia lo qualifica quale oggetto<br />

di proprietà <strong>del</strong>la comunità, che quindi aveva adottato<br />

sia il simbolo stesso sia il termine demosion (attributo<br />

<strong>del</strong>l’oggetto) dall’apparato <strong>del</strong>le città italiote 39 .<br />

Pertanto, pur in mancanza <strong>del</strong> genitivo plurale <strong>del</strong>l’etnico<br />

di pertinenza, come indicato in tanti altri casi di<br />

rinvenimenti sia dalla Grecia che dalla Magna Grecia,<br />

è la documentazione stessa <strong>del</strong> caduceo in questione<br />

e la sua qualificazione di oggetto ‘pubblico’ (o più correttamente<br />

‘appartenente alla comunità’) a fornirci una<br />

immagine eloquente di una emergente ‘identità politica’<br />

all’interno <strong>del</strong>la comunità locale.<br />

Considerazioni conclusive<br />

Il quadro archeologico fornito dalla più recente<br />

ricerca sul sito e le considerazioni appena fatte sulla<br />

documentazione epigrafica rinvenuta, non solo apportano<br />

elementi di rilievo alla problematica <strong>del</strong>la com-


plessità insediativa di un abitato di IV secolo a. C., ma<br />

allo stesso tempo ci forniscono una fondamentale<br />

base di partenza per comprendere il livello di strutturazione<br />

<strong>del</strong>l’abitato di Roccagloriosa, al momento<br />

<strong>del</strong>la sua massima fioritura. Di fronte ai dati <strong>del</strong>la<br />

organizzazione istituzionale di cui il centro si viene<br />

dotando nel corso <strong>del</strong> IV secolo a. C., è evidente che<br />

una rigida (e semplicistica) distinzione antinomica<br />

città/non città 40 appaia <strong>del</strong> tutto fuori luogo. E’ d’altro<br />

canto da ribadire il fatto che, pur di fronte ad un abitato<br />

complesso e con forme di organizzazione politico-istituzionali<br />

quale si viene configurando per la<br />

Roccagloriosa di IV secolo a. C., sarebbe non <strong>del</strong> tutto<br />

appropriato rifarsi al paradigma interpretativo <strong>del</strong>la<br />

‘città’, cioè ad un mo<strong>del</strong>lo che direttamente o indirettamente<br />

viene più comunemente associato ad un tipo<br />

di organizzazione insediativa strutturata e centralizzata<br />

<strong>del</strong>la polis di età classica o la civitas/urbs <strong>del</strong> mondo<br />

romano. Parimenti, sono senz’altro da escludere tutte<br />

quelle definizioni (potremmo dire ‘di comodo’) quali<br />

‘proto-urbano’, ‘quasi-urbano’ o ‘pseudo-urbano’, che<br />

si rifanno in negativo ed in maniera spesso impropria<br />

(se non <strong>del</strong> tutto fuorviante) ad un tale mo<strong>del</strong>lo 41 .<br />

La ricca documentazione archeologica ed epigrafica<br />

proveniente dal sito in esame non lascia alcun dubbio<br />

che ci si trovi di fronte ad un abitato strutturato<br />

con evidenti aspetti di divisione <strong>del</strong>lo spazio secondo<br />

criteri preordinati. In tale tipo di complessa organizzazione<br />

insediativa la (sinora apparente) assenza di edifici<br />

pubblici e di una organizzazione centralizzata<br />

MAURIZIO GUALTIERI<br />

- 25 -<br />

secondo il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la città greco-romana non significa<br />

affatto assenza di una struttura ‘politica’. E’ inoltre<br />

indiscutibile il ruolo di centralità che l’abitato<br />

agglomerato svolge nell’ambito <strong>del</strong>la organizzazione e<br />

controllo di un territorio o, più propriamente, di un ben<br />

definito ‘spazio agrario’, che è stato possibile documentare<br />

con ricchezza di dati per il IV secolo a. C. tra<br />

media valle <strong>del</strong> Mingardo e bassa valle <strong>del</strong> Bussento 42 .<br />

Ci sembra opportuno, dunque, proprio sulla base<br />

di tali note di cautela, necessarie per un corretto<br />

inquadramento <strong>del</strong>le specifiche realtà archeologiche<br />

relative ad un abitato italico, richiamare le fondamentali<br />

osservazioni di E. Gabba poste a frontespizio <strong>del</strong>la<br />

nostra discussione. E’ senza dubbio, come sottolinea<br />

lo studioso, la stessa «... varietà di condizioni e di<br />

strutture» 43 <strong>del</strong>la geografia politica <strong>del</strong>la penisola italiana<br />

in età pre-romana che impedisce di considerare in<br />

modo unitario un inequivocabile fenomeno di ‘urbanizzazione’<br />

o, meglio, quella indiscutibile tendenza<br />

verso forme di ‘complessità insediativa’ che si riscontrano<br />

con crescente frequenza nel corso <strong>del</strong> IV secolo<br />

a. C. in vari comparti <strong>del</strong>la penisola italiana 44 . Sarà<br />

necessaria una più approfondita analisi <strong>del</strong>le singole<br />

realtà insediative complesse emergenti, se si vuole evitare<br />

il rischio di adottare una etichetta puramente<br />

generica, non adeguata a cogliere, nelle sue molteplici<br />

sfaccettature, un fenomeno di trasformazioni strutturali<br />

di notevole portata e dai risultati marcatamente<br />

difformi e variegati.


Note<br />

1 Si veda una discussione recente <strong>del</strong>la problematica<br />

nei contributi presentati in occasione<br />

<strong>del</strong>la Conferenza Internazionale organizzata<br />

all’Istituto <strong>Archeologico</strong> Germanico nel<br />

giugno 2006 in onore di Dietrich Mertens i<br />

cui Atti sono in corso di stampa in un volume<br />

dei Palilia a cura di R. N. EUDECKER – M.<br />

MENZEL.<br />

2 L’esplorazione è stata intrapresa nel<br />

Settembre 1976, grazie ad un cospicuo finanziamento<br />

<strong>del</strong>la Cassa per il Mezzogiorno.<br />

Colgo l’occasione per rinnovare la mia gratitudine<br />

a B. d’Agostino, allora Soprintendente<br />

Archeologo, che ha voluto affidarmi la direzione<br />

<strong>del</strong>lo scavo. A W. Johannowsky devo<br />

molti consigli sulle fasi iniziali <strong>del</strong>la esplorazione<br />

ed il sostegno alla domanda di<br />

Concessione di Scavo presentata nel 1982,<br />

successivamente al mio trasferimento nei<br />

ruoli <strong>del</strong>la University of Alberta<br />

(Edmonton, Canada). G. Tocco ha quindi<br />

sostenuto in numerose occasioni il progetto<br />

canadese. Last but not least, la mia profonda<br />

gratitudine va a M. L. Nava, attuale<br />

Soprintendente, che ha voluto coinvolgermi<br />

in recenti iniziative sulla musealizzazione<br />

<strong>del</strong> sito.<br />

3 Alla fine degli anni ’70, quando fu intrapresa<br />

l’esplorazione <strong>del</strong> sito di Roccagloriosa, si<br />

discuteva ancora (in mancanza di specifici<br />

dati archeologici), se tali siti fortificati di<br />

altura fossero mere cinte di difesa a controllo<br />

di un territorio caratterizzato da occupazione<br />

sparsa o se potesse trattarsi di fortificazioni<br />

funzionali ad un abitato agglomerato:<br />

la problematica è stata analizzata in<br />

GUALTIERI 1987.<br />

4 Si considerino ad esempio i risultati conseguiti<br />

sull’ampio pianoro di 6-7 ettari denominato<br />

Area DB e le carte di distribuzione<br />

dei materiali rinvenuti in superficie presentate<br />

in Roccagloriosa II 2001, pp. 16-20<br />

5 Secondo un mo<strong>del</strong>lo di sviluppo <strong>del</strong>ineato<br />

da A. La Regina per gli abitati di area sabellica<br />

(LA REGINA 1991).<br />

6 Fondamentale, in un momento iniziale<br />

<strong>del</strong>la ricerca, è stato il Convegno di<br />

Acquasparta su ‘L’emergenza <strong>del</strong> politico nel<br />

mondo osco-lucano’ i cui Atti sono stati in parte<br />

pubblicati in Italici. Si veda ora Roccagloriosa I<br />

1990; Roccagloriosa II 2001.<br />

7 Il sito costiero identificabile con la Pyxous<br />

Micitea cui fa riferimento Strabone 6.1.3.<br />

8 In questo senso si esprime N. Purcell in un<br />

articolo di sintesi sull’Italia meridionale nel<br />

SALTERNUM<br />

IV secolo a. C. Sia pure basandosi su una<br />

documentazione ancora preliminare,<br />

Purcell sottolinea il carattere emblematico<br />

<strong>del</strong> ‘caso’ Roccagloriosa: «..the formation<br />

of nucleated settlements like Roccagloriosa<br />

in Western Lucania, in their early stages<br />

seem to respond to purely local and shortterm<br />

needs, until the arrival of a major fortified<br />

enceinte, which seems to hint that the<br />

whole process of nucleation might better<br />

be seen against the background of awareness<br />

of an urban ideal and the political<br />

institutions associated with it. In fact, a historical<br />

process can be seen at work which<br />

enables us to make sense of the whole of<br />

South Italy in the late fourth and early third<br />

centuries…», (PURCELL 1994, pp. 395-396).<br />

9<br />

GUALTIERI 2000, passim.<br />

10<br />

FRACCHIA - GUALTIERI 2004.<br />

11 Italici 1990, pp. 161-197.<br />

12 Si consideri il testo di defixio su laminetta<br />

plumbea dal complesso A , molto probabilmente<br />

associata all’attività rituale che vi si<br />

svolgeva. Il testo, pubblicato da P.<br />

Poccetti, include una serie di gentilizi italici<br />

(quali eris, eganatis e probabilmente pollies)<br />

e antroponimi (quali gavis e mamerex),<br />

(POCCETTI 1990, pp. 141-150); si vedano<br />

anche le osservazioni al riguardo in<br />

CAMPANILE 1993, pp. 369-371.<br />

13 Roccagloriosa II 2001, pp. 97-116.<br />

14 Si vedano a tal riguardo le fondamentali<br />

osservazioni di TORELLI, in A. MOMIGLIANO<br />

e A. SCHIAVONE (eds.) Storia di Roma, vol. 1,<br />

Torino 1988, pp. 53-74 (in particolare , pp.<br />

72-73), sulle trasformazioni sociali di IV<br />

secolo, in una più ampia prospettiva che<br />

abbraccia le società locali <strong>del</strong>la penisola italiana.<br />

Con più specifico riferimento al territorio<br />

lucano, M. Torelli qualifica tale documentazione<br />

quale manifestazione, a livello<br />

archeologico, di una vera e propria ‘liberazione<br />

di servi’ proiettandola nel più vasto<br />

ambito <strong>del</strong>le trasformazioni socio-economiche<br />

<strong>del</strong>le società italiche di IV-III secolo:<br />

«A ben vedere, il fenomeno che investe la<br />

Grande Lucania poco prima <strong>del</strong>la metà <strong>del</strong><br />

IV secolo a.C. è il prodotto <strong>del</strong>le stesse<br />

spinte sociali ed economiche che con un<br />

‘effetto domino’ dall'Etruria fino alla Sicilia,<br />

passando attraverso la società di Roma<br />

tardo-repubblicana, hanno condotto al<br />

definitivo superamento <strong>del</strong>le società indigene<br />

arcaiche e all'allargamento dei corpi civici<br />

compressi dalle chiusure oligarchiche».<br />

- 26 -<br />

(TORELLI 1992, XIV-XV) Sulla nozione di<br />

'corpo civico' in relazione alle comunità italiche<br />

si considerino anche i commenti, più<br />

generali, di LOMBARDO (1999, p. 180).<br />

15 Si veda BOKONYI, COSTANTINI e FITT, pp.<br />

323-332; Fourth Century B. C., cap. 7.<br />

16 E’ stata rinvenuta nel settore ovest <strong>del</strong><br />

Pianoro Centrale in prossimità <strong>del</strong>la monumentale<br />

porta di accesso all’interno <strong>del</strong>la fortificazione<br />

(Roccagloriosa II 2001, pp. 186-187).<br />

17 Sanniti 2000, pp. 224-228.<br />

18 Una prima messa a punto <strong>del</strong> contesto storico-archeologico<br />

in cui si colloca questo<br />

importantissimo documento epigrafico,<br />

contesto che, come sopra specificato, era<br />

stato oggetto di sistematiche ed estensive<br />

indagini intese a definire il livello di organizzazione<br />

insediativa <strong>del</strong> sito lucano, hanno<br />

indotto a collocare la stesura <strong>del</strong> testo nei<br />

decenni iniziali <strong>del</strong> III secolo a. C.<br />

(GUALTIERI 2000, pp. 247-253). Non è da<br />

trascurare il fatto che, pur in assenza di una<br />

più precisa datazione <strong>del</strong> contesto archeologico<br />

di rinvenimento (in giacitura secondaria),<br />

la giacitura <strong>del</strong> manufatto ad uno strato di<br />

dilavamento in prossimità <strong>del</strong>la porta centrale<br />

(supra, n.15) fornisce di per sé un evidente terminus<br />

ante quem <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> III secolo a. C.<br />

per la sua datazione. Opportunamente, H.<br />

Galsterer, nei suoi commenti conclusivi ad<br />

una Conferenza su “La maturazione politica dei<br />

popoli italici” (tenuta all’Università di Napoli<br />

“Federico II” nel Febbraio 2000), ha senza<br />

esitazione sottolineato la profonda diversità<br />

di contesto culturale e cronologico tra i due<br />

documenti. Gli Atti <strong>del</strong>la citata conferenza<br />

sono purtroppo ancora in cds.<br />

19<br />

POCCETTI 2001, p. 268.<br />

20 Da ultima, DEL TUTTO 2006, pp. 527-536.<br />

21 Su tale aspetto si veda l’ampia discussione<br />

di LETTA 1994.<br />

22 Roccagloriosa II 2001, pp. 13-18 .<br />

23 Illustrate in Roccagloriosa II 2001, figg. 7-8.<br />

24 Sanniti 2000, pp. 33-35.<br />

25 Si consideri, a tal proposito, la collocazione<br />

di un edificio generalmente interpretato<br />

quale probabile sede <strong>del</strong>la vereia nella Pompei<br />

sannitica (Sanniti 2000, pp. 107-109).<br />

26 Mi è gradito ringraziare H. Fracchia ed E.<br />

Lanza per uno scambio di vedute sulla cronologia<br />

<strong>del</strong>la più recente documentazione<br />

ceramica pertinente all’edificio in questione.<br />

La problematica è stata discussa in una Tesi<br />

di Dottorato difesa dalla Dott.ssa E. Lanza<br />

all’Università di Padova nel giugno 2006.


27 Roccagloriosa I 1990, pp. 83-85. Si nota in<br />

particolare la quantità di ceramica a vernice<br />

nera quasi eguale alla quantità di ceramica<br />

comune e grezza. Sia la quantità relativa di<br />

vernice nera che le forme si replicano negli<br />

scavi tuttora in corso. Il materiale dagli<br />

scavi precedenti è stato ristudiato dagli<br />

autori nell’Ottobre 2006.<br />

28 Gli esemplari completi di appliques sono in<br />

numero di 6, ma ci sono tantissimi frammenti<br />

non catalogati (Roccagloriosa I 1990,<br />

pp. 320-321).<br />

29 Si vedano i commenti di A. Bottini relativi<br />

ai decenni finali <strong>del</strong> V secolo nella mesogaia<br />

lucana, dove è documentato un tipo di<br />

«…equipaggiamento forse funzionale all’uso<br />

<strong>del</strong> cavallo, il cui elemento saliente è dato<br />

da un corpetto di materiale organico, stretto<br />

da un cinturone…» (BOTTINI 2001, pp.<br />

106-116 (la citazione è a p. 116).<br />

30 Da notare in particolare sono la presenza,<br />

sul cinturone trovato nel complesso, di due<br />

tipi di perforazione, un tipo regolare sui<br />

tutti e due gli orli <strong>del</strong> cinturone, che sono<br />

normali in tale tipo di manufatti e poi, ad<br />

intervalli di 4-5 cm su un orlo solo, vi sono<br />

fori più larghi che, verosimilmente, provengono<br />

da Lavello, nella tomba 600, p. 42 e<br />

nella tomba 604, p. 44 n. 29, con commenti<br />

sull’uso a p. 102 in Forentum potrebbero<br />

essere stati utilizzati per le phalerae.<br />

Si vedano raffronti per le phalerae in BOTTINI<br />

1993: nella tomba di uno ‘straniero’ a<br />

Metaponto, necropoli urbana T. 18, p. 181<br />

fig.; p. 184, n° 6, ed un’altra da Metaponto,<br />

Località Crucinia, tomba 17/71, p. 129, ni 22-23. Altri raffronti provengono da Lavello,<br />

nella tomba 600, p. 42, n. 54, e nella tomba<br />

604, p. 44, n° 29 e commenti sull’uso, p. 102,<br />

in Forentum II 1991.<br />

31 Sul tipo di iscrizione che designa l’appartenenza<br />

‘pubblica’ <strong>del</strong>l’oggetto si vedano le<br />

considerazioni di POCCETTI 2000, pp. 197-<br />

208; SMALL 2006, pp. 328-337.<br />

32 Cfr. supra n. 17. Si consideri anche la documentazione<br />

fornita dalla defixio pubblicata nel<br />

1990, che segnalava aspetti di bilinguismo<br />

osco-greco <strong>del</strong>la locale comunità nella<br />

seconda metà <strong>del</strong> IV secolo a. C. all’interno<br />

<strong>del</strong>la comunità lucana di Roccagloriosa<br />

(Roccagloriosa I 1990, pp. 149-150).<br />

33 Roccagloriosa I 1990, pp. 317-319 e fig. 204,<br />

n° 661.<br />

MAURIZIO GUALTIERI<br />

34 ARDOVINO 1980, pp. 50-66.<br />

35 Roccagloriosa I 1990, pp. 310-313.<br />

36 Ringrazio Michael Crawford per i proficui<br />

scambi di idee (Maggio 2006) sulla natura di<br />

tale oggetto, inizialmente ritenuto un puntale<br />

di lancia da parata (Roccagloriosa I 1990,<br />

pp. 317-318) sulla base di raffronti stabiliti<br />

con simili oggetti di bronzo sagomati (con<br />

iscrizioni di dedica) rinvenuti in santuari<br />

<strong>del</strong>la Magna Grecia (cfr. supra, n. 30). M.<br />

Crawford aveva incluso il pezzo nel suo<br />

repertorio Imagines Italicae (s.v. Buxentum),<br />

Londra (in cds) con la qualifica di caduceus<br />

ed aveva voluto gentilmente inviarmi la<br />

scheda <strong>del</strong>l’oggetto, prima <strong>del</strong>l’uscita <strong>del</strong><br />

volume stesso. Chiaramente, il recente rinvenimento<br />

di un effettivo piccolo caduceo<br />

in bronzo dallo stesso edificio sembrerebbe<br />

confermare pienamente la, sinora solo presunta,<br />

natura <strong>del</strong>l’oggetto cui apparteneva<br />

l’elaborata impugnatura con iscrizione<br />

«DE». L’asta <strong>del</strong> caduceo, a cui appartiene<br />

l’impugnatura bronzea con iscrizione, che<br />

doveva terminare a serpenti incrociati, era<br />

in ferro ed inserita nella impugnatura sagomata<br />

in bronzo: ne è rimasta purtroppo<br />

solo la parte inferiore in stato di avanzata<br />

corrosione (si veda la fig. 14 ed il disegno<br />

<strong>del</strong>la sezione in Roccagloriosa I 1990, fig. 204,<br />

n. 661). Sebbene gli esemplari iscritti a noi<br />

giunti (1 da Olimpia e 14 dalla Magna<br />

Grecia) siano in prevalenza di bronzo, è da<br />

ricordare che Dionigi di Alicarnasso (Ant.<br />

Rom. I, 67,4) descrive i caducei di ferro e<br />

bronzo offerti nel santuario dei Penati a<br />

Lavinio.<br />

37 Su tale qualifica <strong>del</strong> kerykeion, anche sulla<br />

base <strong>del</strong>le iscrizioni pubbliche apposte sugli<br />

esemplari noti, cfr. GUARDUCCI 1969, pp.<br />

459-461 (la citazione è a p. 459); si veda, in<br />

particolare, quello dedicato nel santuario di<br />

Olimpia dalla comunità arcadica di<br />

Telphusa (WEBER 1944, pp. 158-160 e tav.<br />

67). Nei numerosi esemplari con iscrizione<br />

noti dalla Magna Grecia il termine «DEMO-<br />

SION» è seguito dall’etnico al genitivo plurale,<br />

riferibile alla comunità a cui apparteneva<br />

il simbolo statuale (GUARDUCCI 1969, pp.<br />

461-462).<br />

38 Su quest’ultimo aspetto è fondamentale la<br />

recente analisi di AMPOLO 2006, che fornisce<br />

una sintesi aggiornata <strong>del</strong>la documentazione<br />

relativa ai caducei rinvenuti in Magna<br />

- 27 -<br />

Grecia e giustamente ne sottolinea il valore<br />

pregnante quali ‘segni’ di una emergente<br />

«…identità politica…» anche tenuto conto<br />

<strong>del</strong> fatto che, con una singola eccezione,<br />

essi appartengono tutti a comunità anelleniche<br />

<strong>del</strong>la Magna Grecia e <strong>del</strong>la Sicilia. La<br />

problematica è stata poi ripresa nel recente<br />

Convegno Internazionale Communicating<br />

Identity cds.<br />

39 Si consideri, per tutti, il caduceo bronzeo<br />

da Siracusa iscritto con la formula completa<br />

«demosion Syrakosion» (AMPOLO 2006, pp.<br />

182-185).<br />

40 Una tale antinomica classificazione era<br />

ancora, per vari rispetti, alla base degli<br />

interventi presentati al Convegno<br />

Internazionale tenuto a S. Giustino Umbro<br />

(PG) nel 1990 su ‘KOMEDON ZONTES’:<br />

forme insediative nell’Italia e nella Spagna preromane,<br />

i cui Atti purtroppo non sono stati,<br />

ad oggi, pubblicati.<br />

41 Significativamente, E. Lepore (Dibattito, in<br />

Basilicata 1990, pp. 340-341) ricorre ad una<br />

efficace perifrasi (quale «forme urbane in progress»)<br />

che gli permette di formulare, in<br />

maniera assai più sfumata, il fenomeno di<br />

profonde trasformazioni strutturali che<br />

caratterizza il mondo italico nei decenni a<br />

cavallo tra IV e III secolo a. C.: «…c’è dunque<br />

da chiedersi se l’emergenza nel linguaggio<br />

<strong>del</strong>la fonte di Dionigi di Alicarnasso di<br />

una pasa polis… non indichi già forme federali<br />

più che cantonali nel primo decennio<br />

<strong>del</strong> III secolo e se queste non siano in diretto<br />

rapporto con una evoluzione, da organizzazione<br />

pagano-vicanica con oppida, a<br />

vere e proprie città o forme urbane in progress<br />

sull’esempio dei koinà greci metropolitani»<br />

(Ibidem, p. 340).<br />

42 Roccagloriosa II 2001, pp. 96-116.<br />

43 GABBA 1987, p. 109.<br />

44 Fondamentale per la problematica generale<br />

è la sintesi di LEPORE 1985, pp. 55-65,<br />

a cui si riallaccia la più recente discussione<br />

di LETTA 1994. Per una aggiornata discussione<br />

<strong>del</strong>la più recente documentazione<br />

archeologica, con particolare riferimento<br />

all’area lucana, si veda Verso la città 2009. Il<br />

quadro storico generale è stato <strong>del</strong>ineato di<br />

recente, con costante riferimento alla documentazione<br />

archeologica, in MUSTI 2005.


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WEBER H. 1944, Olympische Forschungen,<br />

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I culti orientali in Campania<br />

nelle testimonianze archeologiche<br />

«Nostra regio tam praesentibus plena<br />

est numinibus<br />

ut facilius possis deum quam hominem<br />

invenire».<br />

Petronio, Satyricon, 17.<br />

Le religioni ‘orientali’ in Italia: un problema<br />

terminologico.<br />

Le religioni cosiddette orientali,<br />

definizione con la<br />

quale si accorpano culti di<br />

diversa natura, provenienza, cronologia,<br />

tipologia entrati in contatto con il<br />

mondo romano e praticati anche da<br />

cittadini romani, formano un insieme<br />

eterogeneo e vario e sono a volte<br />

accomunate da una ‘generica’ provenienza<br />

orientale e da un forte esotismo<br />

nell’iconografia o anche solo<br />

nella liturgia, cosa che le distingue dalla religione<br />

greco-romana. In questa sede è opportuno dire che<br />

con il nome di religioni orientali si intendono in generale<br />

quei culti che si sono diffusi nei territori occidentali<br />

<strong>del</strong>l’Impero Romano, e in particolare in Italia, a<br />

partire dal III sec. a. C., trovando in alcuni casi un’accoglienza<br />

trionfale e ufficiale (è il caso <strong>del</strong> culto di<br />

Cibele, la Grande Madre degli dèi, introdotta a Roma<br />

per volontà <strong>del</strong> Senato nel 204 a. C. in seguito alla consultazione<br />

dei Libri Sibillini) in altri una strenua resistenza<br />

da parte dei patres in nome <strong>del</strong> rispetto <strong>del</strong> mos<br />

maiorum, per il quale si tendeva a respingere e tenere<br />

fuori gli dèi stranieri venerati dagli schiavi o dai mercanti<br />

1 .<br />

La penetrazione dei culti levantini non è avvenuta<br />

in modo improvviso ma è frutto di una graduale e<br />

continua influenza, quasi sempre mediata dalla Grecia,<br />

esercitata dalla cultura orientale sull’Occidente. Non è<br />

GIOVANNI VERGINEO<br />

Fig. 1 - Statua di Serapide in trono (II sec. d. C.),<br />

rinvenuta nel macellum di Pozzuoli nel 1750.<br />

Marmo bianco, h m 1, 12.<br />

Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale di Napoli<br />

(inv. 975), (da Egittomania 2006).<br />

- 29 -<br />

un caso che le liturgie isiaca, metroaca,<br />

mitraica facciano abbondante uso di<br />

termini greci; a volte la stessa liturgia<br />

è greca nel rito e nella lingua.<br />

Seguendo quanto afferma Walter<br />

Burkert sarebbe effettivamente<br />

opportuno chiamare queste religioni<br />

‘di origine orientale’, o meglio ‘grecoorientali’.<br />

Alla fine <strong>del</strong> IV sec d.C. i<br />

culti orientali giocano un ruolo di<br />

primo piano nella reazione anticristiana<br />

<strong>del</strong>l’aristocrazia pagana 2 . La reazione<br />

pagana al Cristianesimo si concretizza<br />

sostanzialmente in due tendenze:<br />

una che difendeva e portava avanti la<br />

religione tradizionale, l’altra che invece<br />

opponeva alla nova religio i culti<br />

orientali, in relazione ai quali spesso si<br />

ricoprivano nel corso <strong>del</strong>la vita più<br />

cariche; nei secoli più tardi <strong>del</strong> paganesimo tale atteggiamento<br />

ha favorito la percezione che le religioni<br />

levantine fossero sovrapponibili e amalgamabili fra<br />

loro perché molto simili. Quest’approccio, presente in<br />

alcune fonti antiche, è stato usato anche da alcuni<br />

autori moderni che si sono occupati <strong>del</strong>l’argomento,<br />

Franz Cumont 3 in primis; di conseguenza è entrato nel<br />

comune linguaggio degli studi parlare di religioni<br />

orientali riferendosi ai culti di Iside, Cibele, Mitra<br />

come se fossero quasi un unico fenomeno; si ribadisce<br />

pertanto la necessità di valutare le singole realtà cultuali<br />

caso per caso, evidenziando le differenze fra di<br />

esse e considerando ogni singolo culto come indipendente.<br />

Culti soterici, mistici, misterici, misteriosofici.<br />

Prima di affrontare in modo più approfondito il<br />

problema <strong>del</strong>la diffusione e <strong>del</strong> successo dei culti


orientali in Campania, ritengo sia opportuno introdurre<br />

alcuni concetti di carattere prettamente storico-religioso<br />

utili a orientare la ricerca sui fenomeni cultuali di<br />

cui si tratta in questa sede. Le forme di culto antiche,<br />

studiate con grande acume critico da Ugo Bianchi 4 , ai<br />

cui lavori si fa riferimento in questa parte <strong>del</strong>la trattazione,<br />

possono essere divise in diverse categorie.<br />

Si intende per ‘culti soterici’ quel tipo di sistemi<br />

religiosi che fanno <strong>del</strong>la promessa <strong>del</strong>la salvezza un<br />

punto chiave nel proselitismo e nella pratica liturgica;<br />

la salvezza offerta può avere carattere ‘intramondano’<br />

– che si palesa in un miglioramento <strong>del</strong>le condizioni<br />

di vita <strong>del</strong> fe<strong>del</strong>e – oppure ‘extramondano’, basato<br />

sulla prospettiva di una vita migliore dopo la morte.<br />

Inoltre, le attese escatologiche possono essere colletive<br />

– e riguardare pertanto tutta la comunità dei<br />

fe<strong>del</strong>i - o solo individuali. Nel Cristianesimo, ad<br />

esempio, la speranza soterica individuale si accompagna<br />

all’attesa, di carattere universale, per la fine <strong>del</strong><br />

mondo e per la resurrezione dei morti. Spesso i culti<br />

soterici sono venati da forte misticismo, ovvero da<br />

un’intensa compenetrazione fra i piani <strong>del</strong> divino, <strong>del</strong><br />

cosmico e <strong>del</strong>l’umano; contrariamente a quanto<br />

avviene per le religioni ‘olimpiche’ – che potremmo<br />

chiamare anche ‘omeriche’ - in cui si percepisce la<br />

distanza fra il tempo dorato ed eterno degli dèi e<br />

quello duro e finito degli uomini, tipica <strong>del</strong>le religioni<br />

mistiche è la forte vicinanza <strong>del</strong>l’uomo al dio e,<br />

soprattutto, <strong>del</strong> dio all’uomo.<br />

La componente misterica, comune ad alcune religioni<br />

‘orientali’ (Iside, Mitra, forse Cibele) ed ‘occidentali’<br />

(Eleusi, Andania, Samotracia) può essere considerata<br />

come l’evoluzione di una concezione semplicemente<br />

‘mistica’ <strong>del</strong>la fede, basata sull’identificazione<br />

<strong>del</strong> fe<strong>del</strong>e con la divinità venerata sulla base di alcune<br />

esperienze comuni, in genere dolorose.<br />

La divinità ‘mistica’, mediante una vicenda personale<br />

di dolore e passione, vive la stesse sofferenze <strong>del</strong>l’essere<br />

umano e finisce quasi con l’identificarvisi. Il<br />

dolore patito da Demetra per il distacco dalla figlia,<br />

l’angoscia <strong>del</strong>la ricerca, la gioia <strong>del</strong> temporaneo ritorno<br />

sono sentimenti in tutto e per tutto umani.<br />

Le religioni di mistero offrivano al fe<strong>del</strong>e la possibilità,<br />

tramite un particolare rito o una serie di riti,<br />

di diventare ‘mysta’, traduzione latina <strong>del</strong> greco<br />

‘mystès’ che noi rendiamo in italiano con il termine<br />

‘iniziato’. I mystài avevano privilegi peculiari; chi aveva<br />

un legame speciale con una determinata divinità gode-<br />

SALTERNUM<br />

- 30 -<br />

va <strong>del</strong>la sua protezione e, per così dire, di una prossimità<br />

preclusa ai non iniziati; è il caso, ad esempio, <strong>del</strong>l’iniziazione<br />

ai culti isiaci. Secondo la celebre testimonianza<br />

di Apuleio è Iside stessa che, comparendo in<br />

sogno ai suoi fe<strong>del</strong>i, sceglie chi debba essere introdotto<br />

ai suoi misteri; il mysta ha la possibilità esclusiva di<br />

vivere in prima persona, attraverso una complicata<br />

serie di rituali, la vicenda <strong>del</strong> dio venerato e di provare<br />

dunque il dolore, l’angoscia, la speranza e infine la<br />

gioia per la risoluzione <strong>del</strong>la vicenda. L’aver rivissuto<br />

ritualmente le sofferenze di Iside rende l’iniziato<br />

degno di accedere al naòs <strong>del</strong> santuario e di essere<br />

venerato nel giorno finale <strong>del</strong>le celebrazioni come se<br />

fosse egli stesso un dio 5 : il fe<strong>del</strong>e, attraverso questa<br />

forma di pathei mathos, accede a un più alto livello di<br />

conoscenza e consapevolezza. Il rito ha pertanto una<br />

centralità fondamentale; in alcuni casi i culti misterici<br />

sono inamovibilmente legati a un determinato luogo,<br />

e non è possibile praticarli altrove 6 ; in altri casi invece<br />

è possibile che essi vengano celebrati ovunque, purché<br />

sempre all’interno di santuari o di strutture sacre adeguate<br />

7 .<br />

Ruolo centrale nella pratica dei misteri riveste però<br />

anche la dottrina; libri sono presenti nella ritualità<br />

misterica sin da tempi molto antichi. In alcuni tipi di<br />

culto però la conoscenza <strong>del</strong>la dottrina diventa importante<br />

quanto il rito stesso, se non addirittura preminente;<br />

non basta che l’iniziando, per entrare nel novero<br />

dei mystae, dimostri particolare devozione alla divinità<br />

(e sia anche in possesso dei necessari mezzi economici,<br />

come avviene per Apuleio) rivelandosi degno<br />

di ricoprire il ruolo cui aspira, ma è necessario che egli<br />

acquisisca determinate conoscenze che lo elevino a<br />

una nuova ‘sophia’. E’ l’anima stessa <strong>del</strong>l’iniziato a vivere,<br />

così, una vicenda di ascesa e purificazione verso la<br />

salvezza. Tali culti sono definiti ‘misteriosofici’ in<br />

quanto l’iniziazione non si risolve nella semplice ritualità<br />

ma in un graduale e complesso apprendimento da<br />

parte <strong>del</strong> mysta, elemento attivo nel processo di iniziazione<br />

mediante lo studio e la pratica <strong>del</strong>le idee <strong>del</strong>la<br />

setta. Il Mitraismo è probabilmente l’esempio più calzante<br />

di questo tipo di religiosità 8 .<br />

Iside e divinità egizie in Italia<br />

Intensi contatti fra l’Italia e l’Egitto faraonico vi<br />

furono già fra il IX ed il VI sec. a. C. Prova materiale<br />

di questi rapporti, che furono soprattutto di natura<br />

commerciale, sono i c.d. Aegyptiaca 9 , rinvenuti in mol


teplici contesti archeologici <strong>del</strong>la Penisola, in particolare<br />

nelle zone di colonizzazione greca o nelle città e<br />

negli emporia etruschi 10 . La diffusione di questi manufatti<br />

non ebbe conseguenze di grande rilevanza sulla<br />

religione o la cultura dei popoli che ne entrarono in<br />

contatto: il significato degli Aegyptiaca, spesso di carattere<br />

sacro, non era probabilmente compreso dagli<br />

Italici; era l’ esotismo stesso che scaturiva dagli oggetti<br />

a costituire una forte attrattiva.<br />

La penetrazione <strong>del</strong>le divinità nilotiche in Italia fu<br />

un processo lungo; esso poté avere luogo solo a seguito<br />

<strong>del</strong> prolungato e diretto contatto fra Italici ed<br />

Alessandrini nel contesto mercantile egeo. Per penetrazione<br />

dei culti isiaci si intende l’istituzione di un culto<br />

pubblico, riconosciuto ufficialmente, a cui aderiscano<br />

un certo numero di fe<strong>del</strong>i facenti capo ad un santuario<br />

gestito da un clero organizzato gerarchicamente. La<br />

devozione privata, che probabilmente ha preceduto di<br />

molti anni la fondazione dei santuari, non ha lasciato<br />

infatti tracce sempre rilevabili dagli storici o dagli<br />

archeologi. E’ probabile che la prima regione italiana ad<br />

accogliere le nuove divinità sia stata la Sicilia di<br />

Agatocle, che intratteneva rapporti molto stretti con<br />

l’Egitto tolemaico; il tiranno di Siracusa infatti sposò<br />

Teoxena, figliastra di Tolomeo I Soter; nella prima metà<br />

<strong>del</strong> III sec. a.C. il poeta siracusano Teocrito lavorava alla<br />

corte di Tolomeo II Fila<strong>del</strong>fo (308-246 a. C.); a Catania,<br />

fra la fine <strong>del</strong> III e l’inizio <strong>del</strong> II sec. a. C. si coniarono<br />

monete con Iside, Serapide e Arpocrate 11 mentre dopo<br />

il 212 a. C. troviamo nelle coniazioni di Mineo il busto<br />

di Serapide 12 . Contemporaneamente compare sulle<br />

monete di Siracusa il gruppo composto da Iside,<br />

Serapide e Anubis 13 .<br />

E’ probabile che i contatti fra Sicilia e Campania<br />

abbiano contribuito all’importazione in questa regione<br />

dei culti di origine egizia: la prima attestazione di tali<br />

rapporti è una moneta di Tolomeo III Evergete (221-<br />

216 a. C.) rinvenuta presso Nola nello scavo di una<br />

tomba sannitica dipinta da Casamarciano. E’ tuttavia<br />

possibile che essa sia stata portata in Campania da un<br />

mercenario: è noto infatti che le popolazioni campane<br />

<strong>del</strong>l’interno fornivano spesso soldati di professione alle<br />

monarchie ellenistiche 14 . Anche se la Sicilia sembra avere<br />

le più antiche attestazioni cultuali di divinità egizie, è in<br />

Campania che queste si sono affermate in modo più<br />

forte diffondendosi poi nel resto <strong>del</strong>la Penisola.<br />

Il ponte fra l’Egitto tolemaico e l’Italia fu certamente<br />

l’Egeo. E’ infatti nel contesto dei grandi porti<br />

GIOVANNI VERGINEO<br />

- 31 -<br />

greci che si incontrano i negotiatores italici e orientali, i<br />

quali traevano profitto dal commercio degli schiavi e<br />

di ogni bene di consumo.<br />

Nel corso <strong>del</strong> II e <strong>del</strong> I sec. a. C. un gran numero<br />

di mercanti italici si stabilì in Grecia. Quelli stanziati a<br />

Delo ebbero un ruolo essenziale nella diffusione dei<br />

culti egizi in Italia; nel clima cosmopolita e tollerante<br />

<strong>del</strong>lo scalo <strong>del</strong>io molti Romaioi poterono abbracciare i<br />

culti egizi senza che vi fosse alcuna ostilità da parte<br />

<strong>del</strong>lo Stato, che anzi aveva favorito lo sviluppo <strong>del</strong><br />

culto di Serapide mediante l’edificazione <strong>del</strong> Serapeo<br />

‘C’. Il governo <strong>del</strong>l’isola, che era stata posta da Roma<br />

sotto il protettorato ateniese, aveva inoltre incentivato<br />

il culto pubblico praticato nel Serapeo ‘C’ a scapito <strong>del</strong><br />

più antico culto privato <strong>del</strong> Serapeo ‘A’ 15 .<br />

Da Delo all’Italia – anzi alla Campania - il passo fu<br />

breve, vista la frequentazione intensissima che i mercanti<br />

campani avevano di quest’isola 16 . In base ai dati<br />

raccolti, il Malaise ipotizza che la religione alessandrina<br />

si sia diffusa in Italia in due fasi: in un primo<br />

momento i mercanti italici, di ritorno in patria, avrebbero<br />

portato con se gli dèi cui si erano avvicinati<br />

durante il soggiorno egeo. Solo in una seconda fase,<br />

grazie ai rapporti diretti instauratisi fra Egitto e Italia,<br />

vi sarebbe stata una certa affluenza di Egizi nella<br />

Penisola, i quali avrebbero infuso nuova linfa al culto<br />

conferendo ad esso un’impronta più marcatamente<br />

esotica 17 . La prima fase ha un terminus post ed un terminus<br />

ante quem nel 166 e nell’88 a. C.<br />

Nel 166 a. C., infatti, Delo venne messa dai<br />

Romani sotto il protettorato ateniese e dichiarata<br />

porto franco, condizione sufficiente affinché diventasse<br />

uno scalo commerciale di grandissima rilevanza,<br />

accogliendo gran parte dei traffici che, prima <strong>del</strong>la<br />

terza guerra macedonica, facevano capo a Rodi 18 . In<br />

circa ottant’anni l’economia <strong>del</strong>l’isola prosperò e la<br />

comunità degli Italici divenne la più ricca e influente.<br />

A stretto contatto con genti provenienti da tutto il<br />

Mediterraneo, i Romaioi ne appresero parte dei costumi,<br />

avvicinandosi alla religione egizia. In questa fase i<br />

Puteolani portarono in patria gli dèi che avevano<br />

imparato a venerare sull’isola, impiantando nella città<br />

flegrea il culto di Serapide 19 .<br />

La seconda data, invece, determina la fine di questa<br />

prima fase e l’inizio <strong>del</strong>la seconda, caratterizzata<br />

dal diretto contatto fra Italici e Orientali nella<br />

Penisola 20 . Nell’88 a. C. Mitridate VI Eupatore saccheggiò<br />

Delo provocando la morte di circa 20.000 ita-


lici 21 . Molti dei sopravvissuti fecero ritorno in patria,<br />

altri restarono sull’isola che ebbe un periodo di ripresa,<br />

cui bruscamente pose fine il sacco dei pirati nel 69 a. C.<br />

L’esodo che seguì la distruzione di Delo condannò<br />

questa a perdere il ruolo centrale che aveva in precedenza<br />

nel mercato mediterraneo.<br />

Tuttavia, i negotiatores italici non avevano ormai più<br />

bisogno <strong>del</strong>lo scalo egeo: dal 125 a. C. i Romani avevano<br />

infatti ottenuto lo stato di katoikuntes (residenti)<br />

nell’isola e l’ascesa economica di Pozzuoli fu certamente<br />

in parte parallela a quella di Delo, che raggiunse<br />

il suo apogeo nel periodo compreso fra il 120 e l’88<br />

a. C. L’istituzione di un porto flegreo dalle caratteristiche<br />

simili a quello <strong>del</strong>io, che ne fece una vera e propria<br />

‘Delo Minore’ secondo la celebre definizione di<br />

Lucilio spiegata in un lemma di Festo 22 , aperto agli<br />

stranieri e punto di snodo commerciale più importante<br />

<strong>del</strong>l’occidente mediterraeo, rientra in un disegno<br />

politico ben preciso in cui rientrano tanto Delo che<br />

l’antica Dicearchia e che vede coinvolti, oltre ai mercatores<br />

italici, spregiudicati slave-traders in grado di<br />

influenzare la politica romana mediante il loro rilevante<br />

peso economico, anche alcuni esponenti <strong>del</strong>la nobilitas<br />

senatoria che avevano certamente interessi molto<br />

ingenti a che lo scalo <strong>del</strong>io assumesse rapidamente il<br />

ruolo di emporium più importante <strong>del</strong> Mediterraneo, i<br />

quali indirizzarono la politica romana verso la creazione<br />

<strong>del</strong> porto franco, posto sotto il protettorato ateniese,<br />

nell’isola di Apollo. Anche i rapporti con l’Egitto e<br />

l’ingresso di questo regno nel mercato egeo e italico<br />

dovettero essere parte di un preciso disegno politico<br />

che permise ai Puteolani di costruire una grande flotta<br />

commerciale, stringendo legami diretti con la Siria e<br />

Alessandria; gli Egiziani iniziarono a frequentare<br />

direttamente l’Italia, in particolare Ostia e Pozzuoli,<br />

portando con loro merci e idee. Nonostante questa<br />

intensa frequentazione, tuttavia, resterà proibito alle<br />

navi alessandrine di entrare nei porti italici fino all’ingresso<br />

<strong>del</strong>l’Egitto nella sfera politica romana stricto<br />

sensu, la qual cosa diventerà possibile solo con la riduzione<br />

<strong>del</strong>lo Stato tolemaico a Provincia romana in età<br />

augustea 23 .<br />

Gli dèi egizi nel Golfo di Napoli e nella Campania interna 24<br />

Pozzuoli<br />

Le prime attestazioni di contatti fra l’Egitto e la<br />

Campania sono molto antiche e risalgono già all’età<br />

SALTERNUM<br />

- 32 -<br />

Orientalizzante 25 . La prima testimonianza archeologica<br />

di un culto isiaco ufficiale in Campania è tuttavia la<br />

Lex parieti faciendo, molto più tarda, datata al 105 a. C. 26<br />

Si tratta di un’epigrafe in marmo rinvenuta a<br />

Pozzuoli, il cui testo riguarda la sistemazione di un’area<br />

antistante il Serapeum (tempio di Serapide) <strong>del</strong>la<br />

città campana 27 . E’ un documento di importanza capitale:<br />

grazie ad esso sappiamo che, alla fine <strong>del</strong> II sec.<br />

a. C., Pozzuoli aveva già un Serapeo destinato ad essere<br />

restaurato, e pertanto di certo più antico <strong>del</strong>l’iscrizione<br />

di qualche tempo.<br />

Serapide, divinità “artificiale” creata da Tolomeo I<br />

Soter (310-282 a. C.) o forse da Tolomeo II Fila<strong>del</strong>fo<br />

(285-246 a. C.) è il nume che nel mondo ellenistico<br />

soppiantò in un primo momento Osiride, antico paredro<br />

di Iside nella tradizionale religione faraonica. Il<br />

nuovo dio avrebbe dovuto favorire il processo di integrazione<br />

fra vincitori e vinti, fra l’élite greca dominante<br />

ed il popolo egizio, ma anche fra i nuovi monarchi<br />

e la potente casta sacerdotale. Fu un’operazione maturata<br />

nella contesto <strong>del</strong>la koinè culturale e religiosa<br />

seguita alle conquiste di Alessandro. I Lagidi, che<br />

governavano seguendo l’etica e i costumi dei Faraoni,<br />

cosa che spesso inorridiva i Greci 28 , tentarono di conciliare<br />

i due popoli su cui regnavano istituendo un<br />

culto che fosse accettabile per entrambi, anzi che fosse<br />

una vera e propria fusione fra la cultura greca e la cultura<br />

autoctona: «It seems that the Ptolemies strove to reconcile<br />

the Nilotic tradition with Hellenic piety by instituting the<br />

cult of Serapis» 29 . Serapide ricevette tutti gli attributi<br />

divini di Osiride: fu dio <strong>del</strong>la fertilità, <strong>del</strong>l’agricoltura,<br />

<strong>del</strong>la morte; il suo aspetto tuttavia venne elaborato in<br />

base ai canoni estetici <strong>del</strong>l’arte alessandrina. Le sue<br />

caratteristiche sono studiate a tavolino da due sacerdoti:<br />

uno egizio, Manetone di Sebennytos; uno greco,<br />

Timoteo ateniese 30 . La loro collaborazione fu essenziale<br />

affinché il nuovo idolo risultasse accettabile sia<br />

per i Greci sia per gli Egizi. Per la concreta realizzazione<br />

<strong>del</strong>l’archetipo iconografico <strong>del</strong> nuovo dio si scelse<br />

l’artista greco Briasside, il quale, per rappresentarlo, si<br />

ispirò all’iconografia di Ade 31 , accompagnandolo a<br />

Cerbero e dotandolo di modius o kalathos, copricapo<br />

traboccante di frutti simbolo <strong>del</strong> potere ctonio.<br />

Serapide divenne anche protettore <strong>del</strong>la navigazione e<br />

dio-guaritore, attributi che il precedente sposo di Iside<br />

non aveva. I Greci, data la somiglianza con le proprie<br />

divinità, lo identificarono spesso con Zeus o, più tardi,<br />

con Helios; i due dèi vennero a tal punto assimilati da


essere a volte uniti in un’unica divinità: Heliosarapis 32 .<br />

Seguendo una felice osservazione di Malaise: «[…] Isis,<br />

en restant elle-même, offrait une nature assez riche pour permettre<br />

toutes les interprétations; Serapis, pour devenir un grand<br />

dieu, fut contraint de s’adjoindre des membres du panthéon<br />

gréco-romain. […]» 33 .<br />

A cagione <strong>del</strong>la dipendenza dal mo<strong>del</strong>lo religioso<br />

tolemaico, mediato dall’ambiente mercantile egeo, il<br />

culto serapiaco a doveva avere, nell’antica Dicearchia,<br />

un’impronta fortemente alessandrina, la quale si palesa<br />

anche nell’iconografia <strong>del</strong>la statua di Serapide rinvenuta<br />

nel macellum, il cui stile riprende quello <strong>del</strong> prototipo<br />

plastico elaborato dallo scultore Briasside alla<br />

corte di Tolomeo I Soter 34 .<br />

Le notizie che abbiamo sul Serapeion puteolano sono<br />

estremamente scarse; tuttavia, la descrizione che ne<br />

viene fatta sulla lex parieti ci permette di ipotizzarne la<br />

collocazione, che doveva essere nei pressi <strong>del</strong>l’emporium<br />

<strong>del</strong>la città, cosa conforme alla natura ‘mercantile’ <strong>del</strong>la<br />

diffusione <strong>del</strong> suo culto. Secondo l’interpretazione <strong>del</strong>la<br />

lex il tempio era costituito da un aedes e da un’area, uno<br />

spazio libero ad esso prospiciente affacciato sul mare,<br />

separati da una strada (<strong>del</strong>l’emporium?) 35 .<br />

La città flegrea ospitava però anche un tempio di<br />

Iside, probabilmente sorto in età leggermente posteriore<br />

al Serapeo; di esso non sapppiamo quasi nulla,<br />

ma possiamo farci un’idea <strong>del</strong>la sua collocazine topografica<br />

e – anche se in modo molto vago – <strong>del</strong>la sua<br />

architettura, osservando le decorazioni incise su alcune<br />

fiaschette tardoantiche di produzione puteolana, la<br />

migliore <strong>del</strong>le quali è conservata oggi a Praga 36 , in cui<br />

si vede inciso il litorale puteolano con tutti i più<br />

importanti monumenti, la cui comprensione è aiutata<br />

da didascalie.<br />

Oltre ad edifici quali il teatro, l’anfiteatro, lo stadio<br />

è anche visibile, fra l’emporio - INPURIU(M) - ed il<br />

porto - PILAE - un tempio recante sulla sommità alcune<br />

figure dal corpo umano e la coda di pesce (nereidi?<br />

Tritoni?) descritto come ISIU(M), ovvero Iseo. La collocazione<br />

<strong>del</strong> tempio in riva al mare, nei pressi <strong>del</strong>l’emporio<br />

non desta alcuna meraviglia; anche Vitruvio<br />

consiglia di costruire le aedes di Iside e Serapide in quel<br />

luogo 37 .<br />

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la aedes di<br />

Serapide sia da identificare con un tempio distilo su<br />

alto podio indicato sulla fiaschetta praghese dalla didascalia<br />

ASCENSU DOM(I)NI (ascensio domini) al cui<br />

interno è visibile la figura stante di un dio recante in<br />

GIOVANNI VERGINEO<br />

- 33 -<br />

Fig. 2 - Decorazione di una fiaschetta vitrea su cui è inciso il litorale puteolano (fine<br />

III-inizio IV sec. d. C.), (restituzione grafica). Praga, Museo Nazionale (Inv. 137), (da<br />

Egittomania 2006).<br />

mano un oggetto di non facile interpretazione (cornucopia?)<br />

nell’atto di sacrificare presso un altare. 38<br />

E’ opportuno fare alcune considerazione sull’iconografia<br />

<strong>del</strong>la divinità rappresentata sulla fiaschetta.<br />

La testa personaggio è radiata da una corona solare;<br />

esso non presenta caratteristiche ctonie, come invece<br />

risulta evidente dall’analisi <strong>del</strong>la statua puteolana in cui<br />

Serapis è rappresentato come Ade, seduto in trono con<br />

Cerbero tricipite alla sua destra. Al contrario, sono evidenziate<br />

le caratteristiche ‘solari’ e ‘cosmiche’ che avvicinano<br />

il tipo iconografico all’epiclesi ‘Heliosarapis’. Il<br />

suo culto in Italia è praticato soprattutto dai Greci,<br />

mentre il corrispettivo romano (Iuppiter Sol Serapis) è più<br />

raro 39 . E’ possibile fare interessanti confronti iconografici<br />

fra l’immagine <strong>del</strong> dio sulla fiaschetta praghese<br />

e due statue monumentali in marmo, conservate l’una<br />

al Museo d’Arte e di Storia di Ginevra 40 , l’altra al<br />

Museo di Tolosa 41 : entrambe presentano il dio in piedi,<br />

recante il corno <strong>del</strong>l’abbondanza nella mano sinistra<br />

(ma nell’esemplare di Ginevra sono presenti solo tracce<br />

<strong>del</strong> corno, in quanto il braccio è mancante). La statua<br />

di Tolosa presenta anche Cerbero alla destra <strong>del</strong><br />

dio, come nell’esemplare puteolano. Tale tipo iconografico<br />

è presente anche in altri manufatti, in special<br />

modo lucerne c.d. ‘a navicella’ prodotte a Puteoli fra il<br />

terzo quarto <strong>del</strong> I sec. d. C. e vasi di vetro <strong>del</strong> IV sec.,<br />

fra i quali è possibile intravedere una certa continuità<br />

iconografica, come se facessero costante riferimento a<br />

un mo<strong>del</strong>lo, probabilmente la scultura nel Serapeo.<br />

Ad ogni modo, va sottolineato che nonostante l’attribuzione<br />

<strong>del</strong>la statua sulla fiaschetta praghese sia<br />

verosimile, non si può tuttavia essere certi <strong>del</strong>l’identità<br />

<strong>del</strong> dio rappresentato; ad esempio manca una chiara<br />

esplicazione <strong>del</strong>la natura <strong>del</strong> tempio, che invece troviamo<br />

per l’Iseo, indicato dall’incisione come ISIU(M);<br />

Serapide è prima di tutto divinità ctonia, erede di<br />

Osiride; nel contesto mercantile egeo assume anche<br />

aspetti che lo qualificano come dio <strong>del</strong>la navigazione,<br />

accezione che lo caratterizza anche sulle lucerne


Fig. 3 - Pianta <strong>del</strong>l’Iseo di<br />

Pompei (da Divus Vespasianus).<br />

puteolane. E’ probabilmente questa l’interpraetatio graeca<br />

che riscosse maggior successo nei Campi Flegrei, se<br />

è vero che il culto venne importato dai mercanti e che<br />

fu praticato soprattutto da loro.<br />

Inoltre, la collocazione topografica <strong>del</strong> tempio non<br />

sembra conciliarsi con il testo <strong>del</strong>la lex, che parla di<br />

un’area nei pressi <strong>del</strong> mare e non in collina, dove invece<br />

si trova la aedes raffigurata sulla fiaschetta, raggiungibile<br />

con una scalinata e, appunto, un’ascensio.<br />

Topograficamente, i templi di Iside e di Serapide<br />

sono spesso ospitati nello stesso complesso monumentale<br />

o in santuari vicini (caso esemplare è l’Iseo-<br />

Serapeo <strong>del</strong> Campo Marzio a Roma); è pertanto ipotizzabile<br />

che il termine Isium designi sulla fiaschetta<br />

puteolana un templum dedicato ad entrambe le divinità,<br />

abbreviato per mancanza di spazio; considerando<br />

infatti la datazione tarda <strong>del</strong>la fiaschetta (fine III-inizi<br />

IV sec. d. C.) non desta meraviglia che si sia indicato il<br />

tempio con il solo nome <strong>del</strong>la dea, in quanto il culto<br />

di Iside in Italia diventerà molto presto preminente su<br />

quello <strong>del</strong> fratello-sposo. Non è un caso che a Pompei<br />

si sia deciso di edificare, in pieno II sec. a. C., un tempio<br />

ad Iside e non a Serapide, il quale continuerà ad<br />

avere un certo seguito soprattutto fra gli stranieri e i<br />

mercanti 42 , occupando però un ruolo sempre più marginale<br />

rispetto alla sposa ‘dai mille nomi’.<br />

Una <strong>del</strong>le attestazioni più importanti <strong>del</strong> culto isiaco<br />

a Pozzuoli è una statua interpretata da Fausto Zevi<br />

come ‘Iside Pelagia’ o ’Iside alla Vela’, che raffigura la<br />

dea nell’atto di utilizzare il proprio mantello alla stregua<br />

di una vela, di cui era considerata inventrice 43 .<br />

Pompei<br />

Anche a Pompei i culti egizi sono attestati precocemente<br />

ed è probabile che l’Iseo pompeiano, unico edificio<br />

<strong>del</strong> genere ben conservato in Italia, sia di poco<br />

posteriore al Serapeo puteolano. La prima attestazione<br />

dei culti nilotici a Pompei è un’iscrizione graffita all’in-<br />

SALTERNUM<br />

- 34 -<br />

terno di una sco<strong>del</strong>la a vernice nera, rinvenuta nel<br />

corso degli scavi eseguiti nell’area fuori Porta Nola 44 .<br />

L’iscrizione recita «Fila<strong>del</strong>fo ha dedicato agli Dèi<br />

Eueilatoi»; il termine Eueilatos è diffuso soprattutto in<br />

area egizia ed egeo-insulare, e sembra essere legato alle<br />

divinità nilotiche; anche il nome <strong>del</strong> dedicante è tipico<br />

<strong>del</strong>l’onomastica greco-egizia. Secondo l’opinione di S.<br />

De Caro, quindi, la parola Eueilatoi si riferisce alle le<br />

divinità egizie le quali, stando alla cronologia <strong>del</strong>la sco<strong>del</strong>la,<br />

sarebbero presenti in città già dal II sec. a. C., età<br />

compatibile con il loro ‘sbarco’ a Puteoli.<br />

Il santuario di Iside. Le fasi costruttive<br />

Nella sua fase attuale il santuario pompeiano 45 , che<br />

sorge nell’insula VIII, 7, occupata da molti rilevanti<br />

complessi monumentali quali il Foro Triangolare, i<br />

due Teatri e il c.d. tempio di Giove Meilichio (probabilmente<br />

da attribuire ad Esculapio 46 ) è frutto <strong>del</strong>la<br />

ricostruzione successiva al terremoto <strong>del</strong> 62 a. C.,<br />

intervento voluto dal liberto Numerio Popidio<br />

Ampliato a nome <strong>del</strong> figlio di sei anni, Numerio<br />

Popidio Celsino, che si guadagnò in questo modo un<br />

posto fra i decurioni 47 .<br />

Queste informazioni sono desumibili dall’epigrafe<br />

posta all’ingresso <strong>del</strong> peribolo <strong>del</strong> tempio (il quale<br />

misura 20,76 x 23,56 m) che racchiude tutte le strutture:<br />

il peristilio, la cella, un edificio ipetro (senza copertura)<br />

denominato purgatorium o megaron e tre altari - isolandole<br />

urbanisticamente dagli edifici circostanti.<br />

Ricostruire le fasi <strong>del</strong> santuario è operazione complessa<br />

ed articolata, e spesso gli studiosi hanno opposto<br />

opinioni divergenti circa la datazione di ciascuna fase.<br />

La fase ‘Sannitica’: II sec. a. C.<br />

La maggior parte degli esperti colloca la prima fase<br />

costruttiva all’età sannitica, in un periodo compreso<br />

fra il 200 e l’80 a. C. 48 o fra il 105 e l’80 49 ; la critica<br />

moderna tende generalmente a privilegiare la cronologia<br />

più alta.<br />

La pavimentazione originaria era in tufo, come<br />

dimostrano alcune lastre ad essa relative e alcuni elementi<br />

collegabili al sistema di scolo <strong>del</strong>le acque (canalette)<br />

riutilizzati nella ricostruzione post 62; inoltre le<br />

tracce di un colonnato precedente a quello attuale<br />

sono ancora visibili sullo stilobate in blocchi di tufo<br />

<strong>del</strong> peristilio 50 . Niente altro è rimasto <strong>del</strong>l’originaria<br />

decorazione <strong>del</strong> santuario nè <strong>del</strong>le sue strutture edilizie,<br />

fatta eccezione per tre capitelli di colonna, uno


collocato ancora in situ in cima alla colonna <strong>del</strong>l’angolo<br />

nord-est <strong>del</strong> pronao, gli altri due poggiati a terra<br />

all’interno <strong>del</strong>la cella; si tratta di capitelli di tipo corinzio<br />

italico confrontabili con quelli <strong>del</strong>la navata centrale<br />

<strong>del</strong>la Basilica pompeiana e databili alla metà <strong>del</strong> II<br />

sec. a. C. 51 , coerentemente con la fase ‘sannitica’ <strong>del</strong><br />

santuario.<br />

Il peristilio più antico non differiva nelle dimensioni<br />

da quello oggi visibile: molto diversa era invece la<br />

distribuzione <strong>del</strong>le colonne, che erano dieci sui lati<br />

lunghi e otto sui lati brevi.<br />

Il Nissen 52 è stato il primo a pubblicare le misure<br />

dei lati <strong>del</strong> portico collegandole al sistema di misurazione<br />

osco: secondo lo studioso tedesco il peristilio<br />

sarebbe infatti pari a 60 piedi oschi (m 16, 50) x 50 (m<br />

13,75 – un piede osco misura cm 27,5 circa); diversi<br />

altri autori (OVERBECK 1884, TRAN TAN TINH 1964)<br />

hanno riportato nelle loro pubblicazioni le medesime<br />

misure, che però studi più recenti hanno rivelato essere<br />

errate, probabilmente forzate per ottenere una<br />

misura precisa in base ai piedi oschi; un gruppo di<br />

ricerca francese guidato da Nicole Blanc ha recentemente<br />

studiato il complesso monumentale e ha invece<br />

fornito misure differenti: 16,76 m per il lato Sud,<br />

16,71 m per il lato Nord, 13,80 m per il lato Ovest e<br />

14,00 m per il lato Est 53 .<br />

Blanc et Alii ritengono che l’unità di misura <strong>del</strong>la<br />

prima fase <strong>del</strong> santuario, contrariamente a quanto precedentemente<br />

accettato nella tradizione di studi pompeianistici,<br />

non sia il piede osco ma il piede romano<br />

(29,6 m circa) e usa questo argomento per accreditare<br />

l’attribuzione di tutto il complesso, anche nella sua<br />

prima fase, all’età augustea. Difatti, se si assume il piede<br />

romano come unità di misura <strong>del</strong> complesso, il peristilio<br />

misurerebbe 56,5 x 47 piedi romani, contro i 60,83<br />

x 50,54 piedi oschi. Anche le pareti <strong>del</strong> cortile (23,56 x<br />

20,76 m) se considerate in base alla metrologia antica<br />

misurano 79,59 x 70,13 piedi romani; il gruppo di ricerca<br />

francese ha rilevato che se si misura la ampeizza <strong>del</strong><br />

santuario sull’asse Est-Ovest includendo non solo la<br />

corte ma anche il c.d. ekklesiasterion, cioè l’edificio ad<br />

Ovest <strong>del</strong> cortile e con esso comunicante costruito<br />

‘rubando’ spazio alla più antica ‘palestra sannitica’, si<br />

ottiene la misura di 31,06 m corrispondenti a 105 piedi<br />

romani, pari a 3/2 <strong>del</strong>la lunghezza dei lati brevi (20,76<br />

m). Secondo Blanc et Alii tale calcolo dimostra che<br />

tanto il peribolo quanto il peristilio e l’ekklesiasterion<br />

fanno parte in realtà di un progetto omogeneo, matura-<br />

GIOVANNI VERGINEO<br />

- 35 -<br />

to non in età sannitica ma in età augustea. L’intervento<br />

‘popidiano’ non sarebbe stato quindi, come indicato<br />

dall’epigrafe, ‘a fundamento’, ma al contrario si tratterebbe<br />

di una semplice ristrutturazione.<br />

A favore di questa ipotesi, che va contro la tradizionale<br />

corrente di studi sull’Iseo pompeiano, il gruppo<br />

francese sottolinea anche il rapporto struttivo fra il<br />

lato sud <strong>del</strong> complesso e alcuni pilastri relativi alle<br />

arcate che corrono intorno alla crypta <strong>del</strong> Teatro<br />

Grande, cui l’ambiente a sud <strong>del</strong>l’ekklesiaterion (il c.d.<br />

sacrarium) e l’ambiente a sud <strong>del</strong>la corte denominato ‘di<br />

servizio con bacino’ sono tangenti. Inoltre, un pilastro<br />

<strong>del</strong> teatro è inglobato dalla parete sud <strong>del</strong>la corte, che<br />

quindi è necessariamente più tarda. Dato che il teatro,<br />

probabilmente edificato nella metà <strong>del</strong> II sec. a. C., è<br />

stato ricostruito in età augustea 54 , ne deriva che il peribolo<br />

deve essere necessariamente posteriore a questo,<br />

probabilmente di età augustea o giulio-claudia 55 .<br />

Coerente con l’ipotesi proposta sarebbe anche la<br />

analisi <strong>del</strong>le sculture, databili per la maggior parte nello<br />

stesso arco cronologico 56 .<br />

Nonostante il lavoro <strong>del</strong>l’équipe francese costituisca<br />

probabilmente l’analisi più approfondita mai effettuata<br />

sull’Iseo pompeiano, indagato in ogni minimo dettaglio<br />

con grande acume critico sia dal punto di vista <strong>del</strong>le<br />

strutture che <strong>del</strong>le decorazioni ad esse pertinenti, e nonostante<br />

la pubblicazione di Blanc et Alii sia ormai un<br />

punto di riferimento inevitabile per coloro i quali si<br />

accingono allo studio di questo monumento, alcune<br />

conlcusioni in merito alla cronolgia <strong>del</strong>la fondazione<br />

<strong>del</strong>l’Iseo restano tuttavia difficili da accettare.<br />

Le indagini metrologiche, pur affascinanti, non<br />

spiegano la sopravvivenza all’interno <strong>del</strong> santuario di<br />

materiali chiaramente di età sannitica, come il tufo<br />

reimpiegato in diverse parti <strong>del</strong> complesso. Inoltre,<br />

resterebbe da capire e collocare cronologicamente il<br />

primo peristilio: se tutto il complesso è frutto di un<br />

unico progetto d’età augustea o giulio claudia, a quando<br />

datare le tracce <strong>del</strong> primo peristilio?<br />

Inoltre, il fatto che alcune strutture nella parte Sud<br />

<strong>del</strong> santuario si appoggino ai pilastri <strong>del</strong> teatro dimostra<br />

la posteriorità <strong>del</strong> solo peribolo (che comunque,<br />

stando a quanto affermato nell’epigrafe all’ingresso, è<br />

stato riedificato ‘a fundamento’ dopo il terremoto <strong>del</strong><br />

62) e non <strong>del</strong>l’intero monumento alla ricostruzione<br />

<strong>del</strong> teatro stesso.<br />

Va poi tenuto conto che le le dimensioni <strong>del</strong> peristilio<br />

sono ugualmente accettabili sia se calcolate in


Fig. 4 - La cella <strong>del</strong><br />

tempio di Iside a<br />

Pompei (foto <strong>del</strong>l’autore).<br />

base al piede osco (23,56 x 20,76 m = 85,67 x 75,5<br />

piedi oschi) che in base al piede romano (79,59 x 70,<br />

13 piedi romani).<br />

L’ingresso di un bambino di sei anni nell’ordine dei<br />

Decurioni è evento certamente eccezionale, e pertanto<br />

il conferimento di una carica tanto rilevante a un<br />

fanciullo non si spiegherebbe come conseguenza di un<br />

semplice restauro.<br />

I culti egizi hanno cominciato a penetrare in<br />

Campania a partire dal II sec. a. C., come testimonia la<br />

Lex parieti faciendo di Pozzuoli; da qui si sono diffusi<br />

rapidamente in molte zone <strong>del</strong>l’Italia 57 . Una datazione<br />

<strong>del</strong> primo Iseo all’età augustea desterebbe pertanto<br />

maggiori perplessità che una sua collocazione cronologica<br />

al II sec. a. C., vista anche la nota ostilità di<br />

Augusto agli dèi egizi, contro cui egli condusse una<br />

vera e propria crociata culturale in quanto semanticamente<br />

collegabili ad Antonio 58 .<br />

La fase ‘Popidiana’: 62 - 79 d. C.<br />

La fase attuale, che potremmo definire ‘popidiana’<br />

dal nome <strong>del</strong>l’esecutore materiale <strong>del</strong> restauro, è frut-<br />

Fig. 5 - Iseo di Pompei, affresco. Iside trasporta sul Nilo il cadavere <strong>del</strong> marito chiuso<br />

in una cassa, fra due divinità fluviali. In basso, una cista mystica con serpenti.<br />

Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale (inv. 8929), (da Egittomania 2006).<br />

SALTERNUM<br />

- 36 -<br />

to di una riedificazione ‘a fundamento’, come indica lo<br />

stesso testo <strong>del</strong>l’epigrafe posta all’ingresso <strong>del</strong>la corte.<br />

Essa è caratterizzata dall’uso <strong>del</strong> mattone e <strong>del</strong>l’opera<br />

cementizia contrapposta al tufo cui si è ampiamente<br />

fatto ricorso nell’età ‘sannitica’. Le caratteristiche di<br />

questa fase edilizia saranno analizzate in dettaglio<br />

struttura per struttura.<br />

Il portico<br />

A seguito <strong>del</strong>l’intervento di Numerio Popidio<br />

Celsino le colonne <strong>del</strong> portico, che poggiano su di uno<br />

stilobate in blocchi di tufo, si presentano in mattoni,<br />

rudentate e rivestite in stucco rosso nella parte inferiore<br />

e scanalate in stucco bianco nella parte superiore, e<br />

sono sistemate in modo meno regolare: i lati lunghi<br />

presentano otto colonne, il lato occidentale ne ha sette<br />

mentre il lato orientale presenta quattro colonne<br />

disposte lateralmente e due pilastri con semicolonne<br />

addossate in posizione centrale, di altezza leggermente<br />

più alta ed intercolumnio più ampio a formare quasi<br />

una sorta di propylon che enfatizza il rapporto e l’assialità<br />

fra l’ingresso <strong>del</strong>la cella e la nicchia di Arpocrate<br />

posta di fronte ad essa, nella parete <strong>del</strong> cortile.<br />

I capitelli, anch’essi rivestiti in stucco, erano di<br />

ordine tuscanico decorati con motivi vegetali; sono<br />

ricostruibili grazie alla documentazione grafica effettuata<br />

al momento <strong>del</strong>lo scavo, la quale ci restituisce<br />

anche l’immagine <strong>del</strong>la copertura a tegole con antefisse<br />

a maschera di gorgone.<br />

Le pareti <strong>del</strong>la corte erano decorate con affreschi di<br />

IV stile che si articolavano in quattro fasce principali 59 .<br />

Il basamento è scandito da pannelli<br />

rettangolari a fondo giallo decorati<br />

con sfingi affrontate, gorgoneia,<br />

mostri marini e <strong>del</strong>fini alternati a<br />

pannelli più stretti con patere o<br />

bucrani; essi sono separati da fasce<br />

verticali a fondo rosso, ognuna <strong>del</strong>le<br />

quali è riempita con tre pannelli rettangolari<br />

a fondo azzurro disposti<br />

verticalmente e decorati con motivi<br />

vegetali.<br />

La fascia decorativa mediana, più<br />

ampia e separata dalla prima da una<br />

finta cornice a dentelli, è costituita da<br />

Fig. 6 - Iseo di Pompei.<br />

Uno dei pannelli decorativi<br />

<strong>del</strong>la parete interna<br />

<strong>del</strong> peribolo.<br />

pannelli a fondo rosso incorniciati da<br />

can<strong>del</strong>abri o da ghirlande tese al cui<br />

interno si trovano vignette con sacer-


doti e paesaggi; alternati a questi troviamo leggere<br />

architetture lignee poste in scorcio convergente, sicché<br />

è stato possibile ricostruire la successione dei pannelli<br />

caduti a seguito <strong>del</strong> crollo <strong>del</strong>le coperture sulla base<br />

<strong>del</strong>la successione ottica <strong>del</strong>la prospettiva, che terminava<br />

con un pannello a visione frontale. Gli scorci architettonici<br />

sono chiusi, in basso, da tramezzi a fondo nero<br />

decorati con motivi vegetali (prevalentemente cespi di<br />

acanto) sui quali poggiano quadri con nature morte,<br />

naumachie o paesaggi. Al di sopra correva un elegante<br />

fregio a fondo nero decorato con girali di acanto e<br />

raffigurazioni di soggetti egittizzanti quali animali, pigmei,<br />

rosette sempre diverse.<br />

La fascia superiore, di cui non restano che pochi<br />

lacerti, era a fondo bianco con leggere architetture<br />

lignee poste a prosecuzione di quelle <strong>del</strong>la fascia ornamentale<br />

sottostante, arricchite di elementi <strong>del</strong> repertorio<br />

<strong>del</strong>la pittura di IV stile quali bordi di tappeti, ghirlande,<br />

tralci, quadretti.<br />

Poiché le pareti interne <strong>del</strong> portico ospitano nicchie<br />

per le statue degli dèi e aperture di passaggio, lo<br />

schema <strong>del</strong>la struttura decorativa era stato adattato in<br />

modo diverso a ciascuna <strong>del</strong>le pareti in modo che la<br />

variante architettonica entrasse a far parte <strong>del</strong>la decorazione;<br />

ciò è particolarmente evidente nella parete est<br />

dove la nicchia in cui era alloggiata la statua di<br />

Arpocrate sostituisce il pannello con scorcio architettonico<br />

a ‘visione centrale’ configurandosi in rapporto<br />

visivo ‘privilegiato’ con l’ingresso <strong>del</strong>la cella, con il<br />

quale è in asse.<br />

La aedes<br />

Al centro <strong>del</strong>la corte sorge la aedes di Iside, edificio<br />

prostilo tetrastilo a cella trasversale costruito su podio<br />

alto m 1, 50 ca. e composto da un naòs rettangolare di<br />

m 4, 82 x m 3, 04 preceduto da un pronaos <strong>del</strong>la medesima<br />

forma che misura m 7,65 x 3, 79. Le colonne, in<br />

tufo rivestito di stucco scanalato, presentano base<br />

attica e capitello corinzio e sono forse riferibili alla<br />

fase ‘sannitica’ <strong>del</strong> tempio. Sulla facciata <strong>del</strong>la cella, ai<br />

lati <strong>del</strong>la porta, si trovano due ali con nicchie inquadrate<br />

da lesene con capitello corinzieggiante che sorreggono<br />

timpani triangolari, i quali conferiscono<br />

all’edificio la caratteristica forma oblunga. Le nicchie<br />

erano destinate probabilmente alle statue di Anubis e<br />

Arpocrate, i theoi sunnaoi cui erano dedicati anche gli<br />

altarini posti in corrispondenza sul piano <strong>del</strong> cortile.<br />

La parete di fondo <strong>del</strong> naòs, decorata con pannelli in<br />

GIOVANNI VERGINEO<br />

- 37 -<br />

stucco di forma rettangolare sormontati da uno o più<br />

filari di finti ortostati, è occupata da un podio alto m<br />

1,75 ca. che comunica con l’esterno mediante una<br />

piccola scala di cinque gradini. Sul podio è possibile<br />

vedere due piccoli piedistalli, su cui è verosimile fossero<br />

collocate le statue di Iside e Serapide oppure<br />

Osiride. Sul lato posteriore <strong>del</strong>la cella, all’esterno, è<br />

visibile una nicchia, riccamente decorata a stucco, la<br />

quale ospitava una statua policroma di Dioniso che<br />

gioca con la pantera.<br />

La decorazione <strong>del</strong>le pareti esterne <strong>del</strong>la cella, in I<br />

stile, è in stucchi imitanti una struttura a blocchi isodomi<br />

ortostati di colore bianco inquadrata da lesene<br />

angolari corinzie; il basamento su cui poggiano le<br />

pareti, scandito da pannelli bianchi, sorge su di un piccolo<br />

zoccolo connesso alla zona soprastante da una<br />

gola rovescia decorata con un motivo a girali in cui si<br />

alternano foglie di acanto e foglie d’acqua 60 . Nella<br />

parte più alta <strong>del</strong>la struttura, immediatamente al di<br />

sotto <strong>del</strong> soffitto a mensole in mattoni, correva un fregio<br />

a girali, connesso alle pareti in ortostati da un kyma<br />

ionico, simile a quello che decorava il portico; ai lati<br />

<strong>del</strong>l’ingresso <strong>del</strong>la cella vi sono due pannelli decorati<br />

con finte architetture e ghirlande; le nicchie <strong>del</strong>le ali<br />

sono decorate nella parte superiore con un motivo a<br />

ghirlande; seguono, ancora più sopra, un fregio ionico<br />

leggermente aggettante decorato con un anthemion che<br />

si raccorda al soprastante timpano mediante un listello<br />

e una sima a gola rovescia. Della decorazione dei<br />

piccoli timpani laterali non resta quasi nulla.<br />

La sima frontonale <strong>del</strong> timpano maggiore era probabilmente<br />

costituita da lastre con geni alati, nascenti<br />

da cespi di acanto, che si affrontano reggendo scudo e<br />

corazza. Tale motivo sarebbe legato alla propaganda<br />

trionfalistica dei Flavi, celebrativo <strong>del</strong>le loro conquiste<br />

in Oriente favorite dalla dea stessa 61 .<br />

I pavimenti, in cocciopesto e in mosaico, ci sono<br />

noti solo grazie alla documentazione grafica eseguita<br />

in corso di scavo 62 .<br />

Ai piedi <strong>del</strong>la scalinata <strong>del</strong> tempio si eleva l’altare<br />

maggiore, da dove il sacerdote officiava il culto guardando<br />

in direzione <strong>del</strong>la cella, dando le spalle alla folla<br />

dei fe<strong>del</strong>i raccolti all’interno <strong>del</strong> colonnato. Nei pressi<br />

<strong>del</strong>l’altare è stata rinvenuta una piccola fossa in mattoni<br />

dentro la quale venivano depositati i resti carbonizzati<br />

dei sacrifici: datteri, pigne, castagne, fichi, nocciole<br />

e frammenti di piccoli idoli egizi 63 . La presenza di<br />

pigne e datteri come offerte sacrificali, avvalora l’ipo


tesi che la ‘cista mystica’ (contenitore in vimini<br />

che rivestiva certo un’importante funzione<br />

cultuale, e che compare in molti affreschi e<br />

rappresentazioni di tema ‘isiaco’ 64 ), contenesse<br />

appunto tali frutti secchi fino al momento<br />

<strong>del</strong>la loro combustione, come deducibile dall’osservazione<br />

<strong>del</strong>la decorazione di due lucerne,<br />

una da Napoli e una da Pompei, da un<br />

rilievo conservato al Museo Egizio di Torino 65<br />

e da un bassorilievo che decora l’ara di Titus<br />

Flavius Antilius conservata ai Musei Vaticani 66 .<br />

A Benevento ne è stato rinvenuto un esemplare<br />

in porfido rosso, ricavato da un unico blocco<br />

di pietra il cui coperchio forma quindi un<br />

tutt’uno con il corpo <strong>del</strong>la cista 67 . Si tratta evidentemente<br />

di un falso contenitore, versione<br />

‘monumentale’ <strong>del</strong>la cista in vimini<br />

realmente usata durante le processioni,<br />

la quale probabilmente era di per sé<br />

oggetto di adorazione da parte dei fe<strong>del</strong>i,<br />

al pari <strong>del</strong> vaso canopo 68 .<br />

Il Purgatorium<br />

Non lontano dalla cella, presso l’angolo<br />

sud-est <strong>del</strong>la corte, sorge un piccolo<br />

edificio ipetro dall’aspetto di un tempietto<br />

scoperto le cui pareti erano coronate<br />

da antefisse a maschera teatrale; la<br />

facciata è scandita da quattro lesene le<br />

quali sorreggono un fregio-architrave<br />

che corre su tutte e quattro le pareti visibili, interrotto<br />

sulla facciata dalla porta sormontata da un arco inserito<br />

nel timpano 69 .<br />

Le lesene, che poggiano su un basso zoccolo<br />

decorato a stucco, presentano base attica e sono<br />

anch’esse decorate a stucco: le due più esterne sono<br />

decorate con una coppia di tralci vegetali che, intersecandosi,<br />

formano ampi occhielli entro i quali sono raffigurati<br />

a rilievo soggetti legati al mondo egizio: il<br />

cobra, la corona hatef, l’ippopotamo, il demone Bes<br />

seduto, il sistro, la situla mammelliforme, il bucranio e<br />

l’amorino. Un can<strong>del</strong>abro, in entrambi i casi mal conservato,<br />

orna invece le lesene interne, incorniciate da<br />

baccellature. Esse presentano capitello corinzieggiante<br />

recante una figura umana al centro <strong>del</strong> kalathos, raccordato<br />

al soprastante architrave da un piccolo listello<br />

e da una gola diritta decorata con un kyma ad onda. I<br />

pannelli fra le lesene ospitano <strong>del</strong>icati rilievi che pog-<br />

SALTERNUM<br />

Fig. 7 - Ara di Titus<br />

Flavius Antylius, con raffigurazione<br />

<strong>del</strong> contenuto<br />

<strong>del</strong>la cista mystica, con<br />

due serpenti agathodaimones.<br />

Musei Vaticani, Galleria<br />

dei Can<strong>del</strong>abri.<br />

Fig. 8 - Cista ‘mystica’. Granito rosso, h m<br />

0, 47. Benevento, Museo <strong>del</strong> Sannio.<br />

- 38 -<br />

giano su mensole leggermente aggettanti, i<br />

quali raffigurano statue di sacerdotesse in<br />

piedi sotto una sorta di piccolo velarium decorato<br />

con motivi marini da cui pendono ghirlande.<br />

Le decorazioni <strong>del</strong>l’architrave e <strong>del</strong><br />

timpano, separati da un piccolo listello scanalato<br />

e da una sima a gola diritta intagliata con<br />

un kyma in cui si alternano fiori di loto e<br />

archetti che racchiudono foglie atrofizzate,<br />

sono mal conservate: dai disegni eseguiti<br />

dopo la scoperta sappiamo che sul primo<br />

erano dipinti Anubis con caduceo e bastone,<br />

un sacerdote con cobra, uno con situla e ramo<br />

di palma e uno con lituo; vi erano poi una<br />

donna a torso nudo e cinque supplicanti; sul<br />

secondo, invece, una hydrìa fra due<br />

figure in ginocchio e due geni alati con<br />

trofei si stagliavano contro il fondo<br />

verde.<br />

Un secondo kyma, in cui si alternano<br />

trifogli e fiori di loto, decora la cornice<br />

inferiore <strong>del</strong>la trabeazione, immediatamente<br />

al di sotto <strong>del</strong>l’architrave; lo<br />

stesso motivo, ma invertito, è intagliato<br />

lungo l’archivolto. Il geison obliquo presenta<br />

una sima a gola diritta decorata<br />

con un kyma composto da palmette<br />

sotto archi e fiori di loto.<br />

Le pareti Est e Ovest sono tripartite<br />

in pannelli con amorini ai lati e coppie<br />

in volo nel campo centrale, forse Perseo e Andromeda<br />

a est e Marte e Venere a ovest; in alto, a terminare la<br />

decorazione parietale, sono due filari di finti ortostati in<br />

stucco. Il fregio ionico, che corre al di sopra degli ortostati<br />

è ornato con <strong>del</strong>fini e amorini; un kyma di trifogli<br />

e fiori di loto, uguale a quello presente in facciata, separa<br />

il fregio dagli ortostati; la parte superiore di questo è<br />

invece decorata con un kyma a palmette inscritte e fiori<br />

di loto.<br />

All’interno <strong>del</strong> recinto una breve scalinata introduce<br />

ad una stanza ipogea di m 2 x 1,50, in un angolo<br />

<strong>del</strong>la quale sorge un piccolo podio 70 . L’interpretazione<br />

<strong>del</strong>la funzione <strong>del</strong>l’aula è controversa: la struttura<br />

induce a pensare che si tratti di un edificio destinato a<br />

contenere acqua lustrale (<strong>del</strong> Nilo?) e, pertanto, che<br />

fosse collegato ai riti di purificazione che precedevano<br />

l’iniziazione dei mystae. Il Breton lo qualifica come purgatorium,<br />

mentre il Lafaye ed il Morel definiscono la


struttura megaron 71 . Il termine megaron è stato rinvenuto<br />

in una iscrizione ostiense 72 , ed indica la sala ove gli iniziati<br />

passavano la notte prima <strong>del</strong>la cerimonia vera e<br />

propria. E’ probabile, in ogni caso, che si tratti di un<br />

edificio legato ai riti iniziatici, nonostante l’ambiente<br />

sembri decisamente angusto e inadatto ad ospitare un<br />

uomo adulto per tutta una notte.<br />

L’iniziazione era una cerimonia complessa, di cui<br />

non conosciamo tutti i dettagli né di cui possiamo<br />

interpretare tutti gli aspetti; tuttavia, per noi resta preziosissima<br />

la testimonianza di Apuleio, il quale ci fa<br />

‘rivivere’ l’esperienza dei mystae grazie alle sue<br />

Metamorfosi 73 .<br />

L’ Ekklesiasterion e il Sacrarium<br />

In occasione <strong>del</strong>la ricostruzione <strong>del</strong> santuario da<br />

parte di Popidio Celsino (post 62 d. C.) questo venne<br />

ampliato verso est di m 7,65 x 13,20, ‘rubando’ spazio<br />

all’attigua ‘Palestra Sannitica’, mediante la costruzione<br />

di un ambiente denominato ekklesiasterion cui si accedeva<br />

attraverso cinque passaggi ad arco; sul pavimento<br />

<strong>del</strong>l’ambiente era possibile vedere i mosaici recanti<br />

i nomi dei donatori <strong>del</strong> santuario, ovvero Numerio<br />

Popidio Celsino, il bimbo di sei anni già menzionato<br />

nell’iscrizione all’ingresso <strong>del</strong> complesso, suo padre<br />

Ampliato e sua madre Cornelia Colsa.<br />

Non conosciamo l’originale funzione <strong>del</strong>la sala, al<br />

cui interno venne rinvenuto l’acrolito di Iside recante<br />

ancora orecchini d’oro al momento <strong>del</strong>la scoperta 74 .<br />

L’ambiente doveva essere molto importante per le<br />

funzioni sacre: era infatti decorato in modo da richiamare<br />

direttamente l’Egitto mediante statue di sacerdotesse<br />

recanti can<strong>del</strong>abri dorati, ognuna con un diverso<br />

attributo <strong>del</strong> culto; affreschi di discreto livello qualitativo<br />

decoravano le tre pareti continue, su cui erano raffigurati<br />

finestroni attraverso i quali era possibile<br />

ammirare paesaggi nilotici e finte architetture a tema;<br />

la parete di ingresso presentava un prospetto porticato<br />

a fondo verde con colonne corinzie scanalate che<br />

sorreggevano un epistilio a fondo rosso con Nereidi<br />

su <strong>del</strong>fini, in parte ancora visibili. I quadri posti fra le<br />

vedute paesistiche erano di tema mitologico: sulla<br />

parete nord è rappresentato il momento iniziale <strong>del</strong>la<br />

vicenda di Io che viene sottratta da Ermes alla vigilanza<br />

di Argo, un tema derivante da un celebre quadro di<br />

Nicia 75 ; sull’altra parete è rappresentato l’arrivo di Io a<br />

Canopo, accolta da Iside 76 ; la parete ovest fu trovata<br />

invece già priva <strong>del</strong> quadro centrale.<br />

GIOVANNI VERGINEO<br />

- 39 -<br />

Fig. 9 - Iseo di<br />

Pompei, il c.d.<br />

megaron.<br />

Nell’ambito degli stessi<br />

lavori post-sismici<br />

venne edificato un altro<br />

ambiente a Sud <strong>del</strong> c.d.<br />

Ekklesiasterion: si tratta di<br />

uno spazio adibito a<br />

sacrestia per il deposito di<br />

arredi sacri e doni votivi<br />

(c.d. sacrarium); forse era<br />

destinato ad accogliere<br />

anche gli iniziandi, i quali<br />

potevano così riunirsi in<br />

un ambiente riservato e<br />

decorato con affreschi<br />

Fig. 10 -Iseo di Pompei, l’ambiente sotterraneo<br />

<strong>del</strong> megaron.<br />

che raffiguravano la dea e il suo sposo nonché<br />

momenti salienti <strong>del</strong> culto. Queste decorazioni si<br />

discostano da tutte le altre per stile e tecnica: sono<br />

state infatti eseguite da un pittore di larari o di insegne<br />

che ha steso grosse pennellate di colori monotonali, a<br />

volte così diluiti da essere scarsamente leggibili.<br />

L’ambiente, di forma irregolare, era decorato nella<br />

parete ovest con le immagini di Iside e Serapide affiancate<br />

da una leonessa e da serpenti; sulla parete nord<br />

erano dipinti Bes, l’Inventio Osiridis sul larario con serpenti<br />

striscianti verso la cista mystica, un gruppo di animali<br />

(leone, ibis, cobra e sparviero) che proseguiva<br />

sulla parete est con le fiere <strong>del</strong> deserto e si concludeva<br />

con l’immagine di un toro 77 .<br />

Il cubiculum, il triclinium, la cucina<br />

A Sud <strong>del</strong> portico troviamo alcuni ambienti che<br />

dovevano essere sussidiari al culto e funzionali alla<br />

celebrazione <strong>del</strong>le attività quotidiane. Da Ovest a Est<br />

si succedono un cubiculum, un triclinium e una cucina<br />

comunicante con l’esterno dotata di deposito e sottoscala.<br />

Essi, ricostruiti in corrispondenza di ambienti


Fig. 11 - Statua di Iside, rinvenuta a Napoli. Marmo bigio morato; testa, mani e piedi<br />

in marmo bianco (h m 1, 30).<br />

Vienna, Kunsthistorisches Museum (inv. 1-158), (da Egittomania 2006).<br />

Fig. 12 - Statua di Iside Pelagia, da Posillipo.<br />

Museo <strong>del</strong>le Belle Arti di Budapest (da Egittomania 2006).<br />

più antichi ai quali dovevano appartenere il puteale in<br />

terracotta <strong>del</strong>la metà <strong>del</strong> II sec. a. C. qui rinvenuto e la<br />

cista in piombo, trovata in situ ancora collegata alla<br />

fistola di piombo e con la chiave di arresto, che testimoniano<br />

ancora una volta l’importanza <strong>del</strong>l’acqua<br />

nella celebrazione <strong>del</strong>la liturgia isiaca 78 .<br />

Ercolano<br />

La seconda città vesuviana ad essere distrutta dall’eruzione<br />

<strong>del</strong> 79 non ha restituito i resti di alcun santuario<br />

isiaco; tuttavia, la grande quantità di materiale<br />

pertinente rinvenuto in città induce a ritenere che ve<br />

ne fosse almeno uno. La maggior parte dei reperti<br />

sono stati trovati nella zona <strong>del</strong>la c.d. palestra, e fra<br />

essi forse erano anche il celebre affresco, diviso in<br />

due scene, di cui all’epoca <strong>del</strong>lo stacco non fu indicata<br />

la provenienza; il Müller interpreta le scene l’una<br />

come ‘danza rituale isiaca’, l’altra come ‘cerimonia<br />

<strong>del</strong> mattino’ 79 , mentre il Malaise le considera come<br />

pertinente ad un unico rituale, la celebrazione<br />

<strong>del</strong>l’Inventio Osiridis nel mese di Novembre. Si tratta di<br />

due opere di grande rilievo, perché permettono di<br />

inquadrare molti reperti in un contesto rituale ‘vivo’,<br />

còlto nel pieno <strong>del</strong> suo svolgimento ed interpretabile<br />

anche con l’aiuto <strong>del</strong>le fonti.<br />

SALTERNUM<br />

- 40 -<br />

Fra i materiali di pregio va menzionata la statua <strong>del</strong><br />

dio Atoum 80 , divinità solare e creatrice su cui il Faraone<br />

‘eretico’ Akenathon (1338-1331 a. C.), marito di Nefertiti,<br />

volle incentrare la sua riforma monoteista. L’opera è<br />

datata fra il 1405 e il 1370 a. C. ed è stata rinvenuta all’interno<br />

<strong>del</strong>la c.d. ‘palestra’. Degna di nota è anche la base<br />

con geroglifici di fantasia <strong>del</strong> I sec. d. C., i cui disegni<br />

sono ispirati al culto di Horus 81 . E’ un’importante testimonianza<br />

di come la religione isiaca in Italia avesse<br />

perso in parte i contatti con la cultura egizia, non<br />

riuscendo a produrre opere con geroglifici significanti<br />

e utilizzando questi alla stregua di decorazioni sacre, la<br />

cui sola presenza serviva a qualificare un oggetto<br />

come ‘sacro’, ‘egizio’ ma anche, probabilmente, ‘alla<br />

moda’. La singolarità di questo manufatto sta nell’essere<br />

contemporaneamente sia un oggetto di culto<br />

destinato all’ uso sacro sia una testimonianza <strong>del</strong>l’egittomania,<br />

che imperversò nel mondo romano a partire<br />

sopratutto dal I sec. a. C. 82<br />

Iside a Napoli<br />

Gli dèi nilotici ottennero largo seguito anche presso<br />

la graeca urbs campana per eccellenza; Iside non<br />

dovette impiegare molto per giungere da Pozzuoli a<br />

Napoli. Due iscrizioni in greco fanno riferimento<br />

anche a un’associazione di atleti alessandrini, i quali<br />

certamente erano devoti agli dèi <strong>del</strong>la madrepatria 83 ;<br />

inoltre la presenza di questi doveva essere consistente<br />

se Nerone poté assoldare una claque alessandrina per la<br />

sua esibizione teatrale in città 84 . Napoli ha restituito<br />

reperti archeologici di grande interesse per gli studi<br />

isiaci. In particolare si segnalano due statue di Iside,<br />

una conservata presso il Museo <strong>Archeologico</strong><br />

Nazionale 85 ed una presso il Kunsthistorisches Museum di<br />

Vienna 86 ; si tratta di opere di pregio elevato, eseguite<br />

con molta probabilità nel corso <strong>del</strong> II sec. d. C..<br />

L’Iside <strong>del</strong> Museo Nazionale è un acrolito con testa,<br />

braccia e piedi in marmo bianco; i capelli sono invece<br />

parzialmente coperti da un kredemnon in marmo grigio<br />

e sono raccolti in una treccia che corre tutta attorno<br />

alla testa. Sulla fronte è un fiore di loto; anche il<br />

lungo chitone e l’himation a frange, che si intreccia sul<br />

petto a formare il caratteristico nodo isiaco, sono in<br />

marmo grigio. La mano sinistra, distesa lungo il corpo,<br />

regge un’oinochoe in marmo bianco; la destra, sollevata,<br />

regge invece un sistro metallico.<br />

La statua di Vienna è quasi identica alla precedente<br />

nell’iconografia, ma è l’opera di un artista di grande


avura: la resa anatomica è migliore e le pieghe <strong>del</strong><br />

mantello si adagiano mollemente sul corpo <strong>del</strong>la dea<br />

creando effetti chiaroscurali molto realistici; il viso,<br />

leggermente rivolto verso sinistra, è ieratico e inespressivo,<br />

a trasmettere tutto il senso <strong>del</strong>la maestà divina.<br />

La testa, coronata dai boccoli, è ornata da un diadema<br />

a forma di disco radiato.<br />

La mano destra reca ancora il manico di un sistro<br />

marmoreo, la destra un’oinochoe.<br />

Molte testimonianze collegabili alla religione egizia<br />

sono state rinvenute nella ‘Regio Nilensis’, cioè nella<br />

zona <strong>del</strong>imitata dall’antico ‘decumano maggiore’ (via<br />

dei Tribunali) e da quello ‘minore’ (via S.Biagio dei<br />

Librai) e chiusa da vico S. Domenico a Ovest e dal<br />

monastero di S. Gregorio Armeno a Est, in cui è probabile<br />

che fosse ospitato un santuario dedicato alle<br />

divinità alessandrine. Una <strong>del</strong>le più importanti fra queste<br />

è certamente la celebre statua <strong>del</strong> Nilo, esposta<br />

ancora pressoché in situ nella piazzetta omonima; la<br />

presenza di una comunità alessandrina induce a ipotizzare<br />

l’esistenza di un culto di Serapide e di un tempio<br />

che doveva trovarsi all’interno <strong>del</strong>la Regio stessa o<br />

comunque non lontano da questa 87 .<br />

Da Posillipo proviene uno dei reperti più interessanti:<br />

una statua marmorea interpretata coma Iside<br />

‘Pelagia’ o ‘alla vela’; si tratta di un’opera rinvenuta in<br />

una villa privata e confluita nella collezione Hartwig,<br />

ora conservata al Museo <strong>del</strong>le Belle Arti di Budapest 88 .<br />

La statua, cui mancano le braccia e la testa, raffigura<br />

una donna protesa in avanti; il peso è poggiato sulla<br />

gamba sinistra piegata, la gamba destra si flette leggermente<br />

per bilanciare lo slancio <strong>del</strong> torso. Il braccio<br />

sinistro è arretrato, e si oppone nel movimento alla<br />

gamba corrispondente, mentre il sinistro è proteso in<br />

avanti. La figura è avvolta in un lungo chitone increspato<br />

dal vento e indossa un himation che, poggiato<br />

sulla spalla sinistra, le cinge il torso formando un leggero<br />

rigonfiamento sulla schiena; il mantello, passando<br />

sotto l’ascella, si ricollega al lembo che scende dalla<br />

spalla sostenendo il seno <strong>del</strong>la donna. La scultura, all’inizio<br />

interpretata quale Niobide, è stata più recentemente<br />

attribuita a Isis Pelagia o Pharia, epiclesi <strong>del</strong>la dea<br />

venerata soprattutto dai mercanti e dai naviganti, di<br />

cui non esistono statue la cui attribuzione sia certa e la<br />

cui iconografia è nota solo da alcune monete e da un<br />

rilievo <strong>del</strong>io 89 . La dea è colta nel momento in cui, per<br />

sospingere la sua imbarcazione, gonfia il mantello formando<br />

in questo modo una vela.<br />

GIOVANNI VERGINEO<br />

- 41 -<br />

Oltre alla statua rinvenuta al Rione Terra di<br />

Pozzuoli, esiste solo una terza scultura identificata<br />

come Iside Pelagia, conservata presso il Museo <strong>del</strong><br />

Sannio di Benevento 90 ; quest’ultima, a differenza <strong>del</strong>le<br />

prime due, è priva <strong>del</strong> corpo <strong>del</strong>la divinità e presenta<br />

invece l’attributo che, se fosse presente in queste ultime,<br />

ne confermerebbe l’attribuzione: la nave su cui la dea<br />

poggia i piedi nell’atto di tendere il suo himation al vento.<br />

Rispetto alla statua puteolana, l’Iside di Posillipo è più<br />

piccola (m 1, 45 ca. contro m 1, 90 ca) e di fattura<br />

migliore: il mantello è più stretto al corpo, ma è trattato<br />

in modo più realistico; l’effetto degli agenti atmosferici<br />

sul corpo in movimento è reso con grande naturalismo<br />

mentre l’opera <strong>del</strong> Rione Terra è caratterizzata da<br />

una pesante monumentalità, accentuata dalla sua stessa<br />

mole e dal materiale - marmo bigio - in cui è scolpita. Il<br />

mantello non cinge la figura, ma forma un più ampio<br />

rigonfiamento sulla schiena scendendo poi fino all’altezza<br />

<strong>del</strong> ginocchio, per ricongiungersi sul davanti con<br />

il lembo poggiato sulla spalla sinistra. La statua di<br />

Pozzuoli reca alcune tracce <strong>del</strong> mantello che la dea,<br />

secondo l’iconografia tipica di Iside Pelagia, usa per<br />

creare una vela fermandone il lembo inferiore con il<br />

piede sinistro e tendendone con le mani le due estremità<br />

superiori. Tuttavia, sia nel caso di Pozzuoli che di<br />

Benevento non si nota alcun lembo di stoffa o mantello<br />

calpestato dai piedi <strong>del</strong>la donna, cosa che invece è<br />

evidentemente un attributo <strong>del</strong>la Pelagia come è raffigurata<br />

nel rilievo <strong>del</strong>io. A proposito <strong>del</strong>l’iconografia di<br />

Iside Pelagia, è stata più volte rilevata la rarità di raffigurazioni<br />

di divinità in piedi sulla coperta di una nave, la<br />

qual cosa non aiuta certo l’interpretazione <strong>del</strong>le testimonianze<br />

rimaste. Naturale diventa il confronto con le<br />

vittorie di Samotracia e di Peonio, sculture molto note,<br />

e con la grande statua <strong>del</strong>l’Agorà di Cirene; un altro<br />

confronto è a mio avviso individuabile in una scultura<br />

conservata al Louvre (Ma 2344) interpretata come Teti,<br />

che rappresenta una donna in piedi sulla prua di una<br />

nave 91 ; la figura si sporge leggermente in avanti piegando<br />

le ginocchia mentre con il volto guarda verso destra.<br />

Il braccio sinistro, sollevato, tiene un lembo <strong>del</strong>la veste<br />

che la dea si sta togliendo e che copre parzialmente l’albero<br />

<strong>del</strong>la nave, alla cui base si attorciglia un pistrice.<br />

Sebbene una sua interpretazione quale Iside Pelagia non<br />

sia particolarmente probabile, data la nudità – inusuale<br />

per la divinità egizia - e la postura <strong>del</strong>la figura, si tratta<br />

comunque di uno dei pochi esempi plastici confrontabili<br />

sia con le sculture di Benevento che con quelle di


Fig. 13 - Statua di Teti (?), rinvenuta<br />

a Lanuvio, poi entrata nella collezione<br />

Albani. Marmo bianco (h m 2,11).<br />

Parigi Museo <strong>del</strong> Louvre (Ma 2344).<br />

Fig. 14 - Statua di Teti (?), Museo <strong>del</strong> Louvre: dettaglio <strong>del</strong> piede sulla barca.<br />

Posillipo e Pozzuoli. Bisogna infatti tener presente che<br />

anche una sua identificazione quale Teti o Nereide è<br />

abbastanza incerta: la nave su cui la donna poggia i<br />

piedi non fa parte infatti <strong>del</strong>l’iconografia <strong>del</strong>le figlie di<br />

Nereo. Nonostante il più comune tipo iconografico<br />

ritragga la dea nell’atto di creare una vela usando il proprio<br />

mantello, tenuto fermo con il piede, qualora si trattasse<br />

di una statua di Iside Pelagia l’opera <strong>del</strong> Louvre<br />

potrebbe costituire invece una variante iconografia in<br />

cui la dea, spogliatasi <strong>del</strong>la veste, è rappresentata sul<br />

punto di utilizzarla quale vela. La statua, rinvenuta a<br />

Lanuvio nel 1764 ed entrata a far parte <strong>del</strong>la collezione<br />

Albani, è stata restaurata in modo radicale da<br />

Bartolomeo Cavaceppi il quale, partendo dai resti <strong>del</strong>la<br />

nave posti sotto il piede sinistro, ne ha ricostruito tutta<br />

la prua. Anche la testa è frutto <strong>del</strong>l’inventiva <strong>del</strong> restauratore,<br />

che ha tratto spunto dall’immagine <strong>del</strong>la<br />

Giunone Ludovisi. L’opera faceva parte di un gruppo<br />

di dieci sculture che decoravano il portico semicircolare<br />

di Villa Albani ed è stata portata a Parigi a seguito <strong>del</strong><br />

Trattato di Tolentino, nel 1797 92 .<br />

SALTERNUM<br />

- 42 -<br />

Città campane con attestazioni minori<br />

Cuma<br />

Anche a Cuma sono stati recentemente rinvenuti i<br />

resti di un Iseo: si tratta di un tempio la cui prima fase<br />

costruttiva risale al I sec. a. C., edificato a Sud-Ovest<br />

<strong>del</strong>l’Acropoli. Del santuario sono rimasti solo il podio,<br />

tracce <strong>del</strong> portico e di un bassin ornato di marmi policromi,<br />

con un sistema di adduzione e scolo <strong>del</strong>le<br />

acque 93 . Tale scoperta può essere collegata al rinvenimento,<br />

avvenuto nel 1836, di una statua raffigurante<br />

Anubis o un sacerdote con la maschera <strong>del</strong> dio sciacallo<br />

94 . Si tratta di un’opera inquadrabile nella temperie<br />

culturale isiaca puteolana: il dio, infatti, lungi dall’essere<br />

rappresentato come ‘l’abbaiante Anubis’, è vestito<br />

con un chitone lungo fino al ginocchio e una clamide<br />

che, agganciata alla spalla destra, scende con ampi<br />

panneggi fino alla tibia. Si notano le tracce <strong>del</strong> caduceo<br />

che il dio, assimilato da lungo tempo con Hermes,<br />

recava nella mano sinistra. L’atteggiamento è statico e<br />

‘civile’: è forte il contrasto fra le testa canina e l’impostazione<br />

pacata <strong>del</strong> corpo, che trasmette una gravità<br />

degna di un dio olimpico.<br />

Capua<br />

Attraverso la via Campana, i culti isiaci hanno raggiunto<br />

anche Capua; l’antica città etrusca ha restituito<br />

importanti attestazioni materiali collegabili alla<br />

religione egizia, quali ad esempio la celebre epigrafe<br />

in cui Iside è definita «una quae es omnia», <strong>del</strong> tardo III<br />

sec. d. C 95 . Interessanti sono anche i busti di Iside e<br />

Zeus-Ammon che decoravano alcune chiavi di volta<br />

<strong>del</strong>l’anfiteatro campano 96 . I mercatores capuani, stando<br />

alle attestazioni epigrafiche, frequentavano l’isola di<br />

Delo contemporaneamente ai puteolani; è pertanto<br />

ipotizzabile, sebbene manchino attestazioni materiali<br />

a dimostrarlo, che il culto <strong>del</strong>le divinità egizie fosse<br />

praticato fin da tempi abbastanza antichi (II-I sec. a.<br />

C. ?) Il fatto stesso che la testa di Ammon fosse collocata<br />

a decorare uno degli edifici più importanti, come<br />

era avvenuto anche per gli dèi più antichi <strong>del</strong>la città<br />

quali Volturnus, Diana Tifatina, Demetra, permette di<br />

pensare che le divinità egizie fossero entrate a pieno<br />

titolo nel pantheon cittadino 97 .<br />

Carinola<br />

Dal territorio <strong>del</strong>la cittadina campana (nei pressi di<br />

Piedimonte Matese) proviene un’epigrafe di notevole


interesse, che tratta <strong>del</strong>l’edificazione o<br />

<strong>del</strong> restauro di un santuario di Iside e<br />

Serapide da parte di due magistrati<br />

pubblici, duoviri 98 . Il fatto che le istituzioni<br />

si interessino, in Campania, <strong>del</strong>la<br />

costruzione o <strong>del</strong> restauro di templi<br />

isiaci non è eccezionale: a Pozzuoli il<br />

Serapeo è oggetto di attenzione da<br />

parte <strong>del</strong>l’autorità cittadina; a Pompei il<br />

donatore è ammesso nell’ordine dei<br />

decurioni. In un’altra epigrafe Caius<br />

Novius Priscus afferma di aver eretto da<br />

solo e a proprie spese un tempio a Isis<br />

Augusta 99 .<br />

Da questa città proviene anche una<br />

statuetta di Iside Kourotrophos, ripresa nell’atto di allattare<br />

il piccolo Arpocrate: interessante è il retro <strong>del</strong><br />

trono su cui la dea è seduta: esso infatti mostra scolpiti<br />

due serpenti recanti l’uno la corona <strong>del</strong> basso Egitto,<br />

l’altro la mezzaluna di Isis-Hator 100 .<br />

GIOVANNI VERGINEO<br />

Fig. 15 - Statua di nave con Iside Pelagia<br />

(?), da Benevento. Frammentaria, h m<br />

0,46; lungh. m 1,02. Benevento, Museo<br />

<strong>del</strong> Sannio (da VERGINEO 2007).<br />

- 43 -<br />

Altre attestazioni<br />

A Nord di Pozzuoli si hanno scarse<br />

testimonianze dei culti isiaci. Miseno, che<br />

pure era la sede <strong>del</strong>la flotta militare sul<br />

Tirreno, non ha restituito materiale di<br />

grande rilievo. Interessanti invece i reperti<br />

di Teano, che testimoniano la presenza<br />

di un Iseo 101 : fra questi spiccano due sfingi<br />

in granito che oggi adornano l’ingresso<br />

<strong>del</strong> Duomo 102 , e che sono state datate ad<br />

età ellenistico-romana. E’ notevole la<br />

similitudine di queste opere con alcune<br />

<strong>del</strong>le sfingi tolemaiche rinvenute a<br />

Benevento: la datazione potrebbe essere<br />

la medesima 103 . I reperti sono stati rinvenuti<br />

nel corso <strong>del</strong>la ricostruzione <strong>del</strong> Duomo che ha<br />

seguito le distruzioni <strong>del</strong>la II Guerra Mondiale. Nel<br />

campanile è murata un’antefissa con urei; questi indizi<br />

portano a ipotizzare l’eventuale insistenza <strong>del</strong>la chiesa<br />

cristiana sul tempio egizio 104 .


Note<br />

NOTE<br />

1 MALAISE 1972 b : tutta l’opera riguarda la diffusione<br />

dei culti isiaci in Italia. Per questo<br />

aspetto in particolare cfr. pp. 264-332.<br />

2 Non è possibile approfondire in questa<br />

sede un tema complesso e articolato come i<br />

rapporti fra Cristianesimo e Religioni orientali;<br />

basti ricordare la condanna di autori<br />

quali Firmico Materno (L’errore <strong>del</strong>le religioni<br />

profane) quale esplicativo <strong>del</strong> clima culturale<br />

<strong>del</strong>l’epoca.<br />

3 CUMONT 1929.<br />

4 BIANCHI 1979, pp. 3-60.<br />

5 Apuleio, Metamorfosi, lib. XI.<br />

6 Eleusi ne è l’esempio più tipico essendo il<br />

demo attico strettamente connesso all’aition<br />

dei Misteri Eleusini, allorquando Demetra si<br />

trasforma in vecchia abdicando alle sue funzioni<br />

divine per protesta contro l’iniquità di<br />

Zeus, venendo accolta dal re di Eleusi Celeo,<br />

figlio <strong>del</strong>l’eponimo fondatore <strong>del</strong>la città, cui<br />

la dèa insegna le regole <strong>del</strong> suo culto dopo<br />

aver svelato la sua vera identità e prima di<br />

ascendere nuovamente all’Olimpo; anche i<br />

culti di Samotracia e Andania ad esempio<br />

erano celebrato sempre nello stesso luogo.<br />

7 E’ il caso dei misteri isiaci: essi potevano<br />

essere celebrati in qualsiasi santuario ma i<br />

mystae potevano accedere ai privilegi legati<br />

al loro status esclusivamente nel santuario in<br />

cui erano stati iniziati. Pertanto era possibile<br />

che l’iniziazione venisse ripetuta più volte in<br />

templi diversi (Apuleio, Metamorfosi, XI).<br />

8 BIANCHI 1979, pp. 8-9; movimenti quali<br />

Orfismo, Pitagorismo, Gnosticismo appartengono<br />

a questa categoria. Fra i culti orientali<br />

il Mitraismo presenta di certo i più spiccati<br />

caratteri misteriosofici.<br />

9 Per Aegyptiaca si intendono piccoli manufatti<br />

di origine egizia quali ushabti (amuleti a<br />

forma di sarcofago), scarabei o imitazioni di<br />

questi rinvenuti in contesti italici, ed usati<br />

non per fini cultuali o religiosi ma anche<br />

estetici od ornamentali.<br />

10 DE SALVIA 2006.<br />

11 SFAMENI GASPARRO 1973, pp. 58-60.<br />

12 Ead., ibidem, p. 55.<br />

13 Ead., ibidem, pp. 31-32.<br />

14 Gli scavi di p.za Nicola Amore a Napoli<br />

hanno parzialmente confermato l’esistenza<br />

di rapporti commerciali fra le due zone: in<br />

una sala da banchetto è stata infatti rinvenuta<br />

una coppa a vernice nera su cui è dipinta<br />

un’acclamazione di Agatocle Sotèr (DE<br />

CARO 2006, p. 15).<br />

SALTERNUM<br />

15 MALAISE 1972b, pp. 275-282; DUNAND<br />

1973, vol. II, pp.83-115; TURCAN 1989, pp.<br />

82-85; sui templi isiaci a Delo cfr. BRUNEAU<br />

- DUCAT 1983, pp. 219-221; BRUNEAU -<br />

DUCAT 2005, pp. 58-60; 277-279.<br />

16 MALAISE 1972 b , pp. 282-311.<br />

17 Id., ibidem, pp. 259, 330-332.<br />

18 Id., ibidem, p. 306.<br />

19<br />

MALAISE 1972b, pp. 268-269; HATZFELD<br />

1909, pp. 31-36; HATZFELD 1912, pp. 5-218.<br />

20 b<br />

MALAISE 1972 , p. 274.<br />

21 Appiano, Guerre Mitridatiche, 28; cfr. anche<br />

MALAISE 1972b , pp. 265, 270-275; DUNAND<br />

1973, vol. II, pp. 98-99.<br />

22 Festo, grammatico <strong>del</strong> II sec. d. C., riassume<br />

un passo di Verrio Flacco, erudito di età<br />

augustea: «MINOREM DELUM Puteolos esse<br />

dixerunt, quod Delos aliquando maximum emporium<br />

fuerit totoius orbis terrarum; cui successit<br />

postea Puteolanum, quod municipiul Graecum<br />

antea ∆ικαιαρχ α vocitatum est. Unde Lucilius:<br />

“Inde Dicaearcheum populos, Delumque minorem».<br />

Verrio Flacco spiega in questo modo un<br />

passo di Lucilio databile fra il 119 a. C. e il<br />

102 a. C. ca., contenuto nel libro III <strong>del</strong>le<br />

Satire (Fr. 123 Marx), in cui la città flegrea,<br />

indicata con l’antico nome greco, è chiamata<br />

appunto Delum Minor cioè Delo minore o<br />

anche, secondo l’interpretazione di Zevi,<br />

‘seconda’ Delo, perché fiorita insieme a<br />

questa e sopravvissuta, commercialmente, al<br />

tracollo economico <strong>del</strong>l’isola di Apollo<br />

(ZEVI 2006, p. 74).<br />

23<br />

ZEVI 2006, pp. 74-75.<br />

24 Questa parte è da considerarsi completamento<br />

di VERGINEO 2007, articolo tratto<br />

dalla Tesi di Laurea discussa dallo scrivente<br />

nel 2006, avente per oggetto lo studio <strong>del</strong><br />

culto di Iside a Benevento (Relatore:<br />

prof.ssa C. Lambert; Correlatore: prof.ssa<br />

E. Mugione).<br />

25 Sui contatti fra Egitto e Campania nell’età<br />

pre-romana cfr. DE SALVIA 2006, pp. 21-55.<br />

26 CIL X, 1793; cfr. anche TRAN TAM TINH<br />

1972, pp. 3-6; 58-62; Tav. XXVII-XXVIII;<br />

Egittomania 2006, p. 77, Tav. II.1.<br />

27 In base agli indizi contenuti nella lex, il<br />

Wiegand ha ricostruito la posizione <strong>del</strong>l’edificio<br />

sacro rispetto al mare; cfr. anche DUBOIS<br />

1907, p. 196; tale ricostruzione è contestata in<br />

TRAN TAM TINH 1972, pp. 3-6).<br />

28 Si pensi alle nozze, celebrate secondo la tradizione<br />

faraonica, che unirono Tolomeo II<br />

Fila<strong>del</strong>fo e la sorella Arsinoe II, secondo un’usanza<br />

che sarà poi ripresa da molti dei Lagidi.<br />

- 44 -<br />

29<br />

TURCAN 1989, pp. 76-77.<br />

30 Plutarco, De Iside et Osiride, 28; Tacito,<br />

Storie, IV, 83; TRAN TAM TINH 1964, p. 66.<br />

31 Fig. 1.<br />

32 b<br />

MALAISE 1972 , pp. 182; 191-198.<br />

33 b<br />

MALAISE 1972 , p. 197.<br />

34 Fig. 1.<br />

35<br />

ZEVI 2006, p. 75, appoggia la ricostruzione<br />

di WIEGAND 1894, che qui si propone,<br />

contrapposta a quella di TRAN TAM TINH<br />

1964 in cui la strada separa non l’aedes dall’area<br />

ma tutto il templum dal mare.<br />

36 Fig. 2.<br />

37 Vitruvio, I, 7, 1.<br />

38 Le posizioni di diversi studiosi che appoggiano<br />

questa teoria sono riassunte in TRAN<br />

TAM TINH 1972, pp. 6-11.<br />

39 L’dentificazione di Helios con Serapide<br />

avviene sotto il regno di Domiziano, durante<br />

il quale Heliosarapis appare per la prima<br />

volta sulle monete alessandrine (92 d. C.); in<br />

età adrianea fa la sua comparsa il tipo di<br />

Serapide con Kalathos e testa radiata (cfr.<br />

TRAN TAM TINH 1972, pp. 18-19).<br />

40 Inv. 8945 (DEONNA 1924, n. 71).<br />

41<br />

RACHON 1912, n. 29.<br />

42 b<br />

MALAISE 1972 , pp. 159-216 raccoglie le<br />

seguenti statistiche, basate sul totale <strong>del</strong>le<br />

iscrizioni a lui note: i fe<strong>del</strong>i ad Iside sono per<br />

il 70% ca. Latini e per il restante 30% ca. di<br />

provenienza greco-orientale; gli adoratori di<br />

Serapide sono invece il 36% ca. latini e per<br />

64% ca. orientali).<br />

43 Iside Pelagia o Pharia da Pharos, isola presso<br />

Alessandria, era la dea <strong>del</strong>la navigazione e<br />

protettrice dei marinai. La sua iconografia<br />

completa è nota solo da un rilievo proveniente<br />

da Delo, in cui è mostrata in piedi<br />

sulla prora di una nave nell’atto di gonfiare<br />

il mantello per utilizzarlo alla stregua di vela<br />

(BRUNEAU 1974, p. 342, fig. 4), da alcune<br />

monete di periodi diversi, da alcune lucerne<br />

(per un elenco completo <strong>del</strong>le raffigurazioni<br />

– accertate o presunte - di Iside Pelagia, cfr.<br />

BRUNEAU 1974). Non abbiamo statue o altri<br />

rilievi - interpretati come epiclesi <strong>del</strong>la dea -<br />

in cui siano presenti la figura femminile e la<br />

nave: a Budapest è conservata una statua,<br />

proveniente da Posillipo (vedi infra, Iside a<br />

Napoli e fig. 12), simile a quella di Pozzuoli<br />

seppur di qualità molto più elevata; si data<br />

all’età augustea (cfr. SZILAGYI 1969;<br />

Egittomania 2006, p. 73). Stefania Adamo<br />

Muscettola ha recentemente identificato una<br />

statua di Ostia come Isis-Pelagia, fornendone


una ricostruzione grafica (ADAMO<br />

MUSCETTOLA 1998, pp. 547-558). Da<br />

Benevento viene una scultura raffigurante<br />

una nave sulla cui prora poggia un piede<br />

femminile; la statua è purtroppo mutila (fig.<br />

15; cfr. anche VERGINEO 2007a , pp. 83 e ss.)<br />

Sulla statua di Teti <strong>del</strong> Louvre (figg. 13-14)<br />

la cui iconografia si avvicina a quella di Iside<br />

Pelagia, vedi infra, § su Napoli.<br />

Sull’iconografia di Iside Pelagia cfr., oltre a<br />

BRUNEAU 1974, anche MÜLLER 1971.<br />

44<br />

DE CARO 1994, p. 8.<br />

45 Cfr. figg. 3-4.<br />

46<br />

D’ALESSIO 2009 pp. 56-67.<br />

47 Il testo <strong>del</strong>l’epigrafe (CIL X, 814) recita:<br />

«N(umerius) P(opidius) N(umerii) F(ilius)<br />

Celsinus/aedem Isidis terrae motu conlapsam/ a<br />

fundamento p(ecunia) s(ua) restituit. Hunc<br />

Decuriones ob liberalitatem/ cum esset annorum<br />

sexs ordini suo gratis adlegerunt».<br />

48 Fra gli autori che per primi si sono occupati<br />

<strong>del</strong> problema si segnalano OVERBECK<br />

1884, p. 105; SOGLIANO 1937, p. 222; TRAN<br />

TAM TINH 1964, p. 30. Per gli studi più<br />

recenti si faccia riferimento soprattutto a<br />

DE CARO 1997, p. 338; PESANDO -<br />

GUIDOBALDI 2006, p. 68; SAMPAOLO 2006;<br />

D’ALESSIO 2009, pp. 67-78.<br />

49<br />

MAU 1908, p. 175; PETERSON 1919, p. 272.<br />

50 E’ singolare che le tracce <strong>del</strong>le colonne<br />

siano in rilievo, intagliate sul piano di attesa<br />

dei blocchi, molto probabilmente a seguito<br />

<strong>del</strong>la posa in opera degli stessi, come suggerisce<br />

il fatto che in un caso la traccia <strong>del</strong>la<br />

colonna si trovi a cavallo di due blocchi<br />

(BLANC et Alii 2000, p. 250).<br />

51<br />

BLANC et Alii 2000, p. 244.<br />

52<br />

NISSEN 1887, p. 171.<br />

53<br />

BLANC et Alii 2000, p. 238.<br />

54<br />

JOHANNOWSKY 2000, pp. 17-32.<br />

55<br />

BLANC et Alii 2000, pp. 227-257.<br />

56<br />

ADAMO MUSCETTOLA 1992, pp. 63-64;<br />

BLANC et Alii 2000, pp. 302-303.<br />

57<br />

MALAISE 1972b, pp. 268-269<br />

58 Interessante a questo proposito è il passo<br />

<strong>del</strong>l’ Eneide in cui la battaglia di Azio è<br />

descritta come un epico scontro fra dèi<br />

romani ed egizi (Virgilio, Eneide, VIII, 696-<br />

706).<br />

59 Fig. 6.<br />

60<br />

BLANC et Alii 2000, p. 258.<br />

61 Cfr. in proposito ADAMO MUSCETTOLA<br />

1992 e 1994.<br />

GIOVANNI VERGINEO<br />

62 Una loro completa analisi è contenuta in<br />

BLANC et Alii 2000, pp. 281-292.<br />

63 SAMPAOLO 2006, p. 90.<br />

64 Cfr. fig. 5.<br />

65 VERGINEO 2007.<br />

66 Cfr. fig. 7; il testo <strong>del</strong>l’epigrafe, databile fra<br />

II e III sec. d.C. (?) recita: «T(itus) Flavius<br />

Antyli/us ex viso ascl/epio aram consecravit». La<br />

locuzione ex viso indica che l’ara è stata<br />

dedicata dopo che il dio è apparso in sogno<br />

al dedicante, ed è attestato nelle dediche a<br />

molte divinità fra cui in particolare Silvano o<br />

altri dèi di origine orientale quali Giove<br />

Dolicheno (CIL 05, 01870) Serapide (CIL<br />

06, 30998) Giove Sabazio (AE 1906, 0164);<br />

il legame fra Asclepio/Esculapio e i culti<br />

egizi è molto forte e non desta particolare<br />

clamore; lo stesso Tacito ci dice che<br />

Serapide era identificato da molti con<br />

Esculapio, con Osiride, con Giove o con Dis<br />

Pater: «[...] multi Aesculapium, quod medeatur<br />

aegris corporibus, quidam Osirin, antiquissimum<br />

illis gentibus [Aegypti] numen, plerique Iovem ut<br />

rerum omnium potentem, plurimi Ditem patrem<br />

insignibus, quae in ipso manifesta, aut per ambages<br />

coniectant» (Tacito, Historiae, IV, 84). Asclepio<br />

si manifestava spesso in sogno e guariva in<br />

questo modo i suoi fe<strong>del</strong>i; anche Iside ‘chiamava’<br />

i suoi mystae apparendo loro in sogno.<br />

Un legame fra Iside ed Esculapio è individuabile<br />

a Pompei anche al livello topografico,<br />

in quanto il tempio c.d. di Giove<br />

Meilichio, attribuito da molti studiosi proprio<br />

al dio <strong>del</strong>la medicina (D’ALESSIO 2009,<br />

pp. 156-165) confina con il tempio di Iside.<br />

67 Fig. 8.<br />

68 MALAISE 1972 b , pp. 206; 280; 307-311.<br />

69 Fig. 9.<br />

70 Fig. 10.<br />

71 TRAN TAM TINH 1964, p. 34.<br />

72 CIL XIV, 1819.<br />

73 Apuleio, Metamorfosi, XI, 22.<br />

74 Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />

Inv. 976.<br />

75 SAMPAOLO 2006, p. 92; il quadro si trova ora<br />

a Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />

Inv. 9548.<br />

76 Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />

Inv. 9558.<br />

77 SAMPAOLO 2006, p. 92.<br />

78 Entrambi conservati al Museo<br />

<strong>Archeologico</strong> Nazionale di Napoli, rispettivamente<br />

Inv. 22381 e 78594; sull’argomento<br />

- 45 -<br />

cfr. SAMPAOLO 2006, p. 117.<br />

79 Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />

Inv. 8924 (cfr. MÜLLER 1971, pp. 94-96;<br />

GASPARINI 2006, pp. 120-124).<br />

80 Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />

Inv. 77449 (cfr. GASPARINI 2006, p. 126).<br />

81 Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />

Inv. 76384 (cfr. GASPARINI 2006, p. 126).<br />

82<br />

DE VOS 1980.<br />

83 IG, XIV, 747, databile al 110 d. C. ca.; IG,<br />

XIV, 754 datata genericamente all’età imperiale.<br />

84 Svetonio, Vita di Nerone, 20, 5.<br />

85 Inv. 2450; cfr. TRAN TAM TINH 1972, pp.<br />

63-65; LONGOBARDO 2006, p. 148, Tav.<br />

II.106.<br />

86 Cfr. fig. 11; Inv. 1-158; cfr. anche TRAN<br />

TAM TINH 1972, pp. 63-65; LONGOBARDO<br />

2006, p. 149, Tav. II.107.<br />

87<br />

TRAN TAM TINH 1972, pp. 27-37;<br />

LONGOBARDO 2006, pp. 144-149.<br />

88 Cfr. fig. 12. Su Iside Pelagia vedi supra, § su<br />

Pozzuoli; cfr. inoltre TRAN TAM TINH 1972,<br />

pp. 67-69, figg. 9-11; MALAISE 1972b , pp.<br />

180-181.<br />

89 Cfr. supra, § su Pozzuoli; cfr. anche<br />

MALAISE 1972b, pp. 180-181.<br />

90Cfr. fig. 14; MÜLLER 1971; BRUNEAU 1974,<br />

pp. 364-370; MALAISE 1972b , pp. 180-181;<br />

PIRELLI 2006; VERGINEO 2007.<br />

91 Cfr. figg. 13-14; la statua, in marmo bianco,<br />

misura m 2,11 e si data al II sec. d. C.<br />

92 I dettagli sulla statua sono reperibili presso<br />

il database <strong>del</strong>le opere <strong>del</strong> Museo <strong>del</strong><br />

Louvre, all’indirizzo web http:cartelen.louvre.fr/cartelen/visite?srv=car_not_frame<br />

&idNotice=27445&langue=en<br />

93<br />

CAPUTO 1998; DE CARO 1994; MALAISE<br />

2004, pp. 32-33.<br />

94<br />

TRAN TAM TINH 1972, pp. 37-38.<br />

95 CIL X, 3800; TRAN TAM TINH 1972, p. 77;<br />

Egittomania 2006, p. 155, Tav. II. 108.<br />

96<br />

TRAN TAM TINH 1972, pp. 40-42; 75-77;<br />

Egittomania 2006, pp. 150-155.<br />

97<br />

TRAN TAM TINH 1972, pp. 40-41.<br />

98 SIRIS, 504; TRAN TAM TINH 1972, p. 42.<br />

99 a CIL X, 4717; MALAISE 1972 , p. 248.<br />

100 a<br />

MALAISE 1972 , p. 150.<br />

101 Egittomania 2006, pp. 151-153.<br />

102<br />

DE CARO 1994, pp. 20-21.<br />

103<br />

VERGINEO 2007.<br />

104 Egittomania 2006, p. 153.


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FRANCESCO MONTONE<br />

Il tópos <strong>del</strong>la Campania felix nella poesia latina<br />

ÈPlinio il Vecchio ad innalzare, nel mondo<br />

antico, uno dei più alti elogi <strong>del</strong>le bellezze,<br />

<strong>del</strong>la salubrità <strong>del</strong> clima, <strong>del</strong>la fertilità <strong>del</strong><br />

suolo, <strong>del</strong>la floridezza <strong>del</strong>la vegetazione <strong>del</strong>la Campania:<br />

«qualiter Campaniae ora per se felixque illa ac beata<br />

amoenitas, ut palam sit uno in loco gaudentis opus esse<br />

naturae? iam vero tota ea vitalis ac perennis salubritas,<br />

talis caeli temperies, tam fertiles campi, tam aprici colles,<br />

tam innoxii saltus, tam opaca nemora, tam munifica<br />

silvarum genera, tot montium adflatus, tanta frugum<br />

vitiumque et olearum fertilitas, tam nobilia pecudi vellera,<br />

tam opima tauris colla, tot lacus, tot amnium fontiumque<br />

ubertas totam eam perfundens, tot maria, portus,<br />

gremiumque terrarum commercio patens undique et<br />

tamquam iuvandos ad mortales ipsa avide in maria<br />

procurrens!..». (Nat. Hist. 3.40.5-3.42.1) 1 .<br />

(«Come parlare, anche se solo <strong>del</strong>la costa campana,<br />

e di quella sua amenità fiorente e splendida,<br />

che mostra come la potenza creatrice <strong>del</strong>la<br />

natura in un momento di grazia si sia concentrata<br />

in un sol luogo? E tuttavia quella vivificante<br />

e ininterrotta salubrità, quella mitezza di<br />

clima, i campi così fertili, colli così ridenti, valichi<br />

così sicuri, boschi tanto ombrosi, una tale<br />

varietà e ricchezza di selve, venti che spirano da<br />

monti così numerosi, una così grande fertilità di<br />

messi, di viti, di olivi e greggi dai monti così<br />

eccellenti, tori dai colli così pingui, tanti luoghi,<br />

tanta abbondanza di fiumi e sorgenti che la<br />

bagnano tutta, tanti mari, porti, e il suo grembo<br />

aperto da ogni lato al commercio dei popoli e<br />

lei stessa che, come per aiutare gli uomini, si<br />

slancia ardentemente verso i mari!...»).<br />

Egli è inoltre il primo ad accostare al toponimo<br />

Campania l’aggettivo felix, creando quel sintagma fortu-<br />

- 47 -<br />

natissimo pervenuto fino ai nostri giorni: ciò avviene<br />

nel passo precedente, ma soprattutto nel successivo:<br />

«hinc felix illa Campania, ab hoc sinu incipiunt vitiferi<br />

colles et temulentia nobilis suco per omnes terras<br />

incluto atque, ut veteres dixere, summum Liberi Patris<br />

cum Cerere certamen…». (Nat. Hist. 3.60. 1-4),<br />

(«da qui comincia la celebre ‘Campania felice’;<br />

da questo punto hanno inizio i colli pieni di viti<br />

e l’ubriachezza nobilitata da un succo famoso<br />

nel mondo intero e, come dissero gli antichi,<br />

comincia qui l’estrema lotta di Libero Padre<br />

con Cerere…»).<br />

Ben prima di Plinio, però, il motivo <strong>del</strong>la Campania<br />

felix era entrato nella tradizione letteraria latina, dive-<br />

Fig. 1 - La Campania (da SAVINO 2005).


nendo ben presto un tόpos, un ‘luogo comune’ che<br />

attraversa generi letterari e autori differenti.<br />

Obiettivo <strong>del</strong>la nostra ricerca sarà indagare la presenza<br />

ed il ruolo <strong>del</strong> tόpos nell’arco <strong>del</strong>la produzione<br />

poetica latina, limitando l’indagine ai luoghi in cui il<br />

toponimo è citato con aggettivi e termini che ne connotano<br />

l’amenità.<br />

Ogni genere letterario, infatti, ricorre «ad una formalizzazione<br />

<strong>del</strong> linguaggio all’interno di un sistema in<br />

cui l’enunciato <strong>del</strong> testo ha valore non solo in relazione<br />

al contesto immediato ma anche in relazione agli altri<br />

possibili enunciati <strong>del</strong>la tradizione» 2 . Il riferimento alla<br />

fertilità e alla salubrità <strong>del</strong>la Campania, come vedremo,<br />

non è un mero richiamo geografico, ma si inserisce<br />

all’interno <strong>del</strong> sistema intertestuale e allusivo 3 che è cifra<br />

portante <strong>del</strong>la letteratura latina, e assume in ogni testo<br />

preso in esame un determinato ruolo, a seconda <strong>del</strong>le<br />

convenzioni <strong>del</strong> genere letterario all’interno <strong>del</strong> quale si<br />

colloca l’intenzione artistica <strong>del</strong> poeta.<br />

Come è noto, nella divisione che Augusto fece<br />

<strong>del</strong>l’Italia la Campania 4 formò la Regio I insieme con il<br />

Latium vetus ed il Latium adiectum; in seguito arrivò a<br />

comprendere anche il territorio degli Irpini e parte <strong>del</strong><br />

Sannio. Nel nuovo ordinamento <strong>del</strong>l’impero alla fine<br />

<strong>del</strong> III sec. d. C., con gli stessi confini <strong>del</strong>la regione di<br />

Augusto, la Campania formò una <strong>del</strong>le province in cui<br />

allora fu divisa l’Italia.<br />

Il tόpos <strong>del</strong>la Campania felix ha, in primo luogo, tre<br />

significative attestazioni nell’ambito <strong>del</strong>la poesia d’amore<br />

latina. Properzio, poeta di età augustea, pubbli-<br />

Fig. 2 - L’Ager campanus (da SAVINO 2005).<br />

SALTERNUM<br />

- 48 -<br />

cò i suoi quattro libri di elegie tra il 28 e il 16 a. C.;<br />

tema principale dei suoi carmi (dei primi tre libri) è l’amore<br />

tormentato per la sua Cinzia. I principali tόpoi<br />

<strong>del</strong>l’elegia latina 5 , i caratteri costitutivi <strong>del</strong> genere letterario,<br />

sono la sofferenza ‘istituzionale’ <strong>del</strong> poeta, la<br />

concezione <strong>del</strong>l’amore come schiavitù (servitium amoris),<br />

la durezza e l’infe<strong>del</strong>tà <strong>del</strong>la donna amata, la<br />

povertà <strong>del</strong>l’amante elegiaco, che non può competere<br />

con i rivali ricchi, la nequitia <strong>del</strong> poeta, che si allontana<br />

dallo status di buon cittadino per obbedire solo alle<br />

leggi di Amore.<br />

Il tόpos <strong>del</strong>la Campania felix compare in Prop. III, 5, 1-6:<br />

«Pacis Amor deus est, pacem veneramur amantes:<br />

stant mihi cum domina proelia dura mea.<br />

Nec tamen inviso pectus mihi carpitur auro,<br />

nec bibit e gemma divite nostra sitis,<br />

nec mihi mille iugis Campania pinguis 6 aratur,<br />

nec miser aera paro clade, Corinthe, tua» 7 .<br />

(«Amore è dio di pace, e noi amanti veneriamo<br />

la pace: ho già una dura guerra da combattere<br />

con la mia signora. E tuttavia il mio animo non<br />

si lascia consumare dall’inviso oro, né la nostra<br />

sete beve ad una coppa gemmata, né mille gioghi<br />

di buoi arano per me la pingue Campania,<br />

né, misero, accumulo bronzi con la tua rovina,<br />

o Corinto»).<br />

Properzio proclama il suo servitium amoris e la militia<br />

che è costretto a condurre a causa <strong>del</strong>la sua domina,<br />

che lo spinge lontano dai campi di battaglia; nel passo<br />

compare, inoltre, il tόpos <strong>del</strong> poeta povero che rifugge<br />

dalle ricchezze. Properzio - come scrive C. Formicola<br />

- «ha frequentemente dichiarato, soprattutto nel I<br />

libro, il suo disimpegno, che consiste proprio nel rifiuto<br />

<strong>del</strong>la carriera militare, rifiuto preconcetto di accumulo<br />

di danaro e condanna dei modi con cui quest’accumulo<br />

avviene» 8 .<br />

A. La Penna osserva che il poeta si sente vittima<br />

«di una situazione in cui è il più ricco a vincere: perciò<br />

sospira anche lui una Roma povera e semplice» 9 .<br />

Properzio, ricorrendo ad una Priamel 10 , si dichiara, perciò,<br />

indifferente all’odiato oro, alla ricca coppa gemmata,<br />

alla fertile Campania arata da mille gioghi di<br />

buoi. La ricca Campania compare, quindi, in un’enumerazione<br />

di oggetti preziosi e terre ricche di risorse,<br />

dai quali il poeta non si farà mai tentare, fe<strong>del</strong>e alla sua<br />

condizione di amante povero.


Il tόpos compare in funzione analoga anche in<br />

Tibullo 11 , poeta contemporaneo di Properzio, autore<br />

di due libri di elegie (ma cui è attribuito anche un terzo<br />

libro, l’Appendix Tibulliana, poi diviso in età umanistica<br />

in due libri).<br />

Nella nona elegia <strong>del</strong> I libro (vv. 31-34) Tibullo<br />

scrive:<br />

«tum mihi iurabas nullo te divitis auri<br />

pondere, non gemmis, vendere velle fidem,<br />

non tibi si pretium Campania tota daretur,<br />

non tibi si, Bacchi cura, Falernus ager» 12 .<br />

(«Allora tu mi giuravi che non volevi vendere la<br />

tua fe<strong>del</strong>tà per nessuna somma di ricco oro,<br />

non per gemme, nemmeno se ti fosse stata data<br />

come compenso tutta la terra <strong>del</strong>la Campania,<br />

nemmeno se ti fosse stato dato l’agro Falerno,<br />

amore di Bacco»).<br />

Tibullo accusa il giovane che ama di averlo tradito,<br />

sebbene avesse giurato di non lasciarsi corrompere da<br />

nessuna ricchezza, né dall’oro (divitis auri pondere), né<br />

dalle gemme (gemmis), né dalla fertile Campania (non si<br />

pretium Campania terra daretur), né dal territorio <strong>del</strong><br />

Falerno che produce ottimo vino (non si, Bacchi cura,<br />

Falernus ager); Properzio, invece, dichiara che non si<br />

lascerà sedurre dai beni materiali, rimanendo fe<strong>del</strong>e al<br />

suo status di amante elegiaco povero; il tόpos entra,<br />

quindi, nell’elegia latina con una funzione specifica, e<br />

viene declinato secondo le regole <strong>del</strong> genere letterario.<br />

All’interno <strong>del</strong> tόpos elegiaco <strong>del</strong>l’amante povero che<br />

non può competere con i rivali danarosi e che, quindi,<br />

talvolta, soffre per i tradimenti <strong>del</strong>la puella, il riferimento<br />

alla Campania felix è pienamente funzionale<br />

(Properzio dichiara che le amenità <strong>del</strong>la Campania<br />

non possono sconvolgere il suo sistema di valori, il<br />

giovinetto amato da Tibullo promette ma è una promessa<br />

vana che nemmeno le bellezze campane<br />

potranno distoglierlo dal suo sentimento).<br />

I contesti sono molto simili. I primi tre elementi<br />

citati da due poeti sono analoghi anche se una variatio<br />

investe la seconda immagine (alle gemme si sostituisce<br />

la coppa gemmata), mentre il quarto elemento diverge<br />

(mentre Tibullo cita l’ager Falernus e, con un’amplificatio<br />

retorica, sottolinea maggiormente il concetto <strong>del</strong>la fertilità<br />

e <strong>del</strong>la produttività <strong>del</strong>la Campania, Properzio,<br />

che l’ha già connotata con l’aggettivo pinguis, non presente<br />

in Tibullo, fa riferimento, invece, ai bronzi di<br />

Corinto).<br />

FRANCESCO MONTONE<br />

- 49 -<br />

Nel testo tibulliano, inoltre, il motivo <strong>del</strong>la<br />

Campania felix è al servizio di un altro tόpos elegiaco,<br />

l’infe<strong>del</strong>tà <strong>del</strong>l’amante, il tradimento <strong>del</strong> foedus, <strong>del</strong><br />

patto d’amore, elemento necessario, però, per causare<br />

la sofferenza <strong>del</strong> poeta, elemento ‘statutario’ <strong>del</strong>la poesia<br />

d’amore (se il poeta non soffrisse, non potrebbe<br />

comporre i suoi versi).<br />

L’immagine <strong>del</strong>la Campania pinguis, quindi, è inserita<br />

in un elenco di ricchezze che l’amante elegiaco fe<strong>del</strong>e<br />

al suo foedus rinnega: può trattarsi di un giuramento<br />

fasullo, come nel caso <strong>del</strong> giovinetto tibulliano che, in<br />

realtà, verrà meno al patto d’amore, o può trattarsi<br />

<strong>del</strong>la dichiarazione di Properzio di assoluta fe<strong>del</strong>tà alla<br />

sua donna e alla sua poesia d’amore; se il giuramento<br />

<strong>del</strong> giovinetto è fallace, quello di Properzio è saldo e<br />

diviene cifra di un’intera stagione poetica e ragione di<br />

vita (il poeta è felice <strong>del</strong>la sua povertà e si dichiara<br />

fe<strong>del</strong>e solo al suo sogno d’amore).<br />

Il tόpos, però, compare anche nel terzo poeta elegiaco<br />

augusteo, Ovidio. Le vicissitudini <strong>del</strong> poeta sulmonese<br />

sono ben note. Ovidio compone molte opere in<br />

distici elegiaci, difficilmente inquadrabili all’interno<br />

<strong>del</strong> progetto di restaurazione augustea. Il cantore <strong>del</strong>la<br />

vita galante di Roma non è compatibile, probabilmente,<br />

con l’ideologia <strong>del</strong> Princeps. A seguito di un carmen<br />

(probabilmente l’Ars amandi) e di un error, come afferma<br />

il poeta stesso, è relegato sul Mar Nero. Anche da<br />

Tomi, tuttavia, Ovidio, continua a scrivere componimenti<br />

in distici elegiaci (i Tristia e le Epistulae ex Ponto),<br />

ma attuando una ridefinizione <strong>del</strong> genere letterario.<br />

L’elegia erotica verrà trasformata in modo tale da permettere<br />

al Princeps di reintegrare Ovidio (cosa che non<br />

avverrà mai). Lo stesso poeta di Sulmona aveva portato<br />

l’elegia alle sue estreme conseguenze, rendendo<br />

manifesta la finzione letteraria (il rapporto poesia-vita,<br />

costante in Tibullo, Properzio, Catullo, si rompe): l’elegia<br />

diviene, secondo la felice formula di G. B.<br />

Conte 13 , ‘elegia allo specchio’. Come sottolinea M.<br />

Labate 14 , però, è lo stesso Ovidio che tenta una ricodificazione<br />

di quello stesso genere che ha fatto esplodere<br />

dal suo interno, con l’intento di riabilitarsi agli occhi<br />

di Augusto (ma continuando - è questa la sua sfida - a<br />

comporre versi elegiaci). L’utilitas è il nuovo fine <strong>del</strong>la<br />

poesia di Ovidio, che deve intercedere presso i suoi<br />

interlocutori per ottenere il ritorno a Roma e che<br />

spera, grazie al canto, di lenire la sua sofferenza. Nelle<br />

Ex Ponto Ovidio ribadisce che i libri di epistole devono<br />

prendere il posto di quelli <strong>del</strong>l’Ars. Alle sofferenze


d’amore si sostituisce la sofferenza <strong>del</strong>l’esiliato, alla<br />

puella la coniunx, alla precettistica d’amore l’atteggiamento<br />

didascalico <strong>del</strong>l’esiliato. Ovidio accetta la sfida<br />

di riconvertire quel genere stesso che aveva causato la<br />

sua rovina: l’elegia va emendata, alcuni suoi caratteri<br />

vanno corretti; la poesia in distici, tuttavia, può dare<br />

spazio a temi impegnati, può <strong>del</strong>ineare i rapporti <strong>del</strong>l’intellettuale<br />

con il principe, può indicare alla classe<br />

dirigente romana i giusti comportamenti da osservarsi<br />

in una società gerarchizzata e retta da Augusto; può<br />

essere, quindi, il luogo di una nuova precettistica dei<br />

comportamenti sociali e <strong>del</strong>l’ amicizia. L’elegia triste di<br />

Ovidio può essere definita ‘poesia <strong>del</strong>l’amicizia’, dal<br />

momento che si occupa degli officia amicitiae più che di<br />

qualsiasi altro tema. Le elegie <strong>del</strong>l’esilio contengono i<br />

frammenti di un’illustrazione complessiva <strong>del</strong>le regole<br />

in cui si dispongono i rapporti umani in una società<br />

cortigiana e galante.<br />

Se la nuova elegia si rivolgerà non alla donna amata<br />

ma al Princeps e, invece di insegnare ad amare, rivolgerà<br />

utili consigli agli amici, come può essere utilizzato<br />

in essa il tόpos <strong>del</strong>la Campania felix?<br />

Nell’epistola quinta <strong>del</strong> quarto libro <strong>del</strong>le Ex Ponto,<br />

Ovidio si rivolge all’amico Sesto Pompeo, al quale<br />

aveva già espresso la propria riconoscenza nel componimento<br />

incipitario <strong>del</strong> quarto libro <strong>del</strong>la raccolta. Il<br />

poeta invita Sesto a considerarlo un amico sincero e<br />

ad annoverarlo tra i suoi beni più preziosi: inizia, quindi,<br />

un’enumeratio dei beni da questo ereditati dal padre;<br />

la Campania è citata, ancora una volta, nel corso di un<br />

elenco di beni e ricchezze invidiabili, cui Ovidio paragona<br />

la sua amicizia e il suo affetto per l’interlocutore;<br />

tra i possedimenti ereditati da Sesto vi sono, infatti,<br />

anche terreni in Campania (vv. 14-19):<br />

«pars ego sum census quantalumque tui.<br />

Quam tua Trinacria est regnataque terra Philippo,<br />

quam domus Augusto continuata foro,<br />

quam tua, rus oculis domini, Campania, gratum<br />

quaeque relicta tibi, Sexte, vel empta tenes:<br />

tam tuus en ego sum …» 15<br />

(«benché valga poco, io sono parte <strong>del</strong> tuo censo.<br />

Come tua è la Sicilia e tua la terra dove regnò<br />

Filippo, come è tua la casa attigua al foro di<br />

Augusto, come è tuo il terreno campano, piacevole<br />

agli occhi <strong>del</strong> suo padrone, e tuo è tutto quello<br />

che ti è stato lasciato in eredità o che hai comprato,<br />

o Sesto, altrettanto, ecco, ti appartengo io…»).<br />

SALTERNUM<br />

- 50 -<br />

L’immagine <strong>del</strong>la Campania felix compare ancora<br />

una volta in un elenco, ma in un elenco di beni citati<br />

da Ovidio per proclamare la sua amicizia nei confronti<br />

di Sesto Pompeo (Ovidio si proclama proprietà di<br />

Sesto, paragonabile ai possedimenti <strong>del</strong>l’amico: egli<br />

non appartiene più alla domina, ma ai suoi amici fe<strong>del</strong>i):<br />

se la nuova elegia sarà una poesia che celebra gli<br />

officia amicitiae, anche il luogo comune <strong>del</strong>la fertilità<br />

<strong>del</strong>la Campania non è più utilizzato in un contesto in<br />

cui si ribadiscono la povertà <strong>del</strong>l’amante e la sua militia<br />

amoris, cioè due dei tόpoi-cardine <strong>del</strong>l’elegia, ma in<br />

un contesto in cui viene valorizzato il nuovo valore<br />

<strong>del</strong>la rinata elegia ovidiana: quello dei rapporti umani<br />

nella società galante di Roma. È di questa, infatti, che<br />

Ovidio vuole essere cantore, per poter conquistare il<br />

favore non di una fanciulla, ma <strong>del</strong> Princeps, che lo<br />

deve riabilitare.<br />

Studiare la presenza dei toponimi nei vari generi<br />

letterari può, quindi, contribuire ad offrirci interessanti<br />

considerazioni sulle intenzioni poetiche degli autori.<br />

Ogni genere letterario valorizza certi toponimi e li<br />

rifunzionalizza in base alle proprie convenzioni.<br />

Il tópos, a questo punto, entra anche nella poesia<br />

epica. Compare, infatti, anche in due luoghi <strong>del</strong> poema<br />

epico di Silio Italico (Pun. 6, 641-652):<br />

«Dum se perculsi renouant in bella Latini,<br />

turbatus Ioue et exuta spe moenia Romae<br />

pulsandi, colles Vmbros atque arua petebat<br />

Hannibal, excelso summi qua uertice montis<br />

deuexum lateri pendet Tuder, atque ubi latis<br />

proiecta in campis nebulas exhalat inertes<br />

et sedet ingentem pascens Meuania taurum,<br />

dona Ioui. tum Palladios se fundit in agros,<br />

Picenum diues praedae, atque errantibus armis,<br />

quo spolia inuitant, transfert populantia signa,<br />

donec pestiferos mitis Campania cursus<br />

tardauit bellumque sinu indefensa recepit» 16 .<br />

(«Mentre i Latini, dopo la sconfitta, si apprestano<br />

di nuovo alla guerra, Annibale, turbato da<br />

Giove e privato <strong>del</strong>la speranza di abbattere le<br />

mura di Roma, si dirigeva verso le colline e le<br />

pianure <strong>del</strong>l’Umbria, là dove sull’alta cima <strong>del</strong><br />

monte sta sospesa Todi, inclinando su un fianco,<br />

e dove Mevania, distesa nella vasta campagna,<br />

esala nebbie che ristagnano immobili e<br />

pascola possenti buoi, da donare a Giove. Poi si<br />

riversa nei campi di Pallade, nel Piceno ricco di


preda 17 , e mentre le truppe vagavano qua e là<br />

dove le attirava il bottino, fa avanzare le insegne<br />

devastatrici finché la dolce Campania ritardò<br />

quella corsa funesta e, indifesa, accolse al guerra<br />

nel suo seno») 18 .<br />

Silio gioca sull’opposizione tra i cursus pestiferos <strong>del</strong>le<br />

truppe annibaliche e la mitis Campania, che accoglie<br />

dentro di sé, nel panorama <strong>del</strong>la sua amenità, i sanguinari<br />

scontri. Il tόpos è rafforzato dal riferimento ai<br />

Palladios agros, Picenum dives praedae. Non sono le torbide<br />

nebbie di Mervania, ma la mitis Campania a fermare<br />

la marcia di Annibale. Sono, d’altronde, proprio gli ozi<br />

capuani a indebolire l’esercito annibalico ed a favorire<br />

la riscossa di Roma. Il tόpos è pienamente funzionale,<br />

quindi, anche all’interno <strong>del</strong>l’epos, nell’ambito <strong>del</strong> quale<br />

frequenti sono le ecfraseis dedicate a descrizioni di paesaggi<br />

19 . È una Campania provida che combatte al fianco<br />

di Roma e riesce con le sue bellezze ad attirare ed<br />

a fermare la marcia apportatrice di distruzione di<br />

Annibale.<br />

«Iam uero, quos diues opum, quos diues auorum<br />

e toto dabat ad bellum Campania tractu,<br />

ductorum aduentum uicinis sedibus Osci<br />

seruabant: Sinuessa 20 tepens fluctuque sonorum<br />

Vulturnum, quasque euertere silentia, Amyclae<br />

Fundique et regnata Lamo Caieta domusque<br />

Antiphatae, compressa freto, stagnisque palustre<br />

Liternum et quondam fatorum conscia Cyme…»<br />

(Pun. 8, 524-531).<br />

(«Già erano là gli uomini che la Campania ricca<br />

di mezzi, ricca di antenati, inviava alla guerra da<br />

tutto il suo territorio, e gli Osci nella vicina<br />

regione attendevano l’arrivo dei loro capi: la tiepida<br />

Sinuessa e Volturno risonante di acque,<br />

Amicle, che il silenzio portò alla rovina e Fondi<br />

e Gaeta, su cui regnò Lamo, la patria di Antifate<br />

chiusa dal mare, Literno con i suoi stagni paludosi<br />

e Cuma, che un tempo conosceva anche i<br />

destini…»).<br />

Il poeta redige un catalogo dei guerrieri presenti a<br />

Canne e <strong>del</strong>le regioni d’Italia che hanno fornito truppe<br />

a Roma in vista <strong>del</strong>lo scontro con Annibale. Il<br />

poeta inizia una lunga ecfrasis, che prosegue nei versi<br />

successivi, citando una serie di toponimi campani, da<br />

cui provengono i soldati offerti a Roma. La Campania<br />

FRANCESCO MONTONE<br />

- 51 -<br />

è definita dives opum et avorum. La Campania felix, nell’epica,<br />

fornisce un notevole aiuto alla causa di Roma.<br />

Il tόpos compare, in seguito, in un altro genere letterario,<br />

la satira, facendo la sua comparsa nella X composizione<br />

di Giovenale. Il poeta satirico, noto per l’asprezza<br />

<strong>del</strong>le sue invettive, visse tra il 55-60 e il 127 d.<br />

C.. Nella X satira Giovenale, avendo come mo<strong>del</strong>lo la<br />

prima satira di Orazio, in cui il poeta venosino si scagliava<br />

contro l’incontentabilità degli uomini, mai soddisfatti<br />

<strong>del</strong> proprio destino, afferma che pochi sono in<br />

grado di distinguere i beni veri da quelli falsi. Si desiderano<br />

onori e ricchezze, senza che ci si renda conto<br />

che questi beni spesso ci nocciono. Il poeta fornisce<br />

numerosi exempla tratti dal mondo greco e romano.<br />

Per Seiano la potenza fu causa <strong>del</strong>la sua rovina;<br />

Pompeo, Cesare, Crasso andarono incontro a fini orribili<br />

per la loro smania di potere. Demostene e<br />

Cicerone pagarono la loro fama di oratori con la vita.<br />

Anche la gloria militare fu causa di sventure per<br />

Alessandro, per Annibale. Il desiderio di lunga vita<br />

finisce per riservare una serie enorme di amarezze (gli<br />

esempi <strong>del</strong> poeta sono le tristi vecchiaie di Nestore e<br />

Priamo). Anche la bellezza si rivela controproducente<br />

(tra gli esempi quello di Lucrezia). La conclusione <strong>del</strong><br />

poeta è celebre: il solo desiderio che gli uomini possono<br />

esprimere agli dei è quello di avere una mente sana<br />

in un corpo sano (v. 396: orandum est ut sit mens sana in<br />

corpore sano); una vita saggia, senza eccessi, con la guida<br />

<strong>del</strong>la virtù, fa sì che non siamo vittime dei capricci<br />

<strong>del</strong>la sorte (vv. 365-366: «…Nos te / nos facimus, Fortuna,<br />

deam caeloque locamus», «Siamo noi, o Fortuna, che ti<br />

facciamo dea, e ti innalziamo agli astri»). Il tόpos <strong>del</strong>la<br />

Campania felix compare proprio a proposito <strong>del</strong>la triste<br />

morte di Pompeo (vv. 283-288):<br />

«Prouida Pompeio dederat Campania febres<br />

Optandas, sed multae urbes et publica uota<br />

Vicerunt; igitur Fortuna ipsius et urbis<br />

Seruatum uicto caput abstulit. hhoc cruciatu<br />

Lentulus, hac poena caruit ceciditque Cethegus<br />

Integer et iacuit Catilina cadauere toto» 21 .<br />

(«La provvida regione campana aveva regalato a<br />

Pompeo certe febbri, per le quali avrebbe dovuto<br />

ringraziare il cielo, ma molte città la spuntarono<br />

coi loro pubblici voti: così la Fortuna sua<br />

e di Roma finirono col mozzargli quel capo che<br />

egli aveva salvato. Nemmeno Lentulo dovette


sopportare tanto strazio e una mutilazione come<br />

questa, e anche Cetego morì intero; persino<br />

Catilina giacque in battaglia non mutilato»).<br />

Pompeo rischiò di morire per febbri a Capua; vinto<br />

più tardi da Cesare nella battaglia di Farsàlo (48 a. C.),<br />

si rifugiò presso il re d’Egitto Tolomeo, che lo fece<br />

decapitare per ingraziarsi il vincitore o, almeno, per<br />

non inimicarselo.<br />

Gli strali <strong>del</strong> poeta satirico colpiscono con esito<br />

paradossale il tόpos <strong>del</strong>la Campania felix, stravolgendolo<br />

completamente. La Campania, definita provida, viene<br />

meno al suo stesso statuto di regione dal clima salubre<br />

(si ricordino le parole supra citate di Plinio iam vero tota<br />

ea vitalis ac perennis salubritas, talis caeli temperies...).<br />

Eppure la Campania descrittaci da Giovenale è,<br />

comunque, al servizio di Roma, come quella di Silio<br />

Italico; se nella poesia epica la regione fornisce soldati<br />

a Roma e ferma con le sue amenità e con la sua<br />

mitezza (mitis) la marcia apportatrice di morte di<br />

Annibale, la Campania di Giovenale è disposta a divenire<br />

insalubre, per risparmiare ad un grande eroe<br />

<strong>del</strong>l’Urbs, Pompeo, una fine orribile, che nemmeno i<br />

più infami traditori di Roma, come Lentulo, Cetego e<br />

Catilina, subirono.<br />

È indubbio che qui il tόpos è presupposto dal poeta,<br />

che lo stravolge, facendo riferimento alla memoria letteraria<br />

<strong>del</strong> lettore, invitato a cogliere l’arguzia <strong>del</strong>l’autore.<br />

Nella fantasia <strong>del</strong> poeta satirico la Campania si<br />

muove per un fine nobile, quello di salvare Pompeo,<br />

ed è disposta, per ottenere questo obiettivo, a negare<br />

la sua fama di regione dalla perennis salubritas, infliggendo<br />

all’eroe di Roma <strong>del</strong>le febbri maligne.<br />

La satira stravolge l’esemplarità stessa <strong>del</strong>la storia<br />

greca e romana: Alessandro Magno conquistando<br />

Babilonia ha ottenuto il luogo <strong>del</strong>la sua tomba;<br />

Pompeo, sopravvivendo alle provvide febbri campane,<br />

è andato incontro ad una fine terrificante. Il capovolgimento<br />

carnevalesco <strong>del</strong> mondo che la satira porta<br />

avanti, nella sua denuncia <strong>del</strong>l’illusorietà di ciò che la<br />

fama, il potere e la ricchezza procurano agli uomini,<br />

colpisce anche il tόpos, che entra nel genere <strong>del</strong>la poesia<br />

d’invettiva non senza danni, ma subendo anch’esso<br />

un capovolgimento inatteso. Il tόpos viene, quindi,<br />

ancora una volta ricodificato per rispettare le leggi statutarie<br />

<strong>del</strong> genere letterario.<br />

Il motivo compare anche in due autori cristiani,<br />

Prudenzio e Paolino di Nola, profondamente intrisi di<br />

SALTERNUM<br />

- 52 -<br />

cultura pagana. Prudenzio, particolarmente abile nel<br />

trasferire i metri e i modi <strong>del</strong>la poesia classica nella<br />

poesia cristiana, visse tra il 348 ed il 413 e fu chiamato<br />

a corte da Teodosio I. Il Contra Symmachum è un’opera<br />

composta di 1800 esametri ed è divisa in due libri.<br />

Nel primo l’autore si scaglia contro il politeismo pagano;<br />

nel secondo, seguendo gli argomenti di Ambrogio,<br />

si oppone alle ragioni addotte da Simmaco per riportare<br />

nella Curia l’altare <strong>del</strong>la dea <strong>del</strong>la Vittoria.<br />

« … Quid tale repulso<br />

Poenorum quondam duce contigit? Ille petitae<br />

postquam perculerat tremefacta repagula portae,<br />

Baianis resolutus aquis, durissima luxu<br />

robora destituit ferrumque libidine fregit.<br />

At noster Stilico, congressus comminus, ipsa<br />

ex acie ferrata uirum dare terga coegit.<br />

Hic Christus nobis deus affuit et mera uirtus;<br />

Illic lasciuum, Campania fertilis, hostem<br />

Deliciae uicere tuae» 22 . (C. Symm. II, 739-747)<br />

(«Quale sorte simile toccò un tempo al generale<br />

dei Cartaginesi sconfitto? Egli dopo che<br />

aveva battuto i catenacci tremanti <strong>del</strong>la porta<br />

assalita, lasciatosi andare nelle acque di Baia<br />

perse per la sua lussuria la sua enorme potenza<br />

e infranse nei vizi la forza <strong>del</strong> ferro. Ma il<br />

nostro Stilicone, avendo ingaggiato un combattimento<br />

corpo a corpo, costrinse le truppe<br />

corazzate a fuggire dallo stesso campo di battaglia.<br />

Qui Cristo nostro Dio fu presente, lui, la<br />

vera virtù; lì o Campania fertile, le tue <strong>del</strong>izie<br />

vinsero il nemico reso lascivo»).<br />

Il vero Dio, Cristo, ha concesso a Stilicone di avere<br />

la meglio e la Campania fertile (si noti il riferimento ai<br />

fertiles campi di Plinio), con le sue agiatezze, ha avuto la<br />

meglio sul feroce Annibale. Si noti l’insistenza di termini<br />

che connotano la forza violenta dei Cartaginesi<br />

(perculerat tremefacta repagula durissima robora ferrum, tutte<br />

immagini che rendono l’idea di duritia) che si contrappongono<br />

a quelle che connotano le dolci attrattive con<br />

le quali la Campania ha vinto Annibale (Baianis<br />

acquis…libidine…<strong>del</strong>iciae tuae... fertilis… lascivum).<br />

Termine-chiave è quel lascivum finale, che rende l’idea<br />

<strong>del</strong>la trasformazione dei cru<strong>del</strong>i e forti Cartaginesi<br />

in un’orda di uomini abbandonatisi al vizio e rammolliti<br />

dalla dolcezza dei piaceri campani. Il riferimento<br />

alle attrattive di Baia è un altro celebre tόpos letterario


che Prudenzio accortamente riprende. Baia, ricordata<br />

dalla tarda repubblica per le sue sorgenti termali, assistette<br />

ad una fioritura edilizia, poiché molti nobili<br />

fecero costruire lì le loro ville; finì per diventare centro<br />

frequentato dalla élite <strong>del</strong>la società romana, noto<br />

per la sua lussuria e sfrenatezza 23 . Il Baianis aquis di<br />

Prudenzio è citazione di Marziale (I, 62, 4) 24 .<br />

È evidente che Prudenzio vuole che la memoria<br />

<strong>del</strong> lettore colga l’allusione al primo passo di Silio<br />

preso in esame: ancora una volta la Campania felix<br />

appare al servizio di Roma e combatte al fianco<br />

<strong>del</strong>l’Urbs per decretare la sconfitta di Annibale. Se l’amena<br />

Campania di Silio si era limitata a fermare la<br />

marcia di Annibale, quella di Prudenzio ne decreta la<br />

definitiva sconfitta. La suggestione di una Campania<br />

provida, d’altronde, era già nel primo passo di Plinio<br />

(vedi supra), quando lo scrittore affermava che la<br />

regione, slanciandosi verso il mare con i suoi golfi,<br />

aveva voluto esser d’aiuto agli uomini.<br />

Il tόpos ricompare in un canto natalizio di un altro<br />

autore cristiano profondamente intriso di cultura<br />

pagana, Paolino di Nola, che era stato allievo di<br />

Ausonio.<br />

«Et bis ter denas Campania laeta per urbes<br />

ceu propriis gaudet festis, quos moenibus amplis<br />

diues habet Capua et quos pulchra Neapolis aut quos<br />

Gaurus alit, laeta exercent qui Massica quique<br />

Ufentem Sarnumque bibunt…» 25 , (Carm. 14, vv.<br />

58-62)<br />

(«E per venti trenta città la Campania rigogliosa<br />

gioisce con le sue proprie feste, quelle che la<br />

ricca Capua con le grandi mura prepara, e quelle<br />

che la bella Napoli e il Gauro alimentano,<br />

quelli che lavorano i rigogliosi campi massici e<br />

quelli che bevono dalle acque <strong>del</strong>l’Ufente e <strong>del</strong><br />

Sarno…»).<br />

L’alma dies, il giorno di nascita <strong>del</strong> Salvatore, è celebrato<br />

da tutti i popoli e da tutte le terre. Anche la<br />

Campania felix, nel passo di Paolino, contribuisce a<br />

celebrare la nascita <strong>del</strong> puer; tutti i suoi luoghi più<br />

ameni e rigogliosi, tutte le sue più belle città, nella fantasia<br />

di Paolino, offrono la loro splendida bellezza per<br />

la lode <strong>del</strong> Salvatore.<br />

Ancora una volta il tόpos subisce una variazione e<br />

viene ricodificato nel testo <strong>del</strong> poeta cristiano. Il rife-<br />

FRANCESCO MONTONE<br />

- 53 -<br />

rimento alla dives Capua, altro motivo letterario, è un<br />

probabile omaggio di Paolino al maestro Ausonio che,<br />

nell’Ordo urbium nobilium, dedica ben diciotto versi a<br />

Capua, Roma altera quondam 26 , decaduta a causa <strong>del</strong>le<br />

errate scelte politiche, ch’egli colloca all’ottavo posto<br />

tra le venti ‘illustri’ città da lui ricordate.<br />

L’ultimo importante luogo da prendere in considerazione<br />

è un breve carme di Sidonio Apollinare (430-<br />

486 d. C.). Personalità poliedrica, illustre esponente<br />

<strong>del</strong>la nobiltà gallica, divenuto in seguito vescovo,<br />

Sidonio si esprime in diversi generi letterari. È autore<br />

di un ricco epistolario in nove libri e di 24 carmina, in<br />

cui compaiono sia panegirici ad imperatori, sia nugae<br />

(carm. 9-24). Le sue ineptiae sono un lusus, e Sidonio è<br />

il principale esponente di un circolo poetico che costituisce<br />

l’ambiente culturale in cui il poeta opera. Di<br />

fronte alle invasioni dei barbari, di fronte all’imminente<br />

‘caduta senza rumore’ <strong>del</strong>l’Impero Romano<br />

d’Occidente, questa aristocrazia gallica si chiude nella<br />

torre d’avorio di una letteratura che vive nel richiamo<br />

dei classici e sancisce così la sua superiorità morale e<br />

culturale sui popoli invasori. Il nostro tόpos compare<br />

nel carme 18 di Sidonio:<br />

«Si quis Auitacum dignaris uisere nostram,<br />

non tibi displiceat: sic quod habes placeat.<br />

Aemula Baiano tolluntur culmina cono<br />

parque cothurnato uertice fulget apex.<br />

Garrula Gauranis plus murmurat unda fluentis<br />

Contigui collis lapsa supercilio.<br />

Lucrinum stagnum diues Campania nollet,<br />

aequora si nostri cerneret illa lacus.<br />

Illud puniceis ornatur litus echinis:<br />

piscibus in nostris, hospes, utrumque uides.<br />

Si libet et placido partiris gaudia corde,<br />

quisquis ades, Baias tu facis hic animo» 27 .<br />

(«Non ti spiacerà, se la degni, la mia Avitaco e<br />

altrettanto ti piaccia ogni tuo bene. Si leva il suo<br />

tetto emulo <strong>del</strong> cono di Baia e pari riluce, sul<br />

coturno <strong>del</strong> vertice, la cima. Più lieta di quella<br />

<strong>del</strong> Gauro mormora l’onda che scende dal<br />

ciglio <strong>del</strong> colle contiguo. L’acque <strong>del</strong> nostro<br />

lago, tu le vedessi, o ricca Campania, rinnegheresti<br />

il tuo Lucrino. È bello il tuo lido di rossi<br />

frutti di mare. Ma il gusto e il colore li ritrovi<br />

nei pesci di qui. Ospite, se ti è caro dividere i<br />

nostri piaceri, qui potrai ricreare, nella tua<br />

mente, Baia»).


Il riferimento alla dives Campania è chiaramente<br />

ripreso da Silio e compare, in seguito, anche in Prisc.<br />

Perieg. 351 e in Carm. Epigr. 1552, 31. Di fronte al tramonto<br />

di una civiltà, Sidonio, con il suo stile prezioso<br />

28 , con il suo manierismo 29 , cerca di far risentire l’eco<br />

<strong>del</strong>la letteratura che fu e mescola, con un gioco argutissimo,<br />

intertesti epici con echi testuali <strong>del</strong>la poesia<br />

meno impegnata. Non è un caso, quindi, che un tόpos<br />

così collaudato dalla tradizione letteraria latina ricompaia<br />

in questa ultima voce <strong>del</strong> mondo pagano, così<br />

attenta al recupero di formule e luoghi comuni <strong>del</strong><br />

passato. Il gioco di Sidonio è sottilissimo: la sua Gallia,<br />

la sua Avitaco hanno dei siti che in amenità possono<br />

gareggiare con la tanto celebrata Campania felix. Il mito<br />

<strong>del</strong>la bellezza <strong>del</strong>la Campania viene messo in competizione<br />

con i bei luoghi in cui vive il poeta. Non è un<br />

caso che proprio Silio venga imitato da Sidonio. La<br />

dives Campania che nell’epica si ergeva a difesa di<br />

Roma, frenando gli eccessi <strong>del</strong> suo più grande nemico,<br />

viene insidiata da un nemico ancora più pericoloso: la<br />

bella Avitaco, che può infrangere le bellezze paradisiache<br />

dei più ameni siti campani. Ma Sidonio ha ben<br />

presente anche l’altro passo di Silio preso in esame,<br />

che infatti, cita nel Panegirico a Maggioriano (carm. 5, 342-<br />

346). La sfida lanciata da Avitaco non è solo alla<br />

Campania ricca di uomini e di antenati, ma anche alla<br />

Campania in grado, con le acque di Baia e le sue altre<br />

amenità, di rendere molle il feroce Cartaginese.<br />

Tra le fonti <strong>del</strong> carme il Geisler 30 richiama, oltre al<br />

già citato passo epico di Silio, anche Mart., IV, 25, 1:<br />

aemula Baianis Altini litora villis, verso, evidentemente,<br />

riecheggiato da Sidonio e un’epistola di Plinio il<br />

Giovane (IX, 2: «altera (scil. villa)…more Baiano lacum<br />

prospicit, altera aeque more Baiano lacum tangit, itaque illam<br />

tragoediam, hanc appellare comoediam soleo; illam, quod quasi<br />

cothurnis, hane, quod quasi socculis sustinetur»).<br />

Il gioco intertestuale condotto dal poeta d’Oltralpe<br />

è, in realtà, molto più profondo e consiste, come<br />

detto, nella sapiente mescolanza di intertesti <strong>del</strong>l’epica,<br />

<strong>del</strong>la satira, <strong>del</strong>l’elegia e, soprattutto, <strong>del</strong>l’epigramma.<br />

Nel carme compaiono, infatti, anche<br />

- echi properziani: il non tibi displiceat di v. 2 richiama<br />

il properziano Nec tibi displiceat di IV, 5, 49 (a sua volta<br />

variatio <strong>del</strong> virgiliano Nec mihi displiceat di Georg. III, 56 31 ).<br />

D’altra parte Properzio inserisce in due suoi carmi <strong>del</strong>le<br />

ecfraseis di luoghi campani (tra cui Baia, capo Miseno e il<br />

Lucrino, cui nel secondo luogo si allude citando il Portus<br />

Iulius) in I, 11, dove Baia e bei luoghi campani sono col-<br />

- 54 -<br />

pevoli di aver allontanato da lui Cinzia (Baia e il Lucrino<br />

entrano nella poesia elegiaca, ancora una volta, adeguandosi<br />

alle leggi <strong>del</strong> genere e, come la pinguis<br />

Campania, sono d’ostacolo al sogno d’amore <strong>del</strong> poeta)<br />

e in III, 18, dove si piange la morte di Marcello, avvenuta<br />

proprio nello scenario flegreo (il poeta opera una<br />

rifunzionalizzazione di quegli stessi luoghi che aveva<br />

fatto entrare nel mondo elegiaco, ma che divengono<br />

luoghi di lutto, non più di sfrenata lussuria);<br />

- echi oraziani: echinis, in particolare, è la spia linguistica<br />

attraverso la quale Sidonio richiama alla memoria<br />

<strong>del</strong> lettore Sat. 2, 4, 32-33: Murice Baiano melior Lucrina<br />

peloris, / Ostrea Circeis, Miseno oriuntur echini, / Pectinibus<br />

patulis iactat se molle Tarentum;<br />

- echi rutiliani: murmurat unda è ripresa da Red. 2, 14<br />

(Rutilio a sua volta riprende Virgilio, Aen. X, 212); è<br />

chiaro che Sidonio ha in mente il passo di Rutilio, dal<br />

momento che la posizione <strong>del</strong> sintagma all’interno<br />

<strong>del</strong>l’esametro è la stessa (mentre Virgilio lo pone in<br />

clausola). Anche il contigui a inizio verso richiama il contiguum<br />

stupui portum di Red. 1, 531 (anche in questo caso<br />

contiguum è in posizione incipitaria);<br />

- echi di altri carmi di Sidonio: Vertice fulget apex<br />

richiama il resplendet apex di un altro carme sidoniano,<br />

il Panegirico ad Avito, cioè una di quelle composizioni<br />

che Sidonio considera poesia impegnata (7, 157) ed il<br />

vertice ruptus apex di 6, 16, il componimento che accompagna<br />

il panegirico. Va notato, tra l’altro che, prima di<br />

Sidonio, apex in chiusura di verso non è così frequente<br />

32 . Baias, inoltre, ricompare in carm. 23, 13;<br />

- echi di Marziale: oltre al già citato IV, 25 Sidonio<br />

riprende IV, 57 (dove al v. 1 compare il sintagma stagni<br />

Lucrini e, al v. 6 Baias), IV, 19, 7 (è l’unico caso in cui<br />

partiris è utilizzato nella stessa posizione metrica di<br />

Sidonio), V, 37, 3 (dove compare il sintagma stagni<br />

Lucrini), IV, 30 (dove compaiono sia Baiano, al v. 1 sia<br />

piscibus, al v. 3), IX, 37, 6 (supercilio che, però, potrebbe<br />

essere anche eco cluadianea 33 ), XI, 80 (dove compare<br />

una lode sperticata di Baia e cui Sidonio allude attraverso<br />

la ripresa di litus di v. 1, di gaudiorum di v. 8).<br />

L’intertesto di Marziale che il nostro poeta ha presente<br />

maggiormente è, però, IV, 63. In questo simpatico<br />

epigramma Marziale si rivolge a Castrico e lo invita<br />

a godere dei piaceri di Baia. Egli, invece, si trova a<br />

Nomento e si sforzerà di ricreare lì la sua Baia e il suo<br />

Lucrino (vv. 3-6): «Me Nomentani confirmant otia ruris /<br />

Et casa iugeribus non onerosa suis./ Hoc mihi Baiani soles<br />

mollisque Lucrinus,/ Hoc uestrae mihi sunt, Castrice, diui-


tiae». («Io mi ristoro nel placido riposo /<strong>del</strong> mio poderetto<br />

di Nomento e <strong>del</strong>la casa modesta che il peso di<br />

sé non fa sentire al mio raccolto. Questo è per me il<br />

bel sole di Baia, son queste le dolci acque <strong>del</strong> Lucrino,<br />

questo luogo, Castrico, è per me quello che per voi<br />

son le ricchezze»).<br />

I versi di Sidonio non hanno la freschezza arguta<br />

di quelli di Marziale, ma hanno in sé una ‘frivola tragicità’:<br />

Roma sta morendo, e Sidonio cerca di salvare il<br />

valore di quella letteratura che è cifra identitaria sua e<br />

dei suoi sodales; rivive la sua realtà quotidiana filtrandola<br />

attraverso l’eco dei classici: la sua Avitaco, le contrade<br />

in cui vive saranno la nuova Baia, la nuova<br />

Campania felix.<br />

In conclusione ogni tόpos entra nei vari generi letterari<br />

e viene ogni volta ricodificato, vivendo di vita<br />

propria.<br />

La Campania felix entra nel mondo elegiaco come<br />

bene prezioso che l’amante elegiaco e la sua puella<br />

devono evitare per coronare il loro sogno d’amore,<br />

salvo essere rifunzionalizzata nella nuova elegia di<br />

Ovidio per far parte di un universo poetico che vuol<br />

cantare gli officia amicitiae; nel mondo epico la dives<br />

Campania si erge a difesa di Roma, non solo ponendo<br />

a servizio <strong>del</strong>l’Urbe tutto il suo patrimonio umano e<br />

materiale, ma contribuendo a sedurre con le sue amenità<br />

il truce nemico, per fiaccarne l’animo.<br />

Nel mondo <strong>del</strong>la satira si allea con il poeta nel<br />

denunciare l’insensatezza dei moventi umani e finisce,<br />

come fosse dotata di quella saggezza e di quel senso di<br />

misura che sfuggono agli umani, per arrivare a negare<br />

il proprio statuto di terra salubre, per impedire a<br />

Pompeo la sua sfrenata corsa verso il successo, che si<br />

concluderà con una morte ignominiosa; nel mondo<br />

<strong>del</strong>la poesia cristiana si pone al servizio <strong>del</strong> volere divino<br />

e mobilita le sue città e suoi luoghi più piacevoli per<br />

celebrare degnamente la nascita <strong>del</strong> Salvatore.<br />

FRANCESCO MONTONE<br />

- 55 -<br />

Fig. 3 - Bacco e il Vesuvio (affresco). Pompei, Casa <strong>del</strong> Centenario, larario.<br />

Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale (da Pittura romana 2002).<br />

Nel mondo <strong>del</strong>la poesia nugatoria, infine, subisce<br />

gli scherzi <strong>del</strong>l’ultimo poeta <strong>del</strong>l’impero che, da una<br />

parte, con tono ludico, le contrappone le bellezze di<br />

Avitaco ma che, d’altra parte, ha il compito ben più<br />

serio di far sopravvivere, attraverso i suoi versi polifonici,<br />

il tόpos letterario e con esso i Classici che lo hanno<br />

reso immortale, gloriose membra di una civiltà che sta<br />

per scomparire.<br />

L’universo creato da Roma è sul punto di dissolversi,<br />

ma l’eco dei suoi classici è destinata ad essere un<br />

monumentum aere perennius. Si avvererà quel sogno d’immortalità<br />

<strong>del</strong>la poesia latina che Ovidio auspicava in una<br />

famosa elegia degli Amores: «Mantua Vergilio, gaudet<br />

Verona Catullo; /Paelignae dicar gloria gentis ego»: «Mantova<br />

è fiera di Virgilio, Verona di Catullo; io sarò chiamato la<br />

gloria <strong>del</strong>la gente peligna» (III, 15, vv. 7-8) 34 .


Note<br />

1 Il testo e la traduzione dei luoghi <strong>del</strong>la<br />

Naturalis Historia di Plinio sono citati secondo<br />

l’edizione CONTE - BORGHINI - GIANNARELLI<br />

- MARCONE, RANUCCI 1983. Tra i più famosi<br />

elogi <strong>del</strong>le bellezze <strong>del</strong>l’Italia nel mondo antico<br />

vanno ricordati quelli di Strabone (VI 4.1-<br />

2), Dionigi di Alicarnasso (Antichità romane I<br />

36-7), Varrone (Rerum Rusticarum I. 2. 3-8),<br />

Virgilio (Georgiche II 136-76).<br />

2<br />

DE VIVO 1998, p. 23.<br />

3 Sul problema <strong>del</strong>l’intertestualità e <strong>del</strong>l’allusività<br />

nella letteratura latina sono ancora<br />

oggi una pietra miliare le osservazioni <strong>del</strong><br />

grande filologo G. Pasquali, il quale, in un<br />

suo saggio sull’allusione (PASQUALI 1951)<br />

affermava che alla base <strong>del</strong>la scrittura letteraria<br />

è riscontrabile una rete di reminiscenze<br />

che, qualora intenzionali, si configurano<br />

come allusioni volute e quindi portatrici di<br />

senso. Vanno ricordati anche il bel volume<br />

di G. B. Conte (CONTE 1974), che propone<br />

interessanti osservazioni su memorabilità,<br />

aemulatio, allusività e quello di A. La Penna<br />

(LA PENNA 1991), che classifica i vari<br />

aspetti <strong>del</strong>l’intertestualità (citazione, allusione,<br />

reminiscenza inconscia).<br />

4<br />

BELOCH 1879; MOMMSEN 1983 (CIL X);<br />

MAIURI 1931, pp. 121-137; REHM 1932;<br />

MCKAY 1972; KIRSTEN 1975; GIGANTE<br />

1981, pp. 273-294; MALAVOLTA 1994, p.<br />

641; FERONE 1996, pp. 424-432.<br />

5 Cfr. PINOTTI 2002.<br />

6Per la spiegazione <strong>del</strong> verso 5, quello in cui<br />

compare il termine Campania, rimando<br />

all’ottima nota <strong>del</strong> Fe<strong>del</strong>i: «Allude al verso<br />

properziano Ovid. Am. I, 3, 9 nec meus innumeris<br />

renovatur campus aratris. Cfr. THILL<br />

1979, pp. 300-301. Iugum è quasi usato<br />

metonymice i. q. par animalium iugo iunctorum<br />

(Thes. VII 2, 640, 26), come in Cic. Verr.<br />

2,3,27 qui singulis iugis arant. L’immagine<br />

iperbolica dei mille iuga compare anche in<br />

Tib. 2, 3, 44 portatur validis mille columna iugis.<br />

La fertilità <strong>del</strong>la Campania è un luogo<br />

comune: cfr. Ovid. Pont. 4, 15, 17 e altri<br />

esempi in THLL. Onom. II 124, 32 sgg»,<br />

(FEDELI 1985, p. 179).<br />

7 Il testo di Properzio è citato secondo l’edizione<br />

curata da P. FEDELI per la Teubner<br />

(Lipsia 1994).<br />

8<br />

FORMICOLA 2003, p. 115 (si veda anche la<br />

nota 3: «Cfr. I,6, l’elegia all’amico Tullo»). J.<br />

Clark, anzi, ha messo in rilievo l’atteggiamento<br />

sarcastico di Properzio nei confronti<br />

di quei coetanei per il quali un viaggio in<br />

SALTERNUM<br />

Oriente per far bottino totalizza le aspirazioni<br />

e conferisce soddisfazioni sul piano<br />

morale e sociale (CLARK 1977, pp. 187-90).<br />

9<br />

LA PENNA 1977, pp. 61-62.<br />

10 Si veda l’accurato studio di LA PENNA<br />

1992, pp. 7-44.<br />

11 Il luogo tibulliano, come anche quello di<br />

Giovenale citato infra, non è citato nel II<br />

Vol. <strong>del</strong>l’Onomasticon <strong>del</strong> ThLl, alla voce<br />

Campania (pp. 123-124), tra i luoghi in cui la<br />

Campania «laudatur propter amoenitatem et fertilitatem»<br />

(p. 124, ll. 31-54).<br />

12 Il testo di Tibullo è citato secondo l’edizione<br />

curata da R. MALTBY; cfr. anche la sua<br />

nota: «noted for its fertility; cfr. Prop. 3 ,5,<br />

5 iugis Campania pinguis, Plin. Nat. 3.60 felix<br />

illa Campania. This is the reading of G. All<br />

other MSS have Campania terra, but the adj.<br />

must be Campanus, as at Enn. Ann. 157 Sk.<br />

Hor. Sat. 2.8.56», (MALTBY 2002, p. 330).<br />

13<br />

CONTE 1991.<br />

14<br />

LABATE 1987, pp. 91-129. La poesia <strong>del</strong>l’esilio,<br />

infatti, sancisce il ricongiungimento<br />

<strong>del</strong> legame poesia-vita che era stato tipico<br />

<strong>del</strong>la precedente poesia elegiaca latina e che<br />

era stato sciolto dallo stesso Ovidio.<br />

Capacità <strong>del</strong> poeta e precarietà <strong>del</strong>l’ elegia,<br />

che erano state le novità più rilevanti <strong>del</strong>la<br />

poetica amorosa ovidiana, sono motivi non<br />

più attuali nella poetica <strong>del</strong>l’esilio. Se<br />

Tibullo e Properzio avevano chiuso l’elegia<br />

a qualsiasi dimensione che non contemplasse<br />

l’amore <strong>del</strong> poeta per la puella, Ovidio ha,<br />

invece, con la sua precedente produzione<br />

elegiaca, ‘relativizzato’ il mondo <strong>del</strong>la poesia<br />

d’amore, in cui sono entrati altri spazi e<br />

altri momenti, come quel mondo galante<br />

descritto tante volte dal poeta di Sulmona.<br />

Ovidio attua una ‘riconciliazione <strong>del</strong>l’elegia’,<br />

che avviene nell’ambito <strong>del</strong>la città<br />

augustea. Il poeta può, quindi, costruire una<br />

nuova elegia, una poesia impegnata proprio<br />

perché ne ha gettato le basi nella sua precedente<br />

produzione. «Il poeta di questa nuova<br />

elegia lamenta dolori anche troppo veri e<br />

insegna a partire da quelle sofferenze che<br />

vive», (LABATE 1987, p. 120).<br />

15 Il testo ovidiano è citato secondo l’edizione<br />

Teubner (P. Ovidi Nasonis Ex Ponto libri<br />

quattuor, a cura di J. A. RICHMOND).<br />

16 I due passi di Silio Italico presi in esame<br />

sono citati secondo il testo stabilito da<br />

VOLPILHAC (Livre V), MINICONI -<br />

DEVALLET (Livres VI-VIII), Paris, Belles<br />

Lettres, 1981. Le traduzioni sono di Maria<br />

- 56 -<br />

Assunta Vinchesi (VINCHESI 2001).<br />

17 Come si osserva in VINCHESI 2001, p. 403,<br />

il Piceno era noto per i suoi oliveti, donde il<br />

riferimento alla dea Pallade. Per il fatto storico,<br />

cfr. Liv. 22, 9, 3 In agrum Picernum vertit<br />

iter.<br />

18 Come evidenziano MINICONI –DEVALLET<br />

1981, p. 155: «Silius simplifie à l’extrême<br />

l’exposé des mouvements d’Hannibal.<br />

Fabius a été nommé dictateur en juillet et<br />

s’est mis aussitôt en champagne. A son<br />

approche, Hannibal franchit l’Apennin et,<br />

au mois d’août, passé en Campanie en<br />

empruntant la vallée du Volturne (Tite-<br />

Livie, 22, 13)».<br />

19 Sui paesaggi virgiliani <strong>del</strong>l’Eneide, ad esempio,<br />

cfr. FORMICOLA 2002.<br />

20 Sinuessa, città sulla costa <strong>del</strong> golfo di<br />

Gaeta, era nota per la mitezza <strong>del</strong> clima e<br />

anche per le sorgenti di acque termali.<br />

21 Il testo di Giovenale è citato secondo l’edizione<br />

DE LABRIOLLE - VILLENEUVE 1957<br />

(a cura di). La traduzione è di E. Barelli<br />

(CANALI - BARELLI 2002).<br />

22 Il testo di Prudenzio è citato secondo l’edizione<br />

LAVARENNE 1948).<br />

23 Virgilio cita Baiae in Aen. IX, 710, quando<br />

paragona la caduta <strong>del</strong> guerriero Bitia, che<br />

percuote la terra facendola rintronare, alla<br />

caduta di una pila di massi che, murati, vengono<br />

gettati in mare in Euboico Baiarum litore:<br />

si rimescolano le acque e tremano dal<br />

rimbombo Procida e Inarime (cioè Ischia).<br />

Come evidenzia D’Ambrosio (vedi infra), p.<br />

452, «la similitudine nasce da una reminiscenza<br />

omerica (Il. 2, 781 ss.), ma ha un<br />

concreto riferimento ai fatti che V. stesso<br />

poté vedere, e cioè la costruzione di lussuose<br />

ville marittime che, secondo una moda<br />

<strong>del</strong> tempo, venivano prolungate nel mare<br />

per mezzo di poderose opere artificiali: è<br />

quanto attestato, per esempio da Sallustio<br />

(Cat. 20, 11) e da Orazio (Carm. 3, 1, 33-46;<br />

3, 24, 4 e specialmente 2, 18, 18-22)». Come<br />

sottolinea FERONE 1996, pp. 424-432, infatti,<br />

in Carm. II, 18, 17-22 è attestata la continua<br />

attività di lavori edilizi a Baia: «tu secanda<br />

marmora / locas sub ipsum funus et sepulcri /<br />

inmemor struis domos marisque Bais obstrepentis<br />

urges / submovere litora /parum locuples continente<br />

ripa», («tu commissioni tagli ampi di<br />

marmi nell’imminenza <strong>del</strong>la sepoltura e levi<br />

casa e scordi la tua tomba, sconvolgi coste,<br />

argini il mare che percuote Baia: per confine<br />

una spiaggia, è poco signorile». Nella I


epistola <strong>del</strong> I libro Orazio irride chi è smanioso<br />

di far costruire la propria villa a Baia,<br />

al punto da considerare quel sito superiore<br />

a tutti gli altri (v. 83). Baia aveva solida fama<br />

di luogo di perdizione, una fama che, viva<br />

in epoca repubblicana (Varr. Men. 44, ed.<br />

BUECHELER), è saldamente attestata anche<br />

nel I sec. d. C.; essa entra il letteratura come<br />

centro di gozzoviglie e di lusso sfrenato,<br />

divenendo ben presto un tόpos. Già Seneca,<br />

nell’epistola LI, 1-3, afferma di aver lasciato<br />

Baia dopo un giorno, dal momento che è<br />

divenuta un luogo che induce al vizio: «nos...<br />

contenti sumus Bais; qua postero die quam attigeram<br />

reliqui, locum ob hoc devitandum, cum habeat<br />

quasdam naturales dotes, quia illum sibi celebrandum<br />

luxuria desumpsit», («mi sono dovuto<br />

accontentare di Baia, ma l’ho lasciata il giorno<br />

dopo che vi ero arrivato. Pur avendo<br />

l’attrattiva <strong>del</strong>le sue bellezze naturali, è una<br />

città da evitarsi, poiché è ormai un noto<br />

centro di corruzione»). In proposito, cfr.<br />

BORRIELLO - D’AMBROSIO 1979, pp. 17-21;<br />

35-98; D’AMBROSIO 1994, pp. 452-453; I<br />

Campi Flegrei 1977, passim; FERONE 1996, pp.<br />

FRANCESCO MONTONE<br />

426-427; FRIEDLÄNDER - WISSOWA 1922;<br />

D’ARMS 1970. Sui riferimenti campani nell’opera<br />

di Orazio mi sia consentito di<br />

rimandare a MONTONE 2009, pp. 62-71.<br />

24 Baianis compare altre cinque volte nella<br />

poesia latina (Stat. Silv. 1, 5, 60; Mart. IV,<br />

25, 1 e X, 37, 11; Auson. Epist. 3, 30 e 14,<br />

1), ma in nessuno di questi casi a inizio<br />

verso.<br />

25 Il testo di Paolino di Nola riproduce quello<br />

<strong>del</strong>la Patrologia Latina.<br />

26 Cfr. DI SALVO 2000; GUTTILLA 2004, pp.<br />

523-536; SAVINO 2005, pp. 208-209. Anche<br />

nei versi di Ausonio dedicati a Capua (Urb.<br />

54-63) torna il motivo dei Cartaginesi che si<br />

lasciarono vincere dal lusso campano ma<br />

questa volta la Campania, condannata per il<br />

suo ‘fastu’ appare nemica di Roma, in quanto<br />

Capua si è schierata contro l’Urbs («Quin<br />

etiam rerum dominam Latiique parentem/appetiit<br />

bello, ducibus non freta togatis,/ Hannibalis iurata<br />

armis, deceptaque in hostis/ Hannibalis iurata<br />

armis, deceptaque in hostis/ seruitium demens specie<br />

transiuit erili,/ mox ut in occasum uitiis communibus<br />

acti/ corruerent Poeni luxu, Campania<br />

- 57 -<br />

fastu./ Heu numquam stabilem sortita superbia<br />

sedem!/ Illa potens opibusque ualens, Roma altera<br />

quondam,/ comere quae paribus potuit fastigia<br />

conis,/ octauum reiecta locum uix paene tuetur»).<br />

27 Il testo di Sidonio è citato secondo l’edizione<br />

LOYEN 1960; traduzione, prefazione,<br />

introduzione e note di FAGGI - BANDINI -<br />

MESTURINI 1982.<br />

28 Cfr. LOYEN 1943.<br />

29 CONSOLINO 1974, pp. 423-460.<br />

30 L’Index auctorum Sidonio anteriorum <strong>del</strong> Geisler<br />

è confluito nell’edizione LUETJOHANN 1887.<br />

31 Prima di Properzio e Virgilio si attestano,<br />

in poesia, i seguenti loci similes: displiceat mihi<br />

(Plaut. Mil. 614); mi…displicet (Lucil. Sat.<br />

644). Tibi displicet compare in Ps. Cato, dist.<br />

2, 7, 2 e in Prud. c. Symm. 1, 624.<br />

32 Ovid. Fast. 1, 308; 6, 636; Id. Pont. 4, 9, 94;<br />

Sen. epigr. 15, 2; Mart. VIII, 36, 8; Auson.<br />

epigr. 37, 4; Claud. carm. 12, 9; Prud. Perist.<br />

10, 1120.<br />

33 Compare, infatti, in carm. min. 31, 58; è<br />

anche in Sen. epigr. 39, 2.<br />

34 Il testo degli Amores è citato secondo l’edizione,<br />

a cura di F. MUNARI 5 .


Bibliografia<br />

Abbreviazioni<br />

‘ASNP’: ‘Annali <strong>del</strong>la Scuola Normale<br />

Superiore di Pisa’.<br />

‘PP’: ‘La Parola <strong>del</strong> Passato’.<br />

‘MD’: ‘Materiali e discussioni per l’analisi<br />

dei testi classici’.<br />

Autori antichi<br />

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Giovenale. Satire, a cura di L. CANALI - E.<br />

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Juvenal, texte établi et traduit par P. DE<br />

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P. Ovidi Nasonis Amores, testo, trad. e commento<br />

a cura di F. MUNARI, Firenze 19705 .<br />

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di J. A. RICHMOND, Leipzig 1990.<br />

Plinio, Naturalis Historia, ed., trad. e commento<br />

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- E. GIANNARELLI - A. MARCONE - G.<br />

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Properzio, Elegiarum libri, a cura di P.<br />

FEDELI, Lipsia 1994.<br />

Prudence. Tome III. Psycomachie-Contra<br />

Symmache, texte établi et traduit par M.<br />

LAVARENNE, Paris 1948.<br />

Sidoine Apollinaire. Poemes, texte établi et traduit<br />

par A. LOYEN, Paris 1960.<br />

Sidonio Apollinare, Carmina, prefaz. F.<br />

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trad. V. FAGGI, Genova 1982.<br />

Silio Italico, Le guerre puniche, trad. di M. A.<br />

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Silius Italicus, La guerre punique, Tome II, Livres<br />

V-VIII, Texte établi et traduit par J.<br />

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DEVALLET (Livres VI-VIII), Paris 1981.<br />

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manierismo stilistico nella poetica di Sidonio<br />

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letterario, Torino.<br />

CONTE G. B. 1991, Generi e lettori, Milano.<br />

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Virg., I, Roma-Firenze.<br />

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Ricerche sugli storici latini, Napoli.<br />

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(Roma altera quondam) alla Nola di Paolino<br />

(post urbem titulos sortita secundos), in<br />

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pp. 523-536.<br />

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- 58 -<br />

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in Marziale, in “Maia”, XLIV, pp. 7-44.<br />

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SALVADORI M., Pittura romana dall’ellenismo<br />

al tardo-antico, Milano.<br />

SAVINO E. 2005, Campania tardoantica (284-<br />

604 d.C.), Bari.


Èancora aperta la discussione fra gli storici<br />

se si debba assumere quale inizio <strong>del</strong>la storia<br />

bizantina l’anno <strong>del</strong>la fondazione di<br />

Costantinopoli, il 330, oppure quello in cui si giunse<br />

alla definitiva divisione <strong>del</strong>l’Impero Romano nelle due<br />

parti d’Oriente e di Occidente fra i due figli di<br />

Teodosio, Arcadio ed Onorio, il 395, ovvero il 527,<br />

anno di ascesa al trono imperiale di Giustiniano.<br />

In realtà non sembra che l’anno da cui fare iniziare<br />

convenzionalmente un periodo storico possa avere<br />

una grande importanza al fine di un’esatta comprensione<br />

degli avvenimenti. Gli storici <strong>del</strong> futuro potrebbero<br />

discutere con un impegno analogo se individuare<br />

l’inizio dei giorni che stiamo vivendo con l’esplosione<br />

<strong>del</strong>la prima bomba atomica su Hiroshima o con il<br />

primo uomo sulla Luna o con l’abbattimento <strong>del</strong> muro<br />

di Berlino, in ogni caso le cose resterebbero esattamente<br />

come prima.<br />

Ciò che è certo è che alcuni avvenimenti ed alcuni<br />

personaggi imprimono, nel corso <strong>del</strong>la Storia, un’impronta<br />

particolarmente forte tale da lasciare tracce<br />

durature nel tempo e negli avvenimenti a seguire.<br />

Non c’è dubbio che Giustiniano si trovi fra le figure di<br />

maggiore rilievo.<br />

Alla morte di Anastasio I (430-518, imp. dal 491)<br />

divenne imperatore Giustino (450-527, imp. dal 518).<br />

Di origini contadine, si era arruolato nell’esercito<br />

imperiale ove, con grande impegno ed un po’ di fortuna,<br />

nonostante fosse di cultura meno che modesta,<br />

aveva raggiunto i gradi più elevati. Non si era dimenticato<br />

<strong>del</strong>la sua famiglia di provenienza ed aveva chiamato<br />

vicino a sé i figli di sua sorella Vigilanza. Un<br />

affetto particolare legava Giustino ad uno dei suoi<br />

nipoti, si chiamava Flavio Pietro Sabbazio, era nato in<br />

Illiria, a Tauresium l’11 Maggio <strong>del</strong> 483 e, all’età di circa<br />

dodici anni fu adottato dallo zio che gli impose il<br />

nuovo nome di Giustiniano. Il vecchio soldato, non<br />

PIETRO CRIVELLI<br />

Giustiniano<br />

- 59 -<br />

Fig. 1 - Giustiniano. Ravenna, Basilica di S. Vitale, mosaico <strong>del</strong>la parete laterale sin. <strong>del</strong><br />

presbiterio (a. 547 ca.).<br />

ancora imperatore, pure essendo analfabeta, aveva<br />

compreso perfettamente quanto potesse riuscire utile<br />

una solida cultura ai fini <strong>del</strong> successo, perciò assicurò<br />

al figlio adottivo la migliore educazione possibile e,<br />

quando Giustino si assise sul trono imperiale, il nipote,<br />

oramai trentaseienne, era pronto ad assumere un<br />

ruolo importante nell’amministrazione <strong>del</strong>lo Stato.<br />

Già dal nome conferitogli dallo zio nel momento <strong>del</strong>l’adozione<br />

- sostanzialmente un patronimico - si pote-


va arguire quali dovevano essere le intenzioni di questi<br />

nei confronti <strong>del</strong> nipote. Giustiniano riceverà infatti<br />

in rapida successione tutta una serie d’incarichi<br />

amministrativi e militari che faranno di lui il personaggio<br />

più importante dopo lo stesso imperatore. E’ facile<br />

immaginare che l’incolto Giustino potesse reggersi<br />

sul trono solo appoggiandosi alle risorse culturali <strong>del</strong><br />

nipote il quale non per questo perse la testa, visse<br />

invece una vita sobria e modesta restando assolutamente<br />

fe<strong>del</strong>e allo zio e dedicando il tempo libero dagli<br />

impegni istituzionali agli studi teologici e filosofici.<br />

Giustino cessò di vivere il 1° Agosto 527 e<br />

Giustiniano, che era stato associato al trono il 1°<br />

Aprile <strong>del</strong>lo stesso anno, rimase unico imperatore.<br />

Alcuni anni prima (523) aveva sposato Teodora (500<br />

ca.-548), una donna che era destinata ad avere una<br />

notevole importanza nella vita di Giustiniano e che,<br />

almeno in una circostanza, fu decisiva per conservargli<br />

la corona.<br />

Un merito indiscutibile di questo imperatore fu<br />

quello di sapersi circondare di collaboratori dotati tutti<br />

di grande cultura e capacità. Per quanto attiene al<br />

campo militare l’opera sagace di generali come<br />

Belisario (500 ca.-565) e Narsete (479 ca.-574) gli consentì<br />

di recuperare alla corona di Costantinopoli<br />

l’Italia e molti territori lungo le coste <strong>del</strong> Mar<br />

Mediterraneo, già appartenuti all’Impero Romano, che<br />

erano stati perduti nel corso degli anni. Fu però una<br />

riconquista effimera, perché alla sua morte quei territori<br />

andarono subito quasi tutti perduti di nuovo.<br />

Riguardo all’aspetto legislativo e giuridico, per la<br />

sua attività di governo si affidò alla competenza <strong>del</strong>l’illustre<br />

giurista Triboniano (Panfilia, 500 ca.-542),<br />

uomo di un’erudizione eccezionale, che fu posto a<br />

capo di una commissione di studiosi <strong>del</strong> diritto che<br />

operò quasi in continuazione dal 528 al 534, elaborando<br />

il Corpus Iuris Civilis. Un’opera monumentale rimasta<br />

a mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la giurisprudenza di tutta l’Europa<br />

fino ai nostri giorni.<br />

La situazione generale era a dir poco preoccupante:<br />

l’Impero era in pratica accerchiato ed un solo cedimento<br />

avrebbe potuto preludere ad una catastrofe<br />

completa. In quel frangente Giustiniano dovette adattarsi<br />

a ‘comprare’ la pace con la Persia (533), versando<br />

un tributo che, se da una parte servì a fermare per<br />

breve tempo le mire espansionistiche di Cosroe, dall’altra<br />

arrecò un grave vulnus al prestigio <strong>del</strong>l’Impero. Il<br />

re persiano avvertì subito lo stato di debolezza <strong>del</strong> suo<br />

SALTERNUM<br />

- 60 -<br />

vicino ed infatti pochi anni dopo (540) ne invase il territorio,<br />

devastando l’Armenia e saccheggiando<br />

Antiochia.<br />

Nel 523, come si è detto, Giustiniano aveva sposato<br />

Teodora, donna di notevole bellezza e fascino,<br />

dotata di grande intelligenza e sensibilità politica, ma<br />

di infima estrazione sociale. Suo padre era un custode<br />

o domatore di orsi nel circo di Costantinopoli e sua<br />

madre, come sembra, una ballerina, donna di costumi<br />

non irreprensibili che, stando a quanto riferito dalla<br />

Storia Segreta attribuita a Procopio di Cesarea, rimasta<br />

vedova, appena possibile avviò la figlia alla danza o,<br />

addirittura, a quella che è stata definita la professione<br />

più antica <strong>del</strong> mondo. Non sappiamo quale credito<br />

dare a Procopio perché la Storia Segreta è chiaramente<br />

permeata di un feroce e velenoso risentimento verso<br />

l’imperatore e sua moglie, ma anche nei confronti di<br />

altri personaggi come Belisario, che invece nell’altra<br />

sua opera, la Storia <strong>del</strong>le Guerre, vengono presentati<br />

sotto ben altra luce. Questa ambiguità, comprensibile<br />

nella psicologia di un uomo certamente colto, ma di<br />

basso profilo sia politico, sia amministrativo e che in<br />

cuor suo aspirava a ben altri riconoscimenti, ha indotto<br />

alcuni a dubitare che la Storia Segreta sia effettivamente<br />

attribuibile allo stesso autore <strong>del</strong>l’altra. L’opera,<br />

forse, non era destinata ad essere pubblicata e dovevasi<br />

trattare di uno sfogo personale <strong>del</strong>l’autore, che riversava<br />

in quel coacervo d’ingiurie ed invettive tutta l’amarezza<br />

<strong>del</strong> suo animo. L’esegesi letteraria la fa risalire<br />

al 550 circa, ma la prima notizia che ne abbiamo<br />

non è antecedente al X secolo (Lessico Suda).<br />

Per quanto riguarda il matrimonio di Giustiniano,<br />

è vero che un personaggio di alto rango come lui non<br />

avrebbe potuto convolare a nozze con una donna di<br />

bassi natali, poiché vi era una legge <strong>del</strong>lo Stato a vietarlo,<br />

ma egli superò l’impedimento, inducendo il<br />

vecchio imperatore Giustino, forse non <strong>del</strong> tutto compos<br />

mentis suae, a firmare un decreto che aboliva la<br />

norma fino ad allora vigente 1 . È facile supporre che<br />

la cosa potesse allora risultare sgradita a molti esponenti<br />

<strong>del</strong>l’aristocrazia imperiale e che il prestigio <strong>del</strong><br />

principe ne soffrisse non poco, tuttavia la portata<br />

successiva di quella decisione fu provvidenziale, per<br />

Giustiniano e forse anche per l’Impero.<br />

Sulla scia di quanto era già accaduto a Roma, la<br />

plebe, appassionata oltre ogni limite dei giochi circensi,<br />

massimamente <strong>del</strong>le corse di cavalli, si era divisa in


diverse ‘tifoserie’ che sostenevano i colori <strong>del</strong>le scuderie.<br />

Originariamente, nei primi anni <strong>del</strong>l’impero, queste<br />

erano quattro, ma si ridussero ben presto a due: gli<br />

‘azzurri’ e i ‘verdi’, sostenuti rispettivamente dall’aristocrazia<br />

senatoria e dagli imperatori, i primi, e dal<br />

popolo gli altri, essendo scomparsi i ‘bianchi’ e i<br />

‘rossi’, una volta forse appoggiati da quanti aspiravano<br />

ad un ritorno all’antica repubblica. Era una forma di<br />

aggregazione politica proiettata su altri aspetti <strong>del</strong>la<br />

vita civile che si vedrà ancora nel corso <strong>del</strong>la Storia.<br />

La passione per i giochi circensi si era trasferita da<br />

Roma a Bisanzio ove la folla degli appassionati si era<br />

costituita in fazioni, i cosiddetti demi, che gradatamente<br />

assunsero una valenza politica sempre più forte,<br />

creando instabilità e tumulti intollerabili, arrivando<br />

anche ad atti criminosi e godendo spesso - soprattutto<br />

gli ‘azzurri’ - di protezioni che, in pratica, garantivano<br />

l’impunità. In contrasto con quanto avveniva in<br />

precedenza, quando gli imperatori di volta in volta si<br />

appoggiavano all’una o all’altra parte secondo le esigenze<br />

<strong>del</strong> momento, Giustiniano ritenne opportuno,<br />

con un’azione non ben ponderata, di ricondurle tutte<br />

e subito alla disciplina (532). Ne nacque una rivolta<br />

generale, detta ‘di Nika’ dal grido che levavano gli<br />

spettatori nell’ippodromo («Nika, nika», ovvero «vinci,<br />

vinci»), che vide i ‘demi’ uniti contro il monarca al<br />

punto che questi fu in serio pericolo di perdere il<br />

trono. I rivoltosi avevano in mente di sostituirlo col<br />

patrizio Ipazio, nipote <strong>del</strong> vecchio imperatore<br />

Anastasio. Giustiniano era pronto alla fuga, quando<br />

Teodora, con notevole sangue freddo, si oppose energicamente<br />

a questa soluzione così poco coraggiosa e<br />

costrinse il marito ad affrontare con decisione gli<br />

insorti. Si dice che avesse affermato con fermezza che,<br />

se pure avesse dovuto morire, non conosceva alcun<br />

sudario che fosse migliore <strong>del</strong> manto imperiale. La sua<br />

determinazione valse a salvare il consorte e, chissà,<br />

anche l’impero. Il provvidenziale intervento congiunto<br />

di Narsete e di Belisario fu risolutivo e la repressione<br />

che ne seguì fu terribile: i rivoltosi uccisi sembra<br />

che siano stati ben 35.000.<br />

Quanto a Teodora, si può dire che con lei abbia<br />

avuto inizio il periodo in cui le imperatrici bizantine<br />

ebbero un ruolo non trascurabile nella gestione <strong>del</strong><br />

potere, e per quanto la riguarda personalmente, la sua<br />

attività non sarà limitata alla sola funzione politica, ma<br />

si estenderà anche a quella religiosa. Se solo si osserva<br />

PIETRO CRIVELLI<br />

- 61 -<br />

Fig. 2 - Giustiniano a cavallo. Valva <strong>del</strong> ‘Dittico Barberini’ (avorio).<br />

Parigi, Museo <strong>del</strong> Louvre.<br />

Fig. 3 - Giustiniano a cavallo in veste di trionfatore. Solido aureo <strong>del</strong>la zecca di<br />

Costantinopoli. Parigi, Bibliothèque Nationale.<br />

come la sovrana viene rappresentata nei mosaici<br />

ravennati di S. Vitale, si comprende agevolmente quale<br />

prestigio ella avesse raggiunto, ben al di là <strong>del</strong>l’ambiente,<br />

pure esteso, <strong>del</strong>la corte imperiale.<br />

Procopio (Guerra Gotica I, 26) ci informa che papa<br />

Vigilio, di cui non si conosce la data di nascita, era<br />

figlio di Giovanni consul e che un suo fratello era sena-


tore; ordinato diacono nel 531, fu designato come suo<br />

successore da papa Bonifacio II (530-532) il quale tuttavia,<br />

in un secondo tempo, ritirò la propria decisione<br />

in conseguenza <strong>del</strong>la forte opposizione che questa<br />

aveva incontrato, giungendo perfino a bruciare pubblicamente<br />

il suo precedente decreto.<br />

A Bonifacio II successe sul soglio pontificio<br />

Giovanni II (533-535) e quindi Agapito I (535-536)<br />

che inviò Vigilio a Costantinopoli con le funzioni di<br />

‘Apocrisiario’, normalmente una sorta di funzionario<br />

incaricato di portare nelle province i rescritti imperiali,<br />

ma che in questo caso sembra si potesse equiparare<br />

ad una specie di Nunzio Apostolico. Nella capitale<br />

l’imperatrice Teodora tentò di convincere Vigilio al<br />

credo monofisita da lei appassionatamente sostenuto 2 .<br />

Era opinione corrente che, in cambio <strong>del</strong> suo sostegno<br />

al monofisismo, l’imperatrice gli avesse promesso la<br />

tiara pontificia, provvedendolo altresì di una cospicua<br />

somma di denaro per facilitargli il raggiungimento <strong>del</strong>l’obiettivo.<br />

Agapito I morì il 22 Aprile 536, e Vigilio<br />

rientrò subito a Roma recando con sé alcune lettere di<br />

Teodora. Nel frattempo, forse su pressione <strong>del</strong> re goto<br />

Teodato, che intendeva in ogni modo evitare un legame<br />

troppo stretto tra Roma e Costantinopoli, era stato<br />

eletto papa Silverio (536-537). Poco dopo, quando il<br />

generale Belisario fece il suo ingresso a Roma, Vigilio<br />

gli consegnò le lettere avute da Teodora e pertanto il<br />

generale bizantino, in ottemperanza alle disposizioni<br />

imperiali, fece in modo che fosse deposto Silverio ed<br />

eletto al suo posto Vigilio (29 Marzo 537), al quale<br />

affidò, per di più, la custodia <strong>del</strong> suo predecessore.<br />

Silverio, relegato nell’isola di Palmarola, morì per la<br />

fame e per gli stenti il 2 Dicembre <strong>del</strong>lo stesso anno.<br />

La Chiesa cattolica lo venera come Santo 3 .<br />

Le speranze <strong>del</strong>l’imperatrice furono tuttavia <strong>del</strong>use<br />

dal comportamento di Vigilio che, sentendosi oramai<br />

sicuro, mise in opera un atteggiamento dilatorio promettendo<br />

e poi prendendo tempo, fino a che<br />

Giustiniano, su pressione <strong>del</strong>la moglie e stanco di quel<br />

contegno evasivo, gli ingiunse di presentarsi a<br />

Costantinopoli. Il Papa fu costretto ad obbedire e<br />

dovette recarsi dall’imperatore che lo trattenne, ospite<br />

per forza, per ben otto anni. Nondimeno Vigilio riuscì<br />

a resistere alle pressioni imperiali, evitando di partecipare<br />

personalmente al II Concilio Ecumenico di<br />

Costantinopoli che si tenne nel 553 (il precedente era<br />

stato convocato da Teodosio I l’anno 381), per il quale<br />

<strong>del</strong>egò il vescovo salernitano Eusterio (ovvero<br />

SALTERNUM<br />

- 62 -<br />

Asterio, santo). Il Concilio era stato convocato al fine<br />

di condannare, come infatti avvenne, gli scritti di tre<br />

autori nestoriani, Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto<br />

di Ciro ed il vescovo Iba di Emessa, i cosiddetti ‘Tre<br />

Capitoli’, che erano particolarmente invisi ai Copti -<br />

monofisiti - di Alessandria.<br />

Due anni dopo Vigilio fu finalmente rimandato a<br />

Roma, ove però non giunse mai, perché morì a<br />

Siracusa durante il viaggio di ritorno (7 Giugno 555).<br />

Da quanto detto si può comprendere quale ascendente<br />

avesse Teodora sul marito e quale autorità gli<br />

imperatori di Costantinopoli potessero esercitare<br />

anche sulla Chiesa. Un’autorità che, sulla Chiesa<br />

Ortodossa, continuerà nel tempo praticamente fino al<br />

crollo definitivo <strong>del</strong>l’Impero d’Oriente.<br />

Non si deve dimenticare che Giustiniano era un<br />

uomo di notevole cultura e di profonda fede religiosa<br />

e che questa aveva la preminenza sull’altra. Fu per<br />

questo che il 529, poco dopo la sua ascesa all’impero,<br />

prese la decisione di chiudere la Scuola filosofica di<br />

Atene.<br />

La Scuola, nota anche come Accademia, era stata<br />

fondata da Platone ed era subito divenuta un centro<br />

culturale degno <strong>del</strong>la fama <strong>del</strong> suo creatore.<br />

Successivamente, dopo un periodo di alti e bassi, era<br />

risorta ad un tale prestigio da essere finanziata, ufficialmente<br />

e con denaro pubblico, per decreto <strong>del</strong>l’imperatore<br />

filosofo Marco Aurelio (121-180, imp. dal<br />

161). Dopo l’avvento <strong>del</strong> Cristianesimo gli scolarchi<br />

(detti Diadochi, cioè i successori <strong>del</strong> fondatore) rimasero<br />

fe<strong>del</strong>i al paganesimo. Di qui l’atto di forza giustinianeo,<br />

che però arrecò un danno notevolissimo alla cultura<br />

occidentale. Un gruppo di sette filosofi tra i quali<br />

l’ultimo dei diadochi, Damascio, abbandonò Atene e si<br />

trasferì alla corte <strong>del</strong> re persiano Cosroe I con l’intento,<br />

non riuscito, di dare lì nuova vita all’Accademia.<br />

Non possiamo sapere se e quanto questo episodio<br />

abbia influito nei rapporti tra l’impero ed il suo vicino<br />

persiano.<br />

Giustiniano non ammetteva opinioni che divergessero<br />

sia pure minimamente dalle sue e dall’ortodossia<br />

religiosa. La chiusura <strong>del</strong>la Scuola ateniese ne è un<br />

esempio, ma più grave ancora è il divieto assoluto che<br />

egli pose allora di commentare il Corpus Iuris Civilis.<br />

Questo «…doveva restare intatto da qualsiasi esame<br />

critico e scientifico e rappresentare così, per i secoli, il<br />

diritto assoluto <strong>del</strong>l’Impero» 4 . Le limitazioni poste alla<br />

giurisprudenza si estesero anche alle altre scienze,


come la matematica, l’astronomia, la fisica e la medicina.<br />

Anche l’arte dovette subire analoghe restrizioni,<br />

nel senso che, giunta a fine quella cultura genuinamente<br />

romana che aveva governato la civiltà <strong>del</strong> periodo<br />

precedente, il nuovo corso intellettuale era condizionato<br />

dalle leggi <strong>del</strong>lo Stato, da quelle <strong>del</strong>la Chiesa e<br />

dalla nuova sensibilità popolare, profondamente<br />

diversa da quella che aveva ispirato gli studiosi, gli<br />

scrittori e gli artisti <strong>del</strong> passato 5 . Non si trattò di un<br />

inaridimento culturale, questo è evidente, ma di un<br />

netto distacco dal gusto e dalla estesa partecipazione a<br />

tutte le attività intellettuali che aveva caratterizzato la<br />

civiltà autenticamente romana pure essendo l’imperatore<br />

ancora intimamente convinto <strong>del</strong>la sua ‘romanità’.<br />

Grandiose costruzioni come la chiesa di Hagia<br />

Sophia a Costantinopoli, ricostruita<br />

quasi ex novo da Giustiniano - secondo<br />

Procopio per volere di Teodora -<br />

dopo che era stata distrutta da un<br />

incendio nel corso <strong>del</strong>la rivolta di<br />

Nika, o quella di San Vitale a<br />

Ravenna o ancora la meravigliosa<br />

‘Cisterna-Basilica’, costruita nel sottosuolo<br />

<strong>del</strong>la città a 25 metri di profondità,<br />

un’enorme sala di 138 metri<br />

per 64 con il soffitto retto da ben 336<br />

colonne, per assicurare alla cittadinanza,<br />

in caso di assedio, una riserva<br />

d’acqua sufficiente per molti mesi,<br />

sono una testimonianza <strong>del</strong> nuovo<br />

corso. Unica concessione, autocelebrativa,<br />

al passato, fu la statua equestre<br />

che sorgeva a Costantinopoli e<br />

che conosciamo solo attraverso le<br />

riproduzioni, nella quale l’imperatore<br />

a cavallo era rappresentato in una<br />

posa analoga a quella <strong>del</strong> Marco<br />

Aurelio capitolino, quasi a voler sottolineare<br />

la ideale continuità con la<br />

Roma dei Cesari.<br />

Il Codex Giustinianeo è il monumento<br />

destinato ad assicurare memoria<br />

imperitura a questo imperatore.<br />

L’opera era stata preceduta nel tempo<br />

da un Codex Theodosianus che, a sua<br />

volta, seguiva altri due codici denominati<br />

rispettivamente Gregorianus ed<br />

PIETRO CRIVELLI<br />

Fig. 4 - Statua equestre di Giustiniano per la<br />

colonna onoraria di Costantinopoli. Disegno<br />

attribuito a Ciriaco d’Ancona (1440-1448 ca.).<br />

Budapest, Biblioteca Universitaria.<br />

Fig. 5 - Giustiniano, testa-ritratto in porfido.<br />

Venezia, S. Marco.<br />

- 63 -<br />

Ermogenianus, a dimostrazione di quanto fosse sentita<br />

l’esigenza di mettere ordine nella grande quantità di<br />

leggi e di rescritti imperiali che si erano succeduti e<br />

accumulati nel tempo e che inevitabilmente dovevano<br />

ingenerare una confusione notevole oltre a richiedere<br />

una faticosissima opera di ricerca per coloro - giudici,<br />

giuristi e avvocati - che in quel ginepraio dovevano<br />

districarsi.<br />

L’imperatore Teodosio II, con un decreto <strong>del</strong> 429,<br />

aveva nominato un collegio di periti con l’incarico di<br />

raccogliere ed ordinare per titoli tutte le leggi, sia ordinarie<br />

sia speciali, nonché i rescritti promulgati da<br />

Costantino in poi. Gli studiosi però non si rivelarono<br />

all’altezza <strong>del</strong> compito loro assegnato, davvero immane,<br />

e perciò Teodosio ridimensionare il programma<br />

iniziale, nominando una nuova commissione<br />

(anno 435) di sedici studiosi<br />

con il mandato di raccogliere le leges<br />

generales - con l’esclusione quindi dei<br />

rescritti e <strong>del</strong>le leggi speciali - integrando<br />

in tal modo gli altri codici<br />

precedenti. Finalmente il progetto, sia<br />

pure ridotto, fu realizzato ed il Codex<br />

Theodosianus vide la luce il 15 Febbraio<br />

438 6 .<br />

Nato incompleto, il codice di<br />

Teodosio II dopo meno di un secolo<br />

era già obsoleto. Si deve tenere presente<br />

che quel secolo era stato uno dei<br />

periodi storici che ha veduto uno dei<br />

più grandi rivolgimenti che la Storia<br />

ricordi: non è un caso che gli storici<br />

posteriori abbiano scelto l’anno 476<br />

per indicare la fine di un’era e l’inizio<br />

<strong>del</strong>la successiva. Dopo una lunga agonia,<br />

l’Impero romano d’Occidente -<br />

quello che ne rimaneva - si era definitivamente<br />

dissolto, lasciando solo<br />

qualche rimpianto fra le persone di<br />

maggiore cultura e sensibilità ed uno<br />

di questi personaggi era certamente<br />

Giustiniano, che si distinse proprio<br />

per la sua volontà di risollevare le sorti<br />

<strong>del</strong>la Romanità. Il suo impegno forte<br />

nel campo politico, militare e giuridico<br />

era inteso al ripristino di quella nel<br />

modo più esteso possibile. Nei primi<br />

due settori la sua azione ebbe una


Fig. 6 - Giustiniano ed i suoi dignitari con il vescovo Massimiano. Ravenna, basilica di<br />

S. Vitale, mosaico <strong>del</strong>la parete laterale sin. <strong>del</strong> presbiterio (a. 547 ca).<br />

durata effimera, ma nel terzo ebbe un successo senza<br />

pari, che dura ancora oggi 7 . Cominciò emanando una<br />

costituzione (13 Febbraio 528) con la quale ordinava<br />

una ricognizione dei tre codici precedenti, così da formare<br />

un Codex Legum che fu emanato nell’Aprile <strong>del</strong>l’anno<br />

successivo; quindi nel Dicembre 530 decise di<br />

dare il via al lavoro più importante, quello noto come<br />

Digesta seu Pandectae, che si concluse dopo tre anni d’intenso<br />

lavoro. Le leggi promulgate successivamente fino<br />

al 565, anno <strong>del</strong>la sua morte, furono le cosiddette<br />

Novellae Constitutiones, riunite in raccolte che dovevano<br />

essere pubblicate con cadenza semestrale; un qualche<br />

cosa che anticipa ciò che è per noi la Gazzetta Ufficiale.<br />

La Romanità doveva tornare a vivere per mezzo di<br />

uno dei suoi più importanti monumenti, quello al quale<br />

anche le persone colte spesso non pensano quando si<br />

parla <strong>del</strong>la civiltà romana: la giurisprudenza. «E’ in questo<br />

senso che deve parlarsi di ‘classicismo’ di<br />

Giustiniano: Egli non si propose affatto, salvo che in<br />

qualche punto sporadico, di procedere al restauro dei<br />

testi giuridici classici, che sarebbe stata opera arida di<br />

SALTERNUM<br />

- 64 -<br />

antiquariato. Egli si propose invece di ripristinare il<br />

diritto classico nel suo insieme, e di ripristinarlo non per<br />

metterlo in una vetrina, ma per farlo sopravvivere» 8 . E<br />

ancora: «Per insigne fortuna <strong>del</strong> diritto romano e<br />

nostra, l’opera <strong>del</strong> genio si è imposta anche questa volta,<br />

e l’imperatore d’Oriente al quale la compilazione è<br />

dovuta è riuscito con essa a salvare nelle linee essenziali<br />

il più insigne monumento <strong>del</strong>la romanità» 9 .<br />

Il giudizio concorde di due dei massimi studiosi<br />

<strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> diritto romano rende più che evidenti<br />

quelli che dovevano essere i sentimenti che ispiravano<br />

Giustiniano, né si deve pensare che l’imperatore si<br />

fosse limitato solo a dare l’incarico a Triboniano ed<br />

agli altri collaboratori. Egli prese parte attiva all’elaborazione<br />

<strong>del</strong>l’opera, tanto che in soli tre anni si giunse<br />

alla pubblicazione, il 16 Dicembre 533.<br />

Alla luce di quanto sopra diventa più comprensibile<br />

la preoccupazione nutrita dall’imperatore che il<br />

risultato di tanto impegno potesse finire vanificato o<br />

alterato dal lavoro dei commentatori i quali, con la<br />

loro proverbiale verbosità e con tutti i distinguo che<br />

avrebbero sicuramente introdotto, forse sarebbero<br />

giunti a guastare la letterale interpretazione <strong>del</strong> codex<br />

così come invece era stata voluta. Di qui il divieto,<br />

accompagnato dalla minaccia di gravi sanzioni penali,<br />

di commentare l’opera. Giustiniano forse non si rendeva<br />

conto che divieti di questo genere determinano<br />

l’inaridimento di ogni approfondimento e, soprattutto,<br />

di ogni evoluzione culturale; eppure era proprio questo<br />

che voleva evitare. Un atteggiamento piuttosto<br />

presuntuoso, ma in linea con il personaggio, che era<br />

convinto che la sua funzione imperiale gli derivasse<br />

direttamente da Dio. «...la teoria <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong><br />

potere nel mondo in riflesso e in funzione <strong>del</strong>l’ordine<br />

naturale voluto da Dio è ribadita dal diacono Agapeto<br />

fin dal primo dei suoi Capitoli Parenetici, uno dei più<br />

antichi esempi medievali di Speculum principis, il cui<br />

acrostico esprime il nome di Giustiniano» 10 .<br />

Non si deve dimenticare che già dall’epoca di<br />

Costantino si era fatta strada l’idea sostenuta da<br />

Eusebio di Cesarea che «l’impero cristiano non è che<br />

una imitazione, una mimesis, e nello stesso tempo<br />

un’anticipazione <strong>del</strong> Regno dei Cieli» 11 .<br />

Vale la pena ricordare che solo qualche decennio<br />

prima (492) la famosa lettera di papa Gelasio I all’imperatore<br />

Anastasio I intendeva affermare in modo<br />

neppure velato la supremazia papale sull’imperatore 12 .<br />

Con Giustiniano sembra ristabilita la parità, anzi con


un notevole vantaggio per la corona, che aveva avuto<br />

il potere di ingiungere al papa di presentarsi al suo<br />

cospetto.<br />

Molta perplessità è sorta presso gli studiosi in<br />

ragione <strong>del</strong> tempo, incredibilmente breve - dal<br />

Dicembre 530 al Dicembre 533 - impiegato nel condurre<br />

a termine la monumentale opera dei Digesta, ma<br />

è una valutazione che si riferisce soprattutto all’analisi<br />

<strong>del</strong>le fonti a cui si sono rivolti i compilatori ed ai metodi<br />

da loro seguiti nell’esegesi <strong>del</strong>le stesse, che qui non<br />

interessa esaminare. Sicuramente il loro lavoro fu<br />

grandemente agevolato dalle ricerche e dal riordino<br />

effettuati dai compilatori dei codici precedenti.<br />

Per quanto concerne l’attività politica di<br />

Giustiniano, la questione si presenta piuttosto complessa.<br />

L’Impero era ancora esteso tanto quanto<br />

bastava per impegnarne le forze dalla Spagna<br />

all’Africa e all’Italia e dai Balcani ai confini orientali.<br />

Nessuna vittoria era mai decisiva tanto quanto<br />

sarebbe stato necessario per assicurare un periodo di<br />

tranquillità sufficiente a permettere di affrontare i<br />

tanti problemi in modo organico e risolutivo. Il più<br />

<strong>del</strong>le volte gli effetti positivi duravano lo spazio di<br />

pochi anni o addirittura di pochi mesi, mentre ogni<br />

sia pure piccola sconfitta rischiava di essere quella<br />

definitiva, che avrebbe precluso ogni possibilità di<br />

risollevarsi. Nel 533-534 l’imperatore aveva portato<br />

a termine la riconquista di una parte di quella che era<br />

stata la provincia d’Africa. Subito dopo si era impegnato<br />

nella Guerra gotica (536-552) e poi (554)<br />

aveva iniziato le operazioni nella Spagna meridionale:<br />

un grande sforzo, durato complessivamente trent’anni,<br />

a cui corrispose un risultato veramente<br />

modesto. C’è anche il sospetto, non infondato, che<br />

la scarsità dei risultati e soprattutto il tempo eccessivo<br />

impiegato per raggiungerli fossero in buona parte<br />

addebitabili alla gelosia <strong>del</strong>lo stesso imperatore per<br />

un bravo generale che poteva metterlo in ombra ed<br />

ad intrighi di palazzo. Questi avrebbero portato a<br />

lesinare sui mezzi, sia economici sia militari, forniti<br />

a Belisario ed infine alla sua sostituzione con<br />

Narsete, il potente eunuco – al quale Teodora doveva<br />

riconoscenza per essersi adoperato qualche anno<br />

prima ad Alessandria per rimettere sulla cattedra<br />

vescovile Teodosio (monofisita) ed ad esiliare i suoi<br />

avversari - che muoveva con astuzia le sue pedine a<br />

Costantinopoli.<br />

PIETRO CRIVELLI<br />

- 65 -<br />

Fig. 7 - Giustiniano e Costantino presentano alla Vergine in trono con il Bambino il<br />

mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la Chiesa di S. Sofia e <strong>del</strong>la città di Costantinopoli.<br />

Istambul, Chiesa di S. Sofia (mosaico, X sec.).<br />

Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che «lo<br />

smembramento politico d’Italia fino alla metà <strong>del</strong> XIX<br />

secolo fu conseguenza <strong>del</strong>la politica bizantina nella<br />

prima metà <strong>del</strong> VI secolo» 13 . Questa è una congettura<br />

che parte dall’assunto che l’azione di ‘riconquista’ <strong>del</strong>la<br />

penisola messa in atto da Giustiniano avrebbe reso in<br />

loco più debole la presenza <strong>del</strong>l’elemento germanico e<br />

perciò avrebbe compromesso la successiva azione unificante<br />

degli imperatori.<br />

Il grande impegno messo in atto per la ‘ricostruzione’<br />

<strong>del</strong> diritto romano deve essere visto anche e,<br />

forse, soprattutto come un passaggio indispensabile<br />

e fondamentale per la vagheggiata ricostituzione<br />

<strong>del</strong>l’Impero romano. Perché questo potesse risorgere<br />

e vivere era assolutamente essenziale che vi fosse<br />

anche una legge valida per tutti, una legge unificante<br />

che avesse forza e prestigio al di sopra di tutte le consuetudini<br />

locali formatesi e sedimentatesi nel tempo<br />

con la scomparsa <strong>del</strong> potere centrale e con l’importazione<br />

dei costumi barbarici dei popoli invasori. In<br />

precedenza già Diocleziano aveva cercato «di applicare<br />

gli istituti ed i principi romani ai popoli<br />

<strong>del</strong>l’Impero e di negare l’autorità <strong>del</strong>le norme locali»<br />

14 . Con l’abdicazione di quell’imperatore anche il<br />

suo tentativo si esaurì e con il declino <strong>del</strong>l’importanza<br />

di Roma come capitale a vantaggio di<br />

Costantinopoli anche il diritto privato romano subì<br />

una perdita d’importanza nei confronti dei diritti<br />

provinciali. Come si sa gli eventi andarono diversamente<br />

da quanto avrebbe voluto Giustiniano, nondimeno<br />

si deve riconoscere nella sua impostazione una<br />

visione organica <strong>del</strong> problema ed una genialità nata<br />

da una grande mente politica.


Per la ricostituzione <strong>del</strong>l’impero certamente era<br />

importante l’uniformità <strong>del</strong>la legislazione, ma non<br />

meno essenziale era l’unione religiosa. Va da sé che non<br />

era neppure immaginabile tornare al culto, ufficiale e di<br />

stato, <strong>del</strong> Genius <strong>del</strong>l’imperatore o a quello <strong>del</strong>la Triade<br />

Capitolina, come avveniva al tempo <strong>del</strong>l’Impero pagano,<br />

che però tollerava quasi tutte le altre religioni.<br />

Giustiniano era profondamente cristiano, per cui non<br />

poteva ammettere che nei territori a lui soggetti potessero<br />

esistere religioni diverse da quella cristiana ortodossa.<br />

Per conseguenza condusse con impegno - secondo<br />

alcuni anche con ferocia - una guerra senza tregua<br />

contro ogni religione pagana e contro tutte le eresie,<br />

tranne naturalmente contro il monofisismo che alla<br />

corte di Costantinopoli godeva di una particolare ed<br />

autorevole protezione. Furono perseguitati e costretti<br />

alla conversione molti popoli pagani, tra questi numerose<br />

popolazioni egizie che coltivavano ancora gli antichi<br />

culti di Ammon Ra e di Iside, radicati lungo il Nilo<br />

da circa tre millenni. Non ebbero miglior sorte gli Ebrei<br />

ed i Samaritani, oppressi in ogni modo, ma che, a più<br />

riprese, tentarono di risollevare la testa: agli Ebrei fu<br />

vietato persino l’uso <strong>del</strong>la loro lingua nelle sinagoghe; ai<br />

Samaritani fu addirittura negato il diritto di proprietà. Il<br />

problema di questi ultimi fu peraltro risolto definitivamente<br />

ed in modo drastico dall’imperatore che seguì il<br />

nipote Giustino II (520-578, imp. dal 565), il quale, in<br />

seguito ad un’ultima rivolta, mise in atto una repressione<br />

tanto violenta che sopravvissero solo pochi sparuti<br />

gruppi di Samaritani. Un trattamento analogo lo avevano<br />

già subito i Manichei, con sentenze capitali eseguite<br />

alla presenza di Giustiniano.<br />

L’unificazione religiosa restava comunque incompleta,<br />

perché permaneva irrisolto lo screzio fra ortodossia<br />

e monofisismo, rappresentati sul piano politico proprio<br />

dalla coppia imperiale. Il tentativo di raggiungere<br />

un compromesso fu perseguito dall’imperatore con<br />

grande decisione - al punto di costringere il pontefice<br />

romano, come si è visto, a presentarsi a Costantinopoli<br />

ed a trattenerlo contro la sua volontà per ben otto anni<br />

- ma si risolse in un fallimento completo. E’ questo il<br />

momento in cui ebbe inizio in modo più percepibile il<br />

progressivo allontanamento <strong>del</strong>la Chiesa romana da<br />

quella costantinopolitana, che diventerà irreversibile per<br />

effetto <strong>del</strong>l’introduzione nel Credo niceno <strong>del</strong>la parola<br />

«Filioque» e con le successive scomuniche incrociate tra<br />

papa Leone IX e il patriarca Michele Cerulario (16<br />

Luglio 1054).<br />

SALTERNUM<br />

- 66 -<br />

In Giustiniano la visione <strong>del</strong> problema religioso e<br />

di quello politico non era tuttavia disgiunta. Il monachesimo<br />

orientale già dal V secolo, forse anche prima,<br />

aveva acquistato una notevole influenza nella vita religiosa.<br />

Evidentemente stanchi <strong>del</strong>le diatribe fra le varie<br />

correnti di pensiero teologico che imperversavano<br />

con il solo risultato di fare sorgere dubbi ed eresie, i<br />

monaci ritenevano che la via per il raggiungimento<br />

<strong>del</strong>la conoscenza di Dio fosse unicamente quella <strong>del</strong>l’ascesi.<br />

Di qui la loro avversione verso l’alleanza tra<br />

Stato e Chiesa.<br />

In quel periodo molte chiese non disdegnavano di<br />

dedicarsi all’attività imprenditoriale. Sappiamo che la<br />

chiesa di Hagia Sophia di Costantinopoli, con i suoi<br />

quattrocento dipendenti fra presbiteri e altro personale,<br />

si occupava <strong>del</strong>le pompe funebri <strong>del</strong>la città non solo<br />

sotto l’aspetto religioso, ma anche sotto quello molto<br />

più remunerativo <strong>del</strong>l’impresa commerciale, il tutto<br />

con il beneplacito e l’incoraggiamento <strong>del</strong>lo Stato.<br />

Altre chiese avevano avviato attività artigianali. In<br />

fondo erano tutti impegni indispensabili per assicurare<br />

di che vivere al clero ed a tutti coloro che con esso collaboravano.<br />

Ma questo non era approvato dai monaci<br />

che avevano un diverso concetto <strong>del</strong>la religiosità, concepita<br />

soprattutto come isolamento dal mondo.<br />

Se la Chiesa doveva dunque essere protetta, nondimeno<br />

si doveva tenere conto <strong>del</strong> movimento monastico,<br />

che in ogni caso riscuoteva grande rispetto e venerazione<br />

fra i cittadini. Giustiniano si sforzò di mediare<br />

fra le parti, legiferando in modo da contemperare le<br />

due posizioni. D’altra parte a questo imperatore si fa<br />

risalire un buon numero di scritti di argomento religioso,<br />

molti di carattere dottrinario. Non sappiamo<br />

però, tra i tanti che gli sono stati attribuiti, quanti e<br />

quali siano ascrivibili realmente alla sua penna e quanti<br />

ad altri, forse anche da lui stesso ispirati.<br />

Egli avvertì sempre e profondamente l’importanza<br />

<strong>del</strong>la funzione imperiale, non tanto in riferimento alla<br />

sua persona, quanto al ruolo rivestito come<br />

Imperatore romano. Se i suoi predecessori, da<br />

Augusto a Graziano - che vi rinunciò nel 379, avevano<br />

rivestito le funzioni di pontifex maximus, come conseguenza<br />

logica a lui spettava quella analoga di tramite<br />

fra il Dio dei Cristiani e gli uomini. E’ il concetto<br />

<strong>del</strong>l’homoiosis, <strong>del</strong>la parificazione o, quanto meno, <strong>del</strong>la<br />

contiguità <strong>del</strong>l’imperatore a Dio. Nella liturgia imperiale,<br />

i due troni affiancati, di cui uno occupato dalla<br />

croce e l’altro dal sovrano, sono un’efficace e imme-


diata rappresentazione visiva di questa vicinanza. Il<br />

complesso di norme istituite per regolamentare il<br />

modo con cui i comuni mortali potevano avvicinarsi al<br />

monarca era inteso ad enfatizzarne la figura, presentarla<br />

come una promanazione di Dio. D’altra parte, al<br />

di là <strong>del</strong>la sua indiscutibile fede religiosa, Giustiniano<br />

non era il primo fra gli imperatori ad essere assimilato<br />

alla divinità e nel vicino Oriente, dall’Egitto alla<br />

Mesopotamia, l’identificazione <strong>del</strong> sovrano con gli dèi<br />

era un concetto risalente a diversi millenni prima <strong>del</strong><br />

suo tempo. Il solito Procopio pone in evidenza come<br />

il grande impegno posto nella costruzione di tanti edifici<br />

pubblici – circa trenta chiese - ed anche privati<br />

avesse per lui un’importanza non inferiore a quella<br />

legata all’aspetto giuridico <strong>del</strong>la sua attività o a quella<br />

<strong>del</strong>la riconquista <strong>del</strong>le antiche province imperiali: rientrava<br />

tutto nella manifestazione ed esaltazione <strong>del</strong>la<br />

maiestas.<br />

Luci ed ombre dunque nella figura di questo imperatore.<br />

Uomo di profonda cultura, era anche religiosissimo,<br />

ma la sua religiosità non gli era d’ostacolo quando<br />

decideva di assumere atteggiamenti arroganti e violenti<br />

anche contro persone, che per le loro funzioni<br />

legate alla religione avrebbero dovuto essere al riparo<br />

da simili comportamenti. Come il suo predecessore e<br />

zio, egli non ebbe scrupoli a fare cinicamente uccidere<br />

uomini ai quali solo pochi giorni prima aveva conferito<br />

riconoscimenti ed onori, ma che potevano rappresentare<br />

un pericolo per le sue ambizioni. La sua<br />

fede cristiana non gli impedì di far massacrare migliaia<br />

di cittadini; ben più, a quanto si dice, di quanti ne<br />

abbia fatto uccidere il suo predecessore Teodosio I<br />

(347-395, imp. dal 379) e che per questo aveva dovuto<br />

umiliarsi ed invocare il perdono (390) <strong>del</strong> vescovo<br />

Ambrogio di Milano.<br />

In occasione <strong>del</strong>la rivolta popolare di Nika<br />

Giustiniano si rivelò assai poco coraggioso, pronto<br />

com’era alla fuga. Tollerò la corruzione dilagante negli<br />

ambienti governativi e non ebbe tentennamenti a<br />

prendervi parte attivamente. Si disse anche che fosse<br />

solito falsificare a proprio vantaggio i testamenti di<br />

persone facoltose che erano decedute.<br />

Verosimilmente non conosceremo mai la verità, ma<br />

questa fama di rapacità che lo ha accompagnato non<br />

lo metteva certo in buona luce. E’ anche possibile che<br />

questo fosse uno dei motivi scatenanti la rivolta di<br />

Nika; Triboniano, il grande giurista, sembra che abbia<br />

partecipato attivamente a questa corruttela, tanto che<br />

PIETRO CRIVELLI<br />

- 67 -<br />

per un breve periodo fu allontanato dal palazzo.<br />

L’Imperatore mise in atto un sistema fiscale talmente<br />

vessatorio che, a quanto si disse, molti contadini<br />

abbandonarono la terra per trovare riparo altrove. Ma<br />

gli esattori <strong>del</strong> fisco imperiale non esitarono a chiedere<br />

il pagamento <strong>del</strong>le loro imposte ai vicini rimasti.<br />

Questo fatto, aberrante per la nostra mentalità, era<br />

invece in linea con le leggi <strong>del</strong>l’epoca che, in parte,<br />

prendevano le mosse dai tempi di Costantino, quando,<br />

vincolandosi le persone alle attività economiche, ma<br />

anche amministrative, svolte nel momento <strong>del</strong>la promulgazione<br />

<strong>del</strong>le stesse, divenne possibile, per estensione,<br />

stabilire le imposte non già pro capite, ma per<br />

categorie di attività, per cui veniva tassato non il singolo<br />

artigiano, ma globalmente l’intera ‘corporazione’.<br />

Analogamente, nelle campagne la tassazione non colpiva<br />

il singolo contadino, ma tutti i contadini residenti<br />

in un certo territorio. In questo modo diventava irrilevante<br />

se il numero dei soggetti sui quali veniva ripartito<br />

il carico fiscale era lo stesso di quando era stato<br />

stabilito inizialmente oppure avesse subito qualche<br />

variazione. Una prassi molto simile era stata attiva<br />

anche nella Roma repubblicana nei rapporti tributari<br />

con le città italiche (Tito Livio, XXXIX 3, 4).<br />

Naturalmente Chiesa, ecclesiastici e nobiltà erano<br />

esentati da ogni forma di tributo; ma nel caso dei<br />

nobili, confische dei beni per i più svariati motivi<br />

divennero prassi costante e Giovanni di Cappadocia,<br />

altro personaggio ambiguo, s’ingegnò a servire il suo<br />

sovrano in questo senso.<br />

Queste ultime notizie ci vengono prevalentemente<br />

dalla Storia Segreta di Procopio, perciò è bene prenderle<br />

con cautela, tuttavia diversi indizi fanno ritenere che<br />

forse lo storico ha solo accentuato, con molta malizia,<br />

alcuni elementi di verità incontestabili.<br />

Se l’oppressione fiscale era spropositata nella zona<br />

orientale <strong>del</strong>l’impero giustinianeo, in Italia, ove la<br />

Guerra Gotica aveva portato lutti, distruzioni e<br />

soprattutto fame, le condizioni erano divenute addirittura<br />

insostenibili e l’Imperatore se ne rese conto perfettamente<br />

perciò concesse una moratoria di cinque<br />

anni per i debiti contratti nel periodo bellico, ma solo<br />

per quanto si atteneva ai rapporti fra privati: per quanto<br />

riguardava i debiti con il fisco imperiale, furono<br />

condonati per un solo anno gli arretrati d’imposta 15 .<br />

Un altro aspetto, questa volta positivo, <strong>del</strong> governo<br />

giustinianeo è che con lui ebbe inizio un rapporto<br />

commerciale diretto e costante con la Cina 16 , lungo un


SALTERNUM<br />

Fig. 11 - L’imperatrice Teodora con il suo seguito. Ravenna, basilica di S. Vitale, mosaico <strong>del</strong>la parete laterale dx <strong>del</strong> presbiterio (a. 547 ca).<br />

percorso che sarà poi seguito, secoli<br />

dopo, da Marco Polo. E’ in questo<br />

periodo che viene introdotto nell’impero<br />

l’allevamento <strong>del</strong> baco da seta e,<br />

di conseguenza, la produzione di tessuti<br />

pregiati dei quali Costantinopoli<br />

era grande consumatrice.<br />

Un giudizio severo su questo<br />

imperatore lo troviamo in uno storico<br />

<strong>del</strong> XX secolo, il Diehl:<br />

«Trascurando però troppo l’Oriente<br />

senza curarsi dei pericoli che minacciavano<br />

l’Impero da questa parte,<br />

spossando nelle sue imprese le risorse<br />

finanziarie e militari <strong>del</strong>la<br />

Monarchia, Giustiniano fece senza<br />

dubbio all’Impero più male che<br />

bene: l’imperatrice Teodora, orientale<br />

di nascita, vedeva forse più chiaro<br />

che non il suo imperiale marito allorché si sforzava di<br />

por fine alle controversie religiose (…). Comunque,<br />

alla morte di Giustiniano, la situazione <strong>del</strong>l’Impero era<br />

Fig. 9 - Giustiniano, ritratto musivo. Ravenna,<br />

basilica di S. Apollinare in Classe (a. 549 ca).<br />

- 68 -<br />

deplorevole». Il giudizio potrebbe<br />

essere condivisibile, a parte il fatto<br />

che non sembra che Teodora, con il<br />

sostegno caparbiamente accordato al<br />

Monofisismo, si fosse adoperata<br />

granché per superare le controversie<br />

religiose 17 .<br />

Nel 542 una catastrofe si abbatté<br />

sull’Impero, un’epidemia di peste bubbonica<br />

che imperverserà per due anni<br />

arrecando morti in quantità. Sembra<br />

che l’infezione fosse stata importata<br />

dall’Etiopia. Anche l’Imperatore e<br />

Teodora ne furono contagiati, ma<br />

entrambi sopravvissero; ne morì invece<br />

Triboniano, mentre Giustiniano<br />

raggiunse l’età, veramente insolita per<br />

quei tempi, di 83 anni, morendo il 13<br />

Novembre 565. Teodora lo aveva preceduto<br />

nel 548, ‘divorata dal cancro’, a sentire l’impietoso<br />

Procopio.


Note<br />

1 Giovanni da Efeso (506 ca. – 585), conosciuto<br />

anche come Giovanni di Amidas,<br />

vescovo monofisita e perciò pienamente<br />

partecipe <strong>del</strong>le convinzioni religiose <strong>del</strong>la<br />

sovrana, nella terza parte <strong>del</strong>la sua opera<br />

Storia <strong>del</strong>la Chiesa, giuntaci mutila <strong>del</strong>le sue<br />

due prime parti, parla di lei definendola<br />

‘Teodora <strong>del</strong> postribolo’.<br />

2 Il Monofisismo era un’eresia molto diffusa<br />

nell’oriente cristiano e particolarmente ad<br />

Alessandria in Egitto. I suoi adepti riconoscevano<br />

in Gesù la sola natura divina e non<br />

anche quella umana.<br />

3 Sembra che Teodora fosse stata convinta a<br />

quel credo religioso perché trovandosi nella<br />

città abbandonata dal suo precedente<br />

amante Ecebolo, giovane dignitario imperiale,<br />

trovò assistenza e protezione presso<br />

PIETRO CRIVELLI<br />

Le figg. 1-6 sono tratte da L’Arte bizantina nell’età di Giustiniano, “Art Dossier”, 23, Firenze 1988;<br />

Le figg.7-9 da L’altro Medioevo. L’arte bizantina e musulmana. Da Roma al preromanico, Novara 1990.<br />

Bibliografia<br />

ARANGIO-RUIZ V. 1989, Storia <strong>del</strong> Diritto<br />

Romano, Napoli.<br />

DIEHL CH. 1957, I grandi problemi <strong>del</strong>la Storia<br />

Bizantina, (trad. it. F. GAETA), Bari.<br />

GUARINO A. 1994, Storia <strong>del</strong> Diritto Romano,<br />

Napoli.<br />

alcuni monaci monofisiti.<br />

4 Si deve notare che entrambi, sia Silverio,<br />

sia Vigilio, nel momento in cui furono elevati<br />

al soglio pontificio non erano sacerdoti,<br />

ma solamente diaconi.<br />

5 HAUSSIG 1964, pp. 148-149.<br />

6 GUARINO 1994, p. 555.<br />

7 La rivendicazione dei poteri regi da parte<br />

di Federico Barbarossa è formulata con il<br />

sostegno teorico dei giuristi che studiano il<br />

diritto romano nell’università di Bologna.<br />

Proprio qui si è tornati a studiare nella sua<br />

integrità il Corpus iuris civilis, proponendolo<br />

come diritto comune di tutta la cristianità,<br />

come cornice entro cui disciplinare i diritti<br />

particolari (ZORZI 2009, vol. IV).<br />

8 GUARINO 1994, p. 567.<br />

9 ARANGIO-RUIZ 1989, p. 348.<br />

HAUSSIG H. W. 1964, Storia e Cultura di<br />

Bisanzio, Milano.<br />

KRAUTHEIMER R. 1987, Tre Capitali<br />

Cristiane, Torino (ed. it.).<br />

LUZZATTO G. 1963, Storia Economica d’Italia.<br />

Il Medioevo, Firenze.<br />

- 69 -<br />

10 RONCHEY 2002, p. 82.<br />

11 KRAUTHEIMER 1987, p. 102.<br />

12 «Duo quippe sunt, imperator auguste, quibus<br />

principaliter mundus hic regitur: auctoritas sacrata<br />

pontificum et regalis potestas». Nel diritto<br />

romano il concetto di auctoritas implicava il<br />

potere legislativo, mentre quello di potestas<br />

era solamente esecutivo. Da qui discende il<br />

concetto <strong>del</strong>la superiorità papale rafforzata<br />

dall’aggettivo sacra.<br />

13 HAUSSIG 1964, p. 80.<br />

14 VOLTERRA 1983, pp. 304-305.<br />

15 LUZZATTO 1963, p. 48.<br />

16 RONCHEY 2002, p. 62.<br />

17 DIEHL 1957, p. 80.<br />

RONCHEY S. 2002, Lo Stato Bizantino,<br />

Torino.<br />

VOLTERRA E. 1983, Diritto Romano e Diritti<br />

Orientali, Napoli.<br />

ZORZI A. 2009, Il Medioevo, a cura U. ECO,<br />

Roma.


- 70 -


L’eremitismo rupestre,<br />

Prepezzano e la grotta <strong>del</strong>l’Angelo<br />

Anello tra la morfologia ed i caratteri strutturali<br />

<strong>del</strong> territorio, tra la realtà <strong>del</strong>l’ambiente<br />

e la cultura dei centri, tra la solitudine<br />

ascetica e la pratica comunitaria, l’insediamento<br />

rupestre è testimone dei più profondi valori abitativi e<br />

cultuali <strong>del</strong>la civiltà mediterranea. Soprattutto il significato<br />

di una indagine sugli insediamenti rupestri assume<br />

funzione di essenziale contributo alla conoscenza<br />

<strong>del</strong> percorso evolutivo <strong>del</strong>l’habitat: è nelle abitazioni<br />

nel masso che si è innestato, dalla preistoria ad oggi,<br />

l’agglomerato umano.<br />

Gli insediamenti rupestri costituiscono una fenomenologia<br />

tipica <strong>del</strong>la secolare trasformazione <strong>del</strong>l’habitat<br />

italiano. Si collegano, nelle manifestazioni originarie,<br />

alla morfologia <strong>del</strong> suolo, a finalità di organizzazione<br />

<strong>del</strong>la vita economico-sociale, a necessità insediative<br />

ed abitative, alle forme di seppellimento cimiteriale,<br />

alle quali fin dall’inizio si sono connessi motivi di<br />

carattere religioso.<br />

Nella prospettiva più attuale il fenomeno eremitico<br />

riacquista il suo originario valore nell’analisi <strong>del</strong>l’evoluzione<br />

dei centri e <strong>del</strong> territorio. Non si tratta, infatti,<br />

solo di forme disperse e sporadiche di insediamento,<br />

di scelte di vita individuale, ma di aspetti legati all’evoluzione<br />

territoriale ed alle sue originarie motivazioni.<br />

Un’indagine su questo tema significa, dunque, non<br />

solo riscoprire l’antica leggenda, ma ritrovare i fondamenti<br />

storici che, spesso, fanno <strong>del</strong>la grotta la prima<br />

inserzione nel territorio: valga l’esempio <strong>del</strong>la ‘grotta<br />

di S. Alferio’ a Cava, origine <strong>del</strong>la Badia 1 . L’eremitismo<br />

rupestre è infatti alla base <strong>del</strong> processo evolutivo che<br />

introdusse nella comunità una vita religiosa monastica<br />

organizzata. L’evoluzione <strong>del</strong>l’elemento religioso<br />

appare connesso fin dall’inizio da condizionamenti<br />

morfologico-ambientali 2 .<br />

Tipico <strong>del</strong>l’ambiente campano e particolarmente<br />

salernitano è il riutilizzo di cavità naturali come oratori<br />

ADRIANO CAFFARO<br />

- 71 -<br />

e laure cenobitiche, con il solo apporto figurativo di<br />

popolari affreschi o talvolta con interventi architettonici<br />

elementari, che risultano diversi dalla ricerca spaziale<br />

rupestre, che emerge invece negli esempi pugliesi<br />

e lucani.<br />

Infatti, la roccia tenera che tipicizza gli ambienti<br />

territoriali rupestri <strong>del</strong>la Puglia e <strong>del</strong>la Basilicata permette<br />

la realizzazione di forme architettoniche. Così,<br />

come ‘gruviere’ scavate all’interno ed adattate a chiese,<br />

ad abitazioni apparentemente più o meno improvvisate<br />

nella roccia, ad ambienti diretti ad usi religiosi o<br />

a ricovero di cose e di animali, sorsero i Sassi di<br />

Matera e gli altri centri, che espressero questa forma<br />

particolare di civiltà.<br />

La natura calcarea <strong>del</strong>la roccia in Campania ha invece<br />

reso necessaria una scelta obbligata dei luoghi di<br />

insediamento: grotte naturali o ripari sottoroccia dove<br />

vennero realizzati limitati interventi adattativi, inserendo<br />

altari, cappelle, elementi architettonici e decorativi.<br />

I particolari anfratti dei rilievi montani locali offrirono<br />

una buona occasione per concretizzare le aspirazioni<br />

religiose dei monaci. Esaminare le direttrici concrete<br />

<strong>del</strong>la penetrazione monastica permette dunque<br />

di comprendere i caratteri <strong>del</strong> rapporto tra gli insediamenti<br />

rupestri e la realtà <strong>del</strong> territorio.<br />

Come ho già avuto modo di scrivere, l’area compresa<br />

tra la valle <strong>del</strong>l’Irno e la catena montana dei<br />

Picentini è stata interessata, a partire dal secolo IX, da<br />

un’intensa penetrazione monastica 3 . Ai monaci greci,<br />

già assestatisi in Sicilia dopo la conquista giustinianea<br />

<strong>del</strong> vicino Oriente 4 , in cerca di spazi per realizzare in<br />

forma anacoretica o cenobitica il loro ideale di vita<br />

appartata e silenziosa, le anfrattuosità dei monti<br />

Picentini dovevano offrire una buona occasione per<br />

concretizzare la propria ispirazione religiosa.<br />

In quest’area, la prima penetrazione ‘basiliana’, cui<br />

seguì lo stanziamento monastico benedettino, conob-


Fig. 1 - Ogliara (SA). Grotta <strong>del</strong> S. Salvatore; in evidenza le altre località citate nel<br />

testo.<br />

be all’inizio esiti stanziali caratterizzati da vita comunitaria:<br />

ad una fase propriamente eremitica sarebbe<br />

seguita una fase cenobitica, con l’aggregazione dei<br />

monaci nel rispetto di una condivisa disciplina spirituale.<br />

L’insediamento rupestre sorge generalmente dall’iniziativa<br />

solitaria di un singolo eremita o di un gruppo<br />

spontaneo di religiosi. Spesso è connesso ad un monastero<br />

preesistente, di cui la chiesa rupestre costituisce<br />

l’estensione, perché la comunità monastica sceglie per<br />

l’isolamento ascetico singolo o collettivo una grotta,<br />

spesso posta nelle sue proprietà, talvolta utilizzata<br />

anche come rifugio, dove fosse possibile ai monaci<br />

recuperare l’ispirazione ascetica e vivere in solitudine<br />

e preghiera. Il luogo ha successivamente potuto raggiungere<br />

una sua autonomia evolutiva, anche soprattutto<br />

religiosa, rispetto al monastero promotore <strong>del</strong>l’insediamento<br />

originario, con l’edificazione di una<br />

chiesa, talvolta trasformata in santuario o luogo di<br />

culto. Un esempio è dato dal vicino insediamento<br />

rupestre <strong>del</strong> S. Salvatore sul monte Stella 5 in località<br />

Ogliara di Salerno (fig. 1), sorto per iniziativa dei<br />

monaci di S. Maria de Vetro, i quali hanno prescelto la<br />

grotta come luogo di riferimento per un insediamento<br />

ascetico, che successivamente ha raggiunto una<br />

propria indipendente autonomia, soprattutto quando<br />

SALTERNUM<br />

- 72 -<br />

il monastero originario è stato abbandonato. Il primo<br />

documento attestante l’esistenza <strong>del</strong>la chiesa rupestre<br />

sul monte Vetro risale al 1173: vi è citata la Ecclesia S.<br />

Salvatoris de Vetro Grancia Venerabile Monastero S. Maria<br />

de Vetro 6 . I due siti religiosi, il monastero di S. Maria de<br />

Vet(e)ro e la chiesa rupestre <strong>del</strong> S. Salvatore, corrisponderebbero,<br />

quindi, a due dimensioni <strong>del</strong>la vita monastica,<br />

rispettivamente alla cenobitica e all’eremitica 7 .<br />

Molti insediamenti rupestri non sono tuttavia<br />

riconducibili all’eremitismo, ma nascono dalla devozione<br />

e dall’iniziativa popolari; in particolare risultano<br />

connessi al culto angelico, dedicato all’arcangelo<br />

Michele, santificato malgrado la sua natura angelica.<br />

Le popolazioni medievali guardavano alle grotte<br />

con un misto di timore e di senso sacrale, perché le<br />

cavità si riconnettevano alle profondità <strong>del</strong>la terra e<br />

perché esse vedevano la necessaria presenza di divinità<br />

tutelari, che difendevano dai pericoli provenienti<br />

dagli inferi. Perciò, alle grotte era attribuita la presenza<br />

<strong>del</strong>l’arcangelo Michele, che aveva con coraggio e<br />

successo sconfitto il diavolo e che costituiva un sicuro<br />

presidio a difesa <strong>del</strong>le popolazioni pastorali. Le quali,<br />

grate all’Arcangelo, potevano utilizzare le grotte per<br />

diverse funzioni civili e religiose ed anche come luogo<br />

di rifugio in caso di calamità.<br />

Tra gli esempi di grotte connesse al culto angelico<br />

e dedicati a S. Michele Arcangelo 8 , il caso più<br />

importante è quello <strong>del</strong>la vicina Olevano sul<br />

Tusciano (fig. 2), mèta di pellegrinaggi già nell’867-<br />

870, quando il monaco Bernardo, di ritorno dalla<br />

Terra Santa, vi si recò attirato dalla fama di santità<br />

<strong>del</strong> luogo 9 . All’interno <strong>del</strong>l’enorme grotta, egli ed i<br />

due monaci che lo accompagnavano rinvennero ben<br />

sette altari 10 .<br />

Un altro insediamento rupestre micaelico, conosciuto<br />

solo dalla popolazione locale 11 e tuttora mèta di<br />

pellegrinaggi, è a Prepezzano: «in loco propiciano ubi<br />

monte de spelengaru dicitur ad honorem sancti angeli», così in<br />

un documento <strong>del</strong> 1064 riportato dal Codice<br />

Diplomatico Cavese 12 . Nelle Decime e inquisizioni <strong>del</strong>l’anno<br />

1309 è indicata come S. Angelo de Sprelonga ed ha<br />

come rettore l’abbate Nicola Fissamari, «cui valent unc.<br />

I et tar. X» 13 . E a Prepezzano il culto micaelico era così<br />

vivo che abbiamo testimonianza, purtroppo solo storica,<br />

<strong>del</strong>la chiesa di S. Angelo de Pretora, di cui era rettore<br />

Pietro Pagina, come risulta nell’elenco <strong>del</strong> pagamento<br />

<strong>del</strong>le decime <strong>del</strong> 1309, «cui valet unc. viginti duo et<br />

abbati extalerio eiusdem ecclesie...» 14 .


La località viene citata in un contratto di permuta<br />

di terre <strong>del</strong> 1000, dov’è specificato «in locum propiciano,<br />

locus extra Salernum apud flumen Rinecclum» 15 e a proposito<br />

di una divisione di beni tra il principe Guaimario e<br />

i suoi fratelli Guidone e Pandolfo <strong>del</strong> 1049: «de loco<br />

propiciano, ubi centura dicitur» 16 .<br />

Prepezzano, situato alla base dei colli Briano e<br />

Orsata, è attraversato dal fiume omonimo, un tempo<br />

Rinecclum. Sono documentate numerose chiese e cappelle<br />

17 . Delle più antiche segnalo quelle di S. Cataldo, «quam<br />

ipse Riccardus presbyter a novo fundamine cepit et constituit in loco<br />

propiciano scilicet in monte berriani» e di S. Felice de eodem loco<br />

propiciano, ambedue citate negli stessi documenti <strong>del</strong><br />

1161 18 e 1173 19 . Nell’elenco <strong>del</strong>le ‘decime’ <strong>del</strong> 1309 risulta<br />

rettore <strong>del</strong>la chiesa di S. Felice l’abate Pietro Pagina di<br />

Salerno, lo stesso di S. Angelo «de Pretora, cui valet unc. I et<br />

tar. X et dompno Marsilio capellano dicte ecclesie» 20 . L’unica esistente<br />

è la chiesa di S. Nicola, fortemente danneggiata<br />

dal sisma <strong>del</strong> 23 novembre 1980 e riaperta al culto il 14<br />

settembre 2009. Menzionata nello stesso precedente<br />

documento <strong>del</strong> 1173 con il suo presbitero Landolfo, nel<br />

1309 è elencata nel versamento <strong>del</strong>le ‘decime’: «ecclesia S.<br />

Nicolai de Propiciano cuius est rector abbas Leonardus de S.<br />

Maria cui valet unc. sex» 21 . Nelle immediate vicinanze è il<br />

convento di S. Francesco di Paola, i cui lavori ebbero inizio<br />

nel 1503. Passato nel 1668 ai frati minori riformati<br />

sotto il titolo di S. Antonio 22 , dopo alterne vicende<br />

venne riaperto nel 1947 e nei locali adiacenti è stata realizzata<br />

una casa per anziani. In tempi recenti ad opera di<br />

Giovanni Cifrino (Prepezzano 1879-Boston 1952) vennero<br />

costruiti l’Orfanatrofio (1925 - 1934 su progetto<br />

<strong>del</strong>l’ing. Loriti di Salerno) affidato alle Suore Salesiane<br />

<strong>del</strong> Sacro Cuore; i lavatoi di via Ausa, via Olmo e via<br />

Canale, le due fontane in piazza Umberto I 23 .<br />

Nel territorio Picentino, nel corso <strong>del</strong> XII secolo<br />

vennero creati piccoli feudi concessi dalla corona in<br />

cambio <strong>del</strong> servizio militare a diversi uomini d’arme, i<br />

cui nomi sono indicati nel Catalogus Baronum (1150-68) 24 .<br />

Tra questi gli appartenenti alla famiglia Biscido, che<br />

viene citata nel manoscritto di Giovan Battista<br />

Prignano: «Dal dominio <strong>del</strong> Casale <strong>del</strong> Biscido nel territorio<br />

di Gifoni che prendessero il cognome gl’huomini<br />

di questa casa» 25 .<br />

Questo casale fa parte <strong>del</strong>l’antico territorio di<br />

Giffoni 26 , che il Giustiniani 27 così sintetizza: «… Egli è<br />

diviso in tre università. Quella verso occidente chiamasi<br />

di Gifoni sei casali. L’altra verso mezzogiorno di<br />

Gifoni valle e piano; ed amendue sono in diocesi di<br />

ADRIANO CAFFARO<br />

- 73 -<br />

Fig. 2 - Olevano sul Tusciano. ‘La grotta <strong>del</strong>l’Angelo’ al centro in basso; a sinistra, ‘Sal.<br />

Fergola dis.’; a destra ‘Litog. Fergola’. Litografia di mm. 110x70. Da ‘L’iride. Strenna<br />

pel Capo d’Anno e pe’ giorni onomastici. Anno quarto’, Napoli 1837.<br />

Salerno, la terza verso oriente detta Gauro, è in diocesi<br />

di Acerno. I nomi de’ casali, che comprende la prima<br />

sono: Ausa, Belvedere, Capitignano, Propezzano, e Gieti.<br />

Quello di Bissito in oggi è dismesso». L’abbandono di<br />

quest’ultimo borgo già si evince dalla visita pastorale<br />

<strong>del</strong> 1° Maggio 1630, nella quale la chiesa parrocchiale<br />

di S. Felice viene trovata con pochissime rendite e<br />

fe<strong>del</strong>i, oltretutto molto poveri 28 . Un ulteriore apporto<br />

alla conoscenza di questo casale è dato sia da un documento<br />

<strong>del</strong> 20 Ottobre 1570: «Ambrogio Siconolfo,<br />

intraprenditore e maestro di muro costruisce il ponte<br />

sul fiume Vicentile, nel luogo detto de lo biscito, in quel<br />

di Prepezzano, in società con Giov. Ferrante Ferrara,<br />

altro intraprenditore, e sotto la direzione <strong>del</strong>l’architetto<br />

Cafaro Pignoloso, di Cava» 29 sia dalla presenza di<br />

ciò che resta di una gualchiera, la macchina con magli<br />

azionata da un apposito acquedotto tuttora esistente<br />

per rassodare e purgare le stoffe 30 .<br />

A proposito di questo casale 31 viene a lato riprodotto<br />

un particolare <strong>del</strong>la carta <strong>del</strong>l’Istituto<br />

Geografico Militare (fig. 1) dov’è ben specificato il territorio:<br />

ad Ovest <strong>del</strong> fiume Prepezzano sono le località<br />

Bissido, Petrosa e Orsata, mentre ad Est il convento<br />

di S. Antonio, Prepezzano, Campanile Vecchio,<br />

Colle Briano. Questa annotazione è necessaria in<br />

quanto compare ‘Campanile Vecchio’. Il ‘campanile<br />

vecchio’, com’è noto ancora oggi alla popolazione<br />

locale, la torre civica 32 o dei Viscido, come recentemente<br />

è stato ipotizzato 33 , ubicato alle pendici <strong>del</strong> colle<br />

Briano, poteva egregiamente assolvere a funzione<br />

difensiva perché situato in modo da vantaggiosamente<br />

controllare tutta la zona. Esso era inserito lungo la<br />

direttrice di difesa svolta dalle fortificazioni documen-


tate di S. Mango Piemonte, di Castelvetrano, di<br />

Terravecchia di Giffoni Valle Piana, di Montecorvino<br />

Pugliano, di Olevano 34 . A pianta quadrata «in origine<br />

presentava un terzo livello ... Ulteriori interventi sono<br />

testimoniati: dalla costruzione di un corpo cilindrico,<br />

ancora in sito, addossato alle strutture <strong>del</strong>la Torre che<br />

conteneva una scala elicoidale; dalla<br />

presenza di uno spazio definito da<br />

un muro, che è ancora visibile,<br />

riguardante un altro corpo di fabbrica,<br />

antistante la Torre, che doveva<br />

elevarsi fino alla quota ... di calpestio<br />

più basso <strong>del</strong> vero e proprio dongione,<br />

avvalorante l’ipotesi di un<br />

organismo-castello costruito in adesione<br />

al mastio, oggi interamente<br />

crollato» 35 . Della torre nessuna notizia<br />

è mai stata data precedentemente.<br />

Oltre tutto l’espressione ‘campanile<br />

vecchio’ solleva alcuni dubbi, perché<br />

ci troviamo di fronte non all’edificio<br />

di accompagnamento di una chiesa,<br />

bensì ad una torre di difesa, come<br />

dimostra la presenza anche di feritoie.<br />

Si può forse solo supporre che<br />

trattandosi di un manufatto probabilmente<br />

inserito tra le strutture<br />

difensive di un palazzotto feudale,<br />

come attestano elementi residui, al<br />

suo interno fosse presente una cappella<br />

e che per estensione la torre<br />

fosse considerata il suo campanile.<br />

Più probabile che la denominazione<br />

abbia origine da una tramandata ed<br />

incerta tradizione popolare.<br />

Ritornando alla succitata chiesa<br />

rupestre di S. Angelo, dal centro di<br />

Prepezzano, costeggiando il corso<br />

<strong>del</strong> fiume omonimo e oltrepassata la<br />

‘Ramiera’ 36 , si perviene ad un bivio: la<br />

vecchia ‘strada <strong>del</strong>l’Angelo’ e una carrareccia<br />

in cemento. Percorrendo la<br />

prima, fiancheggiata da un fitto<br />

nocelleto, si giunge alla ‘cappella <strong>del</strong>la<br />

Madonna di Montevergine’, com’è<br />

anche segnato nella già suindicata<br />

carta <strong>del</strong>l’Istituto Geografico<br />

Militare. E’un’edicola in muratura<br />

SALTERNUM<br />

Fig. 3 - Madonna di Montevergine. Particolare <strong>del</strong><br />

pannello ceramico.<br />

Fig. 4 - Prepezzano. La grotta <strong>del</strong>l’Angelo. A destra<br />

l’ingresso. A sinistra la cella.<br />

Fig. 5 - Prepezzano. La grotta <strong>del</strong>l’Angelo. La cella.<br />

- 74 -<br />

(fig. 3) contenente un pannello ceramico avente in<br />

basso il titolo <strong>del</strong>la composizione su due righi:<br />

«S. M. DI MONTE VERGI(N)E/A DEVOZIONE<br />

DI ALFON(S)[Z]O APICELL(A)[E]».<br />

Di forma rettangolare verticale di cm 60 x 80 è<br />

composta da dodici piastrelle in terracotta maiolicata e<br />

policroma, ognuna di cm 20 x 20,<br />

disposte su quattro <strong>file</strong>, di cultura<br />

molto popolare che si rifà alla tradizione<br />

vietrese 37 . Il pannello, in ottimo<br />

stato di conservazione, rappresenta,<br />

<strong>del</strong>imitato da una doppia cornice, la<br />

Madonna di Montevergine. L’opera è<br />

la rivisitazione <strong>del</strong>l’originale conservato<br />

nell’Abbazia omonima 38 . Le<br />

figure risultano più massicce e tozze,<br />

mancano i sei angeli in basso e al<br />

loro posto sono stati inseriti S.<br />

Benedetto, con la regola e il corvo<br />

con il pane, e a destra S. Guglielmo<br />

da Vercelli, con il leone al posto di<br />

un cane. I numerosi errori sono evidentemente<br />

legati alla cultura <strong>del</strong><br />

ceramista. Al centro la Madonna con<br />

il Bambino stretto al petto e appoggiato<br />

sulla gamba sinistra. Sono<br />

ritratti di prospetto a figura intera. La<br />

Madonna è assisa. Un lungo manto<br />

la ricopre dal capo, su cui è poggiata<br />

una preziosa e ricca corona. Ai lati<br />

due angeli di profilo reggono l’aureola.<br />

Il Bambino, leggermente di<br />

profilo con il volto di prospetto, ha il<br />

capo riccioluto sormontato da una<br />

corona è coperto di un mantello ed<br />

ha la mano sinistra distesa.<br />

Proseguendo attraverso un castagneto<br />

e deviando a sinistra, dopo un<br />

breve ed accidentato sentiero percorso<br />

da boscaioli, si perviene, ad un<br />

pianoro e alla grotta <strong>del</strong>l’Angelo,<br />

seminascosta da una rigogliosa vegetazione<br />

(fig. 4). Sulla sinistra è una<br />

piccola costruzione addossata alla roccia:<br />

una cella per il romitaggio costituita<br />

da un vano rettangolare coperto da<br />

una volta a botte. Sulla parete laterale<br />

sinistra s’apre una finestra che dà sulla


vallata. Vari riquadri incassati nel muro erano con probabilità<br />

utilizzati per custodirvi suppellettili (fig. 5).<br />

A fianco, a destra, è l’ingresso <strong>del</strong>la grotta; <strong>del</strong>imitato<br />

da un muro - che ha ceduto in più parti e che in origine<br />

copriva solo parzialmente la cavità - edificato probabilmente<br />

come riparo dalle intemperie, per la luce, l’areazione<br />

e per difesa da eventuali malintenzionati (Fig. 6).<br />

Tre scalini scavati nella roccia conducono all’interno<br />

<strong>del</strong>l’ampia cavità che va restringendosi rapidamente<br />

verso il fondo, mostrando le pareti irregolarmente<br />

inclinate <strong>del</strong>la roccia. Vestigia di mura testimoniano<br />

l’origine medievale <strong>del</strong> primitivo insediamento databili<br />

all’epoca <strong>del</strong>le prime testimonianze storiche. Verso<br />

il fondo, sulla destra, è visibile una cappella (fig. 7), a<br />

pianta quadrata, ad un’unica navata terminante in<br />

un’abside lineare e senza facciata d’ingresso, su cui<br />

sono ben visibili gli attacchi di un cancello. E’ costituita<br />

da due quinte murarie rettilinee, di cui quella destra<br />

è addossata alla parete rocciosa, che sorreggono una<br />

volta a botte. L’abside un tempo conteneva un piccolo<br />

altare ed era totalmente affrescata, come testimoniano<br />

numerose tracce di motivi decorativi a volute<br />

che continuano nell’arcosolio <strong>del</strong>la nicchia ricavata al<br />

di sopra <strong>del</strong>l’altare. Nella quale un moderno pannello<br />

- perfettamente conservato di forma rettangolare in<br />

terracotta maiolicata di cm 60 x 100 composto da<br />

quindici piastrelle policrome di cui ognuna di cm 20 x<br />

20 su cinque fila, raffigurante il Santo guerriero - ha<br />

coperto un presumibile affresco. In basso è la scritta<br />

«APICELLA NATALE 1904 LA FIGLIA MARIA<br />

1934 E IL MARITO AMEDEO / TERRAVIVA<br />

1981» (fig. 8).<br />

Il ceramista Ferdinando Vassallo <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong><br />

Terraviva di Montecorvino Rovella ha raffigurato<br />

l’Arcangelo Michele, rifacendosi alla classica tradizione<br />

religiosa, rappresentandolo come difensore <strong>del</strong>la<br />

divinità contro la ribellione degli angeli capeggiati da<br />

Lucifero, proscritti e puniti da Dio, che per questo cercano<br />

di fare ogni male alla creatura prediletta da Dio,<br />

l’uomo.<br />

L’Arcangelo è rappresentato a figura intera di prospetto,<br />

mentre schiaccia sotto i suoi piedi il demonio,<br />

a mezzo busto nudo, di prospetto, fuoriuscente da<br />

rocce e fuoco. Con la mano destra stringe la spada,<br />

mentre con la sinistra regge la bilancia. Avvolto in un<br />

ampio drappeggio <strong>del</strong>le vesti e con alle spalle le ali,<br />

una corazza - la piastrella centrale è stata mal montata!<br />

- protegge il torace. Il vestito lascia scoperte le<br />

ADRIANO CAFFARO<br />

- 75 -<br />

Fig. 6 - Prepezzano. La grotta <strong>del</strong>l’Angelo. Planimetria e sezione.<br />

(Ricostruzione grafica arch. Vincenza De Vita).<br />

gambe così che si possono vedere i coturni, l’alto stivaletto<br />

di cuoio usato dagli antichi che si prolungava<br />

talvolta fino al ginocchio ed era tenuto fermo per<br />

mezzo di corregge. Da notare la diversità <strong>del</strong>le ali<br />

dipinte dietro le spalle <strong>del</strong>l’Arcangelo e <strong>del</strong> demonio:<br />

lineari e limpide le prime, rozze e piuttosto grossolane<br />

le seconde. Sullo sfondo un cielo chiaro e luminoso.<br />

Queste due immagini sacre, <strong>del</strong>la Madonna e <strong>del</strong><br />

S. Michele, sono legate alla devozione popolare, che<br />

crea di fatto propri oggetti e motivi autonomi di<br />

culto, che solo apparentemente sembrano riflettere<br />

ed esprimere legittimi, riconosciuti elementi liturgici.<br />

In realtà essi vengono deformati e riproposti in<br />

modo assolutamente soggettivo e possono andare a<br />

sovrapporsi con effetti talvolta dannosi agli elementi<br />

di reale valore <strong>del</strong>l’arte religiosa.<br />

Sulla parete varie scritte deturpanti, la più antica<br />

<strong>del</strong>le quali è datata 1650. Testimonianza evidente che<br />

già all’epoca il complesso eremitico era stato abbandonato<br />

dalla comunità religiosa ed era diventato solo<br />

meta di pellegrinaggio.<br />

Alle spalle <strong>del</strong>la cappella, nel buio avvolgente <strong>del</strong><br />

secondo ambiente, su una stalagmite, è stata scolpita una<br />

Madonna, acefala sin dal secolo scorso, con Bambino:<br />

importante testimonianza che definisce ulteriormente la<br />

pratica devozionale che animò il sito (fig. 9).<br />

Nel luogo dedicato all’arcangelo Michele non poteva<br />

mancare la grande devozione alla Madonna, testimo


niata anche dall’edicola precedentemente<br />

descritta e situata lungo il percorso di<br />

arrivo alla grotta. Purtroppo il vandalismo<br />

perpetuato mi consente solo di<br />

supporre - con buona attendibilità - che<br />

la Madonna doveva essere rappresentata<br />

nella maniera più tradizionale, a mezzo<br />

busto, di prospetto, come seduta su un<br />

trono, dall’aspetto matronale. Doveva<br />

indossare una tunica ed era ricoperta da<br />

un ampio mantello raccolto sulle ginocchia,<br />

con il capo leggermente reclinato<br />

verso il Bambino. Questi, a figura intera,<br />

è avvolto dal mantello che lascia scoperto<br />

solo il viso. La testa è poggiata sul<br />

seno, gli occhi aperti e alquanto attenti a<br />

vedere di fronte verso la parte finale<br />

<strong>del</strong>lo speco.<br />

Questa popolare composizione è<br />

caratterizzata dalla capacità <strong>del</strong>l’ignoto<br />

autore di rappresentare un amorevole<br />

atteggiamento, quasi di una mamma <strong>del</strong><br />

luogo, che stringe a sé e avvolge il<br />

Bambino con una mano, alquanto grossolana<br />

nella fattezza e fin troppo grossa<br />

nella rappresentazione. Con probabilità<br />

è un’opera <strong>del</strong> primo Ottocento, periodo<br />

in cui il sito, dopo un periodo di<br />

abbandono, riebbe una presenza eremitica,<br />

che si concretizzò anche con la<br />

decorazione pittorica all’interno <strong>del</strong>la<br />

cappella.<br />

Dobbiamo immaginare l’ignoto e<br />

devoto artista che ha cercato un blocco<br />

di pietra per realizzare la sua opera: una<br />

Madonna con Bambino. Quale migliore<br />

soluzione di una stalagmite, la concrezione<br />

calcarea generalmente conica<br />

che si forma sul pavimento <strong>del</strong>la caverna<br />

per il continuo gocciolio <strong>del</strong>l’acqua<br />

39 , estremamente dura e compatta<br />

così da opporre una resistenza unifor-<br />

me alla lavorazione. Lo immaginiamo lavorare quasi al<br />

buio, alla luce di una can<strong>del</strong>a, accovacciato e con il<br />

viso rivolto verso l’esterno <strong>del</strong>la grotta in quanto il<br />

SALTERNUM<br />

Fig. 7 - Prepezzano. La grotta <strong>del</strong>l’Angelo.<br />

La cappella.<br />

Fig. 8 - Prepezzano. Grotta <strong>del</strong>l’Angelo.<br />

Pannello ceramico raffigurante S. Michele<br />

Arcangelo.<br />

Fig. 9 - Prepezzano. Grotta <strong>del</strong>l’Angelo.<br />

Madonna con il Bambino, scolpita su una<br />

stalagmite. Particolare.<br />

- 76 -<br />

gruppo scultoreo è stato realizzato volgente<br />

verso la fine <strong>del</strong>la grotta, non<br />

verso l’esterno. Lo vediamo munito certamente<br />

di uno scalpello, col quale batteva<br />

con una mazza o mazzuola per dare al<br />

blocco una prima sgrossatura facendo<br />

saltare pezzi più o meno grandi, scoprendo<br />

così la superficie voluta; e poi<br />

con un trapano a perforare la pietra e<br />

con un abrasivo quale la pomice a levigare<br />

la superficie, realizzando un vero e<br />

proprio intaglio ‘a giorno’, che riduce<br />

praticamente la scultura a un ritmo alternato<br />

di pieni e vuoti.<br />

Dato che ogni modificazione apportata<br />

è definitiva, in quanto non è possibile<br />

aggiungere ma soltanto togliere la<br />

materia, è probabile che il nostro abbia<br />

potuto far precedere alla fase esecutiva<br />

una progettazione. Realizzando un disegno<br />

che servisse per l’elaborazione iniziale<br />

e come punto di riferimento<br />

durante la lavorazione o, più difficilmente,<br />

un mo<strong>del</strong>lo in creta e poi con<br />

successivo riporto <strong>del</strong>le misure dal<br />

mo<strong>del</strong>lo al blocco tramite il sistema dei<br />

punti, cioè trasportando dal mo<strong>del</strong>lo al<br />

blocco, mediante ferri appuntiti, le principali<br />

sporgenze e rientranze.<br />

Un’opera popolare certamente, la<br />

cui spontaneità - come scrive Argan 40 -<br />

«non va intesa nel senso di libertà<br />

inventiva: l’arte popolare, al contrario,<br />

appare sempre fortemente vincolata da<br />

tradizioni iconografiche e tipologiche<br />

nonché da tecniche scarsamente suscettibili<br />

di sviluppo o progresso. Per carattere<br />

di spontaneità deve invece intendersi<br />

il carattere che deriva all’arte<br />

popolare dal fatto che essa è prodotta,<br />

in parte, da maestranze artigiane a<br />

basso livello di specializzazione e in<br />

parte, forse preponderante, dalle stesse persone che<br />

fruivano <strong>del</strong> bene artistico ed è il prodotto di un artigiano<br />

domestico».


Note<br />

1 L’esperienza eremitica originaria (1011)<br />

richiamò un numeroso gruppo di discepoli<br />

e produsse nel giro di pochi decenni l’evoluzione<br />

in senso cenobitico e monasteriale<br />

(LEONE 1980, pp. 393-416). Una<br />

vicenda analoga è data da Montevergine,<br />

che venne fondato nel 1124 da Guglielmo<br />

di Vercelli, dopo iniziale vita anacoretica<br />

(MONGELLI 1960).<br />

2<br />

CAFFARO 1983, pp. 907-919.<br />

3<br />

CAFFARO 1996, p. 12; CAFFARO - FALANGA<br />

2006, p. 69.<br />

4<br />

VON FALKENHAUSEN 1992.<br />

5<br />

CAFFARO – FALANGA 2006, pp. 75-108.<br />

6 Badia di Cava, Manoscritto Venieri. Inventario<br />

<strong>del</strong>l’Archivio cartaceo, voce ‘Vetro’, scaf. C,<br />

Pluteo O, fasc. 57, n. 3854.<br />

7<br />

CAFFARO 1996, pp. 23-24; GRIBOMONT<br />

1987, pp. 127-152.<br />

8<br />

FONSECA 1992, ined.; Culto e insediamenti<br />

micaelici 1994.<br />

9<br />

AVRIL – GABORIT 1967, pp. 269-298.<br />

10 a b<br />

KALBY 1964 , pp. 205-227; 1964 , pp. 22-<br />

41; ZUCCARO 1977. Un altro significativo<br />

episodio è quello <strong>del</strong> S. Michele di Mezzo di<br />

Fisciano. Sorto come oratorio campestre<br />

(sec. XI-XII), evolse in cenobio (1650,<br />

Agostiniani). La santuarità <strong>del</strong> luogo è testimoniata<br />

dall’edificazione di una chiesa antistante<br />

la grotta (1843) e da successivi ampliamenti<br />

<strong>del</strong> complesso conventuale (CAFFARO<br />

1983, pp. 913-916; 1996, pp. 107-112).<br />

11<br />

ALFANO 1994-1995, p. 9.<br />

12<br />

MORCALDI - SCHIANI - DE STEPHANO<br />

1893, p. 297; CRISCI - CAMPAGNA 1962, pp.<br />

352-353; CRISCI 20012 , vol. II, p. 113.<br />

13<br />

INGUANEZ - MATTEI - CERASOLI - SELLA<br />

1947, p. 428, n. 6216.<br />

14<br />

INGUANEZ - MATTEI - CERASOLI - SELLA<br />

1947, ibidem; ALFANO 2008, pp. 30-31.<br />

15 MORCALDI - SCHIANI - DE STEPHANO<br />

1876, vol. III, pp. 105-106.<br />

16 MORCALDI - SCHIANI - DE STEPHANO<br />

1888, vol. VIII, p. 106.<br />

17 Dalle visite pastorali si ricavano scarne<br />

notizie di chiese e cappelle non più esistenti:<br />

ADRIANO CAFFARO<br />

S. Maria Maddalena, S. Anna, S. Maria <strong>del</strong><br />

Carmine, S. Donato, S. Lucia, S. Giovanni<br />

Evangelista, SS. Concezione, S. Giovanni<br />

Battista, SS. Annunziata, S. Donato e S.<br />

Giacomo (CRISCI 20012 , II, pp. 115-116).<br />

18<br />

PENNACCHINI 1941, pp. 70-71; BALDUCCI<br />

1945, p. 271) segnala che il documento è <strong>del</strong><br />

Settembre 1159 e che «pare lo stesso ... con<br />

qualche variante».<br />

19<br />

PENNACCHINI 1941, p. 113; BALDUCCI<br />

1945, pp. 274-275.<br />

20<br />

INGUANEZ - MATTEI - CERASOLI - SELLA<br />

1947, p. 428, n. 6213.<br />

21<br />

INGUANEZ - MATTEI - CERASOLI - SELLA<br />

1947, ibidem, n. 6214.<br />

22 2<br />

CRISCI 2001 , vol. III, pp. 258-259.<br />

23<br />

BEATRICE - ALFANO 1995, pp. 3-19.<br />

24<br />

JAMISON 1972, pp. 96-100; CUOZZO 1984,<br />

pp. 532-533. Una buona sintetica analisi <strong>del</strong><br />

periodo considerato è data dalla parziale<br />

pubblicazione di una tesi di laurea di M.<br />

Melfi (MELFI 2008, pp. 87-95, soprattutto<br />

pp. 92-93), che la relatrice Chiara Lambert<br />

<strong>del</strong>l’Università di Salerno ha voluto pubblicare<br />

con fini meritori.<br />

25PRIGNANO ante 1657. Tra le famiglie nocerine<br />

il De’ Santi (DE’ SANTI 1893, vol. II, p.<br />

74) riporta anche quella dei «... Viscidi ...,<br />

che ebbero dimora soltanto qui».<br />

26 «In comitatu Jufunensi in Principatu salernitano»,<br />

così in un documento <strong>del</strong>l’aprile 992<br />

(MORCALDI - SCHIANI - DE STEPHANO<br />

1875, vol. II, p. 328) riferentesi alla vicina<br />

importante chiesa di «S. Maria da Bico, hodie<br />

a Vico». Su quest’ultima cfr. AGATANGELO<br />

DA ROCCAGLORIOSA -TESAURO s.d. Per un<br />

sintetico inquadramento storico-geografico<br />

<strong>del</strong> territorio è sempre valido FONDI 1962.<br />

27<br />

GIUSTINIANI 1802, pp. 67-77.<br />

28<br />

CRISCI 1977, p. 25. ‘Viscito diruto’ è riportato<br />

nel disegno <strong>del</strong>la seconda metà <strong>del</strong> XV<br />

secolo, conservato presso la Biblioteca<br />

Nazionale di Parigi (LA GRECA - VALERIO<br />

2008, p. 88).<br />

29<br />

FILANGIERI DI SATRIANO 1981, p. 445.<br />

30<br />

CIOFFI 1953, pp. 208-222.<br />

- 77 -<br />

31 La località ‘Viscito’, com’è stato rilevato, è<br />

indicata in numerose rappresentazioni cartografiche<br />

dal Magini (1606) al De Rossi<br />

(1714), dall’Hondius (1636) al Blauer (1640)<br />

e a Cassiano de Silva (1692). Viene sempre<br />

raffigurata ad Ovest <strong>del</strong> fiume e <strong>del</strong> casale<br />

di Prepezzano (Cfr. AVERSANO 2009, pp.<br />

22-25; 34-37; 42-43).<br />

32 La prima notizia ‘flash’ su La torre di<br />

Prepezzano venne data da V. Alfano nel 1992<br />

in “Pichentieon”, Notiziario <strong>del</strong>l’Archeoclub<br />

comprensoriale Picentino: «... La suddetta<br />

torre aveva una duplice funzione: di avvistamento<br />

e di protezione per un signore <strong>del</strong><br />

luogo; è da ritenersi, infatti, parte integrante<br />

di una casa gentilizia come può evidenziarsi<br />

dalle mura su cui poggia la parte anteriore»<br />

(ALFANO 1992, p. 6; cfr. inoltre<br />

ALFANO 2003, p. 11).<br />

33<br />

PUTATURO 2003, pp. 25-37.<br />

34<br />

CARUCCI 1923, pp. 140-141; SANTORO<br />

1982, pp. 495-497; D’AMBROSI 1992, pp.<br />

119-136; SANTORO 2005, pp. 115-127.<br />

35<br />

SPARACIO, La torre dei Conti Viscido di<br />

Nocera in Prepezzano, relazione presentata al<br />

Convegno tenutosi il 18 novembre 2000 a<br />

Prepezzano e riportata in PUTATURO 2003,<br />

pp. 33-35.<br />

36 L’antica ramiera, funzionante fino a qualche<br />

decennio or sono attraverso un complesso<br />

procedimento di fusione, di battitura<br />

sotto i magli, realizzava caldaie. Al suo<br />

posto è una piccola fabbrica di mattoni. Mi<br />

corre l’obbligo di ringraziare il presidente<br />

<strong>del</strong>la Comunità Montana Monti Picentini,<br />

Massimiliano Cozzo, per la fattiva collaborazione.<br />

37 Sull’argomento, fondamentale è il contributo<br />

PINTO 1986.<br />

38 Per un sintetico e puntuale contributo<br />

sulla ‘prodigiosa immagine’ cfr. MANCINI<br />

2006, pp. 38-40.<br />

39 Non vi è traccia di canalizzazione <strong>del</strong>le<br />

acque sgorganti dalla roccia, come tanti altri<br />

siti rupestri documentano.<br />

40<br />

ARGAN 1983, p. 803.


Bibliografia<br />

AGATANGELO DA ROCCAGLORIOSA P. -<br />

TESAURO G. M. s.d., Santa Maria a Vico<br />

castellana <strong>del</strong>l’agro picentino.<br />

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CLAUDIO ARMENISE - AURELIA DANIELA RANA<br />

Il santuario di S. Maria <strong>del</strong>la Grotta e la Chiesa<br />

di S. Felice <strong>del</strong> casale di Balsignano nell’agro di Modugno<br />

(BA): luoghi di culto di un percorso antichissimo<br />

Santuario di Santa Maria <strong>del</strong>la Grotta<br />

L’idea <strong>del</strong> viaggio ha origini vetuste. Infatti,<br />

se pensiamo a questo, non possiamo non<br />

guardare al periodo in cui era ‘di moda’ compiere<br />

pellegrinaggi verso luoghi di culto. Ma quali erano<br />

le autostrade, le tangenziali o le strade provinciali<br />

<strong>del</strong>l’Alto Medioevo?<br />

Pensiamo al territorio di Bari (Barum), in particolare<br />

a quello di Modugno (Medunium), di quasi 1000 anni fa.<br />

Chi decideva di visitare questa località doveva certamente<br />

sapere <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong> Santuario di S.<br />

Maria <strong>del</strong>la Grotta e <strong>del</strong>la Chiesa S. Felice di<br />

Balsignano, luoghi di culto, come altri se ne trovano,<br />

lungo un percorso assai antico.<br />

Essi sorgono in prossimità di una lama, la cosiddetta<br />

‘Lama Lamasinata’, l’uno sul pendio, l’altro sul<br />

ciglio <strong>del</strong>la stessa, e sono rispettivamente esempi di<br />

quell’antichissima consuetudine <strong>del</strong> vivere in grotta,<br />

poi trasformatasi in una idea di villaggio con un particolarissimo<br />

habitat, determinato da uno specifico sistema<br />

di sicurezza, di viabilità, di approvvigionamento<br />

idrico, e l’altro di quel fenomeno di incastellamento<br />

avutosi nel periodo <strong>del</strong>la riconquista bizantina tra il X<br />

e l’XI secolo, da cui scaturì la modificazione <strong>del</strong>le<br />

strutture agrarie. Per la loro dislocazione, in due punti<br />

non molto distanti tra loro e su una stessa linea direttrice<br />

dovevano essere, con molta probabilità, due mete<br />

all’interno di un percorso antichissimo che i viaggiatori<br />

<strong>del</strong> Medioevo potevano compiere e che sicuramente<br />

si recavano a visitare in pellegrinaggio 1 allorché si<br />

diffuse la notizia che un monaco trascorreva il suo<br />

romitaggio proprio in S. Maria e, dopo la sua morte,<br />

secondo ‘la moda’ di quell’epoca, questi pellegrinaggi<br />

si moltiplicarono.<br />

Il territorio pugliese è ampiamente qualificato da<br />

una conformazione geomorfologica calcarea con un<br />

- 79 -<br />

Fig. 1 - Balsignano.<br />

Facciata sud <strong>del</strong>la<br />

Chiesa di S. Felice.<br />

suolo interessato da fenomeni carsici. Ne deriva un<br />

fitto reticolato di grotte sotterranee e lame che si diramano<br />

dalla zona <strong>del</strong>la Murgia comprendendo la provincia<br />

di Barletta-Andria-Trani, quella di Bari, Taranto<br />

e Brindisi.<br />

Modugno sfruttava le lame per le condizioni favorevoli<br />

al popolamento: fertilità <strong>del</strong> suolo, garanzia di<br />

approvvigionamento idrico, essendo le lame dei corsi<br />

preferenziali di scorrimento <strong>del</strong>l’acqua, sfruttamento<br />

degli anfratti per la coltivazione a terrazza, e la possibilità<br />

di poter utilizzare il tufo qui presente per scavare<br />

lungo i pendii e ricavare ambienti rupestri, ipogei ed<br />

apogei, piccoli villaggi, santuari rupestri, chiese rurali,<br />

piccole masserie e caratteristici casali fortificati.<br />

Negli anfratti <strong>del</strong>le lame sono venuti alla luce resti<br />

di insediamenti risalenti addirittura al Neolitico (VI-V<br />

millennio a. C.): nei pressi <strong>del</strong> casale di Balsignano è<br />

stato rinvenuto un villaggio appartenente a questo<br />

periodo. Questo sta a significare che l’agro di<br />

Modugno era densamente popolato sin da epoche<br />

remote.<br />

Il fitto reticolato di lame, probabilmente, doveva<br />

rappresentare per gli antichi viaggiatori un sistema viario<br />

secondario o locale rispetto alle arterie principali<br />

romane. In altri termini, per meglio comprendere,


Fig. 2 - Balsignano. Facciata <strong>del</strong> santuario di S. Maria <strong>del</strong>la Grotta.<br />

facendo un paragone con la nostra realtà, possiamo<br />

pensare alle lame come le nostre strade tangenziali o<br />

provinciali, ‘viae vicinales’ (da vicus, cioè villaggio), che si<br />

diramano a partire da una via principale, nella fattispecie<br />

la via Minucia-Traiana, le cosiddette ‘viae publicae’,<br />

paragonabili alle moderne autostrade 2 .<br />

È probabile anche che i Romani avessero ideato il<br />

loro sistema viario adattandolo alla conformazione, e<br />

quindi anche alle opportunità, che la natura, attraverso<br />

fiumi, torrenti o altri corsi d’acqua, poteva offrire.<br />

Sin dall’Alto Medioevo, la chiesa-grotta di S. Maria<br />

ad Gryptam appariva incastonata nell’anfratto di<br />

Lamasinata. Secondo alcuni studi, questa grotta era<br />

animata da una modesta comunità di monaci di rito<br />

greco, forse ispirati al dictat di S. Basilio, vissuto nel IV<br />

secolo d. C.<br />

La grotta fu probabilmente adibita a chiesa da questa<br />

stessa comunità greca e fu, in seguito, dedicata alla<br />

Vergine, da cui il nome.<br />

Occorre però precisare che la Puglia, essendo stata,<br />

a fasi alterne, nell’orbita <strong>del</strong>l’impero bizantino, ha rappresentato<br />

un luogo di approdo per gente greca, attraverso<br />

un processo di migrazione 3 che aumentò durante<br />

l’età <strong>del</strong>la crisi iconoclastica decretata dal basileus<br />

Leone III Isaurico nel 726.<br />

Il fenomeno <strong>del</strong>le chiese rupestri in Puglia non è<br />

un caso isolato, ma è in stretto collegamento con gli<br />

SALTERNUM<br />

- 80 -<br />

insediamenti monastici di matrice<br />

orientale inaugurato in Cappadocia.<br />

Per questa ragione la Puglia è disseminata<br />

da persistenze bizantine determinate<br />

da un governo, di lungo corso,<br />

<strong>del</strong>l’impero romano d’Oriente. 4 Un<br />

esempio precoce di chiesa rupestre<br />

che ha termini di paragone con quelle<br />

che si trovano in Cappadocia è la<br />

Chiesa calabrese detta la Cattolica sulla<br />

montagna di Stilo, nella quale le maestranze<br />

adottano un sistema di costruzione<br />

che si rifarà ai modi <strong>del</strong>l’architettura<br />

bizantina. La datazione, secondo<br />

alcuni studiosi, tra cui G. De<br />

Jerphanion, bizantinologo autorevole<br />

<strong>del</strong> secolo scorso, è da far risalire all’XI<br />

secolo. Fu proprio lui il primo studioso<br />

che creò il mito <strong>del</strong>la Cappadocia<br />

rupestre, per il quale il fenomeno cappadociano<br />

è da prendere come punto<br />

di riferimento per tutti i sistemi insediativi rupestri dislocati<br />

nell’immensità <strong>del</strong> bacino mediterraneo.<br />

È dopo la visita a Massafra che lo studioso traccia le<br />

linee guida di un discorso che vede nella cittadina<br />

pugliese il trait d’union tra la Puglia e la Cappadocia rupestre.<br />

Soprattutto se si esamina il linguaggio figurativo<br />

nelle grotte pugliesi, il paragone con l’Asia Minore si fa<br />

sempre più puntuale e non si potrà far a meno di confrontare<br />

i rapporti tra la Puglia e l’Oriente bizantino.<br />

Alba Medea 5 sosterrà che le manifestazioni pittoriche<br />

<strong>del</strong>le chiese rupestri pugliesi si inquadrano in un<br />

sistema <strong>del</strong>l’arte pittorica bizantina provinciale, inserito<br />

fra i programmi pittorici <strong>del</strong>la Cappadocia e quelli<br />

russi <strong>del</strong>lo stesso periodo; così come affermerà il<br />

carattere iconico <strong>del</strong>la pittura rupestre pugliese in antitesi<br />

al carattere ciclico di quella cappadocese, inframezzato<br />

dalla forte influenza data dai Vangeli apocrifi<br />

nella stesura iconografica dei temi e dei contenuti.<br />

Secondo alcuni studiosi, tipicamente monastica era la<br />

caratterizzazione di questi insediamenti, poiché erano<br />

i monaci a popolare le grotte o i santuari rupestri<br />

secondo una concezione di vita monastica tipicamente<br />

orientale, alternando forme lavriotiche e forme<br />

insediative di tipo anacoretico.<br />

In questo caso, le chiese rupestri pugliesi si avvicinano<br />

a moduli planimetrici e a forme artistiche tributari<br />

di apporti cappadoci, legati alla cultura artistica dei


monaci orientali. Forte è quindi il patrimonio culturale<br />

di derivazione bizantina che i monaci di rito greco<br />

trasferirono in terra d’Otranto, in Calabria e in<br />

Basilicata dal IX al XIV secolo. In altre parole, è possibile<br />

parlare <strong>del</strong>la diffusione di una cultura bizantina<br />

in tutto il bacino greco-mediterraneo, introdotta poi<br />

nei singoli contesti regionali a contatto, questi ultimi,<br />

con la cultura <strong>del</strong>le genti indigene locali. In un contesto<br />

territoriale come l’Italia meridionale, provincia <strong>del</strong>l’impero<br />

romano d’Oriente, punto di collegamento<br />

con le terre d’Oriente, forti erano le presenze e i contrasti<br />

tra le forze che se la contendevano: da un lato i<br />

Longobardi, dall’altro i Bizantini, inframmezzati dall’ombra<br />

incessante degli Arabi.<br />

Nell’epoca <strong>del</strong>la riconquista (IX sec.), il riaffacciarsi<br />

dei Bizantini sulle terre riacquisite, e non solo, comportò<br />

riflessi diretti su una nuova elaborazione di cultura<br />

e mentalità. Alla chiesa spettava il compito di educare,<br />

con la fede e con l’arte, l’intera società, in quanto<br />

l’ortodossia era il segno tangibile di fe<strong>del</strong>tà alla realtà<br />

politica. Per questo motivo, capillare era la cura con<br />

la quale Bisanzio ristrutturò la Chiesa greca in Italia.<br />

Accanto alla chiesa diocesana fu basilare l’opera di<br />

ellenizzazione <strong>del</strong> monachesimo greco e il conseguente<br />

inserimento nelle campagne <strong>del</strong> Mezzogiorno degli<br />

insediamenti rupestri; in quest’ambito va collocato il<br />

ruolo <strong>del</strong> santuario di S. Maria in Gryptam. È un fenomeno,<br />

quello <strong>del</strong>le chiese rupestri, che ha riguardato<br />

tutta l’Italia meridionale dal VI al XIII secolo, e che<br />

tiene conto di un sistema insediativo atto a bilanciare<br />

le necessità di difesa con quelle di sostentamento, in<br />

un periodo, l’Alto Medioevo, che vede lo sfaldamento<br />

dei poteri spirituali sin dall’età tardo-antica, intervallato<br />

da continue lotte, invasioni e rivendicazioni tra<br />

Goti, Bizantini, Longobardi, Arabi e lo sfollamento<br />

<strong>del</strong>le città costiere 6 .<br />

Secondo alcuni studiosi, invece, in Puglia, le chiese<br />

rupestri (o grotte rupestri) non erano utilizzate in<br />

senso esicastico, secondo la vita contemplativa ed eremitica<br />

dei monaci, ma erano chiese funerarie 7 . In effetti<br />

in S. Maria <strong>del</strong>la Grotta sappiamo che sono state rinvenute<br />

<strong>del</strong>le tombe, ma in realtà si tratta, con ogni probabilità,<br />

di un insediamento adibito al culto da una<br />

comunità di monaci provenienti dall’Oriente. Inoltre,<br />

mentre nella suddetta chiesa-grotta la naturale conformazione<br />

<strong>del</strong>l’incavo roccioso è rimasto quello naturale,<br />

in altri siti rupestri l’habitat naturale è stato modificato<br />

con l’adattamento di nuovi schemi planimetrici:<br />

CLAUDIO ARMENISE - AURELIA DANIELA RANA<br />

- 81 -<br />

Fig. 3 - Parete nord <strong>del</strong>la grotta: affresco raffigurante il Threnos.<br />

in area barese si riscontra un modulo architettonico<br />

con ambulacro attorno ad un vano centrale, schema<br />

diffuso nella Grecia settentrionale, teso a modificare<br />

l’interno <strong>del</strong>le grotte adibite a chiese. A questa pianta<br />

si rifarà la Chiesa di S. Candida risalente all’XI secolo,<br />

la Chiesa di masseria Micella di Bari <strong>del</strong>la prima metà<br />

<strong>del</strong>l’XI secolo. Mentre, proseguendo il percorso <strong>del</strong>la<br />

Lama Lamasinata, si incontra un altro insediamento<br />

antichissimo che sporge sul piano di campagna, l’ipogeo<br />

di S. Caterina, articolato in diversi ambienti che si<br />

affacciano su una navata che termina in un vano presbiteriale<br />

di grandi dimensioni. Sul ciglio <strong>del</strong>la Villa<br />

‘Lama Lamberti’, in prossimità <strong>del</strong>l’incrocio con via<br />

S. Caterina, sorge l’ipogeo di via Seminario, uno dei<br />

più grandi insediamenti rupestri <strong>del</strong>l’agro di Bari. Ve<br />

ne sono altri ancora.<br />

Per peculiarità geomorfologica, la Puglia ha favorito<br />

la diffusione degli insediamenti rupestri scavati<br />

nella roccia, che raggruppano diversi sistemi edilizi:<br />

accanto ai luoghi di culto, ai santuari e alle chiese rupestri,<br />

si dispiegano casali rupestri, abitazioni, masserie e<br />

strutture di difesa. Il fenomeno è di vasta portata se si<br />

analizzano i diversi nuclei insediativi nei quali si raggruppano<br />

abitazioni civili e luoghi sacri, per contro ci


sono luoghi di culto che possono isolarsi indipendenti<br />

nell’habitat rupestre. Vi sono chiese rupestri che<br />

modificano gli spazi <strong>del</strong>le grotte e si articolano in<br />

piante architettoniche di ingegnosa qualità con relativi<br />

spazi liturgici, quali gli ingressi, le aree cimiteriali esterne,<br />

i narteci, cappelle funerarie, spazi cimiteriali interni,<br />

aule, cappelle laterali, absidi, archi, soffitti e via di<br />

questo passo. Come l’esempio di S. Maria in Gryptam<br />

che sfrutta la cavità naturale e si adatta all’ambiente<br />

esistente, è indispensabile citare la grotta di S. Michele<br />

Arcangelo a Montesantangelo nel Gargano o la grotta<br />

di S. Michele a Putignano, per la Puglia, ma gli esempi<br />

per tutto il Mezzogiorno possono moltiplicarsi, specie<br />

se si guarda alla Campania e alla Calabria.<br />

Di S. Maria <strong>del</strong>la Grotta, cerchiamo ora di descrivere<br />

la storia e le peculiarità.<br />

La facciata rocciosa, oggi appare rivestita di conci<br />

irregolari ed è arricchita da un portale con un arco sorretto<br />

da due cariatidi e con al centro una lunetta<br />

impreziosita da un angelo in bassorilievo.<br />

L’interno, nel corso degli anni, si è arricchito,<br />

rispetto all’originario, con due strutture murarie databili<br />

ad epoche differenti. Durante alcuni lavori svolti<br />

nel 1974 8 atti a ‘liberare’ la chiesa da un rifacimento in<br />

tufo intonacato di epoca ottocentesca, sono riemersi<br />

frammenti di affreschi, ornamenti, questi, che dovevano<br />

abbellire forse tutto il vano interno, ed altri su porzioni<br />

murarie e risalenti ad un’epoca posteriore al XII<br />

secolo. È dubbio, dal punto di vista cronologico, l’adattamento<br />

dei due muri laterali all’ambiente interno <strong>del</strong>la<br />

grotta ma, analizzando il linguaggio <strong>del</strong>la decorazione<br />

pittorica, potrebbe risalire al tempo <strong>del</strong>l’eremitaggio di<br />

S. Corrado che coincide con la prima metà <strong>del</strong> XII<br />

secolo, o immediatamente posteriore ad esso. Gli affreschi,<br />

per certi caratteri stilistici, si immettono nel solco<br />

<strong>del</strong>la pittura di origine bizantina. Sulla parete destra, un<br />

affresco poco leggibile è quello che si trova immediatamente<br />

prima <strong>del</strong>lo speco di S. Corrado. Il frammento<br />

conservatosi mostra il capo di un Cristo con un nimbo<br />

crocifero con due dischi rossi che stanno a simboleggiare<br />

il sole e la luna.<br />

Questo affresco doveva forse obliterarne un altro,<br />

infatti, durante una campagna di restauro è riemersa<br />

una aureola su uno strato di affresco palinsesto.<br />

Sulla parete sinistra, quella che funge da divisorio<br />

tra il luogo di culto e la torre campanaria, corre una<br />

linea irregolare di giunzione con il tetto <strong>del</strong>la grotta<br />

evidenziata da fasce policrome, una rosso mattone,<br />

SALTERNUM<br />

- 82 -<br />

simile al rosso tipico <strong>del</strong> terriccio <strong>del</strong>le lame, l’altra blu<br />

scuro, inframmezzate da un sottilissimo color bianco;<br />

queste incoronano un cielo blu nel quale svolazzano<br />

due angeli, di cui uno quasi completamente scomparso,<br />

con incensieri, che fanno parte di una scena rappresentante<br />

il Threnos, ossia il ‘Lamento sul Cristo<br />

morto’, brano iconografico che appare con più frequenza<br />

nel linguaggio figurativo bizantino a partire dal<br />

XII secolo, età che vede il fiorire <strong>del</strong>lo stile grafico o<br />

linearistico in seno al periodo <strong>del</strong>la dinastia dei<br />

Comneni, detta ‘età dei Comneni’ 9 . Quest’epoca è<br />

contrassegnata da soluzioni formali che vedono il reticolo<br />

lineare contrassegnare le figure, animare i panneggi,<br />

rimarcare l’idea <strong>del</strong> movimento e di dinamicità.<br />

Nella nostra scena, infatti, i contorni netti animano<br />

le figure, soprattutto l’abito <strong>del</strong>l’angelo sembra solcato<br />

da linee spesse che creano netti chiaroscuri senza<br />

sottigliezze di trapasso: nella veste color verde, macchie<br />

dalla tonalità più scura e dalla diversa consistenza<br />

definiscono le pieghe <strong>del</strong> panneggio e tradiscono una<br />

sensazione di movimento imprigionato nella schematicità<br />

<strong>del</strong>le forme. Nelle maniche rosse <strong>del</strong>l’angelo,<br />

invece, la soluzione a contorni marcati si abbina a<br />

quella <strong>del</strong> reticolo lineare, tecniche stilistiche, queste,<br />

codificate già dal 1230, ma con sperimentazioni pregresse<br />

verso l’ultimo quarto <strong>del</strong> XII secolo. Già nella<br />

pittura bizantina propriamente detta, soluzioni di questo<br />

tipo sono presenti in decorazioni pittoriche ‘colte’,<br />

sia per le maestranze, sia per le committenze, come nel<br />

caso specifico di Nerezi (Macedonia), dove, nella<br />

Chiesa di S. Panteleimone, gli affreschi, datati 1164,<br />

denotano un linguaggio già evoluto e raffinato. Il riferimento<br />

a S. Maria <strong>del</strong>la Grotta, è la presenza, anche<br />

qui, <strong>del</strong> tipo iconografico <strong>del</strong> Threnos, dove è forte l’espressività<br />

<strong>del</strong> sentimento dei personaggi raffigurati,<br />

frutto <strong>del</strong>l’umanesimo <strong>del</strong> XII secolo, in merito allo<br />

stile ‘dei Comneni’, un sentimento che invece non traspare<br />

dai volti <strong>del</strong>le figure presenti nella chiesa-grotta,<br />

ma di cui se ne percepisce appena la sensazione dalla<br />

gestualità accennata dagli stessi: una <strong>del</strong>le donne protende<br />

le braccia al cielo in segno di disperazione per<br />

l’accaduto, l’angelo sembra voler discendere sul corpo<br />

di Cristo proiettandosi verso di lui con le braccia in<br />

avanti. Allo stesso modo la stesura compatta <strong>del</strong> colore<br />

<strong>del</strong>la veste <strong>del</strong>la donna dà un senso di maggiore plasticità,<br />

mentre la sfericità perfetta <strong>del</strong> suo copricapo,<br />

così come <strong>del</strong> nimbo, rende più dense le forme, frutto<br />

di un maestro di buona tempra che si immette nella


tradizione figurativa propria <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> XII secolo.<br />

L’area russa, ciprese e greca si presentano come termini<br />

di paragone per gli esempi ‘colti’ che qui vi si trovano<br />

disseminati (Chiesa di S. Nicola Kasnitzis a<br />

Kastoria <strong>del</strong> XII secolo; Chiesa <strong>del</strong>l’Annunciazione di<br />

Arkazi a Mjacino, presso Novgorod <strong>del</strong> 1189; Chiesa<br />

di S. Demetrio a Vladimir <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> XII secolo;<br />

Chiesa <strong>del</strong>la Panagia Tu Araku a Lagudera <strong>del</strong> 1192),<br />

frutto anch’essi degli esiti definitivi <strong>del</strong>la pittura bizantina<br />

di fine XII secolo. Da queste speculazioni deriva<br />

la possibilità di poter ipotizzare una datazione <strong>del</strong><br />

ciclo iconografico che sta a cavallo tra due secoli, XII-<br />

XIII. L’interno <strong>del</strong>la grotta, fino alla data dei lavori<br />

<strong>del</strong> 1974, era arricchito da due altari ottocenteschi<br />

posti rispettivamente sul lato destro e su quello sinistro<br />

<strong>del</strong>la chiesa. All’interno di una nicchia sovrastante<br />

l’altare vi era una statua cinquecentesca <strong>del</strong>la Pietà,<br />

ora collocata alle spalle <strong>del</strong>l’altare centrale; l’ altare sul<br />

lato sinistro era sormontato da una tela, poi trafugata,<br />

raffigurante S. Corrado in estasi, un monaco che visse e<br />

morì nell’eremo di S. Maria <strong>del</strong>la Grotta il 17 marzo<br />

1155 10 .<br />

Corrado nacque da una famiglia guelfa di Duchi di<br />

Baviera intorno al 1105-1106, divenne un monaco<br />

cistercense a Chiaravalle, compì un pellegrinaggio in<br />

Terrasanta in una data che per alcuni studiosi sarebbe<br />

il 1139, per altri il 1143 11 . Successivamente decise di<br />

compiere un viaggio a Bari per rendere omaggio alle<br />

sante reliquie di S. Nicola e poi a Foggia per far visita<br />

alla grotta <strong>del</strong>l’Arcangelo, passando per Molfetta dove<br />

venne a conoscenza <strong>del</strong>le cattive condizioni in cui<br />

imperversava la sua famiglia.<br />

Probabilmente ciò costituì un deterrente per il suo<br />

ritorno a Chiaravalle; riconobbe come suo eremo S.<br />

Maria <strong>del</strong>la Grotta, all’interno <strong>del</strong> quale aveva un cunicolo<br />

prediletto dove si recava a pregare. Durante la sua<br />

permanenza nell’abbazia benedettina fu aperto un passaggio<br />

tra la grotta e il convento, poi murato, lasciando<br />

aperta solo una piccola finestrella, dopo la sua morte.<br />

Ora le spoglie <strong>del</strong> Santo sono conservate a Molfetta.<br />

Tornando al santuario, è indispensabile aggiungere<br />

che durante i lavori di smantellamento <strong>del</strong> vecchio altare<br />

centrale si è riportato alla luce un impluvium, con diametro<br />

di 60 cm e con il fondo stagnato, che doveva servire<br />

a contenere l’acqua che veniva qui convogliata tramite<br />

un canaletto che spuntava dalla parete rocciosa.<br />

Per ciò che concerne l’apparato decorativo, oltre<br />

agli affreschi, una preziosa testimonianza è resa da<br />

CLAUDIO ARMENISE - AURELIA DANIELA RANA<br />

- 83 -<br />

alcuni brani di mosaici e da lastre tombali di cui non è<br />

certa l’attribuibilità ai monaci greci, piuttosto che a<br />

quelli benedettini, riportate alla luce nella zona antistante<br />

l’altare dopo lavori condotti al piano di calpestio.<br />

I mosaici, le cui tessere squadrate (10 x 10 cm) e<br />

per lo più di color rosso e bianco, sono disposte<br />

secondo lo schema <strong>del</strong>l’opus reticolatum e sembrano<br />

disegnare dei rosoni e dei riquadri che richiamano<br />

alla mente gli affreschi scoperti recentemente nella<br />

chiesa di S. Caterina d’Alessandria di Bitonto, quelli<br />

<strong>del</strong>la Chiesa <strong>del</strong> castello di Bari e per finire quelli <strong>del</strong>la<br />

Chiesa di S. Maria <strong>del</strong> Buon Consiglio, sempre a Bari.<br />

Nel XI secolo, quando i Normanni cacciarono i<br />

Greci dalla Puglia 12 , anche i monaci di rito greco si<br />

dileguarono per lasciar spazio ai monaci benedettini<br />

che, nella maggior parte dei casi, occuparono le chiese<br />

rupestri, i monasteri e le cripte appartenenti ai<br />

primi. Anche nel caso <strong>del</strong>la grotta di S. Maria è accertata<br />

la presenza <strong>del</strong> nuovo ordine religioso al quale va<br />

attribuita la costruzione <strong>del</strong>la soprastante abbazia.<br />

Rimane tuttavia insoluta la questione inerente la datazione<br />

certa di questo insediamento benedettino; da un<br />

documento <strong>del</strong> 1071, riportato dal Codice<br />

Diplomatico Barese, si ricava la notizia che l’abate<br />

Leucio, <strong>del</strong> convento di S. Benedetto di Bari, oltre a<br />

designare l’abate Elia come suo successore, nomina il<br />

‘monasterium Medunense dedicatum in onore sancti Arcangeli’.<br />

Certamente il riferimento non può che essere al<br />

monastero di Santa Maria <strong>del</strong>la Grotta essendo questo<br />

l’unico e solo monastero benedettino a Modugno.<br />

Ma come si spiega allora quel ‘in onore Sancti<br />

Arcangeli’? Probabilmente il monastero, a quell’epoca,<br />

era dedicato al Santo Arcangelo e, solo successivamente,<br />

data l’ormai diffusa fama di S. Maria <strong>del</strong>la<br />

Grotta, l’intero complesso, speco ed abbazia, venne<br />

indicato con l’appellativo di S. Maria ad/in Gryptam. La<br />

fortuna <strong>del</strong> convento benedettino terminò con il re<br />

Roberto d’Angiò che, nel 1303 o 1313, condusse una<br />

politica di smantellamento di molteplici strutture<br />

appartenenti a questo ordine monastico nel Regno di<br />

Napoli. Fu così che la comunità benedettina di<br />

Modugno perse gran parte dei suoi beni che vennero<br />

ceduti al convento benedettino di S. Lorenzo di<br />

Aversa e, in più, si trasferì nel monastero benedettino<br />

di Mazzocca, nei pressi di Avellino, che aveva lo stesso<br />

nome <strong>del</strong>la loro dimora precedente: S. Maria ad<br />

Gryptam. Il 24 Marzo <strong>del</strong> 1751 Ferdinando II Borbone,<br />

re di Napoli, omaggiò il seminario di Teramo dei beni


<strong>del</strong>l’abbazia e, solo il 25 aprile 1854, questi ritornarono<br />

nelle mani <strong>del</strong>la comunità modugnese essendo<br />

riacquistati dal primicerio di Modugno, Luigi<br />

Loiacono che adibì l’abbazia a casa per la sua famiglia.<br />

A. D. R.<br />

Chiesa di S. Felice in Balsignano<br />

Il secondo luogo di interesse all’interno di questo<br />

percorso è il casale di Balsignano, un esempio di quel<br />

fenomeno dovuto alla crescita demografica conseguente<br />

all’aumento di produttività e consumo che si verifica<br />

in Italia meridionale tra il X e l’XI secolo e che porta<br />

alla formazione di kastra, di kastellia e di pyrgoi (torri),<br />

attraverso il fenomeno <strong>del</strong>l’incastellamento nel periodo<br />

<strong>del</strong>la riconquista bizantina <strong>del</strong> Mezzogiorno.<br />

Le prime notizie su Balsignano si ricavano da un<br />

documento <strong>del</strong>la Basilica di S. Nicola, in cui un certo<br />

Teofilatto rende noto che, essendogli stato attribuito<br />

nel 962, come eredità, un appezzamento di terra «in loco<br />

Balsignano» si serve di punti di riferimento, per poterlo<br />

identificare con maggiore precisione, come il castello e<br />

una «torre qui vocat castellutzo de ipsi dalmatini» 13 Il nome<br />

Balsignano potrebbe derivare o da uno dei primi possidenti,<br />

‘Basilius’, o da ‘basiliani’.<br />

Esso fu spesso preda di Saraceni nel 988, poi<br />

venne ricostruito e offerto come dono all’abbazia<br />

benedettina di S. Lorenzo ad Aversa dal duca normanno<br />

Ruggero. In seguito, a stabilire le sorti <strong>del</strong> casale ci<br />

pensarono i feudatari che al suo interno si alternarono<br />

a partire dal XIII secolo. Fu teatro di incontri-scontri<br />

tra eserciti filoangioini e filoungheresi che, nel 1349, si<br />

contesero la successione al Regno di Napoli, per poi<br />

conoscere un nuovo periodo di decadenza nel 1526,<br />

quando le truppe francesi e spagnole lo distrussero<br />

durante una <strong>del</strong>le tante lotte per la conquista <strong>del</strong>l’Italia<br />

meridionale.<br />

All’interno <strong>del</strong> casale si trovano due edifici di culto:<br />

S. Maria di Costantinopoli e la Chiesa di S. Felice. La<br />

prima risale al XIV secolo ed è costituita da due<br />

costruzioni addossate con un interno voltato a botte<br />

ad ogiva e con un’unica navata. Uno dei due edifici<br />

addossati è arricchito all’interno da alcuni scampoli di<br />

affreschi dal forte eco bizantineggiante di stampo<br />

senese, ed altri ancora.<br />

L’altra chiesa, che si trova quasi a ridosso <strong>del</strong>la<br />

cinta muraria <strong>del</strong> casale, è S. Felice. Il mo<strong>del</strong>lo architettonico<br />

ha dei richiami visibilmente orientali ed è<br />

SALTERNUM<br />

- 84 -<br />

inoltre possibile stabilire <strong>del</strong>le equivalenze stilistiche<br />

con altri edifici di culto presenti in provincia di Bari.<br />

Non si sa a quale data far risalire con certezza la<br />

fondazione di S. Felice, certo è che si presenta agli<br />

occhi dei visitatori come un grazioso exemplum di<br />

romanico pugliese <strong>del</strong>l’XI secolo. La sua cupola si erge<br />

maestosa su un tamburo ottagonale. All’interno pennacchi<br />

sferici, pareti impreziosite da nicchie inquadrate<br />

da archi a ghiera lunata, sono il risultato di un connubio<br />

perfetto tra stilemi bizantini, occidentali d’oltralpe<br />

ed arabi. Anche questa chiesa è a pianta unica<br />

che sfocia in un’abside con volta a botte, attraversata<br />

da un piccolo transetto. L’esterno è invece contraddistinto<br />

da archetti pensili, paraste e dentelli che ne percorrono<br />

l’intero perimetro. Esempi di questo tipo<br />

sono visibili nell’area asiatica dove questi edifici di<br />

culto sembrano essere sorti lungo <strong>del</strong>le precise direttive<br />

commerciali. Ma, come preannunciato, altri gemelli<br />

si trovano anche in Puglia. L’esempio certamente più<br />

esaustivo è il tempietto di S. Maria di Giano, ubicato in<br />

agro di Bisceglie, ma anche la Chiesa di S. Margherita,<br />

nei pressi <strong>del</strong> centro storico biscegliese, un esempio,<br />

questo, comunque meno lampante rispetto al primo.<br />

L’elemento caratterizzante <strong>del</strong>la chiesa di S. Felice resta,<br />

senza dubbio, la conformazione pentagonale <strong>del</strong>l’abside<br />

nell’estradosso. L’interno, invece, appare decisamente<br />

disadorno. Gli affreschi, che sicuramente dovevano<br />

abbellire le pareti, sono andati persi e questo non<br />

aiuta, certo, nell’impresa di stabilire la data precisa di<br />

fondazione <strong>del</strong>la chiesetta. Tuttavia sembra correre in<br />

aiuto, per questa problematica, il confronto con altre<br />

chiese con cui questa condivide qualcosa. Si tratta, per<br />

esempio, <strong>del</strong>la chiesa di Ognissanti di Cuti, nell’agro di<br />

Valenzano, risalente alla fine <strong>del</strong>l’XI secolo, con cui il<br />

S. Felice ha in comune la regolarità <strong>del</strong>le porzioni<br />

murarie e il merletto di dentelli che corre lungo il cornicione<br />

esterno, e poi S. Maria di Giano a Bisceglie, di<br />

cui si è detto prima e che alcuni studiosi fanno risalire<br />

alla fine <strong>del</strong>l’XI secolo. Anche il documento <strong>del</strong>la<br />

donazione <strong>del</strong> casale di Balsignano ai Benedettini di<br />

Aversa offre un ausilio in più per la datazione; in esso,<br />

infatti, essendoci l’elenco di tutte le proprietà facenti<br />

parte di ‘Basiliniano’, non viene fatto alcun riferimento<br />

a S. Felice. Questo significa che la chiesa è posteriore<br />

alla data <strong>del</strong>l’episodio e che potrebbe essere stata fondata<br />

in una data successiva all’XI secolo e precedente<br />

al 1197, anno di costruzione di S. Margherita a<br />

Bisceglie. Ancora più ostico è poi il problema <strong>del</strong>la


datazione di quella piccola costruzione addossata al<br />

lato settentrionale <strong>del</strong>la chiesa. Un luogo molto austero<br />

questo, semplice, che forse doveva servire per<br />

aumentare la capienza <strong>del</strong>la chiesa, con un unico vano<br />

terminante in un’abside e diviso da due campate sormontate<br />

da cupole di forma ellittica. La Chiesa di S.<br />

Felice è inquadrabile, dal punto di vista spaziale e<br />

volumetrico, nel novero degli edifici medievali pugliesi<br />

con copertura a cupola in asse. La sua particolarità<br />

risiede nei suoi netti volumi, nelle sue regolari e proporzionate<br />

forme, nella linearità schematica e precisa<br />

<strong>del</strong>la compagine muraria composta da conci calcarei<br />

finemente realizzati e dall’immagine contenuta di una<br />

specie di braccio trasversale che sembra voler scompaginare<br />

il chiaro schema compositivo e planimetrico, a<br />

navata unica, verso il punto in cui si innesta la cupola<br />

all’incrocio dei due assi. Codesta soluzione spaziale, la<br />

sala a cupola, ha avuto un diffuso utilizzo in tutto il<br />

bacino <strong>del</strong> Mediterraneo Orientale e nelle terre d’ambito<br />

bizantino, ossia nelle province <strong>del</strong>l’impero romano<br />

d’Oriente. In Italia meridionale, e soprattutto in<br />

Puglia, le chiese a cupola in asse hanno avuto una larga<br />

diffusione con particolari connotazioni e singolarità<br />

architettoniche che dimostrano quanto radicata era l’idea,<br />

il concetto e la tradizione costruttiva di ascendenza<br />

orientale bizantina. Le aree immediatamente interessate<br />

da questa particolare tendenza architettonica si<br />

raggruppano in due direzioni, quali le terre a nord<br />

<strong>del</strong>la Puglia centrale e le terre a sud. Partendo dallo<br />

schema planimetrico <strong>del</strong>la chiesa di S. Felice, i paragoni<br />

e i riferimenti ci portano a soluzioni che, sia pur con<br />

qualche variazione, sono unite dallo stesso filo conduttore,<br />

da uno stesso repertorio. Vi sono piante longitudinali<br />

ad unica navata con cupola centrale come<br />

nella Chiesa di Torre Santa Croce di Bitonto 14 , la cui<br />

concezione dei volumi compatti e la soluzione strutturale<br />

e planimetrica, e la cupola innestata al centro <strong>del</strong>la<br />

navata longitudinale, sono perfettamente riferibili a<br />

questa ricerca. In altri esempi vi sono due cupole in<br />

asse che si innestano su altrettante campate in cui è<br />

divisa un’unica navata, quali la Chiesa di Torre S.<br />

Eustachio a Giovinazzo o la Chiesa di S. Valentino a<br />

Bitonto. Nella Chiesa di S. Angelo 15 a Bisceglie, le<br />

similitudini con il S. Felice di Balsignano sono evidenti<br />

per la pianta a croce contratta con i bracci longitudinali<br />

coperti da volte a botte, mentre quelle trasversali<br />

constano di archi di sostegno per la copertura a<br />

cupola. Ulteriori confronti formali obbligano ad un<br />

CLAUDIO ARMENISE - AURELIA DANIELA RANA<br />

- 85 -<br />

paragone con la Chiesa di Ognissanti di Cuti presso<br />

Valenzano, databile all’XI secolo e ubicata lungo la<br />

stessa arteria viaria che si collega con Balsignano.<br />

Suddetta chiesa si colloca nell’elenco di chiesette rurali<br />

con cupola in asse diffuse lungo la costa pugliese e<br />

nell’entroterra immediatamente ad essa collegato;<br />

nonostante essa suggerisca un’impostazione planimetrica<br />

longitudinale a tre navate, con tre absidi sporgenti<br />

e altrettante cupole in asse, l’aspetto d’insieme presuppone<br />

un riferimento al S. Felice di Balsignano per<br />

la chiarezza compositiva e la limpidezza dei paramenti<br />

murari finemente sbozzati e per la generale concezione<br />

dei volumi compatti; risalta, inoltre, la perfetta<br />

corrispondenza <strong>del</strong>l’apparato decorativo a dentelli che<br />

impreziosisce gli estradossi <strong>del</strong>le absidi e la cornice<br />

d’imposta <strong>del</strong>la copertura. È, comunque, con le piccole<br />

chiese rurali <strong>del</strong>l’agro di Bisceglie che la nostra chiesetta<br />

potrebbe paragonarsi attraverso specifiche soluzioni<br />

formali e strutturali: nel casale di Pacciano, e in<br />

prossimità di esso, sono situate due chiese dalle indiscutibili<br />

affinità decorative e volumetriche, ossia la<br />

Chiesa di Ognissanti e la Chiesa di S. Angelo. La<br />

prima, di pianta rettangolare con breve braccio trasversale<br />

e dominata da una cupola in asse, rientra in<br />

quella tipologia edilizia comune a diverse chiese rurali<br />

dislocate nelle campagne <strong>del</strong>l’entroterra barese. La<br />

Chiesa di S. Felice è confrontabile con essa per la soluzione<br />

di pianta e di struttura, per la schematica essenzialità<br />

formale dei conci e per generale tipologia di<br />

impianto costruttivo, un impianto avvicinabile alla<br />

Chiesa di S. Angelo <strong>del</strong>l’XI secolo: essa ripete il tipo di<br />

pianta ad unico ambiente con cupola in asse, come il<br />

tempietto di Giano, sempre in agro di Bisceglie, e la<br />

Chiesa di S. Biagio a Giovinazzo. Come si può notare,<br />

codesto fenomeno architettonico si ripete ininterrotto<br />

in Puglia, tributario di modi legati alla tradizione<br />

costruttiva bizantina e <strong>del</strong> Medio-Oriente riferibile ad<br />

un ambito cronologico che va dal X al XIII secolo 16 .<br />

Sempre se ci si ferma ad un contesto riferibile all’Italia<br />

Meridionale e alla Puglia in particolare, la Chiesa di S.<br />

Leonardo di Siponto <strong>del</strong> XII secolo 17 , offre spunti<br />

interessanti confrontabili con il S. Felice: oltre a soluzioni<br />

riferibili alla Chiesa di Ognissanti a Valenzano,<br />

come la pianta a tre navate e altrettanti absidi sporgenti<br />

con cupole in asse innestate sulla navata centrale,<br />

ricalca cadenze formali riscontrabili nella nostra chiesetta,<br />

ossia il motivo degli archetti pensili alternati a<br />

corpose lesene che ornano l’intera facciata meridiona


le. La stessa decorazione a denti di sega accomuna le<br />

due chiese come se fossero inseparabili elementi coincidenti<br />

di una linea architettonica ufficiale con i suoi<br />

concetti e i suoi canoni, pensati in modo sistematico e<br />

in maniera prestabilita come archetipi di un fare architettonico.<br />

Indubbiamente la Chiesa di S. Felice è la realizzazione<br />

di maestranze raffinate, probabilmente<br />

locali, che utilizzano una tipologia costruttiva ormai<br />

diffusa e affermata che presuppone la conoscenza di<br />

modi di suggestione medio-orientale e bizantina: l’utilizzo<br />

di un’abside di forma pentagonale, la silhouette<br />

esterna rialzata <strong>del</strong>la cupola estradossata richiamano<br />

alla mente confronti con la cupola <strong>del</strong> Mausoleo di<br />

Boemondo 18 a Canosa e la Chiesa dei SS. Niccolò e<br />

Cataldo di Lecce, fortemente ancorati a soluzioni formali<br />

legate all’ambito crociato ed islamico. In ultima<br />

analisi, si può citare un ulteriore legame <strong>del</strong>la chiesa di<br />

Balsignano con la cultura architettonica <strong>del</strong> Caucaso,<br />

in particolare con la tradizione armena cui appartiene<br />

l’evoluzione <strong>del</strong>lo schema planimetrico a pianta centrale,<br />

radicato nella regione già a partire dal VI-VII<br />

secolo d. C., ma che probabilmente tocca anche la<br />

Georgia. Si conoscono gli apporti <strong>del</strong>l’area<br />

<strong>del</strong>l’Oriente caucasico e <strong>del</strong>le regioni <strong>del</strong>l’Oriente islamico<br />

sull’impero bizantino, da sempre a contatto con<br />

realtà ‘straniere’, con una moltitudine di popoli, a partire<br />

dalle regioni russe, armene, persiane, <strong>del</strong>le zone<br />

<strong>del</strong>l’Asia centrale; in un giro abbastanza complicato di<br />

reciproci influssi, l’impero romano d’Oriente era aperto<br />

alle novità che provenivano dall’esterno, le rielaborò<br />

esportando nuove soluzioni e le impose al mondo<br />

che gli gravitava attorno.<br />

La Puglia, e con essa tutta l’Italia meridionale, non<br />

ha mai respinto le suggestioni, gli apporti, le forme, le<br />

inclinazioni, le tracce di una cultura multiforme, provenienti<br />

da un impero di cui faceva parte, essendo un<br />

thema, ossia una provincia di un’importante istituzione<br />

statale. Non si dimentichi che nelle regioni meridionali<br />

d’Italia erano presenti, già dal tempo <strong>del</strong>le invasioni<br />

degli Arabi, Mussulmani mescolati con le popolazioni<br />

latine, Slavi ed Ebrei, gruppi di Longobardi e poi, dal<br />

X secolo d. C., Armeni e Bulgari, senza dimenticare la<br />

SALTERNUM<br />

- 86 -<br />

componente greca. Al tempo <strong>del</strong>la presumibile edificazione<br />

di S. Felice, o meglio, <strong>del</strong> casale di Balsignano<br />

(X secolo d. C.), nelle vicinanze di Bari e Ceglie, ma<br />

sicuramente già in altre città, erano stanziati gruppi di<br />

Armeni provenienti dall’Oriente. Non ci si allontana<br />

dal vero se si pensa ad una componente di questo tipo<br />

che abbia influenzato nella forma e nella sua complessione<br />

la chiesetta di S. Felice. La tipologia <strong>del</strong>la ‘sala a<br />

cupola’, la ‘Kuppelhalle’, era ben diffusa in area caucasica;<br />

l’Armenia conosce questa conformazione compositiva<br />

già dal VI secolo, e se la si riferisce ad una espressione<br />

di tale tipo, vi è una certa somiglianza con la<br />

Chiesa di S. Êjmiacin, conosciuta come ‘Chiesa Rossa’,<br />

a Soradir 19 (risalente alla prima metà <strong>del</strong> VII secolo d.<br />

C.), villaggio sorto nella catena montuosa <strong>del</strong> Tauro<br />

Armeno, nella quale ci si accorge a prima impressione,<br />

di una certa affinità col S. Felice, proprio nell’accuratezza<br />

<strong>del</strong>l’impianto murario, nell’eleganza e nella levigatezza<br />

dei conci finemente tagliati. L’impianto planimetrico<br />

a croce greca su uno schema centralizzato con<br />

cupola in asse, presuppone uno schema già diffuso in<br />

età precoce, simbolo di un’idea tipologica parecchio<br />

antica e che forse ha origini ancor anteriori.<br />

La chiara disposizione e compattezza dei filari di<br />

pietre accomuna le due chiese, così come la semplice<br />

linearità dei volumi e la loro plasticità, l’ordine compositivo<br />

<strong>del</strong>le forme, il tipo di soluzione <strong>del</strong>le coperture<br />

poste al centro <strong>del</strong>l’involucro spaziale, sono le particolari<br />

accomunanze che le legano; di contro, la croce<br />

contratta di S. Felice non segue i due bracci sporgenti<br />

dalla sezione longitudinale di S. Êjmiacin. Il tamburo<br />

è pure differente: il quadrato sbozzato agli angoli,<br />

accompagnato da un evidente slancio verso l’alto, è<br />

chiaramente lontano dall’aggraziato tamburo ottagonale<br />

di Balsignano. Ma la concezione di fondo è perfettamente<br />

identica; e poi, la copertura a due falde dei<br />

quattro bracci a Soradir è riferibile a quella di<br />

Balsignano 20 . Possiamo infine inquadrare il S. Felice<br />

come un edificio dalla concezione spaziale e volumetrica<br />

debitrice <strong>del</strong>l’Oriente, ma con un incrocio di elementi<br />

occidentali, bizantini e orientali, vieppiù medioorientali.<br />

C. A.


Note<br />

1 STOPANI 1991, p. 7.<br />

2 STOPANI 1992, pp. 5-22.<br />

3 MILANO 1982, pp. 426-427.<br />

4 FONSECA 1981, pp. 13-21.<br />

5 MEDEA 1939, p. 8.<br />

6 CORSI 1999, pp. 125-132.<br />

7 DELL’AQUILA - MESSINA 1998, p. 129.<br />

8 DELL’AQUILA - CAROFIGLIO 1985, III,<br />

Bibliografia<br />

BRECCIA FRATADOCCHI T. 1971, La Chiesa di<br />

S. Êjmiacin a Soradir, Studi di architettura<br />

medievale armena, I, Roma.<br />

CORSI P. 1999, Bisanzio e il Mezzogiorno<br />

d’Italia. Ricerche e problemi, Bari.<br />

DE CADILHAC R. 2005a , Le chiese a cupola in<br />

asse in Puglia, da Trani a Modugno, I,<br />

Altamura.<br />

DE CADILHAC R. 2005b , Le chiese a cupola in<br />

asse in Puglia, da Bitonto a Fasano, II,<br />

Altamura.<br />

DELL’AQUILA C. – CAROFIGLIO F. 1985,<br />

Bari extra moenia. Insediamenti rupestri ed ipogei,<br />

II, Bari.<br />

DELL’AQUILA F. – MESSINA A. 1998, Le chiese<br />

rupestri di Puglia e Basilicata, Bari.<br />

FONSECA C. D. 1981, La Cappadocia rupestre<br />

tra mito storiografico e realtà storica, in Le aree<br />

CLAUDIO ARMENISE - AURELIA DANIELA RANA<br />

pp. 20-26.<br />

9<br />

LAZAREV 1967, pp. 7-29.<br />

10<br />

MILANO 1982, p. 430.<br />

11<br />

DELL’AQUILA – CAROFIGLIO 1985, III,<br />

p. 31.<br />

12<br />

GAY 1917, p. 504.<br />

13<br />

PEPE 1980, pp. 23-26.<br />

omogenee <strong>del</strong>la Civiltà Rupestre nell’ambito<br />

<strong>del</strong>l’Impero Bizantino: la Cappadocia. Atti <strong>del</strong><br />

quinto Convegno Internazionale di Studio sulla<br />

civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno<br />

d’Italia, Lecce-Nardò 1979, a cura di C. D.<br />

FONSECA, Galatina, pp. 13-21.<br />

GAY G. 1917, L’Italia meridionale e l’impero<br />

bizantino. Dall’avvento di Basilio I alla resa di<br />

Bari ai Normanni (867-1071), Firenze.<br />

LAZAREV V. 1967, Storia <strong>del</strong>la pittura bizantina,<br />

Torino.<br />

MEDEA A. 1939, Gli affreschi <strong>del</strong>le cripte eremitiche<br />

pugliesi, Roma.<br />

MILANO N. 1982, Le Chiese <strong>del</strong>la Diocesi di<br />

Bari. Note storiche ed artistiche, Bari.<br />

MONGIELLO L. 1988, Le chiese di Puglia. Il<br />

fenomeno <strong>del</strong>le chiese a cupola, Bari.<br />

PEPE A. 1980, La Chiesa di S. Felice (S. Pietro)<br />

in Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, IV,<br />

- 87 -<br />

14 DE CADILHAC 2005, II, p. 14.<br />

15 DE CADILHAC 2005, I, p. 20.<br />

16 SEMERARI 1980, pp. 305-312.<br />

17 VENDITTI 1967, pp. 191-200.<br />

18 MONGIELLO 1988, pp. 81-87.<br />

19 BRECCIA FRATADOCCHI 1971, p. 12.<br />

20 DE CADILHAC 2005, I, p. 36.<br />

pp. 23-26.<br />

SEMERARI L. 1980, La chiesa di Ognissanti in<br />

località Pacciano (Bisceglie), in Insediamenti benedettini<br />

in Puglia. Per una storia <strong>del</strong>l’arte dall’XI al<br />

XVIII secolo, Catalogo <strong>del</strong>la Mostra, a cura<br />

di M. S. CALÒ MARIANI, Bari, II voll.<br />

STOPANI R. 1991, Le vie di pellegrinaggio <strong>del</strong><br />

Medioevo. Gli itinerari per Roma, Gerusalemme,<br />

Compostela, Firenze, 1991<br />

STOPANI R. 1992, La via Francigena <strong>del</strong> Sud.<br />

L’Appia Traiana nel Medioevo, Firenze.<br />

VENDITTI A. 1967, Architettura a cupola in<br />

Puglia (II). Le chiese di S. Leonardo di Siponto,<br />

S. Benedetto a Brindisi, S. Maria di Colonna a<br />

Bari e le cappelle di S. Rocco a Turi e S. Maria<br />

<strong>del</strong>le Grazie a Bitonto, in “Napoli<br />

Nobilissima”, VI, fasc. V-VI, pp. 191-200.


- 88 -


Il ‘caso d’Oderisio’: il Maestro, la Croce<br />

e prospettive di lettura per una critica mancata<br />

Premessa<br />

La diffusione <strong>del</strong>la cultura figurativa toscana<br />

su tavola, nella prima metà <strong>del</strong> Trecento,<br />

irradia ben presto in varie botteghe artistiche<br />

<strong>del</strong>la penisola, simboleggiando quella fortunata<br />

ondata di esiti e modus stilistici che dalle direttive giottesche<br />

formeranno i giusti presupposti per la duratura<br />

continuità <strong>del</strong> linguaggio gotico anche nelle promettenti<br />

terre aristocratiche <strong>del</strong> Sud. Lungi dalla ‘classicità’<br />

di un discorso artistico sulla pittura trecentesca, il<br />

quale farebbe palesemente capo a Firenze e, per ricaduta,<br />

alla fiorente attività di maestri senesi, si vuole in<br />

questo ambito solo evidenziare che sono numerosi gli<br />

storici che hanno denunciato, nel passato come <strong>del</strong><br />

resto tutt’ora, una particolare ‘chiusura’ verso la ricerca<br />

e l’investigazione <strong>del</strong>la vivacità artistica in terre<br />

minori 1 . I felici capitoli <strong>del</strong>l’arte italiana nel Trecento<br />

concernenti la pittura di corte <strong>del</strong> Sud angioino, dopo<br />

le prime esperienze assimilate nell’orbita toscana<br />

emergono, difatti, da un repertorio di contributi scientifici<br />

e studi assolutamente recenti. Partendo così da<br />

un terreno ben spianato, gli interventi sullo studio storico-artistico<br />

<strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong> XIV secolo, hanno<br />

raggiunto la quasi completa esaustività di approccio<br />

alle fonti ed aree prese in esame sinora mai affrontate<br />

prima. Ora che il quadro storico generale si compone<br />

di elementi artistici e documentazioni ben individuati<br />

nella parentesi medievale italiana, sarà necessario indirizzare<br />

l’interesse proprio verso le gentilizie aree <strong>del</strong><br />

Sud agli albori <strong>del</strong>la fortuna angioina. La situazione<br />

artistica <strong>del</strong>la prima pittura napoletana, ancora lontana<br />

dalla fioritura di un modus pingendi di ‘scuola’ locale,<br />

orbita attorno le direttive dei facoltosi Angioini, che<br />

appaltano ditte e finanziano commissioni artistiche a<br />

maestri <strong>del</strong> settore reclutati però in aree transalpine<br />

prima e dal Centro Italia poi. La grande continuità <strong>del</strong><br />

flusso artistico fiorentino e senese, di portata ormai<br />

GIANMATTEO FUNICELLI<br />

- 89 -<br />

Fig. 1 - ROBERTO D’ODERISIO, Crocifissione (1350-1360 ca.), olio su tavola (178 x 120<br />

cm), Salerno, Museo Diocesano ‘San Matteo’.<br />

Iscrizione: HOC OPUS PINSIT ROBERTUS DE ODORISIO DE NEAPOLI.<br />

Provenienza: Eboli, Convento di San Francesco.<br />

internazionale dopo l’esilio papale ad Avignone a partire<br />

dal 1309, viene assorbito anche nel Regno di<br />

Napoli sotto la direzione di tre sovrani, Carlo I e Carlo<br />

II d’Angiò (seconda metà <strong>del</strong> XIII secolo) e da<br />

Roberto detto il Saggio. Dalla caduta ufficiale<br />

<strong>del</strong>l’Impero Svevo avvenuta con la sconfitta di


Fig. 2 - SIMONE MARTINI,<br />

Crocifissione (c. 1340), tavola (24,5 x<br />

15,5 cm). Part. <strong>del</strong> Polittico Orsini –<br />

Anversa, Musée des Beaux-Arts.<br />

Manfredi nel 1266 a Benevento e di Corradino a<br />

Tagliacozzo nell’agosto <strong>del</strong> 1268 2 , i d’Angiò si aggiudicano<br />

i diritti reali sul potente regno meridionale.<br />

Cacciata così la ‘malerba sveva’ 3 il re Carlo, primo<br />

angioino, intraprende un efficace consolidamento<br />

governativo, affidando il potere amministrativo al<br />

baronaggio francese e la direzione economica <strong>del</strong><br />

Regno di Napoli direttamente ai banchieri fiorentini.<br />

Un disegno governativo integrato ad una prestigiosa<br />

rete di relazioni diplomatiche per tutto il<br />

Mediterraneo, mentre si andava raffinando il fecondo<br />

rapporto tra il Regno e il resto <strong>del</strong>l’Europa mediante<br />

l’assimilazione di un nuovo linguaggio <strong>del</strong>le arti. Fe<strong>del</strong>i<br />

all’idioma <strong>del</strong> Gotico, diffusosi ormai in tutta la penisola,<br />

gli Angioini si rifanno dapprima alla tradizionale<br />

eredità artistica federiciana, per poi acquisire novità e<br />

stilemi dalla madrepatria francese da cui attingere le<br />

più interessanti novità e repertori ‘alla moda’. Dal consolidamento<br />

<strong>del</strong>le strutture difensive all’arredo liturgico,<br />

dalla madrepatria giunge persino la passione principale<br />

<strong>del</strong> primo monarca angioino, la produzione<br />

<strong>del</strong>la miniatura. Si importa nel Meridione napoletano<br />

una cospicua collezione di messali, antifonari, codici<br />

di ogni natura e genere, soprattutto decorati ed ornati,<br />

esito <strong>del</strong> fervido clima religioso di mediazione cattolica<br />

francese dal quale si ricavano nuovi spunti artistici<br />

per la futura arte <strong>del</strong>la pagina miniata 4 italiana.<br />

Con la persistenza <strong>del</strong>l’influsso francese anche sotto il<br />

trono di Carlo II (1285-1303) il fervore edilizio, propriamente<br />

di carattere sacro, prende il sopravvento<br />

nella matura edificazione <strong>del</strong> coro di San Lorenzo<br />

Maggiore a Napoli (1270-1275), in cui ad un indirizzo<br />

costruttivo di stampo francescano si affianca la notevole<br />

soluzione <strong>del</strong> più puro gotico francese rayonnant 5 .<br />

Il nuovo linguaggio ‘alla francese’ persiste nell’intera<br />

casata angioina mediante un ‘linguaggio di corte’ 6<br />

SALTERNUM<br />

- 90 -<br />

dedito allo sfarzo ma nel contempo moderato, anche<br />

tramite la realizzazione di oreficerie esplicitamente<br />

suntuarie in cui i principali elementi di elaborazione,<br />

l’oro e il materiale eburneo, costituiscono la sostanza<br />

di pregevoli manufatti di carattere votivo. Accanto ad<br />

una matrice artistica di fondo francese, il Regno di<br />

Napoli sarà testimone di varie ‘intromissioni’ anche<br />

locali, soprattutto nel linguaggio pittorico. Intrusioni<br />

generate da varie personalità provenienti dal fermento<br />

culturale in corso nell’Italia centrale 7 . Il personaggio<br />

decisivo che rivoluzionerà maggiormente la maturazione,<br />

nel senso gotico, di questa arte figurativa ‘locale’<br />

è il romano Pietro Cavallini, arrivato a Napoli nel<br />

1308, il quale si attesta ed opera nella cappella di San<br />

Aspreno nel transetto <strong>del</strong> Duomo e nel vasto ciclo<br />

<strong>del</strong>la cappella Brancaccio in San Domenico Maggiore.<br />

Nella ‘Crocifissione’ di tale cappella (1308-1309),<br />

accanto ad una moderata ‘sobrietà monumentale’ 8 , si<br />

evince un processo di semplificazione formale e di<br />

regolarità compositiva che la pittura cavalliniana, di<br />

fe<strong>del</strong>e inclinazione al ‘revival’ <strong>del</strong>l’Antico, importa negli<br />

atelier napoletani come linguaggio d’innovazione. Sarà<br />

poi in futuro, sotto il regno di Roberto il Saggio, che<br />

Napoli raggiungerà l’apogeo culturale all’interno di un<br />

più sentito ‘ambiente di corte’, il quale sarà partecipe<br />

<strong>del</strong>la nascita di un linguaggio ‘locale’ sicuramente tra i<br />

più elaborati. Sarà la chiamata di personalità di spicco<br />

come Simone Martini e di Giotto ad esaltare la produzione<br />

su tavola ed enfatizzare la promozione politica e<br />

religiosa degli affreschi nei complessi chiesastici <strong>del</strong>la<br />

Napoli angioina. Dalla commissione <strong>del</strong> senese<br />

Simone Martini raffigurante il San Ludovico da Tolosa<br />

<strong>del</strong> 1317, la pala dal primordiale valore propagandistico<br />

e politico di tutta la Storia <strong>del</strong>l’arte su tavola, alla<br />

stagione artistica di Giotto all’ombra <strong>del</strong> Vesuvio<br />

(1328-1334), il Regno raggiungerà una centripeta<br />

influenza di interessi culturali ed artistici di prim’ordine.<br />

Delle attestazioni strettamente giottesche - autografe<br />

e non - le testimonianze napoletane si limitano a<br />

qualche lacerto pittorico o per lo più a fonti indirette,<br />

ma rimanendo fe<strong>del</strong>i alle relazionate indagini degli studiosi<br />

9 , le prime attestazioni <strong>del</strong> Maestro ‘protoumanista’<br />

nella capitale angioina sono da ricercare nella<br />

decorazione <strong>del</strong>la chiesa francescana di Santa Chiara,<br />

eretta per volontà devozionale di Sancha de Maiorca<br />

(1310), seconda sposa di Roberto, nella quale sono<br />

stati ravvisati due cicli biblici testamentari e Storie<br />

<strong>del</strong>l’Apocalisse, di cui il frammento affrescato raffigu-


ante il Compianto sul Cristo morto realizzato nel coro<br />

<strong>del</strong>le monache risulta, a vasto parere critico, il significativo<br />

intervento <strong>del</strong> maestro 10 ma non l’unico, essendo<br />

nel contempo attivo, coadiuvato da altre eminenti<br />

personalità come il Maso o il c.d. ‘Parente’ (Stefano ?),<br />

in più cantieri <strong>del</strong> Regno. Giunto così a Napoli un<br />

patrimonio giottesco di sì valida avanguardia e continuità,<br />

il modus stilistico fiorentino si aggiudica la continuità<br />

negli ambienti di corte angioina sino alla fine <strong>del</strong><br />

secolo, permettendo la sollecitazione alla nascita di<br />

una scuola artistica originale e, finalmente, autoctona.<br />

Dall’eredità giottesca prendono parte alla persistenza<br />

di tale repertorio stilistico numerose figure di artisti<br />

minori, costituendo in Campania quell’avvincente<br />

‘svolta gotica’ soprattutto nelle figure <strong>del</strong> ‘Maestro di<br />

Giovanni Barrile’, il ‘Maestro <strong>del</strong>le tempere francescane’,<br />

come pure, in particolar modo, di Roberto<br />

d’Oderisio: al di là <strong>del</strong>la sintetica lettura critica <strong>del</strong>la<br />

sua ‘Crocefissione’ ebolitana, vuole essere di spinta ad<br />

un maggiore interessamento degli studiosi sia su<br />

Roberto che <strong>del</strong>la sua attività nel salernitano 11 . Il maestro<br />

in questione alla corte dei d’Angiò riprende il<br />

completo impeto di Giotto, armonizzando stili e<br />

forme in una pittura tra le più affascinanti <strong>del</strong>la nostra<br />

Storia <strong>del</strong>l’Arte.<br />

Roberto, un pittore ‘familiare’. La ‘scalata sociale’ <strong>del</strong> pittore<br />

tra inizio e metà <strong>del</strong> Trecento<br />

Le notizie biografiche sul pittore trecentesco si<br />

limitano a brevi interventi all’interno di contributi<br />

storico-artistici 12 collegati, in genere, ad una curiosità<br />

di erudizione o nell’ambito di indiretti collegamenti<br />

stilistici su artisti minori che nel passato la storiografia<br />

non ha esaustivamente affrontati. Di un suo particolare<br />

apprendistato come giovane emergente nell’entourage<br />

<strong>del</strong>le ditte artistiche francesi presenti nella Napoli<br />

trecentesca non si ha una diretta testimonianza, ma<br />

palese risulta su Roberto l’influenza <strong>del</strong>la filiazione<br />

giottesca presso gli Angioini soprattutto nella figura di<br />

Maso di Banco, qui in veste di coadiuvante di Giotto<br />

nella capitale <strong>del</strong> Regno. Sicuramente il giovane pittore<br />

avrà avuto modo di osservare e soprattutto di attingere<br />

dai parametri a fresco <strong>del</strong> Monastero di Santa<br />

Chiara il particolare fascino <strong>del</strong>la più alta lezione giottesca,<br />

nonché di assimilare la raffinata sintassi compositiva<br />

masiana. Delle proprie abilità compositive in età<br />

di prima formazione, epoca che risale alla pala con la<br />

Crocifissione - di cui si parlerà ampiamente più avanti<br />

GIANMATTEO FUNICELLI<br />

- 91 -<br />

Fig. 3 - Eboli (SA), Chiesa di S. Francesco, - XIII sec. (ante 1224). Facciata barocca<br />

originaria (prima dei bombardamenti <strong>del</strong> 1943).<br />

- chi scrive ricorderà brevemente la commissione pittorica<br />

nella cappella Barresi dove si apre il ciclo <strong>del</strong>la<br />

Natività e lo Sposalizio <strong>del</strong>la Vergine presso la Chiesa di<br />

San Lorenzo Maggiore a Napoli (prima metà XIV<br />

secolo). Strettamente connessa a questa fase risulta<br />

anche la ‘Madonna Mater Omnium’ <strong>del</strong>la Chiesa di San<br />

Domenico Maggiore. In maniera sintetica sarà doveroso<br />

annoverare anche la serie dei Sacramenti affrescati<br />

nella Chiesa <strong>del</strong>l’Incoronata, datati approssimativamente<br />

ad un’epoca posteriore al 1352 13 . Essi si inseriscono<br />

in una più elegante maturità stilistica <strong>del</strong> pittore<br />

campano, indubbiamente appresa dalla fe<strong>del</strong>e ammirazione<br />

per il senese Martini, il quale riscontrò un largo<br />

successo di pubblico nel Regno di Napoli 14 . Per comprendere<br />

l’importanza <strong>del</strong> percorso artistico di<br />

Roberto d’Oderisio sarà necessario ripercorrere brevemente<br />

le tappe <strong>del</strong>la sua ‘scalata sociale’ nel mondo<br />

<strong>del</strong>la Corte angioina. In un’epoca in cui l’artista<br />

comincia a rendersi conto dei propri valori e <strong>del</strong>le preziosi<br />

doti nel complesso tessuto sociale, tra la fine <strong>del</strong><br />

Duecento e inizio <strong>del</strong> Trecento, Roberto rappresenta<br />

l’artista ‘tipo’ di questo grande sviluppo. Già all’epoca


Fig. 4 - Eboli (SA), Chiesa di San Francesco, XIII sec. (ante 1224). Interno stuccato<br />

prima <strong>del</strong> 1943.<br />

<strong>del</strong> Petrarca, il quale incontra Simone Martini ad<br />

Avignone, il processo di valutazione sociale <strong>del</strong>l’artista<br />

medievale si muove su nuove prospettive: ammirando<br />

le opere di Giotto il poeta aretino definisce i lavori <strong>del</strong><br />

pittore come ‘grandi monumenti <strong>del</strong>l’ingegno’. Dopo<br />

un lungo oblio di riconoscimenti, in cui la cortina <strong>del</strong>l’anonimato<br />

si eleva per l’artifex a grande altezza,<br />

soprattutto nel primo Medioevo, la figura <strong>del</strong>l’artista<br />

riesce ad accaparrarsi la giusta notorietà dopo l’Anno<br />

Mille. Il metodo artistico <strong>del</strong> mondo medievale attraverso<br />

cui si evidenzia l’azione dei committenti e il successo<br />

degli artisti, produce, grazie anche alla complicità<br />

<strong>del</strong> pubblico devoto, soprattutto per l’artista tardo<br />

medievale, la consapevolezza <strong>del</strong>la propria abilità e il<br />

risultante riconoscimento elogiativo 15 . La formazione<br />

<strong>del</strong>le corporazioni e <strong>del</strong>le gilde tra le città più rinomate<br />

<strong>del</strong> tempo, sembrano però denunciare nell’artista<br />

degli stretti regimi di valutazione e sottomissione al<br />

cospetto <strong>del</strong>la sfera politica, o quanto meno di fronte<br />

alla figura che patrocina l’opera. Un fenomeno in realtà<br />

di vero contrasto nel discorso di un’autonomia <strong>del</strong>la<br />

persona. In una logica di ‘sottomissione’ l’artista, o per<br />

meglio dire ancora l’artigiano, ritrova nell’istituto <strong>del</strong>la<br />

‘familiaritas’ il suo fertile habitat di promozione e la<br />

libertà di autogestione professionale. La valutazione<br />

<strong>del</strong>le proprie abilità e la giusta nobilitazione <strong>del</strong>l’artista<br />

nel complesso tessuto di corte è un qualcosa che ha<br />

origini lontane, e non a caso francesi 16 , in cui il maestro<br />

‘esperto’ in questione viene inserito nell’ambiente<br />

signorile, come fi<strong>del</strong>is oppure con massima dignità<br />

come familiaris <strong>del</strong> monarca riuscendo, tramite detta<br />

carica, ad assegnarsi il rinomato ruolo nella scala<br />

sociale e aggiudicandosi il giusto prestigio verso il<br />

pubblico. Il fortunato artista che veniva insignito di<br />

SALTERNUM<br />

- 92 -<br />

questo titolo nobilitante riusciva non solo ad svincolarsi<br />

dalle rigide norme <strong>del</strong>le corporazioni, ma acquistava<br />

un vero e proprio status giuridico di promozione<br />

sociale. Al fortunato maestro che risiedeva nel clima<br />

dei nobili, oltre alla sua immediata elevazione si garantivano<br />

una serie di concessioni e compensi più che<br />

cospicui. Dal corrispettivo in denaro al vestiario, per<br />

poi possedere il libero accesso ai più disparati servizi<br />

di corte, il personaggio nominato viveva nell’agiatezza<br />

regale lasciandosi alle spalle il precedente e poco gratificante<br />

status di ‘artigiano’. Nella particolarità <strong>del</strong><br />

Regno di Napoli, dal passaggio <strong>del</strong> potere svevo a<br />

quello angioino, la concessione <strong>del</strong> titolo di ‘familiare’<br />

accrebbe notevolmente 17 . Le personalità che si radunarono<br />

attorno all’Imperatore si configurarono come<br />

valide figure professionali le quali misero a disposizione<br />

<strong>del</strong> re le loro capacità in ambito letterario ed artistico.<br />

Le prime investiture da parte dei sovrani non<br />

nascono prettamente nell’ambito trecentesco, e sulle<br />

prime esperienze di questo vasto fenomeno di indirizzo<br />

politico le fonti la dicono lunga 18 . Gli storici hanno<br />

dimostrato in passato che i primi ad essere nominati,<br />

soprattutto architetti ed orafi 19 , vennero convalidati al<br />

titolo nobiliare già nella seconda metà <strong>del</strong> Duecento,<br />

sotto il potere di Carlo I 20 . Ma la più vasta ‘stagione<br />

angioina’ 21 di reclutamento risale al periodo imperiale<br />

tra i due monarchi Carlo II e Roberto I, i maggiori<br />

sovrani che contribuirono alla crescita culturale e al<br />

fermento artistico <strong>del</strong>la capitale. Soprattutto Roberto,<br />

che fu il primo Angioino ad assegnare il titolo nobilitante<br />

a dei pittori, i quali venivano arruolati da terre<br />

straniere quali la Toscana e l’ambito romano, dato che<br />

già in epoche precedenti la Corte stringeva con tali<br />

aree rapporti politici ed economici. A conclusione di<br />

tale annotazione, sarà doveroso evidenziare che non<br />

fu sempre giustamente riconosciuta la fama di un artista<br />

di prestigio nel parametro <strong>del</strong>le concessioni nobiliari.<br />

A poche figure veniva concesso il privilegio di<br />

tale carica e, per lo più, solo all’artista che stabiliva con<br />

il sovrano uno stretto rapporto confidenziale. Furono<br />

molti difatti i personaggi illustri che resero il Regno di<br />

Napoli una mole di testimonianze artistiche significanti<br />

ma che nel contempo furono esclusi da tale<br />

nomina e da qualsiasi riconoscimento 22 . Nella specifica<br />

parentesi di Roberto d’Oderisio, l’illustre pittore al<br />

servizio <strong>del</strong>la nobiltà angioina venne anch’esso insignito<br />

<strong>del</strong>la carica di ‘familiare’ e questa attestazione ci<br />

perviene da due diverse documentazioni: innanzi tutto


le fonti storiche tratte dalla Cancelleria angioina all’epoca<br />

di Carlo III di Durazzo, pubblicate dallo storico<br />

Nicola Barone in data 1887 23 . Nei detti scritti si deduce<br />

che la sua nomina risale al 1 Febbraio <strong>del</strong> 1382 e<br />

che gli viene conferita da Carlo III di Durazzo. Altra<br />

testimonianza risale ad un manoscritto seicentesco<br />

custodito presso la Biblioteca Nazionale di Napoli.<br />

Nel testo si attesta che: «Magister Robertus de Oderisio fit<br />

familiaris, es magister pictor noster cum gagiis unciarum<br />

XXX…», evidenziando anche alcuni dati sull’entità<br />

<strong>del</strong> compenso che veniva attribuito al maestro annualmente.<br />

Prestatosi al giuramento di fe<strong>del</strong>tà verso il proprio<br />

sovrano, quest’ultimo, di prassi, conferma ed<br />

ammette la frequentazione <strong>del</strong>l’artista nella propria<br />

sfera nobiliare (de nostro hospitio retinemus). Si presume,<br />

poi, da tali fonti che Roberto doveva essersi inserito<br />

nella cerchia aristocratica angioina già in epoche precedenti,<br />

forse quando gli venne commissionata la<br />

decorazione nell’Incoronata, tra gli anni Quaranta e<br />

Cinquanta 24 . Ma questo esclude che esso sia stato insignito<br />

prima <strong>del</strong> governo di Carlo III di una precedente<br />

nomina. Che egli abbia però già lavorato al servizio<br />

<strong>del</strong>la Corte in commissioni e lavori pubblici è un dato<br />

scritto (il giovane artista viene indicato, infatti come<br />

magister pictorem nostrum). In base alle fonti <strong>del</strong>la cancelleria<br />

angioina si potrebbe anche avanzare qualche ipotesi<br />

sull’attività artistica che il maestro esplicitò al servizio<br />

di Carlo III subito dopo l’ottavo decennio <strong>del</strong> secolo<br />

25 . Oltre ai privilegi elargiti dal sovrano verso l’artista,<br />

con le rispettive donazioni, esenzioni e vitalizi che spettavano<br />

al ‘familiare’ in questione, è da evidenziare che<br />

per l’elaborazione <strong>del</strong>l’opera il pagamento veniva reso a<br />

parte.<br />

Il convento di San Francesco in Eboli<br />

La fabbrica chiesastica, di indirizzo francescano,<br />

costituita dall’ampia aula di culto, il grande campanile<br />

ed annesso il vasto complesso conventuale dedicati al<br />

santo di Assisi si erge su di un colle <strong>del</strong>l’antico abitato<br />

ebolitano, precisamente sull’altura più amena <strong>del</strong> tracciato<br />

urbano <strong>del</strong>la Evoli medievale, dalla cui posizione<br />

è possibile scorgere in lontananza il profilo <strong>del</strong> mare.<br />

Dalle fonti si può <strong>del</strong>ineare la primaria struttura <strong>del</strong>la<br />

chiesa, costituita da una possente architettura gotica<br />

dalle «fabbriche più che solide», le quali «possono contenere<br />

un migliaio e mezzo di uomini», e dallo spazioso<br />

chiostro con quattro bracci a corridoio molto ampi<br />

(«che sono di quaranta palmi») su cui si aprono i quat-<br />

GIANMATTEO FUNICELLI<br />

- 93 -<br />

tro ambienti dei magazzini («in semetria») 26 . Altri<br />

ambienti si profilano nella struttura claustrale, costituiti<br />

da vani quali la cucina, le stalle, il refettorio e l’ampio<br />

scalone con balaustra marmorea che conduce,<br />

sulla parete di fondo, al piano superiore verso una cappella<br />

funeraria e tredici stanze di uso privato. Circa la<br />

fondazione <strong>del</strong> complesso risulta arduo ricercare una<br />

datazione precisa, ma si è concordi a datare il cenobio<br />

nel lasso di tempo compreso tra il 1282 e il 1286, mentre<br />

la singola chiesa, come si esporrà a breve, risulta<br />

essere più antica. La struttura originaria, infatti, era in<br />

primis dedicata al santo Lorenzo 27 . Di tale titolo originario<br />

fa fede la grande lapide ottocentesca murata<br />

all’interno <strong>del</strong>l’aula di culto, sulla base <strong>del</strong> lunettone<br />

nella muratura di destra, appena all’ingresso <strong>del</strong>l’ariosa<br />

navata unica:<br />

«DOM/ECL(ESI)AM HANC TIT(ULO) S(ANCTI)<br />

LAURENTII IN/ PULCHRIOREM FORMAM<br />

RESTITUTAM/ A.D. MDCCXLVII DONATAM<br />

HABEMUS/ A PHILIPPO MINUTOLO<br />

ARCH(IEPISCOPO)PO/SALERN(ITAN)O AP. V.<br />

MCCLXXXVI, GULIEL/MUS DEIN S. SEVERI-<br />

NUS ALTER EIUS-/DEM CIVITATIS<br />

ARCH(IEPISCO)PUS XX JANUAR/ MCCCLXX<br />

CONSECRAVIT EIUSQUE/ FESTUM DOMINI-<br />

CA II POST EPIPH(ANIAM)/ VOLUIT FORE<br />

P(ER)PETUO CELEBRANDUM».<br />

Che la chiesa dovesse appartenere ad una fase più<br />

antica rispetto a quella dei Padri Minori Conventuali<br />

fu segnalato già dal Longobardi 28 , il quale rende noto<br />

un decreto inviato da don Raffaele Resta, parroco<br />

<strong>del</strong>la suddetta chiesa, all’arcivescovo di Salerno in data<br />

7 Agosto 1809. Con tale ordinanza il parroco timoroso<br />

temette che i preti <strong>del</strong>l’allora contemporanea<br />

Ricettizia di Eboli, in seguito alle violente soppressioni<br />

in atto nel paese, volessero trasferirsi nella chiesa di<br />

San Francesco in cui officiava proprio il Resta e dove<br />

quest’ultimo beneficiava di alcuni diritti. In tale protesta,<br />

indirettamente si deduce che la chiesa «… per la<br />

soverchia antichità, minaccia ruina; ed è addiventata<br />

non più decente […] perché piovosa per ogni parte».<br />

Inoltre il sacerdote ribadisce che «…detta chiesa soppressa<br />

formava anticamente la parrocchiale <strong>del</strong> supplicante,<br />

sotto il medesimo titolo di San Lorenzo». Per<br />

volontà poi <strong>del</strong>l’ordinario <strong>del</strong> tempo (quasi sicuramente<br />

tale Bartolomeo De Porta), quando fu fondato il<br />

monastero dei Padri Conventuali, egli fu costretto a<br />

cedere la chiesa alla comunità monastica, mentre al De


Porta fu concessa una piccola chiesetta per la cura animarum<br />

che ancora oggi porta il titolo di San Lorenzo.<br />

Sul finire <strong>del</strong> Duecento il complesso francescano<br />

comincia a recepire i suoi primi ex voto e donazioni da<br />

parte di aristocratiche famiglie locali, ma soprattutto si<br />

arricchisce di proventi accumulati dai terreni che i<br />

Frati prendevano in enfiteusi dalla Mensa<br />

Arcivescovile di Salerno e che poi concedevano in<br />

fitto a privati. Della struttura chiesastica sarà opportuno<br />

fornire di inquadramento storico, per poi collegarsi,<br />

in definitiva, alla tavola <strong>del</strong> d’Oderisio. La fabbrica,<br />

di cui si ignora l’originaria struttura tardo romanica,<br />

doveva essere stata eretta in un epoca anteriore al<br />

1224, in quanto in tale data risultavano già sepolti i<br />

due nobili Iohel e Jacobus Potifredus, precisamente sul<br />

catafalco di un sepolcro all’interno <strong>del</strong>l’antica cappella<br />

dove tutt’oggi si apre la sagrestia. Successivamente, il<br />

sacrario avrebbe assunto, nell’interno come <strong>del</strong> resto<br />

in facciata, la configurazione di un modesto gotico<br />

meridionale, con tanto di contrafforti, guglie e pinnacoli.<br />

All’interno risultano presenti sin dalla prima edificazione<br />

un numero cospicuo di cappelle adibite alla<br />

destinazione funeraria di numerose famiglie aristocratiche<br />

ebolitane. Dei successivi rifacimenti, sarà opportuno<br />

evidenziare quelli cinquecenteschi, che riguardano<br />

soprattutto la commissione di Andrea Sabatini da<br />

Salerno, attivo sulle vele <strong>del</strong>la crociera <strong>del</strong> fondo absidale,<br />

su cui appare evidente la schietta volontà dei<br />

Frati di ammodernare lo spazio sacro «in forma<br />

moderna e speciosa». Un preciso intento artistico<br />

enfatizzato da un particolare fervore che colpì anche il<br />

micro-complesso in questione. Oltre a tale attestazione<br />

sono due i monumenti sepolcrali, risalenti alla<br />

seconda metà <strong>del</strong> XVI secolo, che altresì campeggiano<br />

nei due spazi in controfacciata. Altra attestazione<br />

Fig. 5 - Eboli (SA), Chiesa di San Francesco, XIII sec. (ante 1224). Facciata moderna<br />

dopo i rifacimenti <strong>del</strong> Novembre 1980.<br />

SALTERNUM<br />

- 94 -<br />

quasi sicuramente coeva ai due monumenti riguarda<br />

l’originario tabernacolo eucaristico sulla parete di<br />

fondo 29 , occultato poi dall’imponente altare maggiore<br />

settecentesco eseguito dal marmorario napoletano<br />

Giuseppe di Bernardo. Il secondo e più ampio ripristino<br />

<strong>del</strong>la chiesa, attraverso cui è ancora oggi possibile<br />

ravvisarne parte <strong>del</strong>la decorazione barocca in stucco e<br />

marmo, risale al XVIII secolo. I primi ripristini di tale<br />

epoca furono di carattere architettonico, in quanto nel<br />

primissimo Settecento la chiesa versava in un forte<br />

degrado strutturale, soprattutto quando «i passati e<br />

continui terremoti ne hanno minato la forte fibbra».<br />

Secondo la documentazione notarile, i lavori di tali<br />

restauri furono imponenti e finemente accurati.<br />

Cinquemila furono i ducati che si spesero per attivare<br />

i due maestri Giuseppe Troisi da Napoli (stuccatore) e<br />

Sabato Conforti da Sanseverino (costruttore) nell’ammodernamento<br />

<strong>del</strong>le superfici interne e sulla facciata.<br />

Nel documento si fa voce che per il suo esaustivo<br />

completamento ne sarebbero bastati milleduecento,<br />

attraverso i quali avrebbero riassettato i pavimenti,<br />

installato gli altari e conclusa la decorazione a stucco 30 .<br />

L’involucro tardo medievale fu ben presto rimpiazzato<br />

dall’orditura complessa e sfarzosa <strong>del</strong> barocco meridionale,<br />

in una campagna di lavori che va dal 1747 al<br />

1780 ca.. Della facciata originaria fu restituita una<br />

(quasi) fe<strong>del</strong>e nudità, ripristinando l’originale portale<br />

marmoreo cinquecentesco, rimasto intatto nei bombardamenti<br />

bellici <strong>del</strong> 1943 che distrussero gran parte<br />

<strong>del</strong>l’intero complesso.<br />

La ‘Crocifissione’ di Roberto<br />

La grandiosa tavola trecentesca sarà oggetto in<br />

futuro di una particolare analisi con adeguato apparato<br />

critico. La disamina che in questa sede si vuole<br />

esporre sarà una ricerca circa la sua originaria collocazione<br />

e intesa come una discussione sul fondamentale<br />

repertorio iconografico custodito da questo capolavoro<br />

<strong>del</strong> giottesco salernitano. Della tavola ebolitana, di<br />

cui il dibattito critico ha concordemente collocato la<br />

realizzazione tra il 1350 e il 1360 ca., non si hanno<br />

notizie dirette tra la documentazione angioina, né tra<br />

gli scritti vasariani né tra gli oggetti, quadri ed arredi<br />

menzionati nell’inventario che il già citato parroco<br />

Raffaele Resta, religioso al servizio <strong>del</strong> convento ebolitano,<br />

compilò nel 1811 allorché si dovettero denunziare,<br />

per legge, l’intera oggettistica e le opere d’arte<br />

sacra <strong>del</strong>le chiese soppresse. Ad avviso di chi scrive si


potrebbe ipotizzare che l’opera a quel tempo si trovasse<br />

ancora nel sacrario francescano, o quanto meno<br />

nella cittadina. Se il parroco non menziona la tavola<br />

nel suddetto catalogo, si può pensare che il capolavoro,<br />

in quel lasso di tempo, fosse stato furtivamente trasportato<br />

in un’abitazione privata o nascosto in un<br />

luogo inaccessibile per essere tutelato da una possibile<br />

soppressione o per timore di essere sequestrato ed<br />

inserito in qualche collezione museale. La sua prima<br />

individuazione tangibile risale al 1846, quando lo storico<br />

ed appassionato ricercatore ebolitano Giuseppe<br />

Augelluzzi individuò l’opera nella sacrestia <strong>del</strong>la chiesa<br />

francescana. L’affascinato studioso segnalò il capolavoro,<br />

tramite una dettagliata inventariazione, ad un<br />

suo conoscente, tale Camillo Minieri Riccio. La lettera-documento<br />

risulta a tutt’oggi la prima scheda critica<br />

<strong>del</strong> prezioso dipinto 31 . Ben presto il pregio di questo<br />

nuovo capolavoro svelato ebbe larga eco tra gli<br />

studiosi. Furono molti i critici che si occuparono <strong>del</strong><br />

‘Caso d’Oderisio’ e il capolavoro minore fu riesumato<br />

dal dimenticatoio. La rapida coltre di notorietà che<br />

ben presto ricoprì l’opera incitò la Real Maggiordomia<br />

Maggiore e Sopraintendenza Generale di Casa Reale a<br />

custodirlo nel Museo Borbonico, in quanto «sarebbe<br />

stato interessante per la nostra storia pittorica» 32 .<br />

Inoltre si evince dalla lettera in questione che il sovrano<br />

borbonico non voleva assolutamente decontestualizzare<br />

l’opera dalla sua originaria collocazione, impegnandosi,<br />

oltre a ciò, a fare in modo che essa «si sorvegli<br />

per la sua conservazione». Da tale testimonianza<br />

risulta, inoltre, che nel Novecento la tela risiedeva<br />

ancora nel sacrario ebolitano. In questo breve periodo,<br />

il capolavoro partecipò anche alla sua prima esposizione,<br />

in data 1869, nella quale fu inoltre premiata con un<br />

diploma d’onore 33 . Nei successivi bombardamenti <strong>del</strong><br />

1943 la chiesa subì numerosi danni strutturali e la perdita<br />

di molte opere d’arte che abbellivano l’interno<br />

barocco. Nel disperato ripristino, la Crocifissione fu<br />

riesumata dalle macerie completamente integra.<br />

Nell’immediato dopoguerra l’arcivescovo di Salerno<br />

decise di restaurare l’antica tavola che da allora non fu<br />

mai più ricollocata nella chiesa d’origine, entrando a<br />

far parte <strong>del</strong>la raccolta sacra <strong>del</strong> Museo Diocesano <strong>del</strong><br />

capoluogo.<br />

Descrizione <strong>del</strong>l’opera<br />

La tavola, così come si presenta attualmente, consta<br />

di un unico pannello sovrastato da un’ampia cima-<br />

GIANMATTEO FUNICELLI<br />

- 95 -<br />

sa, sicuramente resecata e che poteva quasi con certezza<br />

terminare con un elemento cuspidato. A questa<br />

ipotesi potrebbe inoltre affiancarsi la supposizione<br />

che la tavola sarebbe stato il pannello centrale di un<br />

più vasto polittico, forse costituito da altri due o quattro<br />

scomparti che andavano a congiungersi sugli stessi<br />

bordi <strong>del</strong> piano rettangolare centrale (su cui chi scrive<br />

azzarda l’ipotesi <strong>del</strong>la presenza di scene <strong>del</strong>la<br />

Passione impostate su più registri sovrapposti). Il collezionismo<br />

seicentesco avrebbe poi brutalmente<br />

smembrato e ripartiti i supposti pannelli laterali. I<br />

primi interventi di restauro che si conoscono, quelli<br />

inerenti l’esilio post-bellico <strong>del</strong>l’opera dall’originaria<br />

collocazione in Eboli al restauro salernitano, sono i<br />

due <strong>del</strong> 1953 e <strong>del</strong> 1984, i quali contribuirono a ripristinare<br />

le tonalità pittoriche, nonché l’originaria doratura<br />

<strong>del</strong> fondo, integrando tale lavoro con una rinforzata<br />

parchettatura sul tergo. Nella lettura di tale dipinto<br />

si è voluto cogliere l’eversiva originalità che il de<br />

Oderisio giovanile ha qui interpretato, riuscendo però<br />

solo in parte nell’intento, in quanto il pittore, alle<br />

prime armi con le commissioni religiose, risulta fortemente<br />

declinato alla maniera dei ‘Grandi’ che operano<br />

nell’inizio <strong>del</strong> secolo. La scena che si imposta angustamente<br />

su detta tavola, infatti, rivela in Roberto una<br />

fe<strong>del</strong>tà ai modi di Maso di Banco, attivo in quell’epoca<br />

nelle decorazioni di Castelnuovo a Napoli.<br />

Dell’eredità masiana il pittore riprende soprattutto il<br />

gruppo <strong>del</strong>le ‘pie donne’ con il motivo dolente <strong>del</strong>lo<br />

svenimento <strong>del</strong>la Vergine, che si sorregge a malapena<br />

sulla spalla <strong>del</strong>la figura vicina, accorsa in conforto,<br />

mentre dall’altro lato compensa lo spazio, nel ritmo<br />

compositivo, la figura leggermente ritrosa <strong>del</strong> San<br />

Giovanni evangelista che congiunge doloroso le mani<br />

al petto, indietreggiando lievemente il torso per osservare<br />

dal basso il volto dolente <strong>del</strong> Cristo. Il rigido e<br />

severo profilo <strong>del</strong>la croce, su cui sono incise le pallide<br />

membra ormai spente <strong>del</strong> Cristo, sovrasta la folla degli<br />

astanti che bipartiscono i due terzi <strong>del</strong>lo spazio in<br />

gruppi netti e ben distinti. I due insiemi sono scanditi<br />

nella costruzione spaziale tramite una moderata scala<br />

di profondità, dove prevale sia lo scorcio allusivo sia<br />

l’incessante e drammatico dinamismo dei personaggi,<br />

enfatizzato soprattutto sull’estremità <strong>del</strong> fondale, dalle<br />

punte <strong>del</strong>le lance issate degli armigeri. L’ampiezza<br />

<strong>del</strong>la costruzione scenografica, la quale denuncia un<br />

più ampio respiro di folla, viene accentuata sul fondo<br />

monocromatico, privo di elementi paesaggistici,


soprattutto dalla massa dei Giudei e dei militari romani<br />

che si accalcano per la curiosità <strong>del</strong> mesto e drammatico<br />

evento. Ai piedi <strong>del</strong>la croce, le braccia protese<br />

<strong>del</strong>la Maddalena sulla base <strong>del</strong> suppedaneo spezzano<br />

le due masse distinte dei personaggi; un ricongiungimento<br />

affettivo, un drammatico compianto che<br />

Roberto ha assimilato dai modi <strong>del</strong>la più aulica e ‘francesizzante’<br />

Crocifissione di Anversa, smembrata dal<br />

Polittico Orsini che il Martini dipinge nel 1340 a Siena,<br />

prima <strong>del</strong>la stagione artistica avignonese. I caratteri<br />

tipologici e stilistici dei personaggi dipinti da Roberto<br />

dichiarano, secondo la critica novecentesca, un bagaglio<br />

compositivo di ascendenza cavalliniana 34 , mentre<br />

completamente diretto al modus pingendi giottesco è il<br />

motivo <strong>del</strong>la croce, che rimanda alla Crocifissione<br />

n.1074 -A <strong>del</strong>la Gemäldegalerie di Berlino, soprattutto<br />

nel motivo <strong>del</strong>lo spazio ‘tagliato’ che allude ad un’ambientazione<br />

più ampia alle spalle. Mentre di indirizzo<br />

puramente francescano è il motivo <strong>del</strong> lignum vitae sul<br />

prolungamento <strong>del</strong>l’estremità superiore <strong>del</strong>la croce su<br />

cui prende forma il serpente attorcigliato e il pellicano<br />

che nutre i piccoli con le proprie carni 35 , sinonimi questi<br />

di un linguaggio sacro che elabora per immagini<br />

una traduzione di simbologie di Salvezza e<br />

Redenzione. Della stessa filiazione giottesca è l’interpretazione<br />

<strong>del</strong>le figurine degli angeli straziati che raccolgono<br />

il sangue scarlatto acceso e zampillante dal<br />

costato e dai chiodi conficcati nelle mani <strong>del</strong> Cristo,<br />

qui elaborati in un forte dinamismo centripeto e scanditi<br />

dal movimento verso il centro più lesto e scattante<br />

rispetto al repertorio angelico giottesco<br />

<strong>del</strong>l’Oratorio degli Scrovegni a Padova. Il Cristo è raffigurato<br />

col capo chinato e dall’esile fattezza anatomica.<br />

Derivazione <strong>del</strong> retaggio giottesco risulta anche il<br />

sottile perizoma che abbiglia il Cristo, il quale abolisce<br />

il rigido e pesante panneggio <strong>del</strong>le croci toscane per<br />

reinterpretare il classicismo fidiaco <strong>del</strong>la trasparenza,<br />

che gioca sulle membra sottostanti un motivo di leggerissime<br />

striature e velature. Le parti <strong>del</strong> corpo sono<br />

finemente lumeggiate a chiaroscuro regolatamente<br />

graduato sia nel bacino dal costato duramente marcato,<br />

sia sugli arti lievemente allungati; un’ombreggiatura<br />

tendenzialmente realistica, ma che denuncia nel pittore<br />

una resa <strong>del</strong> disegno anatomico dal tratto troppo<br />

‘grafico’ che nella professionalità giovanile di Roberto<br />

è ancora da perfezionare. Maggiore livello qualitativo<br />

è da riconoscere, invece, nella resa dei volti, che interpretano<br />

all’unisono un’intensità patetica tra le più sti-<br />

SALTERNUM<br />

- 96 -<br />

molanti nella pittura <strong>del</strong>l’entroterra salernitano. Per<br />

l’espressionismo marchiato sulle fisionomie di questo<br />

dipinto, il formulario linguistico si dirige verso una<br />

puntuale indagine psicologica, persino negli angioletti<br />

che, dalla mimica facciale, sembrano essere i più<br />

addolorati. Nelle preziosità formali nonché cromatiche<br />

dei volti e sui panneggi, si rimanda insistentemente<br />

alla pittura senese, soprattutto per la grandiosità dei<br />

personaggi in primo piano, superando in questi le più<br />

ridotte proporzioni giottesche. L’andamento <strong>del</strong>le pieghe<br />

riversate sui tessuti riccamente mo<strong>del</strong>lati e dai<br />

bordi finemente rabescati incide i rispettivi movimenti<br />

e la gestualità di ogni singola figura. Alla stessa maestosità<br />

appartiene il ricco repertorio decorativo che<br />

sulla tavola si descrive sia sull’incorniciatura che<br />

inquadra il bordo, sia sui motivi ad intreccio presenti<br />

nelle aureole a pastiglia dei personaggi maggiori, a cui<br />

il maestro riserva un particolare repertorio nella punzonatura<br />

e nell’ornato, ognuno con motivi diversi<br />

dagli altri. A questo punto non è dato esprimersi ulteriormente<br />

se non per cogliere alcune ultime caratteristiche<br />

fondamentali. Una particolare attenzione si<br />

vuole dare, infatti, alla più contenuta figura in abito<br />

monacale genuflessa e con le mani giunte, rappresentata<br />

dinanzi alla Vergine in atto di sentita devozione<br />

verso il Cristo, che la lettera <strong>del</strong> sopraccitato<br />

Augelluzzi interpreta come una manomissione di un<br />

secondo intervento, forse dalla mano di un artista e/o<br />

monaco particolarmente devoto al complesso ebolitano<br />

36 . Secondo l’interpretazione di chi scrive, il personaggio<br />

in questione è da identificare in un rappresentante<br />

<strong>del</strong>lo stesso convento che vi era particolarmente<br />

legato e devoto alla tematica specifica religiosa, ha<br />

voluto essere partecipe <strong>del</strong>l’evento sacro facendosi<br />

ritrarre ai piedi dei personaggi. Di quale sia il valore<br />

iconografico <strong>del</strong>la sua presenza nel dipinto e la rispettiva<br />

identità non è dato di sapere. Nella completa scarsezza<br />

di tangibilità scritte, che il personaggio sia una<br />

figura appartenente all’ordine conventuale e che abbia<br />

sovvenzionato la realizzazione <strong>del</strong> capolavoro dipinto<br />

sembra essere in questo caso l’ipotesi più plausibile.<br />

Mettendo in disparte, quindi, l’ipotesi <strong>del</strong>la manomissione<br />

postuma a Roberto. Della sua presenza nel contesto<br />

religioso i precedenti contributi non hanno dato<br />

alcun valore scritto, ma risulta evidente anche all’occhio<br />

profano che il personaggio sia da intendersi come<br />

colui che ha particolarmente desiderato la realizzazione<br />

pittorica per la propria salvezza spirituale nonché


per indurre i fe<strong>del</strong>i ebolitani alla più devota lectio divina<br />

francescana. Si dovrà quindi interpretarlo come una<br />

figura particolarmente dotta, legata alla letteratura<br />

assisiate e soprattutto buon conoscitore dei fermenti<br />

artistici napoletani. Alle sue spalle, sul fondo, una formula<br />

a grandi caratteri neri in stile gotico dichiara la<br />

paternità <strong>del</strong>l’autore sull’opera. La dicitura è la seguente:<br />

«HOC OPUS PINSIT ROBERTUS DE ODORISIO<br />

DE NEAPOLIS».<br />

Ma perché l’ignoto monaco avrebbe voluto che<br />

proprio tale «Robertus de Oderisio de Neapoli» fosse il<br />

dipintore di detta commissione? Essendo questo<br />

dipinto l’unica opera autografa <strong>del</strong> pittore, una timida<br />

ipotesi potrebbe essere quella che Roberto fosse di<br />

origini ebolitane 37 o perlomeno particolarmente legato<br />

alla Evoli-Eboli di inizio Trecento. Non si spiegherebbe<br />

altrimenti questa particolare attenzione nel firmare<br />

precisamente l’opera ebolitana, e non altre. Se in<br />

diversi cantieri anche più significativi non abbiamo<br />

‘etichettature’ riguardanti il maestro, si evince che per<br />

GIANMATTEO FUNICELLI<br />

- 97 -<br />

Roberto era fondamentale quantomeno ‘farsi notare’,<br />

o lasciare un segno in<strong>del</strong>ebile <strong>del</strong>la sua presenza nel<br />

piccolo centro medievale (forse sua terra natia), per<br />

motivi ovviamente ancora oscuri agli studiosi. Però l’ipotesi<br />

deve ancora essere ampiamente considerata:<br />

perché il giovane dipintore si identifica come «Robertus<br />

de Neapoli» e non con le coordinate, in questo caso più<br />

appropriate, ossia «Robertus de Ebulo»? La motivazione<br />

per cui l’opera venga riconosciuta di tale paternità<br />

potrebbe essere legata alle spalle <strong>del</strong> dipinto di Eboli e<br />

<strong>del</strong>la sua importanza; inoltre è probabile che Roberto,<br />

prima ancora di compiere la sua scalata nel mondo<br />

<strong>del</strong>la familiaritas durazzesca, volesse essere già individuato<br />

come ‘operante nel Regno di Napoli’, e non<br />

come un modesto pittore <strong>del</strong>l’entroterra, e quindi ‘de<br />

Ebulo’.<br />

Ora la tavola campeggia in una <strong>del</strong>le sale <strong>del</strong><br />

Museo Diocesano di Salerno e, sotto i riflettori oggi<br />

come allora, conserva la vicenda di un artista, una<br />

testimonianza di fede e un mistero ancora tutto da<br />

decifrare.


Note<br />

1 Per una valida introduzione sulla pittura<br />

trecentesca nel Regno di Napoli cfr. DE<br />

VECCHI - CERCHIARI 1991.<br />

2 Su Manfredi, cfr. PETROCCIA 1957;<br />

FRUGONI 2006.<br />

3 Gli storici riconoscono, con cautela, che il<br />

motto <strong>del</strong> regno all’epoca di Carlo I fosse<br />

‘NOXIAS HERBAS’ (‘le cattive erbe’) e<br />

che esso fosse stato attribuito al rastrello,<br />

presente anche sullo stemma, il quale avrebbe<br />

simbolicamente cacciato via la ‘malerba’<br />

sveva. In realtà il rastrello identificava l’appartenenza<br />

degli Angioini ad un ramo<br />

cadetto dei Capetingi, dai quali poi ereditarono<br />

lo stemma con i gigli d’oro<br />

(SUMMONTE 1675).<br />

4 Per la corrente stilistica di tale epoca nel<br />

circuito <strong>del</strong>l’entroterra salernitano risultano<br />

degne di evidenza le pagine miniate <strong>del</strong><br />

Pontificale ad Usum Ecclesiae Salernitanae <strong>del</strong>lo<br />

sconosciuto Miniatore Meridionale, esposto<br />

presso il Museo Diocesano di Salerno e<br />

datato al 1285 ca..<br />

5 Sullo studio <strong>del</strong>l’architettura chiesastica di<br />

San Lorenzo Maggiore presso Napoli si<br />

confrontino gli scritti ottocenteschi <strong>del</strong><br />

Filangieri (FILANGIERI 1833) oppure la letteratura<br />

sull’arte angioina <strong>del</strong> Morisani<br />

(MORISANI 1969).<br />

6 Il Gotico ‘alla francese’ persiste nel<br />

Meridione come un ‘linguaggio di moda’ in<br />

particolare negli ambienti aristocratici e<br />

soprattutto in settori come l’oreficeria e la<br />

lavorazione <strong>del</strong>l’osso. Pertanto un’inclinazione<br />

di modi e correnti produttive francesi ha<br />

dato vita a Napoli ad uno specifico atelier<br />

regio dove si producevano metalli e cose preziose<br />

sotto le più esigenti direttive imperiali,<br />

realizzando così le più disparate oggettistiche<br />

tramite materiali pregiati provenienti direttamente<br />

dal mondo d’Oltralpe. Non a caso il<br />

Busto reliquiario di San Gennaro (1304-<br />

1306) per il Duomo di Napoli fu realizzato<br />

dagli specialisti francesi Etienne Godefroy,<br />

Guillaume de Ver<strong>del</strong>ay e Milet d’Auxerre.<br />

7 Uno tra questi è indubbiamente l’impronta<br />

in<strong>del</strong>ebile che lascia il toscano Montano<br />

d’Arezzo, il pittore che dopo aver assimilato<br />

l’abilità degli altri frescanti presso le<br />

decorazioni di Assisi, dove lui stesso fu<br />

parte attiva al progetto, raggiunge Napoli<br />

sotto committenza <strong>del</strong> cardinale Filippo<br />

Minutolo allo scopo di affrescare la cappella<br />

di famiglia nel Duomo. Il periodo di tale<br />

attività a Napoli va dal 1285 al 1290.<br />

SALTERNUM<br />

8 Così il Bologna definì la modulazione <strong>del</strong><br />

dipinto.<br />

9 Mi riferisco ai contributi che la studiosa<br />

Alessandra Squizzato ha esposto nei paragrafi<br />

e nelle schede d’approfondimento <strong>del</strong><br />

cap. 25 (ovvero la sezione titolata ‘Napoli e il<br />

Sud Italia. L’arte di corte degli Angioini e la<br />

Sicilia Aragonese’) a chiusura <strong>del</strong> volume sul<br />

Gotico di cui in SQUIZZATO 2006, pp. 809-<br />

827.<br />

10 Nello specifico intervento <strong>del</strong> maestro sui<br />

volti, dal tratto espressivo fortemente<br />

accentuato e all’avanguardia, si riconoscono<br />

innovazioni e stilemi in precedenza affrontati<br />

sulle decorazioni nella cappella <strong>del</strong>la<br />

Maddalena, nella basilica inferiore di Assisi.<br />

11 Scopo di questo scritto è <strong>del</strong>ineare un<br />

punto di partenza, ma anche un punto di<br />

arrivo circa i ‘perché’ e i ‘come’ che concernono<br />

questa tavola dipinta, che la critica, gli<br />

studi più autorevoli e i recenti contributi<br />

scientifici hanno sommariamente definita<br />

come un’opera <strong>del</strong> ‘contesto salernitano’, o<br />

ancora più genericamente come un lavoro<br />

‘appartenente ad una scuola giottesca napoletana’,<br />

e così via sempre più scivolosi verso<br />

la frammentarietà di aggiudicazioni. La<br />

scarsezza di fonti abbandona Roberto e la<br />

Crocifissione di Eboli nel baratro <strong>del</strong>la lettura<br />

storico-artistica <strong>del</strong>la pittura trecentesca<br />

riguardante il salernitano nel periodo<br />

angioino. In questo scritto si vuole dare un<br />

input per indurre gli studiosi ad una maggiore<br />

risoluzione investigativa, la quale potrebbe<br />

mettere in luce in maniera esaustiva le<br />

fasi pertinenti l’esperienza giovanile di<br />

Roberto legata alla città di Eboli e sul repertorio<br />

di valori che si cela nel capolavoro <strong>del</strong><br />

Convento di San Francesco in Eboli.<br />

12 Su Roberto cfr. LEONE DE CASTRIS<br />

1986a/b/c e il fondamentale LEONE DE<br />

CASTRIS 2003.<br />

13 Per quel che concerne la figura <strong>del</strong>l’artista<br />

nell’età medievale, cfr. CASTELNUOVO 2004,<br />

pp. V-XXXV.<br />

14 Come afferma Paola Vitolo (VITOLO<br />

2008), il fenomeno nasce fuori dall’Italia, in<br />

Inghilterra e in Paesi particolarmente legati<br />

all’Italia meridionale, come l’Ungheria e<br />

l’Aragona. In Francia il titolo era di ‘valet de<br />

chambre’.<br />

15 Dalle fonti risulta che sotto il governo di<br />

Carlo I furono insigniti più di un migliaio di<br />

artisti, mentre in epoca federiciana gli eletti<br />

non superavano la cinquantina.<br />

- 98 -<br />

16 Uno dei primi artifices in assoluto ad essere<br />

stato nominato con titolo nobiliare è<br />

Pierre d’Agincourt, amministratore <strong>del</strong>le<br />

fabbriche angioine. L’artista è riportato in<br />

due documenti <strong>del</strong> 1288.<br />

17 È nota agli studiosi la passione che Carlo<br />

I nutriva per l’oreficeria, per la quale non<br />

esitava a richiamare a corte notevoli maestri<br />

<strong>del</strong> cesello. Due di questi che lavorarono<br />

alla corte di Carlo sono Jacques d’Arras e<br />

Jacopo de Atrebato, entrambi documentati<br />

sul finire <strong>del</strong> XIII secolo.<br />

18 A tal riguardo cfr. DEL GIUDICE 1863, p.<br />

274.<br />

19 Da Paola Vitolo, nel discorso <strong>del</strong>la ‘familiaritas’<br />

in terra angioina (VITOLO 2008).<br />

20 Uno tra questi fu Tino da Camaino - che<br />

a Napoli, già dal 1323, lasciò ben quattro<br />

grandiose attestazioni scultoree – il quale<br />

non fu mai insignito di alcun privilegio<br />

autorevole.<br />

21 Cfr. BARONE 1887, pp. 5-30; 184-208.<br />

Sullo stipendio percepito da Roberto<br />

d’Oderisio, part. pp. 8-9.<br />

22 Per la decorazione degli interni presso<br />

l’Incoronata, cfr. BOLOGNA 1969, pp. 325-326.<br />

23 Purtroppo risulta arduo <strong>del</strong>ineare le<br />

imprese per cui Roberto si attivò dopo<br />

l’Incoronata. Forse, però, la prima commissione<br />

di Carlo III di Durazzo a Roberto fu<br />

il ciclo di affreschi in Santa Maria <strong>del</strong>la Pietà<br />

(c.d. ‘Pietatella’), eretta accanto all’omonimo<br />

ospizio per volontà di Carlo III. Nella<br />

chiesa si conserva la famosa Pietà su tavola<br />

attribuita a tale maestro.<br />

24 Il testo qui riportato è parte <strong>del</strong>la descrizione<br />

<strong>del</strong> giudice di pace Giuseppe<br />

Campagna a Giovanni Perretta, custodita<br />

presso l’Archivio di Stato di Salerno, busta<br />

n. 2468: «… le fabbriche più che solide possono<br />

contenere più di un migliaio e mezzo<br />

di uomini […]. Contiene un chiostro spazioso<br />

con quattro corridoi a pieno terreno<br />

che sono di 40 palmi per cadauno e nel<br />

chiostro restano ben quattro magazzini in<br />

semetria. Sulla dritta si trova un altro corridoio<br />

coverto dove resta la cucina, col refettorio<br />

con cinque sotterranei; ed oltre a ciò<br />

un altro cortile coverto con due stalle, un<br />

altro magazzino ed una cantina sotterranea,<br />

[…]. Per una scala piucchè magnifica di<br />

marmo nostrale, con balaustra di marmo<br />

fino, si ascende ad un gran salone, che contiene<br />

una cappella privata e tredici stanze<br />

variamente divise».


25 Il parroco Giuseppe Tagliamonte, prevosto<br />

per molti anni al servizio <strong>del</strong>la Chiesa,<br />

affermò che nella sagrestia <strong>del</strong>la chiesa vi<br />

era una pergamena (oggi scomparsa) dalla<br />

quale risultava che i Padri Minimi<br />

Conventuali in data 1282 si trasferirono ad<br />

officiare nella Chiesa di San Lorenzo, in<br />

quanto il loro precedente convento fu<br />

demolito. La documentazione al riguardo è<br />

reperibile presso l’Archivio Diocesano di<br />

Salerno, Parrocchie, Eboli, cartella n.17, San<br />

Nicola, ricettizia 1857-1894.<br />

26 Cfr. LONGOBARDI 1998, la più esaustiva<br />

raccolta di studi storico-artistici <strong>del</strong>l’antica<br />

città di Eboli (SA).<br />

27 Sulla scultura marmorea pertinente l’arredo<br />

liturgico <strong>del</strong>la chiesa di San Francesco in<br />

Eboli, e più ampiamente nel contesto salernitano<br />

tra tardo Medioevo e primo<br />

Rinascimento, cfr. PECCI 2005 e 2008.<br />

28 Le informazioni su tali rimaneggiamenti si<br />

desumono dalle carte <strong>del</strong>l’Archivio<br />

Diocesano di Salerno, Monasteri, Eboli,<br />

Conventuali (1747-1857).<br />

29 Il testo è il seguente: «Mi gode l’animo di<br />

annunziarvi il primo che nella sagrestia <strong>del</strong>l’antica<br />

chiesa di S. Francesco d’Assisi di<br />

Eboli sussiste tuttavia un quadro in tavola,<br />

lungo palmi sette circa, e largo quattro e<br />

mezzo che finisce a cono tronco, in campo<br />

oro, rappresentante la Crocifissione di<br />

Nostro Signore, sotto <strong>del</strong> quale, in un ango-<br />

GIANMATTEO FUNICELLI<br />

lo a mano dritta leggesi a caratteri semigotici<br />

angioini questa epigrafe: ‘Hoc opus pinsit<br />

Robertus de Odorisio de Neapoli’. Miransi in<br />

esso le tre Marie <strong>del</strong>le quali due sorreggono<br />

la Vergine svenuta, e l’altra è genuflessa a’<br />

piedi <strong>del</strong>la Croce sulla quale pende il<br />

Redentore; e s. Giovanni apostolo, tutti con<br />

infule sulla testa a graziosi rabeschi, in<br />

mezzo a soldati romani, e giudei dall’una e<br />

dall’altra banda con lance e la bandiera<br />

romana con le note iniziali S.P.Q.R., uno dei<br />

quali vicino a s. Giovanni tiene con la mano<br />

dritta un paniere, e con la sinistra una canna<br />

alla cui punta sta affidata una spugna: e sei<br />

angeli che finiscono in coda, ricurvi a guisa<br />

di pipistrelli, tutti con le aureole in testa,<br />

situati ai lati <strong>del</strong> Nazzareno (che ha il solito<br />

grembiule addosso ma <strong>del</strong>icatamente rabescato)<br />

e in sotto e in sopra <strong>del</strong>la Croce de’<br />

quali chi mesto, chi attonito guarda quel<br />

doloroso spettacolo […]». La descrizione<br />

annovera nel prosieguo molti altri particolari<br />

- qui non riportati - circa i soggetti ritratti<br />

e le allegorie <strong>del</strong>la Croce.<br />

30 Documento consultabile presso l’Archivio<br />

di Stato di Salerno, Attendibili politici, b. n.70,<br />

a. 1855.<br />

31 Archivio Diocesano di Salerno, Mons.<br />

Grasso, risposte a questionari sante visite Eboli, a.<br />

1917.<br />

32 BERENSON 1923.<br />

33 L’Augelluzzi nel documento summenzio-<br />

- 99 -<br />

nato afferma che la figura in abito monacale<br />

sia stato un intervento di un’epoca posteriore<br />

a quella di Roberto, perché tale frate<br />

«… con le mani giunte, ginocchioni, che pel<br />

miglior disegno, pel colorito diverso, o<br />

alquanto più morbido, pel più largo piegar<br />

de’ panni o <strong>del</strong>l’abito, per la vivezza <strong>del</strong>la<br />

testa, sebbene la sua figura è più piccola<br />

degli altri personaggi, credo opera posteriormente<br />

aggiunta. […]».<br />

34 Tale iconografia sacra viene fe<strong>del</strong>mente<br />

replicata in Italia nel contesto francescano,<br />

ma la sua attestazione è anteriore già sulla<br />

decorazione in opus anglicanum <strong>del</strong> Piviale di<br />

Pienza, ricamato da Mabel nel 1317 ca. e<br />

conservato presso il Museo <strong>del</strong>la cattedrale<br />

di Pienza, mentre un’altra raffigurazione<br />

<strong>del</strong>lo stesso tema campeggia in acquarello<br />

ed inchiostro sul Pepysian sketch book, ms.<br />

1916, f. 10r. (ultimo quarto <strong>del</strong> XIV secolo),<br />

conservato presso la Pepysian Library <strong>del</strong><br />

Magdalene College di Cambridge.<br />

35 Il già citato lavoro <strong>del</strong> Longobardi riserva<br />

una sezione particolare agli antichi cognomi<br />

illustri <strong>del</strong>le famiglie di Eboli. Tra questi<br />

figurano anche i ‘de Oderisio’, le cui origini<br />

ebolitane (o quanto meno un loro legame<br />

con il territorio di Eboli) sono confermate<br />

dal protocollo notarile datato 1558-1559<br />

<strong>del</strong> notaio Paolo Paladino (LONGOBARDI<br />

1998, vol. IV, p. 206).


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Roberto d’Oderisio, Roma.


Analisi storica, archeologica e conservativa<br />

di due antiche cripte salernitane<br />

Attraverso lo studio e l’osservazione di alcune<br />

chiese <strong>del</strong> centro storico di Salerno si<br />

può intraprendere un viaggio nel tempo<br />

che permette di tornare indietro di almeno mille anni.<br />

Le cripte <strong>del</strong>le chiese di Santa Maria ‘de Lama’ e<br />

<strong>del</strong> SS. Crocifisso costituiscono due ottime testimonianze<br />

<strong>del</strong>l’arte medievale.<br />

Per comprendere appieno quale importanza assuma<br />

la loro salvaguardia, è fondamentale un’analisi storica,<br />

archeologica e conservativa.<br />

Santa Maria ‘de Lama’. Analisi storico-archeologica<br />

La chiesa di Santa Maria ‘de Lama’ si trova nel cuore<br />

<strong>del</strong> centro storico di Salerno, lungo Via Tasso, ai piedi<br />

dei Gradoni <strong>del</strong>la Lama, nel quartiere de ‘Le Fornelle’.<br />

Il documento più antico in cui viene citata la chiesa<br />

risale al 1055 1 , anno in cui ne risultavano proprietari sia<br />

il Principe Gisulfo che gli eredi <strong>del</strong> Conte Giovanni,<br />

figlio <strong>del</strong> Castaldo Mansone. Nel corso dei secoli la<br />

chiesa ha cambiato numerosi proprietari. Il 6 Marzo <strong>del</strong><br />

1323, ad esempio, i fratelli Giovanni e Tommaso de<br />

Porta cedettero a Giacomo de Ursone una <strong>del</strong>le 12<br />

once <strong>del</strong> patronato di Santa Maria ‘de Lama’; nel 1338<br />

venne definita «ecclesia parrocchialis 2 ». Grazie ad un documento<br />

risalente al 1575, relativo ad una visita pastorale,<br />

è stato accertato che essa fu sotto il patronato <strong>del</strong>la<br />

famiglia Del Giudice e che era composta da due parti<br />

ben distinte, un’aula superiore ed una cappella inferiore,<br />

denominata di Santo Stefano, la quale nel 1598 fu<br />

sconsacrata; la celebrazione <strong>del</strong>la Messa venne pertanto<br />

trasferita all’altare <strong>del</strong>la chiesa superiore.<br />

Nel 1725 venne nominato parroco Don<br />

Cristoforo Citro. Nell’area di giurisdizione di S.<br />

Maria ‘de Lama’, in cui, oltre a Santo Stefano, era<br />

venerato anche San Giacomo, fu censita una popolazione<br />

di 125 abitanti. In quegli anni la Messa non<br />

veniva celebrata poiché erano in corso alcuni lavori<br />

di ristrutturazione.<br />

MARIA AMORUSO<br />

- 101 -<br />

Fig. 1 - Salerno. Chiesa di Santa Maria ‘de Lama’. Pianta <strong>del</strong>la cripta.<br />

Nel 1730 la chiesa riprese la sua funzione di parrocchia,<br />

ma soltanto due anni più tardi una severa visita<br />

pastorale (13 Ottobre 1732) 3 rilevò che le strutture<br />

versavano in uno stato di trascuratezza tale da rendere<br />

necessarie tempestive opere di manutenzione. Tra i<br />

vari lavori realizzati risulta interessante una disposizione<br />

che comandava di sovrapporre uno strato di terra<br />

ai loculi sepolcrali, per impedire la fuoriuscita <strong>del</strong> fetore<br />

che proveniva dalle tombe. Questa notizia testimonia<br />

che in quel periodo la cappella inferiore era utilizzata<br />

come luogo di sepoltura.<br />

Il 30 Settembre <strong>del</strong> 1854 la chiesa venne annessa<br />

alla parrocchia di S. Andrea ‘de Lavina’ da allora denominata<br />

chiesa di Sant’Alfonso 4 .<br />

Oggi la chiesa di Santa Maria ‘de Lama’ si presenta<br />

su due piani: una cripta svuotata dalle sepolture e<br />

ricca di affreschi ed una chiesa superiore con pianta<br />

basilicale.<br />

La storia architettonica <strong>del</strong>la cripta è particolarmente<br />

complessa a causa dei numerosi interventi che<br />

l’hanno interessata nel corso dei secoli, ma le indagini<br />

archeologiche hanno permesso di ricostruire tutte le<br />

fasi costruttive che hanno creato un ambiente con una<br />

pianta molto originale 5 .


Fig. 2 - Salerno. Chiesa di Santa Maria ‘de<br />

Lama’. Abside curva con affresco di Santo<br />

Stefano.<br />

Fig. 3 - Salerno. Chiesa di Santa Maria<br />

‘de Lama’. Abside rettangolare<br />

con lunetta affrescata.<br />

La cripta (fig. 1) è<br />

formata da 2 navate rettangolari<br />

divise da 3<br />

colonne che sorreggono<br />

8 volte a crociera; le due<br />

navate terminano rispettivamente<br />

con un’abside<br />

rettangolare e con una<br />

curva. Nella parete nord<br />

c’è un’apertura molto<br />

stretta che conduce in<br />

uno spazio curvo.<br />

Attraverso le analisi<br />

<strong>del</strong>le caratteristiche dei<br />

muri e in base allo studio<br />

<strong>del</strong>le fasi pittoriche,<br />

si è giunti alla conclusione<br />

che la cripta sia stata<br />

realizzata su strutture<br />

romane preesistenti.<br />

Nella sua prima fase<br />

costruttiva, avvenuta fra<br />

X e XI sec., la cripta<br />

aveva probabilmente<br />

una forma quadrata e<br />

presentava un’unica<br />

abside nella parete nord<br />

ed era priva invece <strong>del</strong>le<br />

due absidi attuali 6 .<br />

Queste furono realizzate<br />

successivamente, come anche alcuni pilastri sovrapposti<br />

alle pareti affrescate, e successivamente fu ristretto<br />

il vano di ingresso <strong>del</strong>l’abside <strong>del</strong>la parete nord, che<br />

venne trasformata in un ambiente quadrato. Questo<br />

Fig. 4 - Salerno. Chiesa di Santa Maria ‘de Lama’.<br />

<strong>Gruppo</strong> con angelo acefalo, la Vergine e due Santi.<br />

SALTERNUM<br />

- 102 -<br />

intervento è stato effettuato probabilmente dal<br />

momento in cui la cripta è stata utilizzata per le sepolture.<br />

Infine la trasformazione maggiore si verificò con la<br />

costruzione <strong>del</strong>la chiesa superiore.<br />

Tra X e XI sec. nella cripta, sulle pareti laterali, nelle<br />

absidi e sui pilastri è stata realizzata una serie di affreschi<br />

in stile bizantino che ritraggono Santi e Sante.<br />

Nell’abside semicircolare è ritratto Santo Stefano<br />

seduto su di un trono, che regge un libro; in alto, ai lati<br />

<strong>del</strong>l’ aureola, si legge «SCS STEPHANUS 7 » (fig. 2).<br />

Nell’abside rettangolare c’è una cornice, decorata<br />

con girali, che circonda una lunetta; al suo interno<br />

doveva esserci un Cristo Pantocratore (fig. 3). Tra le<br />

due absidi c’è un pilastro sul quale è ritratto San<br />

Lorenzo stante. Dietro questo pilastro è visibile un<br />

lacerto murario che è rimasto indenne dallo sfondamento<br />

<strong>del</strong>la parete (effettuato per la realizzazione<br />

<strong>del</strong>le absidi) sul quale c’è un affresco in cui è stato<br />

individuato Sant’Andrea ed un altro Santo con ai piedi<br />

il suo committente inginocchiato 8 .<br />

All’estremità di questa parete, all’angolo con la<br />

parete nord, c’è la raffigurazione di un Santo entro<br />

una cornice decorata con rombi iscritti in cerchi. Ai<br />

suoi piedi si legge «IOHANNES C.». L’ipotesi più<br />

accreditata è che questo personaggio, per metà distrutto<br />

a causa <strong>del</strong>lo sfondamento <strong>del</strong>la parete est, sia il<br />

Conte Giovanni, committente ma soprattutto proprietario<br />

<strong>del</strong>la chiesa nella prima metà <strong>del</strong>l’XI sec..<br />

Sulla parete nord è raffigurato un primo personaggio<br />

in piedi, con la mano benedicente: si tratta di San<br />

Bartolomeo. Di seguito ci sono tre pilastri, anch’essi<br />

affrescati. Sul primo sono visibili soltanto dei panneggi,<br />

sul secondo invece sono riconoscibili due figure. Fra<br />

questo pilastro ed il terzo è affrescata una Vergine, rappresentata<br />

come una regina, con un ricco abito e con in<br />

mano uno scettro. Sui lati interni di questi due pilastri ci<br />

sono due angeli appena visibili. Infine sul lato esterno<br />

<strong>del</strong> terzo pilastro c’è un angelo acefalo (fig. 4).<br />

Sulla parete sud, ci sono altri personaggi: sul primo<br />

pilastro due Santi, uno con il pallio e benedicente, l’altro<br />

probabilmente di sesso femminile. In condizioni<br />

decisamente migliori è l’affresco sul secondo pilastro:<br />

vi è rappresentata una Santa in abito monacale che<br />

regge una catena. L’interpretazione di questo personaggio<br />

risulta difficoltosa, anche perché le lettere che<br />

compongono il suo nome sono quasi scomparse, ma<br />

potrebbe trattarsi di Santa Radegonda (infra fig. 9).


Fig. 5 - Salerno. Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. Affresco <strong>del</strong>la Crocifissione.<br />

Per quanto concerne l’originaria parete ovest, non<br />

se ne conserva alcuna traccia. Quella attuale è frutto di<br />

numerosi rifacimenti architettonici avvenuti nei secoli.<br />

Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. Analisi storico-archeologica<br />

Nello stesso periodo storico, con analogie di tipo<br />

architettonico e funzionale, fu costruita la cripta <strong>del</strong>la<br />

chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. La struttura si trova all’inizio<br />

di Via dei Mercanti, nell’omonima ‘Piazzetta <strong>del</strong><br />

Crocifisso’.<br />

Fino al 1878 9 , la chiesa aveva il nome di Santa<br />

Maria ‘<strong>del</strong>la Pietà’ di Portanova; in seguito al trasferimento<br />

in essa <strong>del</strong> Crocifisso ligneo (1879) proveniente<br />

dalla chiesa di San Benedetto, il suo nome mutò in<br />

quello attuale.<br />

La chiesa è formata da due edifici sovrapposti,<br />

dalla cripta realizzata nel X sec. e dalla chiesa superiore<br />

realizzata tra XI e XII sec.. Le due chiese avevano<br />

funzioni autonome fino al momento in cui la cripta fu<br />

utilizzata come sepolcreto.<br />

Questo ambiente fu scoperto solo negli anni ’50 10 ,<br />

durante i lavori di ristrutturazione eseguiti per rimediare<br />

ai danni causati dalla guerra, grazie al ritrovamento<br />

di una botola al centro <strong>del</strong>la navata principale<br />

<strong>del</strong>la chiesa superiore: quando questa venne aperta si<br />

MARIA AMORUSO<br />

- 103 -<br />

individuò al suo interno un sepolcreto che presentava<br />

tracce di pitture sulle pareti. Il vano fu svuotato e al<br />

suo interno furono ritrovate numerose casse e resti di<br />

defunti depostivi in differenti epoche. Terminato lo<br />

svuotamento <strong>del</strong> vano, questo apparve non un semplice<br />

ossario, bensì una cripta grande circa la metà <strong>del</strong>la<br />

chiesa superiore e decorata con due grandi affreschi.<br />

Tale cripta è divisa in tre navate, le due laterali più<br />

piccole e quella centrale di maggiori dimensioni. Tutte<br />

e tre sono dotate di absidi. Nella navata centrale, sulla<br />

parete opposta all’abside, in un arco a tutto sesto, è<br />

stato realizzato fra XII e XIII sec. un grande affresco<br />

raffigurante la crocifissione <strong>del</strong> Cristo 11 (fig. 5). La<br />

scena si sviluppa su un alto zoccolo decorato con un<br />

panneggio stilizzato a fasce oblique. I personaggi sono<br />

inseriti in un paesaggio scuro, al di sopra di un pavimento<br />

roccioso al centro <strong>del</strong> quale si staglia il<br />

Crocifisso. La figura di Cristo, molto drammatica, ha il<br />

capo reclinato, le gambe piegate sotto il peso <strong>del</strong> proprio<br />

corpo e i piedi trafitti da un chiodo. Ai suoi lati si<br />

sviluppano una serie di personaggi. A sinistra c’è il<br />

gruppo formato dalle ‘Pie donne’, con Maria<br />

Maddalena e Maria di Cleofa ai lati, con il volto pervaso<br />

di dolore, nell’atto di sorreggere la Vergine che è rappresentata<br />

tra le due donne, mentre tende le mani verso


il Figlio. A destra c’è un altro gruppo, questa<br />

volta composto di tre uomini: San Giovanni,<br />

Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Ai lati<br />

<strong>del</strong>la Croce ci sono due soldati le cui dimensioni<br />

sono inferiori rispetto agli altri personaggi;<br />

il soldato di destra è rappresentato<br />

mentre ferisce il costato a Gesù. Al di sopra<br />

vi sono due angeli intenti a raccogliere il sangue<br />

<strong>del</strong> Cristo che sgorga dalle sue mani e dal<br />

costato. Nel piccolo spazio arcuato che chiude<br />

sulla Croce, infine, vi sono due angeli in<br />

adorazione.<br />

Nell’abside <strong>del</strong>la navata di destra, vi è un<br />

secondo affresco di dimensioni inferiori. Su<br />

di un basamento molto alto, decorato con fasce verticali<br />

e drappeggi, una cornice racchiude tre soggetti<br />

maschili. Si tratta di San Sisto Papa, raffigurato al centro,<br />

e ai suoi lati, separati da colonne tortili, San<br />

Ludovico (a sinistra) ed un Santo pellegrino (a destra)<br />

non identificato.<br />

Analisi conservativa <strong>del</strong>le cripte<br />

L’importanza storica, artistica e culturale di queste<br />

due cripte è notevole.<br />

Le fasi evolutive <strong>del</strong>le strutture sono ben documentate<br />

e gli affreschi, con le loro raffigurazioni di<br />

Santi, rappresentano un’ottima testimonianza dei culti<br />

devozionali locali. L’utilizzo come sepolcreto <strong>del</strong>le<br />

due chiese, in un’epoca successiva, testimonia un’usanza<br />

ormai radicata tra i Salernitani - e non un caso<br />

isolato - di seppellire i loro cari al di sotto di un luogo<br />

di preghiera.<br />

Con il trascorrere <strong>del</strong> tempo, le condizioni ambientali<br />

possono influire negativamente sulla conservazione<br />

<strong>del</strong>le testimonianze antiche. Attualmente entrambe<br />

le cripte, nonostante i lavori di restauro eseguiti negli<br />

anni passati, versano in condizioni non buone. Le testimonianze<br />

più evidenti, costituite dagli affreschi, sono<br />

quelle maggiormente danneggiate e sulle quali sono visibili<br />

molteplici forme di degrado.<br />

La causa <strong>del</strong>la loro comparsa è da ricercare nella<br />

posizione interrata di entrambe le cripte. Il contatto<br />

diretto <strong>del</strong>le pareti con il terreno <strong>del</strong> sottosuolo favorisce<br />

il passaggio continuo <strong>del</strong>l’umidità, che in base<br />

alla composizione <strong>del</strong> materiale 12 costruttivo ed alla<br />

sua porosità riesce a raggiungere le superfici affrescate<br />

creando danni di varia entità alle pitture ma anche<br />

alle stesse strutture murarie 13 .<br />

SALTERNUM<br />

Fig. 6 - Salerno. Chiesa di S.<br />

Maria ‘de Lama’. Affresco <strong>del</strong>la<br />

Vergine.<br />

- 104 -<br />

Nella cripta <strong>del</strong>la chiesa di Santa Maria<br />

‘de Lama’ gli affreschi più colpiti e quindi<br />

maggiormente danneggiati dall’umidità<br />

sono situati sulle pareti est e nord. La<br />

Vergine con i due angeli ai lati è il soggetto<br />

più danneggiato. Sulla sua superficie pittorica<br />

sono visibili patine carbonatiche formatesi<br />

dallo scioglimento <strong>del</strong> Carbonato di<br />

Calcio presente nell’affresco, in seguito al<br />

passaggio <strong>del</strong>l’acqua nella parete. Questa<br />

raggiunge la superficie pittorica e quando<br />

evapora deposita sull’affresco il Carbonato<br />

di Calcio, che reagisce con l’Anidride<br />

Carbonica e si indurisce, formando sull’affresco<br />

una patina biancastra che offusca i colori. Non<br />

mancano inoltre efflorescenze saline, cadute e disgregazioni<br />

<strong>del</strong>lo strato pittorico 14 . Le efflorescenze si formano<br />

in seguito alla cristallizzazione dei sali trasportati<br />

dall’acqua nella parete; se il materiale che costituisce<br />

la parete è abbastanza resistente, i sali vengono spinti<br />

fuori ed il processo di cristallizzazione termina con la<br />

formazione <strong>del</strong>le efflorescenze sulla superficie pittorica.<br />

Se la parete è più debole, i sali si cristallizzano<br />

all’interno e nel loro processo di cristallizzazione<br />

aumentano di volume e provocano la rottura dei pori<br />

<strong>del</strong> materiale che costituisce la muratura. Questo si<br />

manifesta in modo visibile attraverso la caduta <strong>del</strong>lo<br />

strato pittorico e la disgregazione <strong>del</strong>l’intonaco 15 .<br />

Ancora sulla Vergine, sono visibili <strong>del</strong>le incrostazioni<br />

di vario spessore. Queste formazioni sono causate<br />

dal deposito di uno strato di sali sulla superficie<br />

pittorica, il cui spessore può variare in base alla quantità<br />

di acqua che passa sulla zona in questione. Anche<br />

gli altri personaggi presenti nella cripta sono colpiti da<br />

queste e altre forme di degrado 16 .<br />

La tabella che segue evidenzia per ognuno di essi le<br />

forme di degrado che si sono manifestate sulla superficie<br />

pittorica e sull’intonaco sottostante.


TABELLA 1 - CHIESA DI SANTA MARIA ‘DE LAMA’.<br />

PERSONAGGI FORME DI DEGRADO<br />

PARETE NORD<br />

Vergine con i due angeli - Patine carbonatiche<br />

- Efflorescenze saline<br />

- Cadute <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Disgregazione <strong>del</strong>l’intonaco<br />

- Incrostazioni<br />

Angelo acefalo - Patine carbonatiche<br />

- Incrostazioni<br />

- Cadute <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />

pittorico<br />

San Bartolomeo - Spessa patina carbonatica<br />

- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Efflorescenze<br />

- Disgregazioni<br />

PARETE EST<br />

Iohannes C. - Patine carbonatiche<br />

- Efflorescenze saline<br />

- Principi di disgregazione<br />

<strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

Santo Stefano - Patine carbonatiche<br />

- Incrostazioni<br />

- Spaccature <strong>del</strong>la superficie<br />

pittorica<br />

San Lorenzo - Alterazioni cromatiche<br />

dei pigmenti<br />

- Spaccature <strong>del</strong>la superficie<br />

pittorica<br />

- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />

pittorico<br />

PARETE SUD<br />

Santa Radegonda - Patine carbonatiche<br />

- Spaccature <strong>del</strong>la superficie<br />

pittorica<br />

- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

MARIA AMORUSO<br />

- 105 -<br />

La stessa situazione conservativa si può osservare<br />

nella Cripta <strong>del</strong>la Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. Su entrambi<br />

gli affreschi, sia la ‘Crocifissione’ che quello con i<br />

tre Santi, sono riscontrabili forme di degrado causate<br />

ancora una volta dall’eccessiva presenza di umidità.<br />

Sull’affresco con la Crocifissione, si alternano in<br />

diverse zone patine carbonatiche, efflorescenze saline,<br />

incrostazioni, sollevamenti, distacchi e cadute <strong>del</strong>lo<br />

strato pittorico e disgregazioni.<br />

Sull’affresco con i tre Santi (fig. 7) è possibile<br />

osservare le conseguenze <strong>del</strong>l’elevato tasso di umidità.<br />

Infatti l’affresco e l’intera parete hanno raggiunto la<br />

completa saturazione e l’acqua si deposita sulla superficie<br />

pittorica sotto forma di goccioline che mantengono<br />

l’intera parete costantemente bagnata.<br />

Fig. 7 - Salerno. Chiesa <strong>del</strong> Crocifisso, affresco con figure di tre Santi.<br />

Fig. 8 - Salerno. Chiesa di Santa Maria ‘de<br />

Lama’, S. Lorenzo.<br />

Fig. 9 - Salerno. Chiesa di Santa<br />

Maria ‘de Lama’, S. Radegonda.<br />

Anche per questa cripta segue una tabella che evidenzia<br />

le forme di degrado presenti sui singoli personaggi<br />

degli affreschi.


TABELLA 2<br />

CRIPTA DELLA CHIESA DEL SS. CROCIFISSO.<br />

PERSONAGGI FORME DI DEGRADO<br />

CROCIFISSIONE<br />

Cristo crocifisso - Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Patine carbonatiche<br />

PIE DONNE<br />

(Maria Maddalena la Madonna<br />

e Maria di Cleofa)<br />

- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Principi di disgregazione<br />

<strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

e <strong>del</strong>l’intonaco<br />

- Patine carbonatiche<br />

- Efflorescenze saline<br />

- Alterazioni cromatiche dei<br />

pigmenti<br />

Soldati - Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Alterazioni cromatiche<br />

dei pigmenti<br />

- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />

pittorico<br />

San Giovanni - Grosse lacune<br />

- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />

pittorico<br />

Giuseppe di Arimatea<br />

e Nicodemo<br />

Angelo che raccoglie il sangue<br />

di Gesù (a destra)<br />

Angeloche raccoglie il sangue<br />

di Gesù (a sinistra)<br />

- Patine carbonatiche<br />

- Efflorescenze saline<br />

- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />

pittorico<br />

- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Lacune<br />

- Patine carbonatiche<br />

- Incrostazioni<br />

- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />

pittorico<br />

- Lieve alterazione cromatica<br />

<strong>del</strong>le zone restaurate<br />

con la tecnica <strong>del</strong> restauro<br />

pittorico<br />

- Sottile patina carbonatica<br />

Angeli in adorazione - Sottile patina carbonatica<br />

Basamento roccioso<br />

e zoccolo <strong>del</strong>l’affresco<br />

- Sollevamento, distacco<br />

e caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Efflorescenze saline<br />

- Patine carbonatiche<br />

- Incrostazioni<br />

- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />

pittorico<br />

- Macchie scure <strong>del</strong>la superficie<br />

pittorica causate da ristagni<br />

di umidità<br />

SALTERNUM<br />

- 106 -<br />

ANGELI IN ADORAZIONE<br />

Basamento roccioso<br />

e zoccolo <strong>del</strong>l’affresco<br />

TRE SANTI<br />

- Sollevamento, distacco<br />

e caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Efflorescenze saline<br />

- Patine carbonatiche<br />

- Incrostazioni<br />

- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />

pittorico<br />

- Macchie scure <strong>del</strong>la superficie<br />

pittorica causate da ristagni<br />

di umidità<br />

San Lorenzo - Lievi alterazioni cromatiche<br />

dei pigmenti<br />

- Sottile patina carbonatica<br />

- Cadute <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

San Sisto Papa - Principi di disgregazione<br />

<strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Sottile patina carbonatica<br />

- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

Santo pellegrino - Alterazioni cromatiche<br />

dei pigmenti<br />

- Principi di disgregazione<br />

<strong>del</strong>lo strato pittorico<br />

- Patina carbonatica<br />

- Incrostazioni<br />

Zoccolo - Presenza di gocce d’acqua<br />

sulla superficie pittorica<br />

- Patina carbonatica<br />

- Incrostazioni<br />

- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />

pittorico


Fig. 10 - Salerno. Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. Angelo che raccoglie il sangue di Gesù.<br />

Fig. 11 - Salerno. Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. Le ‘Pie donne’.<br />

MARIA AMORUSO<br />

- 107 -<br />

Da ciò che è emerso in seguito all’analisi di queste<br />

due antiche cripte salernitane, è evidente che il contesto<br />

topografico in cui esse sono inserite influisce<br />

molto sul loro stato di conservazione.<br />

Una situazione analoga si osserva anche nella struttura<br />

ipogea <strong>del</strong> Complesso monumentale di San Pietro<br />

‘a Corte’ 17 , nel centro storico di Salerno, i cui affreschi,<br />

databili tra XII e XIV sec. d. C. 18 , presentano le medesime<br />

forme di degrado 19 <strong>del</strong>le cripte qui analizzate.<br />

La posizione di queste chiese, al di sotto <strong>del</strong> livello<br />

stradale, ha garantito la loro conservazione nel corso<br />

dei secoli ma oggi quelle condizioni che ne hanno<br />

garantito la sopravvivenza sono mutate e rischiano di<br />

compromettere in modo serio e irreversibile queste<br />

importanti testimonianze storiche.<br />

La chiesa di Santa Maria ‘de Lama’, la cripta <strong>del</strong>la<br />

Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso, il Complesso monumentale di<br />

San Pietro ‘a Corte’ e molte altre strutture <strong>del</strong> centro<br />

storico di Salerno rappresentano un insieme documentario<br />

fondamentale per la conoscenza <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la<br />

città e <strong>del</strong>le antiche origini <strong>del</strong>la popolazione locale. Per<br />

questo sarebbe opportuno attuare lavori di conservazione<br />

e restauro mirati all’eliminazione <strong>del</strong>l’umidità<br />

dagli ambienti in questione o effettuare interventi che<br />

siano in grado di ritardare la formazione <strong>del</strong>le forme<br />

di degrado analizzate 20 .


Note<br />

1 CRISCI 2001, p. 79.<br />

2 IDEM 2001, p. 80.<br />

3 IDEM 2001, p. 81.<br />

4 IDEM 2001, p. 82.<br />

5 DE FEO - D’ANIELLO 1991, p. 46.<br />

6 IDEM, ibidem.<br />

7 VALITUTTI 2003, pp. 149-153.<br />

8 VISENTIN 2003, pp. 142-147.<br />

9 PASCA 2000 , pp. 117-121.<br />

10 BERGAMO 1961.<br />

11 MICCIO - SESSA 1998, pp. 27-32.<br />

12 Per maggiori informazioni sulla composizione<br />

dei materiali utilizzati nella realizzazione<br />

degli affreschi e sulle loro caratteristiche,<br />

cfr. CAMPANELLA et Alii 2007;<br />

Bibliografia<br />

AMORUSO M. 2009, Lo stato di conservazione<br />

degli affreschi di San Pietro a Corte in Salerno, in<br />

“Salternum”, XIII, 22-23, pp. 71-78.<br />

AMORUSO M. 2010, La tecnica <strong>del</strong>l’affresco e i<br />

principi di conservazione nelle pitture parietali <strong>del</strong>le<br />

antiche chiese salernitane (S. Pietro a Corte -<br />

Santa Maria de Lama – SS. Crocifisso), in<br />

“Visitiamo la Città” 2010-2011, Salerno,<br />

pp. 138-151.<br />

BERGAMO G. 1961, Parrocchia <strong>del</strong> SS.<br />

Crocifisso nella Chiesa di Santa Maria <strong>del</strong>la Pietà<br />

in Salerno, Salerno.<br />

BOTTICELLI G. 1992, Metodologie di restauro<br />

<strong>del</strong>le pitture murali, Firenze.<br />

BRACA A. 2000, Chiesa di Santa Maria de<br />

Lama, in Il Centro storico di Salerno, Salerno,<br />

pp. 32-34.<br />

CAMPANELLA L. et Alii 2007, Chimica per<br />

l’arte, Bologna.<br />

CRISCI G. 20012 , Salerno Sacra. Ricerche stori-<br />

SALTERNUM<br />

MATTEINI - MOLES 1999.<br />

13 MORA - MORA 1999, pp. 198-207.<br />

14 BOTTICELLI 1999, pp. 39-44.<br />

15 MORA - MORA 1999, pp. 188-192.<br />

16 AMORUSO 2010, pp. 145-147.<br />

17 Il Complesso monumentale di San Pietro<br />

‘a Corte’ si sviluppa su due strutture<br />

sovrapposte, un ipogeo ed una cappella<br />

superiore. L’ipogeo, il cui piano di calpestio<br />

si trova a circa 5-6 m di profondità dall’attuale<br />

livello stradale, conserva testimonianze<br />

storiche, archeologiche ed artistiche che<br />

vanno dal I-II sec. d. C. fino al XIV sec. d.<br />

C. Molto interessanti, al suo interno, le<br />

testimonianze pittoriche <strong>del</strong> XII-XIV sec.<br />

che, Salerno.<br />

DE FEO R. - D’ANIELLO R. 1991, La chiesa<br />

di Santa Maria <strong>del</strong>la Lama in Salerno, in<br />

“Apollo”, VII, pp. 44-60.<br />

GASPAROLI P. 1999, La conservazione dei dipinti<br />

murali, Firenze.<br />

MATTEINI M. - MOLES A. 1989, La chimica<br />

nel restauro. I materiali <strong>del</strong>l’arte pittorica,<br />

Firenze.<br />

MAURO D. 1999, Note sulla pittura medievale a<br />

Salerno. Gli affreschi di San Pietro a Corte e di<br />

Santa Maria de Lama, in “Apollo”, XV, pp.<br />

46-60.<br />

MICCIO G. - SESSA M. G. 1998, Salerno, la<br />

Chiesa <strong>del</strong> Crocifisso fra progetto e restauro, in<br />

XIII Settimana dei BB.CC.. Italia, una cultura<br />

da vivere,Viterbo, pp. 27-32.<br />

MORA P. - MORA L. 1999, La conservazione<br />

<strong>del</strong>le pitture murali, Bologna.<br />

PASCA M. 2000, Chiesa <strong>del</strong> Crocifisso e Convento<br />

- 108 -<br />

d. C., periodo in cui l’ipogeo è stato utilizzato<br />

dai Normanni come oratorio.<br />

Dall’analisi conservativa degli affreschi è<br />

emerso che la struttura è molto umida e che<br />

il passaggio <strong>del</strong>l’ umidità nelle pareti ha provocato<br />

la comparsa sugli affreschi <strong>del</strong>le<br />

medesime forme di degrado riscontrate<br />

nelle chiese di Santa Maria ‘de Lama’ e <strong>del</strong><br />

SS. Crocifisso.<br />

18 San Pietro a Corte 2000.<br />

19 AMORUSO 2009, pp. 71-78.<br />

20 Per i possibili interventi di conservazione<br />

e restauro cfr. GASPAROLI 1999.<br />

di Santa Maria <strong>del</strong>la Pietà, in Il Centro storico di<br />

Salerno, Salerno, pp. 117-121.<br />

PICCIOLI C. 2004/2005, Dispense <strong>del</strong> corso di<br />

Chimica <strong>del</strong> Restauro, Istituto Universitario<br />

Suor Orsola Benincasa, Napoli.<br />

San Pietro a Corte 2000, Recupero di una memoria<br />

nella città di Salerno, a cura <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong><br />

<strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>, Salerno.<br />

VALITUTTI P. 2003, La chiesa di Santa Maria<br />

de Lama. Il secondo ciclo pittorico, in “Visitiamo<br />

la città”, Salerno, pp. 149-153.<br />

VISENTIN B. 2001, Il panorama artistico tra<br />

Salerno e il Tusciano in età longobarda. Quattro<br />

esempi di pittura medievale, in “Schola<br />

Salernitana”, Annali V-VI, pp. 157-164.<br />

VISENTIN B. 2003, La chiesa di Santa Maria de<br />

Lama. Il primo ciclo pittorico, in “Visitiamo la<br />

città”, Salerno, pp. 142-147.


Di San Tommaso<br />

sull’omonimo monte a Polla<br />

Sul piazzale <strong>del</strong>la fontana di san Tommaso<br />

sorge da poco più di due anni una nuova<br />

attrattiva: la composizione su piastrelle di<br />

ceramica <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> Santo da cui l’altura è denominata<br />

(fig. 1). D’una precedente edicola, disfatta dall’abbandono,<br />

ma di cui non è cessato <strong>del</strong> tutto il ricordo,<br />

il nuovo stelo esprimerebbe l’augurale ripresa.<br />

È un’immagine d’impronta chiaramente disegnativa,<br />

un contorno di figura trattato dal colore - un<br />

azzurro che sfuma nell’oro tenue e nel bianco - probabilmente<br />

tirata dalla mano d’un illustratore sul cartone<br />

d’origine, convertito in ceramica negli stabilimenti di<br />

Vietri sul Mare nei primi decenni <strong>del</strong> Novecento; l’epoca<br />

stessa, così pure gli stabilimenti da cui uscirono<br />

le quindici stazioni dei tabernacoli <strong>del</strong> Calvario, voluti<br />

dall’arciprete Dionigi Bracco sulle offerte dei fe<strong>del</strong>i<br />

residenti o emigrati 1 .<br />

L’oblatore <strong>del</strong> San Tommaso, che veste il saio<br />

domenicano ed ha il corpo robusto e il viso tondo, fu<br />

Domenico Moccia, agricoltore di numerosa prole che<br />

elevò un sospiro al cielo destinando all’alta montagna<br />

il dono <strong>del</strong> Santo titolare; per difetto di mezzi, nonché<br />

di agevole accesso in un tempo che praticava ancora le<br />

erte piste <strong>del</strong>le mulattiere, o anche per il termine stesso<br />

sopravvenuto <strong>del</strong>la vita, l’opera consegnata non<br />

ebbe il suo tabernacolo a contatto <strong>del</strong>le nove vasche in<br />

cui si svolge la corrente <strong>del</strong>la fontana che sgorga dalla<br />

compagine rocciosa, macchiata dalla selva perenne e<br />

cedua. Nessuna voce si leva dalla casa estinta che sollevi<br />

lo stame <strong>del</strong> racconto <strong>del</strong>la devota ventura <strong>del</strong>la<br />

commissione soddisfatta e pagata. I Pollesi che or son<br />

vivi si son trovati di colpo questo bene dissepolto dal<br />

cellaio di famiglia finalmente elevato al centro <strong>del</strong>la<br />

semplice edicola apprestata al vertice <strong>del</strong> triangolo che<br />

contiene la successione <strong>del</strong>le vasche in cui la fontana<br />

si articola e connette, mentre fan da spalla i due brevi<br />

lati di fresca muratura che convergono nell’edicola<br />

VITTORIO BRACCO<br />

- 109 -<br />

Fig. 1 - San Tommaso d’Aquino. Piastrelle di ceramica da fabbrica vietrese.<br />

(figg. 2 -3). Un bel partito di rustica architettura che<br />

fornisce un tratto attraente ed ameno al visitatore sul<br />

richiamo d’origine: la lunga fontana appunto descritta<br />

dal verbale <strong>del</strong>l’adunanza d’un pubblico Parlamento<br />

<strong>del</strong> Novembre <strong>del</strong> 1750, allorché nella piazza <strong>del</strong><br />

paese, deputata alle pubbliche riunioni, si levò il<br />

discorso <strong>del</strong> notabile D’Alitto, che propose di imbrigliare<br />

in apposita conduttura l’acqua che gettava<br />

copiosa e si perdeva per la china <strong>del</strong> monte mentre<br />

avrebbe potuto colmare la peschiera <strong>del</strong> richiedente e


Fig. 2 -Benedizione <strong>del</strong>l’immagine in ceramica (31 Agosto <strong>del</strong> 2008).<br />

Fig. 3 - La fontana di San Tommaso con le sue nove vasche.<br />

irrorare a volontà i terreni di possidenti vicini. Non<br />

sappiamo se la proposta, peraltro in sé approvata, abbia<br />

avuto il séguito <strong>del</strong>l’intervento. Ma si è creduto di far<br />

cenno <strong>del</strong>l’episodio a titolo <strong>del</strong>l’attenzione che sul volger<br />

di quasi trecent’anni or sono, richiamava la popolazione<br />

d’allora verso un profitto che non fosse quello in uso<br />

<strong>del</strong>l’abbeveramento di greggi ed armenti che, sul dondolìo<br />

acuto dei campani, qui convenivano nelle pause previste<br />

<strong>del</strong>la giornata, sul passo di cani e pecorai.<br />

La fresca immagine - senza pretesa d’arte ma percorsa<br />

da un soffio suggerito dalla fede - guarda chi<br />

convenga con la stessa mitezza e bontà di attitudine<br />

che albergò qui nel petto <strong>del</strong> santo d’Aquino a cui<br />

SALTERNUM<br />

- 110 -<br />

meno di cinquant’anni bastarono per costruire un<br />

invito perenne alla concordia e alla serena quiete. Si<br />

dispiega sul petto <strong>del</strong>la figura il sole: non è necessario<br />

pensare alla santità per un tale accoglimento, che potrà<br />

alimentarsi anche di fremiti terrestri: «questo sol m’arde<br />

e questo m’innamora», ripete un verso <strong>del</strong><br />

Buonarroti, ma di essenza celeste è senz’altro il contorno<br />

dei due angeli scolpiti a rilievo sui lati, come<br />

appunto furono quelli sul dettato dei quali il Santo<br />

affermava di scrivere: e il libro aperto dalla scrittura<br />

fitta conferma la tradizione.<br />

La montagna che fa da sfondo a questo ritaglio di<br />

natura è tutta in ordine con la disposizione di fondo<br />

che improntò la vita <strong>del</strong>’Uomo e batte nello spirito dei<br />

Pollesi di oggi. Una cosa è certa. Mancava al rigoglio<br />

dalle molte vite in cui s’addensa da secoli la devozione<br />

a Sant’Antonio nel lustro <strong>del</strong>la chiesa e <strong>del</strong> suo fruttuoso<br />

convento, il segno inverso d’un romitaggio. La<br />

configurazione <strong>del</strong> luogo ne ha stabilito l’accenno con<br />

l’armonia naturale ispirata dal sentimento e dal gusto<br />

degli uomini: alla semplicità <strong>del</strong>l’acqua, utile ed umile,<br />

preziosa e casta versata dal monte, s’è unito il lume<br />

d’un sentimento che infiammò a suo tempo l’ansia di<br />

famiglie devote. Il pensiero va al San Tommaso accolto<br />

e sorretto da un conserto di angeli, come lo dipinse<br />

nel 1708, tra le belle opere <strong>del</strong>la sua matura giovinezza,<br />

Anselmo Palmieri, su volere confortato dall’oblazione<br />

dei fe<strong>del</strong>i d’una donna ancora giovane, Anna<br />

Ferrari, che vestì l’abito terziario <strong>del</strong>l’Ordine<br />

Domenicano col nome di Maria ed assegnò alla tela il<br />

rettangolo d’un altare <strong>del</strong> Rosario 2 .<br />

S’è voluto dire anche questo a monito e a conforto<br />

<strong>del</strong>la consegna religiosa in cui posa la novità ora<br />

introdotta. Perché non è da supporre che il passo e la<br />

curiosità che sollecitano il visitatore e il forestiero si<br />

animino soltanto d’un effimero sentimento sollevato<br />

dal respiro d’un’amena e varia veduta. S’accentra invece<br />

nel calcolo augurale l’idea di un’immanente religione<br />

indotta dalla bellezza e dall’armonia <strong>del</strong>le cose.<br />

Qui gli estremi si toccano: la più evoluta civiltà di<br />

cui è suggello anche l’ardita rotabile che sale a questo<br />

spiazzo s’incontra con l’agreste essenza che si perpetuò<br />

nei millenni, da quando l’uomo ha frequentato<br />

questi luoghi.<br />

Il giacimento <strong>del</strong>le nevi che qua e là s’aprivano<br />

nelle fosse previste è una prova fra le altre <strong>del</strong>l’utilità<br />

che si è sempre saputo trarre dalla montagna con la<br />

mediazione dei pastori e <strong>del</strong>la conduzione elementare


ed eguale <strong>del</strong>la vita. A questo incontro tra il disinvolto<br />

fruitore odierno <strong>del</strong>le vetture e il sopravvivente lento<br />

conduttore <strong>del</strong>le greggi e degli armenti, si deve la fortuna<br />

propizia <strong>del</strong> monte che sovrasta la secolare vicenda<br />

di Polla e <strong>del</strong>la sua contrada.<br />

Ed è anche lecito domandarsi da quando il nome<br />

sia stato incappellato a questa cima, nel giro d’un paesaggio<br />

a lungo dominato dalla sopravvivenza dei Santi<br />

d’Oriente a cui, fin dal tramonto <strong>del</strong>l’Alto Medioevo,<br />

vennero innalzandosi eremi e cappelle e titoli di luoghi.<br />

Nella rosa d’attorno se ne colgono alcuni:<br />

Sant’Aniceto, Santi Quaranta, Santo Cornato in cui<br />

l’uso contrasse il Coronato d’origine 3 (Fig. 4). Le ventate<br />

<strong>del</strong>l’Occidente si stesero un po’ dappertutto dopo<br />

i precedenti riferimenti; e non sarà stato altrimenti per<br />

il nome di San Tommaso, imposto fors’anche sulla<br />

voce di qualche perduto episodio che avesse <strong>del</strong> miracoloso<br />

nella fede o nella superstizione di mandriani e<br />

pastori, invocanti una suprema mano sulla loro ricchezza<br />

assoluta: la difesa <strong>del</strong>le greggi e degli stazzi<br />

contro l’insidia <strong>del</strong>le fiere.<br />

Forse non s’arrischia l’ipotesi ma posa nel concreto<br />

<strong>del</strong>le vicende umane il supporre che la predicazione<br />

domenicana abbia influito sulla stabilità <strong>del</strong>la<br />

denominazione; <strong>del</strong>l’ordine dotto che in San<br />

Tommaso, oltre che nell’ispanico fondatore, aveva la<br />

sua leva di forza e la salda unità <strong>del</strong>l’abito: ed è fra l’altro<br />

un Domenicano che s’incurva, nella seconda metà<br />

<strong>del</strong> Seicento, dal pulpito <strong>del</strong> Rosario ad esaltare sul<br />

duplice semicerchio intento all’ascolto, il purissimo<br />

bene <strong>del</strong> trittico <strong>del</strong>l’Ordine (il Rosario, il Fondatore,<br />

l’Aquinate), mentre i due celebranti attendono al<br />

sacrificio <strong>del</strong>l’altare nel momento in cui vien consacrata<br />

l’infiammata pala <strong>del</strong> Purgatorio 4 . Non è da<br />

dimenticare la voce con l’opera assidua di Suor Maria<br />

Villano <strong>del</strong>l’Ordine appunto dei Predicatori, che da<br />

Napoli vegliava anche sulla terra di Polla, ove s’era<br />

formata alla vita religiosa nella prima generosa adolescenza.<br />

Tommaso non è soltanto figura mistica <strong>del</strong>l’Occidente<br />

latino, ma irradiato nell’orizzonte campano: da Napoli,<br />

dove egli s’era formato e insegnò, la predicazione domenicana<br />

seguitava a propagarne il culto; e a Salerno ebbero<br />

sepoltura due sorelle <strong>del</strong> Santo, come è fors’anche vero<br />

che fu il sovrano di Napoli, che - lo conferma il verso<br />

dantesco 5 - «ripinse al ciel Tommaso», facendogli propinare<br />

il veleno che lo spense in un’angusta cella <strong>del</strong>la badia di<br />

Fossanova nel viaggio per la Francia.<br />

VITTORIO BRACCO<br />

- 111 -<br />

Fig. 4 - I toponimi ‘S. Tommaso’ e ‘S. Marta’ sulla montagna retrostante Polla (da<br />

Guida d’Italia Touring 1928).<br />

Si era nel Trecento, dopo il 1323, che segnò l’ufficiale<br />

elevazione agli altari <strong>del</strong>l’Aquinate. Proseliti <strong>del</strong>la diffusione<br />

<strong>del</strong> nome dovettero essere i Sanseverino, conti<br />

di Marsico, ai quali Polla e un largo tratto di paese intorno<br />

erano infeudati e tra i quali il nome di Tommaso si<br />

rinnovava in quel secolo tra le generazioni 6 .<br />

Chi fu tra essi colui che fors’anche sul fondamento<br />

d’accordi stretti con la locale Università, poté prendere<br />

l’iniziativa di benedire nel nome di Tommaso l’acqua<br />

sorgiva e di apprestare le rustiche vasche di pietra<br />

viva, fluida dimora <strong>del</strong>la trascorrente corrente? Fu<br />

forse il Sanseverino Tommaso IV - quinto conte di<br />

Marsico - seguitando l’azione dei predecessori di assegnar<br />

terre e suffeudi <strong>del</strong>l’ala che contasse tra la popolazione<br />

<strong>del</strong> luogo? O fu il Sanseverino Antonio, dal<br />

volto grifagno nell’atto di contemplare la moglie genuflessa,<br />

Isabella <strong>del</strong> Balzo, dalla persona fine e gentile,<br />

nella comune posa in cui confermano la loro devozione<br />

alla Vergine? Tale infatti essi sono riapparsi da<br />

pochi anni in fondo alla cappella <strong>del</strong> San Pietro <strong>del</strong> villaggio<br />

su di un ricuperato affresco. O fors’anche prima<br />

di lui, sensibile per subitaneo moto di solidarietà, fu il<br />

Tommaso terzo - quarto conte di Marsico -, concedendo<br />

nel sabato e nella domenica un mercato a Polla<br />

che risollevasse il popolo dall’immanente miseria,<br />

colui che estese sul rivo montanaro <strong>del</strong>la fontana la<br />

pubblica denominazione dal Santo d’Aquino? Come<br />

che fosse, la fortuna <strong>del</strong> nome col tramite o per iniziativa<br />

dei Sanseverino, devoti alla casa regnante, dovette<br />

prender forma la fortuna <strong>del</strong> nome nel luogo <strong>del</strong>la<br />

sorgente che alle spalle è sormontata dalla costa che


continua a salire, denominata nelle vecchie carte e<br />

mappe come Monte Marta, avvolgente l’intero massiccio<br />

sino alla quota di 1303 metri, e Santa Marta fu<br />

appellativo che, in ottemperanza alla politica religiosa<br />

degli Angioini, piacque diffondere: in terra di Francia<br />

infatti si venerava l’evangelica Marta e in suo onore, a<br />

Tarascon, presso le Bouches du Rône dalla fine <strong>del</strong> secolo<br />

XII, era sorta una chiesa, che ne vegliava le spoglie,<br />

vere o presunte che fossero.<br />

Secolo di forti contrasti il Trecento, dove l’accanimento<br />

terrestre ha tregua temporanea nella mortificazione<br />

e nella preghiera: Giacomo <strong>del</strong>la Polla, <strong>del</strong>l’insigne<br />

ceppo pollese e forse anche medico, affronta il patibolo<br />

in piazza <strong>del</strong> Mercato nella Capitale per avere con<br />

altri soppresso il marito <strong>del</strong>la regina Giovanna I, così<br />

come la stessa sovrana sarà soffocata tra le pareti <strong>del</strong><br />

castello di Muro, a non eccessiva distanza da Polla.<br />

«Grandi peccatori, grandi cattedrali», potremmo ripetere<br />

col felice apoftegma messo a titolo d’un suo libro da<br />

Enzo Biagi. Tale fu nei fatti l’arcigno Medioevo: in<br />

forma dissimulata e ritratta fino a un certo segno nell’ombra<br />

nella vita <strong>del</strong>le province, in cui il concubinato<br />

era pratica corrente e così le interminabili contese sulla<br />

minuta proprietà anche se il fenomeno era sormontato<br />

dall’altrettale assiduità <strong>del</strong>la devozione, che incoronava<br />

chiese e cappelle e umili luoghi con celesti richiami.<br />

Note<br />

1 I tabernacoli furono investiti dalle ghiande<br />

aeree americane una mattina di settembre <strong>del</strong><br />

1943. La distruzione impose al nuovo arciprete<br />

Raffaele Baorto il rifacimento sull’oblazione<br />

dei Pollesi e suggerì una diversa<br />

distribuzione <strong>del</strong>le edicole lungo la salita.<br />

Della primitiva serie rimasero quelle che<br />

erano state murate dalle origini nel pronao<br />

<strong>del</strong>la cappella terminale, in quanto uscite illese<br />

dal frangente di guerra.<br />

2 Sul dipinto cfr. BRACCO 2009, pp. 9-15.<br />

3 Sant’Aniceto chiamavasi ancora, sul principio<br />

<strong>del</strong> Settecento, quello che dopo di allora<br />

fu denominato ‘il Calvario’ o Montecalvario<br />

SALTERNUM<br />

per la nuova devozione che vi salì in quel<br />

tempo e dura nell’attaccamento vivo <strong>del</strong><br />

popolo. ‘Santi Quaranta’ era la pubblica strada<br />

e la contrada stessa ove era sorto sul cadere<br />

<strong>del</strong> Cinquecento il Convento dei<br />

Cappuccini. Per San Coronato la menzione<br />

si fa aperta nell’anno 1445: «…pecium unum<br />

terre in sancto Cornato sterile, in fine foreste curie et<br />

in fine ecclesie Sancti Cornati» (SILVESTRI 1980,<br />

p. 131).<br />

4 Una riproduzione <strong>del</strong> dipinto, che è parte<br />

esso stesso <strong>del</strong>la Pala <strong>del</strong> Purgatorio, trovasi<br />

in BRACCO 2009, tav. XX.<br />

5 Purg. XX, v. 69.<br />

- 112 -<br />

Ed insieme col nome, dovette prender terreno<br />

anche il titolo di una cappella di campagna con l’abside<br />

ricavata nella concavità stessa <strong>del</strong>la costa rocciosa,<br />

in un angolo che guarda la montagna e la sua fontana:<br />

e fu San Tommaso anche questa cappella. È lecito<br />

chiedersi: fu essa di impianto originale o imposta sul<br />

precedente titolo <strong>del</strong> San Coronato, prima ricordato?<br />

Difficile accertarlo. Ad ogni modo i riferimenti al San<br />

Coronato come di entità ancora viva nella realtà <strong>del</strong><br />

Quattrocento indurrebbe a separare le due cose. Se<br />

non che lungo il cammino <strong>del</strong>la costa non si vede né<br />

si indovina altra traccia di fabbrica che non sia quella<br />

<strong>del</strong>la corrosa e poi crollata cappella ora citata, <strong>del</strong>la<br />

quale si è tentato negli ultimi anni di avviare un’augurale<br />

ripresa nel nome di un raccolto richiamo agreste<br />

di offerta e di preghiera.<br />

Ricordando le nude pareti <strong>del</strong>l’ultimo ricovero <strong>del</strong><br />

gran Frate, infervorato dall’esplorazione <strong>del</strong> conoscibile<br />

e <strong>del</strong> non provabile sotto l’impeto <strong>del</strong>la dottrina e<br />

<strong>del</strong>l’acume, è suggestivo dilatare per contrasto lo spirito<br />

a questa beata altura in cui culmina il respiro di<br />

Polla e <strong>del</strong>la sua gente, unita dal pensiero <strong>del</strong> gran<br />

nome che ebbe, sotto la mole compatta <strong>del</strong> corpo, fattura<br />

e impalpabile dimensione d’angelo, come seguita<br />

a ripetere l’epiteto che lo consacrò nella voce popolare,<br />

di doctor angelicus 7 .<br />

Il Comitato scientifico di ‘Sal(t)ernum’ accoglie volentieri questo scritto <strong>del</strong>l’Accademico de’ Lincei Vittorio Bracco, che ne testimonia la<br />

poliedricità di interessi.<br />

Bibliografia<br />

BRACCO V. 2009, Feste nell’arte a Polla,<br />

Teggiano, a cura <strong>del</strong>la Diocesi di Teggiano-<br />

Policastro.<br />

NATELLA P. 1980, I Sanseverino di Marsico:<br />

una terra, un regno, Mercato San Severino.<br />

NATELLA P. 2008, I Sanseverino di Marsico:<br />

una terra, un regno. I. Il Gastaldato di Rota,<br />

Salerno.<br />

6 Sull’argomento in generale cfr. NATELLA<br />

1980, nonché l’accresciuta edizione <strong>del</strong>la<br />

prima parte <strong>del</strong>l’opera con l’aumentato titolo<br />

(NATELLA 2008).<br />

7 Ringrazio il professor Giovanni Vitolo, che<br />

ha rettamente connesso il nome di Monte<br />

Marta con la fortuna <strong>del</strong>la memoria <strong>del</strong>la<br />

Santa, diffusa dalla politica angioina; e in ciò<br />

ha fortificato quella inclinazione alla quale<br />

ero già propenso nell’attribuire la fortuna<br />

stessa <strong>del</strong> Santo d’Aquino a cappello <strong>del</strong>la<br />

montagna di Polla all’influenza, con la<br />

mediazione dei Sanseverino, esercitata da<br />

quei sovrani di penetrazione tra il popolo.<br />

SILVESTRI A. 1980 (s.d., ma), Le popolazioni<br />

di Polla e di Sala Consilina nel censimento <strong>del</strong><br />

1489, Napoli.


In ricordo di Werner Johannowsky<br />

Nella notte tra il 3 e il 4 Gennaio è morto<br />

l’archeologo Werner Johannowsky: da<br />

poco aveva compiuto 84 anni. Per volontà<br />

di Stefano De Caro, Direttore Generale<br />

all’Archeologia, la sua personalità è stata commemorata<br />

in forma solenne, il 4 Febbraio, nell’atrio <strong>del</strong> Museo<br />

<strong>Archeologico</strong> Nazionale di Napoli; come ebbi a dire<br />

allora, questa scelta mostrava un cuore antico: in<br />

Grecia il morto veniva esposto all’interno <strong>del</strong>la sua<br />

casa; per Werner il Museo, la Soprintendenza come<br />

Istituzione, erano state la vera casa; noi eravamo stati,<br />

in modo più o meno generoso, la sua Famiglia.<br />

Assai più distanti erano stati per lui i Genitori: la<br />

madre austriaca, donna ferrea, di grande cultura, traduttrice<br />

esperta di varie lingue; il padre, polacco, legato<br />

ai suoi ricordi, prima come attaché d’Ambasciata alla<br />

Sublime Porta <strong>del</strong> Sultano di Costantinopoli, poi proprietario<br />

<strong>del</strong>la favolosa libreria antiquaria di Piazza<br />

Plebiscito.<br />

Eppure la matrice familiare aveva pesato sulla formazione<br />

<strong>del</strong> giovane Werner più di quanto egli non<br />

fosse disposto a riconoscere: estraneo alla corrività<br />

cattolica, retto da un gran senso <strong>del</strong>la giustizia, egli era<br />

un napoletano radicato nella Mitteleuropa, esente dal<br />

piccolo provincialismo <strong>del</strong>la cultura italiana, prima fra<br />

tutte quella archeologica, uscita dalla guerra. In grado<br />

di leggere la letteratura archeologica direttamente nelle<br />

varie lingue europee (a casa si parlava il Tedesco), cosa<br />

che nell’‘Italietta’ di allora non era abituale (e non lo è<br />

neanche ora) la sua conoscenza <strong>del</strong>la bibliografia<br />

scientifica era sterminata, e una memoria infallibile gli<br />

permetteva di richiamare alla mente i confronti più<br />

opportuni. La sua passione per l’Antichità lo animava<br />

fin da piccolo: la madre mi raccontava che, quando il<br />

padre Bernardo si allontanava da Napoli, lei avrebbe<br />

voluto che il piccolo Werner le tenesse compagnia nel<br />

letto matrimoniale, e per convincerlo gli prometteva di<br />

BRUNO D'AGOSTINO<br />

- 113 -<br />

raccontargli <strong>del</strong>le storie; ma la sua risposta era implacabile:<br />

«ma storie vere di tempi antichi, o favole?».<br />

Inutile dire che solo la prima risposta riusciva a convincerlo.<br />

Come l’ho conosciuto? Stretto dalla necessità.<br />

Ancora adolescente desideravo visitare i siti dove si<br />

svolgevano nuovi scavi in Campania; ed ogni volta<br />

avevo la stessa risposta: «Dovete domandare al dottore<br />

Johannowsky». Fu così che mi presentai a casa sua,<br />

ma Bernardo mi rispose che Werner non c’era: faceva<br />

il servizio militare.<br />

Generosissimo, mi accolse, anche se ancora studente,<br />

come compagno nelle visite agli scavi, come<br />

accolse chiunque gli si rivolgesse con il desiderio di<br />

conoscere; a suo merito va ricordato che non era<br />

insensibile al fascino <strong>del</strong>le fanciulle ... Poi divenimmo<br />

colleghi, e condividemmo tra l’altro per due anni<br />

(1963 e 1965) l’esperienza di scavo a Iasos in Caria:<br />

non c’era la casa <strong>del</strong>la missione, si viveva in condizioni<br />

difficili; ogni volta era un’estate di fuoco. C’era con<br />

noi il caro Pamì Pecorella, di cui è sempre vivo il rimpianto,<br />

ad allietare con il suo fare scanzonato le serate<br />

al buio (non c’era luce elettrica!). Nei momenti peggiori,<br />

extrema ratio, c’era sempre il Rakì a farci evadere.<br />

Come archeologo, gli si sarebbero potute rimproverare<br />

alcune cose importanti: la sua scarsa sistematicità,<br />

l’ordine precario dei materiali, le molte cose non<br />

pubblicate. Tutte cose da non additare come esempio<br />

ai più giovani. Non si capisce come, tuttavia, le conclusioni<br />

che traeva da un modo di scavare in apparenza<br />

caotico fossero sempre esatte: mi è capitato di verificarlo<br />

a mie spese quando, grazie alla politica di<br />

Stefano De Caro, ho avuto il privilegio di scavare le<br />

mura di Cuma! Se vogliamo metterla sul piano teorico,<br />

si potrebbe dire che gli era <strong>del</strong> tutto estraneo il modo<br />

analitico di procedere, quello - per intendersi - che si<br />

affida a un sistema piramidale di schede nel quale l’u-


nità <strong>del</strong>lo scavo si rifrange; il suo era un approccio sintetico,<br />

intuitivo, ma sorretto da una straordinaria<br />

conoscenza dei materiali.<br />

Lo sosteneva in questo difficile esercizio la vasta<br />

apertura di interessi, sia sul piano cronologico che su<br />

quello etnico-culturale; capace di spaziare dal dinos di<br />

Sophilos alla copia <strong>del</strong>l’Apollo <strong>del</strong>l’Omphalos alla capeduncola<br />

<strong>del</strong>la prima Età <strong>del</strong> Ferro, aveva ereditato dalla<br />

vecchia Scuola napoletana una grande sensibilità per il<br />

territorio. Le sue ricerche spaziavano dalla Protostoria<br />

al Medioevo, dal mondo greco a quello italiota e a<br />

quello indigeno; nella sua visione, non c’era tra queste<br />

culture alcuna gerarchia di valori: nessuno era ritenuto<br />

marginale.<br />

Questo suo rifiuto per ogni forma di privilegio<br />

affondava le radici in una coscienza politica salda, che<br />

gli permetteva di partecipare da semplice militante alle<br />

SALTERNUM<br />

- 114 -<br />

riunioni <strong>del</strong>la sua sezione territoriale <strong>del</strong> Partito<br />

Comunista. L’impegno politico ci portò, in un giorno<br />

memorabile, a correre a Roma per sostenere con la<br />

nostra presenza l’occupazione degli studenti<br />

nell’Istituto di Archeologia <strong>del</strong>la Sapienza. L’impegno<br />

a stare sempre dalla parte <strong>del</strong> più debole si univa a una<br />

militanza assidua per la tutela dei Beni Culturali, e ci<br />

vide partecipi <strong>del</strong> primo gruppetto che, con Ranuccio<br />

Bianchi Bandinelli, diede vita alla breve stagione di<br />

“Dialoghi di Archeologia”.<br />

A suo merito occorre dire, senza mai stancarsi, che<br />

non aveva i ‘paraocchi’, che non è mai stato avaro <strong>del</strong><br />

suo sapere: ha dato a noi tutti molto più di quello che<br />

noi abbiamo dato a lui.<br />

E’ morto giovane, se essere giovani significa avere<br />

conservato intatte le proprie passioni.


Presentazione<br />

In questo numero <strong>del</strong>la Rivista “Salternum”,<br />

grazie alla cortesia e alla disponibilità di<br />

Gabriella d’Henry e Felice Pastore, sono contenute<br />

le notizie preliminari sulle scoperte archeologiche<br />

avvenute più recentemente, negli anni dal 2008 al<br />

2010, nel territorio <strong>del</strong>la città romana e <strong>del</strong> suo circondario<br />

e che sono il frutto <strong>del</strong>l’attività di sorveglianza<br />

condotta con attenzione e puntualità dalla<br />

Soprintendenza Archeologica.<br />

L’azione di prevenzione e salvaguardia <strong>del</strong>le testimonianze<br />

archeologiche è stata senza dubbio resa più<br />

incisiva e determinante dalla legislazione in materia,<br />

che ha visto, a partire dal 2006, l’entrata in vigore di<br />

specifiche norme che hanno agevolato l’intervento<br />

<strong>del</strong>la Soprintendenza: l’applicazione dei disposti contenuti<br />

negli artt. 95 e 96 <strong>del</strong> D.L.vo 163/2006, infatti,<br />

ha consentito operazioni trasparenti, impostate su basi<br />

certe e ben comprensibili anche da parte <strong>del</strong>la committenza<br />

<strong>del</strong>le opere pubbliche o di interesse pubblico,<br />

nella cui realizzazione si è manifestata la necessità<br />

<strong>del</strong>l’intervento preventivo di scavo archeologico.<br />

Effettivamente, in passato spesso le maggiori difficoltà<br />

per la salvaguardia e la tutela <strong>del</strong>le presenze antiche<br />

che venissero rinvenute nel corso <strong>del</strong>l’esecuzione<br />

di appalti pubblici erano determinate in primis dalla<br />

mancanza di attenzione da parte <strong>del</strong>le stazioni appaltanti<br />

alle problematiche archeologiche, che non venivano<br />

tenute in sufficiente considerazione, se non addirittura<br />

ignorate, nel corso <strong>del</strong>la progettazione <strong>del</strong>le<br />

opere, e – di conseguenza - dalle complicazioni emergenti<br />

per poter effettuare le ricerche necessarie, i cui<br />

oneri, ricadendo sulle stazioni appaltanti, potevano<br />

rappresentare per le stesse sia aggravio di costi che<br />

notevoli ritardi nella realizzazione dei progetti. Inoltre,<br />

il vacuum legislativo in materia lasciava spazio alla<br />

discrezionalità di prescrizioni da parte <strong>del</strong>le<br />

MARIA LUISA NAVA<br />

Notizie dagli Scavi<br />

- 115 -<br />

Soprintendenze, che, oltre a determinare possibili<br />

incomprensioni da parte <strong>del</strong>la committenza <strong>del</strong>l’opera,<br />

poteva altresì portare a differenti modalità di intervento<br />

da parte di funzionari e/o dirigenti, foriere anch’esse<br />

di ulteriori malintesi, a tutto discapito <strong>del</strong>la collaborazione<br />

tra Soprintendenza e Stazione Appaltante,<br />

necessaria al fine <strong>del</strong>la corretta esecuzione <strong>del</strong>le operazioni<br />

di archeologia preventiva. La redazione di specifiche<br />

norme, quindi, al di là di ogni dubbio e critica<br />

che ogni intervento legislativo può suscitare nell’applicazione<br />

pratica, ha posto ordine in un campo in cui in<br />

passato si era forse agito con eccessiva discrezionalità,<br />

permettendo una maggior chiarezza di rapporti tra gli<br />

Enti interessati e, soprattutto, consentendo alla<br />

Soprintendenza di esercitare le proprie funzioni di<br />

sorveglianza e tutela dei beni archeologici ex lege, in<br />

base ad azioni certe e preventivamente concordate in<br />

piena trasparenza e legittimità.<br />

Ciò è valso, soprattutto, per quanto ha riguardato<br />

gli interventi condotti a vario titolo dal Comune di<br />

Salerno, ai cui progetti si riferiscono in massima parte<br />

le scoperte archeologiche presentate qui di seguito: la<br />

collaborazione stabilita con i differenti Uffici<br />

<strong>del</strong>l’Amministrazione Comunale ha portato a rinvenimenti<br />

importanti per la conoscenza <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la<br />

città antica e <strong>del</strong>le modalità di occupazione <strong>del</strong>le sue<br />

aree suburbane. Se gli interventi nel centro storico,<br />

quali lo scavo di piazza Sant’Agostino, condotto da<br />

Monica Viscione, e i saggi condotti lungo corso<br />

Vittorio Emanuele, nei pressi <strong>del</strong>la Stazione<br />

Ferroviaria, seguiti da Roberta Altobello e Laura<br />

Mirabella, sono stati eseguiti in zone che – proprio per<br />

la loro collocazione nel perimetro <strong>del</strong>l’insediamento<br />

antico – palesemente costituiscono aree ad alto rischio<br />

archeologico, risultati di grande interesse si sono avuti<br />

anche in altri siti marginali alla città. La realizzazione<br />

di un parcheggio in località Ostaglio, alla periferia sud-


est di Salerno, quasi al confine con il territorio <strong>del</strong><br />

Comune di Pontecagnano, ha permesso di ritrovare<br />

una straordinaria necropoli <strong>del</strong>la facies di Palma<br />

Campania, il cui rito deposizionale conferma quanto<br />

già osservato nelle coeve sepolture di San Paolo<br />

Belsito, località Monticelli, e Sant’Abbondio di<br />

Pompei. Come evidenzia Tsao Cevoli nel lavoro qui<br />

proposto, la necropoli di Ostaglio costituisce una scoperta<br />

rilevante per la conoscenza <strong>del</strong> popolamento<br />

<strong>del</strong>l’area durante le prime fasi <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo e<br />

rappresenta un tassello importante per la definizione<br />

<strong>del</strong>le modalità insediative in un’area che, a partire dalle<br />

prime fasi <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Ferro, ospiterà il più considerevole<br />

fenomeno culturale <strong>del</strong> territorio.<br />

Contribuisce a meglio precisare il ruolo fondamentale<br />

nella strategia insediamentale antica di quest’area<br />

la serie di ritrovamenti, effettuati dall’équipe<br />

<strong>del</strong>l’Università di Salerno con Luca Cerchiai e la sua<br />

scuola, effettuati nel sito in cui è prevista la costruzione<br />

<strong>del</strong> Termovalorizzatore <strong>del</strong> <strong>Salernitano</strong>: la località<br />

Boscariello - Cupa di Siglia si colloca non distante da<br />

Ostaglio e alle pendici <strong>del</strong> Monte Vetrano e nei pressi<br />

<strong>del</strong>l’alveo <strong>del</strong> Picentino. I dati emersi dall’indagine preventiva,<br />

svolta sulla base di una convenzione tra<br />

Amministrazione Comunale di Salerno,<br />

Soprintendenza Archeologica e Università, hanno<br />

consentito di esplicitare un quadro insediamentale<br />

complesso che, completandosi con le informazioni già<br />

note, conferma l’importante funzione strategica<br />

assunta dal territorio <strong>del</strong> Picentino a partire dal<br />

Neolitico, con punte di eccellenza che si collocano già<br />

nel secondo millennio a. C., senza flessioni sino a tutta<br />

l’Età <strong>del</strong> Ferro e il periodo romano.<br />

E proprio lungo il corso <strong>del</strong> fiume Picentino, nel<br />

luogo dove ancora il Comune di Salerno sta realizzando<br />

un impianto per il compostaggio dei rifiuti, la sorveglianza<br />

archeologica, esercitata nonostante le indagini<br />

preventive non avessero dato risultati certi, ma eseguita<br />

sulla base <strong>del</strong> rapporto di fiducia e collaborazione<br />

che la Soprintendenza, proprio in virtù di un’applicazione<br />

chiara e trasparente <strong>del</strong>la normativa sull’archeologia<br />

preventiva è riuscita in questi ultimi anni a<br />

stabilire con l’Amministrazione Comunale, è stato<br />

posto in luce un tratto di acquedotto di età romana,<br />

con probabilità compromesso dai fenomeni derivanti<br />

dalle eruzioni vulcaniche <strong>del</strong> 64 e 79 d. C., qui illustrato<br />

da Daniela Pierno e Raffaella Pisapia. La scoperta<br />

appare ancora più rilevante, in quanto non solo la<br />

SALTERNUM<br />

- 116 -<br />

struttura testé individuata appare in relazione con<br />

quella già rinvenuta qualche tempo fa a Pontecagnano<br />

nel tratto <strong>del</strong> sottopasso ferroviario, ma altresì il suo<br />

andamento farebbe supporre una possibile correlazione<br />

a servizio di una grande villa, al momento in fase di<br />

esplorazione, identificata in località Torre Picentina, e<br />

<strong>del</strong>la quale attualmente sono state riconosciute più fasi<br />

costruttive, e che appare dotata altresì di un complesso<br />

apparato termale, di carattere monumentale. Anche<br />

la scoperta <strong>del</strong>l’impianto di questa villa, la cui edizione<br />

mi auguro trovi posto nel prossimo futuro su questa<br />

Rivista, si deve all’intensa attività di urbanizzazione<br />

perseguita dall’attuale Amministrazione Comunale<br />

di Salerno, il cui dinamico operato ha costretto e<br />

costringe la Soprintendenza ad una altrettanto intensa<br />

- a volte al limite <strong>del</strong> frenetico - attività di sorveglianza<br />

e prevenzione archeologica. Non sorprende, quindi,<br />

che anche la villa individuata in località Pastorano,<br />

alla periferia nord-ovest <strong>del</strong>la città, lungo la moderna<br />

viabilità che ripercorre il tracciato di un’antica direttrice<br />

di penetrazione da Nuceria ad Abellinum e Picentia,<br />

sia stata scoperta a seguito <strong>del</strong>la costruzione di un’infrastruttura<br />

(ancora un parcheggio), progettata dal<br />

Comune.<br />

Vi è da rilevare che, nella maggioranza dei casi, si è<br />

operato, in accordo con l’Ente territoriale, in modo<br />

che la presenza dei rinvenimenti archeologici venisse<br />

tutelata adeguatamente e doverosamente salvaguardata,<br />

senza per questo impedire la realizzazione <strong>del</strong>le<br />

opere progettate. Si è proceduto in questa direzione<br />

anche là dove in passato si sarebbe optato per la valorizzazione<br />

ai fini turistici dei siti, costretti oggi a compiere<br />

scelte ormai, purtroppo, obbligate dall’endemica<br />

carenza di risorse sia finanziarie che umane che caratterizza<br />

tutto il mondo dei Beni Culturali e la<br />

Soprintendenza in particolare. Infatti, insopportabili<br />

sarebbero attualmente i costi manutentivi e gestionali<br />

per conservare visibili e visitabili nuove zone e aree<br />

archeologiche, quando i mezzi a disposizione - condizionati<br />

da finanziamenti che subiscono feroci tagli<br />

annuali da oltre un decennio e dal vuoto professionale<br />

determinato dal turn over pensionistico dei dipendenti<br />

- appaiono ben inferiori anche alla corretta<br />

gestione <strong>del</strong> patrimonio già esistente.<br />

In quest’ottica assume rilevanza l’edizione di questi<br />

ritrovamenti: al di là degli strumenti di tutela doverosamente<br />

posti in essere dalla Soprintendenza, sia sul<br />

piano giuridico con l’imposizione <strong>del</strong>la notifica <strong>del</strong>l’in


teresse archeologico per le aree, che sul piano operativo,<br />

richiedendo variazioni al progetto originale che<br />

comportassero adeguate opere provvisionali a tutela<br />

<strong>del</strong>la conservazione <strong>del</strong>le testimonianze antiche, chi<br />

scrive ritiene che la pubblicazione tempestiva <strong>del</strong>le<br />

scoperte sia di estrema importanza, non solo per la<br />

conoscenza scientifica, ma soprattutto per conservarne<br />

la memoria in maniera chiara ed evidente. Solo la<br />

piena consapevolezza <strong>del</strong>le preesistenze antiche <strong>del</strong><br />

territorio può consentire di programmarne in maniera<br />

armonica lo sviluppo futuro, senza pregiudizi per la<br />

conservazione <strong>del</strong>la sua storia e dei Beni Culturali che<br />

la contraddistinguono.<br />

E’ questa la base <strong>del</strong> codice etico e la deontologia<br />

professionale che contraddistingue tutti coloro che<br />

hanno veramente a cuore il nostro patrimonio culturale,<br />

la sua conservazione e la sua conoscenza, per la<br />

cui realizzazione spesso si impegnano con abnegazione<br />

e sacrificio personale, sia che svolgano compiti istituzionali<br />

o che vi si dedichino in attività di volontariato,<br />

come gli amici <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong><br />

<strong>Salernitano</strong>.<br />

La Rivista è una loro pregevolissima iniziativa,<br />

dovuta esclusivamente alla loro sensibilità ed alla protervia<br />

volontà nella salvaguardia dei Beni Culturali che<br />

li caratterizza e che li accomuna a Gabriella d’Henry<br />

che, dopo un’intensa e diuturna attività sul campo, li<br />

accompagna costantemente nelle scelte operative. Per<br />

questo desidero ribadire la mia personale gratitudine a<br />

tutti quanti loro per l’opportunità che consente alla<br />

Soprintendenza di Salerno di preservare la memoria<br />

<strong>del</strong>le scoperte e di renderne edotto un vasto pubblico,<br />

coinvolgendo una platea che ben si estende oltre i<br />

confini imposti dalla letteratura strettamente specialistica.<br />

Ma la passione, la ‘malattia’ per l’Archeologia e i<br />

Beni Culturali in genere è un morbo che - fortunatamente,<br />

a mio modo di vedere - contagia anche le generazioni<br />

più giovani: la Soprintendenza non sarebbe<br />

stata in grado di compiere adeguatamente gli scavi,<br />

raggiungendo i risultati qui presentati, se gli archeologi<br />

che vi hanno operato non avessero agito con grande<br />

dedizione e spirito di sacrificio, in moltissime occasioni.<br />

E mi riferisco ai turni di scavo notturno ai quali<br />

si sono sottoposte Daniela Pierno e Raffaella Pisapia<br />

nei mesi di Novembre-Dicembre 2009 e Gennaio<br />

2010 per lo scavo <strong>del</strong>l’acquedotto nell’area <strong>del</strong><br />

Compostaggio, condotto spesso in condizioni atmo-<br />

MARIA LUISA NAVA<br />

- 117 -<br />

sferiche proibitive di un inverno inclemente anche per<br />

il Meridione; penso a Monica Viscione ed Elettra<br />

Civale, sullo scavo allagato <strong>del</strong>la villa di Pastorano, a<br />

Laura Mirabella e a Roberta Altobello, costrette nell’angusto<br />

e scomodo cunicolo <strong>del</strong>le infrastrutture di<br />

servizio di Corso Vittorio Emanuele; a Luca Cerchiai<br />

e ad Amedeo Rossi, con il loro gruppo, nelle concitate<br />

scoperte nell’area <strong>del</strong> Termovalorizzatore; ricordo<br />

tutti gli altri archeologi ed operai, al lavoro con qualsiasi<br />

tempo ed in qualsiasi condizione per condurre le<br />

esplorazioni seguendo la pressante tabella di marcia<br />

imposta dai tempi e dagli accordi pattuiti con la<br />

Committenza nelle previsioni - in alcuni casi un po’<br />

troppo ottimistiche - di chi scrive ed alle quali, con<br />

ininfluenti e marginali eccezioni, si è sempre tenuto<br />

fede, anche quando la complessità <strong>del</strong>le scoperte<br />

imponeva ritmi di lavoro febbrili per l’ultimazione<br />

degli scavi.<br />

In quest’opera non sono venuti meno i Funzionari<br />

ed i Tecnici <strong>del</strong>la Soprintendenza, animati da pari<br />

dedizione, encomiabile disinteresse ed entusiasmo,<br />

nonostante le difficoltà ingenerate dalle carenze economiche<br />

e dalle insensate strettoie imposte dalla<br />

recente miope normativa sull’espletamento dei ‘viaggi<br />

di servizio’, varata da opachi ‘burosauri’, ignari <strong>del</strong>la<br />

realtà e inconsapevoli di quanto accade oltre il finestrino<br />

<strong>del</strong>la loro ‘auto blu’. Malgrado le nuove disposizioni<br />

impediscano de facto l’utilizzo da parte dei dipendenti<br />

<strong>del</strong> mezzo proprio, non più rimborsabile, in un contesto<br />

che vede la Soprintendenza privata ormai da<br />

anni di auto di servizio, nessuno dei Tecnici e dei<br />

Funzionari è venuto meno al doveroso e dovuto controllo<br />

archeologico <strong>del</strong> territorio, pur se tale compito<br />

viene ormai espletato esclusivamente sulla base di un<br />

impegno, che grava - anche finanziariamente - in toto<br />

sul dipendente.<br />

A maggior ragione, dunque, a tutti quanti, assistenti<br />

di scavo, disegnatori, fotografi e restauratori sono<br />

particolarmente debitrice se il pur breve periodo, dal<br />

Maggio 2008 al Luglio 2010, <strong>del</strong> mio agire a capo <strong>del</strong>la<br />

Soprintendenza è stato foriero in modo speciale di<br />

ritrovamenti e scoperte di notevole importanza. A<br />

tutti coloro che mi sono stati vicini e che mi hanno<br />

offerto la loro disponibilità e collaborazione vorrei<br />

dire: è stata una bellissima stagione, amici miei, nella<br />

quale abbiamo lavorato tutti insieme, imparando a<br />

conoscerci nei nostri pregi e difetti, scambiandoci<br />

esperienze e conoscenze, ognuno facendo la propria


parte, per uno scopo univoco in pieno reciproco<br />

rispetto ed armonia. E’ stata una stagione di crescita<br />

intellettuale e personale: non dimenticatela e fate tutti<br />

quanti in modo che la metodologia di intervento e di<br />

proficua collaborazione che abbiamo stabilito insieme<br />

non resti episodio isolato, ma possa continuare, per<br />

mezzo <strong>del</strong>lo stesso vostro entusiasmo, lo stesso vostro<br />

impegno, nell’operosa serenità e con la piena soddisfazione<br />

che fino ad ora l’hanno contraddistinta. Dalla<br />

mia posizione di osservatore, ormai esterna<br />

SALTERNUM<br />

- 118 -<br />

all’Amministrazione dei Beni Culturali, ma a voi tutti<br />

idealmente vicina, mi arrogo la pretesa di assegnarvi<br />

per il futuro questo compito. Buoni scavi a tutti.<br />

Salerno, Ottobre 2010<br />

Maria Luisa Nava<br />

già Soprintendente Archeologo<br />

per le Province di Salerno,<br />

Avellino, Benevento e Caserta


ROBERTA ALTOBELLO<br />

Salerno.<br />

Lo scavo di alcune sepolture in via Vicinanza<br />

Le indagini archeologiche condotte durante i<br />

lavori di ripavimentazione e rifacimento<br />

<strong>del</strong>la rete fognaria <strong>del</strong> C.so Vittorio<br />

Emanuele in Salerno hanno permesso l’individuazione<br />

di tre nuclei di sepolture in parte obliterate dalle fondazioni<br />

dei vicini fabbricati moderni e dai relativi sottoservizi,<br />

confermando la vecchia ipotesi <strong>del</strong>l’esistenza di<br />

una grande necropoli di età romana nell’area compresa<br />

tra Piazza Vittorio Veneto e il C.so Vittorio Emanuele,<br />

ossia nell’area <strong>del</strong>la Stazione Ferroviaria (fig. 1) 1 .<br />

L’idea che in questo punto <strong>del</strong>la città si celasse un’importante<br />

necropoli prese forma già nel 1870, grazie al<br />

rinvenimento di «diverse tombe in un’area piuttosto<br />

vasta, rispondente all’attuale edificio tra C.so Vittorio<br />

Emanuele e via De Felice». 2 Nel 1948 gli scavi per la fondazione<br />

<strong>del</strong>la sede <strong>del</strong>l’Ufficio Lavori <strong>del</strong>le Ferrovie, tra<br />

la Stazione Ferroviaria e la Chiesa <strong>del</strong> Sacro Cuore, portarono<br />

alla luce 6 tombe a cassa di laterizi posteriori al<br />

79 d. C., di cui due coperte con lastre 3 .<br />

È certo comunque che le necropoli romane di<br />

Salerno, databili a partire almeno dal II sec. a. C. fino<br />

al V-VI sec. d. C., si svilupparono soprattutto sull’attuale<br />

C.so Vittorio Emanuele, non estendendosi da<br />

Occidente verso Oriente in maniera organica - come<br />

si riteneva in un primo tempo - ma sovrapposte nello<br />

stesso spazio, interessando la fascia litoranea che corrisponde<br />

appunto al Corso principale <strong>del</strong>la città 4 .<br />

La parte di necropoli rinvenuta durante gli scavi<br />

odierni era stata sigillata da uno strato di notevole<br />

spessore, costituito da terra e abbondante materiale<br />

archeologico decontestualizzato, spesso in crollo, da<br />

riferire con tutta probabilità all’alluvione che distrusse<br />

Salerno tra la fine <strong>del</strong> IV sec. d. C. e l’inizio <strong>del</strong> V sec. 5 .<br />

Oltre che dalle alterazioni antiche, tuttavia, le tombe<br />

erano state disturbate anche dagli interventi moderni<br />

di ricostruzione post-bellica, cominciati dagli anni ’50<br />

(fig. 2).<br />

- 119 -<br />

Fig. 1 - Rilievi topografici dei nuclei sepolcrali (in nero la T. 1), (scala 1:200).<br />

Fig. 2 - Foto di<br />

insieme <strong>del</strong>le<br />

sepolture.<br />

Le sepolture, profondamente stratificate e rintracciate<br />

ad una profondità compresa tra i 2 e i 3 m dall’attuale<br />

piano di calpestio, erano legate a poderose<br />

strutture murarie con orientamento NO/SE;<br />

intonacate e composte da ciottoli e tufo con legante<br />

molto compatto, queste erano state edificate su un terreno<br />

sabbioso ricco di materiale piroclastico formatosi<br />

probabilmente a seguito di una mareggiata 6 e quindi<br />

precedente alla costruzione <strong>del</strong>la necropoli; oltre a<br />

costituire una base di appoggio per le tombe stratigraficamente<br />

più antiche, ricavate direttamente nel terreno,<br />

tali murature ne rappresentavano anche la <strong>del</strong>im-


Fig. 3 - Foto di scavo <strong>del</strong>le TT. 1-2-3.<br />

Fig. 4 - Rilievo <strong>del</strong>la T. 1<br />

(scala 1:10).<br />

itazione, fungendo da recinto,<br />

mentre erano basamento<br />

per le inumazioni più tarde.<br />

Le sepolture erano tutte<br />

alterate nella parte superiore<br />

e probabilmente violate in<br />

antico (all’interno di esse<br />

non vi è traccia di corredo),<br />

ma, dall’osservazione <strong>del</strong>le<br />

sezioni <strong>del</strong>le strutture<br />

murarie e in base ai ritrovamenti,<br />

si può ritenere che<br />

fossero in origine a copertura<br />

piana: la tipologia riscontrata<br />

è quella <strong>del</strong>la cassa di<br />

laterizi rivestita all’interno di intonaco 7 . Di questa porzione<br />

di necropoli é stato inoltre possibile rilevare più<br />

fasi: informazioni utili per la cronologia, infatti, sono<br />

state fornite dalle citate strutture murarie in cui sono<br />

state realizzate le sepolture, le quali si sono impostate<br />

su livelli di molto precedenti, a loro volta coperti<br />

dall’eruzione <strong>del</strong> 79 d. C. 8 . Appare quindi evidente, da<br />

tale data, l’uso di quest’area come necropoli, la quale<br />

mostra una continuità di vita almeno fino al V sec. d. C.,<br />

periodo in cui le fonti antiche (confortate anche dai<br />

materiali rinvenuti) collocano l’alluvione che sigillò<br />

buona parte <strong>del</strong>le necropoli <strong>del</strong> C.so Vittorio<br />

Emanuele: lo strato alluvionale, di una potenza di ca.<br />

1/2 metro, fu indagato in particolar modo nel complesso<br />

palaziale longobardo di S. Pietro ‘a Corte’, dove si<br />

notò che anche dopo tale evento - i cui depositi non<br />

furono rimossi - si continuò a usare l’area come necropoli<br />

almeno fino alla metà <strong>del</strong> VII sec. d. C. 9 .<br />

La parte di necropoli di cui si tratta in questa sede<br />

è caratterizzata, come accennato, da tre nuclei di<br />

SALTERNUM<br />

- 120 -<br />

sepolture poco distanti tra loro e soprattutto in rapporto<br />

ad articolate strutture murarie, ad eccezione <strong>del</strong><br />

nucleo più settentrionale, disposto lungo un asse stradale<br />

in terra battuta interpretabile come una parte<br />

<strong>del</strong>la strada di accesso alla necropoli 10 .<br />

Il primo nucleo, quello più meridionale e più vicino<br />

al mare, è costituito da 4 sepolture: le TT. 1-2-3<br />

(figg. 1; 3-4), orientate in direzione Nord-Est/Sud-<br />

Ovest, di dimensioni medio - grandi, possono essere<br />

attribuite a individui adulti; la T. 4, più piccola, orientata<br />

in direzione E/O (fig. 1), potrebbe essere riferita<br />

a un individuo di età infantile. Le TT. 2-3-4 potrebbero<br />

essere più recenti <strong>del</strong>la T. 1, poiché sembrano essere<br />

impostate intorno a quest’ultima: non si può escludere<br />

che si tratti di inumazioni di individui legati tra<br />

loro da rapporti di parentela 11 .<br />

La tomba meglio conservata al momento <strong>del</strong>lo<br />

scavo è la T. 1: distrutta nella copertura dall’alluvione<br />

tardoantica, recava anche qualche traccia <strong>del</strong>la<br />

struttura a cassetta di laterizi. È stata messa in luce,<br />

infatti, una grande lastra in giacitura primaria decorata<br />

con un motivo a goccia (US 25) che chiudeva trasversalmente<br />

la tomba (fig. 3). Il piano di deposizione<br />

era costituito da lastre <strong>del</strong>lo stesso tipo. Del corredo<br />

non vi era traccia, e sul fondo vi erano soltanto<br />

poche ossa (figg. 4); riguardo alla tecnica edilizia utilizzata,<br />

è stato possibile accertare che i laterizi di rivestimento<br />

interno erano stati prima legati con calce ai<br />

muri di blocchetti di tufo grigio e successivamente<br />

intonacati; asportando il piano di deposizione, si è<br />

chiarito che esso copriva in parte un livello di terreno<br />

con le pomici <strong>del</strong> 79 d. C.<br />

Della T. 2, di notevoli dimensioni - posta a Ovest<br />

<strong>del</strong>la precedente, alla quale si appoggiava e con cui<br />

condivideva il medesimo orientamento - si conservava<br />

bene soltanto l’intonaco interno; pur in assenza di<br />

resti scheletrici e di corredo, si presume che dovesse<br />

ospitare un individuo adulto.<br />

La T. 3 era posta parallelamente <strong>del</strong>la T. 1, ad Est.<br />

Anche questa sepoltura, priva di copertura, può essere<br />

attribuita a un individuo di età adulta, <strong>del</strong> quale si<br />

sono conservati frammenti <strong>del</strong>lo scheletro mescolati al<br />

terreno di riempimento; il piano di deposizione era<br />

stato ricavato direttamente nello strato di sabbia marina<br />

su cui è stato impiantato tutto il nucleo sepolcrale.<br />

La T. 4, posta a Sud <strong>del</strong>la T. 1 e orientata Est/Ovest,<br />

anch’essa priva <strong>del</strong>la copertura, era la più piccola <strong>del</strong><br />

gruppo (fig. 1): potrebbe essere riferita a un individuo


di età infantile, ma all’interno non sono state trovate<br />

ossa. Lo scavo ha evidenziato che a Ovest la tomba<br />

era <strong>del</strong>imitata da un’enorme muro di recinzione <strong>del</strong><br />

nucleo di sepolture e a Est da un piccolo muro che la<br />

separava dalla T. 1. Come per la sepoltura precedente,<br />

anche per questa il piano di deposizione era stato ricavato<br />

nello strato sabbioso.<br />

Il secondo nucleo di sepolture è stato individuato<br />

a Nord <strong>del</strong>le sepolture precedenti: si tratta di 9 tombe<br />

(TT. 5-13) orientate tutte in direzione Est/Ovest e<br />

raggruppate in articolati rapporti di sovrapposizione.<br />

La T. 5, quasi totalmente distrutta dallo strato alluvionale<br />

di età tardoantica, è stata rintracciata alla profondità<br />

di ca. m 2 dove entrava in buona parte nella parete<br />

est <strong>del</strong>la trincea, caratterizzandosi per la presenza di<br />

ossa combuste, concentrate per lo più nell’angolo<br />

ovest (bustum); questa sepoltura era posta parallelamente<br />

e in posizione sopraelevata rispetto alla T. 7,<br />

caratterizzata anch’essa per il rituale <strong>del</strong> bustum.<br />

Anche la T. 6, a Ovest <strong>del</strong>la T. 5, si presentava in<br />

pessimo stato di conservazione: è stato possibile<br />

accertare soltanto che il piano di deposizione era<br />

rivestito in origine da uno strato di cocciopesto, conservatosi<br />

nell’angolo ovest 12 .<br />

La T. 7, rinvenuta alla profondità di ca. m 2,57, si<br />

inserisce stratigraficamente tra le più antiche <strong>del</strong> gruppo.<br />

Distrutta nella copertura, conservava tuttavia i<br />

resti <strong>del</strong>l’incinerato (fig. 5); il piano di deposizione era<br />

stato ricavato nello strato di sabbia che, in questo<br />

punto <strong>del</strong>la necropoli ha restituito alte percentuali di<br />

frammenti di anfore <strong>del</strong> tipo Dressel 1 databili dalla<br />

seconda metà <strong>del</strong> II alla fine <strong>del</strong> I sec. a. C.<br />

La T. 8, alla profondità di ca. m 2, era posta a<br />

Nord/Est <strong>del</strong>la T. 5. Anche in questo caso, la copertura<br />

di laterizi era stata distrutta, conservata in frammenti<br />

all’interno <strong>del</strong> riempimento insieme a porzioni<br />

dei muretti laterali in fase di crollo. Del defunto si<br />

erano conservate poche ossa <strong>del</strong>le gambe, mentre il<br />

piano di deposizione era stato approntato sopra le<br />

articolate strutture murarie di cui si è detto.<br />

La T. 9 - a Nord/Ovest <strong>del</strong>la T. 6 - era stata tagliata<br />

a Ovest dal cemento <strong>del</strong>le vecchie fognature, sotto<br />

le quali proseguiva; questa sepoltura, tuttavia, ha fornito<br />

importanti informazioni sulla tecnica costruttiva:<br />

presentava, infatti, una doppia copertura in lastre<br />

quadrangolari di laterizio con ciottoli e piccoli laterizi<br />

laterali e la copertura, sopra i lastroni, era stata sigillata<br />

con uno spesso strato di calce. Il riempimento era<br />

ROBERTA ALTOBELLO<br />

- 121 -<br />

caratterizzato da terra infiltrata, cemento <strong>del</strong>la fognatura<br />

e da poche ossa probabilmente da riferire al<br />

defunto. Anche il piano di deposizione era costituito<br />

da lastroni di laterizio: è stato recuperato un frammento<br />

con impresso un bollo a forma di croce, evidente<br />

allusione all’adesione al culto cristiano.<br />

A Nord/Ovest <strong>del</strong>la T. 8, alla profondità di ca. m<br />

2,40, si è evidenziata un’altra sepoltura orientata<br />

Nord-Ovest/Sud-Est, la T. 10, caratterizzata da una<br />

copertura piana costituita da lastre di laterizio in condizioni<br />

discrete: la parte risparmiata <strong>del</strong>la copertura<br />

misurava cm 95 di lunghezza x cm 60 di larghezza,<br />

con uno spessore variabile, compreso tra i 3 e i 6 cm;<br />

la fossa, lunga m 2,17, ospitava probabilmente un<br />

individuo di età adulta. Il riempimento si presentava<br />

caoticamente accumulato, mentre il piano di deposizione,<br />

composto da una sola tegola decorata con<br />

motivo ondulato o a goccia, presumibilmente alla base<br />

<strong>del</strong>la testa <strong>del</strong> defunto, era in buone condizioni.<br />

La T. 11, parallela alla precedente, con lo stesso<br />

orientamento e stessa profondità dal piano <strong>del</strong>la pavimentazione,<br />

era stata tagliata in piccola parte a Nord-<br />

Ovest dalla fognatura. La copertura in tegole non era<br />

integra, eccetto lungo il lato nord, e il riempimento ha<br />

restituito numerosi ciottoli e grumi calcarei, oltre a<br />

piccoli frammenti di ossa e tegole. Durante lo scavo si<br />

è evidenziato che i muri <strong>del</strong>la tomba si appoggiavano<br />

su altri due muri pertinenti a una sepoltura sottostante,<br />

più antica (T. 13), la cui tecnica edilizia era la medesima,<br />

con impiego di laterizi, tufo e ciottoli calcarei:<br />

l’intonaco si presentava in cattivo stato di conservazione,<br />

il tufo caratterizzava soprattutto la base dei<br />

muretti, mentre laterizi e pietre erano stati impiegati<br />

nella parte alta.<br />

Immediatamente a Ovest <strong>del</strong>la T. 10, un’altra - T.<br />

12 - entrava per la maggior parte nella parete est <strong>del</strong>la<br />

trincea. Di questa sepoltura, indagata solo in parte,<br />

erano visibili due tegole pertinenti alla copertura; tutta<br />

la restante parte a Ovest era stata distrutta e parzialmente<br />

nascosta dalla struttura fognaria.<br />

L’ultima sepoltura, la T. 13, tra le più antiche <strong>del</strong><br />

nucleo in esame, si è rivelata importante perché rappresenta<br />

il terzo caso di incinerazione diretta rintracciato<br />

in questa necropoli: il bustum, alla profondità di<br />

m 2,85, si era conservato perché coperto dai frammenti<br />

<strong>del</strong>le lastre di copertura crollate all’interno <strong>del</strong>la<br />

tomba. La sepoltura è interessante anche perché attesta<br />

l’uso intensivo <strong>del</strong>la necropoli, in quanto - come si


è visto - le si è sovrapposta in una fase successiva la T.<br />

11: si ha quindi una prova concreta <strong>del</strong> riutilizzo di<br />

questa necropoli anche in fasi successive, come già<br />

evidenziato dal Fiorelli alla fine <strong>del</strong>l’800 per le altre<br />

necropoli <strong>del</strong> C.so Vittorio Emanuele.<br />

Il terzo nucleo di sepolture individuate, nella parte<br />

settentrionale <strong>del</strong>l’area di scavo, era costituito da 3<br />

tombe disposte ai lati <strong>del</strong>la strada battuta: le TT. 14-15<br />

in prossimità <strong>del</strong>la parete occidentale <strong>del</strong>la trincea e<br />

un’altra tomba, non scavata, affiorante dall’altro lato,<br />

lungo la parete orientale (fig. 1).<br />

Le TT. 14-15, alla profondità di ca. m 2,80, erano<br />

affiancate, ma con diverso orientamento: la prima (T.<br />

14), orientata Est/Ovest, proseguiva nella parete occidentale<br />

<strong>del</strong>la trincea, la seconda (T. 15), appoggiata alla<br />

prima, orientata Nord-Est/Sud-Ovest, è stata distrutta<br />

prima dall’alluvione tardoantica, poi, in tempi<br />

recenti, dalla fognatura. Durante lo scavo è stato possibile<br />

evidenziare soltanto che la T. 14 aveva il piano di<br />

deposizione rivestito di intonaco, mentre quello <strong>del</strong>la<br />

T. 15 era stato ricavato sulla strada battuta.<br />

I tre nuclei di sepolture, anche se sconvolti dall’alluvione<br />

di IV-V sec. d. C. e dai lavori per la messa in<br />

opera <strong>del</strong>la prima rete fognaria cittadina, hanno consentito<br />

il recupero di importanti testimonianze riguardo<br />

alla frequentazione di quest’area in epoca antica: la<br />

presenza <strong>del</strong>le Dressel 1, anfore vinarie tipiche<br />

<strong>del</strong>l’Italia tardo-repubblicana diffuse dal II sec. a. C. 13 ,<br />

Fig. 5 - Foto di scavo <strong>del</strong>la T. 7 (bustum).<br />

SALTERNUM<br />

- 122 -<br />

attesta infatti che nel luogo in cui è sorta la necropoli<br />

si svolgevano attività legate al commercio <strong>del</strong> vino 14 .<br />

La necropoli sembra essersi sviluppata soltanto<br />

dopo l’avvenimento catastrofico <strong>del</strong>l’eruzione <strong>del</strong> 79<br />

d. C., le cui pomici sono state trovate depositate negli<br />

strati su cui furono realizzate le sepolture.<br />

Altra importante indicazione cronologica è fornita<br />

dalle TT. 5, 7 e 13, le quali attestano il rituale <strong>del</strong> bustum,<br />

che prevedeva la cremazione diretta nella fossa o<br />

sopra una pira, ma nei casi qui riscontrati, molto probabilmente,<br />

il defunto era stato cremato nella fossa,<br />

poiché non è stata trovata traccia dei resti <strong>del</strong>la pira. A<br />

differenza degli ustrina, dai quali le ceneri erano in<br />

seguito spostate e rinchiuse nell’urna, i busta erano luoghi<br />

destinati ad un unico rogo, con la conservazione in<br />

situ dei resti <strong>del</strong> cremato. 15 Il rituale <strong>del</strong>l’incinerazione<br />

diretta collocherebbe le 3 tombe alla metà circa <strong>del</strong> II<br />

secolo d. C., caratterizzandole come pagane. Le altre,<br />

specialmente quelle in evidente stato di sovrapposizione,<br />

sono databili dal III sec. d. C. Un altro elemento<br />

che fa ipotizzare lo sviluppo <strong>del</strong>la necropoli tra il I sec.<br />

d. C. ed il III sec. d. C. è il recupero di materiale pertinente<br />

ai corredi funebri distrutti dall’alluvione tardoantica:<br />

oltre a numerosi chiodi apotropaici di ferro,<br />

infatti, erano presenti anche frammenti di brocchette<br />

acrome, di lucerne e di unguentari in vetro sottile,<br />

databili appunto dal I al III sec. d. C. 16 .<br />

Il dato più interessante, in grado di testimoniare<br />

che la necropoli fu attiva anche dopo l’alluvione di<br />

fine IV - inizio V sec. d. C., è offerto tuttavia da tre<br />

iscrizioni funerarie frammentarie in lingua latina, rinvenute<br />

all’interno di una stratificazione molto perturbata<br />

17 , ma assegnabili, in base ad elementi datanti<br />

intrinseci contenuti in una di esse e ai caratteri paleografici<br />

e alla tecnica di incisione, al VI sec. d. C. 18 .


Note<br />

1 Le indagini hanno interessato l’area <strong>del</strong> C.so<br />

Vittorio Emanuele a partire da P.za Vittorio<br />

Veneto fino alla via Giacinto Vicinanza:<br />

sotto questa strada, esplorata con una trincea<br />

orientata N/S, lunga ca. 50 m e larga 3, è<br />

stato possibile indagare 15 sepolture e rintracciarne<br />

altre che proseguivano nelle<br />

sezioni (le pareti <strong>del</strong>la trincea non sono state<br />

ampliate oltre i m 3 di larghezza per ragioni<br />

di sicurezza).<br />

2 NSc 1883, p. 254; ROMITO 1996, p. 109;<br />

cfr. inoltre AVAGLIANO 1985, pp. 38-39;<br />

PANEBIANCO 1945, pp. 3-38.<br />

3 La datazione posteriore al 79 d. C. fu suggerita<br />

da una <strong>del</strong>le lastre di copertura che<br />

presentava un’iscrizione di un restauro<br />

voluto da Vespasiano o Tito (SESTIERI<br />

1949, pp. 101-105; SESTIERI 1950, p. 312;<br />

BRACCO 1981, pp. 11-12, n. 6).<br />

4 Fino a questo momento le aree più conosciute<br />

erano quelle corrispondenti agli<br />

attuali Palazzi <strong>del</strong>la Banca d’Italia e di<br />

Giustizia, che hanno restituito materiali<br />

compresi tra II-I sec. a. C. e V-VI sec. d. C.<br />

(ROMITO 1996, p. 73).<br />

5 Un’importante iscrizione - rinvenuta in<br />

Piazza Abate Conforti nel 1737 - datata alla<br />

fine <strong>del</strong> IV-inizi V sec. d. C. ricorda il patronus<br />

di Salerno Arrio Mecio Gracco, che<br />

ROBERTA ALTOBELLO<br />

riportò la città allo splendore dopo una<br />

catastrofica alluvione. In proposito cfr.<br />

STAIBANO 1875, p. 167; BRACCO 1979, p.<br />

122; BRACCO 1981, pp. 7-10, n. 8; VARONE<br />

1982, p. 28; ROMITO 1996, p. 10 e, da ultima,<br />

LAMBERT 2010a , pp. 70-74.<br />

6Questo strato inglobava conchiglie e materiale<br />

ceramico caratterizzato da concrezioni<br />

marine, in particolare numerosissimi frammenti<br />

di anfore Dressel 1.<br />

7Per la profonda stratificazione <strong>del</strong>le necropoli<br />

sul C.so Vittorio Emanuele e la loro<br />

sovrapposizione e tipologia cfr. FIORELLI<br />

1879, pp. 190-191; ROMITO 1996, p. 96.<br />

8 Per l’eruzione <strong>del</strong> 79 d. C. a Salerno cfr.<br />

ROMITO 1996, pp. 119-120.<br />

9 Per l’alluvione di epoca tardo-romana<br />

ROMITO, 1996, pp. 120-123. Cfr. anche<br />

ROMITO 1993 e CIFELLI 1991.<br />

10 Questo asse viario in terra battuta proveniva<br />

dall’area occupata oggi dal C.so<br />

Vittorio Emanuele e proseguiva in<br />

direzione <strong>del</strong>la linea di costa verso la Via G.<br />

Vicinanza. Rintracciato alla profondità di<br />

ca. m 3, aveva al di sotto una preparazione<br />

di terra, ciottoli e laterizi poggianti sullo<br />

strato sabbioso sul quale si è sviluppata<br />

tutta la necropoli.<br />

- 123 -<br />

11 Tale ipotesi è suggerita dal muro di recinzione<br />

a Sud <strong>del</strong>la T. 1 (fig. 4).<br />

12 Il cocciopesto, a quanto sembra, rivestiva<br />

le enormi strutture murarie di appoggio e di<br />

base <strong>del</strong>le sepolture.<br />

13 ZEVI 1966, p. 222; PANELLA 1973, pp.<br />

497-504; ROMITO 1988, pp. 127-128; 153-<br />

154.<br />

14 Per il quartiere artigianale localizzato sul<br />

C.so Vittorio Emanuele presso la Scuola G.<br />

Vicinanza cfr. ROMITO 1996, pp. 52-53.<br />

15 Per i rituali degli Ustrina e dei Busta cfr.<br />

FESTO, Epitome, 32.4.<br />

16 Per i materiali di I-III sec. d. C. cfr.<br />

AVAGLIANO 1985, p. 39 e ROMITO 1996, pp.<br />

98-102, p. 166.<br />

17 Le iscrizioni si trovavano in giacitura<br />

secondaria tra lo strato alluvionale tardoantico<br />

e i soprastanti livelli di riempimento<br />

sconvolti dagli interventi antropici moderni.<br />

18 Per una prima illustrazione di tali reperti<br />

epigrafici cfr. il contributo di C. Lambert in<br />

questo stesso numero di “Salternum”<br />

(LAMBERT 2010 b ).


Bibliografia<br />

AVAGLIANO G. 1985, Impianto urbano e testimonianze<br />

archeologiche, in Guida alla storia di<br />

Salerno e <strong>del</strong>la sua Provincia, a cura di A.<br />

LEONE - G. VITOLO, Salerno, pp. 38-39.<br />

BRACCO V. 1979, Salerno romana, Salerno.<br />

BRACCO V. 1981, Inscriptiones Italiae,<br />

Volumen I, Regio I: Salernum, Roma.<br />

CIFELLI F. 1991, I prodotti piroclastici <strong>del</strong> 79 d.<br />

C. negli scavi archeologici di San Leonardo (SA),<br />

in “Apollo”, VIII, pp. 38-39.<br />

FIORELLI G. 1879, in “NSc”, pp. 190-191.<br />

LAMBERT C. 2010a , Pagine di pietra. Manuale<br />

di epigrafia latino-campana tardoantica e medievale.<br />

Seconda edizione riveduta ed ampliata (20041) ,<br />

Manocalzati (AV).<br />

LAMBERT C. 2010b , Salerno. Le iscrizioni tardoantiche<br />

dalla necropoli di via Vicinanza, in<br />

“Salternum”, XIV, 24-25, pp. 125-128.<br />

SALTERNUM<br />

MOMMSEN Th. 1883, C I L, X, Berlin.<br />

PANEBIANCO V. 1945, La Colonia Romana di<br />

Salernum, in “Rassegna Storica<br />

Salernitana”, VI, pp. 3-38.<br />

PANELLA C. 1973, Appunti su un gruppo di<br />

anfore <strong>del</strong>la prima, media e tarda età imperiale<br />

(secoli I-V d. Cr.), in “Studi Miscellanei”, 21,<br />

Ostia III, Roma, pp. 497-504.<br />

ROMITO M. 1988, I materiali <strong>del</strong>l’Antiquarium<br />

di Minori, in “Apollo”, VI, pp. 127-154.<br />

ROMITO M. 1993, Tracce di alluvioni a Salerno<br />

dal tardo-antico all’inizio <strong>del</strong> basso Medioevo, in<br />

L’evoluzione <strong>del</strong>l’ambiente fisico nel periodo storico<br />

nell’area circum-mediterranea, in Atti <strong>del</strong><br />

Seminario Internazionale, Ravello, pp. 127-<br />

154.<br />

ROMITO M. 1996, I reperti di età romana da<br />

Salerno nel Museo <strong>Archeologico</strong> Provinciale <strong>del</strong>la<br />

città, Napoli.<br />

- 124 -<br />

SESTIERI P. C. 1949, Salerno. Scoperta di tombe<br />

romane, in “Notiziario di scavi”, pp. 101-<br />

105.<br />

SESTIERI P. C. 1950, Salernum, Salerno<br />

(Campania), in ”FA”, III, n. 3376, p. 312.<br />

STAIBANO L. 1875, La Salerno epigrafica o<br />

Raccolta <strong>del</strong>le iscrizioni salernitane, Salerno.<br />

VARONE A. 1982, Fonti storiche e documenti epigrafici,<br />

in Guida alla storia di Salerno e <strong>del</strong>la sua<br />

provincia, a cura di A. LEONE - G. VITOLO,<br />

III voll., Salerno, pp. 3-31.<br />

ZEVI F. 1966, Appunti sulle anfore romane, in<br />

“Archeologia Classica”, XVIII, 2, pp. 208-<br />

250.


Dallo scavo <strong>del</strong>la necropoli di Via<br />

Vicinanza 1 provengono tre iscrizioni<br />

funerarie frammentarie in lingua latina,<br />

assegnabili - in base ad elementi datanti intrinseci contenuti<br />

in una di esse, ai caratteri paleografici ed alla<br />

tecnica di incisione - al VI sec. d. C.<br />

La prima (fig. 1), di cui si è conservata circa la metà<br />

a partire dal marginale superiore sinistro (l. 15 cm; h<br />

21,5 cm; sp. 3,5 cm), consta di 8 righi di scrittura eseguita<br />

con la tecnica <strong>del</strong> solco ‘a cordone’ 2 su di un supporto,<br />

polito, di marmo bianco; lo stato di conservazione<br />

è discreto e la scrittura superstite ben leggibile.<br />

Il testo, in caratteri di tipo capitale, è impaginato in<br />

verticale con discreta cura e presenta un ductus abbastanza<br />

regolare, pur in assenza di linee guida; in apertura<br />

presenta una ‘crux monogrammatica’ 3 e la formula<br />

locativo-obituaria «hic requiescit in pace», facilmente<br />

integrabile malgrado le lacune, che ne attesta inequivocabilmente<br />

la natura funeraria 4 :<br />

† HI[c] [requiescit]<br />

IN PA[ce] [……]<br />

3. BETE . […]<br />

QVI . VIX[it]<br />

ANNIS LX [.?] [depositio]<br />

6. EIVS . V . IDV[s] […]<br />

a. DVODEC[im] [p(ost) c(onsulatum)] [Ba]/<br />

b. DVODEC [ima] [ind (ictione)] […][p(ost)<br />

c(onsulatum)] [Ba]/<br />

SILI V[(iri) C(larissimi)].<br />

Il titulus appartiene ad un individuo di sesso maschile,<br />

anonimo per lacuna <strong>del</strong> testo 5 , deceduto all’età di 60<br />

anni o più, deposto a cinque giorni dalle Idi di un mese<br />

imprecisabile. Un aggettivo numerale in parte frammentario<br />

- il ‘dodicesimo’ - potrebbe riferirsi all’anno<br />

<strong>del</strong> postconsolato di Basilio (proposta ‘a.’) - ultimo magistrato<br />

romano ad essere insignito di tale carica - in base<br />

CHIARA LAMBERT<br />

Salerno.<br />

Le iscrizioni tardoantiche dalla necropoli di via Vicinanza<br />

- 125 -<br />

al quale l’epigrafe<br />

si daterebbe al<br />

5536 . Se invece si<br />

accoglie lo scioglimento<br />

che prevede<br />

un riferimento<br />

indizionale successivo<br />

al consolato<br />

di Basilio<br />

(proposta ‘b.’), l’iscrizione<br />

può<br />

essere assegnata<br />

ad una <strong>del</strong>le quattro<br />

date <strong>del</strong> secolo<br />

VI che cadono<br />

nella dodicesima<br />

indizione: 549;<br />

564; 579; 5947 Fig. 1.<br />

.<br />

La seconda epigrafe (fig. 2) è un piccolo frammento<br />

interno di forma quadrangolare irregolare (l. 12,7<br />

cm; h 9,5 cm; sp. 2 cm), su un supporto, polito, di<br />

marmo bianco con leggere venature grigie. Del testo<br />

si sono conservati solo 4 righi in scrittura di tipo capitale,<br />

di cui leggibili solo i 2 centrali, eseguiti con la tecnica<br />

<strong>del</strong> solco ‘a cordone’:<br />

[...]<br />

[...][depositus/a] EST SUB [die ...]<br />

3. [Depo]SITIO (?) [...]<br />

[d]IE T(?)[ertio …].<br />

Lo stato di conservazione non consente di valutare<br />

la disposizione <strong>del</strong> testo, i cui elementi superstiti<br />

paiono poco curati e dal ductus piuttosto irregolare,<br />

anche per assenza di linee guida. La natura funeraria<br />

si evince dalla formula «depositus/a sub die …», facilmente<br />

integrabile malgrado le lacune. In base all’ite-


azione <strong>del</strong> concetto<br />

di deposizione<br />

mediante il<br />

t e r m i n e<br />

«[depo]sitio» - quale<br />

pare doversi leggere<br />

al r. 3 - non si<br />

può escludere l’eventualità<br />

che,<br />

malgrado le<br />

modeste dimensioni<br />

<strong>del</strong> titulus, si tratti di un’iscrizione a ricordo di<br />

una inumazione duplice 8 . I caratteri paleografici<br />

orientano verso una datazione nell’ambito <strong>del</strong> VI sec.<br />

d. C.<br />

Il terzo reperto (fig. 3) è un piccolo frammento<br />

interno di forma quadrangolare irregolare (l. 16,5 cm;<br />

h 12,5 cm; sp. 2,5-3 cm) con parte <strong>del</strong> marginale inferiore,<br />

di cui si sono conservati solo 2 righi di scrittura<br />

in caratteri di tipo capitale, eseguiti con la tecnica <strong>del</strong><br />

solco ‘a cordone’:<br />

Fig. 2.<br />

[depositio …] ( ?)<br />

[...]E II IVN (?) [qui/quae vixit]<br />

[in]PACE A[nnos…menses…dies...].<br />

Il supporto, polito, è in marmo bianco con ampie<br />

venature violacee. Lo stato di conservazione non consente<br />

di valutare la disposizione <strong>del</strong> testo, i cui elementi<br />

superstiti paiono poco curati e dal ductus piuttosto<br />

irregolare, anche per assenza di linee guida.<br />

La natura funeraria si evince dall’espressione<br />

«[in]pace», qui utilizzata verosimilmente in associazione al<br />

verbo «vixit», a<br />

precedere i dati<br />

biometrici <strong>del</strong><br />

defunto/a. I<br />

caratteri paleografici<br />

orientano,<br />

anche in questo<br />

caso, verso una<br />

datazione nell’ambito<br />

<strong>del</strong> VI<br />

Fig. 3.<br />

sec. d. C.<br />

I tre manufatti<br />

esaminati, malgrado l’esiguità <strong>del</strong>le porzioni conservate,<br />

rivestono tuttavia un duplice significato storico-archeologico.<br />

La loro presenza, come già da altri<br />

SALTERNUM<br />

- 126 -<br />

osservato 9 , documenta una continuità d’uso <strong>del</strong>la<br />

necropoli - o almeno di questo specifico settore - fino<br />

alla metà <strong>del</strong> VI secolo d. C.; d’altro canto le piccole<br />

dimensioni che le epigrafi dovevano avere anche<br />

quando integre ed il modesto livello esecutivo inducono<br />

ad alcune osservazioni che investono alcuni aspetti<br />

<strong>del</strong>la cultura materiale tardoantica. Dal punto di<br />

vista tecnico esse risultano infatti ben distanti dalla<br />

riproduzione dei mo<strong>del</strong>li di età classica, la cui qualità<br />

generalmente elevata anche in città minori, per quanto<br />

frutto di una ripetitività seriale, era comunque indice<br />

<strong>del</strong> dinamismo indotto da una domanda/offerta<br />

vivace. Ne fa fede, anche nella Salernum romana, il pur<br />

esiguo patrimonio conservato presso il lapidario <strong>del</strong><br />

locale Museo <strong>Archeologico</strong> Provinciale e documentato<br />

nelle raccolte <strong>del</strong> Corpus Inscriptionum Latinarum e<br />

<strong>del</strong>le Inscriptiones Italiae, che annoverano oltre un centinaio<br />

di tituli di età compresa prevalentemente tra il I<br />

ed il III sec. d. C. 10 .<br />

I reperti di via Vicinanza risultano frutto di una<br />

pratica artigianale esercitata da personale ormai disabituato<br />

ad una produzione quantitativamente e qualitativamente<br />

significativa, che giustificava - nel passato - il<br />

mantenimento di abilità tecniche maggiori, quali la<br />

padronanza <strong>del</strong>la tecnica epigrafica, tipicamente classica,<br />

<strong>del</strong>l’incisione ‘a solco triangolare’. Qui l’adozione<br />

<strong>del</strong> solco ‘a cordone’ – più rapida da eseguire, ma<br />

dagli esiti più irregolari e, complessivamente, di leggibilità<br />

inferiore - pare la risposta alle esigenze di una<br />

committenza dalle ridotte capacità di spesa, per quanto<br />

consapevole <strong>del</strong> potenziale memorativo rivestito<br />

dal testo, anche di contenuto cristiano, affidato alla<br />

scrittura lapidea e dunque non priva di un’acculturazione<br />

in questo senso tradizionale, più che non la<br />

risultante di una precisa volontà di cambiamento, che<br />

andrebbe ad inserirsi nel generale mutamento di gusto<br />

e di modalità espressive propri <strong>del</strong>l’età tardoantica.<br />

L’eterogeneità <strong>del</strong>la produzione salernitana finora<br />

documentata - che stando ai rinvenimenti di età contemporanea<br />

ed alle notizie pregresse è comunque<br />

numericamente limitata 11 - lascerebbe propendere per<br />

un calo nella richiesta/offerta di questo genere di<br />

manufatti e la riduzione <strong>del</strong>l’attività <strong>del</strong>le botteghe<br />

specializzate. Entro tale quadro - che ben si accorda<br />

con un momento di crisi conseguente al cospicuo<br />

evento alluvionale che i recenti ritrovamenti confermano<br />

aver interessato gran parte <strong>del</strong>l’area urbanizzata<br />

e l’immediato suburbio, con le relative zone adibite a


necropoli – si evidenzia il carattere di assoluta eccezionalità<br />

<strong>del</strong>l’area funeraria annessa al sacello paleocristiano<br />

costruito, all’indomani <strong>del</strong>l’alluvione, riadattando<br />

parte <strong>del</strong>le strutture <strong>del</strong>le terme romane (I –II sec. d.<br />

C.) <strong>del</strong> complesso monumentale oggi noto sotto la<br />

denominazione, di origine longobarda, di S. Pietro ‘a<br />

Corte’ 12 . Qui infatti gli 11 tituli sepolcrali superstiti,<br />

Note<br />

CHIARA LAMBERT<br />

- 127 -<br />

distribuiti nel tempo tra la fine <strong>del</strong> V e la prima metà<br />

<strong>del</strong> VII secolo d. C. 13 , denotano un livello esecutivo<br />

discretamente elevato, per il quale si deve pensare alla<br />

persistenza in città di una o più botteghe in grado di<br />

soddisfare le esigenze di quella élite socio-economica<br />

che poteva ancora fregiarsi <strong>del</strong>l’appartenenza alla<br />

compagine statale romana 14 , senza doversi escludere,<br />

peraltro, l’eventuale ricorso a maestranze attive in altre<br />

realtà urbane 15 .<br />

Devo l’autorizzazione a studiare le epigrafi in oggetto e a pubblicarne in questa sede una notizia preliminare alla cortesia <strong>del</strong>la dott.ssa M.<br />

L. Nava, già Soprintendente Archeologo <strong>del</strong>la Soprintendenza ai Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, che qui<br />

ringrazio; un’analisi di maggior dettaglio verrà loro riservata in seguito e verranno inserite nel Corpus <strong>del</strong>le ICI di Salernum e zone limitrofe,<br />

in corso di redazione da parte di chi scrive.<br />

1 Per i dati archeologici relativi allo scavo di<br />

via Vicinanza, cfr. il contributo di R.<br />

Altobello in questo stesso numero di<br />

“Salternum” (ALTOBELLO 2010). Le tre epigrafi<br />

- già segnalate in NAVA cds - sono<br />

state oggetto di verifica autoptica e di schedatura<br />

grafica e fotografica da parte di chi<br />

scrive in data 01/07/2010 presso il<br />

Laboratorio di Restauro <strong>del</strong>la sede salernitana<br />

<strong>del</strong>la Soprintendenza ai Beni<br />

Archeologici di SA - AV - BN - CE. Si ringrazia<br />

il personale tecnico per la cortese<br />

disponibilità, in part. il sig. A. Giannattasio.<br />

2 Il solco epigrafico, determinato <strong>del</strong>la<br />

sezione e dall’inclinazione data allo scalpello,<br />

viene definito rispettivamente ‘triangolare’,<br />

‘a cordone’, o ‘piatto’. La tecnica di<br />

esecuzione a solco triangolare, la più comune<br />

fino alle soglie <strong>del</strong>la tarda antichità, conferisce<br />

alle lettere un effetto chiaroscurale<br />

più o meno pronunciato, che rende il testo<br />

di agevole lettura e visibile anche a notevole<br />

distanza. Il solco detto ‘a cordone’ - praticato<br />

principalmente in età repubblicana e,<br />

nuovamente, in età tardoantica - determina<br />

invece un effetto di minor profondità; l’irregolarità<br />

dei tratti che gli sono propri veniva<br />

talora compensata dalla rubricatura, una<br />

campitura di colore ottenuta mediante un<br />

impasto di pigmenti naturali e di sostanze<br />

cerose (LAMBERT 2010, Glossario, pp. 193-<br />

208)<br />

3 La ‘crux monogrammatica’ o ‘staurogramma’<br />

è un simbolo <strong>del</strong>la croce con il braccio<br />

verticale occhiellato, a formare un ‘rho’<br />

greco; esso costituisce una semplificazione,<br />

generalmente più tarda, <strong>del</strong> chrismòn, noto<br />

anche come ‘monogramma costantiniano’,<br />

che risulta dall’incrocio <strong>del</strong>le prime due lettere<br />

<strong>del</strong> nome <strong>del</strong> Cristo in greco (chi e rho);<br />

anche il lettore di sola lingua latina poteva<br />

interpretare in chiave cristiana il simbolo,<br />

che si prestava ad essere sciolto come ‘pax’<br />

(FELLE 2000; LAMBERT 2010, Glossario, pp.<br />

197; 206).<br />

4 Del testo – come pure dei due seguenti - si<br />

fornisce un’edizione con lo scioglimento<br />

<strong>del</strong>le abbreviazioni e le integrazioni ritenute<br />

plausibili in base alla ripetitività <strong>del</strong> formulario<br />

epigrafico, ben noto sulla base di<br />

migliaia di esemplari pervenuti integri (sull’argomento<br />

cfr. LAMBERT 2010, pp. 57-59;<br />

98-100); per ragioni di semplificazione tipografica<br />

vengono altresì restituite alcune lettere<br />

solo parzialmente visibili, ma di sicura<br />

interpretazione.<br />

5 Dell’antroponimo rimangono solo 4 lettere,<br />

che possono essere sia centrali - ammettendo<br />

che il cognomen iniziasse già al 2°rigo e che<br />

continuasse dopo la parte conservata -, sia<br />

finali - nel caso in cui, iniziato comunque al<br />

2° rigo, esso terminasse con le lettere superstiti,<br />

seguite poi da un’apposizione <strong>del</strong> tipo<br />

[B(onae) M(emoriae)], che colmerebbe lo spazio<br />

libero fino al margine destro. Per il dato<br />

onomastico, per il quale non si sono trovati<br />

al momento elementi di confronto, almeno<br />

nell’area campana, non si suggerisce alcuna<br />

integrazione; va tuttavia sottolineata la notevole<br />

varietà e la bassissima ripetitività dei<br />

cognomina attestati epigraficamente per tutto il<br />

periodo tardoantico (per la Campania, cfr.<br />

LAMBERT 2008, pp. 115-126).<br />

6 Si tratterebbe qui di un’eccezione – attestata,<br />

per quanto raramente, anche in altri casi


- poiché di norma l’anno <strong>del</strong> postconsolato<br />

viene espresso in cifra numerica e non in<br />

forma letteraria (cfr. ILCV, Indices, Consules,<br />

ceteraeque annorum mensum Indices, Consules,<br />

ceteraeque annorum mensum (…), pp. 222-224).<br />

7 Cfr. CAPPELLI 1998 (1906¹), pp. 300-303;<br />

ILCV, Indices, Indictiones, pp. 282-291. In tal<br />

caso si riterrebbe preferibile una <strong>del</strong>le date<br />

più antiche, poiché in progresso di tempo<br />

venne rispettato con maggiore rigore il<br />

provvedimento legislativo di Giustiniano<br />

<strong>del</strong> 537 d. C. (Corpus Iuris Civilis, III, nov. 47<br />

- 31 Agosto 537), che imponeva di introdurre<br />

nelle iscrizioni ufficiali, oltre all’eponimato<br />

consolare e all’indizione, anche il<br />

riferimento all’anno <strong>del</strong> regno <strong>del</strong>l’imperatore<br />

in carica, accompagnato dalla formula<br />

IMP(erante) D(omino) N(ostro) [nome]<br />

P(er)P(etuo) AUG(usto) [anno]. Per analoga<br />

ragione si escluderebbero anche le prime<br />

date utili <strong>del</strong> VII secolo (609; 624; 639), che<br />

cadrebbero inoltre in un periodo di ‘vuoto<br />

Bibliografia<br />

Corpora<br />

CIL 1863 ss., Corpus Inscriptionum<br />

Latinarum, Berolini.<br />

ICI 1985 ss., Inscriptiones Christianae<br />

Italiae septimo saeculo antiquiores, Bari.<br />

II 1931 ss., Inscriptiones Italiae, Roma.<br />

ILCV 1970³; 1967, Inscriptiones Latinae<br />

Christianae Veteres, ed. E. DIEHL, voll. I-<br />

III, Dublin – Zürich; vol. IV,<br />

Supplementum, edd. J. MOREAU – H.I.<br />

MARROU, Ibidem.<br />

* * *<br />

SALTERNUM<br />

epigrafico’ quasi assoluto, entro il quale<br />

un’eccezione è rappresentata da due tituli da<br />

S. Pietro a Corte in Salerno, rispettivamente<br />

<strong>del</strong> 629 e <strong>del</strong> 623/638, una <strong>del</strong>le quali<br />

reca tuttavia il citato riferimento all’imperatore<br />

in carica, l’altra è lacunosa (LAMBERT<br />

2008, p. 37, n. 51).<br />

8 Per l’area campana, si vedano, a titolo di<br />

esempio, l’iscrizione beneventana di<br />

Cerviolus, datata al 527 (FELLE 1993, pp. 37-<br />

38, n. 7; LAMBERT 2010, pp. 44-45), e due<br />

esemplari eclanesi (FELLE 1993, pp. 91-92,<br />

n. 33, con le due deposizioni datate rispettivamente<br />

al 437 e al 441; ID., pp. 113-115, n.<br />

53, <strong>del</strong> 529), tutte comunque di dimensioni<br />

maggiori di quanto si possa ricostruire per<br />

il frammento salernitano in oggetto.<br />

9 ALTOBELLO 2010.<br />

10 CIL IX, Regio II, Salernum; BRACCO 1981<br />

(I.I., Salternum), pp. 1-65, nn. 1-116.<br />

11 LAMBERT 2008, pp. 21-22.<br />

12 Circa il complesso di S. Pietro ‘a Corte’,<br />

ALTOBELLO R. 2010, Salerno. Lo scavo di alcune<br />

sepolture in Via Vicinanza, in “Salternum”,<br />

XIV, 24-25, pp. 119-124.<br />

BRACCO V. 1981 (a cura di), Inscriptiones<br />

Italiae, Volumen I, Regio I: Salernum,<br />

Roma.<br />

CAPPELLI A. 1998 (1906¹), Cronologia, cronografia<br />

e calendario perpetuo dal principio <strong>del</strong>l’era<br />

cristiana ai nostri giorni, Milano.<br />

FELLE A. E. 1993 (a cura di), Regio II –<br />

Hirpini, Inscriptiones christianae Italiae<br />

septimo saeculo antiquiores (ICI), Bari.<br />

FELLE A. E. 2000, s.v. Croce (Crocifissione), in<br />

Temi di iconografia paleocristiana, a cura di F.<br />

- 128 -<br />

cfr. i rimandi bibliografici in LAMBERT 2008,<br />

p. 21, n. 66.<br />

13 I 6 esemplari datati ad annum si collocano<br />

negli anni 497; 542; 556; 566; 629; 623/638<br />

(LAMBERT 2008, pp. 21-22; 25, tab. I).<br />

14<br />

LAMBERT 2008, pp. 90-91; 95-96; 97, tab.<br />

IIIa.<br />

15 É il caso, ad esempio <strong>del</strong> titulus <strong>del</strong>la piccola<br />

Theodenanda, che mostra straordinarie<br />

anticipazioni sul rapporto con la scrittura<br />

libraria, ben documentato nella zona solo<br />

oltre due secoli e mezzo dopo, in piena età<br />

longobarda (LAMBERT 2010, pp. 121-124).<br />

Uno studio sulle botteghe di lapicidi operanti<br />

in Campania nella tarda antichità è in<br />

corso da parte di chi scrive, a partire principalmente<br />

dalla ricca documentazione dallo<br />

scavo <strong>del</strong>la basilica paleocristiana di<br />

Abellinum-Atripalda (cenni in LAMBERT<br />

2008, pp. 56-58) e dal riesame <strong>del</strong> materiale<br />

ancora esistente sul territorio.<br />

BISCONTI, Città <strong>del</strong> Vaticano, pp. 158-162.<br />

LAMBERT C. 2008, Studi di epigrafia tardoantica<br />

e medievale in Campania. Volume I. Secoli IV-<br />

VII, Firenze.<br />

LAMBERT C. 2010, Pagine di pietra. Manuale di<br />

epigrafia latino-campana tardoantica e medievale.<br />

Seconda edizione riveduta ed ampliata (2004) 1 ,<br />

Manocalzati (AV).<br />

NAVA M. L. cds, Rassegna Archeologica <strong>del</strong>la<br />

Soprintendenza di Salerno, Avellino, Benevento e<br />

Caserta, in Atti <strong>del</strong> XLIX Convegno<br />

Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, ‘La<br />

vigna di Dioniso: vite, vino e culti in Magna<br />

Grecia’, Taranto 2009.


LAURA MIRABELLA<br />

Salerno.<br />

Corso Vittorio Emanuele:<br />

cinque nuove tombe e resti di una fornace da calce<br />

L’indagine archeologica<br />

preliminare, svoltasi tra il<br />

Marzo e il Luglio 2010,<br />

ha interessato il tratto di Corso V.<br />

Emanuele compreso tra i civici 44 e<br />

78, consentendo il recupero di evidenze<br />

a partire da una profondità di<br />

circa -3 m dall’attuale piano di calpestio<br />

(quota s.l.m. m 5.57) al di<br />

sotto di circa 1.50 m dalla rete dei<br />

sottoservizi.<br />

Si tratta innanzi tutto di un piano<br />

stradale (U.S.19) che, per la parte<br />

indagata all’interno <strong>del</strong>la trincea di<br />

scavo, corre in direzione E/O parallelamente<br />

al mare e con una pendenza<br />

N/S. Rinvenuto ad una quota di<br />

circa -4.00 m dal piano attuale di calpestio,<br />

è costituito da un terreno<br />

piuttosto compatto, misto ad abbondanti<br />

frammenti di ceramica (in particolare<br />

pareti di anfore da trasporto)<br />

e di laterizi disposti in modo casuale<br />

e legati da malta di tegole; esso ricopre<br />

un probabile piano di preparazione<br />

costituito da sabbia di mare dalla<br />

granulometria medio-fine, mista a<br />

ghiaia e ciottoli centimetrici per lo<br />

più di natura calcarea (fig. 1).<br />

Di esso non si può fornire una cronologia certa,<br />

ma solo sottolineare come abbia restituito materiale<br />

ceramico di reimpiego prodotto sia dal I sec. a. C. alla<br />

metà <strong>del</strong> II d. C. che dalla metà <strong>del</strong> IV fino al VI d. C. 1 .<br />

Ma maggiormente presenti sono attestazioni riconducibili<br />

a forme di ceramica d’uso comune prodotte<br />

ampiamente nel IV sec. d. C.<br />

Il piano stradale risulta tagliato da un nucleo di<br />

Fig. 1 - Particolare <strong>del</strong> piano stradale.<br />

Fig. 2 - Particolare <strong>del</strong>la T. 16.<br />

- 129 -<br />

sepolture venute alla luce all’altezza<br />

<strong>del</strong>l’attuale Palazzo Pastore, in un’area<br />

in cui già nel 1883 furono scoperte<br />

alcune deposizioni romane ed una<br />

preromana 2 . Ricoperte da uno strato<br />

alluvionale costituito da limo, pomici 3<br />

e sporadici frammenti ceramici, presentano<br />

orientamento O/E e sono<br />

tutte ad inumazione e prive di corredo.<br />

Di esse un’indicazione per la datazione<br />

è fornita solo dalla stratigrafia e<br />

dalla tipologia costruttiva, che permette<br />

di attribuirle genericamente alla<br />

fase tardoantica 4 .<br />

Tomba 16 5 (fig. 2), a cassa, dimensioni:<br />

lungh. m 1.50; largh. 0.70; h<br />

0.30, orientamento O/E. Cassa di<br />

forma rettangolare lievemente rastremata<br />

in corrispondenza degli arti<br />

inferiori <strong>del</strong> defunto. La copertura è<br />

costituita da un conglomerato di<br />

malta mista ad elementi di tufo, pietrame<br />

e laterizi. Le spallette sono in<br />

blocchi di tufo grigio posti di taglio e<br />

legati con malta, intonacati internamente<br />

e su cui si conserva il rivestimento<br />

in malta e i resti di un probabile<br />

sudario (divenuti un tutt’uno con<br />

la malta). In particolare, in corrispondenza<br />

<strong>del</strong>la testata ovest il blocco tufaceo reca internamente<br />

un’incisione cruciforme effettuata nell’intonaco<br />

ancora fresco. Il piano di deposizione non è rivestito e<br />

in corrispondenza <strong>del</strong> capo e dei piedi <strong>del</strong> defunto vi<br />

è una sorta di cuscino costituito da uno spesso letto di<br />

calce bianco-grigiastra. Lo scheletro di infante è in<br />

pessimo stato di conservazione; il capo è rinvenuto in<br />

giacitura secondaria nello strato di terreno compreso


tra la cassa e la copertura e i pochi resti<br />

ossei, piuttosto scomposti, rendono<br />

difficile stabilirne la posizione originaria.<br />

Non sono stati rinvenuti elementi<br />

di corredo.<br />

Tomba 17 (figg. 3-4): a cappuccina,<br />

a N <strong>del</strong>la T. 16; dimensioni: lungh. m<br />

1.20; largh. 0.50; h 0.30, orientamento<br />

O/E. La copertura è costituita da una<br />

fila centrale di coppi poggianti su due<br />

<strong>file</strong> di embrici tenuti in posizione da un<br />

bordo di pietre. Le tegole sono decorate<br />

esternamente da un motivo a goccia,<br />

eseguito tramite incisione prima <strong>del</strong>la<br />

cottura. Lo scheletro di infante è in<br />

cattivo stato di conservazione, in posizione<br />

supina e con il capo ad Ovest in<br />

posizione frontale. Non si sono rinvenuti<br />

elementi di corredo.<br />

Tomba 18 (fig. 5): a fossa, ad Ovest<br />

<strong>del</strong>le precedenti; dimensioni: lungh. m<br />

2.00; largh. 1.00; h 0.45, orientamento<br />

O/E. La copertura è in conglomerato<br />

di malta mista ad elementi in tufo, pietrame<br />

e laterizi. La fossa ha forma rettangolare<br />

piuttosto regolare e lievemente<br />

rastremata in corrispondenza<br />

degli arti inferiori; lo spazio compreso<br />

tra la copertura ed il limite superiore<br />

<strong>del</strong>la fossa è colmato da terreno limoargilloso.<br />

Lo scheletro di adulto, in<br />

discreto stato di conservazione, è stato<br />

deposto in posizione supina, orientato<br />

O/E e con le braccia incrociate all’altezza<br />

<strong>del</strong> petto. Il capo e parte <strong>del</strong> bacino<br />

si trovavano in corrispondenza<br />

degli arti inferiori, lungo il lato sud.<br />

Non sono stati rinvenuti elementi di<br />

corredo.<br />

Tomba 19: a circa 30 metri di<br />

distanza dalle precedenti, non è stata<br />

indagata perché ricadente, per metà,<br />

nel limite nord <strong>del</strong>l’area di scavo.<br />

Dimensioni (per la parte visibile):<br />

lungh. m 2.00; largh. 0.40; h 0.40;<br />

orientamento O/E. Copertura in elementi<br />

di tufo di colore grigio e malta.<br />

Tomba 20: a Sud <strong>del</strong>la T. 19, forte-<br />

SALTERNUM<br />

Fig. 3 - T. 17: copertura.<br />

Fig. 4 - T. 17: interno.<br />

Fig. 5 - T. 18.<br />

- 130 -<br />

mente manomessa, si è rinvenuta solo<br />

parte <strong>del</strong> piano di deposizione e, in giacitura<br />

secondaria, parte degli arti inferiori<br />

e <strong>del</strong> capo, in prossimità <strong>del</strong> quale<br />

si è recuperato il fondo di un contenitore<br />

in vetro, probabile elemento di<br />

corredo.<br />

Il piano d’uso <strong>del</strong>le sepolture<br />

(U.S.18) è costituito da un suolo a<br />

matrice argillosa di colore bruno-nerastro,<br />

<strong>del</strong>lo spessore di circa 40 cm e<br />

con una lieve pendenza N/S.<br />

A circa 30 metri dal punto in cui<br />

sono state rinvenute le prime tre sepolture,<br />

lungo il limite orientale <strong>del</strong>la trincea<br />

di scavo, il piano stradale è tagliato<br />

da una struttura muraria in grossi ciottoli<br />

calcarei (e sporadiche pietre di tufo<br />

e laterizi) appena sbozzati, legati da<br />

malta e posti in opera di taglio per filari<br />

più o meno regolari (fig. 6).<br />

Orientata S-E/N-O, lunga (per la parte<br />

rinvenuta e indagata) 6 m 7 e larga circa<br />

30 cm, se ne conservano tre filari <strong>del</strong>l’elevato<br />

per un’altezza massima di<br />

circa m 0.70. Essa segue grosso modo<br />

lo stesso andamento <strong>del</strong>la strada,<br />

deviando maggiormente verso Nord e<br />

avendo una probabile funzione di contenimento<br />

<strong>del</strong>la stessa o contrassegnando<br />

una sorta di limite, dato che<br />

nel punto in cui si arresta si incontrano<br />

nuove sepolture, rispetto alle quali<br />

risulta essere cronologicamente anteriore.<br />

Questo rapporto relativo verrebbe<br />

confermato dal fatto che, nel punto<br />

in cui la struttura termina, vi si poggia<br />

con andamento N-S ciò che rimane<br />

<strong>del</strong>la testata orientale <strong>del</strong>la T. 20.<br />

Infine, ad una distanza di circa 2 m<br />

ad Ovest <strong>del</strong>le TT. 19 e 20 e ad una<br />

quota superiore di circa 30 cm rispetto<br />

ad esse, sono stati messi in luce i resti<br />

di una fornace, <strong>del</strong>le dimensioni (per la<br />

parte indagata) di m 2.30 x 0.90 x 0.60<br />

e orientamento O/E (fig. 7). Dalla<br />

forma grosso modo troncoconica nella<br />

parte S/E e più o meno circolare in


quella N/O, coperte dal livello alluvionale<br />

sono state rinvenute le pareti,<br />

conservatesi per un’altezza di circa una<br />

trentina di centimetri, rivestite con pietre<br />

legate con argilla e protette da uno<br />

strato di ‘concotto’ (mischiato, soprattutto<br />

nella parte S-E, a cocci di ceramica)<br />

ed il crollo di pietre e laterizi pertinenti<br />

quella che doveva essere la<br />

copertura a volta <strong>del</strong>la camera di riscaldamento.<br />

Il crollo di questa ricopre i<br />

resti di cenere e di carbone rimasti<br />

all’interno <strong>del</strong> focolare al momento<br />

<strong>del</strong>l’abbandono; in particolare si individua<br />

un piano omogeneo e compatto<br />

di natura calcarea che ne potrebbe<br />

chiarire la natura di forno per la preparazione<br />

<strong>del</strong>la calce e da cui sono stati<br />

recuperati diversi frammenti di ceramica<br />

comune dipinta 7 . L’ipotesi circa la<br />

funzione verrebbe suffragata anche<br />

dalle caratteristiche <strong>del</strong> suolo su cui la<br />

struttura è impostata: un terreno argilloso<br />

che assicura un involucro solido<br />

LAURA MIRABELLA<br />

Fig. 6 - Particolare <strong>del</strong>la struttura muraria.<br />

Fig. 7 - Particolare <strong>del</strong>la fornace.<br />

Fig. 8 - Moneta proveniente dallo strato<br />

alluvionale.<br />

- 131 -<br />

ed isotermico eccellente 8 .<br />

Come per le deposizioni funerarie,<br />

anche ciò che rimane <strong>del</strong> forno viene<br />

sigillato dallo strato alluvionale di cui<br />

non si può dire con certezza sia pertinente<br />

all’evento che la documentazione<br />

bibliografica in nostro possesso<br />

data tra la fine <strong>del</strong> IV e l’inizio <strong>del</strong> V<br />

secolo d. C. 9 . Da esso proviene un interessante<br />

reperto numismatico di carattere<br />

residuale; si tratta di una moneta<br />

bronzea con al rovescio l’immagine di<br />

un toro sorvolato da una nike e al diritto<br />

(mal conservato) un profilo umano<br />

di difficile interpretazione (fig. 8). Per il<br />

tipo di iconografia si può parlare di una<br />

coniazione di Neapolis <strong>del</strong> V sec. a. C.,<br />

che confermerebbe la frequentazione<br />

<strong>del</strong>l’area ‘salernitana’ in questo periodo.


Note<br />

1 In particolare numerose anse cosiddette<br />

‘gemine’ <strong>del</strong> tipo Dressel 2/4 (PEACOCK -<br />

WILLIAMS 1986, pp. 105-106) e un fondo di<br />

sigillata africana con decorazione a rotella<br />

esterna (cfr. Atlante I, tav. XLVIII, n°11).<br />

2 “NSc” 1883, pp. 426-428.<br />

3 Si tratta di vulcanoclastiti <strong>del</strong> 79 d. C., da<br />

millimetriche a subcentimetriche e dal colore<br />

grigio-verdastro.<br />

4 Tipologie simili si rinvengono a Benevento<br />

(LUPIA 1998; TOMAY 2009, pp. 119-151).<br />

Bibliografia<br />

‘NSc’: ‘Notizie degli Scavi di Antichità’.<br />

ADAM J. P. 1984, L’arte di costruire presso i<br />

Romani, Milano.<br />

Atlante I. 1981, Atlante <strong>del</strong>le forme ceramiche I.<br />

Ceramica fine romana nel bacino mediterraneo<br />

(medio e tardo impero), E.A.A., Roma.<br />

MANNONI T. - GIANNICHEDDA E. 1996,<br />

Archeologia <strong>del</strong>la produzione, Torino.<br />

SALTERNUM<br />

5 La numerazione segue in modo progressivo<br />

quella <strong>del</strong> nucleo di sepolture rinvenuto in<br />

via Vicinanza nel Luglio 2009.<br />

6 Per ragioni di sicurezza, l’indagine è stata<br />

arrestata ad una quota di -4 m dal piano di<br />

calpestio, motivo per cui non è stato possibile<br />

mettere in luce la fondazione <strong>del</strong>la struttura<br />

muraria, la cui funzione, data l’esiguità<br />

degli elementi a disposizione, rimane incerta.<br />

7 In particolare un orlo di bacile con decorazione<br />

incisa ondulata sulla tesa e diversi<br />

frammenti di pareti con segni di colatura,<br />

PEACOCK D. P. S. - WILLIAMS D. S. 1986,<br />

Amphorae and Roman Economy, London.<br />

ROMITO M. 2000, Salerno romana dalla fondazione<br />

<strong>del</strong>la colonia all’Impero, in Storia di<br />

Salerno, a cura di G. CACCIATORE - I. GALLO<br />

- A. PLACANICA, 1, Salerno, pp. 61-69.<br />

LUPIA A. 1998 (a cura di), Testimonianze di<br />

epoca altomedievale a Benevento. Lo scavo <strong>del</strong><br />

Museo <strong>del</strong> Sannio, Napoli.<br />

- 132 -<br />

che si possono far rientrare genericamente<br />

nella produzione di ceramica comune dipinta<br />

di età tardoantica, ma di cui non si può<br />

dare una cronologia precisa per la mancanza<br />

di confronti puntuali.<br />

8 ADAM 1984, pp. 69-76; MANNONI -<br />

GIANNICHEDDA 1996, pp. 171-185; 244-246.<br />

9 ROMITO 2000, p. 68.<br />

TOMAY L. 2009, Benevento longobarda: dinamiche<br />

insediative e processi di trasformazione, in Atti<br />

<strong>del</strong> Convegno ‘Il popolo dei Longobardi meridionali<br />

(570-1076). Testimonianze storiche e monumentali’,<br />

a cura di G. D’HENRY- C. LAMBERT,<br />

Salerno, pp. 119-151.


Archeologia nel centro storico di Salerno:<br />

le stratificazioni di Piazza Sant’Agostino<br />

L’area di Piazza Sant’Agostino è posta immediatamente<br />

a Sud <strong>del</strong>la Via Mercanti, che<br />

ricalca, secondo una ipotesi condivisa, il<br />

decumano <strong>del</strong>la città romana 1 (fig. 1). Il sito prescelto<br />

per la fondazione coloniale coincide probabilmente<br />

con l’attuale centro storico, racchiuso tra il versante<br />

meridionale <strong>del</strong> colle Bonadies, i torrenti Fusandola ad<br />

Ovest e Rafastia ad Est e la fascia costiera; l’ubicazione<br />

dei ritrovamenti di età romana orienta verso una<br />

localizzazione pedemontana <strong>del</strong>l’insediamento 2 .<br />

Oggi la piazza non conserva nulla <strong>del</strong>la struttura<br />

romana e medievale: già Palazzo Sant’Agostino,<br />

costruito nell’‘800, trasformò completamente il<br />

Convento, <strong>del</strong> quale sopravvisse solo la Chiesa, privata<br />

comunque <strong>del</strong>la sua parte absidale; furono aperte le<br />

strade laterali, il tratto terminale di Via Duomo, demolendo<br />

alcune botteghe, e l’attuale Via Vigorito, eliminando<br />

abitazioni private; prima dei bombardamenti<br />

<strong>del</strong> Secondo Conflitto Mondiale vi era presente un<br />

denso tessuto urbano percorso da un reticolo di vicoli<br />

e anditi coperti (fig. 2), completamente stravolto<br />

dalla ricostruzione post-bellica.<br />

Il programma di tutela attuato in occasione dei<br />

lavori di ripavimentazione di Piazza Sant’Agostino ha<br />

previsto due livelli di intervento: il controllo di tutte le<br />

operazioni di scavo collegate alla rimozione <strong>del</strong>la vecchia<br />

pavimentazione e alla posa in opera dei nuovi sottoservizi,<br />

e la realizzazione di saggi archeologici mirati<br />

in aree di particolare interesse (fig. 3). Le indagini,<br />

mostrando con evidenza come le interferenze e le<br />

manomissioni operate dall’edilizia moderna e dalla<br />

realizzazione di sottoservizi siano state ovunque notevoli,<br />

hanno consentito il recupero di evidenze antiche<br />

che, per quanto fortemente disturbate, hanno tuttavia<br />

evidenziato la complessa stratificazione archeologica<br />

che documenta le diverse destinazioni d’uso assegnate<br />

a quest’area nel corso dei secoli (fig. 4).<br />

MONICA VISCIONE<br />

- 133 -<br />

Fig. 1 - Aerofotogrammetria di parte <strong>del</strong> centro storico di Salerno. In evidenza piazza<br />

Sant’Agostino.<br />

Fig. 2 - Foto area <strong>del</strong> centro storico (1943).<br />

La fase più recente è collocabile durante il XVIII<br />

secolo. Ad essa si possono far risalire i resti di almeno<br />

tre edifici, di cui non si può ricostruire la planimetria<br />

completa, caratterizzati dalla presenza di un pozzo per<br />

l’adduzione <strong>del</strong>l’acqua. Uno dei pozzi è stato scavato<br />

fino all’affioramento <strong>del</strong>la falda, a circa 3,70 m di profondità<br />

3 ; obliterato da materiale di risulta, si presenta<br />

intonacato e con i fori per le ispezioni. Queste unità<br />

abitative presentano muri perimetrali intonacati, larghi<br />

circa 0,70 m, e livelli pavimentali costituiti da malta


Fig. 3 - Planimetria <strong>del</strong>la Piazza, con ubicazione dei saggi e dei rinvenimenti.<br />

compattata rimescolata a ciottoli di piccolissime<br />

dimensioni; essi sono risultati quasi sempre in pessimo<br />

stato di conservazione, rotti e collassati a causa <strong>del</strong><br />

peso <strong>del</strong> materiale risultante <strong>del</strong>l’abbattimento dei<br />

muri. La dismissione di queste strutture risale al XX<br />

secolo; esse furono demolite in seguito<br />

ai bombardamenti e rinterrati per disegnare<br />

l’attuale assetto <strong>del</strong>la piazza.<br />

Probabilmente al XVI secolo risale<br />

un ambiente di cui si conservano solo<br />

tre muri, costituiti da materiale lapideo<br />

eterogeneo intercalato a piani orizzontali<br />

di tegole legati da malta. Di difficile<br />

collocazione cronologica e alterato da<br />

un muro successivo con orientamento<br />

est-ovest, esso conservava nel muro<br />

orientale l’accenno di una volta: potrebbe<br />

trattarsi dei resti di un andito coperto<br />

o di una cisterna, di cui non si conservano<br />

tuttavia i piani d’uso; la struttura<br />

potrebbe risalire alla fase di urbanizza-<br />

SALTERNUM<br />

Fig. 4 - Foto di scavo <strong>del</strong> saggio 1.<br />

- 134 -<br />

zione successiva ad un evento catastrofico registrato<br />

nel corso <strong>del</strong> XVI sec. d. C.. La rimozione degli strati<br />

di obliterazione evidenziava al suo interno uno strato<br />

a matrice argillosa, di colore grigio, con torba e residui<br />

carboniosi, rimescolato a lenti di sabbia ricche di<br />

reperti malacologici: si tratta di un<br />

apporto alluvionale o marino che non<br />

ha restituito materiali se non parte di un<br />

mortaio in marmo, i cui frammenti sono<br />

stati recuperati a diversa profondità; al<br />

momento risulta di difficile comprensione<br />

la meccanica deposizionale di tale<br />

livello, rinvenuto solo in questo ambiente.<br />

Alla stessa fase potrebbero risalire le<br />

pavimentazioni in malta battuta, fortemente<br />

alterate dalle manomissioni successive,<br />

rinvenute in relazione con una<br />

sorta di sedile in pietra intonacata, conservato<br />

per una lunghezza di circa 3,70<br />

m, ed alto circa 0,40 m. In alcuni punti<br />

<strong>del</strong> saggio 1 è stato inoltre messo in evi-


denza uno strato di riporto, abbastanza potente, caratterizzato<br />

da ceramica <strong>del</strong> XIV-XV secolo, che può<br />

essere interpretato come un livellamento <strong>del</strong>le strutture<br />

precedenti per realizzare appunto la fase edificatoria<br />

nel corso <strong>del</strong> XVI secolo.<br />

La struttura con l’accenno di volta interrompe una<br />

fornace <strong>del</strong> XIII sec. d. C., rinvenuta nell’area meridionale<br />

<strong>del</strong>la piazza. Essa, di forma semicircolare e privata<br />

<strong>del</strong> prefurnio (fig. 5), è costituita con mattoni che<br />

all’interno presentano evidenti tracce di vetrificazione<br />

dovute alle alte temperature raggiunte nella camera di<br />

combustione 4 . I livelli d’uso sono alterati: all’interno<br />

infatti si è rinvenuto l’esito <strong>del</strong>la sua distruzione, lo<br />

scarico di materiale di scarto e numerosi vasi privi di<br />

ingobbio non ancora terminati; abbondanti i frammenti<br />

con decorazione tipo ‘spiral ware’ 5 . La fornace e<br />

il muro in opera incerta orientato Nord-Est/Sud-<br />

Ovest, posto nell’area settentrionale <strong>del</strong>la piazza 6 ,<br />

sono gli unici elementi per affermare che nel XIII<br />

secolo il sito fosse destinato ad attività con carattere<br />

artigianale-produttivo e che quindi in quel periodo l’area<br />

costituiva un settore marginale nell’organizzazione<br />

degli spazi urbani. Si sta approfondendo l’ipotesi che<br />

alcuni muretti molto sottili e privi di fondazione possano<br />

essere pertinenti a cellule abitative di ridotte<br />

dimensioni che potevano insistere appunto in un settore<br />

marginale <strong>del</strong>la città occupato da attività artigianali.<br />

La fase più antica attestata nell’area è rappresentata<br />

da un muro rinvenuto nella parte settentrionale<br />

<strong>del</strong>la piazza (fig. 6); esso, con orientamento Nord-<br />

Ovest/Sud-Est, è costituito da due paramenti in blocchetti<br />

di tufo grigio e un sottile emplekton in malta e<br />

ciottoli di fiume; largo circa 0,50 m, conservato per<br />

una altezza di soli 0,20 m, si può ricostruire almeno<br />

per una lunghezza di 13 m. Il muro in opera incerta,<br />

orientato Nord-Est/Sud-Ovest, che lo interrompe nel<br />

suo probabile sviluppo verso Ovest e la cui fondazione<br />

ha restituito un frammento di ceramica a bande<br />

rosse <strong>del</strong> XII-XIII sec. d. C., fornisce il terminus ante<br />

quem per la sua realizzazione; anche il sottile strato che<br />

si appoggia al suo elevato restituisce materiale molto<br />

interessante, rappresentato dalla ceramica a bande<br />

graffite prodotta nell’VIII sec. d. C. e definita ‘arechiana’<br />

perché rinvenuta a Salerno e Benevento 7 . Il muro<br />

in tufo si imposta su uno strato molto compatto a<br />

matrice sabbiosa rimescolato a pomici biancastre subcentimetriche,<br />

pertinenti all’eruzione <strong>del</strong> 79 d. C.<br />

MONICA VISCIONE<br />

- 135 -<br />

Fig. 5 - Foto di scavo <strong>del</strong>la fornace (XIII sec. d. C.).<br />

In relazione con la struttura<br />

in tufo è sicuramente<br />

un piano accuratamente<br />

livellato e apparentemente<br />

battuto, costituito da refusi<br />

di tufo grigio, che oltre a<br />

ceramica a bande larghe ha<br />

restituito anche frammenti<br />

di ceramica sigillata<br />

africana 8 . Il piano di frequentazione<br />

relativo al<br />

muro copre uno strato di<br />

sicura origine alluvionale,<br />

dal quale proviene, tra l’al-<br />

Fig. 6 - Particolare <strong>del</strong> muro<br />

prelongobardo e dei buchi<br />

di palo.<br />

tro, un frammento di ceramica a vernice nera pertinente<br />

ad una forma aperta. In fase con esso sono le due<br />

buche di palo adiacenti alla sua faccia settentrionale,<br />

forse impiantate per rinforzarne la funzione difensiva 9<br />

(fig. 6).<br />

Suggestiva è la possibilità di riconoscere nel muro<br />

in tufo parte <strong>del</strong> circuito difensivo prelongobardo.<br />

Alla colonia romana si sovrappone, probabilmente<br />

senza soluzione di continuità, la città longobarda. La<br />

sua posizione strategica e la possibilità di gestire il fertile<br />

territorio circostante attirarono i principi longobardi<br />

10 che necessitavano di dotarsi di una seconda<br />

città fortificata dopo Benevento 11 : Salerno consentiva<br />

una buona difesa sia dagli attacchi <strong>del</strong>la flotta bizantina<br />

sia, con le sue colline, dagli attacchi provenienti dal<br />

fondovalle <strong>del</strong> Fiume Irno. Arechi riorganizzò le mura<br />

di difesa, rimodernò il Castello e costruì il suo Palazzo<br />

(774 d. C.) a ridosso <strong>del</strong>le mura meridionali, su un’area<br />

densamente stratificata 12 ; il suo successore,<br />

Grimoaldo, potenziò ulteriormente le difese, realiz


Fig. 7 - Ricostruzione mura prelongobarde e longobarde (da DE SIMONE 1993); in<br />

evidenza il tratto che attraverserebbe Piazza Sant’Agostino.<br />

zando un antemurale lungo la fascia costiera <strong>del</strong> centro<br />

urbano, a Sud <strong>del</strong>la preesistente cinta (fig. 7).<br />

L’area di Piazza Sant’Agostino dovrebbe occupare lo<br />

spazio tra queste due cortine: inter murum et muricinum 13 ;<br />

diversi studiosi ipotizzano proprio alla metà <strong>del</strong>la<br />

attuale ampiezza <strong>del</strong>la piazza la presenza <strong>del</strong> muro di<br />

fortificazione prelongobardo e a ridosso <strong>del</strong>la strada<br />

costiera la presenza <strong>del</strong>l’antemurale realizzato successivamente<br />

da Grimoaldo 14 .<br />

SALTERNUM<br />

- 136 -<br />

Grazie ad alcuni documenti notarili custoditi presso<br />

la Badia di Cava riguardanti alcuni possedimenti<br />

ecclesiastici è stato possibile ricostruire alcuni importanti<br />

elementi urbanistici di questa parte <strong>del</strong>la città 15 .<br />

Un atto di compravendita relativo ad alcuni terreni<br />

posti nei pressi <strong>del</strong>la Chiesa di Santa Maria de Domno<br />

(edificata tra il 983 e il 999) - di cui sono ancora visibili<br />

i resti nel tessuto urbano posto poco ad Est <strong>del</strong>la<br />

piazza, lungo Via Masuccio <strong>Salernitano</strong> - segnala che<br />

la Chiesa si addossava con il suo lato meridionale<br />

lungo il ‘muricino’ longobardo e a Nord era <strong>del</strong>imitata<br />

dalla via Carraia o Giudaica, oltre la quale, ad una<br />

distanza di circa 10 metri, si trovava un muro di cinta,<br />

nel quale potrebbe riconoscersi la difesa prelongobarda.<br />

Viene così confermata la tesi, sostenuta da più studiosi,<br />

che prima degli ampliamenti longobardi Salerno<br />

si concludeva verso il mare con un muro coincidente<br />

con i limiti meridionali <strong>del</strong> complesso di San Giorgio<br />

(posto ad Ovest <strong>del</strong>l’attuale piazza) e <strong>del</strong> palazzo principesco<br />

(situato a Nord <strong>del</strong>l’area).<br />

La collocazione topografica <strong>del</strong> tratto di muro<br />

venuto alla luce a Piazza Sant’Agostino, oltre alla sua<br />

cronologia ed estensione, permettono di avanzare l’ipotesi<br />

che in esso si possa riconoscere parte <strong>del</strong> sistema<br />

difensivo prelongobardo, ricostruendo così un<br />

impianto approssimativamente rettangolare, logico<br />

nella sua discendenza dall’insediamento romano.


Note<br />

1 Riguardo alla fondazione romana di<br />

Salerno e il suo impianto urbano si vedano<br />

BRACCO 1979; AMAROTTA 1989;<br />

AVAGLIANO 1982, pp. 33-51; per gli ultimi<br />

rinvenimenti , ROMITO 1996 e, da ultimo,<br />

IANNELLI 2001, pp. 206-224, con ampia<br />

bibliografia. Per la geomorfologia, cfr.<br />

Archeologia di una città 2000; CIFELLI 1991,<br />

pp. 27-38.<br />

2 Il territorio <strong>del</strong>la colonia doveva essere<br />

attraversato da un complesso reticolo viario,<br />

frutto di un lungo processo storico; ai<br />

più antichi percorsi si affiancò nel II sec. a.<br />

C. la via Popilia (ROSSI 1999, pp. 259-279;<br />

ROSSI 2000, pp. 17-26 con bibliografia). La<br />

necropoli urbana <strong>del</strong>la colonia si colloca<br />

lungo un asse stradale in uscita dalla città,<br />

corrispondente all’attuale Corso Vittorio<br />

Emanuele II, con sepolture che si distribuiscono<br />

tra il II sec. a. C. e il VI sec. d. C.<br />

(ROMITO 1996); notizie degli ultimi rinvenimenti<br />

sono state date dal Soprintendente<br />

Dott.ssa NAVA nel corso <strong>del</strong> XLIX conve-<br />

MONICA VISCIONE<br />

Desidero ringraziare il Soprintendente Archeologo Dott. sa M. L. Nava, che mi ha dato l’opportunità di lavorare nella mia città e con grande<br />

liberalità mi ha affidato lo studio e l’interpretazione dei dati emersi dalle indagini archeologiche svolte a Piazza S. Agostino. Desidero<br />

anche ringraziare la collega E. Civale che con me ha condiviso l’impostazione <strong>del</strong>lo scavo. Il lavoro svolto a Piazza S. Agostino è stato presentato<br />

nel corso <strong>del</strong> Convegno Archeologia preventiva. Esperienze a confronto, Salerno 3 luglio 2009, organizzato dalla Soprintendenza ai Beni<br />

Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, i cui Atti sono in corso di stampa (VISCIONE cds).<br />

gno di studi sulla Magna Grecia (NAVA cds)<br />

cfr. inoltre i contributi di R. Altobello e L.<br />

Mirabella in questo stesso numero di<br />

“Salternum” (ALTOBELLO 2010; MIRABELLA<br />

2010).<br />

3 La falda è affiorata a circa 1,60 m s.l.m.<br />

4 La struttura trova un confronto con una<br />

fornace <strong>del</strong> XIII secolo rinvenuta a<br />

Benevento (TOMAY 2005, p. 36).<br />

5<br />

PASTORE 1982, pp. 38-49; FONTANA 1984,<br />

pp. 119-128.<br />

6 Il muro è stato datato in base ad elementi<br />

di stratigrafia verticale e per la ceramica – c.<br />

a bande <strong>del</strong> XII-XIII sec. - recuperata nel<br />

cavo di fondazione.<br />

7<br />

DE CRESCENZO 1990.<br />

8 La ceramica è rappresentata purtroppo<br />

solo da pareti e non ha permesso quindi un<br />

inquadramento cronologico puntuale.<br />

9 Altri tagli circolari, dalla disposizione<br />

apparentemente priva di logica, sono stati<br />

rinvenuti nell’area a Sud <strong>del</strong> muro.<br />

10<br />

DELOGU 1977.<br />

- 137 -<br />

11 Il cronista Erchemperto attribuisce ad<br />

Arechi la scelta di una città già dotata di<br />

difese.<br />

12 ROMITO1984, pp. 33-47; EADEM 1988, pp.<br />

9-64.<br />

13 Quando fu avviata la costruzione <strong>del</strong><br />

Convento degli Agostiniani, nel 1309, l’area<br />

si presentava limitata a monte da un asse<br />

viario, via <strong>del</strong>la Giudaica e a valle dal lido<br />

lungo il quale correva una strada, grosso<br />

modo riconoscibile in via Roma. Le fonti<br />

riferiscono, inoltre, che gli Agostiniani edificando<br />

il loro complesso demolirono il<br />

tratto <strong>del</strong> ‘muricino’ che ricadeva nei loro<br />

possedimenti.<br />

14 DE SIMONE 1993, pp.191-207; AMAROTTA<br />

1982, pp. 69-86; IDEM 1979, pp. 299-251.<br />

15 Si tratta di documenti <strong>del</strong> 1091, 1117 e<br />

1124 custoditi presso l’Archivio <strong>del</strong>la Badia<br />

di Cava e trascritti in LEONE 1964.


Bibliografia<br />

ALTOBELLO R. 2010, Salerno. Lo scavo di alcune<br />

sepolture in via Vicinanza, in “Salternum”,<br />

XIV, 24-25, pp. 119-124.<br />

AMAROTTA A. 1979, Il palazzo di Arechi e il<br />

quartiere meridionale di Salerno, in “Atti<br />

<strong>del</strong>l’Accademia Pontaniana”, XXVIII, n.s.,<br />

pp. 229-251.<br />

AMAROTTA A. 1982, Dinamica urbanistica nell’età<br />

longobarda, in Guida alla Storia di Salerno<br />

1982, pp. 69-86.<br />

AMAROTTA A. 1989, Salerno Romana e<br />

Medievale, Salerno 1989.<br />

Archeologia di una città 2000, Salerno: geoarcheologia<br />

ed evoluzione <strong>del</strong>l’ambiente marino, a cura di<br />

M. A. IANNELLI, Salerno.<br />

AVAGLIANO G. 1982, Impianto urbano e testimonianze<br />

archeologiche, in Guida alla Storia di<br />

Salerno 1982, I, pp. 33-51.<br />

BRACCO V. 1979, Salerno romana, Salerno.<br />

CIFELLI F. 1991, I prodotti piroclastici <strong>del</strong> 79<br />

d. C. negli scavi archeologici di San Leonardo<br />

(SA), in “Apollo”, VII, pp. 27-38.<br />

DE CRESCENZO A. 1990, La ceramica graffita<br />

<strong>del</strong> Castello di Salerno, Napoli.<br />

DELOGU P. 1977, Mito di una città meridionale<br />

(Salerno sec. VIII-IX), Napoli.<br />

DE SIMONE V. 1993, La “forma urbis” prelongobarda<br />

e altre questioni di topografia salernita-<br />

SALTERNUM<br />

na, in “Rassegna Storica Salernitana”, n.s.,<br />

X, 1, pp. 191-207.<br />

FONTANA M. V. 1984, La ceramica invetriata al<br />

piombo di San Lorenzo Maggiore, in La ceramica<br />

medievale di San Lorenzo Maggiore in Napoli,<br />

a cura di M. V. FONTANA - C. VENTRONE<br />

VASSALLO, pp. 119-128.<br />

Guida alla Storia di Salerno 1982, Guida alla<br />

Storia di Salerno e <strong>del</strong>la sua provincia, a cura di<br />

A. LEONE - G. VITOLO, Salerno, III voll.<br />

IANNELLI M. A. - I. GALLO 2001, s.v.<br />

Salerno, in Bibliografia Topografica <strong>del</strong>la<br />

Colonizzazione Greca in Italia e nelle Isole tirreniche,<br />

XVII, Pisa-Roma-Napoli, pp. 206-<br />

225.<br />

LEONE S. 1964, Diplomata Tabularii Cavensis,<br />

Cava de’Tirreni.<br />

MIRABELLA L. 2010, Salerno - Corso Vittorio<br />

Emanuele: Cinque nuove tombe e resti di una fornace<br />

da calce, in “Salternum”, XIV, 24-25, pp.<br />

129-132.<br />

NAVA M. L. cds, Rassegna archeologica, in Atti<br />

<strong>del</strong> XLIX Convegno Internazionale di Studi sulla<br />

Magna Grecia, ‘La vigna di Dioniso: vite, vino e<br />

culti in Magna Grecia’, Taranto 2009.<br />

PASTORE I. 1982, Ceramica Spiral Ware, in A.<br />

DE CRESCENZO - I. PASTORE - D. ROMEI,<br />

Ceramiche invetriate e smaltate dal castello di Salerno<br />

dal XII al XIV secolo, Napoli, pp. 38-49.<br />

- 138 -<br />

ROMITO M. 1984, Strutture romane in S. Pietro<br />

a Corte a Salerno, in “Rassegna Storica<br />

Salernitana”, n.s., I, 2, pp. 33-47.<br />

ROMITO M. 1988, Le terme romane, in<br />

PEDUTO P. et Alii, Un accesso alla storia di<br />

Salerno: stratigrafie e materiali <strong>del</strong>l’area palaziale<br />

longobarda, in Rassegna Storica Salernitana”,<br />

n.s., V, 1, pp. 28-41.<br />

ROMITO M. 1996, I reperti di età romana dal<br />

Museo <strong>Archeologico</strong> Provinciale <strong>del</strong>la città,<br />

Napoli.<br />

ROSSI A. 1999, Il territorio <strong>del</strong>la colonia romana<br />

di Salerno, in Pompei, il Vesuvio e la Penisola<br />

Sorrentina, Atti <strong>del</strong> secondo ciclo di conferenze di<br />

Geologia, Storia e Archeologia, Pompei 1997-<br />

1998, Roma, pp. 259-279.<br />

ROSSI A. 2000, Alcune considerazioni sul territorio<br />

di Salernum’, in “Apollo”, XV, pp. 17-<br />

26.<br />

TOMAY L. 2005, Benevento. Interventi di archeologia<br />

urbana, in “Notiziario <strong>del</strong>la<br />

Soprintendenza per i Beni Archeologici di<br />

Salerno, Avellino e Benevento”, 1, p. 36.<br />

VISCIONE M. cds, Salerno, Piazza Sant’<br />

Agostino: un caso di archeologia preventiva in area<br />

urbana’, in Atti <strong>del</strong> Convegno ‘Archeologia preventiva.<br />

Esperienze a confronto’, Salerno 2009.


RAFFAELLA BONAUDO<br />

Lo scavo per il parcheggio <strong>del</strong>la tangenziale a Pastena (Salerno):<br />

alcune osservazioni sul paesaggio antico<br />

La realizzazione di un parcheggio a ridosso<br />

<strong>del</strong>l’uscita Pastena <strong>del</strong>la Tangenziale di<br />

Salerno, in direzione Nord, ha interessato<br />

un’area di ca. 3000 mq, <strong>del</strong>imitata dalla strada che da<br />

Paradiso di Pastena scende verso Sud, comportando<br />

l’abbassamento <strong>del</strong> piano in leggero e progressivo declivio<br />

fino a quota strada 1 (fig. 1).<br />

L’area si inserisce nella parte orientale <strong>del</strong>la città di<br />

Salerno, in un settore in cui, allargando il campione territoriale,<br />

studi di carattere topografico e recenti lavori<br />

urbanistici hanno permesso di conoscere con maggiore<br />

dettaglio le dinamiche di occupazione <strong>del</strong> territorio sin<br />

dall’Età preistorica. Già dal Paleolitico superiore, infatti,<br />

sembrano frequentati cavità e ripari di roccia sul<br />

costone di San Leonardo, documentati in base ai rinvenimenti<br />

di Industria litica 2 .<br />

Un quadro più articolato <strong>del</strong>l’occupazione antropica<br />

si registra per le fasi finali <strong>del</strong> Neolitico e per<br />

l’Eneolitico. A sant’Eustacchio, loc. Guarne, in un’area<br />

compresa tra i corsi dei torrenti Mercatello e<br />

Mariconda, troppo intensamente sfruttata per l’attività<br />

estrattiva negli ani ’50-’60, trincee geoarcheologiche<br />

hanno individuato la presenza di focolari e piani di concotto,<br />

ai quali va associata la quantità di materiali d’impasto<br />

recuperati, tipologicamente riconducibili, per le<br />

fasi più antiche, alle facies di Serra d’Alto e<br />

Diana/Bellavista e che attestano una continuità <strong>del</strong>la<br />

frequentazione fino all’Eneolitico 3 . Il sito rientrerebbe<br />

in un sistema di insediamenti coevi, documentati nella<br />

parte orientale di Salerno anche a Fuorni, in occasione<br />

degli scavi per la realizzazione <strong>del</strong>l’aula-bunker <strong>del</strong> carcere:<br />

i materiali rinviano agli stessi orizzonti culturali neolitici<br />

già documentati a Sant’Eustacchio e per le fasi<br />

eneolitiche alla facies di Piano Conte. La frequentazione<br />

antropica continua qui con vocazione agricola fino<br />

all’Età <strong>del</strong> Bronzo: a questo periodo sarebbero da riferire<br />

tracce di arature incrociate e impasti decorati a<br />

- 139 -<br />

squame o riferibili alle tipologie <strong>del</strong> Gaudo 4 .<br />

L’occupazione nel corso <strong>del</strong>le Età <strong>del</strong> Bronzo sembra<br />

quindi ulteriormente arretrarsi rispetto alla fascia<br />

costiera: tracce riferibili ad un insediamento <strong>del</strong> Bronzo<br />

Medio (Protoappenninico B) sono state individuate a<br />

Fuorni, loc. Acqua dei Pazzi, e non scavate 5 .<br />

Meno sistematica risulta la documentazione recuperabile<br />

per la fascia orientale di Salerno nel corso <strong>del</strong>le<br />

epoche successive. In seguito a lavori di costruzione di<br />

abitazioni civili, nel 2004 è stata scavata in Loc.<br />

Sant’Eustacchio un’area a vocazione complessa, con<br />

funzioni abitative, produttive e, probabilmente, anche<br />

sacre, in uso dal V sec. a. C. fino almeno alla metà <strong>del</strong><br />

III sec. a. C. e rioccupata, dopo fenomeni alluvionali di<br />

ampia portata, in epoca romano-imperiale, precedente<br />

al 79 d. C. Lo scavo ha permesso di individuare, inoltre,<br />

un asse viario basolato, incassato e in forte pendenza, la<br />

cui manutenzione era favorita dalla presenza di un sistema<br />

di drenaggio che convogliava le acque meteoriche e<br />

sorgive al centro <strong>del</strong>la carreggiata, probabilmente orientato<br />

NO/SE 6 .<br />

Notizie di rinvenimenti occasionali e non dettagliatamente<br />

documentati si recuperano negli anni ’70<br />

durante i lavori di realizzazione <strong>del</strong>la Tangenziale di<br />

Salerno: nei pressi <strong>del</strong>la villa romana di San Leonardo<br />

sarebbero state distrutte una settantina di tombe, databili<br />

al IV-III sec. a. C. sulla base <strong>del</strong>le descrizioni degli<br />

oggetti e <strong>del</strong>le tipologie tombali e per analogia con i<br />

materiali rinvenuti nelle fondazioni <strong>del</strong>le strutture<br />

murarie <strong>del</strong>la villa stessa 7 . A questo stesso periodo va<br />

riferito anche un gruppo di tombe scavate nella stessa<br />

località, nel corso dei lavori di realizzazione <strong>del</strong>la stazione<br />

<strong>del</strong>la Metropolitana: le tombe costeggiavano un<br />

asse viario che sfruttava un percorso in uso già dal X<br />

sec. a. C. e che durò almeno fino all’eruzione di<br />

Pompei 8 .<br />

Particolarmente interessante, rispetto all’area ogget-


to <strong>del</strong>l’attuale intervento, la<br />

notizia di un sopralluogo a<br />

S. Margherita di Pastena in<br />

seguito ai lavori di sbancamento<br />

<strong>del</strong>la superstrada,<br />

<strong>del</strong> 25 Novembre 1976 9 , in<br />

cui si ricorda che «le persone<br />

<strong>del</strong> luogo affermavano<br />

che il mezzo meccanico<br />

aveva messo in luce una<br />

tomba costituita da blocchi<br />

di tufo scuro contenente<br />

un oggetto in bronzo, sotterrata<br />

dallo stesso mezzo<br />

meccanico» 10 .<br />

Un evidente mutamento nelle<br />

dinamiche insediative e nell’organizzazione<br />

degli spazi si registra con la<br />

fondazione <strong>del</strong>la colonia romana di<br />

Salernum. A questa va riferita, infatti,<br />

la capillare distribuzione di villae sul<br />

territorio: per il settore che ci interessa,<br />

la villa scavata nel 1985 a San<br />

Leonardo, databile dalla fine <strong>del</strong> II<br />

sec. a. C. e distrutta e abbandonata in<br />

seguito all’eruzione di Pompei <strong>del</strong> 79<br />

d. C. 11 , e quella scoperta nel 1983 in<br />

via Tusciano, a Mercatello - alla quale<br />

è probabilmente da riferire la notizia di un mosaico<br />

individuato nel XVII sec. sotto la chiesa di Santa Maria<br />

a Mare -, che va piuttosto letta nel quadro di una piccola<br />

occupazione stabile lungo un asse viario, a cui sono<br />

da riferire tracce di strada glareata e una piccola necropoli<br />

(I-III sec. d. C.), rinvenute nel corso degli scavi per<br />

la stazione di Mercatello <strong>del</strong>la ‘Metropolitana leggera’ di<br />

Salerno 12 . L’asse stradale potrebbe costituire la traccia<br />

archeologica di un percorso viario complesso, ipotizzato<br />

su base fotointerpretativa e identificato con la via<br />

Popilia 13 .<br />

Documenti medievali, inoltre, individuano la presenza<br />

di un ulteriore percorso viario - la via Campanina -<br />

a Sud <strong>del</strong>la chiesa longobarda di Sant’Eustachio 14 .<br />

L’area oggetto <strong>del</strong>l’intervento che qui si descrive<br />

può essere distinta in due differenti settori, che hanno<br />

richiesto, per la loro stessa natura e formazione, strategie<br />

di intervento diversificate (fig. 2).<br />

All’interno <strong>del</strong> settore 1, immediatamente al di sotto<br />

<strong>del</strong>l’humus e fino alle quote più basse raggiunte, sono<br />

SALTERNUM<br />

Fig. 1 - Area <strong>del</strong>l’intervento su carta IGM 1955 (1:25000).<br />

Fig. 2 - Determinazione <strong>del</strong>l’area di scavo e dei settori<br />

all’interno di questa (in grigio l’asse stradale<br />

moderno; in nero il posizionamento <strong>del</strong>l’asse<br />

strada/canale antichi).<br />

- 140 -<br />

stati individuati diversi<br />

livelli di accumulo di materiale<br />

edilizio, deposto a<br />

colmare progressivamente<br />

il dislivello di quota determinato<br />

dai lavori per la<br />

costruzione <strong>del</strong>l’asse<br />

Tangenziale e <strong>del</strong>la relativa<br />

uscita; questi hanno impedito<br />

di recuperare qualsiasi<br />

traccia di attività antropica<br />

preesistente, scarsamente<br />

indiziata, <strong>del</strong> resto, dall’esigua<br />

quantità di materiale<br />

residuale presente.<br />

Questi interventi di scavo, accumulo<br />

e risistemazione <strong>del</strong>l’area sono<br />

<strong>del</strong>imitati a Nord da un percorso viario<br />

che, pur disturbato e distrutto dai<br />

lavori nella parte più prossima alla<br />

strada attuale, almeno a partire da un<br />

certo punto viene mantenuto come<br />

limite <strong>del</strong>l’azione di scasso e rispettato;<br />

esso disturba tuttavia la stratigrafia<br />

originaria fino ad un potente paleosuolo<br />

rinvenuto su tutta l’area di<br />

intervento, che non ha conservato<br />

tracce di frequentazione antropica. La<br />

strada, orientata NE/SO (56/236° N), assume un<br />

andamento curvilineo fino a raggiungere un orientamento<br />

E/O (90/270° N) e costituiva, forse, un tratto di<br />

collegamento tra l’originaria strada di Paradiso di<br />

Pastena e la prosecuzione in direzione Giovi-<br />

Sant’Eustacchio, venendo a coincidere con un percorso<br />

curvilineo visibile - per quanto in maniera poco chiara<br />

- sia in foto aerea, sia sul fotogrammetrico <strong>del</strong>l’area, in<br />

corrispondenza <strong>del</strong> toponimo ‘Santa Margherita’.<br />

A Nord <strong>del</strong>la struttura è stato recuperato un settore<br />

poco esteso - limitato a Nord-Ovest dallo svincolo <strong>del</strong>la<br />

Tangenziale e a Nord dalla via Paradiso di Pastena -<br />

all’interno <strong>del</strong> quale la stratigrafia non risultava intaccata<br />

dai lavori moderni (settore 2), benché, nella parte più<br />

settentrionale, immediatamente al di sotto <strong>del</strong>l’humus, si<br />

riconoscesse già il paleosuolo. Verso Sud, tuttavia, a<br />

causa di un progressivo aumento <strong>del</strong>le pendenze originarie,<br />

la stratigrafia si è rivelata più complessa. Al di<br />

sotto <strong>del</strong>l’humus, infatti, è stato riconosciuto un livello<br />

alluvionale composto dalle pomici rimaneggiate <strong>del</strong>l’e-


uzione di Pompei <strong>del</strong> 79<br />

d. C.: l’evento, <strong>del</strong> quale l’eruzione<br />

rappresenta un<br />

immediato termine post<br />

quem, sigilla il piano sottostante,<br />

la cui superficie evidenzia<br />

una situazione morfologicamente<br />

significativa, caratterizzata<br />

da un alto morfologico, immediatamente<br />

seguito verso Sud-Ovest da<br />

un sensibile salto di quota (fig. 3).<br />

Nel punto in cui il piano raggiunge<br />

l’alto morfologico, immediatamente<br />

a Nord <strong>del</strong> salto di quota, è stato<br />

individuato un battuto stradale, caratterizzato<br />

da una superficie piuttosto<br />

irregolare, orientato NO/SE (N 50°<br />

O) in leggera pendenza verso S-E, <strong>del</strong><br />

quale, tuttavia, la particolare situazione<br />

geomorfologica non consente di<br />

recuperare pienamente il limite settentrionale<br />

(fig. 4). Il battuto copriva<br />

in parte un muretto a secco, dal<br />

medesimo orientamento, composto da pezzame di arenaria<br />

di diverse dimensioni e da radi frammenti laterizi<br />

(US 21), tra i quali sono documentati anche coppi di<br />

tipo pentagonale, analoghi ad esemplari ampiamente<br />

attestati, ad esempio, a Fratte.<br />

Il battuto stradale insisteva su un canale di drenaggio<br />

obliterato da 4 livelli progressivi di accumulo (UUSS<br />

24-27): il canale, largo ca. m 3,50, con andamento regolare<br />

NO/SE (N 50° O), presentava una parete a sezione<br />

interrotta sul lato settentrionale ed una parete continua,<br />

molto inclinata sul lato sud, dove il muretto US 21<br />

doveva costituire una sorta di argine, in prossimità <strong>del</strong><br />

salto di quota <strong>del</strong> piano. Per favorire il drenaggio <strong>del</strong>le<br />

acque, il fondo <strong>del</strong> canale, ricavato sul piano <strong>del</strong>lo strato<br />

argilloso US 16, di per sé poco permeabile, era foderato<br />

da scaglie laterizie e pezzame d’arenaria (US 28),<br />

(fig. 5).<br />

Lo scavo <strong>del</strong> battuto, <strong>del</strong> muro e dei riempimenti <strong>del</strong><br />

canale non ha consentito di recuperare manufatti ceramici<br />

idonei a fornire un puntuale inquadramento cronologico,<br />

che, sulla base di alcuni frammenti ceramici a<br />

vernice nera e di alcune forme specifiche – quali un’ansa<br />

di situla - può solo orientativamente fissarsi intorno al<br />

RAFFAELLA BONAUDO<br />

Fig. 3 - Profilo morfologico <strong>del</strong>la parte settentrionale <strong>del</strong>l’area di scavo: in grigio le<br />

pomici rimaneggiate <strong>del</strong> 79 d. C..<br />

Fig. 4 - Particolare <strong>del</strong> battuto stradale antico (US19)<br />

con le carreggiate (US20) e il muretto laterale<br />

(US21).<br />

Fig. 5 - Particolare <strong>del</strong> canale con relativa sezione.<br />

- 141 -<br />

III-II sec. a. C..<br />

Lo scavo, benché di<br />

limitata portata e caratterizzato<br />

dalle difficoltà stratigrafiche<br />

descritte, ha consentito<br />

di recuperare alcuni<br />

dati per la ricostruzione<br />

<strong>del</strong> paesaggio antico all’interno di un<br />

settore urbano pesantemente intaccato<br />

da moderni interventi, in particolare<br />

dalla costruzione <strong>del</strong>la Tangenziale<br />

di Salerno 15 .<br />

I dati recuperati costituiscono una<br />

ulteriore testimonianza di occupazione<br />

<strong>del</strong> territorio nel corso <strong>del</strong> <strong>del</strong>icato<br />

momento che precede immediatamente<br />

l’instaurazione <strong>del</strong>la colonia<br />

romana e ha contribuito a reinserire<br />

nel quadro <strong>del</strong>l’archeologia <strong>del</strong> paesaggio<br />

un ulteriore tassello, attraverso<br />

la restituzione <strong>del</strong> profilo geomorfologico<br />

<strong>del</strong>l’area. Benché i materiali<br />

archeologici non consentano di interpretare<br />

all’interno di una griglia cronologica puntuale i<br />

fenomeni di occupazione e sfruttamento <strong>del</strong> territorio,<br />

alcuni elementi consentono di inserire le evidenze in un<br />

quadro più ampio. La costruzione <strong>del</strong> canale risponde,<br />

probabilmente, alla necessità di manutenzione di un’area<br />

soggetta a fenomeni di frana e alluvionali: sia il<br />

canale, prima, sia la strada poi, infatti, sfruttano l’ultimo<br />

alto morfologico disponibile per mantenere una posizione<br />

sicura. La necessità è resa ancor più evidente dal<br />

mantenimento <strong>del</strong>l’orientamento NO/SE (N 50° O),<br />

pur nella discontinuità funzionale tra canale e strada.<br />

L’orientamento individuato corrisponde, <strong>del</strong> resto, a<br />

quello ricostruito sulla base <strong>del</strong>la fotointerpretazione<br />

da A. Rossi per il territorio di Salernum 16 : il sistema<br />

strada/muro/canale rientrerebbe così in una suddivisione<br />

agraria testimoniata da linee perpendicolari e<br />

parallele alla linea di costa, condizionate probabilmente<br />

dalla particolare morfologia <strong>del</strong> terreno, che obbligherebbe<br />

l’orientamento secondo l’andamento costiero,<br />

in funzione <strong>del</strong> naturale deflusso <strong>del</strong>le acque di<br />

superficie. A questo sistema non osta la cronologia<br />

proposta per le evidenze individuate: si tratterebbe dei<br />

primi interventi di organizzazione <strong>del</strong> territorio che<br />

possono aver preceduto leggermente la fondazione<br />

<strong>del</strong>la colonia.


Note<br />

1 I lavori di scavo sono stati effettuati dal 30<br />

Gennaio al 27 Febbraio 2009; l’intervento<br />

archeologico, seguendo le procedure concordate<br />

con la Soprintendenza Archeologica<br />

di Salerno e dirette dalla Dott.ssa M. L.<br />

Nava, ha previsto uno scavo per battute,<br />

effettuato mediante l’uso di un escavatore e,<br />

dove richiesto dalla stratigrafia archeologica,<br />

un più puntuale scavo manuale con manodopera<br />

non specializzata fornita dall’impresa<br />

appaltatrice.<br />

2<br />

IANNELLI 2001, p. 210.<br />

3<br />

DI MAIO – IANNELLI – SCALA -SCARANO<br />

2003, pp. 478-479.<br />

4Scavi 1996-1997: IANNELLI 2001, p. 210; DI<br />

Bibliografia<br />

DI MAIO G. – IANNELLI M. A. – SCALA S. -<br />

SCARANO G. 2003, Antropizzazione ed evidenze<br />

di crisi ambientali in età preistorica in alcuni siti<br />

archeologici a Sud di Salerno, in Variazioni climatico-ambientali<br />

e impatto sull’uomo nell’area circum-mediterranea<br />

durante l’Olocene, a cura di C.<br />

ALBORE LIVADIE - F. ORTOLANI, Bari, pp.<br />

477-492.<br />

IANNELLI M. A. - GALLO L. 2001, s.v. Salerno,<br />

in Bibliografia Topografica <strong>del</strong>la Colonizzazione<br />

Greca in Italia e nelle isole tirreniche, XVII, pp.<br />

206-225.<br />

IANNELLI M. A. 2005, Salerno. Indagini in loc.<br />

Sant’Eustacchio, in “Notiziario Soprintendenza<br />

Salerno”, 1, p. 7.<br />

ROMITO M. 1991, La villa romana di San<br />

Leonardo a Salerno. Nota sull’indagine archeologica,<br />

in “Apollo”, VII, pp. 23-26.<br />

SALTERNUM<br />

MAIO – IANNELLI – SCALA - SCARANO 2003,<br />

pp. 480-484.<br />

5 IANNELLI 2001, p. 211; DI MAIO –<br />

IANNELLI – SCALA - SCARANO 2003, pp. 484-<br />

486.<br />

6 IANNELLI 2005, p. 7: un errore tipografico<br />

impedisce di definire con certezza l’orientamento,<br />

che è qui formulato in via ipotetica,<br />

sulla base <strong>del</strong>la geomorfologia <strong>del</strong>l’area.<br />

7 ROMITO 1991.<br />

8 TOCCO SCIARELLI 2005, p. 566.<br />

9 Prot. N. 5002/21D <strong>del</strong> 3 dicembre 1976,<br />

fasc. 19/S <strong>del</strong>l’Archivio <strong>del</strong>la<br />

Soprintendenza Archeologica di Salerno.<br />

10 ROMITO 1996, p. 22.<br />

ROMITO M. 1996, I reperti di età romana da<br />

Salerno nel Museo <strong>Archeologico</strong> Provinciale <strong>del</strong>la<br />

città, Napoli.<br />

ROSSI A. 1999, Alcune considerazioni sul territorio<br />

di Salernum, in “Apollo”, XV, pp. 17-26.<br />

ROSSI A. 2000, Note sulla ricostruzione <strong>del</strong> paesaggio<br />

nel territorio <strong>del</strong>la colonia romana di<br />

Salernum, in Pompei, il Vesuvio e la Penisola<br />

Sorrentina, a cura di F. SENATORE, Roma, pp.<br />

259-288.<br />

SANTORIELLO A. - A. ROSSI 2006, Aspetti e<br />

problemi <strong>del</strong>le trasformazioni agrarie nella piana di<br />

Pontecagnano (Salerno): una prima riflessione, in<br />

“AION”, 11-12, n.s., (2004-2005), pp. 245-<br />

257.<br />

TOCCO SCIARELLI G. 2000, Rassegna archeologica<br />

<strong>del</strong>le attività <strong>del</strong>la Soprintendenza <strong>del</strong>le province<br />

- 142 -<br />

11 ROMITO 1991.<br />

12 TOCCO SCIARELLI 2000, pp. 920-923; EAD.<br />

2005, pp. 566-567.<br />

13 ROSSI 1999, pp. 277-279; ID. 2000;<br />

SANTORIELLO -ROSSI 2006, pp. 253-254.<br />

14 IANNELLI 2001.<br />

15 Alla situazione stratigrafica descritta per il<br />

settore 1 si aggiunga la notizia d’archivio<br />

<strong>del</strong>la distruzione <strong>del</strong>la tomba nel corso dei<br />

lavori di realizzazione <strong>del</strong>la stessa arteria<br />

stradale precedentemente citata.<br />

16 ROSSI 1999; ID. 2000; SANTORIELLO -<br />

ROSSI 2006.<br />

di Salerno, Avellino, Benevento, in Problemi <strong>del</strong>la<br />

chora coloniale dall’Occidente al Mar Nero, in<br />

Atti <strong>del</strong> XL Convegno di Studi sulla Magna<br />

Grecia, Taranto 2000, pp. 920-923.<br />

TOCCO SCIARELLI G. 2005, L’attività archeologica<br />

<strong>del</strong>la Soprintendenza <strong>del</strong>le province di Salerno,<br />

Avellino, Benevento nel 2004, in ‘Tramonto <strong>del</strong>la<br />

Magna Grecia’, Atti <strong>del</strong> XLIV Convegno di Studi<br />

sulla Magna Grecia, Taranto 2004, Taranto, pp.<br />

543-576.


Salerno.<br />

Approvvigionamento idrico nell’area picentina<br />

Nell’ambito dei lavori di realizzazione <strong>del</strong>l’impianto<br />

di compostaggio in Via A. De<br />

Luca a Salerno nelle adiacenze <strong>del</strong> fiume<br />

Picentino (Fig. 1), è stata individuata una struttura pertinente<br />

ad un acquedotto in elevato di epoca romana<br />

databile tra il I sec. a. C. ed il I sec. d. C. (fig. 2). L’area,<br />

distante 4 Km da Pontecagnano e 10 Km dal centro<br />

antico di Salernum, si inserisce in un sistema di divisione<br />

agraria per lo sfruttamento <strong>del</strong> territorio in epoca<br />

romana 1 .<br />

L’indagine, effettuata sull’intera area, non ha restituito<br />

nessuna traccia di evidenze archeologiche, ad<br />

eccezione <strong>del</strong>la zona orientale, dove il rinvenimento di<br />

tracce di tufo e frammenti di ceramica ha reso possibile<br />

intraprendere uno scavo sistematico.<br />

Lo scavo stratigrafico ha evidenziato nell’area la<br />

presenza di uno spesso strato di fango determinato<br />

probabilmente dai meandri <strong>del</strong> fiume Picentino. Esso<br />

sigillava i crolli pertinenti alla distruzione <strong>del</strong>l’acquedotto,<br />

che si conserva per m 24 di lunghezza e 3 circa<br />

di larghezza (fig. 3).<br />

L’acquedotto si presenta costituito da pilastri 2 in opus<br />

caementicium, da archi 3 e da travi 4 , rinvenuti in crollo sul<br />

versante meridionale <strong>del</strong>la struttura che era obliterata da<br />

uno strato di origine alluvionale, caratterizzato dalla<br />

presenza di lapillo riferibile all’eruzione <strong>del</strong> 79 d. C. La<br />

fondazione insiste su uno strato, costituito da lapillo di<br />

colore bruno, riferibile ad un’eruzione precedente quella<br />

<strong>del</strong> 79 d. C. e successiva all’Ignimbrite campana 5 .<br />

Dati tecnici<br />

Il tratto di acquedotto rinvenuto, si presenta orientato<br />

Est/Ovest (Nord 50° Est), ed è costituito da sei pilastri<br />

e cinque campate <strong>del</strong>l’ampiezza di m 3 ca. (fig. 5) 6 .<br />

La struttura in opus caementicium è caratterizzata da<br />

un paramento murario a doppia cortina, senza diatoni,<br />

composto da quattro filari in opus vittatum mixtum e, in<br />

DANIELA PIERNO<br />

- 143 -<br />

Fig. 1 - Fotogrammetrico <strong>del</strong>l’area.<br />

numero variabile da pilastro a pilastro a seconda <strong>del</strong>lo<br />

stato di conservazione, da filari di blocchetti di tufo<br />

squadrati legati con malta. Su alcuni pilastri è possibile<br />

riconoscere il peduccio, piano di imposta da cui si<br />

dipartivano le arcate.<br />

Il nucleo è caratterizzato dalla presenza di ciottoli,<br />

scarti di lavorazione di tufo legato con malta e tre<br />

anfore Dressel 2-4, equidistanti tra loro, disposte verticalmente<br />

con il puntale rivolto verso l’alto. È probabile<br />

che su ogni verticale ci fossero due anfore sovrapposte<br />

ed impilate una nell’altra.<br />

I paramenti sono coperti da una concrezione fitoclastica<br />

in travertino formatasi, probabilmente, a causa<br />

di una lunga permanenza in acqua <strong>del</strong>le strutture.<br />

I pilastri mostrano chiari segni di uno spostamento<br />

<strong>del</strong>l’asse in direzione S/O, attribuibile alla pressione<br />

esercitata da un’ondata di fango sulla struttura o da<br />

una violenta scossa tellurica (fig. 4). La fondazione su<br />

cui poggiavano i pilastri, è costituita da un allineamento,<br />

composto da due filari in ciottoli fluviali, privi di<br />

legante tra i singoli elementi 7 .<br />

La prima campata conserva la trave in crollo nel<br />

cui nucleo è posizionata un’anfora da trasporto Dressel


Fig. 2 - Panoramica <strong>del</strong>l’acquedotto visto dall’alto (foto L. Vitola).<br />

Fig. 3 - Ricostruzione prospettica <strong>del</strong>l’acquedotto romano (foto G. Zevolino).<br />

2-4 in posizione orizzontale, parzialmente conservata,<br />

utilizzata per alleggerire la struttura 8 . Invece, nella<br />

quinta campata si distingue un tratto di arco in crollo<br />

e un tratto <strong>del</strong>la trave con rivestimento in cocciopesto<br />

pertinente allo specus (fig. 5). Dal profilo rinvenuto si<br />

ipotizza che lo specus fosse a sezione rettangolare con<br />

probabile copertura a cappuccina, la quale doveva<br />

essere mobile e abbastanza ampia da essere accessibile<br />

sia per le periodiche operazioni di pulizia, testimoniate<br />

dalla presenza di agglomerati di travertino 9 di<br />

formazione fitoclastica di forma irregolare nelle<br />

immediate vicinanze, esito <strong>del</strong>la manutenzione, sia per<br />

le riparazioni essendo il rivestimento in cocciopesto<br />

un punto debole di queste costruzioni, facilmente soggetto<br />

a lesioni.<br />

Conclusioni<br />

Dalla lettura stratigrafica si evince che l’acquedotto<br />

sia stato costruito prima <strong>del</strong>l’eruzione vesuviana <strong>del</strong><br />

79 d. C. e che la sua distruzione potrebbe essere stata<br />

causata da un evento disastroso riconducibile ad un<br />

terremoto 10 . La struttura ormai abbandonata viene in<br />

seguito completamente obliterata da un evento allu-<br />

SALTERNUM<br />

- 144 -<br />

vionale successivo all’eruzione di Pompei 11 . In seguito<br />

alla completa distruzione <strong>del</strong>l’acquedotto e alla sua<br />

obliterazione, si registra un livello di abbandono <strong>del</strong>l’area<br />

e una dispersione dei materiali probabilmente<br />

dovuta ad azioni agricole che, nel corso degli anni,<br />

hanno interessato l’area.<br />

L’unica classe ceramica rinvenuta è costituita dalle<br />

anfore da trasporto Dressel 2-4, che oltre a fornire un<br />

ulteriore dato per la cronologia, costituisce anche una<br />

novità per il suo impiego all’interno <strong>del</strong> nucleo dei<br />

pilastri 12 , da mettere in relazione a motivi economici,<br />

in quanto l’utilizzo permetteva di risparmiare nell’uso<br />

di materiali per la costruzione 13 .<br />

Un altro aspetto rilevante è rappresentato dalla<br />

disponibilità di anfore da trasporto da riutilizzare, che<br />

costituisce una conferma circa la presenza nelle vicinanze<br />

di ville rustiche 14 .<br />

Il rinvenimento <strong>del</strong> tratto di acquedotto costituisce<br />

un dato importante, considerando la sua provenienza<br />

da Pontecagnano 15 e il suo asse orientato verso Sud-<br />

Ovest, ossia verso la fascia costiera . Non è da escludere<br />

che l’acquedotto potesse servire anche ad uso<br />

privato. Infatti, mentre in età repubblicana l’acqua era


considerata proprietà statale e destinata ad uso pubblico<br />

e solo il sopravanzo <strong>del</strong>le fontane poteva venir<br />

ceduto ai privati, in età imperiale, per il maggior volume<br />

a disposizione, l’acqua veniva con maggior larghezza<br />

concessa anche ai cittadini privati 16 .<br />

Appendice. Cenni storici sugli acquedotti<br />

di RAFFAELLA PISAPIA<br />

Il tracciato e la costruzione degli acquedotti rappresentavano<br />

un lavoro notevolmente complesso poiché<br />

si doveva tener conto sia <strong>del</strong>l’installazione topografica<br />

che <strong>del</strong>le distanze da percorrere. I primi acquedotti<br />

romani erano sotterranei per l’intero percorso<br />

come quello <strong>del</strong>l’aqua Appia nel 312 a. C. ad opera <strong>del</strong><br />

censore Appio Claudio – costruito in blocchi di tufo<br />

squadrati e giustapposti senza calce – che giungeva<br />

sotterraneo fino a Porta Capena, dove iniziava la rete<br />

di distribuzione. Il primo acquedotto sopraelevato,<br />

invece, fu quello <strong>del</strong>l’aqua Marcia nel 144 a. C. ad opera<br />

<strong>del</strong> pretore Marcius Rex 17 . L’importanza che i Romani<br />

davano all’approvvigionamento idrico è testimoniata,<br />

inoltre, da un trattato in materia ad opera di Sesto<br />

Giulio Frontino – De aquae ductu urbis Romae – <strong>del</strong> 98<br />

d. C. che ci dà informazioni riguardo gli acquedotti<br />

romani, la loro amministrazione e la legislatura che<br />

tutelava il funzionamento <strong>del</strong> servizio. L’acqua veniva<br />

trasportata sia per uso potabile che irriguo che industriale,<br />

captata da sorgenti o da fiumi e incanalata in un<br />

condotto, lo specus, che aveva una pendenza dolce e<br />

costante che variava a seconda <strong>del</strong>le caratteristiche <strong>del</strong><br />

percorso. A volte, i forti dislivelli potevano portare<br />

l’acqua ad una pressione troppo elevata, per cui era<br />

necessario un tracciato lungo e tortuoso. La pressione<br />

<strong>del</strong>l’acqua poteva inoltre essere regolata con saracinesche,<br />

o facendo correre in piano il condotto per un<br />

certo tratto nel punto più basso <strong>del</strong> sifone 18 . Lungo il<br />

percorso e nel punto di arrivo erano solitamente collocati<br />

dei serbatoi di dimensioni variabili, divisi in<br />

compartimenti intercomunicanti per la decantazione<br />

<strong>del</strong>l’acqua, così che potesse penetrare depurata nelle<br />

tubazioni cittadine 19 .<br />

DANIELA PIERNO<br />

- 145 -<br />

Fig. 4 - Particolare <strong>del</strong> pilastro con allettamento in ciottoli.<br />

Fig. 5 - Particolare <strong>del</strong>la campata <strong>del</strong>l’acquedotto.<br />

Glossario<br />

- opus caemeticium: muratura in pietrisco legata con<br />

malta.<br />

- diatoni: mattoni o blocchi di pietra posti perpendicolarmente<br />

allo sviluppo murario, cioè con il lato minore<br />

a vista; opposto di ortostati.<br />

- opus vittatum mixtum: rivestimento murario costituito<br />

da blocchetti quadrangolari disposti su filari orizzontali;<br />

opera definita mista in quanto il paramento presenta<br />

fasce alternate di pietre o tufelli e mattoni.<br />

- peduccio: piano di imposta da cui si dipartivano le<br />

arcate.<br />

- concrezione fitoclastica: formazione organica sorta<br />

per sedimentazioni successive dovute ad accumuli di<br />

materiale vegetale, caratterizzato da una notevole<br />

porosità.<br />

- specus: condotto attraverso il quale passava l’acqua.


Note<br />

1<br />

SANTORIELLO - ROSSI 2005, pp. 245-257<br />

2 I pilastri misurano m 1.80 x 0.95 all’interno<br />

<strong>del</strong> nucleo presentano l’inserimento di<br />

anfore da trasporto disposte verticalmente<br />

ed impilate con il puntale rivolto verso l’alto.<br />

3 Gli archi, rinvenuti in crollo, erano probabilmente<br />

costituiti in opera vittata mista<br />

con ricorsi verticali di laterizi. E’ significativo<br />

l’esempio <strong>del</strong> crollo <strong>del</strong>l’arco US 24,<br />

composto da blocchetti di tufo grigio di<br />

forma squadrata alternati a mattoni disposti<br />

in filari verticali (fig. 4), di cui si riconosce<br />

l’intradosso, che si alletta sullo strato alluvionale<br />

US 13, il quale, sopraggiungendo,<br />

ha contribuito alla demolizione <strong>del</strong>la struttura.<br />

4 La trave meglio conservata presenta il rivestimento<br />

in cocciopesto pertinente allo specus.<br />

5<br />

DE VIVO et Alii 2001; PAPPALARDO et Alii<br />

2002.<br />

6 La misura <strong>del</strong>l’interasse dei pilastri corrisponde<br />

al piede romano che misura 29,6<br />

cm.<br />

Bibliografia<br />

ADAM J. P. 1998, L’arte <strong>del</strong> costruire presso i<br />

Romani. Materiali e tecniche, Milano.<br />

ASHBY T. 1935, The aqueducts of ancient Rome,<br />

Oxford.<br />

CARRETTONI G. 1963, s.v. Acquedotto, in<br />

Enciclopedia <strong>del</strong>l’Arte Antica, Roma.<br />

DE FENIZIO C. 1916, Sulla portata degli antichi<br />

acquedotti romani e determinazione <strong>del</strong>la quinaria,<br />

in “Giornale <strong>del</strong> Genio Civile”, 54, Roma,<br />

pp. 277-331.<br />

DE VIVO B. - ROLANDI G. – GANS P. B. -<br />

CALVERT A. - BOHRSON W. A. - SPERA F. J.<br />

- BELKIN A. F. 2001, New contraints on the<br />

pyroplastic eruption history of the Campanian volcanic<br />

plane (Italy), in “Mineral. Petrol.”, 73,<br />

pp. 47-65.<br />

SALTERNUM<br />

7 Tale piano potrebbe essere stato usato<br />

come espediente tecnico per il drenaggio<br />

<strong>del</strong>l’acqua essendo l’area interessata da una<br />

falda acquifera probabilmente fin dai tempi<br />

antichi.<br />

8 GIULIANI 2006, p. 130; GROSS 2001;<br />

ASHBY 1935; LUGLI 1957; MUCCI 1995.<br />

9 Considerate le dimensioni <strong>del</strong>l’agglomerato<br />

(cm 70 x 50) si ipotizza possa riferirsi ad<br />

un accumulo volontario durante le operazioni<br />

di pulizia periodica <strong>del</strong>lo specus.<br />

10 La devastante esplosione <strong>del</strong> 79 d. C. fu<br />

anticipata da un intensificarsi <strong>del</strong>l’attività<br />

sismica, che a partire dal 62, come è attestato<br />

nelle fonti, sconvolge la Campania<br />

(Seneca, Nat. Quaest. 6,2; Tacito, Annales 15,<br />

22).<br />

11 Nel crollo si rinviene la presenza di lapillo,<br />

probabilmente in giacitura secondaria.<br />

12 Inizialmente si è pensato che inserendo<br />

<strong>del</strong>le anfore nei pilastri avrebbero perso stabilità,<br />

ma l’altezza <strong>del</strong> pilastro, un metro da<br />

terra al piano d’imposta <strong>del</strong>la volta <strong>del</strong>l’arco,<br />

ha eliminato ogni dubbio.<br />

GIGLIO M. 2005, L’occupazione <strong>del</strong>l’ager<br />

Picentinus in epoca imperiale alla luce dei nuovi<br />

dati dalla necropoli Colucci, in “AION StAnt”,<br />

n.s. 11-12, pp. 301-348.<br />

GIULIANI F. 2006, L’edilizia nell’antichità,<br />

Roma.<br />

GROSS P. 2001, L’architettura Romana,<br />

Milano.<br />

LE PERA S. 1999, Come costruivano gli antichi<br />

Romani. Brevi note di tecnica edilizia, Roma.<br />

LUGLI G. 1957, La tecnica edilizia romana con<br />

particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma.<br />

MUCCI A. 1995, Il sistema degli antichi acquedotti<br />

romani, Roma.<br />

- 146 -<br />

13 Nel caso <strong>del</strong>le travi l’uso di anfore è ben<br />

attestato: esse erano utilizzate per motivi<br />

strutturali probabilmente per alleggerire il<br />

peso <strong>del</strong>le strutture.<br />

14<br />

GIGLIO 2005, pp. 301-348.<br />

15 Va ricordato che negli anni ‘90 <strong>del</strong> XX<br />

sec. durante la costruzione di un sottopasso<br />

ferroviario nei pressi <strong>del</strong>la Stazione FS di<br />

Pontecagnano fu rinvenuto un tratto di<br />

acquedotto una cui diramazione si dirigeva<br />

verso la fascia costiera (cfr. GIGLIO 2005, p.<br />

315).<br />

16<br />

FRONTINO, De acque ductu urbis Romae, 94-<br />

99.<br />

17<br />

ADAM 1998, pp. 261-262; DE FENIZIO<br />

1954, pp. 277-331; LE PERA 1999.<br />

18<br />

VITRUVIO, De Architettura VIII, 6, 5-6.<br />

19<br />

CARRETTONI 1963, p. 38.<br />

PAPPALARDO L. – PIOCHI M. - D’ANTONIO<br />

M. - CIVETTA L. - PETRINI R. 2002, Evidence<br />

for multi-stage magmatic evolution during the past<br />

60 kyr at Campi Flegrei (Italy) deduced from Sr,<br />

Nd and Pb isotope data, in “Journ. Petrol.”, 43,<br />

pp. 1415-1434.<br />

SANTORIELLO A. - ROSSI A. 2005, Aspetti e<br />

problemi <strong>del</strong>le trasformazioni agrarie nella Piana<br />

di Pontecagnano (Salerno): una prima riflessione,<br />

in “AION StAnt”, n.s. 11-12, pp. 245-257.


AMEDEO ROSSI<br />

Area <strong>del</strong> Termovalorizzatore di Salerno:<br />

notizie preliminari <strong>del</strong>lo scavo archeologico<br />

Introduzione 1<br />

Le indagini di impatto archeologico nell’area <strong>del</strong><br />

Termovalorizzatore sono state eseguite, sotto<br />

l’alta vigilanza <strong>del</strong>la Soprintendenza per i Beni<br />

archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta,<br />

dal Dipartimento di Beni Culturali <strong>del</strong>l’Università di<br />

Salerno, ai sensi di una specifica convenzione stipulata<br />

con l’Amministrazione Comunale di Salerno.<br />

Lo scavo è stato condotto sotto la direzione scientifica<br />

<strong>del</strong> prof. Luca Cerchiai e con il coordinamento<br />

sul campo di chi scrive, con l’assistenza tecnico-scientifica<br />

<strong>del</strong>le dott.sse M. Viscione e C. Regis, coadiuvate<br />

dai dott.ri M. Barone, G. De Chiara, L. Mirabella, N.<br />

Villani; allo scavo hanno partecipato gli allievi <strong>del</strong>la<br />

Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici<br />

<strong>del</strong>l’Università degli Studi di Salerno.<br />

Metodi e strategie di intervento<br />

L’area interessata dalla costruzione <strong>del</strong> Termovalorizzatore<br />

è ubicata nel territorio comunale di<br />

Salerno, tra le località Boscariello, Sardone e Cupa di<br />

Siglia, nel punto di confine ad Ovest con il comune di<br />

S. Cipriano Picentino e a Est e a Nord con il comune<br />

di Giffoni Valle Piana.<br />

L’esplorazione archeologica preventiva si è svolta<br />

in due fasi: tra il mese di Agosto <strong>del</strong> 2008 e il Marzo<br />

<strong>del</strong> 2009 si è effettuata l’indagine sistematica <strong>del</strong> settore<br />

interessato dal tracciato viario previsto a sostituzione<br />

<strong>del</strong>la Strada Provinciale SP n. 25 (successivamente<br />

denominato: settore viabilità - Zona C); dal Marzo<br />

all’Agosto <strong>del</strong> 2009 si è verificato l’impatto archeologico<br />

nella zona di sedime <strong>del</strong>l’impianto <strong>del</strong> termovalorizzatore<br />

(successivamente denominato: settore termovalorizzatore<br />

- Zona A) (fig. 1).<br />

Lo scavo nel settore viabilità, sviluppato per una lunghezza<br />

totale di m 500 e una larghezza compresa tra<br />

m 12 e m 14, è iniziato dall’estremità meridionale <strong>del</strong><br />

- 147 -<br />

Fig. 1 - Salerno. Monte Vetrano. Le aree di scavo: Viabilità e Termovalorizzatore.<br />

tracciato, interessando la superficie a Sud <strong>del</strong> viale di<br />

ingresso alla Masseria Cioffi, per prolungarsi progressivamente<br />

in direzione Nord, risalendo il pendio collinare:<br />

esso è stato organizzato mediante una rete di<br />

saggi a scacchiera (m 5×5), in seguito ai quali si è proceduto<br />

all’esplorazione sistematica, con trincee di ca.<br />

m 30×4 e alla bonifica estesa <strong>del</strong>le aree risultate interessate<br />

dalle preesistenze archeologiche.<br />

Le dimensioni e la collocazione dei saggi sono stati<br />

condizionati, in talune aree, dalle misure di sicurezza<br />

imposte dalla presenza dalle scarpate <strong>del</strong>la SP n. 25 e<br />

dalla presenza di un cavo elettrico sul terrazzo interessato<br />

dalle trincee 4 e 5 2 .


Fig. 2 - Salerno. Monte Vetrano. Saggio 4. La struttura abitativa <strong>del</strong> Neolitico - a)<br />

QB2,US 83; b) QC2,US 98; c) QC2,US 41B; d) S4-QF3,US 83; S4-QC2,US 41B –<br />

industria litica.<br />

Lo scavo nel settore termovalorizzatore ha interessato<br />

un terrazzo fluviale prospiciente l’alveo <strong>del</strong> Picentino<br />

ed è consistito nell’esecuzione di cinque trincee finalizzate<br />

all’accertamento <strong>del</strong> rischio archeologico nel<br />

settore dedicato alla costruzione <strong>del</strong>l’impianto di<br />

smaltimento dei rifiuti (trincee 14, 15, 16, 19 e 17) 3 . Le<br />

trincee sono state ubicate in rapporto ai carotaggi e<br />

alla ricognizione archeologica che nella fase preventiva<br />

avevano segnalato presenze di tipo archeologico 4 .<br />

Esse hanno consentito di campionare la stratigrafia<br />

archeologica su gran parte <strong>del</strong> terrazzo per un’estensione<br />

complessiva di 10400 mq 5 . Di seguito si fornisce<br />

una sintesi preliminare dei risultati conseguiti negli<br />

scavi condotti nei settori viabilità e termovalorizzatore,<br />

organizzati secondo ampi tagli cronologici, analizzando<br />

le fasi di occupazione <strong>del</strong>l’area a partire da quelle<br />

più antiche 6 .<br />

Età Neolitica<br />

Le prime tracce insediative sono state rinvenute nel<br />

settore viabilità (trincee 2, 4-5) al di sopra di un terrazzo<br />

morfologico in leggera pendenza verso Sud-Est 7 . E’<br />

stato messo in luce un limitato settore relativo ad un<br />

SALTERNUM<br />

- 148 -<br />

insediamento <strong>del</strong> Neolitico Medio-Finale, inseribile in<br />

una fase di passaggio tra le facies culturali di ‘Serra<br />

d’Alto’ e ‘Diana’. L’insediamento è situato in posizione<br />

elevata, dominante il corso <strong>del</strong> fiume Picentino: di<br />

esso sono stati messi in luce una capanna, alcuni focolari<br />

e aree di combustione, riconoscibili soprattutto<br />

all’esterno <strong>del</strong>la struttura abitativa; sono documentate<br />

almeno due ampie fasi, separate da uno spesso strato<br />

di abbandono composto da un deposito limo-argilloso<br />

di origine colluviale 8 .<br />

Nella fase più antica la capanna è di forma ovale ed<br />

occupa una superficie con ampiezze massime comprese<br />

tra m 9,40 e m 6,40 9 : essa si presentava leggermente<br />

in pendenza verso Est ed era <strong>del</strong>imitata da un allineamento<br />

esterno di buche di palo (almeno 7 documentate<br />

nell’area indagata), provviste, di solito, di<br />

paletti di sostegno laterale. All’interno è possibile individuare<br />

una diversificazione funzionale degli spazi:<br />

nella zona settentrionale <strong>del</strong>la struttura è stata evidenziata<br />

un’area di combustione composta da un focolare<br />

e dai resti di un piccolo forno 10 , di cui si conservava il<br />

crollo <strong>del</strong>l’alzato in concotto (fig. 2).<br />

I reperti sono rappresentati da contenitori per derrate,<br />

tazze e recipienti sia d’impasto sia in argilla figulina,<br />

caratterizzati da anse a nastro e a rocchetto pieno<br />

e vuoto. I caratteri morfologici e tipologici rimandano<br />

a una fase di passaggio tra le culture di ‘Serra d’Alto’ e<br />

<strong>del</strong>la facies di ‘Diana’ (fig. 7. a-b, c-d). Tra i materiali<br />

recuperati si segnala una testina fittile femminile, probabilmente<br />

terminale <strong>del</strong>l’appendice plastica di un<br />

vaso, recuperata all’interno <strong>del</strong>lo strato colluviale che<br />

oblitera la più antica fase di vita <strong>del</strong>la capanna (fig. 3) 11 .<br />

A circa m 50 a Nord <strong>del</strong>la capanna 12 , ad una profondità<br />

di m 3 dal piano di campagna, sono state individuati<br />

solchi di aratura incrociati, riferibili ad attività<br />

agricole, probabilmente in fase con l’abitazione 13 . Le<br />

arature sono state individuate su uno strato eruttivo di<br />

colore bianco-giallastro composto da ceneri e pomici,<br />

identificabile con la cd. eruzione <strong>del</strong>le ‘Pomici di<br />

Mercato’ (VI millennio a. C.) 14 .<br />

Nella stratigrafia sottostante il settore interessato<br />

dalla struttura abitativa è stato rinvenuto un paleosuolo<br />

limo-argilloso con abbondanti tracce di frustuli carboniosi,<br />

da riferire con ogni probabilità ad un incendio<br />

<strong>del</strong>la vegetazione boschiva che ha preceduto l’insediamento.<br />

L’evento potrebbe costituire l’esito di<br />

un’azione volontaria di disboscamento finalizzata<br />

all’acquisizione di terra, inserendo l’insediamento di


Monte Vetrano nel sistema di<br />

sfruttamento <strong>del</strong> territorio, già<br />

altrove ampiamente attestato, che<br />

prevede continui spostamenti<br />

degli abitati lungo i corsi d’acqua<br />

e nei punti di controllo <strong>del</strong>le vie<br />

naturali di comunicazione, per<br />

un’occupazione legata ad un uso<br />

intensivo dei suoli agricoli 15 .<br />

Età <strong>del</strong> Bronzo<br />

Consistenti tracce insediative<br />

<strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo sono state<br />

scoperte sia nel settore viabilità sia<br />

nel settore termovalorizzatore.<br />

Nel primo, nella parte sud <strong>del</strong>la<br />

trincea 5, è stato individuato un<br />

canale largo ca. m 8 <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong><br />

Bronzo Medio (Protoappeninico<br />

B) 16 , ricavato entro uno strato colluviale<br />

che ricopre il paleosuolo di<br />

frequentazione di Età Neolitica.<br />

La struttura, certamente artificiale,<br />

è orientata secondo le linee di<br />

pendenza naturali, è composta da<br />

4 solchi di corrivazione più piccoli,<br />

colmati da apporti naturali ad<br />

alta e bassa energia, che lo hanno<br />

riempito progressivamente, ed è<br />

obliterato da materiale piroclastico<br />

rimaneggiato che, sulla base<br />

<strong>del</strong>le analisi chimiche, potrebbe<br />

collocarsi tra le eruzioni ischitane<br />

databili al Bronzo Medio-Recente 17 (fig. 4).<br />

Nel settore termovalorizzatore, nell’area <strong>del</strong>la trincea<br />

17, è stato messo in luce un eccezionale apprestamento<br />

monumentale: la rilevanza <strong>del</strong>la scoperta e le necessità<br />

di definire la natura e l’ampiezza <strong>del</strong> complesso<br />

archeologico hanno determinato l’ampliamento <strong>del</strong>lo<br />

scavo per una superficie complessiva di circa m² 600 18 .<br />

Il complesso archeologico è situato sul terrazzo<br />

lambito dal paleoalveo <strong>del</strong> fiume Picentino: esso presenta<br />

una pendenza da Ovest verso Est e si articola<br />

morfologicamente in due settori: quello superiore<br />

sfrutta un’ampia conoide composta da argilla alluvionale<br />

e, sui margini orientali, da un modesto banco di<br />

tufo grigio (Ignimbrite Campana) che copriva altri<br />

apporti piroclastici più antichi; quello inferiore digra-<br />

AMEDEO ROSSI<br />

Fig. 3 - Salerno. Monte Vetrano. Saggio 4. Testina fittile (Q<br />

D2, US 41B).<br />

Fig. 4 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 5, area di scavo <strong>del</strong><br />

canale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo; A) vista da Nord-Est <strong>del</strong> canale; B)<br />

particolare <strong>del</strong> canale.<br />

- 149 -<br />

da su una paleosuperficie di origine<br />

vulcanica che l’erosione <strong>del</strong><br />

banco tufaceo aveva messo a<br />

nudo 19 .<br />

Il salto di quota era attraversato<br />

da un modesto corso d’acqua<br />

che, con una notevole pendenza,<br />

discendeva probabilmente verso<br />

l’alveo fluviale: al passaggio tra<br />

Bronzo Antico e Medio, esso è<br />

allargato e regolarizzato artificialmente<br />

in una sorta di canale che<br />

drena le acque provenienti da<br />

monte.<br />

Il canale è caratterizzato da un<br />

profilo discontinuo, con pareti<br />

verticali e fondo piatto concavo, e<br />

borda con la sponda occidentale<br />

il terrazzo composto dal banco di<br />

tufo 20 . La profondità <strong>del</strong> canale è<br />

stata accertata solo in un saggio<br />

di approfondimento (Q D3) dove<br />

raggiunge la quota di m -2,50<br />

rispetto alla sponda ovest (fig. 5).<br />

Lo scavo ha consentito di<br />

distinguere le fasi d’uso <strong>del</strong> canale<br />

e i successivi riempimenti<br />

dovuti al passaggio d’acqua e al<br />

disfacimento <strong>del</strong>le pareti che<br />

hanno, in parte, colmato l’invaso,<br />

condizionando il deflusso <strong>del</strong>le<br />

acque. Su questi strati, nel tratto<br />

sud <strong>del</strong> canale, sono state messe<br />

in luce alcune stele infisse lungo i bordi e la parte<br />

mediana <strong>del</strong> corso d’acqua: esse presentano una forma<br />

pressoché tronco-piramidale (in media cm 30 x 40 x<br />

60) e sono realizzate sia in tufo grigio sia in un impasto<br />

realizzato con polvere di tufo integrata, probabilmente,<br />

con argilla e materiale piroclastico (fig. 6).<br />

Nella porzione probabilmente prossima alla confluenza<br />

con il paleoalveo <strong>del</strong> Picentino (QQ A2, B1,<br />

B2, C2, C3), il letto <strong>del</strong> canale è obliterato da un imponente<br />

crollo di blocchi e scaglie di tufo, pertinente a<br />

strutture realizzate in blocchi di tufo, che erano ubicate<br />

sul terrazzo immediatamente sovrastante la sponda<br />

occidentale, costituita dal banco tufaceo affiorante.<br />

Su di esso sono state riconosciute le tracce di almeno<br />

due strutture circolari: una (Unità B) consiste in


una cavità ipogeica, all’interno <strong>del</strong>la quale sono stati<br />

rinvenuti due pozzetti destinati a contenere acqua o a<br />

conservare derrate; l’altra (Unità A) è segnalata solo da<br />

alcuni intagli semicircolari praticati nel banco tufaceo,<br />

che potrebbero essere interpretati come una sorta di<br />

cavo di fondazione.<br />

Le strutture cui appartiene il crollo dei blocchi,<br />

per forma e dimensione, potevano presentare un<br />

Fig. 5 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Crollo dei blocchi visto da Est.<br />

Fig. 6 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Area <strong>del</strong>le stele.<br />

Fig. 7 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Selezione di alcuni materiali dal crollo<br />

dei blocchi: A) tazza - US 296. QC3; B) Macina in pietra lavica - US 349; C) Sostegno<br />

a clessidra - US298.QC3; D) tazza - US311b.2 QC3; E) Tazza – Q.C3.<br />

SALTERNUM<br />

- 150 -<br />

alzato di forma troncoconica 21 : in seguito all’abbandono<br />

<strong>del</strong> canale e <strong>del</strong>l’area monumentale, l’azione<br />

<strong>del</strong>l’acqua avrebbe eroso le sponde, provocandone il<br />

crollo all’interno <strong>del</strong>l’invaso 22 . Sulla parte superiore<br />

dei crolli e in alcuni punti <strong>del</strong> canale - anche presso<br />

le stele - sono stati recuperate alcune tazze carenate<br />

e alcuni frammenti di olle cordonate, oltre ad una<br />

macina in pietra lavica, che collocano tra l’Età <strong>del</strong><br />

Bronzo Antico (facies Palma Campania) e Medio I la<br />

fase di vita <strong>del</strong> complesso monumentale 23 (fig. 7).<br />

Sebbene sia difficile precisarne la funzione 24 , è evidente<br />

che la prossimità <strong>del</strong> canale, e quindi il ruolo<br />

svolto dall’acqua, assumano una funzione di assoluta<br />

importanza sia rispetto alla deposizione <strong>del</strong>le stele sia<br />

in relazione alla costruzione <strong>del</strong>le strutture circolari,<br />

che potrebbero configurarsi come strutture abitative<br />

o come apprestamenti destinati ad attività di culto<br />

funerario 25 o legato alle acque. Quest’ultima interpretazione<br />

sembrerebbe la più evidente, vista la presenza<br />

dei pozzetti nell’Unità B e di materiali rinvenuti<br />

quasi integri o ricomponibili nei pressi <strong>del</strong>le strutture<br />

e <strong>del</strong>le stele 26 .<br />

Sulla costa tirrenica peninsulare il complesso<br />

monumentale di Monte Vetrano resta privo di confronti.<br />

Esso rappresenta la traccia consistente di un<br />

importante insediamento collocato sulla sponda <strong>del</strong><br />

Picentino, nel punto in cui il letto <strong>del</strong> fiume si amplia<br />

e la morfologia sembra favorire la presenza di un<br />

approdo fluviale.<br />

Questa significativa emergenza si inserisce nel<br />

quadro di una occupazione <strong>del</strong> territorio picentino<br />

complessa e non sempre confortata da dati sistematici.<br />

Indizi di abitati e/o aree di frequentazioni risalenti<br />

al Bronzo Medio sono attestati nella zona tra S.<br />

Leonardo e Fuorni di Salerno, sull’altura di Acqua<br />

de’ Pazzi 27 . Ad essi si aggiungono i siti più distanti<br />

<strong>del</strong>la piana, ubicati sulle colline di Montedoro di<br />

Eboli e nelle località Serroni e Castelluccia di<br />

Battipaglia 28 . Analogamente a quanto sembra verificarsi<br />

a Monte Vetrano, anche in questi casi si privilegiano<br />

le aree lungo i corsi fluviali che mettono in<br />

comunicazione la piana e l’entroterra: aree in altura<br />

naturalmente difendibili, ma anche situate in posizioni<br />

strategiche 29 , secondo un sistema insediativo<br />

che conosce uno sviluppo maggiore dal Bronzo<br />

Recente, quando il fenomeno investe la stessa<br />

Pontecagnano 30 .


Età <strong>del</strong> Ferro/Orientalizzante<br />

Dopo un prolungato intervallo,<br />

la ripresa <strong>del</strong>l’occupazione<br />

interviene in un ristretto arco di<br />

tempo compreso tra un momento<br />

avanzato <strong>del</strong>la prima Età <strong>del</strong><br />

Ferro (fase II di Pontecagnano) e<br />

l’Orientalizzante Antico, fino<br />

allo scorcio <strong>del</strong>l’VIII sec. a. C.<br />

Tale fase è documentata in<br />

entrambi i settori viabilità e termovalorizzatore<br />

dal rinvenimento di<br />

sepolture, a cui può aggiungersi<br />

un canale-alveo largo circa m 3,<br />

rinvenuto alla base <strong>del</strong> colle nel<br />

settore viabilità (saggio 6). Il canale<br />

era riempito da ciottoli conglomeratici<br />

e da rare scaglie tufacee<br />

ed ha restituito materiali ceramici<br />

databili genericamente tra l’Età<br />

<strong>del</strong> Ferro e l’Orientalizzante.<br />

Nel settore viabilità un primo<br />

gruppo di sepolture è stato individuato<br />

nel saggio 4 e nella trincea 5<br />

ed è costituito da 12 tombe, cui si<br />

aggiungono numerosi materiali<br />

sporadici, residui di tombe distrutte<br />

da arature meccaniche che hanno<br />

sconvolto in profondità la stratigrafia<br />

(fig. 8) 31 . La necropoli sembra<br />

essere l’estensione a valle di quella<br />

rinvenuta dagli scavi per il metanodotto<br />

32 : nel settore indagato dalla<br />

Soprintendenza l’ampio sepolcreto<br />

risulta articolato in lotti funerari<br />

distinti da spazi liberi, talora marcati<br />

da confini 33 .<br />

Anche nel settore viabilità le tombe<br />

occupano un lotto definito sul margine<br />

orientale da un muretto di<br />

recinzione costruito in ciottoli fluviali<br />

34 ; dall’altra parte il lotto si estende<br />

oltre i limiti imposti dallo scavo.<br />

Le tombe, orientate in senso<br />

Nord-Est/Sud-Ovest oppure in<br />

senso Sud-Est/Nord-Ovest, presentano<br />

il defunto deposto supino<br />

in una fossa rettangolare, rivestita e<br />

AMEDEO ROSSI<br />

Fig. 8 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 4-Trincea 5. Viabilità.<br />

Planimetria necropoli Età <strong>del</strong> Ferro/Orientalizzante Antico.<br />

Fig. 9 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 4-Trincea 5.<br />

La T. 104 in corso di scavo e alcuni materiali.<br />

Fig. 10 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 4-Trincea 5.<br />

Lo scarabeo.<br />

- 151 -<br />

coperta da ciottoli fluviali 35 ,<br />

dalle dimensioni molto ampie,<br />

per accogliere il corredo collocato<br />

ai piedi (fig. 9).<br />

Nel ridotto campione esplorato<br />

le sepolture sembrano<br />

aggregarsi per classi d’età: più a<br />

Sud si rinvengono le sepolture<br />

degli adulti, probabilmente tutte<br />

di genere femminile (TT. 104,<br />

108, 109 36 ), più a Nord, oltre<br />

uno spazio libero, si collocano<br />

le sepolture di giovani di<br />

entrambi i sessi (TT. 107, 110,<br />

112, 114) e, ancora più a Nord,<br />

le sepolture degli infanti (TT.<br />

106, 113); ad Ovest di queste<br />

ultime deposizioni dovevano<br />

situarsi alcune sepolture sconvolte<br />

dalle arature, da cui provengono<br />

materiali inseribili nella fase<br />

IIB di Pontecagnano e uno scarabeo<br />

<strong>del</strong> Lyre Player Group, recante<br />

un’eccezionale rappresentazione di<br />

danza intorno ad una grande anfora<br />

da trasporto, ugualmente databile<br />

intorno alla metà/terzo venticinquennio<br />

<strong>del</strong>l’VIII sec. a. C. 37 (fig. 10).<br />

Al margine settentrionale <strong>del</strong><br />

lotto, infine, risaltava isolata l’unica<br />

tomba ad incinerazione in pozzetto<br />

(T. 111) che chiude il gruppo di<br />

tombe e, forse, l’intera area di<br />

necropoli su questo versante.<br />

Nel settore termovalorizzatore sono<br />

state individuate altre 15 tombe (14 a<br />

inumazione e una ad incinerazione),<br />

aggregate intorno all’area monumentale<br />

<strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo che, evidentemente,<br />

continuava a marcare il territorio<br />

perifluviale, essendo avvertita<br />

come un segno particolarmente<br />

significativo nella demarcazione <strong>del</strong><br />

paesaggio (fig. 11).<br />

Le sepolture erano collocate sia<br />

all’interno <strong>del</strong> canale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong><br />

Bronzo sia lungo le sponde e in corrispondenza<br />

<strong>del</strong>l’area <strong>del</strong> crollo <strong>del</strong>le


Fig. 11 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Termovalorizzatore. Planimetria<br />

necropoli Età <strong>del</strong> ferro/Orientalizzante Antico.<br />

Fig. 12 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. A) La T. 125 in corso di scavo; B)<br />

Particolare <strong>del</strong>l’olla di corredo in corso di scavo; C) L’olla d’impasto – US 222.1; D)<br />

Panoramica <strong>del</strong>l’area <strong>del</strong> tumulo (?) da Nord-Ovest.<br />

strutture circolari, che è in parte rimaneggiato quasi a<br />

costituire un sorta di tumulo.<br />

Anche in quest’area le tombe, orientate generalmente<br />

Nord-Est/Sud-Ovest 38 , erano in gran parte<br />

caratterizzate dalla copertura e, talora, anche dalla<br />

fodera in ciottoli, ma, a differenza <strong>del</strong> settore viabilità, le<br />

fosse erano di dimensioni più ridotte, per contenere<br />

esclusivamente il cadavere e tendevano ad associarsi in<br />

coppia 39 . Un’altra significativa differenza rispetto al set-<br />

SALTERNUM<br />

- 152 -<br />

tore viabilità è costituita dalla composizione <strong>del</strong> corredo,<br />

caratterizzato prevalentemente dal solo ricorso<br />

degli oggetti di ornamento personale (fibule, collane<br />

con vaghi in ambra, orecchini) 40 . In questo settore<br />

significativa è la coppia costituita dalle TT. 127 e 125,<br />

disposta al centro <strong>del</strong> letto <strong>del</strong> canale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong><br />

Bronzo.<br />

La T. 127 si colloca al centro di una sorta di tumulo,<br />

realizzato nella zona tra le TT. 127, 125 e 117 rimaneggiando<br />

il crollo <strong>del</strong>le strutture monumentali<br />

<strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo: il carattere intenzionale <strong>del</strong>la<br />

sistemazione è comprovata dalla deposizione di un’olla<br />

d’impasto, probabile spia di un rituale effettuato in<br />

rapporto all’apprestamento (fig. 12). La T 127 presenta<br />

inoltre una struttura tombale complessa, con l’uso<br />

di ciottoli di notevoli dimensioni sia nella copertura in<br />

terra e scaglie tufacee sia lungo i bordi. Al suo interno<br />

era deposto un adulto di genere femminile con il<br />

capo a Nord-Ovest, accompagnato da un ricco servizio<br />

ceramico disposto lungo il fianco destro: un’anfora<br />

41 , uno sco<strong>del</strong>lone, una coppa biansata 42 e un’olla di<br />

impasto, cui si aggiunge, deposta presso il lato sinistro<br />

<strong>del</strong> capo, una coppa di argilla con decorazione geometrica<br />

di produzione indigena 43 . La defunta, adorna di<br />

una ricca parure composta da fibule ad arco rivestito e<br />

orecchini con pendagli in ambra, indossava una veste<br />

ricoperta da centinaia di cuppelle e anellini in bronzo<br />

(fig. 13).<br />

La T. 125 è un bustum, <strong>del</strong>imitato da contorni di<br />

concotto e legno combusto (fig. 12). La fossa in cui è<br />

ricavata la sepoltura è orientata Nord-Est/Sud-Ovest.<br />

Nella metà settentrionale sono state rinvenute un’olla<br />

di impasto e una fusaiola a sezione piano-convessa<br />

con contorno poligonale. Nella metà meridionale,<br />

invece, sono state trovate concentrazioni di ossa combuste.<br />

In base ai dati recuperati nel corso <strong>del</strong>lo scavo di<br />

questi due settori di necropoli è possibile <strong>del</strong>ineare<br />

alcune riflessioni.<br />

L’avvio di entrambi i sepolcreti è da collocare nell’ambito<br />

<strong>del</strong>la II Fase di Pontecagnano, intorno alla<br />

metà <strong>del</strong>l’VIII sec. a. C.: indicative sono le fibule a sanguisuga<br />

a staffa simmetrica (T. 120) o breve e quelle ad<br />

arco serpeggiante con molla e ardiglione bifido, rinvenute,<br />

nel caso <strong>del</strong>la T. 110, in associazione con un<br />

attingitoio, una tazza d’impasto e due brocche di argilla<br />

con decorazione lineare; ad esse si aggiungono quel-


le di tipo siciliano <strong>del</strong>la T. 130 che presentava anche tre<br />

fibule a quattro spirali in bronzo, che potrebbero essere<br />

anche un po’ più antiche, dal momento che la sepoltura<br />

risultava tagliata da una tomba (T. 129) con fibula<br />

ad arco serpeggiante <strong>del</strong> tipo con piegatura a gomito<br />

<strong>del</strong>la fase II di Pontecagnano (fig. 14) 44 . Allo stesso<br />

momento in cui nasce il sepolcreto può essere attribuita<br />

l’incinerazione in calderone di bronzo (T. 111)<br />

che richiama mo<strong>del</strong>li di ascendenza euboica, sia pure<br />

filtrati attraverso la mediazione indigena, evidente<br />

nella composizione <strong>del</strong> corredo.<br />

Entrambi i sepolcreti sembrano esaurirsi entro l’inizio<br />

<strong>del</strong>l’Orientalizzante, prima <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong>l’VIII<br />

sec. a. C.: indicative di quest’ultima fase sono nel nucleo<br />

viabilità la T. 114, e in quello termovalorizzatore la T. 127.<br />

Mentre dal punto di vista <strong>del</strong>la distribuzione topografica<br />

la necropoli nel settore viabilità sembra essere l’estensione<br />

di quella rinvenuta dagli scavi per il metanodotto<br />

e intercettata più a monte, le sepolture rinvenute<br />

nell’area <strong>del</strong> termovalorizzatore sembrano distinte dal<br />

settore principale <strong>del</strong>la necropoli e sono disposte in<br />

rapporto al canale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo, valorizzandone<br />

probabilmente la funzione di marca <strong>del</strong> paesaggio.<br />

La distribuzione <strong>del</strong>le necropoli tra Età <strong>del</strong> Ferro<br />

e Orientalizzante antico intorno alle pendici <strong>del</strong>le colline<br />

di Monte Vetrano sembra indicarlo come l’area<br />

destinata all’abitato, di cui resta, però, ancora difficile<br />

precisare l’articolazione topografica: sicuramente il<br />

colle ha svolto un ruolo significativo nell’organizzazione<br />

<strong>del</strong>l’insediamento, ma non è escluso che questo<br />

potesse anche distribuirsi lungo le pendici in più<br />

nuclei, due dei quali, per la conformazione morfologica<br />

favorevole, potrebbero identificarsi, a Sud, sulla<br />

piccola altura tra loc. Fontanella e Torre dei Rossi e, a<br />

Nord, su quella ad Ovest di Porte di Ferro 45 .<br />

Attraverso la composizione dei corredi, la comunità<br />

di Monte Vetrano si configura come una compagine<br />

di carattere aperto, con elementi che richiamano<br />

l’entroterra picentino permeato <strong>del</strong>la cultura di<br />

Oliveto Citra - Cairano 46 , la Valle <strong>del</strong> Sarno e la piana<br />

campana, ma di cui è soprattutto evidente l’apertura<br />

verso una componente emporica greca e orientale 47 .<br />

Questa dimensione culturale complessa matura mentre<br />

contemporaneamente il vicino insediamento villanoviano<br />

di Pontecagnano si avvia ad assumere un<br />

ruolo centrale nella gestione degli scambi lungo la<br />

rotta costiera verso l’Etruria e con il mondo greco,<br />

attraverso il punto di approdo costituito dalla laguna<br />

AMEDEO ROSSI<br />

- 153 -<br />

<strong>del</strong> Lago Piccolo, dove si sviluppa il centro di loc.<br />

Masseria Casella 48 . I tratti culturali emersi nella necropoli<br />

di Monte Vetrano, sebbene più complessi ed aperti,<br />

paiono condivisi anche in altre realtà coeve<br />

<strong>del</strong>l’Agro Picentino e <strong>del</strong>la Piana <strong>del</strong> Sele e sembrano<br />

accomunarla a quel sistema di approdi presente lungo<br />

la fascia costiera tra il Sele e la foce <strong>del</strong> Picentino 49 .<br />

Fig. 13 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. A) La T. 127 in corso di scavo; B-C)<br />

alcuni ornamenti. D-F): alcuni oggetti <strong>del</strong> corredo vascolare; [D) anfora d’impasto; E)<br />

coppa di impasto; F) coppa con dec. geometrica].<br />

Fig. 14 - Salerno. Monte<br />

Vetrano. Trincea 17.<br />

A) La T. 129 in corso di<br />

scavo e fibula ad arco<br />

serpeggiante.<br />

B) Fibule a quattro spirali,<br />

in bronzo, dalla T. 130.<br />

(A)


Fig. 15 - Salerno. Monte Vetrano. Reperti dal Saggio 4, U.S. 22.<br />

Fig. 16 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 13. Bacile in bronzo <strong>del</strong>la T. 102.<br />

Si potrebbe, allora, supporre che Monte Vetrano<br />

abbia assunto una funzione simmetrica in rapporto<br />

allo snodo strategico costituito dal Picentino 50 . Non è<br />

escluso che il fiume fosse navigabile fino alla piana di<br />

Sardone, nei pressi <strong>del</strong>l’insediamento di Monte<br />

Vetrano, suggerendo la possibilità di attribuire ad esso<br />

un ruolo emporico per le comunità indigene <strong>del</strong>la valle<br />

<strong>del</strong> Picentino. Rafforza questa ipotesi il fatto che l’insediamento<br />

si esaurisca all’inizio <strong>del</strong>l’Orientalizzante<br />

nel momento in cui Pontecagnano consolida la propria<br />

struttura urbana e politica, capace di assorbire,<br />

integrandoli, elementi allogeni, attratti alle sue porte<br />

nel corso <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Ferro 51 .<br />

Tra il VI e il V sec. a. C.<br />

Dopo gli inizi <strong>del</strong> VII sec. a. C. mancano attestazioni<br />

nell’area indagata; una limitata testimonianza di<br />

occupazione si ha solo dal V sec. a. C. con la scoperta<br />

nella zona <strong>del</strong>la necropoli <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Ferro nel settore<br />

viabilità di tombe a fossa terragna dotate di un orientamento<br />

Nord-Ovest/Sud-Est, divergente da gran parte<br />

di quello <strong>del</strong>le sepolture più antiche, e ugualmente<br />

sconvolte dalle più recenti arature. Presso una di queste<br />

sono state recuperate una coppa a vernice nera di<br />

produzione campana, databile nella prima metà <strong>del</strong> V<br />

SALTERNUM<br />

- 154 -<br />

sec. a. C. e una olpetta parzialmente<br />

verniciata (fig. 15) 52 . Il dato<br />

risulta significativo dal momento<br />

che le tombe costituiscono finora<br />

l’unica testimonianza di Età<br />

tardo-arcaica e, forse, potrebbero<br />

essere indizio <strong>del</strong>la presenza di<br />

un piccolo insediamento, probabilmente<br />

a vocazione agricola.<br />

Forse allo stesso orizzonte<br />

cronologico può essere riferito<br />

un canale naturale individuato nel<br />

settore termovalorizzatore al di sotto<br />

di un battuto stradale di età<br />

romana (trincea 14). Esso presentava<br />

un corso sinuoso secondo la<br />

pendenza naturale verso il<br />

Picentino ed era riempito da<br />

apporti alluvionali ricchi di ghiaie<br />

e di materiale archeologico,<br />

soprattutto frammenti di impasto.<br />

Allo stato attuale <strong>del</strong>la ricerca,<br />

la presenza di alcuni reperti a<br />

vernice nera potrebbe datare l’obliterazione <strong>del</strong> canale<br />

ad Età storica, tra il VI e il V sec. a. C.<br />

Un ulteriore elemento <strong>del</strong> paesaggio d’Età storica<br />

sembra essere documentato da una strada rinvenuta<br />

nella trincea 13 all’estremità meridionale <strong>del</strong> settore viabilità:<br />

orientata in direzione Nord/Sud, di essa si conservavano<br />

solo le tracce dei carriaggi all’interno di un<br />

ampio avvallamento naturale, in un paleosuolo impostatosi<br />

sull’eruzione preistorica cd. ‘di Mercato’.<br />

Dell’impianto non è possibile proporre una puntuale<br />

datazione in assenza di elementi archeologici diagnostici,<br />

ma essa risulta obliterata da un terreno alluvionale<br />

formatosi agli inizi <strong>del</strong> IV sec. a. C. e tagliata da un<br />

paleoalveo orientato Est/Ovest databile alla fine <strong>del</strong><br />

VI sec. a. C. - inizi <strong>del</strong> V sec. a. C.<br />

Tra la seconda metà <strong>del</strong> IV e la prima metà <strong>del</strong> III sec. a. C.<br />

In questa fase l’occupazione è documentata sia nel<br />

settore termovalorizzatore sia all’estremità meridionale <strong>del</strong><br />

settore viabilità (saggio e trincea 13).<br />

In quest’ultima area sono state scoperte 3 sepolture<br />

in cassa di tufo grigio, scavate in uno strato alluvionale<br />

precedente all’inizio <strong>del</strong> IV sec. a. C. 53 . Le tombe, con<br />

orientamento Est/Ovest, erano collocate in prossimità<br />

<strong>del</strong>l’attuale percorso stradale <strong>del</strong>la SP n. 25, lungo il


quale sembrano allinearsi: il tracciato stradale attuale<br />

sembra quindi ricalcare un percorso più antico che,<br />

almeno in questo tratto, potrebbe risalire ad un<br />

momento precedente l’Età medievale.<br />

La tomba più meridionale (T. 101), a cassa, si presentava<br />

coperta da un livello di terreno compatto caratterizzato<br />

da pezzame di tufelli. La sepoltura era dotata<br />

di una copertura di tegole a doppio spiovente con una<br />

cassa di tegole piane; all’interno è stato rinvenuto uno<br />

scheletro in posizione supina, con il capo ad Est. Il corredo,<br />

databile nella seconda metà <strong>del</strong> IV sec. a. C., ha<br />

restituito un vaso in bronzo posto ai piedi, cinque fibule<br />

di bronzo distribuite sulle spalle 54 , e due anellini di<br />

bronzo, di cui uno rinvenuto alla mano sinistra.<br />

Immediatamente a Nord si situava la T. 102, a semicamera<br />

con banchina funebre lungo il lato lungo settentrionale<br />

55 . La tomba era composta da un’unica camera<br />

rettangolare priva di aperture laterali, costruita in opera<br />

pseudo-quadrata di grossi blocchi di tufo grigio disposti<br />

a secco (largh. m 1,77; lungh. m 2,00). I lati lunghi<br />

erano sormontati da una cornice modanata 56 ; quelli<br />

brevi accoglievano due timpani triangolari su cui<br />

appoggiava la copertura a doppio spiovente, formata da<br />

tre coppie di lastroni. La copertura era, a sua volta, <strong>del</strong>imitata<br />

da 4 pilastri, ugualmente in tufo, collocati agli<br />

angoli che dovevano probabilmente sorreggere una<br />

sorta di edicola realizzata in materiale deperibile.<br />

All’esterno <strong>del</strong> lato breve occidentale una sorta di dromos<br />

gradinato, verosimilmente da connettere alla<br />

costruzione <strong>del</strong>la struttura tombale.<br />

All’interno <strong>del</strong>la camera e addossata alla parete<br />

nord era una banchina funebre realizzata in blocchi di<br />

tufo posti di coltello, che contenevano un riempimento<br />

in scaglie di tufo e terra battuta. Il piano pavimentale<br />

<strong>del</strong>la camera sepolcrale era in terreno battuto.<br />

Su di essa era deposto uno scheletro di adulto in<br />

posizione supina con il capo ad Est. Il defunto indossava<br />

un cinturone con ganci dal corpo a cicala e recava<br />

un secondo cinturone disteso lungo il fianco<br />

destro 57 . Nell’angolo sud-est <strong>del</strong>la camera si trovava in<br />

posizione verticale un fascio di sei spiedi in ferro,<br />

chiuso da tre fascette <strong>del</strong>lo stesso materiale, lunghi<br />

circa cm 107 58 . Nello spazio tra la banchina e la parete<br />

meridionale è stato recuperato un bacile biansato su<br />

piede in bronzo (fig. 16) 59 , al di sotto <strong>del</strong> quale era una<br />

punta di lancia in ferro 60 ; all’interno <strong>del</strong> bacile, infine,<br />

era collocato un coltello di ferro 61 . La sepoltura, sebbene<br />

non abbia materiali diagnostici dirimenti, in base<br />

AMEDEO ROSSI<br />

- 155 -<br />

alla presenza degli oggetti in bronzo e all’architettura<br />

funeraria può essere situata in un orizzonte cronologico<br />

che si colloca nel terzo quarto <strong>del</strong> IV sec. a. C.<br />

Immediatamente a Nord <strong>del</strong>la T. 102, ed appartenente<br />

allo stesso orizzonte cronologico, era la tomba a<br />

cassa 103 (fig. 17), anch’essa ricoperta da una sorta di<br />

tumulo realizzato in terra mista a tufelli e <strong>del</strong>imitato<br />

sul lato nord-ovest da un recinto composto da lastre e<br />

blocchi di tufo disposti e semicerchio ed infissi nel terreno.<br />

La sepoltura presentava una copertura a doppio<br />

spiovente di lastre di tufo, appoggiate a frontoncini<br />

con incisioni regolari a <strong>del</strong>imitare il timpano. La cassa<br />

era composta da tre lastre di tufo sui lati lunghi; all’interno<br />

era uno scheletro di adulto in posizione supina,<br />

con il capo collocato ad Est su un cuscino composto<br />

da una lastra di tufo grigio. Nel corredo, situato ai<br />

piedi presso l’angolo nord-ovest <strong>del</strong>la cassa, figurano<br />

Fig. 17 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 13. A) Recinto esterno alla T. 103;<br />

B) La T. 103: interno <strong>del</strong>la sepoltura; C) Corredo; D) Fibula in argento.<br />

Fig. 18 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Area cultuale di III sec. a. C..


due lebetes gamikoi a figure rosse, una pisside biansata a<br />

vernice nera, una lekythos ed un coltello in ferro 62 ;<br />

come oggetto di ornamento personale il defunto recava<br />

una fibula di argento alla spalla sinistra 63 .<br />

Le tre tombe devono connettersi ad una fattoria da<br />

ubicare nelle immediate vicinanze, nella fascia pianeggiante<br />

alle pendici <strong>del</strong> colle; al tempo stesso, esse<br />

segnalano la prossimità di un tracciato stradale, la cui<br />

fase romana è stata forse intercettata, come si vedrà,<br />

nel settore termovalorizzatore.<br />

In quest’ultima area la frequentazione torna a concentrarsi<br />

intorno all’area monumentale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo<br />

che, molti secoli dopo la fine <strong>del</strong>l’Orientalizzante antico,<br />

è nuovamente rioccupata.<br />

In un orizzonte cronologico compreso tra la fine<br />

<strong>del</strong> IV e la prima metà <strong>del</strong> III sec. a. C., l’area <strong>del</strong> canale<br />

marcata dai cippi, evidentemente in parte ancora<br />

visibili, è interessata da un’attività di carattere cultuale.<br />

Si riconoscono alcuni apprestamenti di carattere rituale<br />

(QQ E2, E3, F2, F3, G3 e G4), tra cui, in particolare,<br />

una piattaforma di forma sub-circolare (m 1.75 x<br />

1.50) costituita da ciottoli fluviali di dimensioni<br />

medio-grandi (U.S. 213), con un incasso quadrangolare<br />

al centro, realizzato per l’alloggiamento di un elemento<br />

in materiale deperibile o di un elemento lapideo<br />

spoliato (fig. 18). In tale apprestamento si potrebbe<br />

riconoscere la fondazione di un altare o un cippo:<br />

nel corso <strong>del</strong> suo smontaggio sono stati recuperati<br />

frammenti laterizi e ceramici, tra cui orli di situla e di<br />

pithos e un fondo di unguentario.<br />

Ad Est di questa struttura (QQ E2, E3, F2, e F3)<br />

si sviluppava una canaletta orientata Nord/Sud che<br />

SALTERNUM<br />

Fig. 19 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Alcuni materiali dall’area di culto di III sec. a. C.; A) Fondi capovolti; B)<br />

Fondi rotti intenzionalmente; C) Piattello a vernice nera; D) Pesetti da telaio.<br />

- 156 -<br />

confluiva in un’area dove è stata<br />

rinvenuta una sistemazione di<br />

due tegole poste di piatto.<br />

Intorno alle tegole era deposta<br />

una grossa quantità di frammenti<br />

ceramici e alcuni vasi quasi integri,<br />

fra cui una coppa a vernice<br />

nera 64 , un’olla, una situla, un’oinochoe,<br />

un piattello su piede a vernice<br />

nera 65 e alcuni pesi da telaio<br />

(fig. 19). Alcuni di questi vasi, di<br />

cui è stato rinvenuto solo il<br />

fondo, erano stati intenzionalmente<br />

collocati in posizione<br />

capovolta, secondo una modalità<br />

rituale tipica dei culti di carattere<br />

ctonio.<br />

L’insieme canaletta/base di tegole si configura<br />

come un apprestamento connesso, con ogni probabilità,<br />

a riti di carattere lustrale realizzati in rapporto alla<br />

struttura monumentale di età preistorica di cui, ancora<br />

una volta, è rifunzionalizzata l’emergenza nel paesaggio<br />

perifluviale.<br />

Età romana<br />

La documentazione di Età romana è concentrata<br />

nel versante meridionale <strong>del</strong> settore termovalorizzatore<br />

(Trincee 14 e 15).<br />

E’ stato rinvenuto, per un’estensione di circa 30 m,<br />

un asse stradale in terra battuta orientato Nord/Nord-<br />

Est – Sud/Sud-Ovest in funzione dopo l’eruzione di<br />

Pompei <strong>del</strong> 79 d. C.. L’asse stradale presenta una larghezza<br />

di m 3.80 ca. e sembra costituire un importante<br />

percorso che mette in comunicazione l’area costiera<br />

con l’interno (fig. 20).<br />

Lo scavo 66 ha consentito di datare l’impianto dopo<br />

la fine <strong>del</strong> I sec. d. C. e ha messo in evidenza una successiva<br />

traslazione a monte verso la carreggiata ancora<br />

in uso <strong>del</strong>la Strada Provinciale n. 25 ricordata anche nei<br />

documenti medievali come la via qui pergit ad Iufuni 67 .<br />

Nelle trincee 14 e 15 la strada è stata indagata<br />

mediante due saggi in profondità. Nella trincea 14<br />

sono stati identificati almeno 5 livelli di uso sovrapposti<br />

su uno strato alluvionale ricco dei prodotti rimaneggiati<br />

<strong>del</strong>l’eruzione di Pompei: al di sotto si è messo<br />

in luce un potente strato di pomici che colma il canale<br />

naturale in uso da Età Pre/Protostorica, forse obliterato<br />

nel corso <strong>del</strong> VI-V sec..


Nella trincea 15 l’asse stradale<br />

si presenta come un battuto di terreno<br />

limo-argilloso con molte<br />

pomici rimaneggiate riconducibili<br />

all’eruzione di Pompei <strong>del</strong> 79 d. C.<br />

Il tracciato stradale non è stato<br />

ulteriormente intercettato nello<br />

scavo <strong>del</strong>le trincee 16 e 19, poste<br />

immediatamente a Nord-Ovest<br />

<strong>del</strong>la trincea 15. Ciò significa che<br />

la strada doveva piegare ad Est e<br />

costeggiare il fiume Picentino,<br />

che in antico scorreva a ridosso<br />

<strong>del</strong> terrazzo fluviale oggetto di<br />

indagine.<br />

Sull’opposto versante meridionale il percorso<br />

stradale sembra raccordarsi all’attuale tracciato <strong>del</strong>la<br />

SP n. 25: questa, come già ricordato, costituisce la<br />

sopravvivenza di un tracciato antico lungo il quale si<br />

disponevano le tombe <strong>del</strong>la seconda metà <strong>del</strong> IV sec.<br />

a. C.<br />

Gli effetti <strong>del</strong>l’eruzione vesuviana si colgono<br />

anche nella zona settentrionale <strong>del</strong> settore termovalorizzatore:<br />

l’area <strong>del</strong> complesso monumentale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong><br />

Bronzo è in gran parte ricoperta da un potente strato<br />

alluvionale ricco di pomici che determina un cambiamento<br />

sostanziale <strong>del</strong>le pendenze naturali, restituendo<br />

una superficie topografica quasi piana.<br />

Continuano ancora ad affiorare, tuttavia, le cime dei<br />

livelli di crollo <strong>del</strong>la grande struttura preistorica che<br />

sarà riutilizzata anche in Età post-antica.<br />

AMEDEO ROSSI<br />

Fig. 20 - Salerno. Monte Vetrano. La strada extraurbana di età romana: ubicazione <strong>del</strong>le Trincee 14 e 15; foto <strong>del</strong>la strada<br />

rinvenuta nella Trincea 14.<br />

- 157 -<br />

Età medievale<br />

Tracce di frequentazione post-antica sono state<br />

recuperate in entrambi i settori viabilità e termovalorizzatore.<br />

Per quanto esili e gravemente danneggiate dai<br />

lavori agricoli, esse costituiscono un indizio importante<br />

<strong>del</strong>la ripresa <strong>del</strong>la funzione insediativa <strong>del</strong> colle e<br />

<strong>del</strong>la zona bassa <strong>del</strong> fiume, <strong>del</strong> resto più concretamente<br />

documentata dal castello sulla cima di Monte<br />

Vetrano.<br />

Nel settore viabilità sono stati messi in luce due pozzi<br />

(Saggio 3 e Trincea 5), connessi all’occupazione agricola<br />

dei versanti.<br />

Nel settore termovalorizzatore è documentato un riutilizzo<br />

agricolo <strong>del</strong>la cavità ipogeica (Unità B) <strong>del</strong> complesso<br />

monumentale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo Medio. Ad<br />

esso si aggiunge la scoperta di una fornace in fossa di<br />

Età altomedievale, che ha restituito frammenti di<br />

brocchette di ceramica da fuoco e di recipienti decorati<br />

a bande rosse.


Note<br />

1 I risultati che qui si presentano hanno ancora<br />

una veste preliminare e costituiscono il<br />

frutto <strong>del</strong> lavoro comune di un’équipe di<br />

archeologi professionisti guidati dal prof.<br />

Cerchiai, che ringrazio per il complesso lavoro<br />

svolto. Ringrazio inoltre la dott.ssa M. L.<br />

Nava, già Soprintendente Archeologo, per la<br />

consueta liberalità avuta durante lo scavo e lo<br />

studio; per il restauro dei materiali di scavo<br />

il sig. R. Basso <strong>del</strong> laboratorio di Restauro <strong>del</strong><br />

Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale <strong>del</strong>l’Agro<br />

Picentino di Pontecagnano (SA) e la<br />

Direttrice, dott.ssa A. Iacoe, per la costante<br />

disponibilità dimostrata durante le fasi di<br />

studio.<br />

Il testo è una versione ridotta di quello presentato<br />

in occasione <strong>del</strong>l’Incontro di Studio<br />

Archeologia preventiva. Esperienze a confronto,<br />

organizzato dalla Soprintendenza ai Beni<br />

Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento<br />

e Caserta, tenutosi il 3 Luglio 2009 presso il<br />

Palazzo di Città <strong>del</strong> Comune di Salerno (Cfr.<br />

CERCHIAI –ROSSI -SANTORIELLO cds).<br />

2 Lo scavo ha dovuto tenere conto, inoltre,<br />

di un cavo sotterraneo per la conduzione di<br />

energia elettrica situato lungo il bordo<br />

orientale <strong>del</strong>l’area terrazzata. Il cavo è stato<br />

individuato nell’allargamento <strong>del</strong>la sponda<br />

orientale <strong>del</strong>la trincea 5.<br />

3 Le trincee avevano una dimensione standard<br />

di m 6 × 20 orientate secondo le indicazioni<br />

emerse dall’analisi preventiva e in<br />

base alle indagini geofisiche condotte dalla<br />

dott.ssa M. G. Soldovieri. La trincea 18 è<br />

stata programmata in fase progettuale e<br />

non eseguita perché non necessaria ai fini<br />

<strong>del</strong>la determinazione <strong>del</strong>le aree a rischio<br />

archeologico.<br />

4 CERCHIAI – ROSSI - SANTORIELLO cds.<br />

5 In particolare su questo terrazzo, in seguito<br />

ai risultati emersi dallo scavo preventivo<br />

<strong>del</strong>la trincea 17, ubicata al margine settentrionale<br />

<strong>del</strong> terrazzo perifluviale, si è provveduto<br />

ad ampliare lo scavo, secondo le<br />

disposizioni impartite dalla Soprintendenza<br />

Archeologica e le indicazioni <strong>del</strong>la D. L.,<br />

investendo una superficie di m 30 x 20.<br />

6 Il presente contributo raccoglie un presentazione<br />

preliminare dei dati di scavo che dovrà<br />

essere necessariamente integrato da uno studio<br />

filologico, ancora in corso, dei materiali<br />

archeologici e <strong>del</strong> loro contesto stratigrafico.<br />

7 Nella fase iniziale lo scavo ha interessato il<br />

saggio 4 (m 8 x 10) e la trincea 4 (m 18 x<br />

12), successivamente le evidenze archeolo-<br />

SALTERNUM<br />

giche hanno imposto un ampliamento che<br />

ha interessato l’intera area oggetto <strong>del</strong>le<br />

costruzione <strong>del</strong>la strada. Lo scavo stratigrafico<br />

<strong>del</strong>l’area insediativa <strong>del</strong> Neolitico è<br />

avvenuto all’interno di una quadrettatura di<br />

m 2 x 2 e i rinvenimenti sono stati etichettati<br />

in base al numero di US e al quadrato di<br />

appartenenza, identificato da un numero<br />

arabo e da una lettera. Lo scavo è stato<br />

curato, oltre che da chi scrive, da L.<br />

Mirabella.<br />

8 Lo scavo non ha potuto interessare l’intera<br />

estensione <strong>del</strong>l’evidenza archeologica,<br />

sviluppata ad Ovest oltre i limiti <strong>del</strong>l’area<br />

oggetto di esproprio.<br />

9 Le dimensioni si riferiscono alla parte<br />

messa in luce e dunque non comprendono<br />

l’intera estensione <strong>del</strong>la struttura.<br />

10 Su alcuni frammenti di legno carbonizzato<br />

provenienti da US 208 (forno) sono state<br />

svolte misure al Radiocarbonio che hanno<br />

proposto una data coerente con le evidenze<br />

stratigrafiche; i dati sono ancora in corso di<br />

studio. Le misure sono state effettuate<br />

mediante tecnica AMS presso il laboratorio<br />

CIRCE – Innova - Dipartimento di Scienze<br />

Ambientali <strong>del</strong>la II Università di Napoli. Si<br />

ringrazia il dott. C. Lubritto per le notizie in<br />

anteprima.<br />

11 La testina fittile (h cm 4,3; larg. max cm<br />

3,7) non trova confronti precisi e sembra<br />

assimilabile ad esemplari <strong>del</strong>la coroplastica<br />

muliebre individuati nella stessa facies culturale<br />

a Cala Scizzo e a Grotta Pacelli in provincia<br />

di Bari (GENIOLA –TUNZI 1982, pp.<br />

125-146; STRICCOLI 1988); un confronto<br />

più puntuale si può instaurare con una statuina<br />

fittile rinvenuta a Baselice (BN): essa<br />

appartiene ad un contesto <strong>del</strong> Neolitico<br />

medio-finale ed ha un prospetto <strong>del</strong>la testa<br />

molto simile a quello di Monte Vetrano, con<br />

un copricapo ad alto ‘polos’ segnato da tratti<br />

verticali su volto realizzato a ‘T’ privo di<br />

segni per la fessura <strong>del</strong>la bocca (LANGELLA<br />

et Alii 2003, pp. 259-336, in particolare pp.<br />

281-282). Il nostro esemplare resta, tuttavia,<br />

singolare per la resa stilistica particolarmente<br />

realistica e tridimensionale.<br />

12 Lo scavo è stato condotto in un saggio<br />

(saggio 2) dalle dimensioni di m 10 x 8 in un<br />

approfondimento di limitate dimensioni (m<br />

2,50 x 7).<br />

13 Sull’occupazione agricola durante il<br />

Neolitico in Campania cfr. NAVA et Alii<br />

2007, pp. 100-126. Sul tipo <strong>del</strong>le arature<br />

- 158 -<br />

incrociate cfr. MARZOCCHELLA 1998, pp.<br />

97-133; pp. 112-113, figg. 14-15. Nell’area<br />

salernitana, in loc. Fuorni sono attestate<br />

arature incrociate per la fase Eneolitica (DI<br />

MAIO et Alii 2003, p. 484, fig. 6).<br />

14 L’identificazione autoptica <strong>del</strong> tephra è<br />

stata effettuata da R. Isaia, vulcanologo<br />

<strong>del</strong>l’INGV e da V. Amato, geomorfologo<br />

<strong>del</strong>l’Università <strong>del</strong> Molise.<br />

15 Tracce di insediamenti di questa fase sembrano<br />

interessare gran parte <strong>del</strong>l’Agro<br />

Picentino e sono collocate a breve distanza<br />

tra loro. Questa disposizione degli insediamenti,<br />

piuttosto che documentare una<br />

intensa presenza demografica, attesta una<br />

sapiente ed organizzata opera di sfruttamento<br />

<strong>del</strong>le risorse naturali secondo cicli<br />

stagionali e pluriennali. Insediamenti stabili<br />

sono noti nella fascia costiera di Salerno tra<br />

i torrenti Mercatello e Mariconda e tra San<br />

Leonardo e il fiume Fuorni (sul sistema di<br />

popolamento nel Neolitico cfr. DI MAIO et<br />

Alii 2003, pp. 490-491; IANNELLI - DI MAIO<br />

- SPERANDEO 1998, pp. 206-209) e nella<br />

zona di Pontecagnano (AURINO, in<br />

PELLEGRINO – ROSSI cds).<br />

16 Tra i materiali diagnostici, un fr. di ansa ‘ad<br />

ascia’ d’impasto e i ffr. di una tazza carenata<br />

di impasto rientrano nei tipi attestati nella<br />

fase 2 <strong>del</strong> Protoappeninico B.<br />

17 Le analisi geochimiche sui vetri vulcanici,<br />

effettuate presso la Oxford University attraverso<br />

l’uso <strong>del</strong>la microsonda elettronica (V.<br />

Smith), hanno permesso di caratterizzare<br />

due livelli campionati rispettivamente nella<br />

trincea 5 e nel saggio 9. I risultati <strong>del</strong>le analisi<br />

hanno evidenziato che i due tephra hanno<br />

caratteristiche geochimiche differenti, indicando<br />

un’area di emissione dai vulcani <strong>del</strong><br />

Distretto Flegreo, in particolare Ischia e<br />

Campi Flegrei. Si può ritenere che il tephra<br />

prelevato nella trincea 5 sia di provenienza<br />

ischitana, mentre quello prelevato nel saggio<br />

9 sia di provenienza dai Campi Flegrei. Lo<br />

studio è in corso da parte <strong>del</strong> dott. R. Isaia<br />

(INGV – Osservatorio Vesuviano) che ringrazio<br />

per le notizie preliminari. Una coltre<br />

eruttiva è stata individuata anche in loc.<br />

Fontanella, a Sud-Ovest di Monte Vetrano,<br />

dove sembra ricoprire una paleosuperficie<br />

<strong>del</strong>le prime fasi <strong>del</strong> Bronzo Antico, (DI<br />

MAIO et Alii 2003, p. 491, n. 2).<br />

18 Lo scavo è stato coordinato sul campo da<br />

chi scrive con la collaborazione di M.<br />

Barone e N. Villani.


19 La metà occidentale <strong>del</strong>l’area di scavo e<br />

<strong>del</strong> terrazzo è stata investita da un profondo<br />

sbancamento - causato dalle continue<br />

attività agricole praticate per rendere pianeggiante<br />

il terrazzamento - che ha ampiamente<br />

compromesso l’intera stratigrafia<br />

archeologica, restituendo in superficie, al di<br />

sotto <strong>del</strong>l’humus, le argille precedenti<br />

all’Eruzione <strong>del</strong>l’Ignimbrite Campana.<br />

20 Il canale è stato indagato per una lunghezza<br />

di m 28 e una larghezza max di m 4,10.<br />

21 Molti dei blocchi rinvenuti, oltre ad avere<br />

una forma parallelepipedale, mostrano<br />

anche forme smussate e riconducibili a<br />

conci tronco-piramidali funzionali alla<br />

costruzione di strutture di forma circolare.<br />

22 Le modalità di collassamento <strong>del</strong>le strutture<br />

sembrano una sorta di mud-flow o crollo<br />

a ventaglio, cioè sembra che le strutture<br />

siano state scalzate dalle fondamenta, per<br />

poi scivolare nel canale.<br />

23 I materiali, ancora oggetto di studio, sono<br />

stati ritrovati soprattutto in alcuni settori, sia<br />

negli strati superficiali dei crolli sia presso le<br />

stele. Oltre a tazze carenate, olle, dolii e<br />

sostegni a clessidra ricostruibili in gran parte,<br />

non mancano consistenti tracce di frammenti<br />

di incannucciata riferibili ad intonaci parietali.<br />

Tra i materiali diagnostici si ricordano, a<br />

titolo di esempio, due tazze d’impasto (US<br />

372, rinvenuta presso una stele) <strong>del</strong> tipo<br />

Palma Campania (cfr. ALBORE LIVADIE et<br />

Alii 1996, fig. 4. 1b-2c), una tazza carenata<br />

(US 311b) d’impasto con alta ansa a nastro e<br />

con attacco sotto l’orlo (US 298.1 e US<br />

311a), (cfr. DAMIANI – PACCIARELLI –<br />

SALTINI 1984, pp. 1-38, fig. 3.1 e fig. 7.A).<br />

24 Lo scavo, ad eccezione <strong>del</strong> saggio nel<br />

QD3 non ha asportato l’intero crollo di<br />

blocchi che ancora riempie il canale che<br />

prosegue oltre l’attuale margine di scavo.<br />

25 Negli ultimi giorni di scavo è stato rinvenuto,<br />

alla base <strong>del</strong> crollo dei blocchi ed<br />

insieme ad una olla d’impasto, il cranio di<br />

un individuo adulto non in giacitura primaria,<br />

con altri resti ossei umani. Misure svolte<br />

al radiocarbonio su questi campioni<br />

hanno proposto una data coerente con le<br />

evidenze stratigrafiche; i dati sono ancora in<br />

corso di valutazione. Le misure sono state<br />

effettuate mediante tecnica AMS presso il<br />

laboratorio CIRCE – Innova -<br />

Dipartimento di Scienze Ambientali <strong>del</strong>la II<br />

Università di Napoli. Si ringrazia il dott. C.<br />

Lubritto per le anticipazioni.<br />

AMEDEO ROSSI<br />

26 La forma circolare e la struttura architettonica<br />

sembrano richiamare in modo suggestivo<br />

le torri nuragiche e le tholoi utilizzate per<br />

scopi funerari. Per l’età <strong>del</strong> Bronzo cfr.<br />

PERONI 1994, p. 52 e ss.; TOMASIELLO 1997.<br />

Per i nuraghi la bibliografia è vasta (si cita, a<br />

titolo di esempio, LILLIU 1962). Per il rapporto<br />

con il mondo nuragico di particolare interesse<br />

potrebbe essere la prospettiva storiografica<br />

legata ai ‘popoli <strong>del</strong>le torri’ in<br />

Campania meridionale, recentemente riconsiderata<br />

da G. Colonna (COLONNA 2002, pp.<br />

95-111). Si ricorda che forme e tipologie<br />

simili si riscontrano anche per le abitazioni<br />

(PERONI 1994, p. 46 ss.). Inoltre le strutture<br />

potrebbero anche riferirsi ad elementi e tratti<br />

di una fortificazione, come ad esempio nel<br />

caso dei resti di torri semicircolari <strong>del</strong>le fortificazioni<br />

di Villasmundo presso Siracusa e di<br />

Ustica (PERONI 1994, p. 40 ss.).<br />

27<br />

DI MAIO et Alii 2003.<br />

28 Pontecagnano II.6, pp. 119-120, su Eboli p.<br />

112, su Battipaglia p. 120, n. 10.<br />

29 Secondo il mo<strong>del</strong>lo messo a punto da M.<br />

Pacciarelli (PACCIARELLI 2000, p. 87) in<br />

questa fase si selezionano aree insediative<br />

che privilegiano grossi insediamenti difesi<br />

naturalmente o che si dotano di opere<br />

difensive consistenti.<br />

30 Cfr. Pontecagnano II. 6, p. 119-120; AURINO<br />

2004-2005.<br />

31 Risulta non databile nel lotto esaminato la<br />

T. 105, a fossa terragna con scheletro di<br />

adulto supino orientato Est/Ovest. La<br />

sepoltura potrebbe essere più tarda e collocarsi<br />

nella prima metà V sec. a. C., come<br />

attestato da una sepoltura simile rinvenuta<br />

nell’area sconvolta dalle arature, che presentava<br />

medesime caratteristiche deposizionali<br />

e corredo composto da un cup-skyphos a vernice<br />

nera e olpetta parzialmente verniciata.<br />

Lo scavo <strong>del</strong>le sepolture è stato curato da C.<br />

Regis e N. Villani. Ringrazio l’amico e collega<br />

C. Pellegrino, con il quale mi sono confrontato<br />

per la datazione dei corredi e l’inquadramento<br />

culturale.<br />

32 Su Monte Vetrano e le sue necropoli cfr.<br />

TOCCO 2000, pp. 665-666; Pontecagnano. II.6,<br />

pp. 95-97; IANNELLI 2004, pp. 33-40;<br />

GILIBERTO 2004, pp. 41-46. Sullo scavo<br />

<strong>del</strong>la necropoli lungo il tracciato <strong>del</strong> metanodotto<br />

cfr. CERCHIAI-NAVA 2008-2009,<br />

pp. 97-104.<br />

33<br />

CERCHIAI - NAVA 2008-2009, pp. 97-104.<br />

34 Lo scavo, interrotto per motivi di sicurez-<br />

- 159 -<br />

za, ha interessato solo un tratto <strong>del</strong> muretto<br />

in ciottoli da dove è stata recuperata una<br />

punta di lancia in ferro deposta nella fossa<br />

di fondazione.<br />

35 Fanno eccezione la T. 105 a fossa terragna,<br />

probabilmente più recente, la T. 111 ad<br />

incinerazione, e la T. 106, dove il piano di<br />

deposizione è in terra.<br />

36 La T. 104 sembra essere isolata dalle altre<br />

due (TT. 108-109). Per la T. 109 non è possibile<br />

determinare il sesso <strong>del</strong> defunto, in<br />

quanto privo di elementi di corredo distinguibili<br />

la marca di genere.<br />

37 CERCHIAI- NAVA 2008-2009, pp. 97-104.<br />

38 Sono orientate Nord-Ovest/Sud-Est le<br />

TT. 116 e 127. L’orientamento <strong>del</strong>le sepolture<br />

risulta simile a quello riscontrato nel<br />

settore <strong>del</strong>la necropoli di Monte Vetrano<br />

indagato in loc. Fontanella (IANNELLI 2004,<br />

p. 35, fig. 39).<br />

39 Non poche sono le tombe in semplice<br />

fossa con pochi ciottoli fluviali a segnalarne<br />

la presenza: TT. 124, 127, 128, 130 e la T.<br />

125 ad incinerazione in fossa rettangolare.<br />

40 Fanno eccezione la T. 117 e la T. 127,<br />

dove sono presenti oggetti in ceramica.<br />

41 D’AGOSTINO 1968, tipo 41.<br />

42 La coppa sembra una imitazione locale<br />

che presuppone come mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>le coppe<br />

tipo Thapsos.<br />

43 La coppa, con coppia di fori per sospensione<br />

sul bordo e priva di anse, presenta<br />

una decorazione lineare dipinta in bruno<br />

scuro: sul ventre <strong>del</strong> vaso un motivo caratterizzato<br />

da una serie di pannelli <strong>del</strong>imitati<br />

da quattro linee verticali compresi tra due<br />

fasce di quattro linee parallele orizzontali<br />

dipinte sia sull’attacco tra il collo e il ventre<br />

<strong>del</strong> vaso sia sulla carena e il piede <strong>del</strong>lo stesso.<br />

All’interno dei pannelli, nella loro parte<br />

mediana, all’attacco con l’ultima linea dipinta<br />

<strong>del</strong>la fascia orizzontale superiore vi è una<br />

piccola ‘L’ (gancio-uncino?) orientata verso<br />

destra. L’argilla e la qualità <strong>del</strong>la pittura<br />

sembrano richiamare produzioni di tipo<br />

enotrio. Il partito decorativo dipinto sul<br />

ventre è di tradizione greca e trova confronti<br />

con un motivo <strong>del</strong>lo stesso periodo attestato<br />

nella ceramica indigena <strong>del</strong> Nord <strong>del</strong>la<br />

Puglia (cfr. YNTEMA 1990, pp. 219-225, fig.<br />

203. 12) ed anche il motivo ad ‘L’ potrebbe<br />

essere assimilabile a simili contesti.<br />

Morfologicamente la forma è confrontabile<br />

con esemplari in impasto provenienti da<br />

Pontecagnano (cfr. D’AGOSTINO 1968, tipo


83; Pontecagnano II.6, p. 12, fig. 3 dalla T.<br />

4875).<br />

44 Pontecagnano II.1, tipo 32E3b1b, presente<br />

dalla fase II.<br />

45 Sull’insediamento di Monte Vetrano cfr.<br />

Pontecagnano II.6, pp. 95-97.<br />

46 Non mancano apporti anche aperti al<br />

mondo enotrio come la coppa dalla T. 127;<br />

è inoltre da segnalare la presenza <strong>del</strong> ‘supino<br />

rattratto’, un tipo di sepoltura che<br />

rimanda alla Basilicata orientale e all’area<br />

medio-ofantina, documentato agli inizi <strong>del</strong><br />

VII sec. a. C. a Pontecagnano in relazione a<br />

donne allogene provenienti da quella zona.<br />

47<br />

CERCHIAI - NAVA 2008-2009; IANNELLI<br />

2004; GILIBERTO 2004.<br />

48 Sulle dinamiche insediative nell’Agro<br />

Picentino in questo ambito cronologico<br />

cfr. Pontecagnano II.6, pp.123-126: T.<br />

Cinquantaquattro legge la nascita di questi<br />

insediamenti «all’interno di una pianificazione<br />

gestita da Pontecagnano». Di diversa<br />

lettura è il quadro fornito da BAILO<br />

MODESTI –GOBBI in cds.<br />

49 Pontecagnano II.6; BONIFACIO 2004-2005.<br />

50 Sull’Agro Picentino in questo ambito cronologico<br />

cfr. Pontecagnano II.6<br />

51Sulle dinamiche riscontrate nelle necropoli<br />

e nell’abitato di Pontecagnano cfr.<br />

PELLEGRINO 1999, pp. 35-58; Pontecagnano<br />

II.6, pp.127-128; ROSSI 2004-2005.<br />

52La coppa è assimilabile al Tipo 80A1, definito<br />

skyphos, nella classificazione di<br />

FALCONE – IBELLI 2007, p. 28, tav. IX.107;<br />

SALTERNUM<br />

un esemplare simile proviene da<br />

Pontecagnano dai recenti scavi per la realizzazione<br />

<strong>del</strong>la terza corsia <strong>del</strong>la Salerno-<br />

Reggio C. (PELLEGRINO -ROSSI in cds);<br />

l’olpetta è simile all’esemplare dalla tomba<br />

LV <strong>del</strong> 1929 da Fratte di Salerno (Fratte<br />

1990, p. 265 n. 5, fig. 452/a).<br />

53 Lo scavo <strong>del</strong>le tombe è stato condotto da<br />

chi scrive e dalla dott. M. Viscione.<br />

54 Le fibule sono <strong>del</strong> tipo GUZZO 1993, classe<br />

X, tipo B; esemplari simili si rinvengono<br />

a Pontecagnano in contesti <strong>del</strong> terzo quarto<br />

<strong>del</strong> IV sec. a. C. (SERRITELLA 1995, p. 73,<br />

tav. 79, T. 4358).<br />

55 Il tipo tombale è assimilabile alle tombe<br />

<strong>del</strong>lo stesso periodo rinvenute a Fratte (cfr.<br />

ROMITO 1989, figg. a p. 11).<br />

56 Il tipo di modanatura trova un confronto<br />

con quello <strong>del</strong>la T. 7 da Fratte di Salerno,<br />

databile tra la fine <strong>del</strong> IV e gli inizi <strong>del</strong> III<br />

sec. a. C. (Fratte 1990, pp. 285-287).<br />

57 Per i ganci cfr. Fratte 1990, p. 281, fig. 475<br />

n. 3, dalla tomba 1/1956, databile alla<br />

seconda metà <strong>del</strong> IV sec. a. C.; cfr. inoltre<br />

ROMITO 1995, pp. 127-128 e tavv. V6 e<br />

XVc, t. XXIV da Oliveto Citra, <strong>del</strong>la seconda<br />

metà <strong>del</strong> IV sec. a. C..<br />

58 Vi sono altri frammenti di ferro di incerta<br />

identificazione ancora oggetto di restauro.<br />

59 Il bacile di bronzo - diam. cm 35,2; h max<br />

cm 12,8; diam. piede cm 13,2 - trova confronto<br />

con un esemplare identico, probabilmente<br />

<strong>del</strong>la stessa officina, dalla T. 40 di<br />

Eboli-S.Croce, rinvenuto in una tomba<br />

- 160 -<br />

databile tra il 340-330 a. C. (CIPRIANI 1990,<br />

p. 159) e rientra in un tipo assimilabile a<br />

quello da Roscigno (Poseidonia e i Lucani<br />

1996, p. 98, n. 39.28).<br />

60 Lung. max cm 41; larg. max cm 4,3; diam.<br />

immanicatura cm 2,1.<br />

61 Lama di coltello in ferro: lung. max cm<br />

14,6; larg. max cm 7,6; spess. max. cm 0,3;<br />

spess. min. cm 0,5.<br />

62 Corredo: US 100, rep. 5 - lebés gamikòs a<br />

figure rosse (alt. cm 13,8; diam. orlo cm 3,3;<br />

diam. piede cm 5,7); rep. 4 - lebés gamikòs a<br />

figure rosse (alt. cm 13,9; diam orlo cm 2,9;<br />

diam. piede cm 5,4); rep. 3 – pisside biansata<br />

(diam. orlo cm 2,5, serie Morel 4471; alt.<br />

cm 6,2; diam. piede cm 8,8); rep. 6 - lekythos<br />

(alt. max cons. cm 12,2; diam. orlo cm 3,3)<br />

che sormontava il coperchio <strong>del</strong> rep. 5; rep.<br />

2 - coltello in ferro (lung. cm 20; larg. max<br />

cm 2,2; spess. max cm 1,3).<br />

63 La fibula, <strong>del</strong> tipo ad arco foliato molto<br />

largo con decorazione a palmetta realizzata<br />

a sbalzo con un vago inserito nell’ago, di<br />

difficile confronto, si avvicina al tipo VII di<br />

GUZZO 1993.<br />

64 US 244.C11 (cfr. Morel specie 2980).<br />

65 US 278.1 (cfr. Morel tipo 2212a, databile<br />

nella prima metà <strong>del</strong> III sec. a. C.).<br />

66 Lo scavo <strong>del</strong>la strada è stato condotto da G.<br />

De Chiara nella trincea 14 e da L. Mirabella<br />

nella trincea 15.<br />

67 CDC, I, 178, a. 920.


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- 162 -


L’area sepolcrale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo<br />

in località Ostaglio (Salerno)<br />

Un’area funeraria <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo,<br />

caratterizzata da sepolture ad inumazione<br />

in fossa terragna con rivestimento e talvolta<br />

copertura di ciottoli fluviali, è stata individuata<br />

nell’area orientale di Salerno, in località Ostaglio-<br />

Fuorni, nel corso di indagini archeologiche preventive<br />

condotte tra i mesi di Maggio e Agosto 2009 in relazione<br />

a interventi infrastrutturali e di riqualificazione<br />

urbanistica realizzati dall’Amministrazione Comunale:<br />

i lavori si sono svolti secondo le prescrizioni <strong>del</strong>la<br />

competente Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />

<strong>del</strong>le Province di Salerno, Avellino, Benevento e<br />

Caserta 1 .<br />

Il ritrovamento riveste particolare interesse per la<br />

conoscenza <strong>del</strong>le pratiche funerarie <strong>del</strong> Bronzo Antico<br />

in Campania, testimoniate da un numero ancora limitato<br />

di evidenze 2 . Tra le scoperte più rilevanti sinora<br />

effettuate, con tombe a fossa o ad enchytrismos, ricordiamo<br />

le 95 tombe rinvenute a Gricignano, negli scavi<br />

US Navy, Stazione Ferroviaria e TAV; le 70 nella necropoli<br />

di S. Abbondio a Pompei e le 13 nella necropoli<br />

di Monticello a S. Paolo Belsito, presso Nola, e le<br />

sepolture attestate a Frattaminore, Aversa, Mirabella<br />

Eclano e Capua.<br />

I ritrovamenti di Ostaglio, che presentano diverse<br />

analogie rispetto alle evidenze appena citate, costituiscono<br />

la prima attestazione di questo periodo nell’area<br />

in questione 3 , essa si inquadra topograficamente in<br />

un’ampia zona pianeggiante situata alle pendici sudorientali<br />

di una serie di rilievi collinari di modesta entità,<br />

le ultime propaggini dei Monti Picentini <strong>del</strong>imitata<br />

da due corsi d’acqua, il Fuorni a Nord-Ovest ed il<br />

Picentino a Sud-Est, che separa l’area orientale di<br />

Salerno dalla contigua Pontecagnano-Faiano.<br />

Gli scavi hanno portato alla luce 15 tombe, di cui<br />

una bisoma, distribuite su una superficie di circa 200<br />

mq e numerate con numeri progressivi da T. 1 a T. 15.<br />

TSAO CEVOLI<br />

- 163 -<br />

Fig. 1 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 1.<br />

Fig. 2 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 1, dettaglio.<br />

Le tombe, coperte solo da un sottile strato di humus,<br />

sono state individuate ad una profondità di appena 15-<br />

25 cm rispetto all’odierno piano di campagna, la cui<br />

quota assoluta nell’area oggetto di intervento varia da<br />

+ 37,30 a +38,30 m s.l.m. Tale scarsissima consistenza


Fig. 3 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 1,<br />

dettaglio<br />

Fig. 4 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 8.<br />

<strong>del</strong>la stratificazione che<br />

copre le tombe ne ha<br />

notevolmente compromesso<br />

la conservazione.<br />

Alcune <strong>del</strong>le sepolture<br />

sono risultate inoltre<br />

parzialmente obliterate<br />

da un canale irriguo<br />

moderno, ancora in uso,<br />

largo circa 1,20 m e profondo<br />

circa 0,70 m, che<br />

attraversava il fondo in<br />

senso Nord-Est/Sud-<br />

Ovest, e da moderne<br />

buche di albero. L’area<br />

esplorata sembra essere<br />

stata adibita a frutteto<br />

senza soluzione di continuità<br />

almeno dal 1928<br />

fino al momento degli<br />

scavi: la maggior parte<br />

<strong>del</strong>le tombe è risultata<br />

danneggiata sia dal<br />

taglio <strong>del</strong>le fosse per<br />

l’impianto degli alberi da frutto sia dall’intrusione <strong>del</strong>le<br />

radici. I danni più consistenti riscontrati consistono<br />

nell’obliterazione di porzioni di alcune tombe fino al<br />

piano di deposizione, con conseguente parziale asportazione<br />

<strong>del</strong>lo scheletro e in diversi casi, <strong>del</strong> rivestimento<br />

in ciottoli e dei margini <strong>del</strong>la fossa; nella quasi totalità<br />

dei casi sono andate perdute le coperture in ciottoli<br />

<strong>del</strong>le tombe stesse ed infine, si è avuto il danneggiamento<br />

dei resti scheletrici e dei reperti, provocato<br />

dall’intrusione <strong>del</strong>le radici degli alberi.<br />

Ove le condizioni di conservazione ne hanno reso<br />

possibile una più chiara lettura, le tombe sono apparse<br />

costituite in genere da fosse a pianta sub-rettangolare<br />

con angoli arrotondati, orientamento Nord/Sud, sezione<br />

a profilo trapezoidale, con pareti leggermente inclinate,<br />

fondo piatto e rivestimento <strong>del</strong>la fossa con ciottoli<br />

fluviali di dimensioni variabili tra i 10 e i 30 cm circa<br />

di lunghezza. Le fosse erano coperte dal terreno agricolo<br />

moderno e tagliavano un paleosuolo, fortemente<br />

disturbato dall’utilizzo agricolo <strong>del</strong>l’area in età moderna,<br />

che ha restituito scarsi frammenti ceramici, prevalentemente<br />

relativi a ceramica di impasto protostorica.<br />

Il riempimento <strong>del</strong>le tombe era costituito da terreno<br />

misto a numerosi ciottoli di dimensioni generalmente<br />

SALTERNUM<br />

- 164 -<br />

pari o inferiori a quelli <strong>del</strong> rivestimento <strong>del</strong>la fossa e<br />

scarsi frammenti di tufo. La copertura, ove conservata,<br />

era costituita da ciottoli di dimensioni generalmente<br />

pari o superiori a quelli <strong>del</strong> rivestimento <strong>del</strong>la fossa. In<br />

due casi (T. 10 e T. 13) tra i ciottoli <strong>del</strong>la copertura spiccava<br />

la presenza di grosse pietre con funzione di segnacolo:<br />

si tratta nel primo caso di una pietra fluviale grossolanamente<br />

sbozzata, di forma pressoché sferica e di<br />

notevoli dimensioni (circa 25 cm di diametro), collocata<br />

pochi centimetri al di sopra <strong>del</strong>lo scheletro e, nel<br />

secondo caso, di una pietra di tufo grigio, di forma pressoché<br />

ovale e notevoli dimensioni (h max 36 cm, largh.<br />

max circa 15 cm), con evidenti segni di lavorazione<br />

(base a punta e strozzatura mediana) finalizzati all’inserimento<br />

verticale stabile <strong>del</strong>la pietra nella copertura<br />

<strong>del</strong>la tomba. In entrambi i casi sembra trattarsi di sepolture<br />

maschili ed il segnacolo era posto in corrispondenza<br />

o in prossimità <strong>del</strong> cranio.<br />

In tutte le tombe l’individuo appariva sempre<br />

deposto sul fianco, direttamente sul fondo terragno<br />

<strong>del</strong>la fossa. Ove lo scheletro si conservava in buono<br />

stato e in connessione anatomica, è stato possibile<br />

osservare che gli arti superiori erano entrambi flessi,<br />

di solito con mani congiunte e conserte dinanzi al<br />

volto, mentre gli arti inferiori erano anch’essi entrambi<br />

leggermente flessi e sovrapposti l’uno all’altro.<br />

In alcuni casi (TT. 1 - 2, 8, 10, 13) il cranio non<br />

insisteva direttamente sul terreno, ma su una sorta di<br />

‘cuscino’, costituito da una o più pietre di forma piuttosto<br />

schiacciata collocate sotto il cranio, o da più pietre<br />

appositamente sporgenti direttamente dal rivestimento<br />

di ciottoli <strong>del</strong>la fossa in corrispondenza <strong>del</strong> cranio.<br />

In alcuni casi altre pietre erano state similmente<br />

disposte lateralmente al corpo in corrispondenza <strong>del</strong>le<br />

ginocchia e dei piedi.<br />

Le sepolture erano tutte allineate secondo l’asse<br />

Nord/Sud, con l’individuo deposto con la testa rivolta<br />

a Nord o a Sud, ma il corpo costantemente rivolto<br />

a Ovest. Tale alternanza era stata già osservata nella<br />

necropoli <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo di S. Abbondio indagata<br />

tra il 1993 ed il 1996 nel centro <strong>del</strong>l’abitato moderno<br />

di Pompei 4 . L’ipotesi di una relazione tra sesso e<br />

orientamento <strong>del</strong>le deposizioni era stata avanzata<br />

anche per la necropoli di Monticello indagata nel 2000<br />

a S. Paolo Belsito, ove le sepolture presentano tuttavia<br />

orientamenti eterogenei.<br />

Nell’area sepolcrale di Ostaglio la casistica <strong>del</strong>le<br />

sepolture per le quali in base alla struttura scheletrica


e agli elementi di corredo è possibile proporre un’identificazione<br />

relativamente al sesso <strong>del</strong>l’individuo,<br />

sembrerebbe permettere di instaurare una relazione<br />

appunto tra sesso e orientamento <strong>del</strong>la deposizione.<br />

Più nello specifico, si può supporta che vi fosse l’uso<br />

rituale di deporre il defunto sempre girato verso<br />

Ovest, ma gli individui di sesso femminile sempre sul<br />

fianco destro, con testa a Nord e corpo rivolto a<br />

Ovest, mentre quelli di sesso maschile sul fianco sinistro,<br />

con testa a Sud e corpo rivolto a Ovest.<br />

Appare utile, infine, far notare alcune analogie tra<br />

le sepolture di Ostaglio-Fuorni e i due scheletri, uno<br />

di sesso maschile e uno di sesso femminile, rinvenuti<br />

nel 1995 presso San Paolo Belsito, sulla collina <strong>del</strong>la<br />

Vigna, in un contesto cronologicamente, geograficamente<br />

e culturalmente vicino, interpretati come persone<br />

morte durante l’eruzione cd. ‘<strong>del</strong>le Pomici di<br />

Avellino’ 5 . Analogie si riscontrano non solo in relazione<br />

alla posizione <strong>del</strong>lo scheletro, che appare la stessa<br />

<strong>del</strong>le sepolture attestate ad Ostaglio ed in altri contesti<br />

già noti (posizione semiranicchiata, su un fianco, arti<br />

superiori flessi e congiunti dinanzi al volto), ma anche<br />

per quanto riguarda gli orientamenti: l’individuo di<br />

sesso maschile di San Paolo Belsito insiste sul fianco<br />

sinistro e presenta testa a Sud/Est e corpo rivolto a<br />

Sud/Ovest 6 come gli scheletri - presumibilmente di<br />

sesso maschile - di Ostaglio, che sono deposti anch’essi<br />

sul fianco sinistro, con testa a Sud e corpo rivolto a<br />

Ovest (si ha, dunque, una differenza di orientamento<br />

di appena 45º). L’individuo di sesso femminile di San<br />

Paolo Belsito 7 è deposto, al contrario, sul fianco<br />

destro, esattamente come quelli presumibilmente femminili<br />

di Ostaglio, mentre l’orientamento è difforme:<br />

presenta, infatti, testa a Sud/Est e corpo rivolto a<br />

Sud/Ovest, mentre quelli femminili di Ostaglio presentano<br />

testa a Nord e corpo rivolto a Ovest. Queste<br />

analogie richiederebbero un approfondimento di indagine,<br />

che non è escluso possa portare ad una rilettura<br />

dei due scheletri di San Paolo Belsito.<br />

Passando agli elementi di corredo, nell’area sepolcrale<br />

di Ostaglio, pur apparendo complessivamente<br />

quantitativamente scarsi e pur se riscontrati solo in<br />

alcune tombe, si segnalano alcuni manufatti di un<br />

certo pregio e complessità tecnologica, come 1 ago o<br />

ago crinale in bronzo dalla T. 1; 2 frammenti di vaghi<br />

di collana di bronzo e 1 ago crinale in bronzo con<br />

sommità decorata dalla T. 11, ed uno strumento in<br />

osso lavorato dotato di punta in bronzo dalla T. 12.<br />

TSAO CEVOLI<br />

- 165 -<br />

Fig. 5 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 8, dettaglio reperto 1.<br />

Tra gli altri reperti si segnala, inoltre,<br />

nella T. 2, un esemplare di<br />

Hexaplex trunculus, noto anche come<br />

Murex trunculus, <strong>del</strong>la lunghezza di<br />

circa 5,5 cm, un mollusco marino<br />

gasteropode tipico <strong>del</strong><br />

Mediterraneo e <strong>del</strong>le coste atlantiche<br />

<strong>del</strong>l’Europa, di cui è attestato<br />

l’uso per la preparazione di colore<br />

indaco-blu e porpora.<br />

Tra gli scarsi reperti ceramici<br />

provenienti dalle sepolture si segnala<br />

il rinvenimento di due manufatti<br />

frammentari di impasto, inquadrabili<br />

nelle produzioni <strong>del</strong>la facies protostorica<br />

di Palma Campania: il<br />

primo, rinvenuto nei pressi <strong>del</strong> cranio<br />

<strong>del</strong> deposto <strong>del</strong>la T. 4, anch’essa<br />

notevolmente disturbata dalle attività<br />

agricole, forse pertinente ad un<br />

cd. sostegno ‘a clessidra’, ed il<br />

secondo, rinvenuto nel riempimento<br />

<strong>del</strong>la T. 12, pertinente ad una ciotola<br />

o tazza carenata di impasto, di<br />

Fig. 6 - Ostaglio, prop.<br />

Fortunato. T. 8, reperto<br />

1.<br />

Fig. 7 - Ostaglio, prop.<br />

Fortunato. T. 11,<br />

reperto 2.


SALTERNUM<br />

Fig. 8 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 12. Fig. 9 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 12, dettaglio <strong>del</strong> reperto 1.<br />

colore bruno scuro, dalle dimensioni originarie calcolabili<br />

in 6,2 cm di h, 7,6 cm di diametro all’orlo e 8,5<br />

cm di diametro alla spalla.<br />

Il reperto più significativo di tutta l’area funeraria è<br />

un pugnale o punta di alabarda in bronzo rinvenuto<br />

all’interno <strong>del</strong>la T, 8, deposto tra gli arti superiori e la<br />

gabbia toracica <strong>del</strong>l’inumato, che in base anche alla<br />

struttura scheletrica può essere identificato come di<br />

sesso maschile. È realizzato in fusione in stampo, presenta<br />

lama triangolare non costolata, con lati dritti e<br />

base semplice semicircolare priva di codolo, con quattro<br />

fori ancora occupati da chiodetti per il fissaggio di<br />

una perduta impugnatura in materiale deperibile, probabilmente<br />

legno. In ambito regionale tale arma trova<br />

possibili confronti con il pugnale di bronzo proveniente<br />

dalla T. 10/s <strong>del</strong>la citata necropoli protostorica<br />

di S. Abbondio a Pompei 8 e con il pugnaletto a 4 chiodini,<br />

arco a tutto sesto e quasi piatto, vicino al tipo<br />

Murgia Timone, proveniente dalla T. 26 <strong>del</strong>lo scavo<br />

<strong>del</strong> Campo Sportivo di Gricignano 9 .<br />

L’area sepolcrale di Ostaglio, soprattutto in considerazione<br />

<strong>del</strong>la tipologia di alcuni manufatti di pregio,<br />

<strong>del</strong>la monumentalità di alcune sepolture, caratterizzate<br />

da fosse di dimensioni considerevolmente maggiori,<br />

dal rivestimento con ciottoli di dimensioni più<br />

grandi e dalla presenza di segnacoli, sembra riflettere<br />

una comunità di provenienza dei defunti caratterizzata<br />

da una certa diversificazione e complessità sociale,<br />

come attesta l’emergere di alcuni individui, sia di sesso<br />

maschile che di sesso femminile.<br />

La relativa complessità di alcuni dei manufatti rinvenuti<br />

- rispetto ad una comunità che appare non particolarmente<br />

numerosa vista la modesta quantità e la<br />

- 166 -<br />

scarsa concentrazione <strong>del</strong>le sepolture rinvenute nell’area,<br />

le quali sembrano disporsi intorno ad individui<br />

emergenti probabilmente in base a legami familiari (il<br />

cui sussistere o meno potrebbe, tuttavia, essere stabilito<br />

solo attraverso analisi genetiche sui resti scheletrici)<br />

o di clan - lascia presupporre una necessaria complementarietà<br />

di certe produzioni. Se infatti può certamente<br />

ipotizzarsi una produzione locale di alcuni<br />

manufatti in bronzo, come prova il rinvenimento di<br />

scorie di bronzo, connesse ad attività fusorie, nel non<br />

lontano e coevo villaggio di Oliva Torricella 10 , per altri<br />

particolari manufatti - come il pugnale, che nell’Antica<br />

Età <strong>del</strong> Bronzo sembra costituire la principale arma<br />

offensiva attestata nei contesti funerari -, se ne può<br />

anche supporre la produzione da parte di maestranze<br />

e officine specializzate, non necessariamente in loco,<br />

analogamente a quanto accade nel resto <strong>del</strong>la penisola<br />

italiana 11 .<br />

Il pugnale <strong>del</strong>la T. 8 - per il quale si possono ricercare<br />

confronti tipologici non solo in ambito regionale, ma<br />

anche con esemplari <strong>del</strong>la cultura di Polada e di altri<br />

contesti <strong>del</strong>l’Italia settentrionale 12 (Selvis, Aquileia, S.<br />

Martino di Maiano) ed europei - non solo sottolinea<br />

dunque l’elevato status sociale <strong>del</strong> defunto, ma attesta<br />

anche per la comunità in questione il sussistere in questo<br />

periodo di relazioni di medio-lungo raggio, dirette o<br />

indirette, con altre aree <strong>del</strong>la penisola italiana e<br />

<strong>del</strong>l’Europa continentale.<br />

Per quanto riguarda la datazione <strong>del</strong>le tombe, essa<br />

risulta problematica, in quanto la maggior parte dei<br />

frammenti di ceramica di impasto protostorica rinvenuti<br />

proviene dai livelli di riempimento <strong>del</strong>le fosse, la<br />

cui affidabilità stratigrafica, come si è detto, è notevol


mente compromessa dalle moderne buche d’albero<br />

che parzialmente li obliterano, dall’intrusione <strong>del</strong>le<br />

radici degli alberi e dalla scarsissima profondità <strong>del</strong>le<br />

tombe rispetto al moderno piano di campagna. Pur<br />

considerando questi fattori di disturbo, si osserva che<br />

in ogni caso la maggior parte dei reperti ceramici, tra<br />

cui i più significativi sono i citati frammenti relativi ad<br />

una tazza carenata e probabilmente ad un sostegno ‘a<br />

clessidra’, riportano al contesto <strong>del</strong>le produzioni <strong>del</strong>la<br />

facies di Palma Campania 13 .<br />

Tale datazione sembrerebbe avallata anche da<br />

alcuni, seppur labili, indizi di natura stratigrafica:<br />

tracce di cinerite e pomici di dimensioni millimetriche<br />

immediatamente sopra le tombe e la loro completa<br />

assenza all’interno dei riempimenti <strong>del</strong>le tombe<br />

stesse, potrebbe, infatti, essere indizio che uno strato<br />

di tali depositi, con tutta probabilità pertinente l’eruzione<br />

vesuviana cd. ‘<strong>del</strong>le Pomici di Avellino’, avesse<br />

ricoperto le tombe, costituendo un terminus ante quem<br />

per la loro datazione. Lavori agricoli o di bonifica<br />

<strong>del</strong>l’area hanno evidentemente eliminato tale strato,<br />

come tutta la stratificazione successiva, per cui al<br />

momento <strong>del</strong>lo scavo le tombe sono risultate coperte<br />

solo da 15-25 cm di terreno agricolo moderno.<br />

Diversi elementi concorrono, in conclusione, a<br />

propendere per una datazione <strong>del</strong>l’area sepolcrale di<br />

Ostaglio-Fuorni al Bronzo Antico, all’interno <strong>del</strong>la<br />

facies di Palma Campania, in un momento precedente,<br />

forse di poco, l’eruzione vesuviana cd. ‘<strong>del</strong>le<br />

Pomici di Avellino’. Tale datazione pone in relazione<br />

la necropoli di Ostaglio con altre evidenze emerse in<br />

passato in aree finitime, sia nella zona di San<br />

Leonardo che, in particolare, con il già citato villaggio<br />

protostorico individuato in località Oliva<br />

Torricella, ugualmente sepolto da un evento piroclastico,<br />

che ha documentato almeno 10 capanne con<br />

pianta absidata e orientamento Nord/Sud, pressoché<br />

costante, <strong>del</strong>l’asse maggiore, vale a dire esattamente<br />

lo stesso <strong>del</strong>le sepolture <strong>del</strong>l’area sepolcrale di<br />

Ostaglio.<br />

TSAO CEVOLI<br />

- 167 -<br />

Fig. 10 - Ostaglio. Veduta di fine scavo.<br />

In conclusione, lo scavo <strong>del</strong>la necropoli di Ostaglio<br />

aggiunge un nuovo tassello alla conoscenza dei rituali<br />

funerari <strong>del</strong>le comunità <strong>del</strong>l’antica età <strong>del</strong> Bronzo in<br />

Campania e costituisce un elemento di interessante<br />

novità in particolare per il salernitano. La necropoli<br />

restituisce il quadro di una piccola comunità locale,<br />

probabilmente un gruppo familiare o un clan, con<br />

rituali funerari complessi, analoghi a quelli coevi di<br />

altre aree <strong>del</strong>la Campania.<br />

Per quanto riguarda l’abitato di provenienza degli<br />

individui sepolti, la necropoli di Ostaglio riflette l’immagine<br />

di una comunità protostorica di tipo tribale, caratterizzata<br />

da una struttura sociale già relativamente complessa,<br />

come indicano i fattori di differenziazione <strong>del</strong>le<br />

tombe, a partire dalla presenza di particolari elementi di<br />

corredo in alcune sepolture, ma anche dalla loro più<br />

accentuata monumentalità e dalla differente disposizione,<br />

con la posizione preminente di alcune di esse, a<br />

riflettere l’emergere di alcuni individui, sia di sesso<br />

maschile che femminile, all’interno <strong>del</strong>la comunità.<br />

Le affinità rituali e culturali con altre aree <strong>del</strong>la<br />

Campania, ma anche l’affinità tipologica di alcuni manufatti<br />

con esemplari simili provenienti da altre aree <strong>del</strong>la<br />

penisola italiana e dall’Europa continentale, mostrano<br />

l’inserimento di questa comunità locale in una rete di<br />

relazioni, dirette o indirette, di medio e lungo raggio.


Note<br />

1 Ringrazio il Soprintendente per i Beni<br />

Archeologici di Salerno, Avellino, Caserta e<br />

Benevento, dott.ssa Maria Luisa Nava per<br />

avermi concesso l’opportunità di pubblicare<br />

questo articolo. Ringrazio anche il<br />

<strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong> per l’ospitalità<br />

sulle pagine <strong>del</strong>la sua Rivista.<br />

L’assistenza tecnico-scientifica alla realizzazione<br />

degli scavi archeologici in località<br />

Ostaglio, sotto la direzione <strong>del</strong>la competente<br />

Soprintendenza, è stata effettuata sul<br />

campo dallo scrivente, insieme alla dott.ssa<br />

Clara Cesario, che qui ringrazio per la collaborazione.<br />

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continentale, Prähistorische Bronzefunde, VI, 10,<br />

München.<br />

D’AGOSTINO B. 1976, La Campania nell’Età <strong>del</strong><br />

SALTERNUM<br />

2 Per un quadro <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo in<br />

Campania cfr. D’AGOSTINO 1976, pp. 95 ss.<br />

3 L’area sepolcrale di Ostaglio è stata già<br />

oggetto di una prima comunicazione da<br />

parte <strong>del</strong> Soprintendente dott.ssa M. L.<br />

Nava, durante la presentazione <strong>del</strong>l’attività<br />

<strong>del</strong>la Soprintendenza per il 2009 al<br />

Convegno di Taranto (NAVA cds).<br />

4<br />

MASTROROBERTO 1998, p. 139, n. 10;<br />

MASTROROBERTO - TALAMO 2001, p. 208.<br />

5<br />

VECCHIO – ALBORE LIVADIE - ESPOSITO<br />

1999, pp. 29-30, figg. 17-18; PETRONE 1999,<br />

pp. 33 ss.<br />

Bronzo e <strong>del</strong> Ferro, in Atti <strong>del</strong>la XVI riunione<br />

scientifica <strong>del</strong>l’Istituto Italiano di Preistoria e<br />

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D’ERME L. 1991, s.v. Pugnali italiani, in LEROI-<br />

GOURAN – PIPERNO 1991, pp. 506-507.<br />

DI MAIO et Alii 2003, DI MAIO G. - IANNELLI<br />

M. A. – SCALA S. - SCARANO G. 2003,<br />

Antropizzazione ed evidenze di crisi ambientali in<br />

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FEDELE F. - PETRONE P. P. 1999 (a cura di),<br />

Un’eruzione vesuviana di 4000 anni fa. Reperti provenienti<br />

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Napoli.<br />

LEROI-GOURAN A. – PIPERNO M. 1991,<br />

Dizionario di preistoria, vol. I (Culture, vita quotidiana,<br />

metodologie), Torino.<br />

MARZOCCHELLA A. 1998, Tutela archeologica e<br />

preistoria nella piana campana, in Archeologia e<br />

Vulcanologia in Campania 1998, pp. 97-133.<br />

MASTROROBERTO M., 1998, La necropoli di S.<br />

- 168 -<br />

6<br />

VECCHIO – ALBORE LIVADIE - ESPOSITO<br />

1999, p. 29, fig. 17.<br />

7<br />

VECCHIO – ALBORE LIVADIE - ESPOSITO<br />

1999, p. 30, fig. 18.<br />

8<br />

MASTROROBERTO 1998, p. 145 e fig. 17.<br />

9<br />

MARZOCCHELLA 1998, pp. 97-133.<br />

10<br />

TOCCO 2003; DI MAIO et Alii 2003;<br />

ALBORE LIVADIE et Alii 2007.<br />

11<br />

D’ERME 1991, pp. 506-507.<br />

12<br />

BIANCO PERONI 1994.<br />

13<br />

ALBORE LIVADIE – D’AMORE 1980.<br />

Abbondio: una comunità <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo a<br />

Pompei, in Archeologia e Vulcanologia in Campania<br />

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di Sant’Abbondio a Pompei. Continuità e trasformazione<br />

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Magna Grecia, ‘La vigna di Dioniso: vite, vino e<br />

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VECCHIO G. – ALBORE LIVADIE C. -<br />

ESPOSITO E. 1999, San Paolo Belsito. Lo scavo e<br />

la scoperta, in FEDELE - PETRONE P. P. 1999.


MONICA VISCIONE<br />

Il popolamento <strong>del</strong>la Valle <strong>del</strong> Grancano in età romana<br />

Lo scavo estensivo nei pressi <strong>del</strong>la chiesa di<br />

San Felice in Pastorano, edificio fondato tra<br />

il IX e X sec. d. C., ha reso possibile individuare,<br />

nonostante la forte alterazione determinata dall’attività<br />

agricola moderna, un sito che presenta un<br />

arco di vita compreso tra il II sec. d. C. e l’Età tardoantica:<br />

una villa con terrazzamenti adibiti a colture come<br />

vigneti e uliveti 1 , di cui è stato messo in luce l’impianto<br />

termale relativo alla pars urbana e una porzione<br />

<strong>del</strong>la zona produttiva (pars rustica), (fig. 1), e alcune<br />

sepolture tardoantiche che segnalano la continuità <strong>del</strong>l’occupazione<br />

fino alla edificazione <strong>del</strong>la chiesa, una<br />

<strong>del</strong>le più antiche <strong>del</strong> territorio salernitano.<br />

Fig. 1 - Foto aerea <strong>del</strong>lo scavo.<br />

- 169 -<br />

I rinvenimenti aggiungono nuovi elementi per la<br />

ricostruzione <strong>del</strong> paesaggio <strong>del</strong>la Valle <strong>del</strong><br />

Grancano. Questa parte <strong>del</strong> territorio salernitano,<br />

già nota per il piccolo abitato di tipo rurale localizzabile<br />

presso S. Angelo di Ogliara, identificato sulla<br />

base <strong>del</strong> rinvenimento di alcune sepolture databili alla<br />

fine <strong>del</strong> IV sec. a. C. 2 , è collocato in una posizione geografica<br />

favorevole al controllo <strong>del</strong>le direttrici <strong>del</strong> traffico.<br />

Qui infatti potrebbe passare un percorso stradale<br />

che da Nuceria, senza passare per Salernum, consentiva<br />

di proseguire da una parte verso Abellinum e dall’altra<br />

verso Picentia, attraversando proprio le attuali<br />

frazioni di Pastorano ed Ogliara 3 .


Fig. 2 - Tomba 1.<br />

Fig. 3 - Tomba 4.<br />

Fig. 4 - Foto di scavo degli ambienti termali.<br />

Il progressivo popolamento di questo territorio,<br />

attuato in modo abbastanza frazionato 4 , è evidente già<br />

dal IV sec. a. C., quando da una organizzazione di tipo<br />

commerciale si passa ad una di tipo fondiario, basata<br />

su colture agricole specializzate e Fratte svolge un<br />

ruolo coagulante per l’intero comparto. Agli inizi <strong>del</strong><br />

III sec. a. C. gli insediamenti agricoli 5 sembrano scomparire:<br />

forte è l’influenza di Roma e Fratte ormai sem-<br />

SALTERNUM<br />

- 170 -<br />

bra assumere caratteristiche urbane 6 . Dopo la metà <strong>del</strong><br />

III sec. a. C. saranno proprio i Romani ad occupare<br />

una parte di quello che sarà il territorio <strong>del</strong>la colonia<br />

di Salerno, sviluppando realtà di tipo agricolo, con colture<br />

specializzate lungo i versanti pedologicamente<br />

più fertili, in continuità con le fasi precedenti.<br />

I ritrovamenti più recenti nell’area di Pastorano<br />

sono collocabili in Età tardoantica. A questo periodo<br />

risalgono 5 sepolture distribuite nell’area in modo<br />

abbastanza rado, tutte ricavate all’interno degli strati di<br />

abbandono degli ambienti <strong>del</strong>la villa di Età imperiale.<br />

La T. 1, rinvenuta integra, si trova immediatamente a<br />

Sud <strong>del</strong> calidarium e si tratta di una piccola cassa in<br />

frammenti di laterizi (0,74 x 0,43 m) orientata N/S, che<br />

conteneve 7 crani (fig. 2). Della T. 2 resta solo parte<br />

<strong>del</strong>la cassa in tegole. Più a Sud <strong>del</strong>la T. 1 si rinveniva<br />

una sepoltura ad enchytrismos (T. 4), il cui contenitore è<br />

un’anfora <strong>del</strong> tipo Dressel 2-4 (fig. 3). Le TT. 3 e 5 sono<br />

state rinvenute nella zona meridionale <strong>del</strong>lo scavo. La<br />

T. 3, nel saggio 2, ricavata all’interno di un banco di<br />

tufo in giacitura secondaria, è a fossa, orientata<br />

Est/Ovest, con inumazione supina con capo ad Ovest.<br />

La sepoltura risultava disturbata da una buca di pianta;<br />

a poca distanza è stato recuperato un unguentario<br />

acromo, lacunoso, che forse può riferirsi al corredo. La<br />

T. 5, ugualmente alterata da una buca di pianta, è stata<br />

rinvenuta nel saggio 3; <strong>del</strong>la copertura si conservava<br />

solo una lastra di tufo grigio; la cassa era costituita sul<br />

lato settentrionale da una grossa lastra di pietra calcarea<br />

posta di taglio e sull’altro lato da un muretto di<br />

tufelli e pietre legati da malta. Lo scheletro, in pessimo<br />

stato di conservazione, con il capo ad Ovest, era<br />

schiacciato da una tegola forse pertinente alla copertura;<br />

nel terreno depositatosi all’interno <strong>del</strong>la tomba si è<br />

recuperato un elemento di corredo: parte di un vaso<br />

forse biansato con scialbature in rosso. Il piano di<br />

deposizione era costituito da tegole. La sua datazione è<br />

determinata soprattutto in base ad elementi di stratigrafia<br />

verticale: essa infatti si colloca successivamente<br />

ad un muro riferibile ad ambienti di epoca imperiale.<br />

Le sepolture si impostano sui livelli di abbandono<br />

<strong>del</strong>la villa, di cui sono stati messi in luce alcuni<br />

ambienti termali: il calidarium e il tepidarium (figg. 4-5).<br />

Gli ambienti si presentano regolari (3,50 x 4 m) ed<br />

orientati Nord/Sud. Di essi si conserva in discreto<br />

stato l’ipocausis, realizzato con tubuli cilindrici, mentre<br />

<strong>del</strong>la suspensura non è rimasta traccia. Si conserva un<br />

tubulo a sezione quadrangolare appoggiato al muro


Fig. 5 - Planimetria degli ambienti termali.<br />

Fig. 6 - Foto di scavo degli ambienti meridionali.<br />

sopra al livello <strong>del</strong>la suspensura, che lascia ipotizzare la<br />

presenza, oltre al sistema per la diffusione <strong>del</strong>l’aria<br />

calda, anche di quello per il tiraggio <strong>del</strong> fumo. A Sud<br />

degli ambienti termali si attestano due lunghi muri<br />

paralleli che presentano gli stessi orientamenti <strong>del</strong>le<br />

terme (N/S) e la stessa tecnica costruttiva (opera vittata<br />

alternata a ricorsi in laterizi), ed un terzo muro,<br />

orientato Est/Ovest, parallelo al fronte meridionale<br />

degli ambienti termali; essi, conservati per una lunghezza<br />

di circa 8 m, sono i muri pertinenti ad altri<br />

ambienti di cui purtroppo non si può determinare la<br />

funzione, non essendosi conservati i piani d’uso, a<br />

causa sia <strong>del</strong>la forte erosione determinata dagli agenti<br />

atmosferici sia dalla fitta presenza di canalette di drenaggio<br />

e buche di pianta prodotte dall’attività agricola<br />

moderna. Ad Est <strong>del</strong>la zona termale sono stati individuati<br />

alcuni ambienti, di cui non si ricostruisce la planimetria<br />

completa, che presentano orientamento<br />

divergente da quelli <strong>del</strong>le terme - Nord/Ovest-<br />

Sud/Est - e sembrano appartenere ad una fase successiva;<br />

vista la presenza di alcuni piani di tegole combu-<br />

MONICA VISCIONE<br />

- 171 -<br />

ste, in essi potrebbero essere riconosciuti alcuni<br />

ambienti di servizio.<br />

A Sud <strong>del</strong>le terme, ad una distanza di circa 25 m, si<br />

è messa in luce una struttura rettangolare (8 x 6 m),<br />

probabilmente pertinente alla pars rustica, che presenta<br />

almeno due fasi costruttive, con orientamento leggermente<br />

divergente da quello <strong>del</strong>le terme (Nord 30°-<br />

Est); essa include un ambiente quadrato e presenta<br />

una pavimentazione in malta (fig. 6). Si ipotizza, considerando<br />

la tipologia dei pavimenti e l’assenza di<br />

coperture, che si tratti di ambienti produttivi.<br />

A Sud <strong>del</strong>la rampa di accesso al cantiere, in seguito<br />

alla interpretazione <strong>del</strong>le indagini geoelettriche condotte<br />

nell’area 7 , è stato posizionato un secondo saggio.<br />

L’indagine archeologica ha permesso qui l’individuazione<br />

di un fossato con orientamento Est/Ovest, il<br />

cui riempimento è stato reinciso più volte.<br />

L’obliterazione più recente è costituita da uno strato<br />

di tufo grigio rimaneggiato, che oblitera alcuni sottili<br />

livelli di calcare successivi alla deposizione di uno<br />

spesso strato di sabbia piroclastica intercalata a livelli<br />

di pomici rimaneggiate probabilmente riferibili alla<br />

eruzione vesuviana <strong>del</strong> 79 d. C. Nell’area non alterata<br />

dal fossato, ma fortemente alterata dalla presenza di<br />

un vigneto, si individua un sistema di canalizzazione<br />

<strong>del</strong>le acque che presenta almeno due fasi. La più antica,<br />

orientata Est/Ovest, conservata per circa 8 m, è<br />

costituita da due muretti in opera mista e ricorsi orizzontali<br />

di laterizi che chiudono un canale a sezione<br />

quadrata il cui fondo è costituito da frammenti di laterizi<br />

messi in piano. A questa canaletta si sovrappone,<br />

con un orientamento leggermente divergente, un<br />

‘canale coperto’, individuato per circa 11 m, costituito<br />

da un tubulo a sezione circolare completamente inglobato<br />

da un muro in opera incerta (tufelli e pietre calcaree<br />

legati da malta). L’orientamento <strong>del</strong> sistema di<br />

raccolta <strong>del</strong>le acque è lo stesso <strong>del</strong>le strutture termali<br />

<strong>del</strong>la villa, mentre la pendenza è quella che si percepisce<br />

ancora oggi: da Est verso Ovest (fig. 7).<br />

Il saggio 3, che non si è potuto estendere a causa<br />

<strong>del</strong>la presenza di due tralicci <strong>del</strong>l’alta tensione, ha evidenziato<br />

una situazione molto articolata probabilmente<br />

da connettere ancora con il drenaggio e la canalizzazione<br />

<strong>del</strong>le acque. Infatti è stato messo in luce parte<br />

di un canale/fontana (fig. 8) chiuso da due muri conservati<br />

per una altezza di 1 m, larghi circa 0,40 m; il<br />

muro settentrionale presenta un foro circolare foderato<br />

da un tubulo funzionale allo scorrimento <strong>del</strong>l’ac-


Fig. 7 - Foto di scavo <strong>del</strong> sistema di<br />

canalizzazione; a sin. il<br />

canale più recente.<br />

Fig. 8 - Foto di scavo<br />

<strong>del</strong> canale/fontana.<br />

Fig. 9 - Livello d’uso <strong>del</strong>la calcara.<br />

Pavimentazione alterata<br />

dall’impianto <strong>del</strong>la calcara.<br />

qua; il fondo è impermeabilizzato<br />

e sul lato meridionale<br />

vi è un rinforzo concavo,<br />

anch’esso impermeabilizzato,<br />

forse destinato a rallentare<br />

la forza <strong>del</strong>l’acqua. I muri<br />

con paramenti in ricorsi<br />

orizzontali di laterizi e<br />

nucleo in opera incerta,<br />

orientati come i muri <strong>del</strong>la<br />

pars rustica <strong>del</strong>la villa, presentano<br />

sulla rasatura alcuni piccoli<br />

tagli circolari interpretabili<br />

come alloggi per pali di<br />

un apprestamento in materiale<br />

deperibile.<br />

A questa struttura si<br />

appoggia un muro in opera<br />

reticolata di tufelli grigi con<br />

orientamento ad essa ortogonale<br />

(N 30° Est). I piani<br />

d’uso <strong>del</strong> muro sono stati<br />

fortemente compromessi<br />

dall’impianto di una calcara,<br />

da leggere nel taglio sub-circolare,<br />

il cui riempimento era<br />

costituito da concotto e da<br />

un livello di lapillo quasi<br />

vetrificato dall’alta tempera-<br />

tura. La rimozione dei livelli d’uso <strong>del</strong>la calcara evidenziava<br />

la pavimentazione fortemente rimaneggiata dall’uso<br />

successivo (fig. 9), e un piccolo ambiente rettangolare<br />

successivo al muro in opera reticolata, di cui non<br />

sono stati rinvenuti i piani pavimentali; i muri che lo<br />

costituiscono sono intonacati all’esterno. A Sud <strong>del</strong>la<br />

struttura venne creato un piccolo canale sfruttando il<br />

muro in opera reticolata preesistente e costruendo un<br />

secondo muro parallelo, intonacato verso l’interno.<br />

A questa fase sono probabilmente successivi i due<br />

muri in opera incerta posti a Sud, che vengono tagliati<br />

per l’impianto <strong>del</strong>la tomba 5. In un piccolo approfondimento<br />

realizzato in prossimità di questi ultimi<br />

sono state evidenziate le tracce in negativo <strong>del</strong>l’impianto<br />

di una macchina agricola. A questa e al suo uso<br />

potrebbe essere funzionale il sistema di sfruttamento<br />

<strong>del</strong>le acque messo in luce nelle immediate vicinanze.<br />

Le ceramiche più antiche rinvenute nell’area sono<br />

rappresentate da alcuni frammenti di vernice nera e da<br />

SALTERNUM<br />

- 172 -<br />

Fig. 10 - Lucerna con marchio KELSEI.<br />

un frammento di<br />

epichysis a figure rosse<br />

collocabile entro il<br />

IV sec. a. C., esito<br />

probabilmente <strong>del</strong>la<br />

distruzione di sepolture<br />

poste a monte <strong>del</strong>la villa. In grandi quantità è presente<br />

ceramica sigillata africana risalente al II sec. d.<br />

C., soprattutto piatti, grossi contenitori rappresentati<br />

da olle con orlo a tesa e anfore <strong>del</strong> tipo Dressel 2-4,<br />

oltre a frammenti di opus doliare. Di particolare interesse<br />

una lucerna, rinvenuta in uno strato superficiale,<br />

con decorazione a globetti e bollo inciso sul fondo:<br />

KELSEI (in greco), risalente alla seconda metà <strong>del</strong> II<br />

sec. d. C. 8 (Fig. 10). Le monete rinvenute durante le<br />

indagini vanno dal I al IV sec. d. C. 9 Fig. 11 - Bronzo di Antonino Pio.<br />

; la più antica<br />

dovrebbe essere un bronzo di Traiano (I-II sec. d. C.)<br />

recuperato nello strato superficiale all’interno degli<br />

ambienti termali, mentre le quattro monete rinvenute<br />

all’interno degli ambienti produttivi, sul pavimento<br />

sepolto da uno strato alluvionale - 4 bronzi di<br />

Antonino Pio (138-161 d. C.) - forniscono il terminus<br />

ad quem per la frequentazione degli ambienti (Fig. 11).<br />

Al III secolo risale un Antoniniano di Gallieno recuperato<br />

sempre nell’area <strong>del</strong>le terme. Lo strato di obliterazione<br />

<strong>del</strong>le strutture ha restituito un follis di<br />

Costantino (306-337 d. C.) che conferma la lunga frequentazione<br />

<strong>del</strong> sito almeno dal I-II secolo al V secolo,<br />

momento in cui l’impianto <strong>del</strong>le tombe segna l’abbandono<br />

<strong>del</strong>la villa. La vicinanza <strong>del</strong>la chiesa potrebbe<br />

altresì giustificare l’uso sepolcrale <strong>del</strong> sito, anche in<br />

relazione alla possibilità di un luogo di culto cristiano,<br />

legato alla trasformazione in pagus <strong>del</strong>la villa di età<br />

imperiale.


Note<br />

Allo scavo ha collaborato la dott.sa E.<br />

Civale, con la quale ho condiviso anche la<br />

post-elaborazione dei dati.<br />

1 Nell’area sono attestati in grande quantità<br />

contenitori per derrate e anfore vinarie.<br />

2 PONTRANDOLFO 1980, pp. 94-98.<br />

3 ROSSI 2000, pp. 17-26.<br />

4 TAGLIAMONTE 1996, p. 156.<br />

Bibliografia<br />

GRECO G. - PONTRANDOLFO A. 1990, Fratte.<br />

Un insediamento etrusco-campano, Modena.<br />

PONTRANDOLFO A. 1980, Un gruppo di tombe<br />

da un insediamento rurale <strong>del</strong> IV sec. a. C. da<br />

S.Angelo di Ogliara (Salerno), in “AION”, I, pp.<br />

94-98.<br />

MONICA VISCIONE<br />

5 Ad esempio S. Angelo di Ogliara e<br />

Brignano; qui di recente sono state rinvenute<br />

tracce di insediamenti produttivi risalenti<br />

al V sec. a. C. (informazioni da Archivio<br />

<strong>del</strong>la Soprintendenza).<br />

6 GRECO –PONTRANDOLFO 1990.<br />

7 Le indagini geoelettriche sono state eseguite<br />

ed interpretate dalla dott.ssa M. G.<br />

ROMITO M. 2000, Salerno romana dalla fondazione<br />

<strong>del</strong>la colonia all’Impero, in Storia di Salerno. I.<br />

Salerno antica e medievale, a cura di I. GALLO,<br />

Avellino, pp. 61-69.<br />

ROMITO M. 2005, Museo <strong>Archeologico</strong> Provinciale<br />

<strong>del</strong>l’Agro Nocerino nel Convento di Sant’Antonio a<br />

- 173 -<br />

Soldovieri.<br />

8 ROMITO 2000, pp. 61-69; per le lucerne,<br />

part. p. 65. EAD. 2005, p. 133.<br />

9 L’inquadramento tipologico e cronologico<br />

<strong>del</strong>le monete si deve alla dott.ssa S.<br />

Pantuliano <strong>del</strong>l’Università degli Studi di<br />

Salerno.<br />

Nocera Inferiore. Vecchi scavi, nuovi studi, Salerno.<br />

ROSSI A. 2000, Alcune considerazioni sul territorio<br />

di Salernum, in “Apollo”, XV, pp. 17-26.<br />

TAGLIAMONTE G. 1996, I Sanniti, Milano.


- 174 -


VINCENZO DI GIOVANNI<br />

Il commercio marittimo nel Tirreno meridionale:<br />

nuovi dati da un relitto nelle acque di Palinuro<br />

Nel mese di Giugno <strong>del</strong>l’anno 2009, nell’ambito<br />

di operazioni di verifica e monitoraggio<br />

di relitti con materiali tossici nel<br />

Tirreno meridionale, la nave Mare Oceano ha individuato<br />

nelle acque a circa 11 miglia a Sud di Capo Palinuro,<br />

alla profondità di circa 600 metri, un gruppo di anfore<br />

da trasporto 1 certamente pertinenti al relitto di una<br />

imbarcazione proveniente dal Nord <strong>del</strong>l’Egeo alla fine<br />

<strong>del</strong> V sec. a. C. I tecnici <strong>del</strong>la nave hanno recuperato e<br />

portato in superficie 4 anfore appartenenti a due<br />

gruppi tipologici leggermente diversi, che sono state<br />

denominate con le prime quattro lettere <strong>del</strong>l’alfabeto.<br />

Anfora A (fig. 1). Anfora con orlo leggermente<br />

espanso e diviso, collo cilindrico, spalla inclinata, raccordo<br />

spalla/corpo a profilo continuo, corpo piriforme<br />

(a trottola) piede corto ingrossato e sagomato,<br />

fondo esterno <strong>del</strong> piede con forte incavo; due anse a<br />

bastone schiacciato a sezione lievemente ovale, rilevate<br />

e impostate sotto l’orlo e sulla parte alta <strong>del</strong>la spal-<br />

Fig. 1 - Anfora A. Fig. 2 - Anfora B.<br />

- 175 -<br />

la. All’attacco inferiore <strong>del</strong>l’ansa è stata rilevata una<br />

marcata impressione ovale, realizzata con il dito sull’argilla<br />

compatta prima <strong>del</strong>la cottura. Altezza max cm<br />

58. Diametro orlo cm 11,5. Argilla dura, ruvida, compatta,<br />

rosso arancio molto scuro (MUS. 10R 4/6 red) 2 ,<br />

inclusi di calcare, poca mica, e medi grigi (quarzo arrotondato?),<br />

specialmente in superficie 3 . Tracce di<br />

ingobbio poco spesso, color crema.<br />

Anfora B (figg. 2-5). Anfora con orlo leggermente<br />

espanso e svasato, collo cilindrico, spalla bombata,<br />

raccordo spalla/corpo a profilo continuo, corpo subglobulare,<br />

mancante <strong>del</strong>la parte inferiore <strong>del</strong> piede;<br />

due anse a bastone schiacciato a sezione ovale, lievemente<br />

rilevate e impostate sotto l’orlo e sulla parte<br />

mediana <strong>del</strong>la spalla. All’attacco inferiore <strong>del</strong>l’ansa è<br />

stata rilevata una marcata impressione ovale, realizzata<br />

con il dito sull’argilla compatta prima <strong>del</strong>la cottura.<br />

Altezza max cm 57,5. Diametro orlo cm 11,5. Argilla<br />

dura, ruvida, molto compatta, rosso arancio molto<br />

scuro (MUS. 10R 5/6 red), pochi<br />

inclusi di calcare, poca mica.<br />

Tracce di ingobbio poco spesso,<br />

color giallo chiaro.<br />

Anfora C (fig. 2). Forma come<br />

l’anfora A, con orlo leggermente<br />

più inclinato. Altezza max cm 60,<br />

diametro orlo cm 10,8. Argilla<br />

dura, ruvida, compatta, rosso<br />

arancio molto scuro (MUS. 10R<br />

4/6 red), inclusi di calcare, poca<br />

mica, e medi grigi (quarzo arrotondato?),<br />

specialmente in superficie.<br />

Tracce di ingobbio poco spesso<br />

color crema.<br />

Anfora D (fig. 4). Forma come<br />

l’anfora A. Altezza max cm 63,<br />

diametro orlo cm 11. Argilla dura,


uvida, compatta, rosso arancio molto scuro (MUS.<br />

2.5YR 4/8 red), inclusi di calcare e medi grigi (quarzo<br />

arrotondato?), specialmente in superficie. Tracce di<br />

ingobbio poco spesso, color crema.<br />

Si tratta, come dicevamo, di quattro esemplari da<br />

un unico carico proveniente dall’Egeo settentrionale,<br />

naufragato al largo <strong>del</strong>le coste <strong>del</strong> basso salernitano.<br />

Le anfore, pur essendo piuttosto simili nella fattura e<br />

nella resa <strong>del</strong>le superfici, hanno lievi differenze tra di<br />

loro e possono essere divise in due gruppi morfologici<br />

separati. Il primo comprende gli esemplari A, C e D<br />

ed è con tutta probabilità da ascrivere alla produzione<br />

cd. di Mende4 , città posta sulle propaggini più occidentali<br />

<strong>del</strong>la penisola Calcidica, in cui si produceva tradizionalmente<br />

sin dall’epoca arcaica un vino bianco<br />

molto <strong>del</strong>icato e di grande pregio5 . La produzione di<br />

questi contenitori da trasporto sembra essere concentrata<br />

nel periodo dalla seconda metà <strong>del</strong> V secolo a. C.<br />

fino agli inizi <strong>del</strong> secolo successivo, quando queste<br />

anfore non sembrano più essere attestate né in discariche<br />

da scalo né da relitti; questo non è certamente un<br />

dato casuale e vi ritorneremo in seguito6 . Secondo<br />

quelli che sembrano essere i caratteri evolutivi <strong>del</strong> tipo<br />

- i cui indicatori tipologici dovrebbero essere l’altezza<br />

<strong>del</strong> collo, lo schiacciamento <strong>del</strong> corpo <strong>del</strong> vaso, che nel<br />

tempo diventa sempre più a ‘trottola’, e l’allungamento<br />

<strong>del</strong> piede7 - i nostri esemplari andrebbero collocati<br />

nella fase matura <strong>del</strong>la produzione, nella seconda metà<br />

<strong>del</strong> V secolo a. C.<br />

I confronti morfologici più prossimi sono con<br />

un’anfora dall’Agorà di Atene da un<br />

contesto <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> V secolo8 , e<br />

con un esemplare da Gela con<br />

medesima datazione9 . Piuttosto<br />

simili, anche se forse con articolazione<br />

spalla/collo un poco più rigida,<br />

sono le anfore <strong>del</strong> relitto di<br />

Porticello, ritrovato nelle acque<br />

<strong>del</strong>lo stretto di Messina, datate, con<br />

qualche dubbio, alla fine <strong>del</strong> V secolo.<br />

10<br />

L’analisi autoptica <strong>del</strong>la argille<br />

con la quale sono realizzati tutti e<br />

tre i contenitori pare tra l’altro compatibile<br />

con caratteristiche petrologiche<br />

macroscopiche tipiche <strong>del</strong>la<br />

produzione 1 di questo tipo di<br />

anfore elaborata dallo Whitebread11 Fig. 3 - Anfora C.<br />

.<br />

SALTERNUM<br />

- 176 -<br />

Questo tipo di anfora sembra essere attestata in<br />

ambito costiero campano a Ischia 12 ed a Vico<br />

Equense 13 , e nella Campania interna, probabilmente<br />

come elemento di prestigio in ambito funerario, a<br />

Trebula Balliensis 14 e a Teanum Sidicinum 15 ; sono numerose<br />

anche le attestazioni in Sicilia, dove sembra essere<br />

significativamente diffusa in tutta l’isola 16 .<br />

Al di fuori d’Italia, si registra una presenza piuttosto<br />

massiccia di queste anfore nel Ponto, sulle coste<br />

europee <strong>del</strong> Mar Nero, dove si è sviluppato un ambito<br />

di studio specifico su questa classe di contenitori<br />

commerciali che sono piuttosto diffusi; anche in questo<br />

caso il picco <strong>del</strong>le attestazioni sembra essere la<br />

seconda metà <strong>del</strong> V secolo a. C. 17 .<br />

L’anfora B ha caratteristiche morfologiche leggermente<br />

differenti rispetto a quelle <strong>del</strong> primo gruppo,<br />

specialmente nella forma <strong>del</strong> corpo <strong>del</strong> vaso e <strong>del</strong><br />

piede, che sfortunatamente è mutilo nella parte inferiore.<br />

La fattura generale, nonché alcune particolarità<br />

di realizzazione, non ultimi la digitalatura all’attacco<br />

<strong>del</strong>le anse e l’orientamento <strong>del</strong>l’orlo e, per quello che<br />

è possibile vedere, l’argilla con cui è realizzato il contenitore,<br />

fanno pensare ad una certa omogeneità produttiva<br />

con le altre anfore <strong>del</strong> carico. Articolazione <strong>del</strong><br />

piede a parte, questo tipo B sembra alquanto simile ad<br />

anfore ascritte al medesimo ambito produttivo 18 , nonché<br />

ad esemplari di contenitori commerciali presenti<br />

in alcuni siti <strong>del</strong>l’Egeo orientale, in particolare quelli,<br />

di produzione incerta, provenienti dal relitto di<br />

Ounoussos, nelle acque orientali <strong>del</strong>l’isola di Chio 19 .<br />

Fig. 4 - Anfora D.


Fig. 5 - Disegno <strong>del</strong>le Anfore C e B.<br />

Un altro dato da valutare nel quadro sulla circolazione<br />

di questa classe di materiali sono le attestazioni<br />

su diversi relitti nel bacino <strong>del</strong> Mediterraneo, che<br />

suggeriscono elementi utili sia per la composizione<br />

dei carichi ed il tipo di vettore, sia per le rotte lungo<br />

le quali avveniva la distribuzione di questi contenitori.<br />

Relitti su cui erano trasportate anfore di Mende,<br />

oltre a quello già citato di Porticello, sono stati rinvenuti<br />

nelle acque <strong>del</strong>l’isola di Alonissos nelle Sporadi<br />

settentrionali 20 e Tektaş Burnu 21 , vicino alle coste<br />

<strong>del</strong>la Turchia, a Sud <strong>del</strong> moderno porto di Çesme 22 .<br />

In tutti i casi si tratta di carichi compositi, in cui queste<br />

anfore viaggiano con altri contenitori ed altre<br />

merci. Anche i vettori, oltre ad avere carichi eterogenei,<br />

sembrano avere tonnellaggi differenti. Per esempio,<br />

il relitto di Alonissos nelle Sporadi settentrionali,<br />

con un carico veramente ingente per l’orizzonte<br />

cronologico a cui si riferisce, ha un carico composito<br />

di anfore di Mende e di anfore di Peparethos, prodotte<br />

localmente, computabile nell’ordine di migliaia<br />

di contenitori, ed il battello sembra essere lungo oltre<br />

25 metri. Si trattava quindi di una nave di discrete<br />

proporzioni, che stava caricando vino nei vari porti,<br />

probabilmente diretta a Occidente, naufragata a carico<br />

pieno poco dopo la partenza 23 . Invece i carichi di<br />

stiva di Tektaş Burnu e <strong>del</strong> relitto di Ounoissos sono<br />

molto più ridotti, entrambi valutabili nell’ordine di<br />

300-400 contenitori, ed anche gli scafi, sulla base <strong>del</strong>l’area<br />

di spargimento <strong>del</strong> carico, non superavano i 20<br />

metri. Ma anche in questi casi i carichi sono misti,<br />

con provenienze diverse, anche se probabilmente<br />

caricati da scali non molto distanti tra di loro. Lo<br />

stesso può dirsi per il relitto di Porticello che presen-<br />

VINCENZO DI GIOVANNI<br />

- 177 -<br />

ta, come è noto, un carico di bronzi, ceramica e probabilmente<br />

poche centinaia di anfore, su un battello<br />

di non più di 15 metri.<br />

Le rotte verso Occidente avranno seguito una navigazione<br />

di piccolo cabotaggio, essenzialmente costiera,<br />

come tra l’altro sembra suggerire anche il relitto di<br />

Capo Palinuro: doppiato il famigerato Capo Maleo 24 ,<br />

prevedevano certamente uno scalo a Siracusa 25 e, attraversato<br />

lo stretto di Messina, risalivano la costa fino ai<br />

porti <strong>del</strong>la Campania e <strong>del</strong>l’Etruria.<br />

Come si accennava, il fatto che gran parte <strong>del</strong>le<br />

attestazioni di questi contenitori commerciali sia<br />

concentrato nel corso <strong>del</strong>la seconda metà <strong>del</strong> V secolo<br />

a. C. costituisce un dato da valutare 26 . La città di<br />

Mende è alleato ‘storico’ di Atene e fa parte <strong>del</strong>la<br />

Lega Delio-Attica fin dal 451 a. C. 27 Durante la guerra<br />

<strong>del</strong> Peloponneso (431- 404 a. C.) è luogo di battaglie<br />

e repentini cambiamenti di fronte 28 . Questo legame<br />

politico non può non aver avuto <strong>del</strong>le valenze<br />

commerciali: sulla scorta <strong>del</strong> dato cronologico e <strong>del</strong><br />

mo<strong>del</strong>lo distributivo, non è difficile mettere in relazione<br />

la presenza di questi contenitori commerciali<br />

con la ricerca da parte <strong>del</strong>la capitale <strong>del</strong>l’Attica, in<br />

difficoltà negli approvvigionamenti cerealicoli durante<br />

la guerra contro Sparta, di nuovi mercati su cui<br />

reperire il grano e in cui agevolmente smerciare vino<br />

e ceramica di qualità superiore, e non è certo casuale<br />

che siano la Sicilia, la Campania ed il Chersoneso<br />

Pontico i luoghi dove si concentrano le attestazioni<br />

di questa classe di materiali 29 . Nel corso <strong>del</strong> IV secolo<br />

essa tende a scomparire, almeno in Occidente;<br />

probabilmente la causa è il vino rodio che, a partire<br />

dalla metà di questo secolo e per i due successivi,<br />

‘saturerà il mercato’ <strong>del</strong> vino di qualità 30 .<br />

Il dato interessante dal punto di vista tipologico -<br />

e quindi dal punto di vista economico in senso lato -<br />

è costituito dal fatto che il mo<strong>del</strong>lo a cui si ispirano i<br />

contenitori di produzione italica, che proprio alla<br />

metà <strong>del</strong> IV secolo incominciano ad essere prodotti<br />

in area tirrenica, non sono le diffuse e commercialmente<br />

fortunate anfore rodie, ma proprio queste<br />

anfore greco-orientali con il corpo a trottola, le anse<br />

larghe e il piede ben definito. Non a caso la critica<br />

moderna ha chiamato questi nuovi contenitori commerciali<br />

vinari, simbolo <strong>del</strong>la capacità produttiva italica,<br />

‘anfore greco-italiche’ 31 .


Note<br />

Ringrazio il Soprintendente Archeologo<br />

Dott.ssa Maria Luisa Nava per avermi dato<br />

la possibilità di studiare questo rinvenimento.<br />

Ringrazio anche l’amico Carlo Leggieri<br />

che per primo ha visionato ed analizzato i<br />

reperti e che mi ha interessato alla ricerca.<br />

Un ringraziamento va anche al Dott. Luca<br />

Basile, che mi ha aiutato nel reperimento<br />

<strong>del</strong>la bibliografia e nella riflessione sulle<br />

problematiche relative alla diffusione di<br />

questi materiali nel V secolo. Dedico questa<br />

breve nota alla memoria di Nicola Severino,<br />

archeologo innamorato <strong>del</strong> mare e <strong>del</strong>la vita<br />

e amico dolcissimo.<br />

1<br />

MUNSELL 2000.<br />

2 Gli esemplari visionati erano completamente<br />

coperti da concrezioni marine ed<br />

erano integri, per cui l’analisi autoptica <strong>del</strong>le<br />

argille ha potuto essere effettuata solo sommariamente.<br />

3 Su queste anfore da Gela cfr. SPAGNOLO<br />

2003, p. 625, con relativa bibliografia. Per la<br />

prima identificazione di questa produzione<br />

anforaria sulla base dei pur rari bolli con tipi<br />

monetali <strong>del</strong>la città di Mende, con l’anfora e<br />

Dioniso sull’asino, cfr. GRACE 1949, p. 182,<br />

tav. 20, n. 1; GRACE 1961, fig. 43.<br />

4<br />

PAPADOPULOS et Alii 1999, p. 165; SALVIAT<br />

1990, pp. 470-476.<br />

5<br />

SPAGNOLO 2003, p. 625.<br />

6<br />

SPAGNOLO 2003, p. 626; abbastanza irrilevante<br />

invece sembra la presenza, fortemente<br />

caratterizzante e palesemente intenzionale,<br />

<strong>del</strong>la digitalatura sull’attacco basso <strong>del</strong>l’ansa,<br />

che pare essere piuttosto comune a<br />

tutte le produzioni nord-egee di periodo<br />

classico (SPAGNOLO 2003, p. 619).<br />

7<br />

PAPADOPULOS et Alii 1999, p. 163, fig. 3. Per<br />

le specifiche <strong>del</strong> contesto di rinvenimento si<br />

veda anche SPARKS - TALCOTT, p. 393, pozzo<br />

H 13:4.<br />

8<br />

SPAGNOLO 2003, p. 626, tav. V, 4 ed ivi<br />

bibliografia su distribuzione <strong>del</strong> tipo nel<br />

Mediterraneo orientale, vedi note da 145 a<br />

150.<br />

9<br />

EISEMAN 1973, pp. 13-15, fig. 1-3. Per una<br />

discussione sulla datazione <strong>del</strong> relitto cfr.<br />

LAWALL 1998, p. 16-23.<br />

SALTERNUM<br />

10 WHITEBREAD 1995, p. 201-202; p. 204.<br />

11 DI SANDRO 1986, pp. 82-84, tav. 16, nn.<br />

197-200.<br />

12 DI SANDRO 1981 pp. 10 e s., fig. 3, n. 4;<br />

anfore ascritte allo stesso ambito produttivo,<br />

ma da contesto più antico anche da<br />

Cuma (SAVELLI 2006, pp. 115-116, TTA<br />

382 - TTA 383).<br />

13 CAIAZZA 2000.<br />

14 SIRANO 2005.<br />

15 Per un inquadramento generale <strong>del</strong>le attestazioni<br />

siciliane, cfr. ALBANESE 1996, pp.<br />

91-137, 104-108, a cui bisogna aggiungere,<br />

da Messina: BACCI - TICANO 2003, p. 95,<br />

fig. 14 (ultimo quarto <strong>del</strong> V); dal Catanese:<br />

ALBANESE PROCELLI 2003, pp. 37 -47; da<br />

Solunto (area Elima): GRECO 2000, p. 687,<br />

tav. CXVI , 8; da Imera: ALLEGRO -<br />

VASSALLO 1992, 79-150, 115-116, n. 135,<br />

fig. 8. Tali materiali sono da tenere in considerazione<br />

anche perché provenienti da un<br />

ambito funerario, con probabile funzione di<br />

elemento di prestigio nel corredo, come gli<br />

esempi campani <strong>del</strong>l’interno (ALBANESE<br />

PROCELLI 2009). Probabile anche la presenza<br />

di questo contenitore commerciale a<br />

Lipari (CAVALIER 1985, p. 65, fig. 16, n. 61).<br />

16 SPAGNOLO 2003, p. 625, ni. 127-128. A<br />

queste si possono aggiungere le attestazioni<br />

da Olbia Pontica: LEJPUNSKAJA et Alii,<br />

2010, pp. 355-406, e ivi altra bibl.<br />

Interessante anche le presenza nelle aree<br />

interne ucraine, dove questi contenitori<br />

sembrano avere un mo<strong>del</strong>lo distributivo di<br />

tipo fluviale (KARAJKA 2007, pp. 133-141).<br />

17 PAPADOPULOS - PASPALAS 1999, p. 170 ss.<br />

fig. 2.<br />

18 FOLEY et Alii 2009, 2009, p. XX, fig. 13.<br />

Anfore simili sono anche esposte nel Museo<br />

<strong>Archeologico</strong> di Çesme, senza indicazione di<br />

provenienza. Un altro confronto morfologico<br />

con materiale leggermente più tardo dall’alto<br />

Adriatico, anch’esso attribuito produttivamente<br />

all’ambito produttivo chiota, in DE<br />

LUCA DE MARCO 1979, p. 584, tav. III, n. 8.<br />

19 HADJIDAKI 1996, p. 573 ss.<br />

20 CARLSON 2003, p. 590 ss.<br />

21 Notizia di un relitto con anfore di Mende,<br />

genericamente datato nella seconda metà<br />

- 178 -<br />

<strong>del</strong> V secolo ma senza precise indicazione<br />

sulle dimensioni <strong>del</strong> carico, anche a<br />

Sithonia vicino alle coste <strong>del</strong>la penisola<br />

<strong>del</strong>la Calcidica (PARKER 1992, n. 1095).<br />

22<br />

HADJIDAKI 1996, p. 590.<br />

23 Strabone, Geogr. 8, 6,2; Plinio, Ep. 10, 26.<br />

Difficile valutare il reale uso per fini commerciali<br />

<strong>del</strong> Diolkos, una sorta di percorso<br />

lastricato con una sorta di binari incassati,<br />

che permetteva di passare via terra attraverso<br />

l’istmo di Corinto trascinando le navi e<br />

i carichi evitando le insidie <strong>del</strong> Capo Maleo.<br />

Sull’argomento cfr. RAEPSAET - TOLLEY<br />

1993, in particolare p. 249 con raccolta <strong>del</strong>le<br />

fonti antiche e ampia bibliografia.<br />

24 Cfr. per esempio LAGONA 1987.<br />

25 Si vedano le considerazioni sul campione<br />

geloo in SPAGNOLO 2003, p. 628.<br />

26 Cfr. MUSTI 1989, pp. 239-241; 243-244;<br />

334-336.<br />

27 Tucidide, IV, 121, 123.<br />

28 Per la Campania, ed in particolare per il<br />

ruolo privilegiato <strong>del</strong>la città di Neapolis con<br />

gli Ateniesi, cfr. CERCHIAI 2010, p. 97-99.<br />

con bibliografia ampia e aggiornata; si veda<br />

pure, in generale, MELE 2006, p. 250-252.<br />

29 Manca purtroppo uno studio di dettaglio<br />

sulla articolazione <strong>del</strong>la distribuzione di<br />

queste anfore, quasi sempre bollate e ben<br />

riconoscibili, dalla Campania. Per un esempio<br />

dal Nord <strong>del</strong>la Campania, cfr. CERA<br />

2004, 119, n. 299; per i problemi relativi alla<br />

datazione <strong>del</strong>le serie dei bolli, cfr.<br />

FINKIELSZTEJN 2001, in part. pp.13; 43-59.<br />

30 Esemplari simili dal punto di vista morfologico<br />

alle anfore nord-egee, piede a parte,<br />

sono prodotti in Magna Grecia alla metà <strong>del</strong><br />

V secolo a. C. (cfr. VANDERMERSCH 1995, p.<br />

63, dove vengono interpretate come imitazioni<br />

locali <strong>del</strong> tipo Corinzio B), ma anche<br />

le forme più tipiche <strong>del</strong> tipo greco-italico<br />

‘antico’ hanno caratteri comuni a quelli<br />

<strong>del</strong>le anfore nord-egee (VANDERMERSCH<br />

1995, p. 81-85.) Da ultima, con discussione<br />

sulla genesi morfologica, OLCESE 2004, pp.<br />

174-175.


Bibliografia<br />

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355.<br />

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C., Napoli.


- 180 -


PIETRO CAIAZZA, Caravaggio e la<br />

falsa Maddalena, L’officina <strong>del</strong>l’Arte<br />

5, Edizioni Arci Postiglione,<br />

Salerno 2009, 216 pp., 51 ill. f. t.<br />

Cade quanto mai opportuno,<br />

in coincidenza<br />

con le celebrazioni <strong>del</strong><br />

IV centenario <strong>del</strong>la morte di<br />

Michelangelo Merisi da Caravaggio<br />

(1610), questo volume focalizzato<br />

sulla rivisitazione e sulla discussione<br />

<strong>del</strong>le problematiche sia iconografiche<br />

sia iconologiche di un’opera<br />

<strong>del</strong> Caravaggio definita<br />

costantemente da quattro secoli<br />

come Marta e Maddalena, eseguita<br />

dal pittore lombardo verso gli ultimi<br />

anni <strong>del</strong> Cinquecento e dal 1975<br />

presente nel Detroit Institute of Arts di Detroit<br />

(Michigan, USA).<br />

Caiazza contesta infatti in radice, e senza scorciatoie<br />

né sconti, l’intitolazione <strong>del</strong> quadro, che fu ad esso<br />

attribuita in un inventario <strong>del</strong> 1606 e che da allora è<br />

stata da tutti gli storici <strong>del</strong>l’arte recepita tal quale,<br />

senza alcuna contestazione. Caiazza invece nega radicalmente<br />

che il tema <strong>del</strong> quadro possa riguardare le<br />

due sorelle nominate nei Vangeli, ed in particolare la<br />

figura <strong>del</strong>la Maddalena, che negli anni recenti ha fatto<br />

scorrere tanti (e decisamente troppi) fiumi d’inchiostro.<br />

Ma questo lavoro non è un romanzo, bensì una<br />

rigorosa ricerca storica, che si sforza di risalire fino alle<br />

circostanze precise che diedero a Caravaggio l’occasione<br />

di elaborare il dipinto.<br />

Lo studioso parte dalla constatazione che il quadro<br />

non presenta alcuno degli elementi iconografici tipici<br />

<strong>del</strong> personaggio <strong>del</strong>la Maddalena (in particolare<br />

ADRIANO CAFFARO<br />

Recensioni<br />

- 181 -<br />

denuncia l’assenza di gioielli, che in<br />

tutta la pittura tardomedievale,<br />

umanistica e rinascimentale caratterizzavano<br />

costantemente il personaggio<br />

medesimo). Inoltre, contesta<br />

che l’altro personaggio possa<br />

identificarsi con Marta, dato che<br />

costei è stata sempre rappresentata<br />

nella produzione artistica europea<br />

come una sorella maggiore e più<br />

anziana: la riprova di questo assunto<br />

è per Caiazza un’altra opera <strong>del</strong>lo<br />

stesso Caravaggio di circa dieci anni<br />

posteriore (la Resurrezione di<br />

Lazzaro, oggi a Messina), nella<br />

quale Caravaggio rappresenta le<br />

due sorelle appunto secondo la tradizionale<br />

redazione iconografica,<br />

con Marta quale sorella anziana e<br />

Maddalena decisamente pià giovane: e cioè, l’esatto<br />

contrario di quanto appare nella tela di Detroit.<br />

Dunque - sostiene Caiazza - sia l’assenza dei gioielli,<br />

sia l’impossibilità di identificare i due personaggi<br />

per l’età ed il ruolo ad essi tradizionalmente attribuiti,<br />

dimostrano che non possiamo trovarci dinanzi alle<br />

due donne dei Vangeli. Ma esistono anche due gravi<br />

errori interpretativi nella generalità degli studiosi: il<br />

primo è l’aver <strong>del</strong> tutto omesso di notare che la donna<br />

nel quadro è vistosamente incinta, e quindi non può<br />

essere la Maddalena; il secondo è che, anche dal punto<br />

di vista più rigorosamente teologico, le due donne rappresentate<br />

nella tela non possono in ogni caso essere<br />

Marta e Maddalena. Ed infatti, sostiene l’autore, se il<br />

quadro rappresentasse davvero il momento <strong>del</strong>la conversione<br />

<strong>del</strong>la Maddalena, tale impostazione sarebbe<br />

un grave errore sotto il profilo più strettamente teologico,<br />

in quanto rimuoverebbe dall’episodio il ruolo


centrale ed insostituibile che il Cristo ebbe nella conversione<br />

<strong>del</strong>la peccatrice. Di conseguenza, Caiazza<br />

contesta la lettura iconologica in chiave ‘mistica’ effettuata<br />

nel 1975 da F. Cummings ed accettata troppo<br />

uniformemente da tutta la critica d’arte in quest’ultimo<br />

mezzo secolo: per Caiazza il Cummings giunge<br />

addirittura ad alterare il senso di un celebre inno di san<br />

Roberto Bellarmino (Pater superni luminis) che invece<br />

dimostra - a parere <strong>del</strong>l’autore - esattamente il contrario<br />

<strong>del</strong>la proposta <strong>del</strong> Cummings in quanto, mediante<br />

una precisa formula trinitaria, l’inno richiama appunto<br />

il momento preciso nel quale Gesù guardò la<br />

Maddalena inducendola alla conversione. In questo<br />

senso, Caiazza rimprovera al Cummings di aver effettuato<br />

una confusione ingiustificata di opere di altri<br />

autori coevi al Caravaggio, che rappresentavano Marta<br />

che rimprovera la sorella per la sua vita peccaminosa,<br />

mentre invece secondo Cummings il Caravaggio fonderebbe<br />

insieme il momento <strong>del</strong> rimprovero con quello<br />

<strong>del</strong>la conversione, ma in tal modo finirebbe (sebbene<br />

Cummings paia non rendersene conto) appunto<br />

per rimuovere o tacere il ruolo centrale di Gesù.<br />

Qual è allora il soggetto <strong>del</strong>l’opera? Caiazza avanza<br />

un’ampia e precisa ipotesi, presentata entro due<br />

prospettive di indagine storica: la prima è quella che<br />

riguarda la committente stessa <strong>del</strong> quadro di<br />

Caravaggio, e cioè Donna Olimpia Aldobrandini; la<br />

seconda è quella che riguarda un confronto tra l’opera<br />

di Caravaggio ed un’opera di Tiziano, e che tocca<br />

conseguentemente anche il problema <strong>del</strong>la maturazione<br />

da parte <strong>del</strong> Caravaggio di una sua poetica, sostanzialmente<br />

<strong>del</strong> tutto diversa, se non contrapposta, a<br />

quella <strong>del</strong> Tiziano e <strong>del</strong>la pittura veneta <strong>del</strong> XVI secolo.<br />

Caiazza fa infatti notare che Donna Olimpia<br />

Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII (1592-<br />

1605) e sorella <strong>del</strong> cardinal nepote Pietro<br />

Aldobrandini, in quattordici anni di matrimonio<br />

(1587-1601) con Gianfrancesco Aldobrandini,<br />

comandante generale <strong>del</strong>l’esercito pontificio, ebbe da<br />

lui ben dodici figli, e quindi era quasi sempre in stato<br />

interessante, come appunto Caravaggio rappresenta la<br />

donna centrale <strong>del</strong> quadro: e Donna Olimpia dovette<br />

essere - come <strong>del</strong> resto tutti ammettono - anche la<br />

committente <strong>del</strong> quadro, tanto che esso si trovava<br />

nella camera antistante la sua camera da letto, come<br />

testimonia un inventario redatto nell’anno 1606. Ma in<br />

quali circostanze e perché Donna Olimpia commissio-<br />

SALTERNUM<br />

- 182 -<br />

nò il quadro a Caravaggio? Naturalmente, allo stato<br />

attuale <strong>del</strong>la documentazione storica ed archivistica,<br />

noi non abbiamo documenti che forniscano motivazioni<br />

certissime: e tuttavia l’autore avanza una ipotesi<br />

altamente suggestiva, e con un buon grado di probabilità,<br />

o almeno di ragionevolezza.<br />

A Ferrara, ricorda infatti Caiazza, Tiziano aveva<br />

dipinto verso il 1519-1520 un quadro su commissione<br />

<strong>del</strong> duca Alfonso I d’Este (da pochi anni vedovo di<br />

Lucrezia Borgia), nel quale Tiziano aveva rappresentato<br />

il duca con la sua nuova amata, Laura Dianti dalla<br />

quale ebbe dei figli e dei discendenti che però settant’anni<br />

dopo Clemente VIII considerò illegittimi al fine<br />

di poter rientrare in possesso di Ferrara, feudo <strong>del</strong>la S.<br />

Sede. Come che sia, nel quadro il Tiziano aveva rappresentato<br />

i due amanti, Alfonso e Laura, in un<br />

momento di intimità mentre la donna faceva Toletta<br />

allo specchio (come le varie copie <strong>del</strong> quadro presenti<br />

oggi in almeno quattro musei d’Europa vengono definite).<br />

La singolarità <strong>del</strong> quadro di Tiziano in relazione a<br />

quello di Caravaggio consiste per Caiazza nel fatto che<br />

in quel quadro ferrarese Tiziano aveva rappresentato<br />

una decina di elementi che ricompaiono poi nella tela<br />

di Detroit: lo specchio convesso con il suo riflesso di<br />

luce, il tavolo con il vasetto di profumo ed il pettine,<br />

la ‘fede’, o anello, all’anulare sinistro, la posa stessa<br />

<strong>del</strong>la donna, ed altro ancora. Caiazza sostiene allora<br />

che tanti elementi presenti nei due quadri non possono<br />

essere affatto casuali, bensì devono dipendere gli<br />

uni dagli altri: vale a dire che Caravaggio deve aver<br />

visto a Roma il quadro di Tiziano che rappresentava<br />

Alfonso e Laura, e deve aver ricavato proprio da questo<br />

quadro gli elementi che ritroviamo in comune<br />

nelle due tele, anche se da Caravaggio rielaborati e<br />

rifusi in un contesto <strong>del</strong> tutto diverso.<br />

La lettura è supportata, a livello <strong>del</strong>le circostanze<br />

storiche contemporanee, proprio dalla vicenda <strong>del</strong><br />

ducato di Ferrara e <strong>del</strong>la sua ‘devoluzione’. Infatti, nel<br />

1597, papa Clemente VIII considerò estinta la linea<br />

legittima degli Este a Ferrara, ed incaricò il nipote<br />

card. Pietro Aldobrandini (fratello di Olimpia) di organizzare<br />

una spedizione militare verso Ferrara (guidata<br />

dal generale Gianfrancesco Aldobrandini, marito di<br />

Olimpia). La riconquista <strong>del</strong> ducato da parte <strong>del</strong> potere<br />

pontificio nel successivo 1598 comportò anche il<br />

trasferimento a Roma da parte <strong>del</strong> cardinale Pietro e<br />

<strong>del</strong> seguito papale (tra cui il card. Del Monte, amico e


protettore di Caravaggio, da lui ospitato nella sua residenza<br />

romana di Palazzo Madama) di moltissime<br />

opere d’arte presenti nel castello e nella città di Ferrara<br />

o anche acquistati dall’Aldobrandini a Venezia: in tale<br />

occasione, giunsero a Roma molte opere di Tiziano.<br />

Caiazza, dunque, propone, sulla scorta di queste<br />

precise ed incontestabili circostanze storiche, l’ipotesi<br />

che tra i tanti quadri di Tiziano dovette giungere a<br />

Roma anche quello che rappresentava l’affetto di<br />

Alfonso I verso Laura Dianti, che questo quadro fu<br />

visto da Donna Olimpia la quale dovette commissionare<br />

a Caravaggio una tela che rappresentasse il suo<br />

stato di moglie fe<strong>del</strong>e e prolifica (forse proprio come<br />

dono per Gianfrancesco): ma, non essendo presente<br />

costui a Roma (dato che era a Ferrara), Caravaggio<br />

deve aver sostituito all’uomo <strong>del</strong>la tela <strong>del</strong> Tiziano una<br />

fantesca di Donna Olimpia che fa il conto sulle dita<br />

<strong>del</strong> tempo che manca al parto, e cioè proprio in riferimento<br />

all’avanzata gravidanza rappresentata con ogni<br />

evidenza da Caravaggio nella sua tela.<br />

E, tuttavia, la conclusione alla quale Caiazza ritiene<br />

di poter approdare nella sua ipotesi interpretativa con-<br />

ADRIANO CAFFARO<br />

- 183 -<br />

siste nel fatto che con questo quadro Caravaggio ha<br />

avuto il destro - a seguito <strong>del</strong>la commissione datagli da<br />

Donna Olimpia - per differenziare la sua poetica pittorica<br />

da quella di Tiziano e di tutta la pittura veneta,<br />

specie <strong>del</strong> secondo Cinquecento: non a caso, conclude,<br />

infatti, l’autore, è con questo quadro che<br />

Caravaggio cominciò, come dice il Bellori, ad ‘ingagliardire<br />

gli oscuri’ e cioè a chiudere lo sfondo <strong>del</strong>le<br />

tele con ombre sempre più fitte, dalle quali faceva poi<br />

balzare alla luce i protagonisti <strong>del</strong>le sue opere.<br />

In conclusione, Caiazza, oltre a contestare decisamente<br />

l’attuale titolazione <strong>del</strong> quadro come di Marta e<br />

Maddalena, propone invece suggestivamente di intitolarlo<br />

come La Fe<strong>del</strong>tà coniugale (ovvero Donna Olimpia<br />

Aldobrandini) quale testimonianza <strong>del</strong>l’affetto di una<br />

moglie per il marito lontano, pensato dunque come<br />

dono per il ritorno <strong>del</strong>lo sposo; ma propone anche di<br />

considerarlo come un momento nodale nella parabola<br />

artistica e spirituale <strong>del</strong> Caravaggio, molto più di quanto<br />

finora si sia riconosciuto, per l’elaborazione <strong>del</strong>la<br />

poetica e <strong>del</strong>la stessa visione <strong>del</strong> mondo, che<br />

Caravaggio in quei precisi anni andava elaborando.


- 184 -


Appunti di viaggio<br />

In Cina: i guerrieri di Xi’an<br />

Andare in Cina e non visitare il grande<br />

esercito di soldati in terracotta a Xi’an è<br />

come andare in Egitto e non vedere le<br />

piramidi.<br />

I maestosi guerrieri di Xi’an, insieme alla Grande<br />

Muraglia, costituiscono ormai i simboli monumentali<br />

di una interessante nazione, desiderosa di mostrarsi<br />

e di proporsi con la grandezza <strong>del</strong>la sua storia, la<br />

bellezza <strong>del</strong>la sua arte e la tenacia operativa dei suoi<br />

tantissimi abitanti.<br />

I lavori di ritrovamento <strong>del</strong> grande e di un meno<br />

noto ‘piccolo’ esercito di soldati in terracotta nei<br />

pressi di Xi’an, come i lavori <strong>del</strong>la recente Expo di<br />

Shanghai, possono essere gli esempi <strong>del</strong> segno di una<br />

Cina determinata a cambiare con l’apertura a nuove<br />

tecnologie e a nuovi visitatori. Il rinnovamento,<br />

applicato nei campi più diversi <strong>del</strong>le attività umane,<br />

riguarda anche il turismo archeologico, considerato,<br />

per altro, una rafforzata fonte di guadagno e Xi’an<br />

con il suo parco archeologico, visitato da milioni di<br />

persone ogni anno, in questo caso lo conferma.<br />

Tappa obbligata, dunque, Xi’an dista due ore<br />

circa di aereo da Pechino. Con il suo illustre passato<br />

di capitale imperiale, ma con una dimensione più<br />

umana rispetto ad altre città cinesi, offre nel parco<br />

imperiale di Qin Shihuang, ai piedi <strong>del</strong>la collina artificiale<br />

di Li Shan, nella provincia di Shaanxi, uno<br />

spettacolo archeologico e culturale eccezionale.<br />

Il colpo d’occhio <strong>del</strong>la fossa n° 1 è immediato e<br />

suggestivo e induce a considerare la grandiosità <strong>del</strong>l’opera<br />

d’arte, il singolare ingegno e la fatica di chi ha<br />

lavorato 2200 anni or sono; motivazioni che giustificano<br />

che quest’opera sia stata annoverata tra i tesori<br />

patrimonio <strong>del</strong>l’Umanità indicati dall’UNESCO.<br />

Ci si trova di fatto al cospetto <strong>del</strong>la più importante<br />

scoperta archeologica <strong>del</strong> XX secolo: un capolavoro<br />

artistico e storico per il realismo con cui è stato<br />

ROSALBA TRUONO IANNONE<br />

- 185 -<br />

Fig. 1.<br />

Fig. 2.<br />

creato e che permette di approfondire le conoscenze<br />

<strong>del</strong>la Cina dei primi anni <strong>del</strong>l’Impero.<br />

Si tratta <strong>del</strong> tumulo mortuario <strong>del</strong> primo imperatore<br />

cinese, Qin Shihuang, colui che unificò la Cina e<br />

che a guardia <strong>del</strong>la sua tomba fece realizzare un esercito<br />

di guerrieri di terracotta, riprodotti a grandezza<br />

naturale nel III sec. a. C. Cosicché mentre Roma contendeva<br />

a Cartagine il dominio sul Mediterraneo, in<br />

Estremo Oriente Zheng, un giovane monarca tredicenne,<br />

dava inizio al processo di costruzione <strong>del</strong>


Fig. 3.<br />

Fig. 4.<br />

gigantesco impero cinese. Quando fu nominato re<br />

dei Qin, nel 246 a. C., Zheng fu a capo di un regno<br />

che era in lotta da più di due secoli con le monarchie<br />

vicine. Nonostante fosse giovane, in poco tempo<br />

vinse i suoi nemici e unificò l’Impero. Come primo<br />

imperatore <strong>del</strong>la Cina, con il nome di Qin Shihuang,<br />

volle la sua estrema dimora sotto il tumulo, oggi collina<br />

di Li. Qui costruì una vera e propria città sotterranea,<br />

una miniatura di tutto l’impero. Il mausoleo,<br />

circondato da due cerchie murarie, nell’ultima fase fu<br />

sepolto sotto un’enorme quantità di terra e ancora<br />

sconosciuta ne è la profondità.<br />

Uno storico <strong>del</strong>la dinastia Han, Si Maqian, scrive<br />

che il progetto imperiale era così ambizioso che per<br />

trentasei anni richiese il lavoro incessante di 700.000<br />

uomini. Furono costoro a costruire templi lussuosi,<br />

alti torrioni, dimore e palazzi sontuosamente arredati.<br />

Il soffitto <strong>del</strong>la tomba imperiale pare fosse adorno<br />

di costellazioni celesti in pietre preziose ed il pavimento,<br />

a forma di una vasta terra, era attraversato da<br />

fiumi e contornato da mari che non contenevano<br />

SALTERNUM<br />

- 186 -<br />

acqua, ma mercurio. Gli edifici esterni per varie<br />

cause furono distrutti, ma si pensa che enormi ricchezze<br />

giacciano ancora sottoterra.<br />

La scoperta archeologica fu casuale e la si deve ad<br />

un contadino <strong>del</strong>la Comune agricola Yanzhai, che<br />

nello scavare un pozzo, durante la primavera <strong>del</strong><br />

1974, sul monte Li, trovò a 5 metri di profondità, a<br />

1500 metri circa dal tunnel imperiale, la testa di un<br />

guerriero. Il contadino, oggi ottantenne, che orgogliosamente<br />

si compiace di rilasciare autografi ai visitatori<br />

<strong>del</strong> sito, riportò il fatto e il reperto alla Comune<br />

agricola che informò Pechino. Arrivarono sul posto<br />

gli archeologi che nel 1976 scoprirono l’esistenza di<br />

una galleria, dove erano allineate 6.000 statue, rappresentanti<br />

l’esercito personale <strong>del</strong>l’imperatore Qin,<br />

disposto per la battaglia.<br />

I guerrieri di terracotta, che si trovano a 1,5 km ad<br />

Est <strong>del</strong> tunnel mortuario <strong>del</strong>l’imperatore, si dividono<br />

in tre gruppi, e sembrano pronti per intraprendere la<br />

guerra. Insieme ai soldati ci sono carri da guerra e<br />

cavalli. Un esempio <strong>del</strong>la grandezza <strong>del</strong>l’opera ci è<br />

dato dalla fossa oblunga n° 1, la più grande, perché<br />

copre 14260 mq. In essa sono esposte 6.000 statue e<br />

cavalli di terracotta, carri di legno, organizzati in una<br />

formazione rettangolare di quattro parti: l’avanguardia,<br />

il corpo principale, le ali e la retroguardia.<br />

Negli undici tunnel furono messi colonne di cocchi<br />

e fanti armati. Evidentemente il corpo principale<br />

<strong>del</strong>lo schieramento, indicante la forza irresistibile <strong>del</strong>l’esercito!<br />

All’estremità, due squadre di guerrieri<br />

schierati di fronte a Nord e a Sud, come ali <strong>del</strong>l’esercito,<br />

sembrano pronti a resistere agli attacchi sui lati. A<br />

Nord-Est la fossa n° 2 , su una superficie di 6.000 mq,<br />

ospita altri cavalli che tirano carri, alcuni per la cavalleria,<br />

altri guerrieri che portano in una mano la balestra.<br />

Alcuni indossano la corazza e tirano in ginocchio,<br />

altri in piedi, altri disposti in cerchio per tirare alternativamente<br />

contro i nemici.<br />

Con una superficie di 500 mq circa, malgrado sia<br />

piccola, la fossa n° 3 ha una posizione più importante<br />

<strong>del</strong>le due maggiori, perché le figure rinvenute, i<br />

cavalli e i soldati sono muniti di strumenti da cerimonia<br />

e allineati come un corpo di guardia. E’ qui che<br />

sono state scoperte corna di cervo e ossa di animali<br />

serviti per sacrifici, che attestano la funzione <strong>del</strong>la<br />

fossa n° 3 come la sede <strong>del</strong> quartiere generale.<br />

La dimensione <strong>del</strong>lo scavo <strong>del</strong>le tre fosse è più di<br />

20.000 mq. Il lavoro degli archeologi e dei restaura-


tori dal 1974 ad oggi è incessante e costituisce solo<br />

un terzo <strong>del</strong> progetto finito. Le metodologie di scavo<br />

e di conservazione sono molto particolari e le stesse<br />

da anni; vale a dire si ritrova, si ripara e si presenta il<br />

reperto nel museo che diventa, in questo caso, anche<br />

un grande ed efficiente laboratorio, dove oltre ad<br />

avvalersi <strong>del</strong>la collaborazione di esperti di tutto il<br />

mondo, si utilizzano strumenti tecnologici moderni<br />

per la raccolta <strong>del</strong>le informazioni e per il restauro.<br />

Per quanto riguarda le armi a corredo <strong>del</strong>l’esercito,<br />

per rendere più reale l’atmosfera <strong>del</strong>la battaglia<br />

creata dallo schieramento dei soldati di Qin, esse<br />

sono state realizzate tutte in bronzo.<br />

Spade, coltelli curvi, lance, alabarde, armi piccole<br />

e lunghe, archi, frecce, armi da tiro, asce, armi da<br />

cerimonia sono oggetti reali, importanti per documentare<br />

la storia cinese. Su di esse sono scritti, fini e<br />

sottili come capelli, i nomi degli artigiani o quelli dei<br />

generali. Le armi di bronzo dissotterrate furono realizzate<br />

con tecniche avanzate. Fuse e mo<strong>del</strong>late, venivano<br />

limate, cesellate, perforate, lucidate e affilate<br />

secondo una foggia standard con tagli che rispettavano<br />

i principi <strong>del</strong>la tecnologia, di alto livello, inimmaginabile<br />

in una società antica, senza strumenti<br />

moderni. E’ stato verificato che le proporzioni <strong>del</strong>le<br />

leghe dei metalli impiegati erano preparate con accuratezza<br />

scientifica: le giuste proporzioni di rame e<br />

stagno nelle spade e nelle lance ne determinano l’esatta<br />

durezza; nelle punte <strong>del</strong>le frecce c’era meno stagno,<br />

ma il piombo era maggiore perché più velenoso.<br />

Ciò dimostra che durante la dinastia Qin, si era trovato<br />

uno standard relativamente ‘scientifico’ per<br />

determinare le proporzioni <strong>del</strong> metallo e rendere le<br />

armi più potenti. Una loro particolarità è anche una<br />

tecnica antiruggine. Tante armi sepolte da più di<br />

2200 anni sono infatti ancora lucide e ben affilate e<br />

dalle analisi risulta che tutte sono state cromate in<br />

superficie con un’opera artigianale molto specifica.<br />

Del grande esercito di terracotta è da ammirare<br />

l’arte plastica <strong>del</strong>le statue. Nelle tre fosse i circa 8.000<br />

guerrieri schierati con i loro cavalli in <strong>file</strong> regolari<br />

danno subito l’idea <strong>del</strong>la maestosità e <strong>del</strong>la potenza<br />

militare. In genere una statua è alta 1,80 m; le più alte<br />

misurano 2 m e tutte raffigurano uomini forti; un<br />

cavallo di terracotta è lungo 2 metri e alto 1,70: uguale<br />

ad un cavallo vero. E’ da sottolineare che le grandi<br />

quantità e le dimensioni non sono comuni alle<br />

figure di terracotta scoperte per le dinastie successi-<br />

ROSALBA TRUONO IANNONE<br />

- 187 -<br />

Fig. 5.<br />

Fig. 6.


ve. Un altro elemento singolare è lo stile realistico<br />

che si legge nella figurazione vivida ed autentica <strong>del</strong>le<br />

statue. Il realismo scultoreo dei reperti è sorprendente<br />

nella robustezza dei cavalli, nella divisione dei<br />

guerrieri per grado, nella differenza degli abiti, dei<br />

berretti, <strong>del</strong>le cinture o <strong>del</strong>le armature che indossano.<br />

I generali, per esempio, vestono due toghe lunghe<br />

con sopra un’armatura decorata a squame, calzature<br />

con la punta rivolta all’insù, cappelli con piume di<br />

fagiano, e il loro atteggiamento è leggiadro e distinto.<br />

Diversamente abbigliati sono gli ufficiali subalterni<br />

o i soldati eretti od inginocchiati.<br />

Un elemento sorprendente è la fattura <strong>del</strong> viso,<br />

per cui ogni statua è un capolavoro d’arte individuale:<br />

ogni viso, col suo diverso atteggiamento, è una<br />

pagina di dettagli personali; talvolta è ritratto anche<br />

qualche difetto, come il labbro leporino.<br />

Davanti a tanta varietà di personaggi sentiamo<br />

tutta la vitalità che esprimono e pare che stiano lì ad<br />

aspettare di poter aprire la bocca per conversare con<br />

noi, pronti a raccontare le loro vicende.<br />

Per quanto riguarda la pittura dai colori sgargianti<br />

occorre dire che esso è un altro elemento artistico<br />

che impreziosisce i numerosi reperti. Quasi tutti i<br />

guerrieri ed i cavalli furono dipinti a colori, ma a<br />

causa dei danni provocati dagli incendi e dalle erosio-<br />

SALTERNUM<br />

- 188 -<br />

ni <strong>del</strong> suolo, dovute all’azione disgregatrice <strong>del</strong>l’acqua<br />

nel corso di due millenni, la pittura originale sulle<br />

statue e sui cavalli oggi è purtroppo quasi sparita. Il<br />

colore conservato è quello dai toni accesi e dai contrasti<br />

forti, formato da pigmenti minerali che comprendono<br />

il rosso, il verde, il blu, il bianco, il nero e<br />

il giallo. Originariamente le figure umane e i cavalli<br />

erano quindi assai più belli e splendenti di oggi. Il<br />

risultato artistico è il frutto di un’alta tecnologia di<br />

fabbricazione <strong>del</strong>la terracotta ottenuto nella Cina<br />

antica e i tre gruppi di guerrieri costituiscono non<br />

solo uno spettacolo estetico per il visitatore, ma<br />

anche una testimonianza <strong>del</strong>l’antica arte militare<br />

cinese, le cui tecniche strategiche sono leggibili nell’aspetto<br />

e nella postura dei guerrieri che sembrano<br />

aspettare solo un ordine <strong>del</strong> loro imperatore per<br />

muoversi.<br />

A corredo dei guerrieri, nel grande museo sono<br />

anche due carrozze con cavalli di bronzo colorato,<br />

finemente lavorato; di recente scoperta, esse testimoniano<br />

l’alta tecnologia sviluppatasi nella Cina antica<br />

nella lavorazione <strong>del</strong> bronzo.<br />

E questo per il visitatore è il giusto completamento<br />

di uno spettacolo meraviglioso, certamente da non<br />

perdere!


SALTERNUM<br />

Indice<br />

Editoriale ............................................................................................................................................................................................p. 3<br />

di Gabriella d’Henry<br />

In ricordo <strong>del</strong> nostro Fondatore, Nicola Fierro............................................................................................................................p. 5<br />

di Felice Pastore<br />

La congiura di Capaccio....................................................................................................................................................................p. 9<br />

di Nicola Fierro<br />

Roccagloriosa, la tabula osca ed il caduceo: frammenti di un discorso sulla ‘città’ italica ....................................................p. 19<br />

di Maurizio Gualtieri<br />

I culti orientali in Campania nelle testimonianze archeologiche ..............................................................................................p. 29<br />

di Giovanni Vergineo<br />

Il tópos <strong>del</strong>la Campania felix nella poesia latina ..............................................................................................................................p. 47<br />

di Francesco Montone<br />

Giustiniano........................................................................................................................................................................................p. 59<br />

di Pietro Crivelli<br />

L’eremitismo rupestre, Prepezzano e la grotta <strong>del</strong>l’Angelo ......................................................................................................p. 71<br />

di Adriano Caffaro<br />

Il santuario di S. Maria <strong>del</strong>la Grotta e la Chiesa di S. Felice <strong>del</strong> casale<br />

di Balsignano nell’agro di Modugno (BA): luoghi di culto di un percorso antichissimo ....................................................p. 79<br />

di Claudio Armenise - Aurelia Daniela Rana<br />

Il ‘caso d’Oderisio’: il Maestro, la Croce e prospettive di lettura per una critica mancata ................................................p. 89<br />

di Gianmatteo Funicelli<br />

Analisi storica, archeologica e conservativa di due antiche cripte salernitane ....................................................................p. 101<br />

di Maria Amoruso<br />

Di san Tommaso sull’omonimo monte a Polla ......................................................................................................................p. 109<br />

di Vittorio Bracco<br />

Ricordo di Werner Johannowsky ................................................................................................................................................p. 113<br />

di Bruno d’Agostino<br />

Notizie dagli scavi<br />

Presentazione ..................................................................................................................................................................................p. 115<br />

di Maria Luisa Nava<br />

Salerno. Lo scavo di alcune sepolture in Via Vicinanza..........................................................................................................p. 119<br />

di Roberta Altobello<br />

Salerno. Le iscrizioni tardoantiche dalla necropoli di via Vicinanza ....................................................................................p. 125<br />

di Chiara Lambert<br />

Salerno. Corso Vittorio Emanuele: cinque nuove tombe e resti di una fornace da calce ................................................p. 129<br />

di Laura Mirabella<br />

- 189 -


SALTERNUM<br />

Archeologia nel centro storico di Salerno: le stratificazioni di Piazza Sant’Agostino ......................................................p. 133<br />

di Monica Viscione<br />

Lo scavo per il parcheggio <strong>del</strong>la tangenziale a Pastena (Salerno): alcune osservazioni sul paesaggio antico ................p. 139<br />

di Raffaella Bonaudo<br />

Salerno. Approvvigionamento idrico nell’area picentina ........................................................................................................p. 143<br />

di Daniela Pierno<br />

Area <strong>del</strong> Termovalorizzatore di Salerno: notizie preliminari <strong>del</strong>lo scavo archeologico ....................................................p. 147<br />

di Amedeo Rossi<br />

L’area sepolcrale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo in località Ostaglio (Salerno)......................................................................................p. 163<br />

di Tsao Cevoli<br />

Il popolamento <strong>del</strong>la Valle <strong>del</strong> Grancano in età romana ........................................................................................................p. 169<br />

di Monica Viscione<br />

Il commercio marittimo nel Tirreno meridionale: nuovi dati da un relitto nelle acque di Palinuro ................................p. 175<br />

di Vincenzo Di Giovanni<br />

Recensioni<br />

PIETRO CAIAZZA, Caravaggio e la falsa Maddalena........................................................................................................................p. 181<br />

di Adriano Caffaro<br />

Appunti di viaggio<br />

In Cina: i guerrieri di Xi’an ......................................................................................................................................................p. 185<br />

di Rosalba Truono Iannone<br />

- 190 -


- 191 -


Finito di stampare<br />

da Arti Grafiche Sud, Salerno<br />

nel mese di Novembre 2010

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