Download del file - Gruppo Archeologico Salernitano
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SALTERNUM<br />
SEMESTRALE DI INFORMAZIONE STORICA, CULTURALE E ARCHEOLOGICA<br />
A CURA DEL GRUPPO ARCHEOLOGICO SALERNITANO
REG. TRIB. DI SALERNO<br />
N. 998 DEL 31/10/1997<br />
ANNO XIV - NUMERO 24-25<br />
GENNAIO/DICEMBRE 2010
Quest’anno la rivista si è particolarmente arricchita.<br />
E questo grazie alla lungimiranza ed<br />
alla generosità <strong>del</strong>l’ultimo Soprintendente ai Beni<br />
archeologici, dottoressa Maria Luisa Nava - che certo<br />
rimpiangeremo - che ha compreso l’unicità <strong>del</strong> discorso<br />
culturale sul territorio e, sulla base di un accordo<br />
verbale, ha fatto sì che su ‘Sal(t)ernum’ apparisse uno<br />
‘speciale’ intitolato ‘Notizie dagli scavi’. Qualcosa di<br />
simile, ma in forma meno ampia, era già uscito nei<br />
numeri scorsi, ma si riferiva quasi esclusivamente al<br />
territorio foggiano; ora, invece, si parla dei lavori di<br />
scavo nella zona di competenza <strong>del</strong>la locale<br />
Soprintendenza. In pratica, la dottoressa Nava ha dato<br />
incarico ad una sua collaboratrice di raccogliere le relazioni<br />
dei giovani archeologi scientificamente responsabili<br />
di alcuni scavi condotti a Salerno e nelle immediate<br />
vicinanze, particolarmente interessanti per la storia<br />
<strong>del</strong>la nostra città, e di farli pubblicare su<br />
‘Sal(t)ernum’. Questo, per ottenere un doppio beneficio:<br />
per noi, di poter avere notizie di prima mano sui reperti<br />
ed accrescere così le nostre conoscenze storiche; per<br />
le Istituzioni (Soprintendenza ed Università) di rendere<br />
subito noto il lavoro dei nostri giovani archeologi, lavoro<br />
che spesso non viene presentato al pubblico prima di<br />
qualche decennio, o non viene presentato affatto, con il<br />
rischio, per le Istituzioni, di non stabilire un contatto<br />
interattivo con la Società dei cittadini.<br />
Un caro amico che non c’è più, Nicola Fierro, ci ha<br />
lasciato, come estremo contributo, il racconto di un<br />
GABRIELLA D’HENRY<br />
Editoriale<br />
- 3 -<br />
oscuro episodio di lotta tra poteri nell’ambito <strong>del</strong><br />
Medioevo, maturato in Campania con il punto di riferimento<br />
a Capaccio, con un seguito di lutti ed orrori.<br />
Di un altro caro amico che non c’è più, il compianto<br />
Werner Johannowsky, già Soprintendente ai Beni<br />
Archeologici di Salerno, pubblichiamo un ricordo da<br />
parte di un collega che lo conosceva fin da ragazzo.<br />
Nella Rivista possiamo trovare, inoltre, un importante<br />
studio di Maurizio Gualtieri, <strong>del</strong>l’Università di<br />
Alberta (Canada), a proposito di un’iscrizione osca su<br />
bronzo rinvenuta negli scavi di Roccagloriosa, nel<br />
Cilento, contenente alcune prescrizioni di carattere<br />
istituzionale. Un quadro <strong>del</strong>la Campania antica dal<br />
punto di vista letterario è dovuto alla penna di<br />
Francesco Montone e per quanto riguarda l’età tardoantica,<br />
il Socio <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong><br />
Pietro Crivelli ci offre una vivace descrizione <strong>del</strong>la<br />
poliedrica personalità <strong>del</strong>l’Imperatore Giustiniano.<br />
A proposito di periodi più recenti, volentieri pubblichiamo<br />
tre studi sul fenomeno <strong>del</strong>le chiese rupestri,<br />
così frequenti nell’Italia meridionale, i cui autori sono<br />
Adriano Caffaro, Claudio Armenise ed Aurelia<br />
Daniela Rana, ed una scheda tecnica sullo stato di<br />
conservazione <strong>del</strong>le pitture di due chiese salernitane,<br />
da parte di Maria Amoruso.<br />
Non manca, infine, il racconto di viaggio di<br />
Rosalba Truono, che questa volta ci parla <strong>del</strong>la Cina e<br />
<strong>del</strong>le schiere di armati in terracotta che vigilano<br />
sull’Imperatore Qin Shihuang.
- 4 -
In ricordo <strong>del</strong> nostro Fondatore,<br />
Nicola Fierro<br />
«Se le ingiurie <strong>del</strong> fato ci hanno privi<br />
di tanti meravigliosi edifizi,<br />
ci hanno però lasciato una brama ardente<br />
di considerarne ogni avanzo e di scoprirlo.<br />
Quindi apriamo spaziosamente la terra desiderosi<br />
di ritrovare in quella le sepolte magneficenze,<br />
e ritrovandole con gioia le contempliamo, temperata<br />
di mestizia per la dolce memoria».<br />
Ogni qualvolta rileggo questi versi di<br />
Alessandro Verri 1 , il mio pensiero va al<br />
prof. Nicola Fierro, Ispettore onorario<br />
<strong>del</strong>la Soprintendenza archeologica di Salerno e<br />
Avellino, fondatore <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong> e<br />
<strong>del</strong>la sua Rivista di Informazione storica, culturale e<br />
archeologica, ‘Sal(t)ernum’.<br />
L’amico Nicola, il compagno di tante campagne<br />
archeologiche, ci ha lasciato un anno fa, il 30 ottobre<br />
<strong>del</strong> 2009, in silenzio, con grande dignità, com’era suo<br />
costume, per far ritorno alla casa <strong>del</strong> Signore e, nel rito<br />
<strong>del</strong>la sepoltura, alla terra natia, la sua Bisaccia. Un<br />
ritorno da lui stesso voluto nella nobile patria irpina,<br />
che tante volte l’aveva visto difensore <strong>del</strong>la sua memoria<br />
storica. Quella memoria che si nasconde in profonde<br />
stratificazioni, a testimonianza di un glorioso passato<br />
sannita, ancora oggi vivo nel cuore di tante comunità,<br />
rese sensibili dall’operato di questo valente studioso.<br />
Il castello ducale di Bisaccia, oggi sede <strong>del</strong><br />
Museo Civico <strong>Archeologico</strong>, il cui recupero e la nuova<br />
destinazione d’uso erano stati voluti dalla determinazione<br />
e dalla tenacia di Nicola, possono oggi custodire<br />
i reperti rinvenuti durante le numerose campagne di<br />
ricognizioni e di scavo fatte in quel territorio, a cui egli<br />
stesso era chiamato a partecipare a seguito <strong>del</strong>le sue<br />
segnalazioni alle Autorità competenti.<br />
Anche per queste sue illuminate operazioni per la<br />
tutela e la valorizzazione dei Beni culturali, i Bisaccesi<br />
FELICE PASTORE<br />
- 5 -<br />
possono essere orgogliosi di aver avuto come concittadino<br />
Nicola Fierro: con il suo attaccamento alle radici<br />
dei suoi avi sanniti ha fatto conoscere loro la storia<br />
<strong>del</strong> territorio e li ha fatti riappropriare <strong>del</strong>la loro identità.<br />
Avevo conosciuto Nicola Fierro a Salerno, un<br />
pomeriggio di parecchio tempo fa, negli anni Novanta<br />
<strong>del</strong> secolo scorso. Ero da poco rientrato a Salerno<br />
dopo una lunga permanenza a Milano per impegni di<br />
lavoro. Conoscevo poche persone e una di loro una<br />
sera mi aveva portato al Club Alpino Italiano - sezione<br />
di Salerno, allora sede comune <strong>del</strong> neonato <strong>Gruppo</strong><br />
<strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>. Si teneva una Conferenza sulla<br />
città oraziana di Venosa, preparazione a un viaggio di<br />
studio in quella città, che poi facemmo insieme.<br />
Quando il mio sguardo si incrociò con quello di<br />
Nicola, capii subito che si trattava di una persona preparata<br />
e sensibile. Una persona che in quel momento<br />
si stava emozionando e provava le mie stesse sensazioni.<br />
Alla fine di quella serata un amico comune ci presentò:<br />
«il prof. Fierro, Fondatore <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong><br />
<strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>». Una stretta di mano di conoscenza<br />
e nacque subito una reciproca simpatia.<br />
Eravamo entrambi degli appassionati di archeologia e<br />
ripercorrere le strade <strong>del</strong>la storia ci affascinava.<br />
Trovammo subito un’intesa perfetta su come procedere<br />
nelle ricognizioni, che iniziammo presto a fare<br />
insieme all’amico Pietro Crivelli. Scegliemmo come<br />
campo d’azione la via Regio-Capuam e concentrammo<br />
la nostra attenzione su cinque stationes romane: Ad<br />
Silarum, Nares Lucanae, Acerronia, Forum Annii,<br />
Marcelliana. Così iniziarono gli studi <strong>del</strong> progetto A<br />
Silaro ad Marcellianum, ampliato poi, quando fui nominato<br />
direttore <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>,<br />
in quello più ampio, dal titolo L’archeodromo <strong>del</strong>la<br />
Campania meridionale (antica Lucania), oggi pubblicato<br />
sul sito web <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong> 2 e
che fu oggetto di una mostra fotografica con catalogo<br />
3 . Eravamo diventati praticamente inseparabili e fu<br />
proprio grazie anche ad una sua segnalazione ad un<br />
Funzionario <strong>del</strong>la Soprintendenza di Salerno che fui<br />
poi nominato Ispettore onorario <strong>del</strong> Ministero<br />
MI.BAC per la zona Monti Alburni - Vallo di Diano.<br />
La nostra amicizia era riuscita anche ad accomunarci<br />
nelle cariche di volontariato: entrambi Ispettori<br />
onorari, entrambi Direttori - lui tecnico, io amministrativo<br />
- <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>.<br />
La mattina dei fine settimana partivamo per ritrovare<br />
le ‘sepolte magneficenze’ <strong>del</strong>la via Regio-Capuam.<br />
Guardavo Nicola negli occhi: erano pieni di gioia;<br />
erano occhi che guardavano dappertutto, scrutavano<br />
ogni particolare che affiorava sul terreno, desiderosi di<br />
ritrovare qualche indizio che permettesse di ricostruire<br />
la storia di questo o quel posto. «Chi aveva costruito<br />
questa via? Marco Aquilio Gallo, Lucio Popilio<br />
Lenate, oppure i due Tito Annio, Lusco o Rufo?». Da<br />
queste domande, le sue ipotesi di come si dovesse<br />
chiamare questa strada: Via Aquilia, Popilia o Annia.<br />
Alla fine, forte di due documenti epigrafici, la chiamò<br />
‘via Appia-Annia’ 4 , quasi a voler fondere insieme le<br />
due ‘creature’ oggetto dei suoi studi.<br />
A ogni ricognizione recitavamo quei versi citati all’inizio…<br />
Nicola era desideroso e speranzoso di ritrovare,<br />
in quelle escursioni <strong>del</strong> sabato o <strong>del</strong>la domenica<br />
mattina, le «sepolte magneficenze». Un giorno, alle Nares<br />
Lucanae, quelle «magneficenze» le abbiamo ritrovate.<br />
Quella volta eravamo in quattro, con noi c’era anche la<br />
dott.ssa A<strong>del</strong>e Lagi, Ispettrice <strong>del</strong>la Soprintendenza<br />
Archeologica di Salerno. Eravamo andati a Zuppino,<br />
frazione di Sicignano degli Alburni, per prendere visione,<br />
in località Casali, di uno sterro fatto in un terreno<br />
privato, sbancato dalle ruspe per la costruzione di un<br />
nuovo fabbricato. Quel posto l’avevamo già indicato<br />
quale probabile luogo <strong>del</strong>la statio Nares Lucanae, ma non<br />
avevamo nessuna prova, se non un rinvenimento<br />
casuale fatto nel 1929 nello stesso luogo a seguito di<br />
lavori per portare l’acqua alla Stazione ferroviaria di<br />
Sicignano degli Alburni. Le Nares Lucanae erano importanti<br />
nell’economia <strong>del</strong>la strada e per questo erano state<br />
scelte per una sosta forzata da Cicerone in quel lontano<br />
8 aprile <strong>del</strong> 58 a. C. quando dovette scappare da<br />
Roma per ragioni politiche; lo stesso Cicerone le cita in<br />
SALTERNUM<br />
- 6 -<br />
un’accorata lettera all’amico Attico 5 . Le Nares erano<br />
state anche la sosta <strong>del</strong> bivacco di Spartaco durante la<br />
rivolta servile <strong>del</strong> 73 a. C., prima di arrivare a Forum<br />
Annii, l’attuale Polla, anch’essa citata nelle fonti scritte 6 .<br />
La scoperta che facemmo quel pomeriggio fu eccezionale<br />
perché ci permise di confermare la nostra ipotesi<br />
sull’ubicazione <strong>del</strong>le Nares Lucanae, che, dalla radice<br />
arcaica NAHAR, NAR, NER (corso d’acqua, fiume),<br />
significa ‘luogo ove abbondano acque sorgive’, come è<br />
ancora oggi di quel territorio. Sotto un cumulo di pietre<br />
furono rinvenuti due cippi funerari di II sec. d. C.,<br />
appartenuti uno ad un arcario, ovvero un esattore <strong>del</strong>le<br />
tasse, di nome Marco Mulusio Iuliano 7 , e l’altro ad uno<br />
schiavo, Ilarione, sposato a una certa Fallusa 8 . Due<br />
testimonianze che «…contemplammo con gioia, temperata di<br />
mestizia per la dolce memoria». Quel pomeriggio capimmo<br />
che avevamo concluso un percorso per il recupero di<br />
una identità storica: l’arcario poteva essere presente<br />
solo nelle mansiones e non nelle mutationes; le Nares,<br />
dunque, erano state senza dubbio una mansio. Quel<br />
giorno avevamo ridato ai cittadini di Zuppino e<br />
Sicignano degli Alburni quell’identità storica che cercavano<br />
sui loro antenati. Quei due cippi, affidati al proprietario<br />
<strong>del</strong> terreno e da lui mal custoditi, purtroppo<br />
scomparvero quasi subito e non ne abbiamo saputo<br />
più nulla.<br />
Ho voluto citare questa scoperta, tra le tante fatte da<br />
Nicola Fierro, perché ritengo che sia la più significativa<br />
per il <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>, ma grazie alla<br />
sua guida capace e intelligente molte altre scoperte sono<br />
state portate a termine e meglio conservate. Nell’Alta<br />
Irpinia, Bisaccia e la via Appia debbono a lui i rinvenimenti<br />
più esaltanti, a seguito <strong>del</strong>le preziose campagne di<br />
scavo egregiamente condotte dal compianto Gianni<br />
Bailo Modesti; alle sue molteplici segnalazioni, spesso<br />
pubblicate, si debbano tanti rinvenimenti e altrettanti<br />
vincoli disposti dalle Soprintendenze.<br />
Nicola Fierro non sarà una ‘sentinella dimenticata’<br />
- come è stato scritto 9 - ma un ‘segnacolo’, vigile e<br />
saldo nel nostro territorio; noi tutti, che abbiamo tratto<br />
dai suoi studi un valido insegnamento, fatto di<br />
amore e di dedizione per la ricerca <strong>del</strong>la verità storica,<br />
continueremo su quelle stesse strade; idealmente pensiamo<br />
che, da Lassù, lui le percorrerà insieme a noi,<br />
guidandoci nella nostra azione di volontariato.
Note<br />
1 VERRI A., Le notti romane, 1804: le tombe <strong>del</strong>la<br />
via Appia in Via Appia, sulle ruine <strong>del</strong>la<br />
Magnificenza antica, 1997, Guida alla Mostra,<br />
Roma, Palazzo Ruspoli.<br />
2 http://www.gruppoarcheologicosalernitano.org/ricerca_scientifica.html.<br />
3 Archeodromo <strong>del</strong>la Campania meridionale (anti-<br />
FELICE PASTORE<br />
ca Lucania), Catalogo <strong>del</strong>la Mostra, a cura<br />
<strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>,<br />
Salerno 1999.<br />
4 CIL, VI 31338a (= ILS, I, 452), anno 214<br />
d. C.; CIL, VI, 31370.<br />
5 Cicero, Epistula III ad Atticum, 3,2.<br />
6 Sallustius, Historiae, libro III, fr. 98 B (ed.<br />
Bibliografia principale di Nicola Fierro<br />
La Via Appia da Benevento a Canosa nella<br />
Satira di Orazio, in “Rassegna Storica<br />
Irpina”, nn. 13-14, 1999.<br />
Aquilonia in Hirpinis - Lacedonia in età sannitica<br />
e romana, Progetto culturale a cura <strong>del</strong><br />
<strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> Akudunnia dei<br />
Gruppi Archeologici d’Italia, diretto da<br />
Michele Miscia, Lacedonia 2000.<br />
Gli Stati tribali irpini in epoca sannitica e romana,<br />
in “Rassegna Storica Irpina”, 1992, pp. 1-31.<br />
Le guerre sannitiche e gli Irpini, a cura <strong>del</strong> Circolo<br />
‘La Torre’- Bisaccia (AV), Agenzia di stampa<br />
«La Via Lattea» - Roma, 1991, pp. 1-79.<br />
Il castello di Bisaccia, in “La Torre”, 1995.<br />
Amina, Marcina e Salernum nella Campania<br />
antica, Supplemento di “Salternum”, anno<br />
III, nn. 3-4, 1999, a cura <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong><br />
<strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>.<br />
La transumanza, in “La Torre”, 1-2-3, 2003.<br />
Ha collaborato con le Riviste:<br />
“Il Postiglione”, a cura <strong>del</strong>l’Arci-Postiglione;<br />
“l’Eco di Andretta”, Periodico socio-culturale<br />
e di informazione, Pro Loco di Andretta<br />
- 7 -<br />
Maurenbrecher).<br />
7 FIERRO N. 1966, Volcei e le Nares<br />
Lucanae, in ‘Il Postiglione’, a. VIII, n. 9, pp.<br />
5-36.<br />
8 Ibidem.<br />
9 La Memoria, in “Il Mattino”, 2/11/2009.<br />
(AV); “Rassegna Storica Irpina”; “Rassegna<br />
Storica Salernitana”; “Salternum”, Semestrale<br />
di Informazione storica, culturale e archeologica,<br />
a cura <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong><br />
<strong>Salernitano</strong>; “Vicum”, Periodico trimestrale<br />
<strong>del</strong>l’Associazione P. S. Mancini - Trevico<br />
(AV).<br />
E’ stato Consulente scientifico nel Catalogo<br />
<strong>del</strong>la Mostra L’Archeodromo <strong>del</strong>la Campania<br />
meridionale (antica Lucania), a cura <strong>del</strong><br />
<strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>, Giffoni<br />
Valle Piana (SA), 1999.
- 8 -
Il papa Innocenzo IV, dopo la sua destituzione<br />
decretata il 17 luglio 1245 nel Concilio di<br />
Lione, aveva scatenato contro Federico II una<br />
campagna denigratoria in tutti i luoghi di culto: efficaci<br />
strumenti di propaganda erano gli ordini religiosi e,<br />
in particolare, preti e frati mendicanti. Nel Settembre<br />
1245, l’Imperatore era passato al contrattacco. Per far<br />
fronte alle continue spese di guerra aveva convocato<br />
una Dieta a Parma, dove aveva imposto pesanti tasse.<br />
Intanto il Papa sparpagliava nel Regno i più fanatici<br />
frati mendicanti a predicare contro lo scomunicato<br />
Federico, che veniva dipinto come «dispregiatore <strong>del</strong>la<br />
fede cristiana e persecutore <strong>del</strong>la Chiesa».<br />
L’Imperatore reagì energicamente: per far dispetto<br />
al Papa aveva ordinato di non perseguitare più gli eretici<br />
(fatto insolito e sorprendente) e si era scagliato<br />
contro tutti i preti che si rifiutavano di celebrare i servizi<br />
religiosi nel Regno. Per stroncare l’intensa propaganda<br />
papalina aveva adottato anche drastiche misure<br />
di sicurezza e di polizia: aveva decretato di allontanare<br />
dal Regno frati e monaci considerati spie nemiche e<br />
sobillatori, aveva ordinato di ignorare la scomunica e il<br />
provvedimento <strong>del</strong> Concilio con il quale era stato<br />
deposto come Imperatore.<br />
In questa situazione Federico aveva deciso di attaccare<br />
di nuovo Milano e tutti i suoi alleati. Era una guerra<br />
dura, costosa e senza quartiere. Il 4 Novembre 1245,<br />
lungo le sponde <strong>del</strong> Ticino, l’esercito imperiale fu<br />
respinto dalle truppe milanesi, comandate da Gregorio<br />
di Montelongo, legato pontificio. Questi aveva creato in<br />
Parma un forte nucleo <strong>del</strong> partito guelfo e ora animava<br />
l’opposizione e la resistenza dei Comuni lombardi contro<br />
l’Imperatore. Proprio in quei giorni, Enzo, il figlio<br />
<strong>del</strong>l’Imperatore, aveva affrontato il nemico a<br />
Gorgonzola, presso Bergamo, ma nella confusione<br />
generale era caduto prigioniero. Per sua fortuna non fu<br />
riconosciuto e fu liberato nello scambio dei prigionieri.<br />
NICOLA FIERRO<br />
La congiura di Capaccio<br />
- 9 -<br />
Federico, da Parma, aveva preso misure per evitare<br />
la defezione di Reggio ed era partito per una spedizione<br />
‘punitiva’ contro Milano; non essendo riuscito<br />
a prendere contatto con l’esercito milanese, esasperato<br />
per una guerra inconcludente, si era trasferito<br />
a Grosseto per svernare in Maremma. Qui poteva<br />
praticare il suo sport preferito (la caccia) e tenere<br />
anche sotto controllo militare tutta la Toscana.<br />
L’Imperatore intanto si era accorto di alcune<br />
irregolarità amministrative e <strong>del</strong>la corruzione di vari<br />
funzionari. Adottò subito un provvedimento drastico:<br />
depose Pandolfo di Fasanella che da anni ricopriva<br />
la carica di capitano generale <strong>del</strong>la Toscana e,<br />
al suo posto, nominò Federico d’Antiochia, figlio<br />
illegittimo, che prese subito il titolo di re di<br />
Toscana. Aveva venti anni. Il giovane molto abile,<br />
energico e prudente, era in grado di tenere sotto<br />
controllo la difficile situazione in Toscana.<br />
Guerriero valoroso e poeta, autore di varie canzoni,<br />
aveva un carattere amabile e gentile. Non si sapeva<br />
nulla <strong>del</strong>la madre di Federico d’Antiochia, ma si<br />
affermava che fosse figlio di una sorella <strong>del</strong> sultano<br />
Al Kamil, amico <strong>del</strong>l’Imperatore. Il deposto<br />
Pandolfo Fasanella, che l’anno precedente aveva<br />
operato in Toscana con Orlando de’ Rossi, podestà<br />
di Firenze, rimase a disposizione <strong>del</strong>l’Imperatore.<br />
Enzo, figlio legittimo di Federico II, invece, si era<br />
recato a Cremona, «capitale e fondamento<br />
<strong>del</strong>l’Impero» (caput et fundamentum imperii).<br />
Federico, mentre si trovava a caccia, ebbe una cattiva<br />
notizia: nel Marzo 1246 arrivò a Grosseto un corriere,<br />
inviato da Riccardo di Sanseverino, conte di<br />
Caserta, che gli comunicò che era in corso una congiura<br />
ordita dal papa Innocenzo IV. L’avviso era giunto<br />
proprio all’ultima ora: il giorno di Pasqua, avrebbero<br />
dovuto essere assassinati l’Imperatore, il figlio Enzo e<br />
il terribile Ezzelino.
Federico II cadde in una momentanea depressione:<br />
pensava di non meritare una sorte <strong>del</strong> genere 1 . La notizia<br />
<strong>del</strong> complotto, con tutti i dettagli <strong>del</strong>l’esecuzione,<br />
era stata data a Riccardo Sanseverino da Giovanni da<br />
Presenzano, un congiurato pentito.<br />
La notizia, annunziata da Riccardo, genero<br />
all’Imperatore 2 , trovò immediata conferma nella fuga<br />
di alcuni complici. I cospiratori erano nobili e alti funzionari<br />
<strong>del</strong> Regno. I congiurati Pandolfo e Matteo<br />
Fasanella, Roberto e Guglielmo di Marzano, Giacomo<br />
e Goffredo di Morra, insieme con altri presenti nella<br />
corte imperiale, fuggirono precipitosamente riparando<br />
a Roma, presso la Corte Pontificia 3 .<br />
Promotore e mente <strong>del</strong>la congiura era Innocenzo<br />
IV. Le prove circostanziali erano la fuga dei congiurati<br />
riparati presso la Corte pontificia e le confessioni dei<br />
ribelli prima di essere giustiziati e i diplomi originali<br />
inviati dal Papa trovati nel castello di Capaccio dopo la<br />
resa dei congiurati. In questo folle tentativo di far<br />
assassinare l’Imperatore, il Pontefice era sostenuto dai<br />
pochi cardinali rimasti a Roma, fra cui si distingueva il<br />
fanatico Ranieri di Viterbo.<br />
Nel Settembre <strong>del</strong> 1245, Federico già aveva scoperto<br />
i primi segni premonitori <strong>del</strong>la congiura. Nel<br />
Convento di Fontevivo, presso Parma, erano stati rinvenuti<br />
alcuni documenti da cui risultava un complotto<br />
diretto ad assassinare l’imperatore e il figlio Enzo. Il<br />
complotto era stato ideato a Parma, città che stava per<br />
tradirlo.<br />
Federico per impedire questa defezione, recatosi a<br />
Parma in tutta fretta, scoprì con sua sorpresa che<br />
Orlando de’ Rossi, cognato <strong>del</strong> Papa, uno dei suoi<br />
migliori partigiani, era fuggito con un certo numero di<br />
cavalieri guelfi e aveva preso la via di Piacenza e<br />
Milano. Era il primo segnale <strong>del</strong> tradimento.<br />
Questo personaggio, noto in tutta l’Italia settentrionale,<br />
era molto vicino all’Imperatore: aveva ricoperto<br />
più volte la carica di podestà in città imperiali come<br />
Siena e Firenze. Federico aveva nominato podestà il<br />
cognato <strong>del</strong> Papa perché sperava di concludere le trattative<br />
di pace allora in corso.<br />
Ernest Kantorovicz scrive in proposito: «Il gioco<br />
fallì questa volta perché, invece di essere Orlando a<br />
guadagnargli il papa, fu il papa a fare un guelfo <strong>del</strong><br />
cognato». Orlando de’ Rossi era anche un guerriero<br />
terribile capace di far roteare a dritta e a manca la sua<br />
mazza ferrata: la sua presenza in campo di battaglia<br />
atterriva e metteva in fuga i suoi nemici.<br />
SALTERNUM<br />
- 10 -<br />
La congiura era stata organizzata materialmente<br />
proprio da Bernardo Orlando de’ Rossi di Parma, che<br />
aveva sposato una sorella <strong>del</strong> Papa; questo personaggio,<br />
già sostenitore di Federico, dopo la scomunica<br />
comminata a quest’ultimo, era passato dalla parte <strong>del</strong><br />
cognato, Innocenzo IV; in veste di podestà di Firenze,<br />
aveva coinvolto nella congiura Pandolfo Fasanella,<br />
podestà di Novara, e Teobaldo Francesco, vicario<br />
generale <strong>del</strong>la Marca trevigiana, il quale, per la sua<br />
posizione nella pubblica amministrazione, era considerato<br />
il capo dei congiurati.<br />
Appena ebbe la notizia che il complotto era fallito,<br />
Teobaldo, che era in contatto con Andrea de’ Cicala,<br />
capitano di Sicilia, con Ruggero de’ Amicis e con il<br />
poeta Giacomo Morra, fuggì precipitosamente. I congiurati<br />
erano persone che godevano la fiducia e la<br />
stima di Federico e perciò governavano le province<br />
più importanti.<br />
I promotori <strong>del</strong> piano criminale erano proprio i<br />
personaggi di corte più vicini all’Imperatore (erano le<br />
persone di cui Federico si fidava di più) e che si erano<br />
fatte irretire e corrompere dalle promesse mirabolanti<br />
<strong>del</strong> Papa.<br />
La scoperta <strong>del</strong>la congiura fu un brutto colpo per<br />
l’Imperatore: i congiurati erano persone che egli riteneva<br />
degne <strong>del</strong>la sua massima fiducia, erano amici intimi<br />
che sedevano alla sua stessa tavola, che conversavano<br />
con lui nelle sale <strong>del</strong>la corte, che conoscevano i<br />
suoi segreti, che partecipavano alle feste e alle danze di<br />
corte. Federico definì quei rinnegati, che avevano ordito<br />
la congiura, «parricidi, figliastri, omuncoli miserabili,<br />
animali inferiori, dotati solo d’istinto bestiale».<br />
Chi erano i cospiratori? Erano tutti nobili e alti<br />
funzionari <strong>del</strong> regno, i quali, dopo il Concilio <strong>del</strong> 1245,<br />
si erano orientati verso la politica pontificia. In primo<br />
luogo avevano aderito alla congiura i Sanseverino,<br />
discendenti di una famiglia, che, sorta e glorificata<br />
sotto la dinastia normanna, avevano ereditato la devota<br />
sudditanza al Papa e l’odio atavico contro<br />
l’Imperatore.<br />
I principali congiurati erano, come abbiamo accennato,<br />
i più alti funzionari di corte: Pandolfo Fasanella,<br />
podestà imperiale a Novara nel 1238 e vicario generale<br />
<strong>del</strong>la Toscana dal 1240 al Febbraio 1246, che poco<br />
tempo prima era stato deposto dall’Imperatore dalla<br />
prestigiosa carica, a causa di accertate corruzioni e<br />
irregolarità amministrative; Teobaldo Francesco,<br />
podestà di Parma, cui era stato promesso il Regno
<strong>del</strong>la Sicilia. Due famiglie strettamente imparentate 4 , i<br />
Fasanella e i Francesco, costituivano il nucleo principale<br />
<strong>del</strong>la congiura. Del casato Fasanella erano implicati<br />
Pandolfo, Riccardo, Gilberto, Roberto, Matteo,<br />
Tommaso; <strong>del</strong>la famiglia Francesco: Teobaldo,<br />
Riccardo, Guglielmo, Matteo e Demetrio. I due fratelli<br />
Pandolfo e Riccardo Fasanella avevano sposato due<br />
sorelle Francesco: Pandolfo Fasanella aveva sposato<br />
Alessandra Francesco e Riccardo aveva impalmato la<br />
sorella minore di Alessandra. Secondo un cronista<br />
arabo 5 , ai tre cospiratori più vicini a Federico II furono<br />
promessi premi consistenti: a Teobaldo Francesco<br />
la Toscana, a Pandolfo Fasanella la Puglia, a Giacomo<br />
Morra la Sicilia. Ma secondo gli Annali Piacentini 6 , a<br />
Teobaldo il Papa aveva promesso, invece, il regno di<br />
Sicilia.<br />
I cospiratori avevano i feudi quasi tutti nel<br />
Principato. Oltre i Sanseverino, avevano aderito alla<br />
congiura alti funzionari e potenti baroni <strong>del</strong> Regno:<br />
Ruggero de Morra e i suoi fratelli Goffredo e<br />
Giacomo 7 ; Andrea de’ Cicala, capitano e maestro giustiziere<br />
(capitaneus et magister iustitiarius); Bartolomeo de<br />
Alicio 8 , che aveva feudi in Terra di Gifoni; Ruggero de<br />
Amicis, alto funzionario imperiale in Sicilia, marito di<br />
Mabilia de Amicis 9 ; Riccardo di Bisaccia 10 (Riccardo de<br />
Bisaciis), che era signore anche <strong>del</strong> feudo di Castel<br />
Labello (oggi Lavello); Francesco I, che era feudatario<br />
di Monteforte 11 ; Guglielmo da Caggiano 12 che aveva i<br />
feudi di Caggiano, Sant’Angelo e Salvitelle, in provincia<br />
di Salerno; Giovanni Capece, titolare di beni vicino<br />
Capua; Francesco, Ottone (o Oddone) e Riccardo de<br />
Laviano che avevano beni nella Campania nord-orientale;<br />
Enrico, Nicola e Tommaso de Lettera nel tenimento<br />
di Castellammare; Riccardo di Montefuscolo (oggi<br />
Montefusco); Bartolomeo de Tegora 13 (oggi Teora), che<br />
aveva beni presso Calitri; Andrea de’ Cicala che aveva<br />
un possedimento nel territorio di Nola; Tommaso<br />
Saponara, che forse aveva beni nel circondario di<br />
Potenza; Gisulfo de Maina (oggi Villamaina).<br />
Parteciparono alla congiura anche due feudatari calabresi:<br />
Ruggero de Amicis e Pietro de Luzzi. Il primo,<br />
nobile messinese, uno dei funzionari più in vista <strong>del</strong>la<br />
corte di Federico, fu prima giustiziere e successivamente<br />
capitano o gran giustiziere di Sicilia 14 . Federico II,<br />
per evitare che i giustizieri avessero troppo potere,<br />
aveva riunito i giustiziariati siciliani in due gruppi,<br />
ognuno dei quali era sorvegliato da un capitano o gran<br />
giustiziere. Nel continente tale incarico fu affidato ad<br />
NICOLA FIERRO<br />
- 11 -<br />
Andrea de’ Cicala e in Sicilia a Ruggero de Amicis.<br />
Ruggero, si dilettava anche di poesia: si sa che egli<br />
scambiò versi con Rinaldo d’Aquino 15 , poeta più giovane<br />
di lui e falconiere di Federico II.<br />
Nel 1240, i crociati erano sbarcati in Siria, dove,<br />
grazie alla loro proverbiale carenza di organizzazione,<br />
nel mese di Novembre subirono una severa sconfitta:<br />
Gerusalemme cadde subito nelle mani <strong>del</strong> principe<br />
musulmano Kerak, figlio <strong>del</strong> defunto Al Kamil.<br />
Federico II, che, in quel momento assediava Faenza, si<br />
mise subito in contatto con i sultani di Damasco e di<br />
Egitto per ottenere il rilascio dei prigionieri. Fu mandato<br />
in Egitto come ambasciatore proprio l’abile capitano<br />
siculo Ruggero de Amicis, con l’incarico di concludere<br />
un trattato di pace con il sultano Malek Saleh,<br />
figlio di Al Kamil, che era morto nel 1238. Al Kamil era<br />
un vecchio amico di Federico e la sua morte fu per lui<br />
una grave perdita. In una lettera scritta al re<br />
d’Inghilterra, egli asserì che se Al Kamil fosse vissuto<br />
ancora, le cose in Terrasanta sarebbero andate diversamente.<br />
Intimo di Federico II, Ruggero de Amicis fu inviato<br />
come ambasciatore e uomo di fiducia alla corte egizia<br />
al Cairo 16 .<br />
L’altro cospiratore calabrese, Pietro de Luzzi,<br />
aveva il feudo in Calabria, a Sud di Bisignano; per<br />
ordine di Federico, le sorelle di costui, insieme ad altre<br />
donne, furono messe al rogo a Napoli.<br />
Alla congiura avevano partecipato anche Elia di<br />
Gesualdo, che fu decapitato; Ruggero De Amicis,<br />
morto in carcere il 1248, e un fratello di Pandolfo<br />
Fasanella, che fu impiccato a Foggia 17 .<br />
A questi congiurati vanno aggiunti, come abbiamo<br />
detto in precedenza, i Sanserverino, i quali avevano<br />
immensi possedimenti vicino Salerno e a Sala<br />
Consilina. Un cronista guelfo - il cosiddetto<br />
Mediolanensis Anonimus -, autore degli Annali Milanesi,<br />
riferisce che i Milanesi, dopo l’accordo fatto con<br />
Teobaldo Francesco, Guglielmo Sanseverino e persino<br />
con Pier <strong>del</strong>le Vigne, avrebbero pagato una somma<br />
ingente per far assassinare a pugnalate Federico nel<br />
suo letto. L’accusa fatta dall’anonimo cronista guelfo<br />
anche al logoteta di Federico appare inverosimile.<br />
La congiura, ordita dal Papa, fu scoperta proprio<br />
da un membro <strong>del</strong>la nobile famiglia dei Sanseverino,<br />
Riccardo. Uno dei congiurati, Giovanni da<br />
Presenzano, si era pentito e aveva rivelato il complotto<br />
a Riccardo, genero di Federico; questi, per spegne-
e subito i focolai <strong>del</strong>la rivolta, rimase a guardia <strong>del</strong><br />
Regno e immediatamente inviò un corriere via mare a<br />
Grosseto che informò tempestivamente l’Imperatore<br />
<strong>del</strong>l’attentato imminente.<br />
Ma chi era questo Riccardo? Aveva sposato<br />
Violante, la figlia di Federico II. Proprio un<br />
Sanseverino, il conte di Caserta, aveva svelato la terribile<br />
congiura, in cui erano implicati anche i suoi congiunti<br />
<strong>del</strong> ramo primogenito. Per motivi dinastici, tra i<br />
due rami dei Sanseverino, infatti, non era mai corso<br />
buon sangue 18 . Riccardo era più legato alla Casa sveva<br />
che ai Sanseverino, suoi stretti parenti, in quanto aveva<br />
sposato Violante, figlia di Federico. Poteva egli consentire<br />
che il suocero, il padre di sua moglie, fosse<br />
assassinato?<br />
Tommaso e Guglielmo Sanseverino aspettavano<br />
nel Regno l’annuncio <strong>del</strong>la morte di Federico, ma,<br />
appena arrivò la notizia che la congiura era fallita, terrorizzati,<br />
si rifugiarono nel castello di Sala (Consilina) 19<br />
con le loro famiglie.<br />
L’Imperatore 20 attesta che i castelli occupati dai<br />
congiurati erano di sua proprietà:<br />
«Alcuni dei nostri sudditi – tiene a far presente<br />
l’Imperatore - sobillati dal pontefice e dai Frati Minori,<br />
che, sostenitori <strong>del</strong>la Chiesa Romana, diedero ad essi<br />
la Croce, cospirarono contro la nostra persona.<br />
Invitati a giustificarsi, non comparvero alla nostra presenza.<br />
Teobaldo Francesco e Guglielmo Sanseverino<br />
occuparono nel Regno di Sicilia due nostri Castelli,<br />
Capaccio e Sala».<br />
Anche altri congiurati - tra cui Riccardo di<br />
Bisaccia-, guidati da Teobaldo, occuparono il castello<br />
di Capaccio, posto in luogo sicuro e elevato, e si prepararono<br />
a sostenere l’attacco violento <strong>del</strong>l’Imperatore. I<br />
ribelli avevano scelto come rifugio i castelli di Sala<br />
Consilina, Altavilla Silentina e di Capaccio perché<br />
erano i migliori presidi nel Regno 21 . I principali congiurati,<br />
asserragliatisi nel castello di Capaccio, ben<br />
riforniti di viveri e d’acqua, si prepararono a subire<br />
l’attacco e l’assedio <strong>del</strong>le truppe imperiali. Sapevano<br />
che Federico non avrebbe risparmiato loro le punizioni<br />
più dure e spietate.<br />
Appena arrivata la notizia <strong>del</strong>la fallita congiura, il<br />
Pontefice, da Lione, dove si era rifugiato, inviò ai congiurati<br />
lettere di consolazione, infarcite di retorica religiosa:<br />
«Noi dal dì che fummo elevati a pastore <strong>del</strong>la<br />
Chiesa non cessammo di effondere lunghi e amari<br />
SALTERNUM<br />
- 12 -<br />
sospiri, elevando a Dio coi gemiti <strong>del</strong> cuore la nostra<br />
preghiera che si fosse degnato Egli di rendervi <strong>del</strong><br />
numero dei nostri figli.<br />
Mentre ci allieta la fiducia che per divina bontà sia<br />
dato esito salutare alle vostre angustie e a quelle di<br />
tanti altri, scongiuriamo voi tutti e v’ingiungiamo, a<br />
remissione dei vostri peccati, di voler presto inviare a<br />
Noi e ai vostri fratelli, che come Noi gemono sulla<br />
vostra afflizione, la lieta novella <strong>del</strong> vostro ritorno in<br />
seno alla santa romana Chiesa, vostra madre, di cui<br />
siete figli prediletti, sottraendovi per sempre al giogo<br />
di quell’uomo scomunicato, al quale non dovete più<br />
niente, sciolti come siete per Noi da ogni giuramento<br />
di fe<strong>del</strong>tà.<br />
Noi sempre pronti ad aiutarvi nel modo che<br />
meglio possiamo nel Signore, per procurare la vostra<br />
salvezza, ecco che vi mandiamo quegli aiuti che più<br />
sono necessari in questo momento. Ecco quello che fa<br />
d’uopo a voi che gemete sotto il torchio di pene e di<br />
dolori, voi che vi dolete perché le continue esazioni<br />
sminuiscono le vostre sostanze. Ormai vi è noto che<br />
cosa Noi vi promettiamo. Pensate a far cadere dal<br />
vostro collo la catena <strong>del</strong> servaggio perché possiate<br />
rifiorire nel gaudio <strong>del</strong>la libertà e <strong>del</strong>la pace» 22 .<br />
«Iddio vi ha irradiati con lo splendore <strong>del</strong> suo<br />
volto, sottraendo le vostre persone al giogo <strong>del</strong><br />
Faraone […]. Voi dunque da satelliti <strong>del</strong>l’empio tiranno,<br />
divenuti lottatori <strong>del</strong> Cristo Signore, procurate con<br />
costanza e animo indefesso di rendere il vostro nome<br />
più glorioso innanzi alle genti, nella ferma fiducia che<br />
se la virtù <strong>del</strong>l’Altissimo per mezzo vostro e con l’aiuto<br />
dei figli devoti <strong>del</strong>la Chiesa porrà fine ai gemiti di<br />
coloro che versano nel dolore e nell’afflizione, la Sede<br />
apostolica vi reputerà tra i suoi figli più cari come<br />
quelli cui rendono illustri la nobiltà <strong>del</strong> sangue e il<br />
valore <strong>del</strong>l’animo» 23 .<br />
In queste lettere, come si può notare, il Pontefice<br />
non menziona mai il nome <strong>del</strong>l’Imperatore: lo definisce<br />
con disprezzo «uomo scomunicato». Nella lettera<br />
di consolazione, inoltre, egli allude ai feudi promessi<br />
ai congiurati («Ormai vi è noto che cosa Noi vi promettiamo»);<br />
egli aveva promesso anche aiuti militari<br />
agli assediati e aveva incaricato due suoi speciali legati,<br />
il cardinale Ranieri di S. Maria in Cosmedin e il cardinale<br />
di S. Maria in Trastevere, di recare soccorso agli<br />
assediati 24 .<br />
La spedizione militare era stata preparata nel mese<br />
di Marzo. Il cardinale Ranieri, allestito un esercito, for-
mato da soldati provenienti soprattutto da Perugia e<br />
da Assisi, si apprestava a raggiungere i confini <strong>del</strong><br />
Regno per recare soccorso ai congiurati; arrivato a<br />
Spello, in Umbria, l’esercito papale fu sonoramente<br />
sconfitto da Marino di Eboli, vicario generale di<br />
Spoleto. Sul campo di battaglia rimasero uccisi molti<br />
soldati papalini e oltre cinquemila soldati, catturati,<br />
furono gettati nelle prigioni 25 .<br />
Fallita la prima spedizione, il Papa volle tentarne una<br />
seconda, ma anche questa finì miseramente 26 . I rivoltosi,<br />
intanto, si erano rifugiati nei castelli di Sala Consilina,<br />
Altavilla Silentina e Capaccio 27 . L’imperatore, a marce<br />
forzate, accorse immediatamente dalla Toscana («La<br />
pupilla <strong>del</strong> nostro occhio non deve essere offesa!»),<br />
dopo aver assegnato a Riccardo Sanseverino, suo genero,<br />
l’incarico di espugnare il castello di Sala Consilina; gli<br />
abitanti, rimasti fe<strong>del</strong>i a Federico, ancor prima <strong>del</strong> suo<br />
arrivo avevano già assediato le rocche di Sala, Capaccio<br />
e Altavilla. Sala si arrese dopo pochi giorni. Altavilla fu<br />
presa e rasa al suolo ed i parenti dei congiurati, fino al<br />
quarto e quinto grado, furono accecati ed arsi vivi.<br />
Rimaneva da espugnare il castello di Capaccio 28 ,<br />
presso Paestum, posto in luogo elevato, nel feudo dei<br />
Sanseverino. Era l’impresa più difficile: l’Imperatore,<br />
alla guida <strong>del</strong>le sue truppe, riservò a se stesso il compito<br />
di espugnarlo, per mettere le mani sui maggiori<br />
traditori. Prima attaccò e rase al suolo il vecchio paese<br />
di Capaccio, ma subito dopo pose il suo campo nel<br />
tenimento di Giungàno, a S. Lucia. Da questa posizione<br />
diresse le operazioni d’assedio al castello. I congiurati,<br />
assediati da tutte le parti, non avevano via di<br />
scampo e tuttavia riuscirono ad opporre una resistenza<br />
lunga e tenace 29 .<br />
In una lettera così l’Imperatore descrive la situazione<br />
dei baroni ribelli:<br />
«Nella speranza di una lunga difesa, quantunque<br />
essi avessero da un lato una rupe altissima e dall’altro<br />
forti mura, quantunque non difettassero di armati e<br />
difensori, tuttavia mancavano <strong>del</strong> necessario alla vita e<br />
perfino <strong>del</strong>l’acqua. Né le cisterne potevano contenere<br />
tanta acqua da essere loro sufficiente dall’inizio <strong>del</strong>la<br />
primavera, in cui cominciarono a fortificarsi, fino a<br />
tutta l’estate; tanto più che essi ne bevevano in gran<br />
quantità per l’arsura cagionata dall’asprezza <strong>del</strong>la battaglia.<br />
Anche se il cielo avesse mandato la pioggia, che<br />
non meritavano, le acque non avrebbero potuto raccogliersi<br />
nelle cisterne perché tutti gli acquedotti erano<br />
stati distrutti dalle nostre macchine» 30 .<br />
NICOLA FIERRO<br />
- 13 -<br />
I congiurati assediati non avevano via di scampo,<br />
come attesta l’Imperatore nella seguente lettera:<br />
«Sono stati investiti con le nostre macchine con<br />
tanta veemenza che non potranno sfuggire dalle<br />
nostre mani se non col darsi da loro stessi la morte o<br />
con il precipitarsi dall’alta rupe che si innalza dalla<br />
parte <strong>del</strong> mare» 31 .<br />
L’assedio, iniziato nel mese di Aprile, durò quattro<br />
mesi, ma il 17 Luglio 1246, l’Imperatore per avere<br />
nelle mani i congiurati ordì uno stratagemma: fece<br />
entrare nel castello una donna di facili costumi, la<br />
quale tolse il tappo all’unica cisterna rimasta ancora<br />
intatta. Rimasti senza una goccia d’acqua, i congiurati,<br />
tormentati dalla sete, si arresero. Il castello fu preso e<br />
devastato: ancora oggi si possono vedere le sue mura<br />
sventrate e spettrali 32 .<br />
Nella rocca di Capaccio furono catturati Tebaldo<br />
Francesco e altri centocinquanta congiurati con i loro<br />
soldati: quaranta erano combattenti lombardi, ostaggi<br />
<strong>del</strong>l’imperatore, liberati da Tebaldo. A tutti i traditori<br />
furono cavati gli occhi, troncato il naso, le mani e le<br />
gambe. All’antico podestà di Parma, il capo più in<br />
vista <strong>del</strong>la congiura, l’Imperatore riservò un castigo<br />
particolare: dopo essere stato accecato, egli fu portato<br />
in giro in tutte le regioni, recando sulla fronte una<br />
copia di una bolla papale, trovata tra le rovine <strong>del</strong><br />
castello di Capaccio 33 . Era una bolla con cui il Papa gli<br />
aveva promesso un lauto compenso: la corona di<br />
Sicilia. La tremenda lezione inflitta a Tebaldi<br />
Francesco era diretta a ferire soprattutto l’orgoglio<br />
<strong>del</strong>la Lega Lombarda. Chi sapeva leggere, poteva leggere<br />
la bolla papale e il manifesto imperiale:<br />
«Venite, o popoli, e ammirate qual giusta vendetta<br />
ha saputo fare l’Imperatore di quelli che avevano<br />
cospirato contro la sua vita; dal supplizio di Tebaldi,<br />
qui presente, che viene portato per il mondo qual<br />
oggetto di scherno, intuite qual pena è riservata agli<br />
altri congiurati. Guardate, dunque, questo mostro di<br />
uomo, scolpitelo nelle vostre menti talché mai più se<br />
ne cancelli il ricordo, e perenne se ne tramandi ai<br />
posteri la memoria» 34 .<br />
Tutti i maggiori congiurati, caduti nelle mani<br />
<strong>del</strong>l’Imperatore, subirono sevizie e pene inaudite:<br />
furono accecati con ferri roventi, legati alle code dei<br />
cavalli, trascinati per terra, squartati o bruciati vivi. Ai<br />
congiurati più compromessi con il Papa, Federico<br />
riservò una sorte peggiore: chiusi in sacchi di cuoio,
furono gettati nelle acque di Paestum. Scrive Pandolfo<br />
Colenuccio:<br />
«I congiurati, cuciti in sacchi di cuoio e con ciascuno<br />
di loro postovi dentro un cane, una scimmia, un<br />
gallo e una vipera, furono gettati in mare acciò che privati<br />
de l’uso di tutti gli elementi, fussino ancora vivendo<br />
da quegli animali insieme inimici e per fame rabbiosi,<br />
lacerati e consunti» 35 .<br />
Il Camera nei suoi Annali così sintetizza quella<br />
drammatica vicenda:<br />
«Degli insorgenti alcuni rimasti prigionieri vennero<br />
spietatamente cuciti in sacchi di cuoio e quindi buttati<br />
a mare. Pochi si salvarono con la fuga. Circa 4 mila<br />
persone credute complici di fellonia furono arrestate e<br />
punite ed i rei principali vennero bruciati vivi e le loro<br />
mogli e figli, inviati nelle prigioni di Palermo, miseramente<br />
vi morirono di fame».<br />
A tutti i traditori che avevano aderito alla congiura,<br />
appena caduti nelle sue mani, Federico fece assaporare<br />
quanto era pesante il «martello <strong>del</strong>la sua potenza» 36 .<br />
Nel castello di Capaccio l’Imperatore recuperò<br />
ingenti somme, sottratte all’erario <strong>del</strong>lo Stato da<br />
Pandolfo Fasanella, e anche i tesori dei baroni che avevano<br />
aderito alla congiura. Anche il tesoro di<br />
Riccardo, barone di Bisaccia, cadde nelle mani<br />
<strong>del</strong>l’Imperatore. In proposito l’Imperatore scrive:<br />
«Il nostro erario non si è affatto diminuito; anzi le<br />
nostre ricchezze sono diventate più vistose. Si sono<br />
arresi nelle nostre mani con gran quantità di oggetti<br />
preziosi e di monete. Si è impinguato il cumulo <strong>del</strong>le<br />
nostre entrate, poiché sono passate a Noi tutte le rendite<br />
di cui Noi stessi prima li avevamo arricchiti» 37 .<br />
L’oro dei congiurati, dice Federico, erano il prezzo<br />
sborsato dal Papa per il vile tradimento 38 . Dopo aver<br />
catturato nel castello di Capaccio i maggiori protagonisti<br />
<strong>del</strong>la congiura, egli aggiunge alcune sue riflessioni:<br />
«Se Noi li trucidiamo come omicidi, non facciamo<br />
loro ingiustizia. Se li sbalziamo nel mare vicino perché,<br />
vivi ancora, comincino a sperimentare la mancanza di<br />
tutti gli elementi, certo non peccheremo, Noi che li<br />
nutrimmo come figli con le carezze paterne, non peccheremo,<br />
no, contro di loro che esposero i loro genitori<br />
al capestro e i propri figli al martirio. Ma finalmente<br />
è giunto ad essi il pungolo <strong>del</strong>la nostra vendetta!» 39 .<br />
Federico, dopo aver fatto demolire tutte le sale<br />
interne <strong>del</strong> castello di Capaccio, fece trasferire a<br />
Napoli tutti i congiurati, i soldati prigionieri e tutti i<br />
SALTERNUM<br />
- 14 -<br />
nobili catturati a Sala Consilina. Qui tutti furono bruciati<br />
vivi. Le donne dei congiurati, prese prigioniere<br />
nel castello di Capaccio, furono invece trasferite a<br />
Palermo, dove furono gettate nel carcere. Di lì non<br />
uscirono più 40 . Uno storico, il Fazzello 41 , attesta che le<br />
donne dei congiurati morirono di fame. Nel 1514,<br />
durante i lavori di restauro <strong>del</strong> castello di Palermo, in<br />
una grotta sotterranea furono trovati due cadaveri di<br />
quelle nobili donne: avevano i vestiti ancora intatti.<br />
Tommaso e Guglielmo Sanseverino, stando alla<br />
testimonianza di Federico, ebbero a confessare di<br />
essere stati coinvolti nella congiura direttamente dal<br />
Papa:<br />
«Essi poco prima di morire, quando vergogna sarebbe<br />
menzogna, hanno liberamente confessato innanzi a<br />
tutti che essi e tutti i loro complici non erano che mandatari<br />
<strong>del</strong>la Chiesa. Avevano agito per autorità <strong>del</strong><br />
Sommo Pontefice, il quale era l’istigatore <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto; i<br />
Frati Minori li attorniavano da ogni parte ed essi ricevettero<br />
dalle loro mani contro di Noi la Croce» 42 .<br />
Secondo Karl Hampe, il Pontefice era al corrente<br />
<strong>del</strong>la congiura perché in una lettera, datata al principio<br />
<strong>del</strong> 1242, manifestava il suo implacabile livore usando<br />
l’espressione: «Lavare le mani nel sangue <strong>del</strong> peccatore»<br />
«lavare manus in sanguine peccatoris».<br />
Non si ha notizia di quale trattamento sia stato<br />
riservato a Riccardo di Bisaccia, estensore <strong>del</strong>le<br />
Costituzioni di Melfi, ma si sa che morì nel 1248.<br />
Una cosa è certa: tutti i baroni ribelli perdettero i<br />
loro feudi. Quelli dei Fasanella, confiscati, furono<br />
assegnati a Princivallo e a Pietro di Potenza; <strong>del</strong>la<br />
potente famiglia dei Sanseverino si salvò soltanto un<br />
nipote <strong>del</strong> conte di Marsico, Ruggero, il figliuolo di<br />
Guglielmo. «Il piccirillo di nove anni», unico superstite<br />
<strong>del</strong> suo casato, era stato rinchiuso nel carcere <strong>del</strong><br />
castello di Venosa con i familiari di altri feudatari<br />
ribelli. Ma un servo dei Sanseverino, un certo<br />
Donatello di Stasio, dopo aver corrotto il carceriere,<br />
si fece consegnare e mise in salvo il piccolo Ruggiero,<br />
che, tornato a casa, riottenne poi dagli Angioini i<br />
feudi confiscati dall’Imperatore. Anche Riccardo<br />
perdette i due feudi: quello di Bisaccia e quello di<br />
Lavello. In quelle tempestose vicende, numerose<br />
famiglie di Bisaccia che risiedevano nell’antico centro<br />
abitato si erano trasferite nel feudo di Castiglione,<br />
oggi frazione di Calitri (AV).<br />
Dopo la battaglia di Benevento, quando era già<br />
caduta la dinastia sveva, Riccardo II, figlio di Ruggero
e nipote di Riccardo I, riebbe da Carlo d’Angiò il<br />
feudo di Lavello (castrum Labella) e il feudo di Bisaccia.<br />
Avendo trovato spopolato il suo feudo, egli chiese al<br />
re Carlo d’Angiò di far rientrare a Bisaccia tutte le<br />
famiglie emigrate a Castiglione in seguito agli eventi<br />
bellici <strong>del</strong> 1246.<br />
Il castello di Bisaccia, dopo la morte violenta di<br />
Riccardo I, era stato confiscato ed era divenuto proprietà<br />
di Federico. Durante la faticosa e vagabonda sua<br />
vita, l’Imperatore amava rifugiarsi nei boschi appartati<br />
e remoti per dedicarsi alla caccia, una <strong>del</strong>le sue più<br />
grandi passioni.<br />
Giovanni Villani scrive: «Fece egli il parco <strong>del</strong>l’uccellagione<br />
al Pantano di Puglia (Incoronata), e fece il<br />
parco <strong>del</strong>la caccia presso Gravina (Garagnone) e a<br />
Melfi alla Montagna (Lagopesole); e il verno stava a<br />
Foggia a uccellare, la state alla Montagna a sua diletto».<br />
In precedenza, l’Imperatore sicuramente era già<br />
stato a Bisaccia con Riccardo, il grande umanista,<br />
autore <strong>del</strong>la commedia Paolino e Polla (De Paulino et Polla<br />
libellus), dedicata proprio a Federico 43 :<br />
«Voglia gradire quest’opera Federico Cesare, diletti<br />
Sua Maestà, sia di suo gradimento. Il giudice Riccardo,<br />
alunno di gente venosina (vale a dire <strong>del</strong> poeta Orazio,<br />
nativo di Venosa), dedica quest’opera al suo genio»<br />
(«Hoc acceptet opus Fridericus Caesar, et illud / majestate<br />
iuvet atque favore suo ! / Cujus ad intuitum venusinae gentis<br />
alumnus, / judex Richardus, tale peregit opus»).<br />
L’Imperatore per questa dedica lo aveva gratificato<br />
concedendogli il feudo di Lavello, come si desume dagli<br />
atti angioini. Riccardo era un ammiratore <strong>del</strong> poeta latino<br />
Orazio Flacco. I suoi versi hanno un forte sapore di<br />
poesia oraziana: egli amava tanto il poeta di Venosa che<br />
si professava suo discepolo, alunno di gente venosina<br />
(venusinae gentis alumnus). Probabilmente Riccardo di<br />
Bisaccia è da identificare con il ‘Maestro R.’ (=Maestro<br />
Riccardo), professore <strong>del</strong>l’arte grammaticale (professor<br />
artis grammaticae) nell’Università di Napoli. Nel suo epistolario<br />
Nicola da Rocca 44 offre un quadro <strong>del</strong>la carriera<br />
dei notai: tra questi cita appunto un non meglio<br />
NICOLA FIERRO<br />
- 15 -<br />
identificato ‘Maestro R.’, esperto di grammatica. Nel<br />
suo studio egli desiderava accogliere pochi, ma buoni<br />
alunni (paucos sed bonos alumnos) per ammaestrarli sia<br />
nella composizione metrica e prosaica (dictamen tam<br />
metricum quam prosaicum 45 ), sia nello stile epistolare e<br />
diplomatico. Anche un notaio aveva affidato nello studio<br />
napoletano 46 i suoi due figli al ‘Maestro R.’, esperto<br />
nell’ars dictandi.<br />
Ma quale ruolo ebbe nella corte sveva Riccardo di<br />
Bisaccia ?<br />
Per sua diretta testimonianza si sa che era ‘giudice<br />
imperiale’ nella Magna Curia di Melfi. Allora, i giovani<br />
iscritti al corso di diritto a Bologna, a Salerno, a<br />
Palermo e a Napoli, dopo aver dato prova <strong>del</strong>la loro<br />
perizia giuridica e letteraria e, dopo aver prestato il<br />
prescritto giuramento, ottenevano la nomina a giudici,<br />
direttamente dalla Curia imperiale. Non tutti diventavano<br />
giudici cittadini o facevano carriera negli uffici<br />
di un giustizierato o di un vicariato. Molti giuristi<br />
entravano direttamente come consiglieri o familiari<br />
nella corte imperiale, dove servivano come cancellieri:<br />
erano adoperati in missioni diplomatiche, svolgevano<br />
un ruolo di camerarii o magni camerari, o erano impiegati<br />
nell’amministrazione finanziaria (esattori, custodi<br />
<strong>del</strong> tesoro reale).<br />
Riccardo, cugino di Guglielmo di Bisaccia, autorevole<br />
membro <strong>del</strong>l’assemblea costituente di Melfi, era<br />
un grande giurista, umanista e poeta <strong>del</strong>la Scuola siciliana.<br />
Nel testamento redatto a Melfi da Riccardo per<br />
suo cugino Guglielmo di Bisaccia è espressamente<br />
indicato il suo ruolo nella Magna Curia di Federico<br />
II 47 : Defensor iuris est a Cesare censor («Esperto di diritto,<br />
è stato nominato da Cesare giudice») 48 .<br />
Riccardo di Bisaccia, in seguito a nomina fatta<br />
direttamente dall’Imperatore, svolgeva un ruolo molto<br />
importante nella Magna Curia di Melfi: aveva la funzione<br />
di giurista e giudice, vale a dire di interprete <strong>del</strong><br />
diritto (defensor iuris) e giudice imperiale (censor). Come<br />
giurista fu membro <strong>del</strong>la commissione che elaborò il<br />
Liber Augustalis.
Note<br />
1<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, t. VI, pp.<br />
403; 441.<br />
2<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 403.<br />
3<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, ibidem.<br />
L’imperatore, sconvolto dalla notizia, scrisse<br />
una lettera veemente ai senatori e al<br />
popolo di Roma (GREGOROVIUS 1925 (ed.),<br />
vol. II, t. II, p. 442 ).<br />
4Il libello di Carlo I d’Angiò evidenzia i rapporti<br />
di parentela dei congiurati (cfr.<br />
CAPASSO 1874, pp. 345 ss).<br />
5<br />
PSEUDO YÂFI’Î, in AMARI 1880, vol. II, pp.<br />
516 -256.<br />
6<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1852-1861, p. 208.<br />
7 La partecipazione alla congiura dei feudatari<br />
irpini di Morra si desume dal Liber<br />
Inquisitionum Caroli I Pro feudatariis Regni<br />
(CAPASSO 1874, p .350 ): «Domino Rogerio de<br />
Morra, filio q.d. Henrici fuit restitutum castrum<br />
Morre et castrum Caselle et baronia Corbellarum<br />
et feuda in Cilento, cujus baronie fuit dominus<br />
Henricus de Morra, qui abuit tres filios<br />
Goffridum, Jacobum, et Rogerium, et duo primi<br />
fuerunt devastati tempore rebellionis Caputacii, et<br />
Rogerius fuit cecatus, et dicte terre fuerunt concesse<br />
a principe Manfrido d. Philippo Tornello; et post<br />
adventum regis fuerunt restitute dicto Rogerio cecato»,<br />
(«Al barone Ruggero di Morra, figlio <strong>del</strong><br />
defunto Enrico, fu restituito il castello di<br />
Morra, il castello di Caselle, la baronia <strong>del</strong>le<br />
Corbelle e i feudi <strong>del</strong> Cilento, <strong>del</strong>la cui baronia<br />
fu signore Enrico di Morra, che ebbe tre<br />
figli, Goffredo, Giacomo e Ruggero, i due<br />
primi castelli furono devastati all’epoca<br />
<strong>del</strong>la ribellione di Capaccio, e Ruggero fu<br />
accecato, e le dette terre furono concesse<br />
dal principe Manfredi al barone Filippo<br />
Tornello; e dopo l’avvento <strong>del</strong> re furono<br />
restituite al detto Ruggero accecato»).<br />
8 Carlo I d’Angiò restituì il feudo in terra di<br />
Giffoni e il castello di Pisciotta (castrum<br />
Pissocte), revocati da Federico II, a Ligorio<br />
Caracciolo di Napoli, genero di Bartolomeo<br />
de Alicio.<br />
9 Due donne <strong>del</strong>la casata De Amicis, avevano<br />
sposato due congiurati <strong>del</strong> 1246: Mabilia<br />
era andata sposa a Ruggero da Bisaccio<br />
(oggi Bisaccia), signore di Castel Labello<br />
(oggi Lavello, in provincia di Potenza) e<br />
Bella, invece, era andata sposa a Guglielmo<br />
di Monte Marano. Ruggero, in seguito alla<br />
congiura, perdette i feudi di Castel Labello<br />
e quello di Bisaccia (CAPASSO 1874, p. 348).<br />
Ruggero morì il 1248 e la sua baronia fu<br />
restituita dal papa Innocenzo IV alla vedo-<br />
SALTERNUM<br />
va Mabilia de Amicis (BERGER 1896, p.<br />
4035). Nell’estate <strong>del</strong> 1248, a Bella De<br />
Amicis furono restituite dal Papa i beni <strong>del</strong><br />
marito defunto, Guglielmo di Monte<br />
Marano (BERGER 1896, p. 4036). Anche a<br />
Corrado, figlio <strong>del</strong> congiurato Ruggero de<br />
Amicis, furono restituiti da Innocenzo IV i<br />
beni perduti (BERGER 1896, p. 4034).<br />
10 Cfr. CAPASSO 1874, p. 350: «Domino<br />
Riccardo de Bisaciis fuit restituta Bisaccia, de qua<br />
fuit spoliatus ab imp. Friderico, tempore rebellionis<br />
Caputacii, d. Riccardus de Bisaciis ejus avus, et<br />
fuit donata a principe Manfrido d. comiti<br />
Acerrarum, et postea d. Mattheo de Monticulo, et<br />
medietas casalibus Sancti Leonardi; et castrum<br />
Corbane in excambium castri Labelle, quod retinuit<br />
sibi d. Rex Carolus primus, et fuit concessum<br />
ab imperatore Friderico d. Riccardo avo d. Riccardi<br />
ut supra, et d. Riccardus maritavit sororem suam<br />
tempore turbationis Corradini sine licentia regis, et<br />
dedit eam in uxorem d. Mattheo de Monticulo,<br />
proditori regis cum medietate Bisacciarum», («Al<br />
barone Riccardo di Bisaccia fu restituita<br />
Bisaccia, di cui, al tempo <strong>del</strong>la congiura di<br />
Capaccio, fu spogliato dall’imperatore<br />
Federico il barone Riccardo di Bisaccia, suo<br />
avo, e fu donata dal principe Manfredi al<br />
conte di Acerra, e successivamente a don<br />
Matteo di Monticchio, e metà <strong>del</strong> casale di<br />
S. Leonardo; e il castello di Corbane<br />
[Carbone, detta Carbonara, oggi Aquilonia],<br />
che il re Carlo I tenne per sé, e fu concesso<br />
dall’imperatore Federico al barone<br />
Riccardo, avo di Riccardo come sopra, e il<br />
barone Riccardo maritò sua sorella al<br />
tempo <strong>del</strong> tentativo di riconquista di<br />
Corradino senza il permesso <strong>del</strong> re, e la<br />
diede in moglie al barone Matteo di<br />
Monticchio, traditore <strong>del</strong> re, con la metà di<br />
Bisaccia»). A Riccardo I di Bisaccia, giudice<br />
imperiale, Federico II aveva donato il feudo<br />
e il castello di Lavello, probabilmente nel<br />
1231, quando questi gli aveva dedicato la<br />
commedia Paolina e Polla. Ruggero, figlio di<br />
Riccardo I, aveva sposato Mabilia di<br />
Amicis. Dal matrimonio era nato Riccardo<br />
II. Carlo I d’Angiò trattenne per sé il feudo<br />
di Lavello e restituì a Riccardo II il feudo di<br />
Bisaccia, perduto dal nonno, ma, in cambio,<br />
gli concesse il feudo di Carbonara.<br />
11 Il castello di Monteforte e la terza parte <strong>del</strong><br />
castello di Mallano (oggi Magliano Vetere, in<br />
provincia di Salerno) furono restituiti da<br />
Calo I d’Angiò a Francesco II di Monteforte,<br />
figlio <strong>del</strong> congiurato (CAPASSO 1874, p. 346).<br />
- 16 -<br />
12 Carlo I d’Angiò restituì la baronia di<br />
Caggiano a Roberto, figlio di quel Gugliemo<br />
da Caggiano che aveva aderito alla congiura<br />
di Capaccio. Guglielmo ebbe due figli:<br />
Roberto, morto in esilio, e Guglielmo, a cui<br />
fu restituita la baronia (CAPASSO 1874, p.<br />
347).<br />
13 Il castello di Teora fu restituito a<br />
Riccardo, figlio di Ruggero de Camera,<br />
massimo esponente <strong>del</strong>la corte imperiale.<br />
14 Fu gran giustiziere in Sicilia dal 10 ottobre<br />
1239 al 3 maggio 1240.<br />
15 TORRACA 1902, p. 113 ss.; cfr. anche<br />
SCANDONE 1903, pp. 226 e ss; nota a p. 693;<br />
Appendice IX, p. 741.<br />
16 BÖHMER, Regesta Imperii, V, 3 -5, in FIKER<br />
– WINKELMANN (ed.) 1892 –1901; cfr.<br />
anche AMARI 1880, vol. I, p. 523.<br />
17 MORGHEN 1974.<br />
18 PORTANOVA 1977, p. 88.<br />
19 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 403. Il<br />
testo riporta una lezione errata ‘Scala’, che<br />
invece è una città sita sulla Costiera<br />
Amalfitana.<br />
20 PEDIO 1998, p. 268.<br />
21 COLENUCCIO 1539, p. 96.<br />
22 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 411.<br />
23 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 413.<br />
24 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 12.<br />
25 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 406.<br />
26 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 514.<br />
Federico II scrisse una lettera ai nobili <strong>del</strong><br />
Regno di Sicilia, in cui accusava il papa di<br />
aver dato aiuto ai congiurati fuggiti ad<br />
Anagni.<br />
27 Cfr. supra, n. 10: il paese è chiamato<br />
Caputacii. Nel Catalogus Baronum (anno 1150-<br />
1168 ) è detto Capuaccio (n. 554). Nel Codex<br />
Diplomaticus Cavensis (a. 936) è menzionato<br />
anche Capacii (gen.). Negli atti d’archivio di<br />
età normanna, angioina e aragonese, invece,<br />
è detto Capaucium; altre volte Caputaqueam.<br />
A mio avviso, il nome Capaccio deriva dall’oronimo<br />
Calpatium. Capaccio è la deformazione<br />
fonetica di Calpatium. Nel corso<br />
dei secoli, il toponimo ha avuto la seguente<br />
evoluzione linguistica: Calpatium > Capatium<br />
> Capuaccio (Catalogus Baronum n. 544, aa.<br />
1150-1168), Capaucium (in età normanna,<br />
angioina, aragonese) > Capacium ><br />
Capaccio. Un’altra interpretazione, invece,<br />
fa derivare il nome <strong>del</strong> paese dal toponimo<br />
tardo medievale Caputaqui, Caputaqueam (=<br />
Capo d’Acqua o Capo di Fiume).<br />
28 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 403.
29 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 439.<br />
30 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 408.<br />
31 Questo storico castello, rimasto abbandonato<br />
dal 1246, non può essere lasciato ad un ulteriore<br />
degrado: merita di essere restaurato per<br />
iniziativa <strong>del</strong>le pubbliche istituzioni (Comune<br />
di Capaccio, Regione, Soprintendenza ai Beni<br />
A.A.A. di Salerno e Avellino).<br />
32 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 457.<br />
33 HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 440.<br />
34 COLENUCCIO 1539, pp. 136 ss.; cfr. anche<br />
NATELLA – PEDUTO 1970, p. 36, n. 6.<br />
Bibliografia<br />
AMARI M. 1880, Biblioteca arabo-sicula,<br />
Torino-Roma, 2 voll.<br />
BERGER E. 1896, Les registres d’Innocent IV,<br />
“Bibliotheque des Écoles Françaises<br />
d’Athènes et de Rome”, Parigi.<br />
CANTOROWCZ E. 1976, Federico II, imperatore,<br />
Milano.<br />
CAPASSO B. 1874, Historia diplomatica regni<br />
Siciliae inde ab a. 1250 ad a.1266, Napoli.<br />
COLENUCCIO P. 1539, Compendio <strong>del</strong>l’Istoria<br />
<strong>del</strong> regno di Napoli, Venezia.<br />
FAZZELLO T. 1558, De rebus Siculis, Palermo.<br />
FICKER J. - WINKELMANN E. (ed.) 1892 -<br />
1901, Regesta Imperii, Innsbruck.<br />
GREGOROVIUS 1925 (ed.), Storia <strong>del</strong>la città di<br />
Roma nel Medioevo, a cura di E. PAIS.<br />
NICOLA FIERRO<br />
35<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 404.<br />
36<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, pp. 404;<br />
440.<br />
37<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 405.<br />
38<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 439.<br />
39<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 458.<br />
40<br />
FAZZELLO 1558, lib. VIII.<br />
41<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1860, p. 405.<br />
42 Poésies inédites du moyen âge 1854, p. 375.<br />
43<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES 1865, p. 370, n. 74 ss.<br />
44<br />
WATTENBACH 1855, vol. 14, p. 33.<br />
HASKINS CH. H. 1928, Latin Litterature under<br />
Frederick II, in “Speculum”, 3, pp. 129-151.<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES J. U. L. 1860,<br />
Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parisii.<br />
HUILLARD-BRÉHOLLES J. U. L. 1865, Vie et<br />
corrispondance de Pierre de la Vigne, Parigi.<br />
MORGHEN R. 1974, Gli Svevi in Italia,<br />
Palermo.<br />
NATELLA P. - PEDUTO P. 1970, Il castello di<br />
Capaccio in provincia di Salerno, in “Rivista di<br />
Studi Salernitani”, VI, pp. 29-42.<br />
PEDIO T. 1998, Cartulario <strong>del</strong>la Basilicata<br />
(476-1443), Venosa.<br />
Poésies inédites du moyen âge 1854, Paris<br />
(Librairie Frank, Rue Richelieu, 67).<br />
PORTANOVA D. G. 1977, I Sanseverino e<br />
- 17 -<br />
45 WATTENBACH 1855, p. 52; cfr. anche<br />
HASKINS 1928, p. 140; CANTOROWCZ 1976,<br />
p. 356.<br />
46 SCANDONE 1957, p. 217.<br />
47 Su un quadro antico di Capua, Pier <strong>del</strong>le<br />
Vigne è detto censor legum; un noto studioso<br />
ha dimostrato che detta espressione si riferisce<br />
alle sole «funzioni di giudice», espletate<br />
da Pier <strong>del</strong>le Vigne (SAVAGNONE 1925,<br />
pp. 3-4).<br />
48 SAVAGNONE 1925, pp. 3-4.<br />
l’Abbazia Cavense (1061-1324), Badia di Cava<br />
- Isola <strong>del</strong> Liri.<br />
SAVAGNONE F. G. 1925, I compilatori <strong>del</strong>le<br />
«Costitutiong» di Federico II, in “Archivio<br />
Storico Siciliano”, n.s., XLVI.<br />
SCANDONE F. 1903, Studi di letteratura italiana,<br />
Napoli.<br />
SCANDONE F. 1957, L’alta Valle <strong>del</strong>l’Ofanto,<br />
Avellino.<br />
TORRACA F. 1902, Studi su la lirica italiana <strong>del</strong><br />
Duecento, Bologna.<br />
WATTENBACH W. 1855, Iter Austriacum,<br />
Archiv. Für Kunde österreichischer<br />
Geschichtsquellen, Vienna, vol. 14.
- 18 -
«Gli ambiti regionali nei quali si presentava divisa e<br />
differenziata la realtà <strong>del</strong>la penisola italica prima<br />
<strong>del</strong>la unificazione romana erano caratterizzati da<br />
condizioni geografiche, etniche, sociali, economiche<br />
e culturali profondamente diverse. Questa varietà di<br />
condizioni e di strutture non permette di considerare<br />
in modo unitario il fenomeno città e sembra<br />
anche rendere impossibile una definizione <strong>del</strong>lo<br />
stesso concetto di ‘città’ valida per queste aree…».<br />
(GABBA 1987, p. 109)<br />
Breve storia <strong>del</strong>la ricerca<br />
Iniziato oltre tre decenni fa, lo scavo sul sito di<br />
Roccagloriosa (SA), con alterne vicende, si è<br />
gradualmente trasformato da iniziale esplorazione<br />
di uno dei tanti siti di altura <strong>del</strong>l’hinterland<br />
magno-greco (più in generale, <strong>del</strong>le aree interne <strong>del</strong>la<br />
penisola italiana in età pre-romana) in un utilissimo<br />
caso di studio sul livello di complessità insediativa<br />
raggiunto dagli abitati italici in quel cruciale periodo di<br />
trasformazione <strong>del</strong>le culture e <strong>del</strong>la geografia politica<br />
<strong>del</strong>la penisola italiana che è stato il IV sec. a.C. 1 .<br />
Mi sembra opportuno sottolineare<br />
che, non sorprendentemente, l’enfasi<br />
iniziale <strong>del</strong>la ricerca sistematica sul<br />
terreno2 sia stata posta sulla esplorazione<br />
<strong>del</strong>la linea di difesa <strong>del</strong> poderoso<br />
muro di fortificazione3 e sulla<br />
topografia <strong>del</strong> sito arroccato sulle<br />
pendici <strong>del</strong> crinale <strong>del</strong> M. Capitenali,<br />
a controllo <strong>del</strong>le valli <strong>del</strong> Mingardo e<br />
<strong>del</strong> Bussento. La successiva scoperta<br />
di vaste aree di abitato, sia all’interno<br />
che sui pianori immediatamente all’esterno<br />
<strong>del</strong>la fortificazione e, certamente<br />
di rilevanza non minore, lo<br />
scavo di un’area di necropoli monumentale<br />
individuata nel settore sud<br />
MAURIZIO GUALTIERI<br />
Roccagloriosa, la tabula osca ed il caduceo:<br />
frammenti di un discorso sulla ‘città’ italica<br />
Fig. 1 - Roccagloriosa: nuclei di abitato di IV sec. a. C.<br />
- 19 -<br />
<strong>del</strong>l’abitato di altura all’esterno <strong>del</strong> muro di fortificazione<br />
ed in eccezionale stato di conservazione, hanno<br />
poi orientato la ricerca in ben altre direzioni.<br />
A partire dal 1982, grazie ad una Concessione di<br />
Scavo <strong>del</strong> Ministero e con il sostegno finanziario<br />
<strong>del</strong>l’Università <strong>del</strong>l’Alberta e <strong>del</strong> Consiglio <strong>del</strong>le<br />
Ricerche <strong>del</strong> Canada, è stato possibile intraprendere<br />
un progetto di esplorazione su larga scala di uno dei<br />
principali nuclei di abitato localizzati sul cd. Pianoro<br />
Centrale all’interno <strong>del</strong>la fortificazione (fig. 1). Una<br />
tale esplorazione sistematica <strong>del</strong>le aree abitative ha<br />
inoltre posto fra gli obiettivi primari <strong>del</strong>la ricerca<br />
anche l’esplorazione degli altri nuclei abitativi identificati,<br />
sia mediante ricognizione intensiva di superficie<br />
entro una griglia sufficientemente ristretta in modo<br />
tale da fornire significative distribuzione dei materiali<br />
raccolti 4 , sia mediante prospezioni geo-archeologiche<br />
opportunamente calibrate in relazione alla natura <strong>del</strong><br />
terreno. Queste ultime sono state condotte con la collaborazione<br />
<strong>del</strong>la Fondazione Lerici Prospezioni<br />
Archeologiche <strong>del</strong> Politecnico di Milano, che ha voluto<br />
inserire l’esplorazione estensiva <strong>del</strong>l’abitato pre-
Fig. 2 - Roccagloriosa: pianta generale <strong>del</strong>l’abitato fortificato.<br />
romano tra i progetti di interesse scientifico <strong>del</strong>la<br />
Fondazione stessa. Parallelamente, la ricognizione<br />
sistematica di superficie <strong>del</strong> territorio tutt’intorno al<br />
sito fortificato ha <strong>del</strong>ineato il quadro dettagliato <strong>del</strong><br />
paesaggio e <strong>del</strong>le forme di occupazione <strong>del</strong> territorio<br />
in cui si collocava l’abitato di altura. Tutto ciò, è<br />
opportuno ribadirlo, in un comprensorio che, sin<br />
quasi alla fine degli anni ’70, rimaneva ancora una<br />
sorta di ‘terra incognita’ nel panorama generale <strong>del</strong>la<br />
Magna Grecia e, più in particolare, nel quadro degli<br />
sviluppi <strong>del</strong> popolamento italico nel sud <strong>del</strong>la penisola.<br />
La ricerca condotta in maniera continuativa e<br />
sistematica, con ripetute verifiche <strong>del</strong>le strategie di<br />
intervento sul terreno e degli obiettivi <strong>del</strong>la ricerca,<br />
adattandoli alla documentazione che l’esplorazione sul<br />
terreno veniva progressivamente accumulando, ha<br />
fornito serie complementari di dati che (caso più<br />
unico che raro per un sito ‘indigeno’ <strong>del</strong>la Magna<br />
Grecia), riguardano i diversi aspetti <strong>del</strong>la organizzazione<br />
<strong>del</strong>la comunità. Tali dati si integrano utilmente,<br />
permettendoci di definire con ricchezza di dettagli<br />
modi di occupazione <strong>del</strong> territorio con le attività economiche<br />
connesse, l’organizzazione sociale ed una<br />
embrionale struttura istituzionale. Ne deriva un quadro<br />
coerente di un abitato che, da iniziale insediamento<br />
di limitate dimensioni nei decenni finali <strong>del</strong> V secolo<br />
a. C., probabilmente ancora a livello di poche famiglie<br />
appartenenti al gruppo gentilizio ristretto che ne<br />
manteneva il controllo, si va sviluppando tra IV e<br />
prima metà <strong>del</strong> III secolo in un vasto agglomerato con<br />
un tipo di strutturazione che include spazi collettivi ed<br />
edifici di natura non abitativa che potremmo in prima<br />
approssimazione, seppur con molta cautela, assimilare<br />
alla categoria <strong>del</strong> ‘pubblico’ 5 .<br />
SALTERNUM<br />
- 20 -<br />
Organizzazione generale <strong>del</strong>l’abitato<br />
Alla luce dei dati raccolti (in buona parte già pubblicati<br />
in maniera analitica) e <strong>del</strong> dibattito che ne è seguito<br />
6 è possibile definire alcuni aspetti fondamentali <strong>del</strong>l’organizzazione<br />
topografica, socio-economica e territoriale<br />
<strong>del</strong>la Roccagloriosa lucana, che riassumo brevemente.<br />
Il sito di Roccagloriosa (SA), a ca. 6 km in linea d’aria<br />
da Policastro Bussentino 7 e in posizione di comando<br />
nell’entroterra <strong>del</strong>l’omonimo Golfo, costituisce<br />
indubbiamente un punto di osservazione privilegiato<br />
per quelle forme di organizzazione insediativa ed i<br />
mutamenti <strong>del</strong>l’assetto territoriale che si verificano fra<br />
V e IV secolo a. C. in numerose aree <strong>del</strong>l’Italia centromeridionale<br />
8 che siamo soliti denominare quali ‘sannitizzazione’<br />
o ‘lucanizzazione’.<br />
La poderosa cinta muraria di Roccagloriosa, costruita<br />
nel corso <strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong> IV secolo, se da un<br />
lato costituisce una linea di difesa <strong>del</strong>la parte piu’ elevata<br />
<strong>del</strong>l’abitato (fig. 2), naturalmente protetto verso la<br />
costa dal crinale <strong>del</strong> M. Capitenali, viene altresì a definire<br />
un’area insediativa (quella sul Pianoro Centrale) che<br />
mostra una più rigorosa organizzazione <strong>del</strong>lo spazio .<br />
Sono contemporanee a questo processo di monumentalizzazione<br />
<strong>del</strong>l’abitato di altura le grandi case a<br />
cortile e, poco più tardi, la impostazione dei due grandi<br />
recinti funerari alle estremità <strong>del</strong>l’area di necropoli in<br />
località La Scala, utilizzata da gruppi elitari con un rituale<br />
funerario ben caratterizzato 9 . La presenza costante<br />
<strong>del</strong> cinturone di tipo ‘sannitico’ nelle tombe dei maschi<br />
adulti, pur in assenza di armi, ne sottolinea lo status di<br />
guerriero, in almeno un caso montato a cavallo, come<br />
mostrano gli elementi <strong>del</strong>la bardatura equina rinvenuti<br />
in una tomba a camera <strong>del</strong> recinto nord (T. 19). Lungo<br />
un arco cronologico che va fra il 400 ed il 290/280 a. C.,<br />
le tombe <strong>del</strong>la necropoli in località ‘La Scala’, ci consentono<br />
di seguire nella sua gradualità il processo di strutturazione<br />
di gruppi socialmente egemoni 10 che potremmo<br />
più specificamente qualificare quali esponenti <strong>del</strong>le<br />
«familiae illustres lucanae» di Livio (8, 24, 4) o, utilizzando<br />
una felice definizione di E. Lepore, quale una vera e propria<br />
‘oligarchia’ lucana. E’ interessante, a Roccagloriosa,<br />
osservare il fatto che, considerata la stretta relazione<br />
topografica fra le aree di necropoli monumentali e l’abitato<br />
fortificato, è legittimo ipotizzare che si tratti <strong>del</strong>le<br />
sepolture <strong>del</strong>le stesse élites stanziate nelle dimore signorili<br />
(spesso a cortile centrale lastricato) 11 documentate nei<br />
nuclei abitativi all’interno <strong>del</strong>la mura. Inoltre, alla luce
<strong>del</strong>la citata lex che ci documenta in maniera significativa<br />
il fenomeno di maturazione politica <strong>del</strong>la comunità<br />
lucana di Roccagloriosa, sembra verosimile pensare che,<br />
proprio all’interno degli stessi gruppi elitari ben documentati<br />
dal Complesso A sul pianoro centrale 12 e dai<br />
grandi recinti funerari <strong>del</strong>la necropoli ‘La Scala’, il processo<br />
di differenziazione funzionale che porta alla definizione<br />
di uno o più ‘meddes’ e di un’organo assembleare<br />
avrà enucleato le nuove cariche istituzionali che vengono<br />
a costituire la embrionale struttura politica <strong>del</strong>la<br />
‘touta‘ di Roccagloriosa.<br />
Per quanto riguarda il territorio, a partire dalla<br />
metà <strong>del</strong> IV secolo a.C. è stato possibile documentare<br />
con abbondanza di dati l’accentuarsi <strong>del</strong> fenomeno di<br />
occupazione <strong>del</strong>la campagna mediante piccoli insediamenti<br />
rurali (fig. 1, supra), fenomeno osservabile,<br />
sia pur in maniera assai più rada, già nella prima metà<br />
<strong>del</strong> IV secolo 13 . Un tale quadro di densa occupazione<br />
<strong>del</strong>la campagna, mediante fattorie a conduzione familiare<br />
con annesse aree cimiteriali (scaglionate lungo un<br />
arco cronologico di pochi decenni) ed un certo numero<br />
di piccoli agglomerati rurali, segnala l’emergere di<br />
gruppi ‘intermedi’ all’interno <strong>del</strong>la compagine lucana,<br />
evidenziando ulteriori aspetti <strong>del</strong>le rapide trasformazioni<br />
sociali che si verificano tra la seconda metà <strong>del</strong><br />
IV ed i decenni iniziali <strong>del</strong> III secolo a. C. 14 . Nel caso<br />
specifico in esame, é stato possibile dimostrare, grazie<br />
ai dati forniti dall’analisi dei reperti archeozoologici<br />
ed archeobotanici 15 recuperati dai contesti stratigrafici<br />
<strong>del</strong>lo scavo <strong>del</strong>l’abitato fortificato, un fenomeno di<br />
intensificazione agricola e soprattutto un crescente<br />
impatto <strong>del</strong>la viticoltura nel periodo a cavallo fra IV e<br />
III secolo a. C.<br />
Il frammento di tabula bronzea con iscrizione osca: testimonianza<br />
di una embrionale organizzazione istituzionale <strong>del</strong>la<br />
comunità locale<br />
Una eccezionale spia sul livello di complessità<br />
organizzativa raggiunto dall’abitato nei decenni a<br />
cavallo tra IV e III sec. è stata fornita dal rinvenimento<br />
16 di un frammento di tabula bronzea opistografa<br />
(cioè iscritta su ambedue le facce) con testo in lingua<br />
osca (la lingua dei Sanniti - a Roccagloriosa attestata<br />
nella sua variante meridionale), redatto adoperando<br />
l’alfabeto greco <strong>del</strong> tipo ionico-tarantino (fig. 3).<br />
Sebbene il documento sia stato immediatamente identificato<br />
quale importante attestazione di un testo di<br />
‘legge’, come indicano le molte statuizioni prescrittive<br />
MAURIZIO GUALTIERI<br />
- 21 -<br />
Fig. 3 - Roccagloriosa: pianta generale <strong>del</strong>l’abitato fortificato.<br />
Fig. 4 - Frammento di<br />
tabula bronzea opistografa<br />
dal Pianoro Centrale.<br />
con frequente uso <strong>del</strong>l’imperativo futuro, la complessità<br />
stessa <strong>del</strong> testo e l’assenza di documentazione di<br />
raffronto ha indotto ad ipotizzarne, in una prima<br />
frettolosa presentazione <strong>del</strong> documento, una datazione<br />
esageratamente bassa di fine II secolo a. C. 17 . Ciò<br />
potrebbe essere dovuto al fatto che, in assenza di<br />
documenti raffrontabili dall’area lucana ad eccezione<br />
<strong>del</strong> corpus <strong>del</strong>le epigrafi su pietra dal santuario di<br />
Rossano di Vaglio (di diversa natura e, tra l’altro, già<br />
tutte in buona parte inquadrabili in un contesto di<br />
progressiva ‘romanizzazione’), il testo sia stato, automaticamente,<br />
posto a confronto con l’unico altro<br />
documento di paragonabile lunghezza e complessità<br />
quale la Tabula Bantina.<br />
Non è un caso che, in occasione <strong>del</strong>la Mostra su<br />
L’Italia dei Sanniti inaugurata al Museo Nazionale
Fig. 5 - Frammento di tabula bronzea opistografa dal Pianoro Centrale.<br />
Apografo <strong>del</strong>la faccia A.<br />
Fig. 6 - Frammento di tabula bronzea opistografa dal Pianoro Centrale.<br />
Apografo <strong>del</strong>la faccia B.<br />
Romano nel gennaio 2000, il testo fosse stato (direi,<br />
un po’ frettolosamente) esposto accanto alla menzionata<br />
Tabula Bantina, una circostanza che ha in parte<br />
contribuito a non lasciarne valutare in maniera adeguata<br />
il ben diverso contesto archeologico (e cronologico!)<br />
di appartenenza 18 .<br />
E’ comprensibile, tra l’altro, che l’ottica ‘sannitica’<br />
<strong>del</strong> Catalogo in cui era stata inquadrata questa prima<br />
scheda <strong>del</strong> manufatto costituisse di per sé una forte<br />
remora a rialzarne la datazione oltre il II secolo a. C.,<br />
tenendo presente il quadro fornito dalla documentazione<br />
epigrafica in osco dal Sannio interno, che nella<br />
stragrande maggioranza dei casi noti appartiene ad un<br />
taglio cronologico più basso. L’editio princeps <strong>del</strong> testo<br />
per mano di P. Poccetti, unitamente ad un esame <strong>del</strong>la<br />
SALTERNUM<br />
- 22 -<br />
paleografia <strong>del</strong>l’iscrizione, non lasciano alcun dubbio<br />
che si tratti di un testo appartenente ad un taglio cronologico<br />
alto, nei decenni a cavallo tra IV e III secolo<br />
a. C. e comunque entro il III secolo a. C. «….sulla base<br />
di convincenti evidenze paleografiche ed ortografiche»<br />
19 .<br />
Senza alcuna pretesa di entrare nello specifico <strong>del</strong>l’esegesi<br />
testuale, di cui molteplici aspetti rimangono<br />
oggetto di discussione 20 , mi sembra opportuno sintetizzare<br />
nell’ambito <strong>del</strong>la problematica di questo articolo<br />
alcuni degli aspetti principali <strong>del</strong>la organizzazione<br />
istituzionale che traspaiono dal testo <strong>del</strong>la tabula. La<br />
parte <strong>del</strong> testo a noi pervenuta include molti vocaboli<br />
sinora non attestati la cui interpretazione è resa più<br />
complessa dall’assenza di interpunzioni. Un termine<br />
noto e di uso ripetuto nel testo a noi pervenuto è quello<br />
<strong>del</strong> meddes: al rigo 5 <strong>del</strong>la faccia A il termine è seguito<br />
inoltre dalla designazione <strong>del</strong>la carica medeika(tud),<br />
(fig. 5). E’ da sottolineare il fatto che almeno in un<br />
caso il termine venga senza dubbio adoperato al plurale,<br />
come indica il relativo che lo precede «pous meddes…»<br />
al rigo 7 <strong>del</strong>la faccia B. Sempre sulla faccia B<br />
(fig. 6) sono da menzionare due importanti attestazioni,<br />
per la rilevanza che esse assumono rispetto alla<br />
problematica <strong>del</strong>l’organizzazione istituzionale <strong>del</strong>la<br />
comunità lucana di Roccagloriosa. Sul primo rigo, <br />
agginoud è l’ablativo di un noto termine osco per ‘<strong>del</strong>iberato’<br />
(lat. sententia) e in altre iscrizioni dove appare<br />
esso è preceduto dal genitivo <strong>del</strong>l’organo <strong>del</strong>iberante,<br />
lasciando dunque spazio per ipotizzare l’esistenza di<br />
un embrionale organo assembleare.<br />
Infine, il temine touteikais (lat. publicis) al rigo 4 <strong>del</strong>la<br />
faccia B è il dativo plurale <strong>del</strong>l’aggettivo derivante da<br />
touta, il termine che connota l’entità ‘statale’ 21 nelle lingue<br />
italiche: dunque un chiaro riferimento alla categoria<br />
<strong>del</strong> ‘pubblico’.<br />
La nuova documentazione dall’edificio ‘pubblico’ sul Pianoro<br />
Centrale<br />
Alla luce di quanto appena discusso, risulta pertanto<br />
evidente che la importante (seppur frammentaria)<br />
documentazione fornita dal testo epigrafico su tabula<br />
bronzea abbia riproposto su nuove basi la dibattuta<br />
questione sulla esistenza o meno di spazi collettivi<br />
o veri e propri edifici ‘pubblici’, solo ipoteticamente<br />
identificati in alcune <strong>del</strong>le strutture scavate, soprattutto<br />
sulla base <strong>del</strong>la topografia e caratteristiche architettoniche<br />
(qualunque possa esserne stata la specifica
natura), almeno a partire dalla seconda metà (o, forse,<br />
i decenni finali) <strong>del</strong> IV secolo a. C.. Tali presunti edifici<br />
‘pubblici’, tuttavia, non sono stati sinora sufficientemente<br />
documentati per quanto riguarda sia l’impianto<br />
architettonico sia la specifica funzionalità, a causa di<br />
una documentazione ancora molto frammentaria al<br />
riguardo.<br />
Ancor più, rimane oggetto di discussione la possibile<br />
presenza di spazi collettivi di natura cultuale, per<br />
cui Roccagloriosa ci ha fornito esclusivamente (ad un<br />
taglio cronologico di IV secolo a. C.) la eccezionale<br />
documentazione <strong>del</strong> sacro inserito all’interno <strong>del</strong> cortile<br />
porticato di una residenza signorile. Sembra possibile<br />
affermare, tuttavia, alla luce <strong>del</strong>la più recente<br />
documentazione sugli sviluppi <strong>del</strong>l’organizzazione<br />
insediativa tra i decenni finali <strong>del</strong> IV secolo e gli inizi<br />
<strong>del</strong> III, che potrebbe essersi sviluppato sui cd. ‘Piani<br />
di Mariosa’ 22 , all’esterno <strong>del</strong>la cinta muraria, su di una<br />
collinetta a comando <strong>del</strong>la media valle <strong>del</strong> Mingardo,<br />
un probabile edificio di culto ‘collettivo’. Ciò, sulla<br />
sola base dei massicci resti architettonici in superficie<br />
di un lungo muro in grossi blocchi di calcare, a cui<br />
appartenevano due basi di colonna 23 che presentano<br />
raffronti stringenti con quelle adoperate per il portico<br />
di un tempio italico di III secolo a. C. rinvenuto a<br />
Macchia Porcara di Casalbore da W. Johannowsky 24 .<br />
Tra gli edifici per cui è stato possibile ipotizzare,<br />
sulla base di una documentazione archeologica più<br />
vistosa, una funzione collettiva (o genericamente<br />
‘pubblica’) è da menzionare il vasto ambiente al margine<br />
nord <strong>del</strong> cd. ‘pianoro centrale’, di cui sono stati<br />
scavati massicci resti di murature. Quest’ultimo è<br />
apparso senza dubbio quello con il ‘paradigma indiziario’<br />
più trasparente per una destinazione a funzioni di<br />
carattere ‘pubblico’. Innanzi tutto per la sua collocazione:<br />
l’edificio si trovava immediatamente all’interno<br />
<strong>del</strong>le mura, in prossimità <strong>del</strong>la postierla B 25 e non lontano<br />
(ca. 50 m a Nord) <strong>del</strong>la monumentale porta centrale.<br />
La sua collocazione sul limite settentrionale <strong>del</strong><br />
pianoro centrale in un’area di accentuato sfalsamento<br />
altimetrico, ha fatto sì che l’edificio sia stato rinvenuto<br />
in uno stato di conservazione disastroso a causa <strong>del</strong>le<br />
frane successive all’abbandono. Lo scavo si è limitato<br />
a documentare solo alcuni allineamenti di poderosi<br />
muri che ne indicano caratteristiche più complesse ed<br />
un tipo di costruzione alquanto diversi da quanto<br />
riscontrato nei complessi abitativi sinora scavati sul<br />
pianoro centrale. Sebbene la pianta risulti irrimediabil-<br />
MAURIZIO GUALTIERI<br />
- 23 -<br />
Fig. 7 - ‘Falere’ di bronzo da edificio ‘pubblico’ sul Pianoro Centrale.<br />
mente frammentaria, è da sottolineare che la quantità<br />
e varietà di manufatti recuperati dal pur parziale intervento<br />
di scavo stanno ad indicarne una funzione <strong>del</strong><br />
tutto particolare. La ceramica rinvenuta si data dalla<br />
metà <strong>del</strong> IV alla seconda metà avanzata <strong>del</strong> III sec. a.<br />
C.: è da sottolineare la cospicua presenza di skyphoi,<br />
patere a vernice nera, ciotole emisferiche e baccellate<br />
sovradipinte (tipo ‘Gnathia’) 26 , esemplari di vasi miniaturistici<br />
ed anfore che ne documentano un uso cerimoniale<br />
27 .<br />
Significativa è la presenza di armi, <strong>del</strong> tutto assenti<br />
negli altri contesti abitativi scavati sul sito, rappresentate<br />
da almeno tre punte di lancia o giavellotto in<br />
ferro, frammenti di un cinturone in bronzo e la ricca<br />
serie di appliques di bronzo (fig. 7) raffiguranti uno<br />
scudo bilobato, documentati anche in altre zone <strong>del</strong><br />
pianoro centrale, ma qui rinvenuti in una particolare<br />
concentrazione 28 . Il filo di bronzo rinvenuto intatto, in<br />
più di un caso all’interno dei due fori di attacco, lascia<br />
pensare con tutta probabilità ad un gancio che ci induce<br />
a configurare tale gruppo di appliques dall’edificio in<br />
questione quale una sorta di phalerae bronzee per un<br />
oggetto di armatura di materiale organico deperibile<br />
(corpetti, cinturoni, elmi, scudi) 29 . Le phalerae sono <strong>del</strong><br />
tutto assenti nelle tombe di individui maschi adulti a<br />
Roccagloriosa che sono caratterizzate dalla presenza<br />
<strong>del</strong> cinturone di bronzo, ma sono state rinvenute nelle<br />
tombe maschili di altri siti. 30
Fig. 8 - Impugnatura bronzea di caduceus, con l’iscrizione «DE».<br />
Il documento di gran lunga più qualificante fra i<br />
reperti <strong>del</strong>l’edificio in questione è un grosso puntale di<br />
bronzo (h 25 cm ca.), sagomato in maniera piuttosto<br />
elaborata, da cui usciva un’asta in ferro ora disgregata<br />
a causa <strong>del</strong>l’avanzato stato di ossidazione (fig. 8), che<br />
ha fornito la forte suggestione che possa trattarsi <strong>del</strong>l’impugnatura<br />
di un oggetto da parata, identificato da<br />
una iscrizione quale oggetto di proprietà ‘pubblica’ e<br />
depositato nell’edificio in questione.<br />
Il caduceo con iscrizione «de(mosion)»: l’emergere di una identità<br />
‘politica’?<br />
Ritorniamo dunque in maggior dettaglio su quello<br />
che senza dubbio costituisce, da solo, il dato più qualificante<br />
per la natura e funzionalità <strong>del</strong>l’edificio in questione:<br />
l’impugnatura in bronzo con iscrizione incisa<br />
<strong>del</strong>le due lettere «DH» = «de(mosion)» 31 (fig. 8). Lo stato<br />
di conservazione frammentario <strong>del</strong>l’oggetto ha dato<br />
adito a non pochi equivoci sulla sua interpretazione,<br />
ancor più quando si consideri il fatto che un tale rinvenimento<br />
è avvenuto in uno stadio iniziale <strong>del</strong>la ricerca<br />
sul sito (nel Marzo 1977) cioè in un momento in cui,<br />
nonostante gli obiettivi e le ipotesi di lavoro qui formulati<br />
nel primo paragrafo, la documentazione sul tipo di<br />
organizzazione <strong>del</strong>l’abitato all’interno <strong>del</strong>la fortificazione<br />
era estremamente frammentaria ed inquadrata<br />
per lo più nell’ambito di un approccio concettuale che<br />
privilegiava la natura non-complessa e certamente non<br />
‘urbana’ di tali insediamenti. Non deve stupire pertanto<br />
il fatto che una iscrizione <strong>del</strong> genere, peraltro in<br />
greco, che dichiarava la natura ‘pubblica’ <strong>del</strong> manufatto<br />
abbia dato adito, in un momento iniziale, ad ipotesi<br />
interpretative che, con il senno di poi (in particolare<br />
l’importantissimo testo in osco di contenuto giuridico<br />
<strong>del</strong> frammento di tabula bronzea rinvenuto nel 1999) 32<br />
SALTERNUM<br />
- 24 -<br />
potrebbero apparire approssimate, se non <strong>del</strong> tutto<br />
fuorvianti. In una prima presentazione, tale manufatto<br />
33 , sulla base di raffronti tipologici puntuali dall’area<br />
magno-greca, era stato identificato quale sauroter, cioè<br />
puntale di lancia, evidentemente per particolari usi ‘da<br />
parata’, date le dimensioni e l’elaborata sagomatura,<br />
simili a quelle di due esemplari iscritti con dedica provenienti<br />
da un’area sacra di Crotone, in località Vigna<br />
Nuova 34 . Inoltre, la paleografia <strong>del</strong> graffito nonché la<br />
particolare disposizione <strong>del</strong>le lettere e <strong>del</strong> nesso <strong>del</strong>taeta,<br />
perfettamente raffrontabili con i bolli su mattoni<br />
velini <strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong> III secolo, aveva fatto inizialmente<br />
pensare ad un trofeo dalla vicina Velia (con<br />
cui <strong>del</strong> resto il centro è strettamente legato per la circolazione<br />
monetaria, sino ai primi decenni <strong>del</strong> III secolo)<br />
35 . Come già sopra accennato, tuttavia, alla luce <strong>del</strong>la<br />
più recente documentazione epigrafica sul sito è possibile<br />
darne una ben diversa interpretazione. Si tratta evidentemente<br />
<strong>del</strong>l’impugnatura bronzea di un kerykeion<br />
(lat. caduceus) 36 , originario attributo di Hermes, che poi<br />
diviene in età classica il simbolo qualificante <strong>del</strong>l’araldo<br />
(greco: keryx) «… che parla a nome <strong>del</strong>la città…».<br />
Pertanto, come efficacemente sottolineato da M.<br />
Guarducci , esso viene a costituire un «simbolo ufficiale<br />
<strong>del</strong>lo Stato» 37 e, aggiungerei, il simbolo pregnante<br />
<strong>del</strong>le ambascerie di guerra e pace 38 .<br />
Presumibilmente, l’esemplare dal pianoro centrale<br />
<strong>del</strong>l’abitato lucano di Roccagloriosa era depositato nel<br />
menzionato edificio ‘pubblico’ in cui è stato rinvenuto.<br />
Il graffito «DE» enfaticamente ne designa l’appartenenza<br />
‘al popolo’, ovverosia lo qualifica quale oggetto<br />
di proprietà <strong>del</strong>la comunità, che quindi aveva adottato<br />
sia il simbolo stesso sia il termine demosion (attributo<br />
<strong>del</strong>l’oggetto) dall’apparato <strong>del</strong>le città italiote 39 .<br />
Pertanto, pur in mancanza <strong>del</strong> genitivo plurale <strong>del</strong>l’etnico<br />
di pertinenza, come indicato in tanti altri casi di<br />
rinvenimenti sia dalla Grecia che dalla Magna Grecia,<br />
è la documentazione stessa <strong>del</strong> caduceo in questione<br />
e la sua qualificazione di oggetto ‘pubblico’ (o più correttamente<br />
‘appartenente alla comunità’) a fornirci una<br />
immagine eloquente di una emergente ‘identità politica’<br />
all’interno <strong>del</strong>la comunità locale.<br />
Considerazioni conclusive<br />
Il quadro archeologico fornito dalla più recente<br />
ricerca sul sito e le considerazioni appena fatte sulla<br />
documentazione epigrafica rinvenuta, non solo apportano<br />
elementi di rilievo alla problematica <strong>del</strong>la com-
plessità insediativa di un abitato di IV secolo a. C., ma<br />
allo stesso tempo ci forniscono una fondamentale<br />
base di partenza per comprendere il livello di strutturazione<br />
<strong>del</strong>l’abitato di Roccagloriosa, al momento<br />
<strong>del</strong>la sua massima fioritura. Di fronte ai dati <strong>del</strong>la<br />
organizzazione istituzionale di cui il centro si viene<br />
dotando nel corso <strong>del</strong> IV secolo a. C., è evidente che<br />
una rigida (e semplicistica) distinzione antinomica<br />
città/non città 40 appaia <strong>del</strong> tutto fuori luogo. E’ d’altro<br />
canto da ribadire il fatto che, pur di fronte ad un abitato<br />
complesso e con forme di organizzazione politico-istituzionali<br />
quale si viene configurando per la<br />
Roccagloriosa di IV secolo a. C., sarebbe non <strong>del</strong> tutto<br />
appropriato rifarsi al paradigma interpretativo <strong>del</strong>la<br />
‘città’, cioè ad un mo<strong>del</strong>lo che direttamente o indirettamente<br />
viene più comunemente associato ad un tipo<br />
di organizzazione insediativa strutturata e centralizzata<br />
<strong>del</strong>la polis di età classica o la civitas/urbs <strong>del</strong> mondo<br />
romano. Parimenti, sono senz’altro da escludere tutte<br />
quelle definizioni (potremmo dire ‘di comodo’) quali<br />
‘proto-urbano’, ‘quasi-urbano’ o ‘pseudo-urbano’, che<br />
si rifanno in negativo ed in maniera spesso impropria<br />
(se non <strong>del</strong> tutto fuorviante) ad un tale mo<strong>del</strong>lo 41 .<br />
La ricca documentazione archeologica ed epigrafica<br />
proveniente dal sito in esame non lascia alcun dubbio<br />
che ci si trovi di fronte ad un abitato strutturato<br />
con evidenti aspetti di divisione <strong>del</strong>lo spazio secondo<br />
criteri preordinati. In tale tipo di complessa organizzazione<br />
insediativa la (sinora apparente) assenza di edifici<br />
pubblici e di una organizzazione centralizzata<br />
MAURIZIO GUALTIERI<br />
- 25 -<br />
secondo il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la città greco-romana non significa<br />
affatto assenza di una struttura ‘politica’. E’ inoltre<br />
indiscutibile il ruolo di centralità che l’abitato<br />
agglomerato svolge nell’ambito <strong>del</strong>la organizzazione e<br />
controllo di un territorio o, più propriamente, di un ben<br />
definito ‘spazio agrario’, che è stato possibile documentare<br />
con ricchezza di dati per il IV secolo a. C. tra<br />
media valle <strong>del</strong> Mingardo e bassa valle <strong>del</strong> Bussento 42 .<br />
Ci sembra opportuno, dunque, proprio sulla base<br />
di tali note di cautela, necessarie per un corretto<br />
inquadramento <strong>del</strong>le specifiche realtà archeologiche<br />
relative ad un abitato italico, richiamare le fondamentali<br />
osservazioni di E. Gabba poste a frontespizio <strong>del</strong>la<br />
nostra discussione. E’ senza dubbio, come sottolinea<br />
lo studioso, la stessa «... varietà di condizioni e di<br />
strutture» 43 <strong>del</strong>la geografia politica <strong>del</strong>la penisola italiana<br />
in età pre-romana che impedisce di considerare in<br />
modo unitario un inequivocabile fenomeno di ‘urbanizzazione’<br />
o, meglio, quella indiscutibile tendenza<br />
verso forme di ‘complessità insediativa’ che si riscontrano<br />
con crescente frequenza nel corso <strong>del</strong> IV secolo<br />
a. C. in vari comparti <strong>del</strong>la penisola italiana 44 . Sarà<br />
necessaria una più approfondita analisi <strong>del</strong>le singole<br />
realtà insediative complesse emergenti, se si vuole evitare<br />
il rischio di adottare una etichetta puramente<br />
generica, non adeguata a cogliere, nelle sue molteplici<br />
sfaccettature, un fenomeno di trasformazioni strutturali<br />
di notevole portata e dai risultati marcatamente<br />
difformi e variegati.
Note<br />
1 Si veda una discussione recente <strong>del</strong>la problematica<br />
nei contributi presentati in occasione<br />
<strong>del</strong>la Conferenza Internazionale organizzata<br />
all’Istituto <strong>Archeologico</strong> Germanico nel<br />
giugno 2006 in onore di Dietrich Mertens i<br />
cui Atti sono in corso di stampa in un volume<br />
dei Palilia a cura di R. N. EUDECKER – M.<br />
MENZEL.<br />
2 L’esplorazione è stata intrapresa nel<br />
Settembre 1976, grazie ad un cospicuo finanziamento<br />
<strong>del</strong>la Cassa per il Mezzogiorno.<br />
Colgo l’occasione per rinnovare la mia gratitudine<br />
a B. d’Agostino, allora Soprintendente<br />
Archeologo, che ha voluto affidarmi la direzione<br />
<strong>del</strong>lo scavo. A W. Johannowsky devo<br />
molti consigli sulle fasi iniziali <strong>del</strong>la esplorazione<br />
ed il sostegno alla domanda di<br />
Concessione di Scavo presentata nel 1982,<br />
successivamente al mio trasferimento nei<br />
ruoli <strong>del</strong>la University of Alberta<br />
(Edmonton, Canada). G. Tocco ha quindi<br />
sostenuto in numerose occasioni il progetto<br />
canadese. Last but not least, la mia profonda<br />
gratitudine va a M. L. Nava, attuale<br />
Soprintendente, che ha voluto coinvolgermi<br />
in recenti iniziative sulla musealizzazione<br />
<strong>del</strong> sito.<br />
3 Alla fine degli anni ’70, quando fu intrapresa<br />
l’esplorazione <strong>del</strong> sito di Roccagloriosa, si<br />
discuteva ancora (in mancanza di specifici<br />
dati archeologici), se tali siti fortificati di<br />
altura fossero mere cinte di difesa a controllo<br />
di un territorio caratterizzato da occupazione<br />
sparsa o se potesse trattarsi di fortificazioni<br />
funzionali ad un abitato agglomerato:<br />
la problematica è stata analizzata in<br />
GUALTIERI 1987.<br />
4 Si considerino ad esempio i risultati conseguiti<br />
sull’ampio pianoro di 6-7 ettari denominato<br />
Area DB e le carte di distribuzione<br />
dei materiali rinvenuti in superficie presentate<br />
in Roccagloriosa II 2001, pp. 16-20<br />
5 Secondo un mo<strong>del</strong>lo di sviluppo <strong>del</strong>ineato<br />
da A. La Regina per gli abitati di area sabellica<br />
(LA REGINA 1991).<br />
6 Fondamentale, in un momento iniziale<br />
<strong>del</strong>la ricerca, è stato il Convegno di<br />
Acquasparta su ‘L’emergenza <strong>del</strong> politico nel<br />
mondo osco-lucano’ i cui Atti sono stati in parte<br />
pubblicati in Italici. Si veda ora Roccagloriosa I<br />
1990; Roccagloriosa II 2001.<br />
7 Il sito costiero identificabile con la Pyxous<br />
Micitea cui fa riferimento Strabone 6.1.3.<br />
8 In questo senso si esprime N. Purcell in un<br />
articolo di sintesi sull’Italia meridionale nel<br />
SALTERNUM<br />
IV secolo a. C. Sia pure basandosi su una<br />
documentazione ancora preliminare,<br />
Purcell sottolinea il carattere emblematico<br />
<strong>del</strong> ‘caso’ Roccagloriosa: «..the formation<br />
of nucleated settlements like Roccagloriosa<br />
in Western Lucania, in their early stages<br />
seem to respond to purely local and shortterm<br />
needs, until the arrival of a major fortified<br />
enceinte, which seems to hint that the<br />
whole process of nucleation might better<br />
be seen against the background of awareness<br />
of an urban ideal and the political<br />
institutions associated with it. In fact, a historical<br />
process can be seen at work which<br />
enables us to make sense of the whole of<br />
South Italy in the late fourth and early third<br />
centuries…», (PURCELL 1994, pp. 395-396).<br />
9<br />
GUALTIERI 2000, passim.<br />
10<br />
FRACCHIA - GUALTIERI 2004.<br />
11 Italici 1990, pp. 161-197.<br />
12 Si consideri il testo di defixio su laminetta<br />
plumbea dal complesso A , molto probabilmente<br />
associata all’attività rituale che vi si<br />
svolgeva. Il testo, pubblicato da P.<br />
Poccetti, include una serie di gentilizi italici<br />
(quali eris, eganatis e probabilmente pollies)<br />
e antroponimi (quali gavis e mamerex),<br />
(POCCETTI 1990, pp. 141-150); si vedano<br />
anche le osservazioni al riguardo in<br />
CAMPANILE 1993, pp. 369-371.<br />
13 Roccagloriosa II 2001, pp. 97-116.<br />
14 Si vedano a tal riguardo le fondamentali<br />
osservazioni di TORELLI, in A. MOMIGLIANO<br />
e A. SCHIAVONE (eds.) Storia di Roma, vol. 1,<br />
Torino 1988, pp. 53-74 (in particolare , pp.<br />
72-73), sulle trasformazioni sociali di IV<br />
secolo, in una più ampia prospettiva che<br />
abbraccia le società locali <strong>del</strong>la penisola italiana.<br />
Con più specifico riferimento al territorio<br />
lucano, M. Torelli qualifica tale documentazione<br />
quale manifestazione, a livello<br />
archeologico, di una vera e propria ‘liberazione<br />
di servi’ proiettandola nel più vasto<br />
ambito <strong>del</strong>le trasformazioni socio-economiche<br />
<strong>del</strong>le società italiche di IV-III secolo:<br />
«A ben vedere, il fenomeno che investe la<br />
Grande Lucania poco prima <strong>del</strong>la metà <strong>del</strong><br />
IV secolo a.C. è il prodotto <strong>del</strong>le stesse<br />
spinte sociali ed economiche che con un<br />
‘effetto domino’ dall'Etruria fino alla Sicilia,<br />
passando attraverso la società di Roma<br />
tardo-repubblicana, hanno condotto al<br />
definitivo superamento <strong>del</strong>le società indigene<br />
arcaiche e all'allargamento dei corpi civici<br />
compressi dalle chiusure oligarchiche».<br />
- 26 -<br />
(TORELLI 1992, XIV-XV) Sulla nozione di<br />
'corpo civico' in relazione alle comunità italiche<br />
si considerino anche i commenti, più<br />
generali, di LOMBARDO (1999, p. 180).<br />
15 Si veda BOKONYI, COSTANTINI e FITT, pp.<br />
323-332; Fourth Century B. C., cap. 7.<br />
16 E’ stata rinvenuta nel settore ovest <strong>del</strong><br />
Pianoro Centrale in prossimità <strong>del</strong>la monumentale<br />
porta di accesso all’interno <strong>del</strong>la fortificazione<br />
(Roccagloriosa II 2001, pp. 186-187).<br />
17 Sanniti 2000, pp. 224-228.<br />
18 Una prima messa a punto <strong>del</strong> contesto storico-archeologico<br />
in cui si colloca questo<br />
importantissimo documento epigrafico,<br />
contesto che, come sopra specificato, era<br />
stato oggetto di sistematiche ed estensive<br />
indagini intese a definire il livello di organizzazione<br />
insediativa <strong>del</strong> sito lucano, hanno<br />
indotto a collocare la stesura <strong>del</strong> testo nei<br />
decenni iniziali <strong>del</strong> III secolo a. C.<br />
(GUALTIERI 2000, pp. 247-253). Non è da<br />
trascurare il fatto che, pur in assenza di una<br />
più precisa datazione <strong>del</strong> contesto archeologico<br />
di rinvenimento (in giacitura secondaria),<br />
la giacitura <strong>del</strong> manufatto ad uno strato di<br />
dilavamento in prossimità <strong>del</strong>la porta centrale<br />
(supra, n.15) fornisce di per sé un evidente terminus<br />
ante quem <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> III secolo a. C.<br />
per la sua datazione. Opportunamente, H.<br />
Galsterer, nei suoi commenti conclusivi ad<br />
una Conferenza su “La maturazione politica dei<br />
popoli italici” (tenuta all’Università di Napoli<br />
“Federico II” nel Febbraio 2000), ha senza<br />
esitazione sottolineato la profonda diversità<br />
di contesto culturale e cronologico tra i due<br />
documenti. Gli Atti <strong>del</strong>la citata conferenza<br />
sono purtroppo ancora in cds.<br />
19<br />
POCCETTI 2001, p. 268.<br />
20 Da ultima, DEL TUTTO 2006, pp. 527-536.<br />
21 Su tale aspetto si veda l’ampia discussione<br />
di LETTA 1994.<br />
22 Roccagloriosa II 2001, pp. 13-18 .<br />
23 Illustrate in Roccagloriosa II 2001, figg. 7-8.<br />
24 Sanniti 2000, pp. 33-35.<br />
25 Si consideri, a tal proposito, la collocazione<br />
di un edificio generalmente interpretato<br />
quale probabile sede <strong>del</strong>la vereia nella Pompei<br />
sannitica (Sanniti 2000, pp. 107-109).<br />
26 Mi è gradito ringraziare H. Fracchia ed E.<br />
Lanza per uno scambio di vedute sulla cronologia<br />
<strong>del</strong>la più recente documentazione<br />
ceramica pertinente all’edificio in questione.<br />
La problematica è stata discussa in una Tesi<br />
di Dottorato difesa dalla Dott.ssa E. Lanza<br />
all’Università di Padova nel giugno 2006.
27 Roccagloriosa I 1990, pp. 83-85. Si nota in<br />
particolare la quantità di ceramica a vernice<br />
nera quasi eguale alla quantità di ceramica<br />
comune e grezza. Sia la quantità relativa di<br />
vernice nera che le forme si replicano negli<br />
scavi tuttora in corso. Il materiale dagli<br />
scavi precedenti è stato ristudiato dagli<br />
autori nell’Ottobre 2006.<br />
28 Gli esemplari completi di appliques sono in<br />
numero di 6, ma ci sono tantissimi frammenti<br />
non catalogati (Roccagloriosa I 1990,<br />
pp. 320-321).<br />
29 Si vedano i commenti di A. Bottini relativi<br />
ai decenni finali <strong>del</strong> V secolo nella mesogaia<br />
lucana, dove è documentato un tipo di<br />
«…equipaggiamento forse funzionale all’uso<br />
<strong>del</strong> cavallo, il cui elemento saliente è dato<br />
da un corpetto di materiale organico, stretto<br />
da un cinturone…» (BOTTINI 2001, pp.<br />
106-116 (la citazione è a p. 116).<br />
30 Da notare in particolare sono la presenza,<br />
sul cinturone trovato nel complesso, di due<br />
tipi di perforazione, un tipo regolare sui<br />
tutti e due gli orli <strong>del</strong> cinturone, che sono<br />
normali in tale tipo di manufatti e poi, ad<br />
intervalli di 4-5 cm su un orlo solo, vi sono<br />
fori più larghi che, verosimilmente, provengono<br />
da Lavello, nella tomba 600, p. 42 e<br />
nella tomba 604, p. 44 n. 29, con commenti<br />
sull’uso a p. 102 in Forentum potrebbero<br />
essere stati utilizzati per le phalerae.<br />
Si vedano raffronti per le phalerae in BOTTINI<br />
1993: nella tomba di uno ‘straniero’ a<br />
Metaponto, necropoli urbana T. 18, p. 181<br />
fig.; p. 184, n° 6, ed un’altra da Metaponto,<br />
Località Crucinia, tomba 17/71, p. 129, ni 22-23. Altri raffronti provengono da Lavello,<br />
nella tomba 600, p. 42, n. 54, e nella tomba<br />
604, p. 44, n° 29 e commenti sull’uso, p. 102,<br />
in Forentum II 1991.<br />
31 Sul tipo di iscrizione che designa l’appartenenza<br />
‘pubblica’ <strong>del</strong>l’oggetto si vedano le<br />
considerazioni di POCCETTI 2000, pp. 197-<br />
208; SMALL 2006, pp. 328-337.<br />
32 Cfr. supra n. 17. Si consideri anche la documentazione<br />
fornita dalla defixio pubblicata nel<br />
1990, che segnalava aspetti di bilinguismo<br />
osco-greco <strong>del</strong>la locale comunità nella<br />
seconda metà <strong>del</strong> IV secolo a. C. all’interno<br />
<strong>del</strong>la comunità lucana di Roccagloriosa<br />
(Roccagloriosa I 1990, pp. 149-150).<br />
33 Roccagloriosa I 1990, pp. 317-319 e fig. 204,<br />
n° 661.<br />
MAURIZIO GUALTIERI<br />
34 ARDOVINO 1980, pp. 50-66.<br />
35 Roccagloriosa I 1990, pp. 310-313.<br />
36 Ringrazio Michael Crawford per i proficui<br />
scambi di idee (Maggio 2006) sulla natura di<br />
tale oggetto, inizialmente ritenuto un puntale<br />
di lancia da parata (Roccagloriosa I 1990,<br />
pp. 317-318) sulla base di raffronti stabiliti<br />
con simili oggetti di bronzo sagomati (con<br />
iscrizioni di dedica) rinvenuti in santuari<br />
<strong>del</strong>la Magna Grecia (cfr. supra, n. 30). M.<br />
Crawford aveva incluso il pezzo nel suo<br />
repertorio Imagines Italicae (s.v. Buxentum),<br />
Londra (in cds) con la qualifica di caduceus<br />
ed aveva voluto gentilmente inviarmi la<br />
scheda <strong>del</strong>l’oggetto, prima <strong>del</strong>l’uscita <strong>del</strong><br />
volume stesso. Chiaramente, il recente rinvenimento<br />
di un effettivo piccolo caduceo<br />
in bronzo dallo stesso edificio sembrerebbe<br />
confermare pienamente la, sinora solo presunta,<br />
natura <strong>del</strong>l’oggetto cui apparteneva<br />
l’elaborata impugnatura con iscrizione<br />
«DE». L’asta <strong>del</strong> caduceo, a cui appartiene<br />
l’impugnatura bronzea con iscrizione, che<br />
doveva terminare a serpenti incrociati, era<br />
in ferro ed inserita nella impugnatura sagomata<br />
in bronzo: ne è rimasta purtroppo<br />
solo la parte inferiore in stato di avanzata<br />
corrosione (si veda la fig. 14 ed il disegno<br />
<strong>del</strong>la sezione in Roccagloriosa I 1990, fig. 204,<br />
n. 661). Sebbene gli esemplari iscritti a noi<br />
giunti (1 da Olimpia e 14 dalla Magna<br />
Grecia) siano in prevalenza di bronzo, è da<br />
ricordare che Dionigi di Alicarnasso (Ant.<br />
Rom. I, 67,4) descrive i caducei di ferro e<br />
bronzo offerti nel santuario dei Penati a<br />
Lavinio.<br />
37 Su tale qualifica <strong>del</strong> kerykeion, anche sulla<br />
base <strong>del</strong>le iscrizioni pubbliche apposte sugli<br />
esemplari noti, cfr. GUARDUCCI 1969, pp.<br />
459-461 (la citazione è a p. 459); si veda, in<br />
particolare, quello dedicato nel santuario di<br />
Olimpia dalla comunità arcadica di<br />
Telphusa (WEBER 1944, pp. 158-160 e tav.<br />
67). Nei numerosi esemplari con iscrizione<br />
noti dalla Magna Grecia il termine «DEMO-<br />
SION» è seguito dall’etnico al genitivo plurale,<br />
riferibile alla comunità a cui apparteneva<br />
il simbolo statuale (GUARDUCCI 1969, pp.<br />
461-462).<br />
38 Su quest’ultimo aspetto è fondamentale la<br />
recente analisi di AMPOLO 2006, che fornisce<br />
una sintesi aggiornata <strong>del</strong>la documentazione<br />
relativa ai caducei rinvenuti in Magna<br />
- 27 -<br />
Grecia e giustamente ne sottolinea il valore<br />
pregnante quali ‘segni’ di una emergente<br />
«…identità politica…» anche tenuto conto<br />
<strong>del</strong> fatto che, con una singola eccezione,<br />
essi appartengono tutti a comunità anelleniche<br />
<strong>del</strong>la Magna Grecia e <strong>del</strong>la Sicilia. La<br />
problematica è stata poi ripresa nel recente<br />
Convegno Internazionale Communicating<br />
Identity cds.<br />
39 Si consideri, per tutti, il caduceo bronzeo<br />
da Siracusa iscritto con la formula completa<br />
«demosion Syrakosion» (AMPOLO 2006, pp.<br />
182-185).<br />
40 Una tale antinomica classificazione era<br />
ancora, per vari rispetti, alla base degli<br />
interventi presentati al Convegno<br />
Internazionale tenuto a S. Giustino Umbro<br />
(PG) nel 1990 su ‘KOMEDON ZONTES’:<br />
forme insediative nell’Italia e nella Spagna preromane,<br />
i cui Atti purtroppo non sono stati,<br />
ad oggi, pubblicati.<br />
41 Significativamente, E. Lepore (Dibattito, in<br />
Basilicata 1990, pp. 340-341) ricorre ad una<br />
efficace perifrasi (quale «forme urbane in progress»)<br />
che gli permette di formulare, in<br />
maniera assai più sfumata, il fenomeno di<br />
profonde trasformazioni strutturali che<br />
caratterizza il mondo italico nei decenni a<br />
cavallo tra IV e III secolo a. C.: «…c’è dunque<br />
da chiedersi se l’emergenza nel linguaggio<br />
<strong>del</strong>la fonte di Dionigi di Alicarnasso di<br />
una pasa polis… non indichi già forme federali<br />
più che cantonali nel primo decennio<br />
<strong>del</strong> III secolo e se queste non siano in diretto<br />
rapporto con una evoluzione, da organizzazione<br />
pagano-vicanica con oppida, a<br />
vere e proprie città o forme urbane in progress<br />
sull’esempio dei koinà greci metropolitani»<br />
(Ibidem, p. 340).<br />
42 Roccagloriosa II 2001, pp. 96-116.<br />
43 GABBA 1987, p. 109.<br />
44 Fondamentale per la problematica generale<br />
è la sintesi di LEPORE 1985, pp. 55-65,<br />
a cui si riallaccia la più recente discussione<br />
di LETTA 1994. Per una aggiornata discussione<br />
<strong>del</strong>la più recente documentazione<br />
archeologica, con particolare riferimento<br />
all’area lucana, si veda Verso la città 2009. Il<br />
quadro storico generale è stato <strong>del</strong>ineato di<br />
recente, con costante riferimento alla documentazione<br />
archeologica, in MUSTI 2005.
Bibliografia<br />
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FRACCHIA H. – GUALTIERI M. 2004,<br />
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SALTERNUM<br />
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‘KOMEDON ZONTES’: forme insediative<br />
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scavo e ricognizione topografica (1976-1986), a<br />
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Roccagloriosa II 2001, Roccagloriosa II.<br />
L’oppidum lucano e il territorio, a cura di M.<br />
GUALTIERI - H. FRACCHIA, Napoli.<br />
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2006, a cura di M. OSANNA, Venosa.<br />
WEBER H. 1944, Olympische Forschungen,<br />
Berlino.
I culti orientali in Campania<br />
nelle testimonianze archeologiche<br />
«Nostra regio tam praesentibus plena<br />
est numinibus<br />
ut facilius possis deum quam hominem<br />
invenire».<br />
Petronio, Satyricon, 17.<br />
Le religioni ‘orientali’ in Italia: un problema<br />
terminologico.<br />
Le religioni cosiddette orientali,<br />
definizione con la<br />
quale si accorpano culti di<br />
diversa natura, provenienza, cronologia,<br />
tipologia entrati in contatto con il<br />
mondo romano e praticati anche da<br />
cittadini romani, formano un insieme<br />
eterogeneo e vario e sono a volte<br />
accomunate da una ‘generica’ provenienza<br />
orientale e da un forte esotismo<br />
nell’iconografia o anche solo<br />
nella liturgia, cosa che le distingue dalla religione<br />
greco-romana. In questa sede è opportuno dire che<br />
con il nome di religioni orientali si intendono in generale<br />
quei culti che si sono diffusi nei territori occidentali<br />
<strong>del</strong>l’Impero Romano, e in particolare in Italia, a<br />
partire dal III sec. a. C., trovando in alcuni casi un’accoglienza<br />
trionfale e ufficiale (è il caso <strong>del</strong> culto di<br />
Cibele, la Grande Madre degli dèi, introdotta a Roma<br />
per volontà <strong>del</strong> Senato nel 204 a. C. in seguito alla consultazione<br />
dei Libri Sibillini) in altri una strenua resistenza<br />
da parte dei patres in nome <strong>del</strong> rispetto <strong>del</strong> mos<br />
maiorum, per il quale si tendeva a respingere e tenere<br />
fuori gli dèi stranieri venerati dagli schiavi o dai mercanti<br />
1 .<br />
La penetrazione dei culti levantini non è avvenuta<br />
in modo improvviso ma è frutto di una graduale e<br />
continua influenza, quasi sempre mediata dalla Grecia,<br />
esercitata dalla cultura orientale sull’Occidente. Non è<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
Fig. 1 - Statua di Serapide in trono (II sec. d. C.),<br />
rinvenuta nel macellum di Pozzuoli nel 1750.<br />
Marmo bianco, h m 1, 12.<br />
Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale di Napoli<br />
(inv. 975), (da Egittomania 2006).<br />
- 29 -<br />
un caso che le liturgie isiaca, metroaca,<br />
mitraica facciano abbondante uso di<br />
termini greci; a volte la stessa liturgia<br />
è greca nel rito e nella lingua.<br />
Seguendo quanto afferma Walter<br />
Burkert sarebbe effettivamente<br />
opportuno chiamare queste religioni<br />
‘di origine orientale’, o meglio ‘grecoorientali’.<br />
Alla fine <strong>del</strong> IV sec d.C. i<br />
culti orientali giocano un ruolo di<br />
primo piano nella reazione anticristiana<br />
<strong>del</strong>l’aristocrazia pagana 2 . La reazione<br />
pagana al Cristianesimo si concretizza<br />
sostanzialmente in due tendenze:<br />
una che difendeva e portava avanti la<br />
religione tradizionale, l’altra che invece<br />
opponeva alla nova religio i culti<br />
orientali, in relazione ai quali spesso si<br />
ricoprivano nel corso <strong>del</strong>la vita più<br />
cariche; nei secoli più tardi <strong>del</strong> paganesimo tale atteggiamento<br />
ha favorito la percezione che le religioni<br />
levantine fossero sovrapponibili e amalgamabili fra<br />
loro perché molto simili. Quest’approccio, presente in<br />
alcune fonti antiche, è stato usato anche da alcuni<br />
autori moderni che si sono occupati <strong>del</strong>l’argomento,<br />
Franz Cumont 3 in primis; di conseguenza è entrato nel<br />
comune linguaggio degli studi parlare di religioni<br />
orientali riferendosi ai culti di Iside, Cibele, Mitra<br />
come se fossero quasi un unico fenomeno; si ribadisce<br />
pertanto la necessità di valutare le singole realtà cultuali<br />
caso per caso, evidenziando le differenze fra di<br />
esse e considerando ogni singolo culto come indipendente.<br />
Culti soterici, mistici, misterici, misteriosofici.<br />
Prima di affrontare in modo più approfondito il<br />
problema <strong>del</strong>la diffusione e <strong>del</strong> successo dei culti
orientali in Campania, ritengo sia opportuno introdurre<br />
alcuni concetti di carattere prettamente storico-religioso<br />
utili a orientare la ricerca sui fenomeni cultuali di<br />
cui si tratta in questa sede. Le forme di culto antiche,<br />
studiate con grande acume critico da Ugo Bianchi 4 , ai<br />
cui lavori si fa riferimento in questa parte <strong>del</strong>la trattazione,<br />
possono essere divise in diverse categorie.<br />
Si intende per ‘culti soterici’ quel tipo di sistemi<br />
religiosi che fanno <strong>del</strong>la promessa <strong>del</strong>la salvezza un<br />
punto chiave nel proselitismo e nella pratica liturgica;<br />
la salvezza offerta può avere carattere ‘intramondano’<br />
– che si palesa in un miglioramento <strong>del</strong>le condizioni<br />
di vita <strong>del</strong> fe<strong>del</strong>e – oppure ‘extramondano’, basato<br />
sulla prospettiva di una vita migliore dopo la morte.<br />
Inoltre, le attese escatologiche possono essere colletive<br />
– e riguardare pertanto tutta la comunità dei<br />
fe<strong>del</strong>i - o solo individuali. Nel Cristianesimo, ad<br />
esempio, la speranza soterica individuale si accompagna<br />
all’attesa, di carattere universale, per la fine <strong>del</strong><br />
mondo e per la resurrezione dei morti. Spesso i culti<br />
soterici sono venati da forte misticismo, ovvero da<br />
un’intensa compenetrazione fra i piani <strong>del</strong> divino, <strong>del</strong><br />
cosmico e <strong>del</strong>l’umano; contrariamente a quanto<br />
avviene per le religioni ‘olimpiche’ – che potremmo<br />
chiamare anche ‘omeriche’ - in cui si percepisce la<br />
distanza fra il tempo dorato ed eterno degli dèi e<br />
quello duro e finito degli uomini, tipica <strong>del</strong>le religioni<br />
mistiche è la forte vicinanza <strong>del</strong>l’uomo al dio e,<br />
soprattutto, <strong>del</strong> dio all’uomo.<br />
La componente misterica, comune ad alcune religioni<br />
‘orientali’ (Iside, Mitra, forse Cibele) ed ‘occidentali’<br />
(Eleusi, Andania, Samotracia) può essere considerata<br />
come l’evoluzione di una concezione semplicemente<br />
‘mistica’ <strong>del</strong>la fede, basata sull’identificazione<br />
<strong>del</strong> fe<strong>del</strong>e con la divinità venerata sulla base di alcune<br />
esperienze comuni, in genere dolorose.<br />
La divinità ‘mistica’, mediante una vicenda personale<br />
di dolore e passione, vive la stesse sofferenze <strong>del</strong>l’essere<br />
umano e finisce quasi con l’identificarvisi. Il<br />
dolore patito da Demetra per il distacco dalla figlia,<br />
l’angoscia <strong>del</strong>la ricerca, la gioia <strong>del</strong> temporaneo ritorno<br />
sono sentimenti in tutto e per tutto umani.<br />
Le religioni di mistero offrivano al fe<strong>del</strong>e la possibilità,<br />
tramite un particolare rito o una serie di riti,<br />
di diventare ‘mysta’, traduzione latina <strong>del</strong> greco<br />
‘mystès’ che noi rendiamo in italiano con il termine<br />
‘iniziato’. I mystài avevano privilegi peculiari; chi aveva<br />
un legame speciale con una determinata divinità gode-<br />
SALTERNUM<br />
- 30 -<br />
va <strong>del</strong>la sua protezione e, per così dire, di una prossimità<br />
preclusa ai non iniziati; è il caso, ad esempio, <strong>del</strong>l’iniziazione<br />
ai culti isiaci. Secondo la celebre testimonianza<br />
di Apuleio è Iside stessa che, comparendo in<br />
sogno ai suoi fe<strong>del</strong>i, sceglie chi debba essere introdotto<br />
ai suoi misteri; il mysta ha la possibilità esclusiva di<br />
vivere in prima persona, attraverso una complicata<br />
serie di rituali, la vicenda <strong>del</strong> dio venerato e di provare<br />
dunque il dolore, l’angoscia, la speranza e infine la<br />
gioia per la risoluzione <strong>del</strong>la vicenda. L’aver rivissuto<br />
ritualmente le sofferenze di Iside rende l’iniziato<br />
degno di accedere al naòs <strong>del</strong> santuario e di essere<br />
venerato nel giorno finale <strong>del</strong>le celebrazioni come se<br />
fosse egli stesso un dio 5 : il fe<strong>del</strong>e, attraverso questa<br />
forma di pathei mathos, accede a un più alto livello di<br />
conoscenza e consapevolezza. Il rito ha pertanto una<br />
centralità fondamentale; in alcuni casi i culti misterici<br />
sono inamovibilmente legati a un determinato luogo,<br />
e non è possibile praticarli altrove 6 ; in altri casi invece<br />
è possibile che essi vengano celebrati ovunque, purché<br />
sempre all’interno di santuari o di strutture sacre adeguate<br />
7 .<br />
Ruolo centrale nella pratica dei misteri riveste però<br />
anche la dottrina; libri sono presenti nella ritualità<br />
misterica sin da tempi molto antichi. In alcuni tipi di<br />
culto però la conoscenza <strong>del</strong>la dottrina diventa importante<br />
quanto il rito stesso, se non addirittura preminente;<br />
non basta che l’iniziando, per entrare nel novero<br />
dei mystae, dimostri particolare devozione alla divinità<br />
(e sia anche in possesso dei necessari mezzi economici,<br />
come avviene per Apuleio) rivelandosi degno<br />
di ricoprire il ruolo cui aspira, ma è necessario che egli<br />
acquisisca determinate conoscenze che lo elevino a<br />
una nuova ‘sophia’. E’ l’anima stessa <strong>del</strong>l’iniziato a vivere,<br />
così, una vicenda di ascesa e purificazione verso la<br />
salvezza. Tali culti sono definiti ‘misteriosofici’ in<br />
quanto l’iniziazione non si risolve nella semplice ritualità<br />
ma in un graduale e complesso apprendimento da<br />
parte <strong>del</strong> mysta, elemento attivo nel processo di iniziazione<br />
mediante lo studio e la pratica <strong>del</strong>le idee <strong>del</strong>la<br />
setta. Il Mitraismo è probabilmente l’esempio più calzante<br />
di questo tipo di religiosità 8 .<br />
Iside e divinità egizie in Italia<br />
Intensi contatti fra l’Italia e l’Egitto faraonico vi<br />
furono già fra il IX ed il VI sec. a. C. Prova materiale<br />
di questi rapporti, che furono soprattutto di natura<br />
commerciale, sono i c.d. Aegyptiaca 9 , rinvenuti in mol
teplici contesti archeologici <strong>del</strong>la Penisola, in particolare<br />
nelle zone di colonizzazione greca o nelle città e<br />
negli emporia etruschi 10 . La diffusione di questi manufatti<br />
non ebbe conseguenze di grande rilevanza sulla<br />
religione o la cultura dei popoli che ne entrarono in<br />
contatto: il significato degli Aegyptiaca, spesso di carattere<br />
sacro, non era probabilmente compreso dagli<br />
Italici; era l’ esotismo stesso che scaturiva dagli oggetti<br />
a costituire una forte attrattiva.<br />
La penetrazione <strong>del</strong>le divinità nilotiche in Italia fu<br />
un processo lungo; esso poté avere luogo solo a seguito<br />
<strong>del</strong> prolungato e diretto contatto fra Italici ed<br />
Alessandrini nel contesto mercantile egeo. Per penetrazione<br />
dei culti isiaci si intende l’istituzione di un culto<br />
pubblico, riconosciuto ufficialmente, a cui aderiscano<br />
un certo numero di fe<strong>del</strong>i facenti capo ad un santuario<br />
gestito da un clero organizzato gerarchicamente. La<br />
devozione privata, che probabilmente ha preceduto di<br />
molti anni la fondazione dei santuari, non ha lasciato<br />
infatti tracce sempre rilevabili dagli storici o dagli<br />
archeologi. E’ probabile che la prima regione italiana ad<br />
accogliere le nuove divinità sia stata la Sicilia di<br />
Agatocle, che intratteneva rapporti molto stretti con<br />
l’Egitto tolemaico; il tiranno di Siracusa infatti sposò<br />
Teoxena, figliastra di Tolomeo I Soter; nella prima metà<br />
<strong>del</strong> III sec. a.C. il poeta siracusano Teocrito lavorava alla<br />
corte di Tolomeo II Fila<strong>del</strong>fo (308-246 a. C.); a Catania,<br />
fra la fine <strong>del</strong> III e l’inizio <strong>del</strong> II sec. a. C. si coniarono<br />
monete con Iside, Serapide e Arpocrate 11 mentre dopo<br />
il 212 a. C. troviamo nelle coniazioni di Mineo il busto<br />
di Serapide 12 . Contemporaneamente compare sulle<br />
monete di Siracusa il gruppo composto da Iside,<br />
Serapide e Anubis 13 .<br />
E’ probabile che i contatti fra Sicilia e Campania<br />
abbiano contribuito all’importazione in questa regione<br />
dei culti di origine egizia: la prima attestazione di tali<br />
rapporti è una moneta di Tolomeo III Evergete (221-<br />
216 a. C.) rinvenuta presso Nola nello scavo di una<br />
tomba sannitica dipinta da Casamarciano. E’ tuttavia<br />
possibile che essa sia stata portata in Campania da un<br />
mercenario: è noto infatti che le popolazioni campane<br />
<strong>del</strong>l’interno fornivano spesso soldati di professione alle<br />
monarchie ellenistiche 14 . Anche se la Sicilia sembra avere<br />
le più antiche attestazioni cultuali di divinità egizie, è in<br />
Campania che queste si sono affermate in modo più<br />
forte diffondendosi poi nel resto <strong>del</strong>la Penisola.<br />
Il ponte fra l’Egitto tolemaico e l’Italia fu certamente<br />
l’Egeo. E’ infatti nel contesto dei grandi porti<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 31 -<br />
greci che si incontrano i negotiatores italici e orientali, i<br />
quali traevano profitto dal commercio degli schiavi e<br />
di ogni bene di consumo.<br />
Nel corso <strong>del</strong> II e <strong>del</strong> I sec. a. C. un gran numero<br />
di mercanti italici si stabilì in Grecia. Quelli stanziati a<br />
Delo ebbero un ruolo essenziale nella diffusione dei<br />
culti egizi in Italia; nel clima cosmopolita e tollerante<br />
<strong>del</strong>lo scalo <strong>del</strong>io molti Romaioi poterono abbracciare i<br />
culti egizi senza che vi fosse alcuna ostilità da parte<br />
<strong>del</strong>lo Stato, che anzi aveva favorito lo sviluppo <strong>del</strong><br />
culto di Serapide mediante l’edificazione <strong>del</strong> Serapeo<br />
‘C’. Il governo <strong>del</strong>l’isola, che era stata posta da Roma<br />
sotto il protettorato ateniese, aveva inoltre incentivato<br />
il culto pubblico praticato nel Serapeo ‘C’ a scapito <strong>del</strong><br />
più antico culto privato <strong>del</strong> Serapeo ‘A’ 15 .<br />
Da Delo all’Italia – anzi alla Campania - il passo fu<br />
breve, vista la frequentazione intensissima che i mercanti<br />
campani avevano di quest’isola 16 . In base ai dati<br />
raccolti, il Malaise ipotizza che la religione alessandrina<br />
si sia diffusa in Italia in due fasi: in un primo<br />
momento i mercanti italici, di ritorno in patria, avrebbero<br />
portato con se gli dèi cui si erano avvicinati<br />
durante il soggiorno egeo. Solo in una seconda fase,<br />
grazie ai rapporti diretti instauratisi fra Egitto e Italia,<br />
vi sarebbe stata una certa affluenza di Egizi nella<br />
Penisola, i quali avrebbero infuso nuova linfa al culto<br />
conferendo ad esso un’impronta più marcatamente<br />
esotica 17 . La prima fase ha un terminus post ed un terminus<br />
ante quem nel 166 e nell’88 a. C.<br />
Nel 166 a. C., infatti, Delo venne messa dai<br />
Romani sotto il protettorato ateniese e dichiarata<br />
porto franco, condizione sufficiente affinché diventasse<br />
uno scalo commerciale di grandissima rilevanza,<br />
accogliendo gran parte dei traffici che, prima <strong>del</strong>la<br />
terza guerra macedonica, facevano capo a Rodi 18 . In<br />
circa ottant’anni l’economia <strong>del</strong>l’isola prosperò e la<br />
comunità degli Italici divenne la più ricca e influente.<br />
A stretto contatto con genti provenienti da tutto il<br />
Mediterraneo, i Romaioi ne appresero parte dei costumi,<br />
avvicinandosi alla religione egizia. In questa fase i<br />
Puteolani portarono in patria gli dèi che avevano<br />
imparato a venerare sull’isola, impiantando nella città<br />
flegrea il culto di Serapide 19 .<br />
La seconda data, invece, determina la fine di questa<br />
prima fase e l’inizio <strong>del</strong>la seconda, caratterizzata<br />
dal diretto contatto fra Italici e Orientali nella<br />
Penisola 20 . Nell’88 a. C. Mitridate VI Eupatore saccheggiò<br />
Delo provocando la morte di circa 20.000 ita-
lici 21 . Molti dei sopravvissuti fecero ritorno in patria,<br />
altri restarono sull’isola che ebbe un periodo di ripresa,<br />
cui bruscamente pose fine il sacco dei pirati nel 69 a. C.<br />
L’esodo che seguì la distruzione di Delo condannò<br />
questa a perdere il ruolo centrale che aveva in precedenza<br />
nel mercato mediterraneo.<br />
Tuttavia, i negotiatores italici non avevano ormai più<br />
bisogno <strong>del</strong>lo scalo egeo: dal 125 a. C. i Romani avevano<br />
infatti ottenuto lo stato di katoikuntes (residenti)<br />
nell’isola e l’ascesa economica di Pozzuoli fu certamente<br />
in parte parallela a quella di Delo, che raggiunse<br />
il suo apogeo nel periodo compreso fra il 120 e l’88<br />
a. C. L’istituzione di un porto flegreo dalle caratteristiche<br />
simili a quello <strong>del</strong>io, che ne fece una vera e propria<br />
‘Delo Minore’ secondo la celebre definizione di<br />
Lucilio spiegata in un lemma di Festo 22 , aperto agli<br />
stranieri e punto di snodo commerciale più importante<br />
<strong>del</strong>l’occidente mediterraeo, rientra in un disegno<br />
politico ben preciso in cui rientrano tanto Delo che<br />
l’antica Dicearchia e che vede coinvolti, oltre ai mercatores<br />
italici, spregiudicati slave-traders in grado di<br />
influenzare la politica romana mediante il loro rilevante<br />
peso economico, anche alcuni esponenti <strong>del</strong>la nobilitas<br />
senatoria che avevano certamente interessi molto<br />
ingenti a che lo scalo <strong>del</strong>io assumesse rapidamente il<br />
ruolo di emporium più importante <strong>del</strong> Mediterraneo, i<br />
quali indirizzarono la politica romana verso la creazione<br />
<strong>del</strong> porto franco, posto sotto il protettorato ateniese,<br />
nell’isola di Apollo. Anche i rapporti con l’Egitto e<br />
l’ingresso di questo regno nel mercato egeo e italico<br />
dovettero essere parte di un preciso disegno politico<br />
che permise ai Puteolani di costruire una grande flotta<br />
commerciale, stringendo legami diretti con la Siria e<br />
Alessandria; gli Egiziani iniziarono a frequentare<br />
direttamente l’Italia, in particolare Ostia e Pozzuoli,<br />
portando con loro merci e idee. Nonostante questa<br />
intensa frequentazione, tuttavia, resterà proibito alle<br />
navi alessandrine di entrare nei porti italici fino all’ingresso<br />
<strong>del</strong>l’Egitto nella sfera politica romana stricto<br />
sensu, la qual cosa diventerà possibile solo con la riduzione<br />
<strong>del</strong>lo Stato tolemaico a Provincia romana in età<br />
augustea 23 .<br />
Gli dèi egizi nel Golfo di Napoli e nella Campania interna 24<br />
Pozzuoli<br />
Le prime attestazioni di contatti fra l’Egitto e la<br />
Campania sono molto antiche e risalgono già all’età<br />
SALTERNUM<br />
- 32 -<br />
Orientalizzante 25 . La prima testimonianza archeologica<br />
di un culto isiaco ufficiale in Campania è tuttavia la<br />
Lex parieti faciendo, molto più tarda, datata al 105 a. C. 26<br />
Si tratta di un’epigrafe in marmo rinvenuta a<br />
Pozzuoli, il cui testo riguarda la sistemazione di un’area<br />
antistante il Serapeum (tempio di Serapide) <strong>del</strong>la<br />
città campana 27 . E’ un documento di importanza capitale:<br />
grazie ad esso sappiamo che, alla fine <strong>del</strong> II sec.<br />
a. C., Pozzuoli aveva già un Serapeo destinato ad essere<br />
restaurato, e pertanto di certo più antico <strong>del</strong>l’iscrizione<br />
di qualche tempo.<br />
Serapide, divinità “artificiale” creata da Tolomeo I<br />
Soter (310-282 a. C.) o forse da Tolomeo II Fila<strong>del</strong>fo<br />
(285-246 a. C.) è il nume che nel mondo ellenistico<br />
soppiantò in un primo momento Osiride, antico paredro<br />
di Iside nella tradizionale religione faraonica. Il<br />
nuovo dio avrebbe dovuto favorire il processo di integrazione<br />
fra vincitori e vinti, fra l’élite greca dominante<br />
ed il popolo egizio, ma anche fra i nuovi monarchi<br />
e la potente casta sacerdotale. Fu un’operazione maturata<br />
nella contesto <strong>del</strong>la koinè culturale e religiosa<br />
seguita alle conquiste di Alessandro. I Lagidi, che<br />
governavano seguendo l’etica e i costumi dei Faraoni,<br />
cosa che spesso inorridiva i Greci 28 , tentarono di conciliare<br />
i due popoli su cui regnavano istituendo un<br />
culto che fosse accettabile per entrambi, anzi che fosse<br />
una vera e propria fusione fra la cultura greca e la cultura<br />
autoctona: «It seems that the Ptolemies strove to reconcile<br />
the Nilotic tradition with Hellenic piety by instituting the<br />
cult of Serapis» 29 . Serapide ricevette tutti gli attributi<br />
divini di Osiride: fu dio <strong>del</strong>la fertilità, <strong>del</strong>l’agricoltura,<br />
<strong>del</strong>la morte; il suo aspetto tuttavia venne elaborato in<br />
base ai canoni estetici <strong>del</strong>l’arte alessandrina. Le sue<br />
caratteristiche sono studiate a tavolino da due sacerdoti:<br />
uno egizio, Manetone di Sebennytos; uno greco,<br />
Timoteo ateniese 30 . La loro collaborazione fu essenziale<br />
affinché il nuovo idolo risultasse accettabile sia<br />
per i Greci sia per gli Egizi. Per la concreta realizzazione<br />
<strong>del</strong>l’archetipo iconografico <strong>del</strong> nuovo dio si scelse<br />
l’artista greco Briasside, il quale, per rappresentarlo, si<br />
ispirò all’iconografia di Ade 31 , accompagnandolo a<br />
Cerbero e dotandolo di modius o kalathos, copricapo<br />
traboccante di frutti simbolo <strong>del</strong> potere ctonio.<br />
Serapide divenne anche protettore <strong>del</strong>la navigazione e<br />
dio-guaritore, attributi che il precedente sposo di Iside<br />
non aveva. I Greci, data la somiglianza con le proprie<br />
divinità, lo identificarono spesso con Zeus o, più tardi,<br />
con Helios; i due dèi vennero a tal punto assimilati da
essere a volte uniti in un’unica divinità: Heliosarapis 32 .<br />
Seguendo una felice osservazione di Malaise: «[…] Isis,<br />
en restant elle-même, offrait une nature assez riche pour permettre<br />
toutes les interprétations; Serapis, pour devenir un grand<br />
dieu, fut contraint de s’adjoindre des membres du panthéon<br />
gréco-romain. […]» 33 .<br />
A cagione <strong>del</strong>la dipendenza dal mo<strong>del</strong>lo religioso<br />
tolemaico, mediato dall’ambiente mercantile egeo, il<br />
culto serapiaco a doveva avere, nell’antica Dicearchia,<br />
un’impronta fortemente alessandrina, la quale si palesa<br />
anche nell’iconografia <strong>del</strong>la statua di Serapide rinvenuta<br />
nel macellum, il cui stile riprende quello <strong>del</strong> prototipo<br />
plastico elaborato dallo scultore Briasside alla<br />
corte di Tolomeo I Soter 34 .<br />
Le notizie che abbiamo sul Serapeion puteolano sono<br />
estremamente scarse; tuttavia, la descrizione che ne<br />
viene fatta sulla lex parieti ci permette di ipotizzarne la<br />
collocazione, che doveva essere nei pressi <strong>del</strong>l’emporium<br />
<strong>del</strong>la città, cosa conforme alla natura ‘mercantile’ <strong>del</strong>la<br />
diffusione <strong>del</strong> suo culto. Secondo l’interpretazione <strong>del</strong>la<br />
lex il tempio era costituito da un aedes e da un’area, uno<br />
spazio libero ad esso prospiciente affacciato sul mare,<br />
separati da una strada (<strong>del</strong>l’emporium?) 35 .<br />
La città flegrea ospitava però anche un tempio di<br />
Iside, probabilmente sorto in età leggermente posteriore<br />
al Serapeo; di esso non sapppiamo quasi nulla,<br />
ma possiamo farci un’idea <strong>del</strong>la sua collocazine topografica<br />
e – anche se in modo molto vago – <strong>del</strong>la sua<br />
architettura, osservando le decorazioni incise su alcune<br />
fiaschette tardoantiche di produzione puteolana, la<br />
migliore <strong>del</strong>le quali è conservata oggi a Praga 36 , in cui<br />
si vede inciso il litorale puteolano con tutti i più<br />
importanti monumenti, la cui comprensione è aiutata<br />
da didascalie.<br />
Oltre ad edifici quali il teatro, l’anfiteatro, lo stadio<br />
è anche visibile, fra l’emporio - INPURIU(M) - ed il<br />
porto - PILAE - un tempio recante sulla sommità alcune<br />
figure dal corpo umano e la coda di pesce (nereidi?<br />
Tritoni?) descritto come ISIU(M), ovvero Iseo. La collocazione<br />
<strong>del</strong> tempio in riva al mare, nei pressi <strong>del</strong>l’emporio<br />
non desta alcuna meraviglia; anche Vitruvio<br />
consiglia di costruire le aedes di Iside e Serapide in quel<br />
luogo 37 .<br />
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la aedes di<br />
Serapide sia da identificare con un tempio distilo su<br />
alto podio indicato sulla fiaschetta praghese dalla didascalia<br />
ASCENSU DOM(I)NI (ascensio domini) al cui<br />
interno è visibile la figura stante di un dio recante in<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 33 -<br />
Fig. 2 - Decorazione di una fiaschetta vitrea su cui è inciso il litorale puteolano (fine<br />
III-inizio IV sec. d. C.), (restituzione grafica). Praga, Museo Nazionale (Inv. 137), (da<br />
Egittomania 2006).<br />
mano un oggetto di non facile interpretazione (cornucopia?)<br />
nell’atto di sacrificare presso un altare. 38<br />
E’ opportuno fare alcune considerazione sull’iconografia<br />
<strong>del</strong>la divinità rappresentata sulla fiaschetta.<br />
La testa personaggio è radiata da una corona solare;<br />
esso non presenta caratteristiche ctonie, come invece<br />
risulta evidente dall’analisi <strong>del</strong>la statua puteolana in cui<br />
Serapis è rappresentato come Ade, seduto in trono con<br />
Cerbero tricipite alla sua destra. Al contrario, sono evidenziate<br />
le caratteristiche ‘solari’ e ‘cosmiche’ che avvicinano<br />
il tipo iconografico all’epiclesi ‘Heliosarapis’. Il<br />
suo culto in Italia è praticato soprattutto dai Greci,<br />
mentre il corrispettivo romano (Iuppiter Sol Serapis) è più<br />
raro 39 . E’ possibile fare interessanti confronti iconografici<br />
fra l’immagine <strong>del</strong> dio sulla fiaschetta praghese<br />
e due statue monumentali in marmo, conservate l’una<br />
al Museo d’Arte e di Storia di Ginevra 40 , l’altra al<br />
Museo di Tolosa 41 : entrambe presentano il dio in piedi,<br />
recante il corno <strong>del</strong>l’abbondanza nella mano sinistra<br />
(ma nell’esemplare di Ginevra sono presenti solo tracce<br />
<strong>del</strong> corno, in quanto il braccio è mancante). La statua<br />
di Tolosa presenta anche Cerbero alla destra <strong>del</strong><br />
dio, come nell’esemplare puteolano. Tale tipo iconografico<br />
è presente anche in altri manufatti, in special<br />
modo lucerne c.d. ‘a navicella’ prodotte a Puteoli fra il<br />
terzo quarto <strong>del</strong> I sec. d. C. e vasi di vetro <strong>del</strong> IV sec.,<br />
fra i quali è possibile intravedere una certa continuità<br />
iconografica, come se facessero costante riferimento a<br />
un mo<strong>del</strong>lo, probabilmente la scultura nel Serapeo.<br />
Ad ogni modo, va sottolineato che nonostante l’attribuzione<br />
<strong>del</strong>la statua sulla fiaschetta praghese sia<br />
verosimile, non si può tuttavia essere certi <strong>del</strong>l’identità<br />
<strong>del</strong> dio rappresentato; ad esempio manca una chiara<br />
esplicazione <strong>del</strong>la natura <strong>del</strong> tempio, che invece troviamo<br />
per l’Iseo, indicato dall’incisione come ISIU(M);<br />
Serapide è prima di tutto divinità ctonia, erede di<br />
Osiride; nel contesto mercantile egeo assume anche<br />
aspetti che lo qualificano come dio <strong>del</strong>la navigazione,<br />
accezione che lo caratterizza anche sulle lucerne
Fig. 3 - Pianta <strong>del</strong>l’Iseo di<br />
Pompei (da Divus Vespasianus).<br />
puteolane. E’ probabilmente questa l’interpraetatio graeca<br />
che riscosse maggior successo nei Campi Flegrei, se<br />
è vero che il culto venne importato dai mercanti e che<br />
fu praticato soprattutto da loro.<br />
Inoltre, la collocazione topografica <strong>del</strong> tempio non<br />
sembra conciliarsi con il testo <strong>del</strong>la lex, che parla di<br />
un’area nei pressi <strong>del</strong> mare e non in collina, dove invece<br />
si trova la aedes raffigurata sulla fiaschetta, raggiungibile<br />
con una scalinata e, appunto, un’ascensio.<br />
Topograficamente, i templi di Iside e di Serapide<br />
sono spesso ospitati nello stesso complesso monumentale<br />
o in santuari vicini (caso esemplare è l’Iseo-<br />
Serapeo <strong>del</strong> Campo Marzio a Roma); è pertanto ipotizzabile<br />
che il termine Isium designi sulla fiaschetta<br />
puteolana un templum dedicato ad entrambe le divinità,<br />
abbreviato per mancanza di spazio; considerando<br />
infatti la datazione tarda <strong>del</strong>la fiaschetta (fine III-inizi<br />
IV sec. d. C.) non desta meraviglia che si sia indicato il<br />
tempio con il solo nome <strong>del</strong>la dea, in quanto il culto<br />
di Iside in Italia diventerà molto presto preminente su<br />
quello <strong>del</strong> fratello-sposo. Non è un caso che a Pompei<br />
si sia deciso di edificare, in pieno II sec. a. C., un tempio<br />
ad Iside e non a Serapide, il quale continuerà ad<br />
avere un certo seguito soprattutto fra gli stranieri e i<br />
mercanti 42 , occupando però un ruolo sempre più marginale<br />
rispetto alla sposa ‘dai mille nomi’.<br />
Una <strong>del</strong>le attestazioni più importanti <strong>del</strong> culto isiaco<br />
a Pozzuoli è una statua interpretata da Fausto Zevi<br />
come ‘Iside Pelagia’ o ’Iside alla Vela’, che raffigura la<br />
dea nell’atto di utilizzare il proprio mantello alla stregua<br />
di una vela, di cui era considerata inventrice 43 .<br />
Pompei<br />
Anche a Pompei i culti egizi sono attestati precocemente<br />
ed è probabile che l’Iseo pompeiano, unico edificio<br />
<strong>del</strong> genere ben conservato in Italia, sia di poco<br />
posteriore al Serapeo puteolano. La prima attestazione<br />
dei culti nilotici a Pompei è un’iscrizione graffita all’in-<br />
SALTERNUM<br />
- 34 -<br />
terno di una sco<strong>del</strong>la a vernice nera, rinvenuta nel<br />
corso degli scavi eseguiti nell’area fuori Porta Nola 44 .<br />
L’iscrizione recita «Fila<strong>del</strong>fo ha dedicato agli Dèi<br />
Eueilatoi»; il termine Eueilatos è diffuso soprattutto in<br />
area egizia ed egeo-insulare, e sembra essere legato alle<br />
divinità nilotiche; anche il nome <strong>del</strong> dedicante è tipico<br />
<strong>del</strong>l’onomastica greco-egizia. Secondo l’opinione di S.<br />
De Caro, quindi, la parola Eueilatoi si riferisce alle le<br />
divinità egizie le quali, stando alla cronologia <strong>del</strong>la sco<strong>del</strong>la,<br />
sarebbero presenti in città già dal II sec. a. C., età<br />
compatibile con il loro ‘sbarco’ a Puteoli.<br />
Il santuario di Iside. Le fasi costruttive<br />
Nella sua fase attuale il santuario pompeiano 45 , che<br />
sorge nell’insula VIII, 7, occupata da molti rilevanti<br />
complessi monumentali quali il Foro Triangolare, i<br />
due Teatri e il c.d. tempio di Giove Meilichio (probabilmente<br />
da attribuire ad Esculapio 46 ) è frutto <strong>del</strong>la<br />
ricostruzione successiva al terremoto <strong>del</strong> 62 a. C.,<br />
intervento voluto dal liberto Numerio Popidio<br />
Ampliato a nome <strong>del</strong> figlio di sei anni, Numerio<br />
Popidio Celsino, che si guadagnò in questo modo un<br />
posto fra i decurioni 47 .<br />
Queste informazioni sono desumibili dall’epigrafe<br />
posta all’ingresso <strong>del</strong> peribolo <strong>del</strong> tempio (il quale<br />
misura 20,76 x 23,56 m) che racchiude tutte le strutture:<br />
il peristilio, la cella, un edificio ipetro (senza copertura)<br />
denominato purgatorium o megaron e tre altari - isolandole<br />
urbanisticamente dagli edifici circostanti.<br />
Ricostruire le fasi <strong>del</strong> santuario è operazione complessa<br />
ed articolata, e spesso gli studiosi hanno opposto<br />
opinioni divergenti circa la datazione di ciascuna fase.<br />
La fase ‘Sannitica’: II sec. a. C.<br />
La maggior parte degli esperti colloca la prima fase<br />
costruttiva all’età sannitica, in un periodo compreso<br />
fra il 200 e l’80 a. C. 48 o fra il 105 e l’80 49 ; la critica<br />
moderna tende generalmente a privilegiare la cronologia<br />
più alta.<br />
La pavimentazione originaria era in tufo, come<br />
dimostrano alcune lastre ad essa relative e alcuni elementi<br />
collegabili al sistema di scolo <strong>del</strong>le acque (canalette)<br />
riutilizzati nella ricostruzione post 62; inoltre le<br />
tracce di un colonnato precedente a quello attuale<br />
sono ancora visibili sullo stilobate in blocchi di tufo<br />
<strong>del</strong> peristilio 50 . Niente altro è rimasto <strong>del</strong>l’originaria<br />
decorazione <strong>del</strong> santuario nè <strong>del</strong>le sue strutture edilizie,<br />
fatta eccezione per tre capitelli di colonna, uno
collocato ancora in situ in cima alla colonna <strong>del</strong>l’angolo<br />
nord-est <strong>del</strong> pronao, gli altri due poggiati a terra<br />
all’interno <strong>del</strong>la cella; si tratta di capitelli di tipo corinzio<br />
italico confrontabili con quelli <strong>del</strong>la navata centrale<br />
<strong>del</strong>la Basilica pompeiana e databili alla metà <strong>del</strong> II<br />
sec. a. C. 51 , coerentemente con la fase ‘sannitica’ <strong>del</strong><br />
santuario.<br />
Il peristilio più antico non differiva nelle dimensioni<br />
da quello oggi visibile: molto diversa era invece la<br />
distribuzione <strong>del</strong>le colonne, che erano dieci sui lati<br />
lunghi e otto sui lati brevi.<br />
Il Nissen 52 è stato il primo a pubblicare le misure<br />
dei lati <strong>del</strong> portico collegandole al sistema di misurazione<br />
osco: secondo lo studioso tedesco il peristilio<br />
sarebbe infatti pari a 60 piedi oschi (m 16, 50) x 50 (m<br />
13,75 – un piede osco misura cm 27,5 circa); diversi<br />
altri autori (OVERBECK 1884, TRAN TAN TINH 1964)<br />
hanno riportato nelle loro pubblicazioni le medesime<br />
misure, che però studi più recenti hanno rivelato essere<br />
errate, probabilmente forzate per ottenere una<br />
misura precisa in base ai piedi oschi; un gruppo di<br />
ricerca francese guidato da Nicole Blanc ha recentemente<br />
studiato il complesso monumentale e ha invece<br />
fornito misure differenti: 16,76 m per il lato Sud,<br />
16,71 m per il lato Nord, 13,80 m per il lato Ovest e<br />
14,00 m per il lato Est 53 .<br />
Blanc et Alii ritengono che l’unità di misura <strong>del</strong>la<br />
prima fase <strong>del</strong> santuario, contrariamente a quanto precedentemente<br />
accettato nella tradizione di studi pompeianistici,<br />
non sia il piede osco ma il piede romano<br />
(29,6 m circa) e usa questo argomento per accreditare<br />
l’attribuzione di tutto il complesso, anche nella sua<br />
prima fase, all’età augustea. Difatti, se si assume il piede<br />
romano come unità di misura <strong>del</strong> complesso, il peristilio<br />
misurerebbe 56,5 x 47 piedi romani, contro i 60,83<br />
x 50,54 piedi oschi. Anche le pareti <strong>del</strong> cortile (23,56 x<br />
20,76 m) se considerate in base alla metrologia antica<br />
misurano 79,59 x 70,13 piedi romani; il gruppo di ricerca<br />
francese ha rilevato che se si misura la ampeizza <strong>del</strong><br />
santuario sull’asse Est-Ovest includendo non solo la<br />
corte ma anche il c.d. ekklesiasterion, cioè l’edificio ad<br />
Ovest <strong>del</strong> cortile e con esso comunicante costruito<br />
‘rubando’ spazio alla più antica ‘palestra sannitica’, si<br />
ottiene la misura di 31,06 m corrispondenti a 105 piedi<br />
romani, pari a 3/2 <strong>del</strong>la lunghezza dei lati brevi (20,76<br />
m). Secondo Blanc et Alii tale calcolo dimostra che<br />
tanto il peribolo quanto il peristilio e l’ekklesiasterion<br />
fanno parte in realtà di un progetto omogeneo, matura-<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 35 -<br />
to non in età sannitica ma in età augustea. L’intervento<br />
‘popidiano’ non sarebbe stato quindi, come indicato<br />
dall’epigrafe, ‘a fundamento’, ma al contrario si tratterebbe<br />
di una semplice ristrutturazione.<br />
A favore di questa ipotesi, che va contro la tradizionale<br />
corrente di studi sull’Iseo pompeiano, il gruppo<br />
francese sottolinea anche il rapporto struttivo fra il<br />
lato sud <strong>del</strong> complesso e alcuni pilastri relativi alle<br />
arcate che corrono intorno alla crypta <strong>del</strong> Teatro<br />
Grande, cui l’ambiente a sud <strong>del</strong>l’ekklesiaterion (il c.d.<br />
sacrarium) e l’ambiente a sud <strong>del</strong>la corte denominato ‘di<br />
servizio con bacino’ sono tangenti. Inoltre, un pilastro<br />
<strong>del</strong> teatro è inglobato dalla parete sud <strong>del</strong>la corte, che<br />
quindi è necessariamente più tarda. Dato che il teatro,<br />
probabilmente edificato nella metà <strong>del</strong> II sec. a. C., è<br />
stato ricostruito in età augustea 54 , ne deriva che il peribolo<br />
deve essere necessariamente posteriore a questo,<br />
probabilmente di età augustea o giulio-claudia 55 .<br />
Coerente con l’ipotesi proposta sarebbe anche la<br />
analisi <strong>del</strong>le sculture, databili per la maggior parte nello<br />
stesso arco cronologico 56 .<br />
Nonostante il lavoro <strong>del</strong>l’équipe francese costituisca<br />
probabilmente l’analisi più approfondita mai effettuata<br />
sull’Iseo pompeiano, indagato in ogni minimo dettaglio<br />
con grande acume critico sia dal punto di vista <strong>del</strong>le<br />
strutture che <strong>del</strong>le decorazioni ad esse pertinenti, e nonostante<br />
la pubblicazione di Blanc et Alii sia ormai un<br />
punto di riferimento inevitabile per coloro i quali si<br />
accingono allo studio di questo monumento, alcune<br />
conlcusioni in merito alla cronolgia <strong>del</strong>la fondazione<br />
<strong>del</strong>l’Iseo restano tuttavia difficili da accettare.<br />
Le indagini metrologiche, pur affascinanti, non<br />
spiegano la sopravvivenza all’interno <strong>del</strong> santuario di<br />
materiali chiaramente di età sannitica, come il tufo<br />
reimpiegato in diverse parti <strong>del</strong> complesso. Inoltre,<br />
resterebbe da capire e collocare cronologicamente il<br />
primo peristilio: se tutto il complesso è frutto di un<br />
unico progetto d’età augustea o giulio claudia, a quando<br />
datare le tracce <strong>del</strong> primo peristilio?<br />
Inoltre, il fatto che alcune strutture nella parte Sud<br />
<strong>del</strong> santuario si appoggino ai pilastri <strong>del</strong> teatro dimostra<br />
la posteriorità <strong>del</strong> solo peribolo (che comunque,<br />
stando a quanto affermato nell’epigrafe all’ingresso, è<br />
stato riedificato ‘a fundamento’ dopo il terremoto <strong>del</strong><br />
62) e non <strong>del</strong>l’intero monumento alla ricostruzione<br />
<strong>del</strong> teatro stesso.<br />
Va poi tenuto conto che le le dimensioni <strong>del</strong> peristilio<br />
sono ugualmente accettabili sia se calcolate in
Fig. 4 - La cella <strong>del</strong><br />
tempio di Iside a<br />
Pompei (foto <strong>del</strong>l’autore).<br />
base al piede osco (23,56 x 20,76 m = 85,67 x 75,5<br />
piedi oschi) che in base al piede romano (79,59 x 70,<br />
13 piedi romani).<br />
L’ingresso di un bambino di sei anni nell’ordine dei<br />
Decurioni è evento certamente eccezionale, e pertanto<br />
il conferimento di una carica tanto rilevante a un<br />
fanciullo non si spiegherebbe come conseguenza di un<br />
semplice restauro.<br />
I culti egizi hanno cominciato a penetrare in<br />
Campania a partire dal II sec. a. C., come testimonia la<br />
Lex parieti faciendo di Pozzuoli; da qui si sono diffusi<br />
rapidamente in molte zone <strong>del</strong>l’Italia 57 . Una datazione<br />
<strong>del</strong> primo Iseo all’età augustea desterebbe pertanto<br />
maggiori perplessità che una sua collocazione cronologica<br />
al II sec. a. C., vista anche la nota ostilità di<br />
Augusto agli dèi egizi, contro cui egli condusse una<br />
vera e propria crociata culturale in quanto semanticamente<br />
collegabili ad Antonio 58 .<br />
La fase ‘Popidiana’: 62 - 79 d. C.<br />
La fase attuale, che potremmo definire ‘popidiana’<br />
dal nome <strong>del</strong>l’esecutore materiale <strong>del</strong> restauro, è frut-<br />
Fig. 5 - Iseo di Pompei, affresco. Iside trasporta sul Nilo il cadavere <strong>del</strong> marito chiuso<br />
in una cassa, fra due divinità fluviali. In basso, una cista mystica con serpenti.<br />
Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale (inv. 8929), (da Egittomania 2006).<br />
SALTERNUM<br />
- 36 -<br />
to di una riedificazione ‘a fundamento’, come indica lo<br />
stesso testo <strong>del</strong>l’epigrafe posta all’ingresso <strong>del</strong>la corte.<br />
Essa è caratterizzata dall’uso <strong>del</strong> mattone e <strong>del</strong>l’opera<br />
cementizia contrapposta al tufo cui si è ampiamente<br />
fatto ricorso nell’età ‘sannitica’. Le caratteristiche di<br />
questa fase edilizia saranno analizzate in dettaglio<br />
struttura per struttura.<br />
Il portico<br />
A seguito <strong>del</strong>l’intervento di Numerio Popidio<br />
Celsino le colonne <strong>del</strong> portico, che poggiano su di uno<br />
stilobate in blocchi di tufo, si presentano in mattoni,<br />
rudentate e rivestite in stucco rosso nella parte inferiore<br />
e scanalate in stucco bianco nella parte superiore, e<br />
sono sistemate in modo meno regolare: i lati lunghi<br />
presentano otto colonne, il lato occidentale ne ha sette<br />
mentre il lato orientale presenta quattro colonne<br />
disposte lateralmente e due pilastri con semicolonne<br />
addossate in posizione centrale, di altezza leggermente<br />
più alta ed intercolumnio più ampio a formare quasi<br />
una sorta di propylon che enfatizza il rapporto e l’assialità<br />
fra l’ingresso <strong>del</strong>la cella e la nicchia di Arpocrate<br />
posta di fronte ad essa, nella parete <strong>del</strong> cortile.<br />
I capitelli, anch’essi rivestiti in stucco, erano di<br />
ordine tuscanico decorati con motivi vegetali; sono<br />
ricostruibili grazie alla documentazione grafica effettuata<br />
al momento <strong>del</strong>lo scavo, la quale ci restituisce<br />
anche l’immagine <strong>del</strong>la copertura a tegole con antefisse<br />
a maschera di gorgone.<br />
Le pareti <strong>del</strong>la corte erano decorate con affreschi di<br />
IV stile che si articolavano in quattro fasce principali 59 .<br />
Il basamento è scandito da pannelli<br />
rettangolari a fondo giallo decorati<br />
con sfingi affrontate, gorgoneia,<br />
mostri marini e <strong>del</strong>fini alternati a<br />
pannelli più stretti con patere o<br />
bucrani; essi sono separati da fasce<br />
verticali a fondo rosso, ognuna <strong>del</strong>le<br />
quali è riempita con tre pannelli rettangolari<br />
a fondo azzurro disposti<br />
verticalmente e decorati con motivi<br />
vegetali.<br />
La fascia decorativa mediana, più<br />
ampia e separata dalla prima da una<br />
finta cornice a dentelli, è costituita da<br />
Fig. 6 - Iseo di Pompei.<br />
Uno dei pannelli decorativi<br />
<strong>del</strong>la parete interna<br />
<strong>del</strong> peribolo.<br />
pannelli a fondo rosso incorniciati da<br />
can<strong>del</strong>abri o da ghirlande tese al cui<br />
interno si trovano vignette con sacer-
doti e paesaggi; alternati a questi troviamo leggere<br />
architetture lignee poste in scorcio convergente, sicché<br />
è stato possibile ricostruire la successione dei pannelli<br />
caduti a seguito <strong>del</strong> crollo <strong>del</strong>le coperture sulla base<br />
<strong>del</strong>la successione ottica <strong>del</strong>la prospettiva, che terminava<br />
con un pannello a visione frontale. Gli scorci architettonici<br />
sono chiusi, in basso, da tramezzi a fondo nero<br />
decorati con motivi vegetali (prevalentemente cespi di<br />
acanto) sui quali poggiano quadri con nature morte,<br />
naumachie o paesaggi. Al di sopra correva un elegante<br />
fregio a fondo nero decorato con girali di acanto e<br />
raffigurazioni di soggetti egittizzanti quali animali, pigmei,<br />
rosette sempre diverse.<br />
La fascia superiore, di cui non restano che pochi<br />
lacerti, era a fondo bianco con leggere architetture<br />
lignee poste a prosecuzione di quelle <strong>del</strong>la fascia ornamentale<br />
sottostante, arricchite di elementi <strong>del</strong> repertorio<br />
<strong>del</strong>la pittura di IV stile quali bordi di tappeti, ghirlande,<br />
tralci, quadretti.<br />
Poiché le pareti interne <strong>del</strong> portico ospitano nicchie<br />
per le statue degli dèi e aperture di passaggio, lo<br />
schema <strong>del</strong>la struttura decorativa era stato adattato in<br />
modo diverso a ciascuna <strong>del</strong>le pareti in modo che la<br />
variante architettonica entrasse a far parte <strong>del</strong>la decorazione;<br />
ciò è particolarmente evidente nella parete est<br />
dove la nicchia in cui era alloggiata la statua di<br />
Arpocrate sostituisce il pannello con scorcio architettonico<br />
a ‘visione centrale’ configurandosi in rapporto<br />
visivo ‘privilegiato’ con l’ingresso <strong>del</strong>la cella, con il<br />
quale è in asse.<br />
La aedes<br />
Al centro <strong>del</strong>la corte sorge la aedes di Iside, edificio<br />
prostilo tetrastilo a cella trasversale costruito su podio<br />
alto m 1, 50 ca. e composto da un naòs rettangolare di<br />
m 4, 82 x m 3, 04 preceduto da un pronaos <strong>del</strong>la medesima<br />
forma che misura m 7,65 x 3, 79. Le colonne, in<br />
tufo rivestito di stucco scanalato, presentano base<br />
attica e capitello corinzio e sono forse riferibili alla<br />
fase ‘sannitica’ <strong>del</strong> tempio. Sulla facciata <strong>del</strong>la cella, ai<br />
lati <strong>del</strong>la porta, si trovano due ali con nicchie inquadrate<br />
da lesene con capitello corinzieggiante che sorreggono<br />
timpani triangolari, i quali conferiscono<br />
all’edificio la caratteristica forma oblunga. Le nicchie<br />
erano destinate probabilmente alle statue di Anubis e<br />
Arpocrate, i theoi sunnaoi cui erano dedicati anche gli<br />
altarini posti in corrispondenza sul piano <strong>del</strong> cortile.<br />
La parete di fondo <strong>del</strong> naòs, decorata con pannelli in<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 37 -<br />
stucco di forma rettangolare sormontati da uno o più<br />
filari di finti ortostati, è occupata da un podio alto m<br />
1,75 ca. che comunica con l’esterno mediante una<br />
piccola scala di cinque gradini. Sul podio è possibile<br />
vedere due piccoli piedistalli, su cui è verosimile fossero<br />
collocate le statue di Iside e Serapide oppure<br />
Osiride. Sul lato posteriore <strong>del</strong>la cella, all’esterno, è<br />
visibile una nicchia, riccamente decorata a stucco, la<br />
quale ospitava una statua policroma di Dioniso che<br />
gioca con la pantera.<br />
La decorazione <strong>del</strong>le pareti esterne <strong>del</strong>la cella, in I<br />
stile, è in stucchi imitanti una struttura a blocchi isodomi<br />
ortostati di colore bianco inquadrata da lesene<br />
angolari corinzie; il basamento su cui poggiano le<br />
pareti, scandito da pannelli bianchi, sorge su di un piccolo<br />
zoccolo connesso alla zona soprastante da una<br />
gola rovescia decorata con un motivo a girali in cui si<br />
alternano foglie di acanto e foglie d’acqua 60 . Nella<br />
parte più alta <strong>del</strong>la struttura, immediatamente al di<br />
sotto <strong>del</strong> soffitto a mensole in mattoni, correva un fregio<br />
a girali, connesso alle pareti in ortostati da un kyma<br />
ionico, simile a quello che decorava il portico; ai lati<br />
<strong>del</strong>l’ingresso <strong>del</strong>la cella vi sono due pannelli decorati<br />
con finte architetture e ghirlande; le nicchie <strong>del</strong>le ali<br />
sono decorate nella parte superiore con un motivo a<br />
ghirlande; seguono, ancora più sopra, un fregio ionico<br />
leggermente aggettante decorato con un anthemion che<br />
si raccorda al soprastante timpano mediante un listello<br />
e una sima a gola rovescia. Della decorazione dei<br />
piccoli timpani laterali non resta quasi nulla.<br />
La sima frontonale <strong>del</strong> timpano maggiore era probabilmente<br />
costituita da lastre con geni alati, nascenti<br />
da cespi di acanto, che si affrontano reggendo scudo e<br />
corazza. Tale motivo sarebbe legato alla propaganda<br />
trionfalistica dei Flavi, celebrativo <strong>del</strong>le loro conquiste<br />
in Oriente favorite dalla dea stessa 61 .<br />
I pavimenti, in cocciopesto e in mosaico, ci sono<br />
noti solo grazie alla documentazione grafica eseguita<br />
in corso di scavo 62 .<br />
Ai piedi <strong>del</strong>la scalinata <strong>del</strong> tempio si eleva l’altare<br />
maggiore, da dove il sacerdote officiava il culto guardando<br />
in direzione <strong>del</strong>la cella, dando le spalle alla folla<br />
dei fe<strong>del</strong>i raccolti all’interno <strong>del</strong> colonnato. Nei pressi<br />
<strong>del</strong>l’altare è stata rinvenuta una piccola fossa in mattoni<br />
dentro la quale venivano depositati i resti carbonizzati<br />
dei sacrifici: datteri, pigne, castagne, fichi, nocciole<br />
e frammenti di piccoli idoli egizi 63 . La presenza di<br />
pigne e datteri come offerte sacrificali, avvalora l’ipo
tesi che la ‘cista mystica’ (contenitore in vimini<br />
che rivestiva certo un’importante funzione<br />
cultuale, e che compare in molti affreschi e<br />
rappresentazioni di tema ‘isiaco’ 64 ), contenesse<br />
appunto tali frutti secchi fino al momento<br />
<strong>del</strong>la loro combustione, come deducibile dall’osservazione<br />
<strong>del</strong>la decorazione di due lucerne,<br />
una da Napoli e una da Pompei, da un<br />
rilievo conservato al Museo Egizio di Torino 65<br />
e da un bassorilievo che decora l’ara di Titus<br />
Flavius Antilius conservata ai Musei Vaticani 66 .<br />
A Benevento ne è stato rinvenuto un esemplare<br />
in porfido rosso, ricavato da un unico blocco<br />
di pietra il cui coperchio forma quindi un<br />
tutt’uno con il corpo <strong>del</strong>la cista 67 . Si tratta evidentemente<br />
di un falso contenitore, versione<br />
‘monumentale’ <strong>del</strong>la cista in vimini<br />
realmente usata durante le processioni,<br />
la quale probabilmente era di per sé<br />
oggetto di adorazione da parte dei fe<strong>del</strong>i,<br />
al pari <strong>del</strong> vaso canopo 68 .<br />
Il Purgatorium<br />
Non lontano dalla cella, presso l’angolo<br />
sud-est <strong>del</strong>la corte, sorge un piccolo<br />
edificio ipetro dall’aspetto di un tempietto<br />
scoperto le cui pareti erano coronate<br />
da antefisse a maschera teatrale; la<br />
facciata è scandita da quattro lesene le<br />
quali sorreggono un fregio-architrave<br />
che corre su tutte e quattro le pareti visibili, interrotto<br />
sulla facciata dalla porta sormontata da un arco inserito<br />
nel timpano 69 .<br />
Le lesene, che poggiano su un basso zoccolo<br />
decorato a stucco, presentano base attica e sono<br />
anch’esse decorate a stucco: le due più esterne sono<br />
decorate con una coppia di tralci vegetali che, intersecandosi,<br />
formano ampi occhielli entro i quali sono raffigurati<br />
a rilievo soggetti legati al mondo egizio: il<br />
cobra, la corona hatef, l’ippopotamo, il demone Bes<br />
seduto, il sistro, la situla mammelliforme, il bucranio e<br />
l’amorino. Un can<strong>del</strong>abro, in entrambi i casi mal conservato,<br />
orna invece le lesene interne, incorniciate da<br />
baccellature. Esse presentano capitello corinzieggiante<br />
recante una figura umana al centro <strong>del</strong> kalathos, raccordato<br />
al soprastante architrave da un piccolo listello<br />
e da una gola diritta decorata con un kyma ad onda. I<br />
pannelli fra le lesene ospitano <strong>del</strong>icati rilievi che pog-<br />
SALTERNUM<br />
Fig. 7 - Ara di Titus<br />
Flavius Antylius, con raffigurazione<br />
<strong>del</strong> contenuto<br />
<strong>del</strong>la cista mystica, con<br />
due serpenti agathodaimones.<br />
Musei Vaticani, Galleria<br />
dei Can<strong>del</strong>abri.<br />
Fig. 8 - Cista ‘mystica’. Granito rosso, h m<br />
0, 47. Benevento, Museo <strong>del</strong> Sannio.<br />
- 38 -<br />
giano su mensole leggermente aggettanti, i<br />
quali raffigurano statue di sacerdotesse in<br />
piedi sotto una sorta di piccolo velarium decorato<br />
con motivi marini da cui pendono ghirlande.<br />
Le decorazioni <strong>del</strong>l’architrave e <strong>del</strong><br />
timpano, separati da un piccolo listello scanalato<br />
e da una sima a gola diritta intagliata con<br />
un kyma in cui si alternano fiori di loto e<br />
archetti che racchiudono foglie atrofizzate,<br />
sono mal conservate: dai disegni eseguiti<br />
dopo la scoperta sappiamo che sul primo<br />
erano dipinti Anubis con caduceo e bastone,<br />
un sacerdote con cobra, uno con situla e ramo<br />
di palma e uno con lituo; vi erano poi una<br />
donna a torso nudo e cinque supplicanti; sul<br />
secondo, invece, una hydrìa fra due<br />
figure in ginocchio e due geni alati con<br />
trofei si stagliavano contro il fondo<br />
verde.<br />
Un secondo kyma, in cui si alternano<br />
trifogli e fiori di loto, decora la cornice<br />
inferiore <strong>del</strong>la trabeazione, immediatamente<br />
al di sotto <strong>del</strong>l’architrave; lo<br />
stesso motivo, ma invertito, è intagliato<br />
lungo l’archivolto. Il geison obliquo presenta<br />
una sima a gola diritta decorata<br />
con un kyma composto da palmette<br />
sotto archi e fiori di loto.<br />
Le pareti Est e Ovest sono tripartite<br />
in pannelli con amorini ai lati e coppie<br />
in volo nel campo centrale, forse Perseo e Andromeda<br />
a est e Marte e Venere a ovest; in alto, a terminare la<br />
decorazione parietale, sono due filari di finti ortostati in<br />
stucco. Il fregio ionico, che corre al di sopra degli ortostati<br />
è ornato con <strong>del</strong>fini e amorini; un kyma di trifogli<br />
e fiori di loto, uguale a quello presente in facciata, separa<br />
il fregio dagli ortostati; la parte superiore di questo è<br />
invece decorata con un kyma a palmette inscritte e fiori<br />
di loto.<br />
All’interno <strong>del</strong> recinto una breve scalinata introduce<br />
ad una stanza ipogea di m 2 x 1,50, in un angolo<br />
<strong>del</strong>la quale sorge un piccolo podio 70 . L’interpretazione<br />
<strong>del</strong>la funzione <strong>del</strong>l’aula è controversa: la struttura<br />
induce a pensare che si tratti di un edificio destinato a<br />
contenere acqua lustrale (<strong>del</strong> Nilo?) e, pertanto, che<br />
fosse collegato ai riti di purificazione che precedevano<br />
l’iniziazione dei mystae. Il Breton lo qualifica come purgatorium,<br />
mentre il Lafaye ed il Morel definiscono la
struttura megaron 71 . Il termine megaron è stato rinvenuto<br />
in una iscrizione ostiense 72 , ed indica la sala ove gli iniziati<br />
passavano la notte prima <strong>del</strong>la cerimonia vera e<br />
propria. E’ probabile, in ogni caso, che si tratti di un<br />
edificio legato ai riti iniziatici, nonostante l’ambiente<br />
sembri decisamente angusto e inadatto ad ospitare un<br />
uomo adulto per tutta una notte.<br />
L’iniziazione era una cerimonia complessa, di cui<br />
non conosciamo tutti i dettagli né di cui possiamo<br />
interpretare tutti gli aspetti; tuttavia, per noi resta preziosissima<br />
la testimonianza di Apuleio, il quale ci fa<br />
‘rivivere’ l’esperienza dei mystae grazie alle sue<br />
Metamorfosi 73 .<br />
L’ Ekklesiasterion e il Sacrarium<br />
In occasione <strong>del</strong>la ricostruzione <strong>del</strong> santuario da<br />
parte di Popidio Celsino (post 62 d. C.) questo venne<br />
ampliato verso est di m 7,65 x 13,20, ‘rubando’ spazio<br />
all’attigua ‘Palestra Sannitica’, mediante la costruzione<br />
di un ambiente denominato ekklesiasterion cui si accedeva<br />
attraverso cinque passaggi ad arco; sul pavimento<br />
<strong>del</strong>l’ambiente era possibile vedere i mosaici recanti<br />
i nomi dei donatori <strong>del</strong> santuario, ovvero Numerio<br />
Popidio Celsino, il bimbo di sei anni già menzionato<br />
nell’iscrizione all’ingresso <strong>del</strong> complesso, suo padre<br />
Ampliato e sua madre Cornelia Colsa.<br />
Non conosciamo l’originale funzione <strong>del</strong>la sala, al<br />
cui interno venne rinvenuto l’acrolito di Iside recante<br />
ancora orecchini d’oro al momento <strong>del</strong>la scoperta 74 .<br />
L’ambiente doveva essere molto importante per le<br />
funzioni sacre: era infatti decorato in modo da richiamare<br />
direttamente l’Egitto mediante statue di sacerdotesse<br />
recanti can<strong>del</strong>abri dorati, ognuna con un diverso<br />
attributo <strong>del</strong> culto; affreschi di discreto livello qualitativo<br />
decoravano le tre pareti continue, su cui erano raffigurati<br />
finestroni attraverso i quali era possibile<br />
ammirare paesaggi nilotici e finte architetture a tema;<br />
la parete di ingresso presentava un prospetto porticato<br />
a fondo verde con colonne corinzie scanalate che<br />
sorreggevano un epistilio a fondo rosso con Nereidi<br />
su <strong>del</strong>fini, in parte ancora visibili. I quadri posti fra le<br />
vedute paesistiche erano di tema mitologico: sulla<br />
parete nord è rappresentato il momento iniziale <strong>del</strong>la<br />
vicenda di Io che viene sottratta da Ermes alla vigilanza<br />
di Argo, un tema derivante da un celebre quadro di<br />
Nicia 75 ; sull’altra parete è rappresentato l’arrivo di Io a<br />
Canopo, accolta da Iside 76 ; la parete ovest fu trovata<br />
invece già priva <strong>del</strong> quadro centrale.<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 39 -<br />
Fig. 9 - Iseo di<br />
Pompei, il c.d.<br />
megaron.<br />
Nell’ambito degli stessi<br />
lavori post-sismici<br />
venne edificato un altro<br />
ambiente a Sud <strong>del</strong> c.d.<br />
Ekklesiasterion: si tratta di<br />
uno spazio adibito a<br />
sacrestia per il deposito di<br />
arredi sacri e doni votivi<br />
(c.d. sacrarium); forse era<br />
destinato ad accogliere<br />
anche gli iniziandi, i quali<br />
potevano così riunirsi in<br />
un ambiente riservato e<br />
decorato con affreschi<br />
Fig. 10 -Iseo di Pompei, l’ambiente sotterraneo<br />
<strong>del</strong> megaron.<br />
che raffiguravano la dea e il suo sposo nonché<br />
momenti salienti <strong>del</strong> culto. Queste decorazioni si<br />
discostano da tutte le altre per stile e tecnica: sono<br />
state infatti eseguite da un pittore di larari o di insegne<br />
che ha steso grosse pennellate di colori monotonali, a<br />
volte così diluiti da essere scarsamente leggibili.<br />
L’ambiente, di forma irregolare, era decorato nella<br />
parete ovest con le immagini di Iside e Serapide affiancate<br />
da una leonessa e da serpenti; sulla parete nord<br />
erano dipinti Bes, l’Inventio Osiridis sul larario con serpenti<br />
striscianti verso la cista mystica, un gruppo di animali<br />
(leone, ibis, cobra e sparviero) che proseguiva<br />
sulla parete est con le fiere <strong>del</strong> deserto e si concludeva<br />
con l’immagine di un toro 77 .<br />
Il cubiculum, il triclinium, la cucina<br />
A Sud <strong>del</strong> portico troviamo alcuni ambienti che<br />
dovevano essere sussidiari al culto e funzionali alla<br />
celebrazione <strong>del</strong>le attività quotidiane. Da Ovest a Est<br />
si succedono un cubiculum, un triclinium e una cucina<br />
comunicante con l’esterno dotata di deposito e sottoscala.<br />
Essi, ricostruiti in corrispondenza di ambienti
Fig. 11 - Statua di Iside, rinvenuta a Napoli. Marmo bigio morato; testa, mani e piedi<br />
in marmo bianco (h m 1, 30).<br />
Vienna, Kunsthistorisches Museum (inv. 1-158), (da Egittomania 2006).<br />
Fig. 12 - Statua di Iside Pelagia, da Posillipo.<br />
Museo <strong>del</strong>le Belle Arti di Budapest (da Egittomania 2006).<br />
più antichi ai quali dovevano appartenere il puteale in<br />
terracotta <strong>del</strong>la metà <strong>del</strong> II sec. a. C. qui rinvenuto e la<br />
cista in piombo, trovata in situ ancora collegata alla<br />
fistola di piombo e con la chiave di arresto, che testimoniano<br />
ancora una volta l’importanza <strong>del</strong>l’acqua<br />
nella celebrazione <strong>del</strong>la liturgia isiaca 78 .<br />
Ercolano<br />
La seconda città vesuviana ad essere distrutta dall’eruzione<br />
<strong>del</strong> 79 non ha restituito i resti di alcun santuario<br />
isiaco; tuttavia, la grande quantità di materiale<br />
pertinente rinvenuto in città induce a ritenere che ve<br />
ne fosse almeno uno. La maggior parte dei reperti<br />
sono stati trovati nella zona <strong>del</strong>la c.d. palestra, e fra<br />
essi forse erano anche il celebre affresco, diviso in<br />
due scene, di cui all’epoca <strong>del</strong>lo stacco non fu indicata<br />
la provenienza; il Müller interpreta le scene l’una<br />
come ‘danza rituale isiaca’, l’altra come ‘cerimonia<br />
<strong>del</strong> mattino’ 79 , mentre il Malaise le considera come<br />
pertinente ad un unico rituale, la celebrazione<br />
<strong>del</strong>l’Inventio Osiridis nel mese di Novembre. Si tratta di<br />
due opere di grande rilievo, perché permettono di<br />
inquadrare molti reperti in un contesto rituale ‘vivo’,<br />
còlto nel pieno <strong>del</strong> suo svolgimento ed interpretabile<br />
anche con l’aiuto <strong>del</strong>le fonti.<br />
SALTERNUM<br />
- 40 -<br />
Fra i materiali di pregio va menzionata la statua <strong>del</strong><br />
dio Atoum 80 , divinità solare e creatrice su cui il Faraone<br />
‘eretico’ Akenathon (1338-1331 a. C.), marito di Nefertiti,<br />
volle incentrare la sua riforma monoteista. L’opera è<br />
datata fra il 1405 e il 1370 a. C. ed è stata rinvenuta all’interno<br />
<strong>del</strong>la c.d. ‘palestra’. Degna di nota è anche la base<br />
con geroglifici di fantasia <strong>del</strong> I sec. d. C., i cui disegni<br />
sono ispirati al culto di Horus 81 . E’ un’importante testimonianza<br />
di come la religione isiaca in Italia avesse<br />
perso in parte i contatti con la cultura egizia, non<br />
riuscendo a produrre opere con geroglifici significanti<br />
e utilizzando questi alla stregua di decorazioni sacre, la<br />
cui sola presenza serviva a qualificare un oggetto<br />
come ‘sacro’, ‘egizio’ ma anche, probabilmente, ‘alla<br />
moda’. La singolarità di questo manufatto sta nell’essere<br />
contemporaneamente sia un oggetto di culto<br />
destinato all’ uso sacro sia una testimonianza <strong>del</strong>l’egittomania,<br />
che imperversò nel mondo romano a partire<br />
sopratutto dal I sec. a. C. 82<br />
Iside a Napoli<br />
Gli dèi nilotici ottennero largo seguito anche presso<br />
la graeca urbs campana per eccellenza; Iside non<br />
dovette impiegare molto per giungere da Pozzuoli a<br />
Napoli. Due iscrizioni in greco fanno riferimento<br />
anche a un’associazione di atleti alessandrini, i quali<br />
certamente erano devoti agli dèi <strong>del</strong>la madrepatria 83 ;<br />
inoltre la presenza di questi doveva essere consistente<br />
se Nerone poté assoldare una claque alessandrina per la<br />
sua esibizione teatrale in città 84 . Napoli ha restituito<br />
reperti archeologici di grande interesse per gli studi<br />
isiaci. In particolare si segnalano due statue di Iside,<br />
una conservata presso il Museo <strong>Archeologico</strong><br />
Nazionale 85 ed una presso il Kunsthistorisches Museum di<br />
Vienna 86 ; si tratta di opere di pregio elevato, eseguite<br />
con molta probabilità nel corso <strong>del</strong> II sec. d. C..<br />
L’Iside <strong>del</strong> Museo Nazionale è un acrolito con testa,<br />
braccia e piedi in marmo bianco; i capelli sono invece<br />
parzialmente coperti da un kredemnon in marmo grigio<br />
e sono raccolti in una treccia che corre tutta attorno<br />
alla testa. Sulla fronte è un fiore di loto; anche il<br />
lungo chitone e l’himation a frange, che si intreccia sul<br />
petto a formare il caratteristico nodo isiaco, sono in<br />
marmo grigio. La mano sinistra, distesa lungo il corpo,<br />
regge un’oinochoe in marmo bianco; la destra, sollevata,<br />
regge invece un sistro metallico.<br />
La statua di Vienna è quasi identica alla precedente<br />
nell’iconografia, ma è l’opera di un artista di grande
avura: la resa anatomica è migliore e le pieghe <strong>del</strong><br />
mantello si adagiano mollemente sul corpo <strong>del</strong>la dea<br />
creando effetti chiaroscurali molto realistici; il viso,<br />
leggermente rivolto verso sinistra, è ieratico e inespressivo,<br />
a trasmettere tutto il senso <strong>del</strong>la maestà divina.<br />
La testa, coronata dai boccoli, è ornata da un diadema<br />
a forma di disco radiato.<br />
La mano destra reca ancora il manico di un sistro<br />
marmoreo, la destra un’oinochoe.<br />
Molte testimonianze collegabili alla religione egizia<br />
sono state rinvenute nella ‘Regio Nilensis’, cioè nella<br />
zona <strong>del</strong>imitata dall’antico ‘decumano maggiore’ (via<br />
dei Tribunali) e da quello ‘minore’ (via S.Biagio dei<br />
Librai) e chiusa da vico S. Domenico a Ovest e dal<br />
monastero di S. Gregorio Armeno a Est, in cui è probabile<br />
che fosse ospitato un santuario dedicato alle<br />
divinità alessandrine. Una <strong>del</strong>le più importanti fra queste<br />
è certamente la celebre statua <strong>del</strong> Nilo, esposta<br />
ancora pressoché in situ nella piazzetta omonima; la<br />
presenza di una comunità alessandrina induce a ipotizzare<br />
l’esistenza di un culto di Serapide e di un tempio<br />
che doveva trovarsi all’interno <strong>del</strong>la Regio stessa o<br />
comunque non lontano da questa 87 .<br />
Da Posillipo proviene uno dei reperti più interessanti:<br />
una statua marmorea interpretata coma Iside<br />
‘Pelagia’ o ‘alla vela’; si tratta di un’opera rinvenuta in<br />
una villa privata e confluita nella collezione Hartwig,<br />
ora conservata al Museo <strong>del</strong>le Belle Arti di Budapest 88 .<br />
La statua, cui mancano le braccia e la testa, raffigura<br />
una donna protesa in avanti; il peso è poggiato sulla<br />
gamba sinistra piegata, la gamba destra si flette leggermente<br />
per bilanciare lo slancio <strong>del</strong> torso. Il braccio<br />
sinistro è arretrato, e si oppone nel movimento alla<br />
gamba corrispondente, mentre il sinistro è proteso in<br />
avanti. La figura è avvolta in un lungo chitone increspato<br />
dal vento e indossa un himation che, poggiato<br />
sulla spalla sinistra, le cinge il torso formando un leggero<br />
rigonfiamento sulla schiena; il mantello, passando<br />
sotto l’ascella, si ricollega al lembo che scende dalla<br />
spalla sostenendo il seno <strong>del</strong>la donna. La scultura, all’inizio<br />
interpretata quale Niobide, è stata più recentemente<br />
attribuita a Isis Pelagia o Pharia, epiclesi <strong>del</strong>la dea<br />
venerata soprattutto dai mercanti e dai naviganti, di<br />
cui non esistono statue la cui attribuzione sia certa e la<br />
cui iconografia è nota solo da alcune monete e da un<br />
rilievo <strong>del</strong>io 89 . La dea è colta nel momento in cui, per<br />
sospingere la sua imbarcazione, gonfia il mantello formando<br />
in questo modo una vela.<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
- 41 -<br />
Oltre alla statua rinvenuta al Rione Terra di<br />
Pozzuoli, esiste solo una terza scultura identificata<br />
come Iside Pelagia, conservata presso il Museo <strong>del</strong><br />
Sannio di Benevento 90 ; quest’ultima, a differenza <strong>del</strong>le<br />
prime due, è priva <strong>del</strong> corpo <strong>del</strong>la divinità e presenta<br />
invece l’attributo che, se fosse presente in queste ultime,<br />
ne confermerebbe l’attribuzione: la nave su cui la dea<br />
poggia i piedi nell’atto di tendere il suo himation al vento.<br />
Rispetto alla statua puteolana, l’Iside di Posillipo è più<br />
piccola (m 1, 45 ca. contro m 1, 90 ca) e di fattura<br />
migliore: il mantello è più stretto al corpo, ma è trattato<br />
in modo più realistico; l’effetto degli agenti atmosferici<br />
sul corpo in movimento è reso con grande naturalismo<br />
mentre l’opera <strong>del</strong> Rione Terra è caratterizzata da<br />
una pesante monumentalità, accentuata dalla sua stessa<br />
mole e dal materiale - marmo bigio - in cui è scolpita. Il<br />
mantello non cinge la figura, ma forma un più ampio<br />
rigonfiamento sulla schiena scendendo poi fino all’altezza<br />
<strong>del</strong> ginocchio, per ricongiungersi sul davanti con<br />
il lembo poggiato sulla spalla sinistra. La statua di<br />
Pozzuoli reca alcune tracce <strong>del</strong> mantello che la dea,<br />
secondo l’iconografia tipica di Iside Pelagia, usa per<br />
creare una vela fermandone il lembo inferiore con il<br />
piede sinistro e tendendone con le mani le due estremità<br />
superiori. Tuttavia, sia nel caso di Pozzuoli che di<br />
Benevento non si nota alcun lembo di stoffa o mantello<br />
calpestato dai piedi <strong>del</strong>la donna, cosa che invece è<br />
evidentemente un attributo <strong>del</strong>la Pelagia come è raffigurata<br />
nel rilievo <strong>del</strong>io. A proposito <strong>del</strong>l’iconografia di<br />
Iside Pelagia, è stata più volte rilevata la rarità di raffigurazioni<br />
di divinità in piedi sulla coperta di una nave, la<br />
qual cosa non aiuta certo l’interpretazione <strong>del</strong>le testimonianze<br />
rimaste. Naturale diventa il confronto con le<br />
vittorie di Samotracia e di Peonio, sculture molto note,<br />
e con la grande statua <strong>del</strong>l’Agorà di Cirene; un altro<br />
confronto è a mio avviso individuabile in una scultura<br />
conservata al Louvre (Ma 2344) interpretata come Teti,<br />
che rappresenta una donna in piedi sulla prua di una<br />
nave 91 ; la figura si sporge leggermente in avanti piegando<br />
le ginocchia mentre con il volto guarda verso destra.<br />
Il braccio sinistro, sollevato, tiene un lembo <strong>del</strong>la veste<br />
che la dea si sta togliendo e che copre parzialmente l’albero<br />
<strong>del</strong>la nave, alla cui base si attorciglia un pistrice.<br />
Sebbene una sua interpretazione quale Iside Pelagia non<br />
sia particolarmente probabile, data la nudità – inusuale<br />
per la divinità egizia - e la postura <strong>del</strong>la figura, si tratta<br />
comunque di uno dei pochi esempi plastici confrontabili<br />
sia con le sculture di Benevento che con quelle di
Fig. 13 - Statua di Teti (?), rinvenuta<br />
a Lanuvio, poi entrata nella collezione<br />
Albani. Marmo bianco (h m 2,11).<br />
Parigi Museo <strong>del</strong> Louvre (Ma 2344).<br />
Fig. 14 - Statua di Teti (?), Museo <strong>del</strong> Louvre: dettaglio <strong>del</strong> piede sulla barca.<br />
Posillipo e Pozzuoli. Bisogna infatti tener presente che<br />
anche una sua identificazione quale Teti o Nereide è<br />
abbastanza incerta: la nave su cui la donna poggia i<br />
piedi non fa parte infatti <strong>del</strong>l’iconografia <strong>del</strong>le figlie di<br />
Nereo. Nonostante il più comune tipo iconografico<br />
ritragga la dea nell’atto di creare una vela usando il proprio<br />
mantello, tenuto fermo con il piede, qualora si trattasse<br />
di una statua di Iside Pelagia l’opera <strong>del</strong> Louvre<br />
potrebbe costituire invece una variante iconografia in<br />
cui la dea, spogliatasi <strong>del</strong>la veste, è rappresentata sul<br />
punto di utilizzarla quale vela. La statua, rinvenuta a<br />
Lanuvio nel 1764 ed entrata a far parte <strong>del</strong>la collezione<br />
Albani, è stata restaurata in modo radicale da<br />
Bartolomeo Cavaceppi il quale, partendo dai resti <strong>del</strong>la<br />
nave posti sotto il piede sinistro, ne ha ricostruito tutta<br />
la prua. Anche la testa è frutto <strong>del</strong>l’inventiva <strong>del</strong> restauratore,<br />
che ha tratto spunto dall’immagine <strong>del</strong>la<br />
Giunone Ludovisi. L’opera faceva parte di un gruppo<br />
di dieci sculture che decoravano il portico semicircolare<br />
di Villa Albani ed è stata portata a Parigi a seguito <strong>del</strong><br />
Trattato di Tolentino, nel 1797 92 .<br />
SALTERNUM<br />
- 42 -<br />
Città campane con attestazioni minori<br />
Cuma<br />
Anche a Cuma sono stati recentemente rinvenuti i<br />
resti di un Iseo: si tratta di un tempio la cui prima fase<br />
costruttiva risale al I sec. a. C., edificato a Sud-Ovest<br />
<strong>del</strong>l’Acropoli. Del santuario sono rimasti solo il podio,<br />
tracce <strong>del</strong> portico e di un bassin ornato di marmi policromi,<br />
con un sistema di adduzione e scolo <strong>del</strong>le<br />
acque 93 . Tale scoperta può essere collegata al rinvenimento,<br />
avvenuto nel 1836, di una statua raffigurante<br />
Anubis o un sacerdote con la maschera <strong>del</strong> dio sciacallo<br />
94 . Si tratta di un’opera inquadrabile nella temperie<br />
culturale isiaca puteolana: il dio, infatti, lungi dall’essere<br />
rappresentato come ‘l’abbaiante Anubis’, è vestito<br />
con un chitone lungo fino al ginocchio e una clamide<br />
che, agganciata alla spalla destra, scende con ampi<br />
panneggi fino alla tibia. Si notano le tracce <strong>del</strong> caduceo<br />
che il dio, assimilato da lungo tempo con Hermes,<br />
recava nella mano sinistra. L’atteggiamento è statico e<br />
‘civile’: è forte il contrasto fra le testa canina e l’impostazione<br />
pacata <strong>del</strong> corpo, che trasmette una gravità<br />
degna di un dio olimpico.<br />
Capua<br />
Attraverso la via Campana, i culti isiaci hanno raggiunto<br />
anche Capua; l’antica città etrusca ha restituito<br />
importanti attestazioni materiali collegabili alla<br />
religione egizia, quali ad esempio la celebre epigrafe<br />
in cui Iside è definita «una quae es omnia», <strong>del</strong> tardo III<br />
sec. d. C 95 . Interessanti sono anche i busti di Iside e<br />
Zeus-Ammon che decoravano alcune chiavi di volta<br />
<strong>del</strong>l’anfiteatro campano 96 . I mercatores capuani, stando<br />
alle attestazioni epigrafiche, frequentavano l’isola di<br />
Delo contemporaneamente ai puteolani; è pertanto<br />
ipotizzabile, sebbene manchino attestazioni materiali<br />
a dimostrarlo, che il culto <strong>del</strong>le divinità egizie fosse<br />
praticato fin da tempi abbastanza antichi (II-I sec. a.<br />
C. ?) Il fatto stesso che la testa di Ammon fosse collocata<br />
a decorare uno degli edifici più importanti, come<br />
era avvenuto anche per gli dèi più antichi <strong>del</strong>la città<br />
quali Volturnus, Diana Tifatina, Demetra, permette di<br />
pensare che le divinità egizie fossero entrate a pieno<br />
titolo nel pantheon cittadino 97 .<br />
Carinola<br />
Dal territorio <strong>del</strong>la cittadina campana (nei pressi di<br />
Piedimonte Matese) proviene un’epigrafe di notevole
interesse, che tratta <strong>del</strong>l’edificazione o<br />
<strong>del</strong> restauro di un santuario di Iside e<br />
Serapide da parte di due magistrati<br />
pubblici, duoviri 98 . Il fatto che le istituzioni<br />
si interessino, in Campania, <strong>del</strong>la<br />
costruzione o <strong>del</strong> restauro di templi<br />
isiaci non è eccezionale: a Pozzuoli il<br />
Serapeo è oggetto di attenzione da<br />
parte <strong>del</strong>l’autorità cittadina; a Pompei il<br />
donatore è ammesso nell’ordine dei<br />
decurioni. In un’altra epigrafe Caius<br />
Novius Priscus afferma di aver eretto da<br />
solo e a proprie spese un tempio a Isis<br />
Augusta 99 .<br />
Da questa città proviene anche una<br />
statuetta di Iside Kourotrophos, ripresa nell’atto di allattare<br />
il piccolo Arpocrate: interessante è il retro <strong>del</strong><br />
trono su cui la dea è seduta: esso infatti mostra scolpiti<br />
due serpenti recanti l’uno la corona <strong>del</strong> basso Egitto,<br />
l’altro la mezzaluna di Isis-Hator 100 .<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
Fig. 15 - Statua di nave con Iside Pelagia<br />
(?), da Benevento. Frammentaria, h m<br />
0,46; lungh. m 1,02. Benevento, Museo<br />
<strong>del</strong> Sannio (da VERGINEO 2007).<br />
- 43 -<br />
Altre attestazioni<br />
A Nord di Pozzuoli si hanno scarse<br />
testimonianze dei culti isiaci. Miseno, che<br />
pure era la sede <strong>del</strong>la flotta militare sul<br />
Tirreno, non ha restituito materiale di<br />
grande rilievo. Interessanti invece i reperti<br />
di Teano, che testimoniano la presenza<br />
di un Iseo 101 : fra questi spiccano due sfingi<br />
in granito che oggi adornano l’ingresso<br />
<strong>del</strong> Duomo 102 , e che sono state datate ad<br />
età ellenistico-romana. E’ notevole la<br />
similitudine di queste opere con alcune<br />
<strong>del</strong>le sfingi tolemaiche rinvenute a<br />
Benevento: la datazione potrebbe essere<br />
la medesima 103 . I reperti sono stati rinvenuti<br />
nel corso <strong>del</strong>la ricostruzione <strong>del</strong> Duomo che ha<br />
seguito le distruzioni <strong>del</strong>la II Guerra Mondiale. Nel<br />
campanile è murata un’antefissa con urei; questi indizi<br />
portano a ipotizzare l’eventuale insistenza <strong>del</strong>la chiesa<br />
cristiana sul tempio egizio 104 .
Note<br />
NOTE<br />
1 MALAISE 1972 b : tutta l’opera riguarda la diffusione<br />
dei culti isiaci in Italia. Per questo<br />
aspetto in particolare cfr. pp. 264-332.<br />
2 Non è possibile approfondire in questa<br />
sede un tema complesso e articolato come i<br />
rapporti fra Cristianesimo e Religioni orientali;<br />
basti ricordare la condanna di autori<br />
quali Firmico Materno (L’errore <strong>del</strong>le religioni<br />
profane) quale esplicativo <strong>del</strong> clima culturale<br />
<strong>del</strong>l’epoca.<br />
3 CUMONT 1929.<br />
4 BIANCHI 1979, pp. 3-60.<br />
5 Apuleio, Metamorfosi, lib. XI.<br />
6 Eleusi ne è l’esempio più tipico essendo il<br />
demo attico strettamente connesso all’aition<br />
dei Misteri Eleusini, allorquando Demetra si<br />
trasforma in vecchia abdicando alle sue funzioni<br />
divine per protesta contro l’iniquità di<br />
Zeus, venendo accolta dal re di Eleusi Celeo,<br />
figlio <strong>del</strong>l’eponimo fondatore <strong>del</strong>la città, cui<br />
la dèa insegna le regole <strong>del</strong> suo culto dopo<br />
aver svelato la sua vera identità e prima di<br />
ascendere nuovamente all’Olimpo; anche i<br />
culti di Samotracia e Andania ad esempio<br />
erano celebrato sempre nello stesso luogo.<br />
7 E’ il caso dei misteri isiaci: essi potevano<br />
essere celebrati in qualsiasi santuario ma i<br />
mystae potevano accedere ai privilegi legati<br />
al loro status esclusivamente nel santuario in<br />
cui erano stati iniziati. Pertanto era possibile<br />
che l’iniziazione venisse ripetuta più volte in<br />
templi diversi (Apuleio, Metamorfosi, XI).<br />
8 BIANCHI 1979, pp. 8-9; movimenti quali<br />
Orfismo, Pitagorismo, Gnosticismo appartengono<br />
a questa categoria. Fra i culti orientali<br />
il Mitraismo presenta di certo i più spiccati<br />
caratteri misteriosofici.<br />
9 Per Aegyptiaca si intendono piccoli manufatti<br />
di origine egizia quali ushabti (amuleti a<br />
forma di sarcofago), scarabei o imitazioni di<br />
questi rinvenuti in contesti italici, ed usati<br />
non per fini cultuali o religiosi ma anche<br />
estetici od ornamentali.<br />
10 DE SALVIA 2006.<br />
11 SFAMENI GASPARRO 1973, pp. 58-60.<br />
12 Ead., ibidem, p. 55.<br />
13 Ead., ibidem, pp. 31-32.<br />
14 Gli scavi di p.za Nicola Amore a Napoli<br />
hanno parzialmente confermato l’esistenza<br />
di rapporti commerciali fra le due zone: in<br />
una sala da banchetto è stata infatti rinvenuta<br />
una coppa a vernice nera su cui è dipinta<br />
un’acclamazione di Agatocle Sotèr (DE<br />
CARO 2006, p. 15).<br />
SALTERNUM<br />
15 MALAISE 1972b, pp. 275-282; DUNAND<br />
1973, vol. II, pp.83-115; TURCAN 1989, pp.<br />
82-85; sui templi isiaci a Delo cfr. BRUNEAU<br />
- DUCAT 1983, pp. 219-221; BRUNEAU -<br />
DUCAT 2005, pp. 58-60; 277-279.<br />
16 MALAISE 1972 b , pp. 282-311.<br />
17 Id., ibidem, pp. 259, 330-332.<br />
18 Id., ibidem, p. 306.<br />
19<br />
MALAISE 1972b, pp. 268-269; HATZFELD<br />
1909, pp. 31-36; HATZFELD 1912, pp. 5-218.<br />
20 b<br />
MALAISE 1972 , p. 274.<br />
21 Appiano, Guerre Mitridatiche, 28; cfr. anche<br />
MALAISE 1972b , pp. 265, 270-275; DUNAND<br />
1973, vol. II, pp. 98-99.<br />
22 Festo, grammatico <strong>del</strong> II sec. d. C., riassume<br />
un passo di Verrio Flacco, erudito di età<br />
augustea: «MINOREM DELUM Puteolos esse<br />
dixerunt, quod Delos aliquando maximum emporium<br />
fuerit totoius orbis terrarum; cui successit<br />
postea Puteolanum, quod municipiul Graecum<br />
antea ∆ικαιαρχ α vocitatum est. Unde Lucilius:<br />
“Inde Dicaearcheum populos, Delumque minorem».<br />
Verrio Flacco spiega in questo modo un<br />
passo di Lucilio databile fra il 119 a. C. e il<br />
102 a. C. ca., contenuto nel libro III <strong>del</strong>le<br />
Satire (Fr. 123 Marx), in cui la città flegrea,<br />
indicata con l’antico nome greco, è chiamata<br />
appunto Delum Minor cioè Delo minore o<br />
anche, secondo l’interpretazione di Zevi,<br />
‘seconda’ Delo, perché fiorita insieme a<br />
questa e sopravvissuta, commercialmente, al<br />
tracollo economico <strong>del</strong>l’isola di Apollo<br />
(ZEVI 2006, p. 74).<br />
23<br />
ZEVI 2006, pp. 74-75.<br />
24 Questa parte è da considerarsi completamento<br />
di VERGINEO 2007, articolo tratto<br />
dalla Tesi di Laurea discussa dallo scrivente<br />
nel 2006, avente per oggetto lo studio <strong>del</strong><br />
culto di Iside a Benevento (Relatore:<br />
prof.ssa C. Lambert; Correlatore: prof.ssa<br />
E. Mugione).<br />
25 Sui contatti fra Egitto e Campania nell’età<br />
pre-romana cfr. DE SALVIA 2006, pp. 21-55.<br />
26 CIL X, 1793; cfr. anche TRAN TAM TINH<br />
1972, pp. 3-6; 58-62; Tav. XXVII-XXVIII;<br />
Egittomania 2006, p. 77, Tav. II.1.<br />
27 In base agli indizi contenuti nella lex, il<br />
Wiegand ha ricostruito la posizione <strong>del</strong>l’edificio<br />
sacro rispetto al mare; cfr. anche DUBOIS<br />
1907, p. 196; tale ricostruzione è contestata in<br />
TRAN TAM TINH 1972, pp. 3-6).<br />
28 Si pensi alle nozze, celebrate secondo la tradizione<br />
faraonica, che unirono Tolomeo II<br />
Fila<strong>del</strong>fo e la sorella Arsinoe II, secondo un’usanza<br />
che sarà poi ripresa da molti dei Lagidi.<br />
- 44 -<br />
29<br />
TURCAN 1989, pp. 76-77.<br />
30 Plutarco, De Iside et Osiride, 28; Tacito,<br />
Storie, IV, 83; TRAN TAM TINH 1964, p. 66.<br />
31 Fig. 1.<br />
32 b<br />
MALAISE 1972 , pp. 182; 191-198.<br />
33 b<br />
MALAISE 1972 , p. 197.<br />
34 Fig. 1.<br />
35<br />
ZEVI 2006, p. 75, appoggia la ricostruzione<br />
di WIEGAND 1894, che qui si propone,<br />
contrapposta a quella di TRAN TAM TINH<br />
1964 in cui la strada separa non l’aedes dall’area<br />
ma tutto il templum dal mare.<br />
36 Fig. 2.<br />
37 Vitruvio, I, 7, 1.<br />
38 Le posizioni di diversi studiosi che appoggiano<br />
questa teoria sono riassunte in TRAN<br />
TAM TINH 1972, pp. 6-11.<br />
39 L’dentificazione di Helios con Serapide<br />
avviene sotto il regno di Domiziano, durante<br />
il quale Heliosarapis appare per la prima<br />
volta sulle monete alessandrine (92 d. C.); in<br />
età adrianea fa la sua comparsa il tipo di<br />
Serapide con Kalathos e testa radiata (cfr.<br />
TRAN TAM TINH 1972, pp. 18-19).<br />
40 Inv. 8945 (DEONNA 1924, n. 71).<br />
41<br />
RACHON 1912, n. 29.<br />
42 b<br />
MALAISE 1972 , pp. 159-216 raccoglie le<br />
seguenti statistiche, basate sul totale <strong>del</strong>le<br />
iscrizioni a lui note: i fe<strong>del</strong>i ad Iside sono per<br />
il 70% ca. Latini e per il restante 30% ca. di<br />
provenienza greco-orientale; gli adoratori di<br />
Serapide sono invece il 36% ca. latini e per<br />
64% ca. orientali).<br />
43 Iside Pelagia o Pharia da Pharos, isola presso<br />
Alessandria, era la dea <strong>del</strong>la navigazione e<br />
protettrice dei marinai. La sua iconografia<br />
completa è nota solo da un rilievo proveniente<br />
da Delo, in cui è mostrata in piedi<br />
sulla prora di una nave nell’atto di gonfiare<br />
il mantello per utilizzarlo alla stregua di vela<br />
(BRUNEAU 1974, p. 342, fig. 4), da alcune<br />
monete di periodi diversi, da alcune lucerne<br />
(per un elenco completo <strong>del</strong>le raffigurazioni<br />
– accertate o presunte - di Iside Pelagia, cfr.<br />
BRUNEAU 1974). Non abbiamo statue o altri<br />
rilievi - interpretati come epiclesi <strong>del</strong>la dea -<br />
in cui siano presenti la figura femminile e la<br />
nave: a Budapest è conservata una statua,<br />
proveniente da Posillipo (vedi infra, Iside a<br />
Napoli e fig. 12), simile a quella di Pozzuoli<br />
seppur di qualità molto più elevata; si data<br />
all’età augustea (cfr. SZILAGYI 1969;<br />
Egittomania 2006, p. 73). Stefania Adamo<br />
Muscettola ha recentemente identificato una<br />
statua di Ostia come Isis-Pelagia, fornendone
una ricostruzione grafica (ADAMO<br />
MUSCETTOLA 1998, pp. 547-558). Da<br />
Benevento viene una scultura raffigurante<br />
una nave sulla cui prora poggia un piede<br />
femminile; la statua è purtroppo mutila (fig.<br />
15; cfr. anche VERGINEO 2007a , pp. 83 e ss.)<br />
Sulla statua di Teti <strong>del</strong> Louvre (figg. 13-14)<br />
la cui iconografia si avvicina a quella di Iside<br />
Pelagia, vedi infra, § su Napoli.<br />
Sull’iconografia di Iside Pelagia cfr., oltre a<br />
BRUNEAU 1974, anche MÜLLER 1971.<br />
44<br />
DE CARO 1994, p. 8.<br />
45 Cfr. figg. 3-4.<br />
46<br />
D’ALESSIO 2009 pp. 56-67.<br />
47 Il testo <strong>del</strong>l’epigrafe (CIL X, 814) recita:<br />
«N(umerius) P(opidius) N(umerii) F(ilius)<br />
Celsinus/aedem Isidis terrae motu conlapsam/ a<br />
fundamento p(ecunia) s(ua) restituit. Hunc<br />
Decuriones ob liberalitatem/ cum esset annorum<br />
sexs ordini suo gratis adlegerunt».<br />
48 Fra gli autori che per primi si sono occupati<br />
<strong>del</strong> problema si segnalano OVERBECK<br />
1884, p. 105; SOGLIANO 1937, p. 222; TRAN<br />
TAM TINH 1964, p. 30. Per gli studi più<br />
recenti si faccia riferimento soprattutto a<br />
DE CARO 1997, p. 338; PESANDO -<br />
GUIDOBALDI 2006, p. 68; SAMPAOLO 2006;<br />
D’ALESSIO 2009, pp. 67-78.<br />
49<br />
MAU 1908, p. 175; PETERSON 1919, p. 272.<br />
50 E’ singolare che le tracce <strong>del</strong>le colonne<br />
siano in rilievo, intagliate sul piano di attesa<br />
dei blocchi, molto probabilmente a seguito<br />
<strong>del</strong>la posa in opera degli stessi, come suggerisce<br />
il fatto che in un caso la traccia <strong>del</strong>la<br />
colonna si trovi a cavallo di due blocchi<br />
(BLANC et Alii 2000, p. 250).<br />
51<br />
BLANC et Alii 2000, p. 244.<br />
52<br />
NISSEN 1887, p. 171.<br />
53<br />
BLANC et Alii 2000, p. 238.<br />
54<br />
JOHANNOWSKY 2000, pp. 17-32.<br />
55<br />
BLANC et Alii 2000, pp. 227-257.<br />
56<br />
ADAMO MUSCETTOLA 1992, pp. 63-64;<br />
BLANC et Alii 2000, pp. 302-303.<br />
57<br />
MALAISE 1972b, pp. 268-269<br />
58 Interessante a questo proposito è il passo<br />
<strong>del</strong>l’ Eneide in cui la battaglia di Azio è<br />
descritta come un epico scontro fra dèi<br />
romani ed egizi (Virgilio, Eneide, VIII, 696-<br />
706).<br />
59 Fig. 6.<br />
60<br />
BLANC et Alii 2000, p. 258.<br />
61 Cfr. in proposito ADAMO MUSCETTOLA<br />
1992 e 1994.<br />
GIOVANNI VERGINEO<br />
62 Una loro completa analisi è contenuta in<br />
BLANC et Alii 2000, pp. 281-292.<br />
63 SAMPAOLO 2006, p. 90.<br />
64 Cfr. fig. 5.<br />
65 VERGINEO 2007.<br />
66 Cfr. fig. 7; il testo <strong>del</strong>l’epigrafe, databile fra<br />
II e III sec. d.C. (?) recita: «T(itus) Flavius<br />
Antyli/us ex viso ascl/epio aram consecravit». La<br />
locuzione ex viso indica che l’ara è stata<br />
dedicata dopo che il dio è apparso in sogno<br />
al dedicante, ed è attestato nelle dediche a<br />
molte divinità fra cui in particolare Silvano o<br />
altri dèi di origine orientale quali Giove<br />
Dolicheno (CIL 05, 01870) Serapide (CIL<br />
06, 30998) Giove Sabazio (AE 1906, 0164);<br />
il legame fra Asclepio/Esculapio e i culti<br />
egizi è molto forte e non desta particolare<br />
clamore; lo stesso Tacito ci dice che<br />
Serapide era identificato da molti con<br />
Esculapio, con Osiride, con Giove o con Dis<br />
Pater: «[...] multi Aesculapium, quod medeatur<br />
aegris corporibus, quidam Osirin, antiquissimum<br />
illis gentibus [Aegypti] numen, plerique Iovem ut<br />
rerum omnium potentem, plurimi Ditem patrem<br />
insignibus, quae in ipso manifesta, aut per ambages<br />
coniectant» (Tacito, Historiae, IV, 84). Asclepio<br />
si manifestava spesso in sogno e guariva in<br />
questo modo i suoi fe<strong>del</strong>i; anche Iside ‘chiamava’<br />
i suoi mystae apparendo loro in sogno.<br />
Un legame fra Iside ed Esculapio è individuabile<br />
a Pompei anche al livello topografico,<br />
in quanto il tempio c.d. di Giove<br />
Meilichio, attribuito da molti studiosi proprio<br />
al dio <strong>del</strong>la medicina (D’ALESSIO 2009,<br />
pp. 156-165) confina con il tempio di Iside.<br />
67 Fig. 8.<br />
68 MALAISE 1972 b , pp. 206; 280; 307-311.<br />
69 Fig. 9.<br />
70 Fig. 10.<br />
71 TRAN TAM TINH 1964, p. 34.<br />
72 CIL XIV, 1819.<br />
73 Apuleio, Metamorfosi, XI, 22.<br />
74 Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />
Inv. 976.<br />
75 SAMPAOLO 2006, p. 92; il quadro si trova ora<br />
a Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />
Inv. 9548.<br />
76 Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />
Inv. 9558.<br />
77 SAMPAOLO 2006, p. 92.<br />
78 Entrambi conservati al Museo<br />
<strong>Archeologico</strong> Nazionale di Napoli, rispettivamente<br />
Inv. 22381 e 78594; sull’argomento<br />
- 45 -<br />
cfr. SAMPAOLO 2006, p. 117.<br />
79 Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />
Inv. 8924 (cfr. MÜLLER 1971, pp. 94-96;<br />
GASPARINI 2006, pp. 120-124).<br />
80 Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />
Inv. 77449 (cfr. GASPARINI 2006, p. 126).<br />
81 Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale,<br />
Inv. 76384 (cfr. GASPARINI 2006, p. 126).<br />
82<br />
DE VOS 1980.<br />
83 IG, XIV, 747, databile al 110 d. C. ca.; IG,<br />
XIV, 754 datata genericamente all’età imperiale.<br />
84 Svetonio, Vita di Nerone, 20, 5.<br />
85 Inv. 2450; cfr. TRAN TAM TINH 1972, pp.<br />
63-65; LONGOBARDO 2006, p. 148, Tav.<br />
II.106.<br />
86 Cfr. fig. 11; Inv. 1-158; cfr. anche TRAN<br />
TAM TINH 1972, pp. 63-65; LONGOBARDO<br />
2006, p. 149, Tav. II.107.<br />
87<br />
TRAN TAM TINH 1972, pp. 27-37;<br />
LONGOBARDO 2006, pp. 144-149.<br />
88 Cfr. fig. 12. Su Iside Pelagia vedi supra, § su<br />
Pozzuoli; cfr. inoltre TRAN TAM TINH 1972,<br />
pp. 67-69, figg. 9-11; MALAISE 1972b , pp.<br />
180-181.<br />
89 Cfr. supra, § su Pozzuoli; cfr. anche<br />
MALAISE 1972b, pp. 180-181.<br />
90Cfr. fig. 14; MÜLLER 1971; BRUNEAU 1974,<br />
pp. 364-370; MALAISE 1972b , pp. 180-181;<br />
PIRELLI 2006; VERGINEO 2007.<br />
91 Cfr. figg. 13-14; la statua, in marmo bianco,<br />
misura m 2,11 e si data al II sec. d. C.<br />
92 I dettagli sulla statua sono reperibili presso<br />
il database <strong>del</strong>le opere <strong>del</strong> Museo <strong>del</strong><br />
Louvre, all’indirizzo web http:cartelen.louvre.fr/cartelen/visite?srv=car_not_frame<br />
&idNotice=27445&langue=en<br />
93<br />
CAPUTO 1998; DE CARO 1994; MALAISE<br />
2004, pp. 32-33.<br />
94<br />
TRAN TAM TINH 1972, pp. 37-38.<br />
95 CIL X, 3800; TRAN TAM TINH 1972, p. 77;<br />
Egittomania 2006, p. 155, Tav. II. 108.<br />
96<br />
TRAN TAM TINH 1972, pp. 40-42; 75-77;<br />
Egittomania 2006, pp. 150-155.<br />
97<br />
TRAN TAM TINH 1972, pp. 40-41.<br />
98 SIRIS, 504; TRAN TAM TINH 1972, p. 42.<br />
99 a CIL X, 4717; MALAISE 1972 , p. 248.<br />
100 a<br />
MALAISE 1972 , p. 150.<br />
101 Egittomania 2006, pp. 151-153.<br />
102<br />
DE CARO 1994, pp. 20-21.<br />
103<br />
VERGINEO 2007.<br />
104 Egittomania 2006, p. 153.
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FRANCESCO MONTONE<br />
Il tópos <strong>del</strong>la Campania felix nella poesia latina<br />
ÈPlinio il Vecchio ad innalzare, nel mondo<br />
antico, uno dei più alti elogi <strong>del</strong>le bellezze,<br />
<strong>del</strong>la salubrità <strong>del</strong> clima, <strong>del</strong>la fertilità <strong>del</strong><br />
suolo, <strong>del</strong>la floridezza <strong>del</strong>la vegetazione <strong>del</strong>la Campania:<br />
«qualiter Campaniae ora per se felixque illa ac beata<br />
amoenitas, ut palam sit uno in loco gaudentis opus esse<br />
naturae? iam vero tota ea vitalis ac perennis salubritas,<br />
talis caeli temperies, tam fertiles campi, tam aprici colles,<br />
tam innoxii saltus, tam opaca nemora, tam munifica<br />
silvarum genera, tot montium adflatus, tanta frugum<br />
vitiumque et olearum fertilitas, tam nobilia pecudi vellera,<br />
tam opima tauris colla, tot lacus, tot amnium fontiumque<br />
ubertas totam eam perfundens, tot maria, portus,<br />
gremiumque terrarum commercio patens undique et<br />
tamquam iuvandos ad mortales ipsa avide in maria<br />
procurrens!..». (Nat. Hist. 3.40.5-3.42.1) 1 .<br />
(«Come parlare, anche se solo <strong>del</strong>la costa campana,<br />
e di quella sua amenità fiorente e splendida,<br />
che mostra come la potenza creatrice <strong>del</strong>la<br />
natura in un momento di grazia si sia concentrata<br />
in un sol luogo? E tuttavia quella vivificante<br />
e ininterrotta salubrità, quella mitezza di<br />
clima, i campi così fertili, colli così ridenti, valichi<br />
così sicuri, boschi tanto ombrosi, una tale<br />
varietà e ricchezza di selve, venti che spirano da<br />
monti così numerosi, una così grande fertilità di<br />
messi, di viti, di olivi e greggi dai monti così<br />
eccellenti, tori dai colli così pingui, tanti luoghi,<br />
tanta abbondanza di fiumi e sorgenti che la<br />
bagnano tutta, tanti mari, porti, e il suo grembo<br />
aperto da ogni lato al commercio dei popoli e<br />
lei stessa che, come per aiutare gli uomini, si<br />
slancia ardentemente verso i mari!...»).<br />
Egli è inoltre il primo ad accostare al toponimo<br />
Campania l’aggettivo felix, creando quel sintagma fortu-<br />
- 47 -<br />
natissimo pervenuto fino ai nostri giorni: ciò avviene<br />
nel passo precedente, ma soprattutto nel successivo:<br />
«hinc felix illa Campania, ab hoc sinu incipiunt vitiferi<br />
colles et temulentia nobilis suco per omnes terras<br />
incluto atque, ut veteres dixere, summum Liberi Patris<br />
cum Cerere certamen…». (Nat. Hist. 3.60. 1-4),<br />
(«da qui comincia la celebre ‘Campania felice’;<br />
da questo punto hanno inizio i colli pieni di viti<br />
e l’ubriachezza nobilitata da un succo famoso<br />
nel mondo intero e, come dissero gli antichi,<br />
comincia qui l’estrema lotta di Libero Padre<br />
con Cerere…»).<br />
Ben prima di Plinio, però, il motivo <strong>del</strong>la Campania<br />
felix era entrato nella tradizione letteraria latina, dive-<br />
Fig. 1 - La Campania (da SAVINO 2005).
nendo ben presto un tόpos, un ‘luogo comune’ che<br />
attraversa generi letterari e autori differenti.<br />
Obiettivo <strong>del</strong>la nostra ricerca sarà indagare la presenza<br />
ed il ruolo <strong>del</strong> tόpos nell’arco <strong>del</strong>la produzione<br />
poetica latina, limitando l’indagine ai luoghi in cui il<br />
toponimo è citato con aggettivi e termini che ne connotano<br />
l’amenità.<br />
Ogni genere letterario, infatti, ricorre «ad una formalizzazione<br />
<strong>del</strong> linguaggio all’interno di un sistema in<br />
cui l’enunciato <strong>del</strong> testo ha valore non solo in relazione<br />
al contesto immediato ma anche in relazione agli altri<br />
possibili enunciati <strong>del</strong>la tradizione» 2 . Il riferimento alla<br />
fertilità e alla salubrità <strong>del</strong>la Campania, come vedremo,<br />
non è un mero richiamo geografico, ma si inserisce<br />
all’interno <strong>del</strong> sistema intertestuale e allusivo 3 che è cifra<br />
portante <strong>del</strong>la letteratura latina, e assume in ogni testo<br />
preso in esame un determinato ruolo, a seconda <strong>del</strong>le<br />
convenzioni <strong>del</strong> genere letterario all’interno <strong>del</strong> quale si<br />
colloca l’intenzione artistica <strong>del</strong> poeta.<br />
Come è noto, nella divisione che Augusto fece<br />
<strong>del</strong>l’Italia la Campania 4 formò la Regio I insieme con il<br />
Latium vetus ed il Latium adiectum; in seguito arrivò a<br />
comprendere anche il territorio degli Irpini e parte <strong>del</strong><br />
Sannio. Nel nuovo ordinamento <strong>del</strong>l’impero alla fine<br />
<strong>del</strong> III sec. d. C., con gli stessi confini <strong>del</strong>la regione di<br />
Augusto, la Campania formò una <strong>del</strong>le province in cui<br />
allora fu divisa l’Italia.<br />
Il tόpos <strong>del</strong>la Campania felix ha, in primo luogo, tre<br />
significative attestazioni nell’ambito <strong>del</strong>la poesia d’amore<br />
latina. Properzio, poeta di età augustea, pubbli-<br />
Fig. 2 - L’Ager campanus (da SAVINO 2005).<br />
SALTERNUM<br />
- 48 -<br />
cò i suoi quattro libri di elegie tra il 28 e il 16 a. C.;<br />
tema principale dei suoi carmi (dei primi tre libri) è l’amore<br />
tormentato per la sua Cinzia. I principali tόpoi<br />
<strong>del</strong>l’elegia latina 5 , i caratteri costitutivi <strong>del</strong> genere letterario,<br />
sono la sofferenza ‘istituzionale’ <strong>del</strong> poeta, la<br />
concezione <strong>del</strong>l’amore come schiavitù (servitium amoris),<br />
la durezza e l’infe<strong>del</strong>tà <strong>del</strong>la donna amata, la<br />
povertà <strong>del</strong>l’amante elegiaco, che non può competere<br />
con i rivali ricchi, la nequitia <strong>del</strong> poeta, che si allontana<br />
dallo status di buon cittadino per obbedire solo alle<br />
leggi di Amore.<br />
Il tόpos <strong>del</strong>la Campania felix compare in Prop. III, 5, 1-6:<br />
«Pacis Amor deus est, pacem veneramur amantes:<br />
stant mihi cum domina proelia dura mea.<br />
Nec tamen inviso pectus mihi carpitur auro,<br />
nec bibit e gemma divite nostra sitis,<br />
nec mihi mille iugis Campania pinguis 6 aratur,<br />
nec miser aera paro clade, Corinthe, tua» 7 .<br />
(«Amore è dio di pace, e noi amanti veneriamo<br />
la pace: ho già una dura guerra da combattere<br />
con la mia signora. E tuttavia il mio animo non<br />
si lascia consumare dall’inviso oro, né la nostra<br />
sete beve ad una coppa gemmata, né mille gioghi<br />
di buoi arano per me la pingue Campania,<br />
né, misero, accumulo bronzi con la tua rovina,<br />
o Corinto»).<br />
Properzio proclama il suo servitium amoris e la militia<br />
che è costretto a condurre a causa <strong>del</strong>la sua domina,<br />
che lo spinge lontano dai campi di battaglia; nel passo<br />
compare, inoltre, il tόpos <strong>del</strong> poeta povero che rifugge<br />
dalle ricchezze. Properzio - come scrive C. Formicola<br />
- «ha frequentemente dichiarato, soprattutto nel I<br />
libro, il suo disimpegno, che consiste proprio nel rifiuto<br />
<strong>del</strong>la carriera militare, rifiuto preconcetto di accumulo<br />
di danaro e condanna dei modi con cui quest’accumulo<br />
avviene» 8 .<br />
A. La Penna osserva che il poeta si sente vittima<br />
«di una situazione in cui è il più ricco a vincere: perciò<br />
sospira anche lui una Roma povera e semplice» 9 .<br />
Properzio, ricorrendo ad una Priamel 10 , si dichiara, perciò,<br />
indifferente all’odiato oro, alla ricca coppa gemmata,<br />
alla fertile Campania arata da mille gioghi di<br />
buoi. La ricca Campania compare, quindi, in un’enumerazione<br />
di oggetti preziosi e terre ricche di risorse,<br />
dai quali il poeta non si farà mai tentare, fe<strong>del</strong>e alla sua<br />
condizione di amante povero.
Il tόpos compare in funzione analoga anche in<br />
Tibullo 11 , poeta contemporaneo di Properzio, autore<br />
di due libri di elegie (ma cui è attribuito anche un terzo<br />
libro, l’Appendix Tibulliana, poi diviso in età umanistica<br />
in due libri).<br />
Nella nona elegia <strong>del</strong> I libro (vv. 31-34) Tibullo<br />
scrive:<br />
«tum mihi iurabas nullo te divitis auri<br />
pondere, non gemmis, vendere velle fidem,<br />
non tibi si pretium Campania tota daretur,<br />
non tibi si, Bacchi cura, Falernus ager» 12 .<br />
(«Allora tu mi giuravi che non volevi vendere la<br />
tua fe<strong>del</strong>tà per nessuna somma di ricco oro,<br />
non per gemme, nemmeno se ti fosse stata data<br />
come compenso tutta la terra <strong>del</strong>la Campania,<br />
nemmeno se ti fosse stato dato l’agro Falerno,<br />
amore di Bacco»).<br />
Tibullo accusa il giovane che ama di averlo tradito,<br />
sebbene avesse giurato di non lasciarsi corrompere da<br />
nessuna ricchezza, né dall’oro (divitis auri pondere), né<br />
dalle gemme (gemmis), né dalla fertile Campania (non si<br />
pretium Campania terra daretur), né dal territorio <strong>del</strong><br />
Falerno che produce ottimo vino (non si, Bacchi cura,<br />
Falernus ager); Properzio, invece, dichiara che non si<br />
lascerà sedurre dai beni materiali, rimanendo fe<strong>del</strong>e al<br />
suo status di amante elegiaco povero; il tόpos entra,<br />
quindi, nell’elegia latina con una funzione specifica, e<br />
viene declinato secondo le regole <strong>del</strong> genere letterario.<br />
All’interno <strong>del</strong> tόpos elegiaco <strong>del</strong>l’amante povero che<br />
non può competere con i rivali danarosi e che, quindi,<br />
talvolta, soffre per i tradimenti <strong>del</strong>la puella, il riferimento<br />
alla Campania felix è pienamente funzionale<br />
(Properzio dichiara che le amenità <strong>del</strong>la Campania<br />
non possono sconvolgere il suo sistema di valori, il<br />
giovinetto amato da Tibullo promette ma è una promessa<br />
vana che nemmeno le bellezze campane<br />
potranno distoglierlo dal suo sentimento).<br />
I contesti sono molto simili. I primi tre elementi<br />
citati da due poeti sono analoghi anche se una variatio<br />
investe la seconda immagine (alle gemme si sostituisce<br />
la coppa gemmata), mentre il quarto elemento diverge<br />
(mentre Tibullo cita l’ager Falernus e, con un’amplificatio<br />
retorica, sottolinea maggiormente il concetto <strong>del</strong>la fertilità<br />
e <strong>del</strong>la produttività <strong>del</strong>la Campania, Properzio,<br />
che l’ha già connotata con l’aggettivo pinguis, non presente<br />
in Tibullo, fa riferimento, invece, ai bronzi di<br />
Corinto).<br />
FRANCESCO MONTONE<br />
- 49 -<br />
Nel testo tibulliano, inoltre, il motivo <strong>del</strong>la<br />
Campania felix è al servizio di un altro tόpos elegiaco,<br />
l’infe<strong>del</strong>tà <strong>del</strong>l’amante, il tradimento <strong>del</strong> foedus, <strong>del</strong><br />
patto d’amore, elemento necessario, però, per causare<br />
la sofferenza <strong>del</strong> poeta, elemento ‘statutario’ <strong>del</strong>la poesia<br />
d’amore (se il poeta non soffrisse, non potrebbe<br />
comporre i suoi versi).<br />
L’immagine <strong>del</strong>la Campania pinguis, quindi, è inserita<br />
in un elenco di ricchezze che l’amante elegiaco fe<strong>del</strong>e<br />
al suo foedus rinnega: può trattarsi di un giuramento<br />
fasullo, come nel caso <strong>del</strong> giovinetto tibulliano che, in<br />
realtà, verrà meno al patto d’amore, o può trattarsi<br />
<strong>del</strong>la dichiarazione di Properzio di assoluta fe<strong>del</strong>tà alla<br />
sua donna e alla sua poesia d’amore; se il giuramento<br />
<strong>del</strong> giovinetto è fallace, quello di Properzio è saldo e<br />
diviene cifra di un’intera stagione poetica e ragione di<br />
vita (il poeta è felice <strong>del</strong>la sua povertà e si dichiara<br />
fe<strong>del</strong>e solo al suo sogno d’amore).<br />
Il tόpos, però, compare anche nel terzo poeta elegiaco<br />
augusteo, Ovidio. Le vicissitudini <strong>del</strong> poeta sulmonese<br />
sono ben note. Ovidio compone molte opere in<br />
distici elegiaci, difficilmente inquadrabili all’interno<br />
<strong>del</strong> progetto di restaurazione augustea. Il cantore <strong>del</strong>la<br />
vita galante di Roma non è compatibile, probabilmente,<br />
con l’ideologia <strong>del</strong> Princeps. A seguito di un carmen<br />
(probabilmente l’Ars amandi) e di un error, come afferma<br />
il poeta stesso, è relegato sul Mar Nero. Anche da<br />
Tomi, tuttavia, Ovidio, continua a scrivere componimenti<br />
in distici elegiaci (i Tristia e le Epistulae ex Ponto),<br />
ma attuando una ridefinizione <strong>del</strong> genere letterario.<br />
L’elegia erotica verrà trasformata in modo tale da permettere<br />
al Princeps di reintegrare Ovidio (cosa che non<br />
avverrà mai). Lo stesso poeta di Sulmona aveva portato<br />
l’elegia alle sue estreme conseguenze, rendendo<br />
manifesta la finzione letteraria (il rapporto poesia-vita,<br />
costante in Tibullo, Properzio, Catullo, si rompe): l’elegia<br />
diviene, secondo la felice formula di G. B.<br />
Conte 13 , ‘elegia allo specchio’. Come sottolinea M.<br />
Labate 14 , però, è lo stesso Ovidio che tenta una ricodificazione<br />
di quello stesso genere che ha fatto esplodere<br />
dal suo interno, con l’intento di riabilitarsi agli occhi<br />
di Augusto (ma continuando - è questa la sua sfida - a<br />
comporre versi elegiaci). L’utilitas è il nuovo fine <strong>del</strong>la<br />
poesia di Ovidio, che deve intercedere presso i suoi<br />
interlocutori per ottenere il ritorno a Roma e che<br />
spera, grazie al canto, di lenire la sua sofferenza. Nelle<br />
Ex Ponto Ovidio ribadisce che i libri di epistole devono<br />
prendere il posto di quelli <strong>del</strong>l’Ars. Alle sofferenze
d’amore si sostituisce la sofferenza <strong>del</strong>l’esiliato, alla<br />
puella la coniunx, alla precettistica d’amore l’atteggiamento<br />
didascalico <strong>del</strong>l’esiliato. Ovidio accetta la sfida<br />
di riconvertire quel genere stesso che aveva causato la<br />
sua rovina: l’elegia va emendata, alcuni suoi caratteri<br />
vanno corretti; la poesia in distici, tuttavia, può dare<br />
spazio a temi impegnati, può <strong>del</strong>ineare i rapporti <strong>del</strong>l’intellettuale<br />
con il principe, può indicare alla classe<br />
dirigente romana i giusti comportamenti da osservarsi<br />
in una società gerarchizzata e retta da Augusto; può<br />
essere, quindi, il luogo di una nuova precettistica dei<br />
comportamenti sociali e <strong>del</strong>l’ amicizia. L’elegia triste di<br />
Ovidio può essere definita ‘poesia <strong>del</strong>l’amicizia’, dal<br />
momento che si occupa degli officia amicitiae più che di<br />
qualsiasi altro tema. Le elegie <strong>del</strong>l’esilio contengono i<br />
frammenti di un’illustrazione complessiva <strong>del</strong>le regole<br />
in cui si dispongono i rapporti umani in una società<br />
cortigiana e galante.<br />
Se la nuova elegia si rivolgerà non alla donna amata<br />
ma al Princeps e, invece di insegnare ad amare, rivolgerà<br />
utili consigli agli amici, come può essere utilizzato<br />
in essa il tόpos <strong>del</strong>la Campania felix?<br />
Nell’epistola quinta <strong>del</strong> quarto libro <strong>del</strong>le Ex Ponto,<br />
Ovidio si rivolge all’amico Sesto Pompeo, al quale<br />
aveva già espresso la propria riconoscenza nel componimento<br />
incipitario <strong>del</strong> quarto libro <strong>del</strong>la raccolta. Il<br />
poeta invita Sesto a considerarlo un amico sincero e<br />
ad annoverarlo tra i suoi beni più preziosi: inizia, quindi,<br />
un’enumeratio dei beni da questo ereditati dal padre;<br />
la Campania è citata, ancora una volta, nel corso di un<br />
elenco di beni e ricchezze invidiabili, cui Ovidio paragona<br />
la sua amicizia e il suo affetto per l’interlocutore;<br />
tra i possedimenti ereditati da Sesto vi sono, infatti,<br />
anche terreni in Campania (vv. 14-19):<br />
«pars ego sum census quantalumque tui.<br />
Quam tua Trinacria est regnataque terra Philippo,<br />
quam domus Augusto continuata foro,<br />
quam tua, rus oculis domini, Campania, gratum<br />
quaeque relicta tibi, Sexte, vel empta tenes:<br />
tam tuus en ego sum …» 15<br />
(«benché valga poco, io sono parte <strong>del</strong> tuo censo.<br />
Come tua è la Sicilia e tua la terra dove regnò<br />
Filippo, come è tua la casa attigua al foro di<br />
Augusto, come è tuo il terreno campano, piacevole<br />
agli occhi <strong>del</strong> suo padrone, e tuo è tutto quello<br />
che ti è stato lasciato in eredità o che hai comprato,<br />
o Sesto, altrettanto, ecco, ti appartengo io…»).<br />
SALTERNUM<br />
- 50 -<br />
L’immagine <strong>del</strong>la Campania felix compare ancora<br />
una volta in un elenco, ma in un elenco di beni citati<br />
da Ovidio per proclamare la sua amicizia nei confronti<br />
di Sesto Pompeo (Ovidio si proclama proprietà di<br />
Sesto, paragonabile ai possedimenti <strong>del</strong>l’amico: egli<br />
non appartiene più alla domina, ma ai suoi amici fe<strong>del</strong>i):<br />
se la nuova elegia sarà una poesia che celebra gli<br />
officia amicitiae, anche il luogo comune <strong>del</strong>la fertilità<br />
<strong>del</strong>la Campania non è più utilizzato in un contesto in<br />
cui si ribadiscono la povertà <strong>del</strong>l’amante e la sua militia<br />
amoris, cioè due dei tόpoi-cardine <strong>del</strong>l’elegia, ma in<br />
un contesto in cui viene valorizzato il nuovo valore<br />
<strong>del</strong>la rinata elegia ovidiana: quello dei rapporti umani<br />
nella società galante di Roma. È di questa, infatti, che<br />
Ovidio vuole essere cantore, per poter conquistare il<br />
favore non di una fanciulla, ma <strong>del</strong> Princeps, che lo<br />
deve riabilitare.<br />
Studiare la presenza dei toponimi nei vari generi<br />
letterari può, quindi, contribuire ad offrirci interessanti<br />
considerazioni sulle intenzioni poetiche degli autori.<br />
Ogni genere letterario valorizza certi toponimi e li<br />
rifunzionalizza in base alle proprie convenzioni.<br />
Il tópos, a questo punto, entra anche nella poesia<br />
epica. Compare, infatti, anche in due luoghi <strong>del</strong> poema<br />
epico di Silio Italico (Pun. 6, 641-652):<br />
«Dum se perculsi renouant in bella Latini,<br />
turbatus Ioue et exuta spe moenia Romae<br />
pulsandi, colles Vmbros atque arua petebat<br />
Hannibal, excelso summi qua uertice montis<br />
deuexum lateri pendet Tuder, atque ubi latis<br />
proiecta in campis nebulas exhalat inertes<br />
et sedet ingentem pascens Meuania taurum,<br />
dona Ioui. tum Palladios se fundit in agros,<br />
Picenum diues praedae, atque errantibus armis,<br />
quo spolia inuitant, transfert populantia signa,<br />
donec pestiferos mitis Campania cursus<br />
tardauit bellumque sinu indefensa recepit» 16 .<br />
(«Mentre i Latini, dopo la sconfitta, si apprestano<br />
di nuovo alla guerra, Annibale, turbato da<br />
Giove e privato <strong>del</strong>la speranza di abbattere le<br />
mura di Roma, si dirigeva verso le colline e le<br />
pianure <strong>del</strong>l’Umbria, là dove sull’alta cima <strong>del</strong><br />
monte sta sospesa Todi, inclinando su un fianco,<br />
e dove Mevania, distesa nella vasta campagna,<br />
esala nebbie che ristagnano immobili e<br />
pascola possenti buoi, da donare a Giove. Poi si<br />
riversa nei campi di Pallade, nel Piceno ricco di
preda 17 , e mentre le truppe vagavano qua e là<br />
dove le attirava il bottino, fa avanzare le insegne<br />
devastatrici finché la dolce Campania ritardò<br />
quella corsa funesta e, indifesa, accolse al guerra<br />
nel suo seno») 18 .<br />
Silio gioca sull’opposizione tra i cursus pestiferos <strong>del</strong>le<br />
truppe annibaliche e la mitis Campania, che accoglie<br />
dentro di sé, nel panorama <strong>del</strong>la sua amenità, i sanguinari<br />
scontri. Il tόpos è rafforzato dal riferimento ai<br />
Palladios agros, Picenum dives praedae. Non sono le torbide<br />
nebbie di Mervania, ma la mitis Campania a fermare<br />
la marcia di Annibale. Sono, d’altronde, proprio gli ozi<br />
capuani a indebolire l’esercito annibalico ed a favorire<br />
la riscossa di Roma. Il tόpos è pienamente funzionale,<br />
quindi, anche all’interno <strong>del</strong>l’epos, nell’ambito <strong>del</strong> quale<br />
frequenti sono le ecfraseis dedicate a descrizioni di paesaggi<br />
19 . È una Campania provida che combatte al fianco<br />
di Roma e riesce con le sue bellezze ad attirare ed<br />
a fermare la marcia apportatrice di distruzione di<br />
Annibale.<br />
«Iam uero, quos diues opum, quos diues auorum<br />
e toto dabat ad bellum Campania tractu,<br />
ductorum aduentum uicinis sedibus Osci<br />
seruabant: Sinuessa 20 tepens fluctuque sonorum<br />
Vulturnum, quasque euertere silentia, Amyclae<br />
Fundique et regnata Lamo Caieta domusque<br />
Antiphatae, compressa freto, stagnisque palustre<br />
Liternum et quondam fatorum conscia Cyme…»<br />
(Pun. 8, 524-531).<br />
(«Già erano là gli uomini che la Campania ricca<br />
di mezzi, ricca di antenati, inviava alla guerra da<br />
tutto il suo territorio, e gli Osci nella vicina<br />
regione attendevano l’arrivo dei loro capi: la tiepida<br />
Sinuessa e Volturno risonante di acque,<br />
Amicle, che il silenzio portò alla rovina e Fondi<br />
e Gaeta, su cui regnò Lamo, la patria di Antifate<br />
chiusa dal mare, Literno con i suoi stagni paludosi<br />
e Cuma, che un tempo conosceva anche i<br />
destini…»).<br />
Il poeta redige un catalogo dei guerrieri presenti a<br />
Canne e <strong>del</strong>le regioni d’Italia che hanno fornito truppe<br />
a Roma in vista <strong>del</strong>lo scontro con Annibale. Il<br />
poeta inizia una lunga ecfrasis, che prosegue nei versi<br />
successivi, citando una serie di toponimi campani, da<br />
cui provengono i soldati offerti a Roma. La Campania<br />
FRANCESCO MONTONE<br />
- 51 -<br />
è definita dives opum et avorum. La Campania felix, nell’epica,<br />
fornisce un notevole aiuto alla causa di Roma.<br />
Il tόpos compare, in seguito, in un altro genere letterario,<br />
la satira, facendo la sua comparsa nella X composizione<br />
di Giovenale. Il poeta satirico, noto per l’asprezza<br />
<strong>del</strong>le sue invettive, visse tra il 55-60 e il 127 d.<br />
C.. Nella X satira Giovenale, avendo come mo<strong>del</strong>lo la<br />
prima satira di Orazio, in cui il poeta venosino si scagliava<br />
contro l’incontentabilità degli uomini, mai soddisfatti<br />
<strong>del</strong> proprio destino, afferma che pochi sono in<br />
grado di distinguere i beni veri da quelli falsi. Si desiderano<br />
onori e ricchezze, senza che ci si renda conto<br />
che questi beni spesso ci nocciono. Il poeta fornisce<br />
numerosi exempla tratti dal mondo greco e romano.<br />
Per Seiano la potenza fu causa <strong>del</strong>la sua rovina;<br />
Pompeo, Cesare, Crasso andarono incontro a fini orribili<br />
per la loro smania di potere. Demostene e<br />
Cicerone pagarono la loro fama di oratori con la vita.<br />
Anche la gloria militare fu causa di sventure per<br />
Alessandro, per Annibale. Il desiderio di lunga vita<br />
finisce per riservare una serie enorme di amarezze (gli<br />
esempi <strong>del</strong> poeta sono le tristi vecchiaie di Nestore e<br />
Priamo). Anche la bellezza si rivela controproducente<br />
(tra gli esempi quello di Lucrezia). La conclusione <strong>del</strong><br />
poeta è celebre: il solo desiderio che gli uomini possono<br />
esprimere agli dei è quello di avere una mente sana<br />
in un corpo sano (v. 396: orandum est ut sit mens sana in<br />
corpore sano); una vita saggia, senza eccessi, con la guida<br />
<strong>del</strong>la virtù, fa sì che non siamo vittime dei capricci<br />
<strong>del</strong>la sorte (vv. 365-366: «…Nos te / nos facimus, Fortuna,<br />
deam caeloque locamus», «Siamo noi, o Fortuna, che ti<br />
facciamo dea, e ti innalziamo agli astri»). Il tόpos <strong>del</strong>la<br />
Campania felix compare proprio a proposito <strong>del</strong>la triste<br />
morte di Pompeo (vv. 283-288):<br />
«Prouida Pompeio dederat Campania febres<br />
Optandas, sed multae urbes et publica uota<br />
Vicerunt; igitur Fortuna ipsius et urbis<br />
Seruatum uicto caput abstulit. hhoc cruciatu<br />
Lentulus, hac poena caruit ceciditque Cethegus<br />
Integer et iacuit Catilina cadauere toto» 21 .<br />
(«La provvida regione campana aveva regalato a<br />
Pompeo certe febbri, per le quali avrebbe dovuto<br />
ringraziare il cielo, ma molte città la spuntarono<br />
coi loro pubblici voti: così la Fortuna sua<br />
e di Roma finirono col mozzargli quel capo che<br />
egli aveva salvato. Nemmeno Lentulo dovette
sopportare tanto strazio e una mutilazione come<br />
questa, e anche Cetego morì intero; persino<br />
Catilina giacque in battaglia non mutilato»).<br />
Pompeo rischiò di morire per febbri a Capua; vinto<br />
più tardi da Cesare nella battaglia di Farsàlo (48 a. C.),<br />
si rifugiò presso il re d’Egitto Tolomeo, che lo fece<br />
decapitare per ingraziarsi il vincitore o, almeno, per<br />
non inimicarselo.<br />
Gli strali <strong>del</strong> poeta satirico colpiscono con esito<br />
paradossale il tόpos <strong>del</strong>la Campania felix, stravolgendolo<br />
completamente. La Campania, definita provida, viene<br />
meno al suo stesso statuto di regione dal clima salubre<br />
(si ricordino le parole supra citate di Plinio iam vero tota<br />
ea vitalis ac perennis salubritas, talis caeli temperies...).<br />
Eppure la Campania descrittaci da Giovenale è,<br />
comunque, al servizio di Roma, come quella di Silio<br />
Italico; se nella poesia epica la regione fornisce soldati<br />
a Roma e ferma con le sue amenità e con la sua<br />
mitezza (mitis) la marcia apportatrice di morte di<br />
Annibale, la Campania di Giovenale è disposta a divenire<br />
insalubre, per risparmiare ad un grande eroe<br />
<strong>del</strong>l’Urbs, Pompeo, una fine orribile, che nemmeno i<br />
più infami traditori di Roma, come Lentulo, Cetego e<br />
Catilina, subirono.<br />
È indubbio che qui il tόpos è presupposto dal poeta,<br />
che lo stravolge, facendo riferimento alla memoria letteraria<br />
<strong>del</strong> lettore, invitato a cogliere l’arguzia <strong>del</strong>l’autore.<br />
Nella fantasia <strong>del</strong> poeta satirico la Campania si<br />
muove per un fine nobile, quello di salvare Pompeo,<br />
ed è disposta, per ottenere questo obiettivo, a negare<br />
la sua fama di regione dalla perennis salubritas, infliggendo<br />
all’eroe di Roma <strong>del</strong>le febbri maligne.<br />
La satira stravolge l’esemplarità stessa <strong>del</strong>la storia<br />
greca e romana: Alessandro Magno conquistando<br />
Babilonia ha ottenuto il luogo <strong>del</strong>la sua tomba;<br />
Pompeo, sopravvivendo alle provvide febbri campane,<br />
è andato incontro ad una fine terrificante. Il capovolgimento<br />
carnevalesco <strong>del</strong> mondo che la satira porta<br />
avanti, nella sua denuncia <strong>del</strong>l’illusorietà di ciò che la<br />
fama, il potere e la ricchezza procurano agli uomini,<br />
colpisce anche il tόpos, che entra nel genere <strong>del</strong>la poesia<br />
d’invettiva non senza danni, ma subendo anch’esso<br />
un capovolgimento inatteso. Il tόpos viene, quindi,<br />
ancora una volta ricodificato per rispettare le leggi statutarie<br />
<strong>del</strong> genere letterario.<br />
Il motivo compare anche in due autori cristiani,<br />
Prudenzio e Paolino di Nola, profondamente intrisi di<br />
SALTERNUM<br />
- 52 -<br />
cultura pagana. Prudenzio, particolarmente abile nel<br />
trasferire i metri e i modi <strong>del</strong>la poesia classica nella<br />
poesia cristiana, visse tra il 348 ed il 413 e fu chiamato<br />
a corte da Teodosio I. Il Contra Symmachum è un’opera<br />
composta di 1800 esametri ed è divisa in due libri.<br />
Nel primo l’autore si scaglia contro il politeismo pagano;<br />
nel secondo, seguendo gli argomenti di Ambrogio,<br />
si oppone alle ragioni addotte da Simmaco per riportare<br />
nella Curia l’altare <strong>del</strong>la dea <strong>del</strong>la Vittoria.<br />
« … Quid tale repulso<br />
Poenorum quondam duce contigit? Ille petitae<br />
postquam perculerat tremefacta repagula portae,<br />
Baianis resolutus aquis, durissima luxu<br />
robora destituit ferrumque libidine fregit.<br />
At noster Stilico, congressus comminus, ipsa<br />
ex acie ferrata uirum dare terga coegit.<br />
Hic Christus nobis deus affuit et mera uirtus;<br />
Illic lasciuum, Campania fertilis, hostem<br />
Deliciae uicere tuae» 22 . (C. Symm. II, 739-747)<br />
(«Quale sorte simile toccò un tempo al generale<br />
dei Cartaginesi sconfitto? Egli dopo che<br />
aveva battuto i catenacci tremanti <strong>del</strong>la porta<br />
assalita, lasciatosi andare nelle acque di Baia<br />
perse per la sua lussuria la sua enorme potenza<br />
e infranse nei vizi la forza <strong>del</strong> ferro. Ma il<br />
nostro Stilicone, avendo ingaggiato un combattimento<br />
corpo a corpo, costrinse le truppe<br />
corazzate a fuggire dallo stesso campo di battaglia.<br />
Qui Cristo nostro Dio fu presente, lui, la<br />
vera virtù; lì o Campania fertile, le tue <strong>del</strong>izie<br />
vinsero il nemico reso lascivo»).<br />
Il vero Dio, Cristo, ha concesso a Stilicone di avere<br />
la meglio e la Campania fertile (si noti il riferimento ai<br />
fertiles campi di Plinio), con le sue agiatezze, ha avuto la<br />
meglio sul feroce Annibale. Si noti l’insistenza di termini<br />
che connotano la forza violenta dei Cartaginesi<br />
(perculerat tremefacta repagula durissima robora ferrum, tutte<br />
immagini che rendono l’idea di duritia) che si contrappongono<br />
a quelle che connotano le dolci attrattive con<br />
le quali la Campania ha vinto Annibale (Baianis<br />
acquis…libidine…<strong>del</strong>iciae tuae... fertilis… lascivum).<br />
Termine-chiave è quel lascivum finale, che rende l’idea<br />
<strong>del</strong>la trasformazione dei cru<strong>del</strong>i e forti Cartaginesi<br />
in un’orda di uomini abbandonatisi al vizio e rammolliti<br />
dalla dolcezza dei piaceri campani. Il riferimento<br />
alle attrattive di Baia è un altro celebre tόpos letterario
che Prudenzio accortamente riprende. Baia, ricordata<br />
dalla tarda repubblica per le sue sorgenti termali, assistette<br />
ad una fioritura edilizia, poiché molti nobili<br />
fecero costruire lì le loro ville; finì per diventare centro<br />
frequentato dalla élite <strong>del</strong>la società romana, noto<br />
per la sua lussuria e sfrenatezza 23 . Il Baianis aquis di<br />
Prudenzio è citazione di Marziale (I, 62, 4) 24 .<br />
È evidente che Prudenzio vuole che la memoria<br />
<strong>del</strong> lettore colga l’allusione al primo passo di Silio<br />
preso in esame: ancora una volta la Campania felix<br />
appare al servizio di Roma e combatte al fianco<br />
<strong>del</strong>l’Urbs per decretare la sconfitta di Annibale. Se l’amena<br />
Campania di Silio si era limitata a fermare la<br />
marcia di Annibale, quella di Prudenzio ne decreta la<br />
definitiva sconfitta. La suggestione di una Campania<br />
provida, d’altronde, era già nel primo passo di Plinio<br />
(vedi supra), quando lo scrittore affermava che la<br />
regione, slanciandosi verso il mare con i suoi golfi,<br />
aveva voluto esser d’aiuto agli uomini.<br />
Il tόpos ricompare in un canto natalizio di un altro<br />
autore cristiano profondamente intriso di cultura<br />
pagana, Paolino di Nola, che era stato allievo di<br />
Ausonio.<br />
«Et bis ter denas Campania laeta per urbes<br />
ceu propriis gaudet festis, quos moenibus amplis<br />
diues habet Capua et quos pulchra Neapolis aut quos<br />
Gaurus alit, laeta exercent qui Massica quique<br />
Ufentem Sarnumque bibunt…» 25 , (Carm. 14, vv.<br />
58-62)<br />
(«E per venti trenta città la Campania rigogliosa<br />
gioisce con le sue proprie feste, quelle che la<br />
ricca Capua con le grandi mura prepara, e quelle<br />
che la bella Napoli e il Gauro alimentano,<br />
quelli che lavorano i rigogliosi campi massici e<br />
quelli che bevono dalle acque <strong>del</strong>l’Ufente e <strong>del</strong><br />
Sarno…»).<br />
L’alma dies, il giorno di nascita <strong>del</strong> Salvatore, è celebrato<br />
da tutti i popoli e da tutte le terre. Anche la<br />
Campania felix, nel passo di Paolino, contribuisce a<br />
celebrare la nascita <strong>del</strong> puer; tutti i suoi luoghi più<br />
ameni e rigogliosi, tutte le sue più belle città, nella fantasia<br />
di Paolino, offrono la loro splendida bellezza per<br />
la lode <strong>del</strong> Salvatore.<br />
Ancora una volta il tόpos subisce una variazione e<br />
viene ricodificato nel testo <strong>del</strong> poeta cristiano. Il rife-<br />
FRANCESCO MONTONE<br />
- 53 -<br />
rimento alla dives Capua, altro motivo letterario, è un<br />
probabile omaggio di Paolino al maestro Ausonio che,<br />
nell’Ordo urbium nobilium, dedica ben diciotto versi a<br />
Capua, Roma altera quondam 26 , decaduta a causa <strong>del</strong>le<br />
errate scelte politiche, ch’egli colloca all’ottavo posto<br />
tra le venti ‘illustri’ città da lui ricordate.<br />
L’ultimo importante luogo da prendere in considerazione<br />
è un breve carme di Sidonio Apollinare (430-<br />
486 d. C.). Personalità poliedrica, illustre esponente<br />
<strong>del</strong>la nobiltà gallica, divenuto in seguito vescovo,<br />
Sidonio si esprime in diversi generi letterari. È autore<br />
di un ricco epistolario in nove libri e di 24 carmina, in<br />
cui compaiono sia panegirici ad imperatori, sia nugae<br />
(carm. 9-24). Le sue ineptiae sono un lusus, e Sidonio è<br />
il principale esponente di un circolo poetico che costituisce<br />
l’ambiente culturale in cui il poeta opera. Di<br />
fronte alle invasioni dei barbari, di fronte all’imminente<br />
‘caduta senza rumore’ <strong>del</strong>l’Impero Romano<br />
d’Occidente, questa aristocrazia gallica si chiude nella<br />
torre d’avorio di una letteratura che vive nel richiamo<br />
dei classici e sancisce così la sua superiorità morale e<br />
culturale sui popoli invasori. Il nostro tόpos compare<br />
nel carme 18 di Sidonio:<br />
«Si quis Auitacum dignaris uisere nostram,<br />
non tibi displiceat: sic quod habes placeat.<br />
Aemula Baiano tolluntur culmina cono<br />
parque cothurnato uertice fulget apex.<br />
Garrula Gauranis plus murmurat unda fluentis<br />
Contigui collis lapsa supercilio.<br />
Lucrinum stagnum diues Campania nollet,<br />
aequora si nostri cerneret illa lacus.<br />
Illud puniceis ornatur litus echinis:<br />
piscibus in nostris, hospes, utrumque uides.<br />
Si libet et placido partiris gaudia corde,<br />
quisquis ades, Baias tu facis hic animo» 27 .<br />
(«Non ti spiacerà, se la degni, la mia Avitaco e<br />
altrettanto ti piaccia ogni tuo bene. Si leva il suo<br />
tetto emulo <strong>del</strong> cono di Baia e pari riluce, sul<br />
coturno <strong>del</strong> vertice, la cima. Più lieta di quella<br />
<strong>del</strong> Gauro mormora l’onda che scende dal<br />
ciglio <strong>del</strong> colle contiguo. L’acque <strong>del</strong> nostro<br />
lago, tu le vedessi, o ricca Campania, rinnegheresti<br />
il tuo Lucrino. È bello il tuo lido di rossi<br />
frutti di mare. Ma il gusto e il colore li ritrovi<br />
nei pesci di qui. Ospite, se ti è caro dividere i<br />
nostri piaceri, qui potrai ricreare, nella tua<br />
mente, Baia»).
Il riferimento alla dives Campania è chiaramente<br />
ripreso da Silio e compare, in seguito, anche in Prisc.<br />
Perieg. 351 e in Carm. Epigr. 1552, 31. Di fronte al tramonto<br />
di una civiltà, Sidonio, con il suo stile prezioso<br />
28 , con il suo manierismo 29 , cerca di far risentire l’eco<br />
<strong>del</strong>la letteratura che fu e mescola, con un gioco argutissimo,<br />
intertesti epici con echi testuali <strong>del</strong>la poesia<br />
meno impegnata. Non è un caso, quindi, che un tόpos<br />
così collaudato dalla tradizione letteraria latina ricompaia<br />
in questa ultima voce <strong>del</strong> mondo pagano, così<br />
attenta al recupero di formule e luoghi comuni <strong>del</strong><br />
passato. Il gioco di Sidonio è sottilissimo: la sua Gallia,<br />
la sua Avitaco hanno dei siti che in amenità possono<br />
gareggiare con la tanto celebrata Campania felix. Il mito<br />
<strong>del</strong>la bellezza <strong>del</strong>la Campania viene messo in competizione<br />
con i bei luoghi in cui vive il poeta. Non è un<br />
caso che proprio Silio venga imitato da Sidonio. La<br />
dives Campania che nell’epica si ergeva a difesa di<br />
Roma, frenando gli eccessi <strong>del</strong> suo più grande nemico,<br />
viene insidiata da un nemico ancora più pericoloso: la<br />
bella Avitaco, che può infrangere le bellezze paradisiache<br />
dei più ameni siti campani. Ma Sidonio ha ben<br />
presente anche l’altro passo di Silio preso in esame,<br />
che infatti, cita nel Panegirico a Maggioriano (carm. 5, 342-<br />
346). La sfida lanciata da Avitaco non è solo alla<br />
Campania ricca di uomini e di antenati, ma anche alla<br />
Campania in grado, con le acque di Baia e le sue altre<br />
amenità, di rendere molle il feroce Cartaginese.<br />
Tra le fonti <strong>del</strong> carme il Geisler 30 richiama, oltre al<br />
già citato passo epico di Silio, anche Mart., IV, 25, 1:<br />
aemula Baianis Altini litora villis, verso, evidentemente,<br />
riecheggiato da Sidonio e un’epistola di Plinio il<br />
Giovane (IX, 2: «altera (scil. villa)…more Baiano lacum<br />
prospicit, altera aeque more Baiano lacum tangit, itaque illam<br />
tragoediam, hanc appellare comoediam soleo; illam, quod quasi<br />
cothurnis, hane, quod quasi socculis sustinetur»).<br />
Il gioco intertestuale condotto dal poeta d’Oltralpe<br />
è, in realtà, molto più profondo e consiste, come<br />
detto, nella sapiente mescolanza di intertesti <strong>del</strong>l’epica,<br />
<strong>del</strong>la satira, <strong>del</strong>l’elegia e, soprattutto, <strong>del</strong>l’epigramma.<br />
Nel carme compaiono, infatti, anche<br />
- echi properziani: il non tibi displiceat di v. 2 richiama<br />
il properziano Nec tibi displiceat di IV, 5, 49 (a sua volta<br />
variatio <strong>del</strong> virgiliano Nec mihi displiceat di Georg. III, 56 31 ).<br />
D’altra parte Properzio inserisce in due suoi carmi <strong>del</strong>le<br />
ecfraseis di luoghi campani (tra cui Baia, capo Miseno e il<br />
Lucrino, cui nel secondo luogo si allude citando il Portus<br />
Iulius) in I, 11, dove Baia e bei luoghi campani sono col-<br />
- 54 -<br />
pevoli di aver allontanato da lui Cinzia (Baia e il Lucrino<br />
entrano nella poesia elegiaca, ancora una volta, adeguandosi<br />
alle leggi <strong>del</strong> genere e, come la pinguis<br />
Campania, sono d’ostacolo al sogno d’amore <strong>del</strong> poeta)<br />
e in III, 18, dove si piange la morte di Marcello, avvenuta<br />
proprio nello scenario flegreo (il poeta opera una<br />
rifunzionalizzazione di quegli stessi luoghi che aveva<br />
fatto entrare nel mondo elegiaco, ma che divengono<br />
luoghi di lutto, non più di sfrenata lussuria);<br />
- echi oraziani: echinis, in particolare, è la spia linguistica<br />
attraverso la quale Sidonio richiama alla memoria<br />
<strong>del</strong> lettore Sat. 2, 4, 32-33: Murice Baiano melior Lucrina<br />
peloris, / Ostrea Circeis, Miseno oriuntur echini, / Pectinibus<br />
patulis iactat se molle Tarentum;<br />
- echi rutiliani: murmurat unda è ripresa da Red. 2, 14<br />
(Rutilio a sua volta riprende Virgilio, Aen. X, 212); è<br />
chiaro che Sidonio ha in mente il passo di Rutilio, dal<br />
momento che la posizione <strong>del</strong> sintagma all’interno<br />
<strong>del</strong>l’esametro è la stessa (mentre Virgilio lo pone in<br />
clausola). Anche il contigui a inizio verso richiama il contiguum<br />
stupui portum di Red. 1, 531 (anche in questo caso<br />
contiguum è in posizione incipitaria);<br />
- echi di altri carmi di Sidonio: Vertice fulget apex<br />
richiama il resplendet apex di un altro carme sidoniano,<br />
il Panegirico ad Avito, cioè una di quelle composizioni<br />
che Sidonio considera poesia impegnata (7, 157) ed il<br />
vertice ruptus apex di 6, 16, il componimento che accompagna<br />
il panegirico. Va notato, tra l’altro che, prima di<br />
Sidonio, apex in chiusura di verso non è così frequente<br />
32 . Baias, inoltre, ricompare in carm. 23, 13;<br />
- echi di Marziale: oltre al già citato IV, 25 Sidonio<br />
riprende IV, 57 (dove al v. 1 compare il sintagma stagni<br />
Lucrini e, al v. 6 Baias), IV, 19, 7 (è l’unico caso in cui<br />
partiris è utilizzato nella stessa posizione metrica di<br />
Sidonio), V, 37, 3 (dove compare il sintagma stagni<br />
Lucrini), IV, 30 (dove compaiono sia Baiano, al v. 1 sia<br />
piscibus, al v. 3), IX, 37, 6 (supercilio che, però, potrebbe<br />
essere anche eco cluadianea 33 ), XI, 80 (dove compare<br />
una lode sperticata di Baia e cui Sidonio allude attraverso<br />
la ripresa di litus di v. 1, di gaudiorum di v. 8).<br />
L’intertesto di Marziale che il nostro poeta ha presente<br />
maggiormente è, però, IV, 63. In questo simpatico<br />
epigramma Marziale si rivolge a Castrico e lo invita<br />
a godere dei piaceri di Baia. Egli, invece, si trova a<br />
Nomento e si sforzerà di ricreare lì la sua Baia e il suo<br />
Lucrino (vv. 3-6): «Me Nomentani confirmant otia ruris /<br />
Et casa iugeribus non onerosa suis./ Hoc mihi Baiani soles<br />
mollisque Lucrinus,/ Hoc uestrae mihi sunt, Castrice, diui-
tiae». («Io mi ristoro nel placido riposo /<strong>del</strong> mio poderetto<br />
di Nomento e <strong>del</strong>la casa modesta che il peso di<br />
sé non fa sentire al mio raccolto. Questo è per me il<br />
bel sole di Baia, son queste le dolci acque <strong>del</strong> Lucrino,<br />
questo luogo, Castrico, è per me quello che per voi<br />
son le ricchezze»).<br />
I versi di Sidonio non hanno la freschezza arguta<br />
di quelli di Marziale, ma hanno in sé una ‘frivola tragicità’:<br />
Roma sta morendo, e Sidonio cerca di salvare il<br />
valore di quella letteratura che è cifra identitaria sua e<br />
dei suoi sodales; rivive la sua realtà quotidiana filtrandola<br />
attraverso l’eco dei classici: la sua Avitaco, le contrade<br />
in cui vive saranno la nuova Baia, la nuova<br />
Campania felix.<br />
In conclusione ogni tόpos entra nei vari generi letterari<br />
e viene ogni volta ricodificato, vivendo di vita<br />
propria.<br />
La Campania felix entra nel mondo elegiaco come<br />
bene prezioso che l’amante elegiaco e la sua puella<br />
devono evitare per coronare il loro sogno d’amore,<br />
salvo essere rifunzionalizzata nella nuova elegia di<br />
Ovidio per far parte di un universo poetico che vuol<br />
cantare gli officia amicitiae; nel mondo epico la dives<br />
Campania si erge a difesa di Roma, non solo ponendo<br />
a servizio <strong>del</strong>l’Urbe tutto il suo patrimonio umano e<br />
materiale, ma contribuendo a sedurre con le sue amenità<br />
il truce nemico, per fiaccarne l’animo.<br />
Nel mondo <strong>del</strong>la satira si allea con il poeta nel<br />
denunciare l’insensatezza dei moventi umani e finisce,<br />
come fosse dotata di quella saggezza e di quel senso di<br />
misura che sfuggono agli umani, per arrivare a negare<br />
il proprio statuto di terra salubre, per impedire a<br />
Pompeo la sua sfrenata corsa verso il successo, che si<br />
concluderà con una morte ignominiosa; nel mondo<br />
<strong>del</strong>la poesia cristiana si pone al servizio <strong>del</strong> volere divino<br />
e mobilita le sue città e suoi luoghi più piacevoli per<br />
celebrare degnamente la nascita <strong>del</strong> Salvatore.<br />
FRANCESCO MONTONE<br />
- 55 -<br />
Fig. 3 - Bacco e il Vesuvio (affresco). Pompei, Casa <strong>del</strong> Centenario, larario.<br />
Napoli, Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale (da Pittura romana 2002).<br />
Nel mondo <strong>del</strong>la poesia nugatoria, infine, subisce<br />
gli scherzi <strong>del</strong>l’ultimo poeta <strong>del</strong>l’impero che, da una<br />
parte, con tono ludico, le contrappone le bellezze di<br />
Avitaco ma che, d’altra parte, ha il compito ben più<br />
serio di far sopravvivere, attraverso i suoi versi polifonici,<br />
il tόpos letterario e con esso i Classici che lo hanno<br />
reso immortale, gloriose membra di una civiltà che sta<br />
per scomparire.<br />
L’universo creato da Roma è sul punto di dissolversi,<br />
ma l’eco dei suoi classici è destinata ad essere un<br />
monumentum aere perennius. Si avvererà quel sogno d’immortalità<br />
<strong>del</strong>la poesia latina che Ovidio auspicava in una<br />
famosa elegia degli Amores: «Mantua Vergilio, gaudet<br />
Verona Catullo; /Paelignae dicar gloria gentis ego»: «Mantova<br />
è fiera di Virgilio, Verona di Catullo; io sarò chiamato la<br />
gloria <strong>del</strong>la gente peligna» (III, 15, vv. 7-8) 34 .
Note<br />
1 Il testo e la traduzione dei luoghi <strong>del</strong>la<br />
Naturalis Historia di Plinio sono citati secondo<br />
l’edizione CONTE - BORGHINI - GIANNARELLI<br />
- MARCONE, RANUCCI 1983. Tra i più famosi<br />
elogi <strong>del</strong>le bellezze <strong>del</strong>l’Italia nel mondo antico<br />
vanno ricordati quelli di Strabone (VI 4.1-<br />
2), Dionigi di Alicarnasso (Antichità romane I<br />
36-7), Varrone (Rerum Rusticarum I. 2. 3-8),<br />
Virgilio (Georgiche II 136-76).<br />
2<br />
DE VIVO 1998, p. 23.<br />
3 Sul problema <strong>del</strong>l’intertestualità e <strong>del</strong>l’allusività<br />
nella letteratura latina sono ancora<br />
oggi una pietra miliare le osservazioni <strong>del</strong><br />
grande filologo G. Pasquali, il quale, in un<br />
suo saggio sull’allusione (PASQUALI 1951)<br />
affermava che alla base <strong>del</strong>la scrittura letteraria<br />
è riscontrabile una rete di reminiscenze<br />
che, qualora intenzionali, si configurano<br />
come allusioni volute e quindi portatrici di<br />
senso. Vanno ricordati anche il bel volume<br />
di G. B. Conte (CONTE 1974), che propone<br />
interessanti osservazioni su memorabilità,<br />
aemulatio, allusività e quello di A. La Penna<br />
(LA PENNA 1991), che classifica i vari<br />
aspetti <strong>del</strong>l’intertestualità (citazione, allusione,<br />
reminiscenza inconscia).<br />
4<br />
BELOCH 1879; MOMMSEN 1983 (CIL X);<br />
MAIURI 1931, pp. 121-137; REHM 1932;<br />
MCKAY 1972; KIRSTEN 1975; GIGANTE<br />
1981, pp. 273-294; MALAVOLTA 1994, p.<br />
641; FERONE 1996, pp. 424-432.<br />
5 Cfr. PINOTTI 2002.<br />
6Per la spiegazione <strong>del</strong> verso 5, quello in cui<br />
compare il termine Campania, rimando<br />
all’ottima nota <strong>del</strong> Fe<strong>del</strong>i: «Allude al verso<br />
properziano Ovid. Am. I, 3, 9 nec meus innumeris<br />
renovatur campus aratris. Cfr. THILL<br />
1979, pp. 300-301. Iugum è quasi usato<br />
metonymice i. q. par animalium iugo iunctorum<br />
(Thes. VII 2, 640, 26), come in Cic. Verr.<br />
2,3,27 qui singulis iugis arant. L’immagine<br />
iperbolica dei mille iuga compare anche in<br />
Tib. 2, 3, 44 portatur validis mille columna iugis.<br />
La fertilità <strong>del</strong>la Campania è un luogo<br />
comune: cfr. Ovid. Pont. 4, 15, 17 e altri<br />
esempi in THLL. Onom. II 124, 32 sgg»,<br />
(FEDELI 1985, p. 179).<br />
7 Il testo di Properzio è citato secondo l’edizione<br />
curata da P. FEDELI per la Teubner<br />
(Lipsia 1994).<br />
8<br />
FORMICOLA 2003, p. 115 (si veda anche la<br />
nota 3: «Cfr. I,6, l’elegia all’amico Tullo»). J.<br />
Clark, anzi, ha messo in rilievo l’atteggiamento<br />
sarcastico di Properzio nei confronti<br />
di quei coetanei per il quali un viaggio in<br />
SALTERNUM<br />
Oriente per far bottino totalizza le aspirazioni<br />
e conferisce soddisfazioni sul piano<br />
morale e sociale (CLARK 1977, pp. 187-90).<br />
9<br />
LA PENNA 1977, pp. 61-62.<br />
10 Si veda l’accurato studio di LA PENNA<br />
1992, pp. 7-44.<br />
11 Il luogo tibulliano, come anche quello di<br />
Giovenale citato infra, non è citato nel II<br />
Vol. <strong>del</strong>l’Onomasticon <strong>del</strong> ThLl, alla voce<br />
Campania (pp. 123-124), tra i luoghi in cui la<br />
Campania «laudatur propter amoenitatem et fertilitatem»<br />
(p. 124, ll. 31-54).<br />
12 Il testo di Tibullo è citato secondo l’edizione<br />
curata da R. MALTBY; cfr. anche la sua<br />
nota: «noted for its fertility; cfr. Prop. 3 ,5,<br />
5 iugis Campania pinguis, Plin. Nat. 3.60 felix<br />
illa Campania. This is the reading of G. All<br />
other MSS have Campania terra, but the adj.<br />
must be Campanus, as at Enn. Ann. 157 Sk.<br />
Hor. Sat. 2.8.56», (MALTBY 2002, p. 330).<br />
13<br />
CONTE 1991.<br />
14<br />
LABATE 1987, pp. 91-129. La poesia <strong>del</strong>l’esilio,<br />
infatti, sancisce il ricongiungimento<br />
<strong>del</strong> legame poesia-vita che era stato tipico<br />
<strong>del</strong>la precedente poesia elegiaca latina e che<br />
era stato sciolto dallo stesso Ovidio.<br />
Capacità <strong>del</strong> poeta e precarietà <strong>del</strong>l’ elegia,<br />
che erano state le novità più rilevanti <strong>del</strong>la<br />
poetica amorosa ovidiana, sono motivi non<br />
più attuali nella poetica <strong>del</strong>l’esilio. Se<br />
Tibullo e Properzio avevano chiuso l’elegia<br />
a qualsiasi dimensione che non contemplasse<br />
l’amore <strong>del</strong> poeta per la puella, Ovidio ha,<br />
invece, con la sua precedente produzione<br />
elegiaca, ‘relativizzato’ il mondo <strong>del</strong>la poesia<br />
d’amore, in cui sono entrati altri spazi e<br />
altri momenti, come quel mondo galante<br />
descritto tante volte dal poeta di Sulmona.<br />
Ovidio attua una ‘riconciliazione <strong>del</strong>l’elegia’,<br />
che avviene nell’ambito <strong>del</strong>la città<br />
augustea. Il poeta può, quindi, costruire una<br />
nuova elegia, una poesia impegnata proprio<br />
perché ne ha gettato le basi nella sua precedente<br />
produzione. «Il poeta di questa nuova<br />
elegia lamenta dolori anche troppo veri e<br />
insegna a partire da quelle sofferenze che<br />
vive», (LABATE 1987, p. 120).<br />
15 Il testo ovidiano è citato secondo l’edizione<br />
Teubner (P. Ovidi Nasonis Ex Ponto libri<br />
quattuor, a cura di J. A. RICHMOND).<br />
16 I due passi di Silio Italico presi in esame<br />
sono citati secondo il testo stabilito da<br />
VOLPILHAC (Livre V), MINICONI -<br />
DEVALLET (Livres VI-VIII), Paris, Belles<br />
Lettres, 1981. Le traduzioni sono di Maria<br />
- 56 -<br />
Assunta Vinchesi (VINCHESI 2001).<br />
17 Come si osserva in VINCHESI 2001, p. 403,<br />
il Piceno era noto per i suoi oliveti, donde il<br />
riferimento alla dea Pallade. Per il fatto storico,<br />
cfr. Liv. 22, 9, 3 In agrum Picernum vertit<br />
iter.<br />
18 Come evidenziano MINICONI –DEVALLET<br />
1981, p. 155: «Silius simplifie à l’extrême<br />
l’exposé des mouvements d’Hannibal.<br />
Fabius a été nommé dictateur en juillet et<br />
s’est mis aussitôt en champagne. A son<br />
approche, Hannibal franchit l’Apennin et,<br />
au mois d’août, passé en Campanie en<br />
empruntant la vallée du Volturne (Tite-<br />
Livie, 22, 13)».<br />
19 Sui paesaggi virgiliani <strong>del</strong>l’Eneide, ad esempio,<br />
cfr. FORMICOLA 2002.<br />
20 Sinuessa, città sulla costa <strong>del</strong> golfo di<br />
Gaeta, era nota per la mitezza <strong>del</strong> clima e<br />
anche per le sorgenti di acque termali.<br />
21 Il testo di Giovenale è citato secondo l’edizione<br />
DE LABRIOLLE - VILLENEUVE 1957<br />
(a cura di). La traduzione è di E. Barelli<br />
(CANALI - BARELLI 2002).<br />
22 Il testo di Prudenzio è citato secondo l’edizione<br />
LAVARENNE 1948).<br />
23 Virgilio cita Baiae in Aen. IX, 710, quando<br />
paragona la caduta <strong>del</strong> guerriero Bitia, che<br />
percuote la terra facendola rintronare, alla<br />
caduta di una pila di massi che, murati, vengono<br />
gettati in mare in Euboico Baiarum litore:<br />
si rimescolano le acque e tremano dal<br />
rimbombo Procida e Inarime (cioè Ischia).<br />
Come evidenzia D’Ambrosio (vedi infra), p.<br />
452, «la similitudine nasce da una reminiscenza<br />
omerica (Il. 2, 781 ss.), ma ha un<br />
concreto riferimento ai fatti che V. stesso<br />
poté vedere, e cioè la costruzione di lussuose<br />
ville marittime che, secondo una moda<br />
<strong>del</strong> tempo, venivano prolungate nel mare<br />
per mezzo di poderose opere artificiali: è<br />
quanto attestato, per esempio da Sallustio<br />
(Cat. 20, 11) e da Orazio (Carm. 3, 1, 33-46;<br />
3, 24, 4 e specialmente 2, 18, 18-22)». Come<br />
sottolinea FERONE 1996, pp. 424-432, infatti,<br />
in Carm. II, 18, 17-22 è attestata la continua<br />
attività di lavori edilizi a Baia: «tu secanda<br />
marmora / locas sub ipsum funus et sepulcri /<br />
inmemor struis domos marisque Bais obstrepentis<br />
urges / submovere litora /parum locuples continente<br />
ripa», («tu commissioni tagli ampi di<br />
marmi nell’imminenza <strong>del</strong>la sepoltura e levi<br />
casa e scordi la tua tomba, sconvolgi coste,<br />
argini il mare che percuote Baia: per confine<br />
una spiaggia, è poco signorile». Nella I
epistola <strong>del</strong> I libro Orazio irride chi è smanioso<br />
di far costruire la propria villa a Baia,<br />
al punto da considerare quel sito superiore<br />
a tutti gli altri (v. 83). Baia aveva solida fama<br />
di luogo di perdizione, una fama che, viva<br />
in epoca repubblicana (Varr. Men. 44, ed.<br />
BUECHELER), è saldamente attestata anche<br />
nel I sec. d. C.; essa entra il letteratura come<br />
centro di gozzoviglie e di lusso sfrenato,<br />
divenendo ben presto un tόpos. Già Seneca,<br />
nell’epistola LI, 1-3, afferma di aver lasciato<br />
Baia dopo un giorno, dal momento che è<br />
divenuta un luogo che induce al vizio: «nos...<br />
contenti sumus Bais; qua postero die quam attigeram<br />
reliqui, locum ob hoc devitandum, cum habeat<br />
quasdam naturales dotes, quia illum sibi celebrandum<br />
luxuria desumpsit», («mi sono dovuto<br />
accontentare di Baia, ma l’ho lasciata il giorno<br />
dopo che vi ero arrivato. Pur avendo<br />
l’attrattiva <strong>del</strong>le sue bellezze naturali, è una<br />
città da evitarsi, poiché è ormai un noto<br />
centro di corruzione»). In proposito, cfr.<br />
BORRIELLO - D’AMBROSIO 1979, pp. 17-21;<br />
35-98; D’AMBROSIO 1994, pp. 452-453; I<br />
Campi Flegrei 1977, passim; FERONE 1996, pp.<br />
FRANCESCO MONTONE<br />
426-427; FRIEDLÄNDER - WISSOWA 1922;<br />
D’ARMS 1970. Sui riferimenti campani nell’opera<br />
di Orazio mi sia consentito di<br />
rimandare a MONTONE 2009, pp. 62-71.<br />
24 Baianis compare altre cinque volte nella<br />
poesia latina (Stat. Silv. 1, 5, 60; Mart. IV,<br />
25, 1 e X, 37, 11; Auson. Epist. 3, 30 e 14,<br />
1), ma in nessuno di questi casi a inizio<br />
verso.<br />
25 Il testo di Paolino di Nola riproduce quello<br />
<strong>del</strong>la Patrologia Latina.<br />
26 Cfr. DI SALVO 2000; GUTTILLA 2004, pp.<br />
523-536; SAVINO 2005, pp. 208-209. Anche<br />
nei versi di Ausonio dedicati a Capua (Urb.<br />
54-63) torna il motivo dei Cartaginesi che si<br />
lasciarono vincere dal lusso campano ma<br />
questa volta la Campania, condannata per il<br />
suo ‘fastu’ appare nemica di Roma, in quanto<br />
Capua si è schierata contro l’Urbs («Quin<br />
etiam rerum dominam Latiique parentem/appetiit<br />
bello, ducibus non freta togatis,/ Hannibalis iurata<br />
armis, deceptaque in hostis/ Hannibalis iurata<br />
armis, deceptaque in hostis/ seruitium demens specie<br />
transiuit erili,/ mox ut in occasum uitiis communibus<br />
acti/ corruerent Poeni luxu, Campania<br />
- 57 -<br />
fastu./ Heu numquam stabilem sortita superbia<br />
sedem!/ Illa potens opibusque ualens, Roma altera<br />
quondam,/ comere quae paribus potuit fastigia<br />
conis,/ octauum reiecta locum uix paene tuetur»).<br />
27 Il testo di Sidonio è citato secondo l’edizione<br />
LOYEN 1960; traduzione, prefazione,<br />
introduzione e note di FAGGI - BANDINI -<br />
MESTURINI 1982.<br />
28 Cfr. LOYEN 1943.<br />
29 CONSOLINO 1974, pp. 423-460.<br />
30 L’Index auctorum Sidonio anteriorum <strong>del</strong> Geisler<br />
è confluito nell’edizione LUETJOHANN 1887.<br />
31 Prima di Properzio e Virgilio si attestano,<br />
in poesia, i seguenti loci similes: displiceat mihi<br />
(Plaut. Mil. 614); mi…displicet (Lucil. Sat.<br />
644). Tibi displicet compare in Ps. Cato, dist.<br />
2, 7, 2 e in Prud. c. Symm. 1, 624.<br />
32 Ovid. Fast. 1, 308; 6, 636; Id. Pont. 4, 9, 94;<br />
Sen. epigr. 15, 2; Mart. VIII, 36, 8; Auson.<br />
epigr. 37, 4; Claud. carm. 12, 9; Prud. Perist.<br />
10, 1120.<br />
33 Compare, infatti, in carm. min. 31, 58; è<br />
anche in Sen. epigr. 39, 2.<br />
34 Il testo degli Amores è citato secondo l’edizione,<br />
a cura di F. MUNARI 5 .
Bibliografia<br />
Abbreviazioni<br />
‘ASNP’: ‘Annali <strong>del</strong>la Scuola Normale<br />
Superiore di Pisa’.<br />
‘PP’: ‘La Parola <strong>del</strong> Passato’.<br />
‘MD’: ‘Materiali e discussioni per l’analisi<br />
dei testi classici’.<br />
Autori antichi<br />
Apollinaris Sidonii epistulae et carmina, in<br />
MGH (auctores antiquissimi), a cura di CH.<br />
LUETJOHANN, VIII, Berlin 1887.<br />
Giovenale. Satire, a cura di L. CANALI - E.<br />
BARELLI, Milano 20002 .<br />
Juvenal, texte établi et traduit par P. DE<br />
LABRIOLLE – F. VILLENEUVE, Paris 1957.<br />
P. Ovidi Nasonis Amores, testo, trad. e commento<br />
a cura di F. MUNARI, Firenze 19705 .<br />
P. Ovidi Nasonis Ex Ponto libri quattuor, a cura<br />
di J. A. RICHMOND, Leipzig 1990.<br />
Plinio, Naturalis Historia, ed., trad. e commento<br />
a cura di G. B. CONTE - A. BORGHINI<br />
- E. GIANNARELLI - A. MARCONE - G.<br />
RANUCCI, Torino 1983.<br />
Properzio, Elegiarum libri, a cura di P.<br />
FEDELI, Lipsia 1994.<br />
Prudence. Tome III. Psycomachie-Contra<br />
Symmache, texte établi et traduit par M.<br />
LAVARENNE, Paris 1948.<br />
Sidoine Apollinaire. Poemes, texte établi et traduit<br />
par A. LOYEN, Paris 1960.<br />
Sidonio Apollinare, Carmina, prefaz. F.<br />
BANDINI, introduz. e note A. MESTURINI,<br />
trad. V. FAGGI, Genova 1982.<br />
Silio Italico, Le guerre puniche, trad. di M. A.<br />
VINCHESI, Milano 2001.<br />
Silius Italicus, La guerre punique, Tome II, Livres<br />
V-VIII, Texte établi et traduit par J.<br />
VOLPILHAC (Livre V), P. MINICONI - G.<br />
DEVALLET (Livres VI-VIII), Paris 1981.<br />
Tibullus, Elegies. Text, Introduction and<br />
Commentary, a cura di R. MALTBY,<br />
Cambridge 2002.<br />
* * *<br />
SALTERNUM<br />
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Geschichte und Leben der Umgebung Neapels in<br />
Alterthum, Berlin.<br />
BORRIELLO M. - D’AMBROSIO A. 1979,<br />
Baiae - Misenum (Forma Italiae), Firenze.<br />
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187-190.<br />
CONSOLINO F. E. 1974, Codice retorico e<br />
manierismo stilistico nella poetica di Sidonio<br />
Apollinare, in “ASNP”, 4, pp. 423-460.<br />
CONTE G. B. 1974, Memoria dei poeti e sistema<br />
letterario, Torino.<br />
CONTE G. B. 1991, Generi e lettori, Milano.<br />
D’AMBROSIO A. 1994, s.v. Baia, in Enc.<br />
Virg., I, Roma-Firenze.<br />
D’ARMS T. 1970, Romans in the Bay of Naples,<br />
Cambridge/Massachusetts, (Bari 2003).<br />
DE VIVO A. 1998, Costruire la memoria.<br />
Ricerche sugli storici latini, Napoli.<br />
DI SALVO L. 2000 (a cura di), Ausonio. Ordo<br />
Urbium Nobilium, Napoli.<br />
FEDELI P. 1985, Properzio. Il terzo libro <strong>del</strong>le<br />
elegie, Bari.<br />
FERONE C. 1996, s.v. Campania, in Enc.<br />
Oraz. I, Roma-Firenze, pp. 424-432.<br />
FORMICOLA C. 2002, Temi virgiliani, Napoli.<br />
FORMICOLA C. 2003, Elegiaca, Napoli.<br />
FRIEDLÄNDER L. - WISSOWA G. 1922,<br />
Darstellungen aus der Sittengeschichte Roms in der<br />
Zeit von Augustus bis zum Ausgang der Antonine<br />
I, Leipzig.<br />
GIGANTE M. 1981, Virgilio sotto il Vesuvio,<br />
“PP”, XXXVI, pp. 273-294.<br />
GUTTILLA J. A. 2004, Dalla Capua di Ausonio<br />
(Roma altera quondam) alla Nola di Paolino<br />
(post urbem titulos sortita secundos), in<br />
“Journal of Early Christian Studies”, 12, 4,<br />
pp. 523-536.<br />
I Campi Flegrei 1977, I Campi Flegrei nell’archeologica<br />
e nella storia, Atti dei Convegni Lincei,<br />
33, Roma.<br />
KIRSTEN E. 1975, Campanien und seine<br />
Nachbarlandschaften, Hei<strong>del</strong>berg.<br />
- 58 -<br />
LABATE M. 1987, Elegia triste ed elegia lieta. Un<br />
caso di riconversione letteraria, in “MD”, XVII<br />
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LA PENNA A. 1977, L’integrazione difficile. Un<br />
profilo di Properzio, Torino.<br />
LA PENNA A. 1991, Tersite censurato e altri<br />
studi di letteratura fra antico e moderno, Pisa.<br />
LA PENNA A. 1992, L’oggetto come moltiplicatore<br />
<strong>del</strong>le immagini. Uno studio su Priamel e catalogo<br />
in Marziale, in “Maia”, XLIV, pp. 7-44.<br />
LOYEN A. 1943, Sidoine Apollinaire et l’esprit<br />
précieux en Gaule aux derniers jours de l’Empire,<br />
Paris.<br />
MAIURI A., Monumenti e luoghi <strong>del</strong>la Campania<br />
nell’epopea virgiliana, in Studi virgiliani I,<br />
Roma.<br />
MALAVOLTA M. 1994, s.v. Campania, in Enc.<br />
Virg., I, Roma-Firenze.<br />
MCKAY A. G. 1972, Ancient Campania, I-III,<br />
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MOMMSEN TH. 1983, Corpus Inscriptionum<br />
Latinarum (CIL), Berolini.<br />
MONTONE F. 2009, Orazio e la Campania, in<br />
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PASQUALI G. 1951, Stravaganze quarte e supreme,<br />
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PINOTTI P. 2002, L’elegia latina. Storia di una<br />
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REHM B. 1932, Das geographische Bild des alten<br />
Italien in Vergils Aeneis, (in “Philologus”,<br />
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SAVINO E. 2005, Campania tardoantica (284-<br />
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Paris.<br />
per le illustrazioni:<br />
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SALVADORI M., Pittura romana dall’ellenismo<br />
al tardo-antico, Milano.<br />
SAVINO E. 2005, Campania tardoantica (284-<br />
604 d.C.), Bari.
Èancora aperta la discussione fra gli storici<br />
se si debba assumere quale inizio <strong>del</strong>la storia<br />
bizantina l’anno <strong>del</strong>la fondazione di<br />
Costantinopoli, il 330, oppure quello in cui si giunse<br />
alla definitiva divisione <strong>del</strong>l’Impero Romano nelle due<br />
parti d’Oriente e di Occidente fra i due figli di<br />
Teodosio, Arcadio ed Onorio, il 395, ovvero il 527,<br />
anno di ascesa al trono imperiale di Giustiniano.<br />
In realtà non sembra che l’anno da cui fare iniziare<br />
convenzionalmente un periodo storico possa avere<br />
una grande importanza al fine di un’esatta comprensione<br />
degli avvenimenti. Gli storici <strong>del</strong> futuro potrebbero<br />
discutere con un impegno analogo se individuare<br />
l’inizio dei giorni che stiamo vivendo con l’esplosione<br />
<strong>del</strong>la prima bomba atomica su Hiroshima o con il<br />
primo uomo sulla Luna o con l’abbattimento <strong>del</strong> muro<br />
di Berlino, in ogni caso le cose resterebbero esattamente<br />
come prima.<br />
Ciò che è certo è che alcuni avvenimenti ed alcuni<br />
personaggi imprimono, nel corso <strong>del</strong>la Storia, un’impronta<br />
particolarmente forte tale da lasciare tracce<br />
durature nel tempo e negli avvenimenti a seguire.<br />
Non c’è dubbio che Giustiniano si trovi fra le figure di<br />
maggiore rilievo.<br />
Alla morte di Anastasio I (430-518, imp. dal 491)<br />
divenne imperatore Giustino (450-527, imp. dal 518).<br />
Di origini contadine, si era arruolato nell’esercito<br />
imperiale ove, con grande impegno ed un po’ di fortuna,<br />
nonostante fosse di cultura meno che modesta,<br />
aveva raggiunto i gradi più elevati. Non si era dimenticato<br />
<strong>del</strong>la sua famiglia di provenienza ed aveva chiamato<br />
vicino a sé i figli di sua sorella Vigilanza. Un<br />
affetto particolare legava Giustino ad uno dei suoi<br />
nipoti, si chiamava Flavio Pietro Sabbazio, era nato in<br />
Illiria, a Tauresium l’11 Maggio <strong>del</strong> 483 e, all’età di circa<br />
dodici anni fu adottato dallo zio che gli impose il<br />
nuovo nome di Giustiniano. Il vecchio soldato, non<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
Giustiniano<br />
- 59 -<br />
Fig. 1 - Giustiniano. Ravenna, Basilica di S. Vitale, mosaico <strong>del</strong>la parete laterale sin. <strong>del</strong><br />
presbiterio (a. 547 ca.).<br />
ancora imperatore, pure essendo analfabeta, aveva<br />
compreso perfettamente quanto potesse riuscire utile<br />
una solida cultura ai fini <strong>del</strong> successo, perciò assicurò<br />
al figlio adottivo la migliore educazione possibile e,<br />
quando Giustino si assise sul trono imperiale, il nipote,<br />
oramai trentaseienne, era pronto ad assumere un<br />
ruolo importante nell’amministrazione <strong>del</strong>lo Stato.<br />
Già dal nome conferitogli dallo zio nel momento <strong>del</strong>l’adozione<br />
- sostanzialmente un patronimico - si pote-
va arguire quali dovevano essere le intenzioni di questi<br />
nei confronti <strong>del</strong> nipote. Giustiniano riceverà infatti<br />
in rapida successione tutta una serie d’incarichi<br />
amministrativi e militari che faranno di lui il personaggio<br />
più importante dopo lo stesso imperatore. E’ facile<br />
immaginare che l’incolto Giustino potesse reggersi<br />
sul trono solo appoggiandosi alle risorse culturali <strong>del</strong><br />
nipote il quale non per questo perse la testa, visse<br />
invece una vita sobria e modesta restando assolutamente<br />
fe<strong>del</strong>e allo zio e dedicando il tempo libero dagli<br />
impegni istituzionali agli studi teologici e filosofici.<br />
Giustino cessò di vivere il 1° Agosto 527 e<br />
Giustiniano, che era stato associato al trono il 1°<br />
Aprile <strong>del</strong>lo stesso anno, rimase unico imperatore.<br />
Alcuni anni prima (523) aveva sposato Teodora (500<br />
ca.-548), una donna che era destinata ad avere una<br />
notevole importanza nella vita di Giustiniano e che,<br />
almeno in una circostanza, fu decisiva per conservargli<br />
la corona.<br />
Un merito indiscutibile di questo imperatore fu<br />
quello di sapersi circondare di collaboratori dotati tutti<br />
di grande cultura e capacità. Per quanto attiene al<br />
campo militare l’opera sagace di generali come<br />
Belisario (500 ca.-565) e Narsete (479 ca.-574) gli consentì<br />
di recuperare alla corona di Costantinopoli<br />
l’Italia e molti territori lungo le coste <strong>del</strong> Mar<br />
Mediterraneo, già appartenuti all’Impero Romano, che<br />
erano stati perduti nel corso degli anni. Fu però una<br />
riconquista effimera, perché alla sua morte quei territori<br />
andarono subito quasi tutti perduti di nuovo.<br />
Riguardo all’aspetto legislativo e giuridico, per la<br />
sua attività di governo si affidò alla competenza <strong>del</strong>l’illustre<br />
giurista Triboniano (Panfilia, 500 ca.-542),<br />
uomo di un’erudizione eccezionale, che fu posto a<br />
capo di una commissione di studiosi <strong>del</strong> diritto che<br />
operò quasi in continuazione dal 528 al 534, elaborando<br />
il Corpus Iuris Civilis. Un’opera monumentale rimasta<br />
a mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la giurisprudenza di tutta l’Europa<br />
fino ai nostri giorni.<br />
La situazione generale era a dir poco preoccupante:<br />
l’Impero era in pratica accerchiato ed un solo cedimento<br />
avrebbe potuto preludere ad una catastrofe<br />
completa. In quel frangente Giustiniano dovette adattarsi<br />
a ‘comprare’ la pace con la Persia (533), versando<br />
un tributo che, se da una parte servì a fermare per<br />
breve tempo le mire espansionistiche di Cosroe, dall’altra<br />
arrecò un grave vulnus al prestigio <strong>del</strong>l’Impero. Il<br />
re persiano avvertì subito lo stato di debolezza <strong>del</strong> suo<br />
SALTERNUM<br />
- 60 -<br />
vicino ed infatti pochi anni dopo (540) ne invase il territorio,<br />
devastando l’Armenia e saccheggiando<br />
Antiochia.<br />
Nel 523, come si è detto, Giustiniano aveva sposato<br />
Teodora, donna di notevole bellezza e fascino,<br />
dotata di grande intelligenza e sensibilità politica, ma<br />
di infima estrazione sociale. Suo padre era un custode<br />
o domatore di orsi nel circo di Costantinopoli e sua<br />
madre, come sembra, una ballerina, donna di costumi<br />
non irreprensibili che, stando a quanto riferito dalla<br />
Storia Segreta attribuita a Procopio di Cesarea, rimasta<br />
vedova, appena possibile avviò la figlia alla danza o,<br />
addirittura, a quella che è stata definita la professione<br />
più antica <strong>del</strong> mondo. Non sappiamo quale credito<br />
dare a Procopio perché la Storia Segreta è chiaramente<br />
permeata di un feroce e velenoso risentimento verso<br />
l’imperatore e sua moglie, ma anche nei confronti di<br />
altri personaggi come Belisario, che invece nell’altra<br />
sua opera, la Storia <strong>del</strong>le Guerre, vengono presentati<br />
sotto ben altra luce. Questa ambiguità, comprensibile<br />
nella psicologia di un uomo certamente colto, ma di<br />
basso profilo sia politico, sia amministrativo e che in<br />
cuor suo aspirava a ben altri riconoscimenti, ha indotto<br />
alcuni a dubitare che la Storia Segreta sia effettivamente<br />
attribuibile allo stesso autore <strong>del</strong>l’altra. L’opera,<br />
forse, non era destinata ad essere pubblicata e dovevasi<br />
trattare di uno sfogo personale <strong>del</strong>l’autore, che riversava<br />
in quel coacervo d’ingiurie ed invettive tutta l’amarezza<br />
<strong>del</strong> suo animo. L’esegesi letteraria la fa risalire<br />
al 550 circa, ma la prima notizia che ne abbiamo<br />
non è antecedente al X secolo (Lessico Suda).<br />
Per quanto riguarda il matrimonio di Giustiniano,<br />
è vero che un personaggio di alto rango come lui non<br />
avrebbe potuto convolare a nozze con una donna di<br />
bassi natali, poiché vi era una legge <strong>del</strong>lo Stato a vietarlo,<br />
ma egli superò l’impedimento, inducendo il<br />
vecchio imperatore Giustino, forse non <strong>del</strong> tutto compos<br />
mentis suae, a firmare un decreto che aboliva la<br />
norma fino ad allora vigente 1 . È facile supporre che<br />
la cosa potesse allora risultare sgradita a molti esponenti<br />
<strong>del</strong>l’aristocrazia imperiale e che il prestigio <strong>del</strong><br />
principe ne soffrisse non poco, tuttavia la portata<br />
successiva di quella decisione fu provvidenziale, per<br />
Giustiniano e forse anche per l’Impero.<br />
Sulla scia di quanto era già accaduto a Roma, la<br />
plebe, appassionata oltre ogni limite dei giochi circensi,<br />
massimamente <strong>del</strong>le corse di cavalli, si era divisa in
diverse ‘tifoserie’ che sostenevano i colori <strong>del</strong>le scuderie.<br />
Originariamente, nei primi anni <strong>del</strong>l’impero, queste<br />
erano quattro, ma si ridussero ben presto a due: gli<br />
‘azzurri’ e i ‘verdi’, sostenuti rispettivamente dall’aristocrazia<br />
senatoria e dagli imperatori, i primi, e dal<br />
popolo gli altri, essendo scomparsi i ‘bianchi’ e i<br />
‘rossi’, una volta forse appoggiati da quanti aspiravano<br />
ad un ritorno all’antica repubblica. Era una forma di<br />
aggregazione politica proiettata su altri aspetti <strong>del</strong>la<br />
vita civile che si vedrà ancora nel corso <strong>del</strong>la Storia.<br />
La passione per i giochi circensi si era trasferita da<br />
Roma a Bisanzio ove la folla degli appassionati si era<br />
costituita in fazioni, i cosiddetti demi, che gradatamente<br />
assunsero una valenza politica sempre più forte,<br />
creando instabilità e tumulti intollerabili, arrivando<br />
anche ad atti criminosi e godendo spesso - soprattutto<br />
gli ‘azzurri’ - di protezioni che, in pratica, garantivano<br />
l’impunità. In contrasto con quanto avveniva in<br />
precedenza, quando gli imperatori di volta in volta si<br />
appoggiavano all’una o all’altra parte secondo le esigenze<br />
<strong>del</strong> momento, Giustiniano ritenne opportuno,<br />
con un’azione non ben ponderata, di ricondurle tutte<br />
e subito alla disciplina (532). Ne nacque una rivolta<br />
generale, detta ‘di Nika’ dal grido che levavano gli<br />
spettatori nell’ippodromo («Nika, nika», ovvero «vinci,<br />
vinci»), che vide i ‘demi’ uniti contro il monarca al<br />
punto che questi fu in serio pericolo di perdere il<br />
trono. I rivoltosi avevano in mente di sostituirlo col<br />
patrizio Ipazio, nipote <strong>del</strong> vecchio imperatore<br />
Anastasio. Giustiniano era pronto alla fuga, quando<br />
Teodora, con notevole sangue freddo, si oppose energicamente<br />
a questa soluzione così poco coraggiosa e<br />
costrinse il marito ad affrontare con decisione gli<br />
insorti. Si dice che avesse affermato con fermezza che,<br />
se pure avesse dovuto morire, non conosceva alcun<br />
sudario che fosse migliore <strong>del</strong> manto imperiale. La sua<br />
determinazione valse a salvare il consorte e, chissà,<br />
anche l’impero. Il provvidenziale intervento congiunto<br />
di Narsete e di Belisario fu risolutivo e la repressione<br />
che ne seguì fu terribile: i rivoltosi uccisi sembra<br />
che siano stati ben 35.000.<br />
Quanto a Teodora, si può dire che con lei abbia<br />
avuto inizio il periodo in cui le imperatrici bizantine<br />
ebbero un ruolo non trascurabile nella gestione <strong>del</strong><br />
potere, e per quanto la riguarda personalmente, la sua<br />
attività non sarà limitata alla sola funzione politica, ma<br />
si estenderà anche a quella religiosa. Se solo si osserva<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
- 61 -<br />
Fig. 2 - Giustiniano a cavallo. Valva <strong>del</strong> ‘Dittico Barberini’ (avorio).<br />
Parigi, Museo <strong>del</strong> Louvre.<br />
Fig. 3 - Giustiniano a cavallo in veste di trionfatore. Solido aureo <strong>del</strong>la zecca di<br />
Costantinopoli. Parigi, Bibliothèque Nationale.<br />
come la sovrana viene rappresentata nei mosaici<br />
ravennati di S. Vitale, si comprende agevolmente quale<br />
prestigio ella avesse raggiunto, ben al di là <strong>del</strong>l’ambiente,<br />
pure esteso, <strong>del</strong>la corte imperiale.<br />
Procopio (Guerra Gotica I, 26) ci informa che papa<br />
Vigilio, di cui non si conosce la data di nascita, era<br />
figlio di Giovanni consul e che un suo fratello era sena-
tore; ordinato diacono nel 531, fu designato come suo<br />
successore da papa Bonifacio II (530-532) il quale tuttavia,<br />
in un secondo tempo, ritirò la propria decisione<br />
in conseguenza <strong>del</strong>la forte opposizione che questa<br />
aveva incontrato, giungendo perfino a bruciare pubblicamente<br />
il suo precedente decreto.<br />
A Bonifacio II successe sul soglio pontificio<br />
Giovanni II (533-535) e quindi Agapito I (535-536)<br />
che inviò Vigilio a Costantinopoli con le funzioni di<br />
‘Apocrisiario’, normalmente una sorta di funzionario<br />
incaricato di portare nelle province i rescritti imperiali,<br />
ma che in questo caso sembra si potesse equiparare<br />
ad una specie di Nunzio Apostolico. Nella capitale<br />
l’imperatrice Teodora tentò di convincere Vigilio al<br />
credo monofisita da lei appassionatamente sostenuto 2 .<br />
Era opinione corrente che, in cambio <strong>del</strong> suo sostegno<br />
al monofisismo, l’imperatrice gli avesse promesso la<br />
tiara pontificia, provvedendolo altresì di una cospicua<br />
somma di denaro per facilitargli il raggiungimento <strong>del</strong>l’obiettivo.<br />
Agapito I morì il 22 Aprile 536, e Vigilio<br />
rientrò subito a Roma recando con sé alcune lettere di<br />
Teodora. Nel frattempo, forse su pressione <strong>del</strong> re goto<br />
Teodato, che intendeva in ogni modo evitare un legame<br />
troppo stretto tra Roma e Costantinopoli, era stato<br />
eletto papa Silverio (536-537). Poco dopo, quando il<br />
generale Belisario fece il suo ingresso a Roma, Vigilio<br />
gli consegnò le lettere avute da Teodora e pertanto il<br />
generale bizantino, in ottemperanza alle disposizioni<br />
imperiali, fece in modo che fosse deposto Silverio ed<br />
eletto al suo posto Vigilio (29 Marzo 537), al quale<br />
affidò, per di più, la custodia <strong>del</strong> suo predecessore.<br />
Silverio, relegato nell’isola di Palmarola, morì per la<br />
fame e per gli stenti il 2 Dicembre <strong>del</strong>lo stesso anno.<br />
La Chiesa cattolica lo venera come Santo 3 .<br />
Le speranze <strong>del</strong>l’imperatrice furono tuttavia <strong>del</strong>use<br />
dal comportamento di Vigilio che, sentendosi oramai<br />
sicuro, mise in opera un atteggiamento dilatorio promettendo<br />
e poi prendendo tempo, fino a che<br />
Giustiniano, su pressione <strong>del</strong>la moglie e stanco di quel<br />
contegno evasivo, gli ingiunse di presentarsi a<br />
Costantinopoli. Il Papa fu costretto ad obbedire e<br />
dovette recarsi dall’imperatore che lo trattenne, ospite<br />
per forza, per ben otto anni. Nondimeno Vigilio riuscì<br />
a resistere alle pressioni imperiali, evitando di partecipare<br />
personalmente al II Concilio Ecumenico di<br />
Costantinopoli che si tenne nel 553 (il precedente era<br />
stato convocato da Teodosio I l’anno 381), per il quale<br />
<strong>del</strong>egò il vescovo salernitano Eusterio (ovvero<br />
SALTERNUM<br />
- 62 -<br />
Asterio, santo). Il Concilio era stato convocato al fine<br />
di condannare, come infatti avvenne, gli scritti di tre<br />
autori nestoriani, Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto<br />
di Ciro ed il vescovo Iba di Emessa, i cosiddetti ‘Tre<br />
Capitoli’, che erano particolarmente invisi ai Copti -<br />
monofisiti - di Alessandria.<br />
Due anni dopo Vigilio fu finalmente rimandato a<br />
Roma, ove però non giunse mai, perché morì a<br />
Siracusa durante il viaggio di ritorno (7 Giugno 555).<br />
Da quanto detto si può comprendere quale ascendente<br />
avesse Teodora sul marito e quale autorità gli<br />
imperatori di Costantinopoli potessero esercitare<br />
anche sulla Chiesa. Un’autorità che, sulla Chiesa<br />
Ortodossa, continuerà nel tempo praticamente fino al<br />
crollo definitivo <strong>del</strong>l’Impero d’Oriente.<br />
Non si deve dimenticare che Giustiniano era un<br />
uomo di notevole cultura e di profonda fede religiosa<br />
e che questa aveva la preminenza sull’altra. Fu per<br />
questo che il 529, poco dopo la sua ascesa all’impero,<br />
prese la decisione di chiudere la Scuola filosofica di<br />
Atene.<br />
La Scuola, nota anche come Accademia, era stata<br />
fondata da Platone ed era subito divenuta un centro<br />
culturale degno <strong>del</strong>la fama <strong>del</strong> suo creatore.<br />
Successivamente, dopo un periodo di alti e bassi, era<br />
risorta ad un tale prestigio da essere finanziata, ufficialmente<br />
e con denaro pubblico, per decreto <strong>del</strong>l’imperatore<br />
filosofo Marco Aurelio (121-180, imp. dal<br />
161). Dopo l’avvento <strong>del</strong> Cristianesimo gli scolarchi<br />
(detti Diadochi, cioè i successori <strong>del</strong> fondatore) rimasero<br />
fe<strong>del</strong>i al paganesimo. Di qui l’atto di forza giustinianeo,<br />
che però arrecò un danno notevolissimo alla cultura<br />
occidentale. Un gruppo di sette filosofi tra i quali<br />
l’ultimo dei diadochi, Damascio, abbandonò Atene e si<br />
trasferì alla corte <strong>del</strong> re persiano Cosroe I con l’intento,<br />
non riuscito, di dare lì nuova vita all’Accademia.<br />
Non possiamo sapere se e quanto questo episodio<br />
abbia influito nei rapporti tra l’impero ed il suo vicino<br />
persiano.<br />
Giustiniano non ammetteva opinioni che divergessero<br />
sia pure minimamente dalle sue e dall’ortodossia<br />
religiosa. La chiusura <strong>del</strong>la Scuola ateniese ne è un<br />
esempio, ma più grave ancora è il divieto assoluto che<br />
egli pose allora di commentare il Corpus Iuris Civilis.<br />
Questo «…doveva restare intatto da qualsiasi esame<br />
critico e scientifico e rappresentare così, per i secoli, il<br />
diritto assoluto <strong>del</strong>l’Impero» 4 . Le limitazioni poste alla<br />
giurisprudenza si estesero anche alle altre scienze,
come la matematica, l’astronomia, la fisica e la medicina.<br />
Anche l’arte dovette subire analoghe restrizioni,<br />
nel senso che, giunta a fine quella cultura genuinamente<br />
romana che aveva governato la civiltà <strong>del</strong> periodo<br />
precedente, il nuovo corso intellettuale era condizionato<br />
dalle leggi <strong>del</strong>lo Stato, da quelle <strong>del</strong>la Chiesa e<br />
dalla nuova sensibilità popolare, profondamente<br />
diversa da quella che aveva ispirato gli studiosi, gli<br />
scrittori e gli artisti <strong>del</strong> passato 5 . Non si trattò di un<br />
inaridimento culturale, questo è evidente, ma di un<br />
netto distacco dal gusto e dalla estesa partecipazione a<br />
tutte le attività intellettuali che aveva caratterizzato la<br />
civiltà autenticamente romana pure essendo l’imperatore<br />
ancora intimamente convinto <strong>del</strong>la sua ‘romanità’.<br />
Grandiose costruzioni come la chiesa di Hagia<br />
Sophia a Costantinopoli, ricostruita<br />
quasi ex novo da Giustiniano - secondo<br />
Procopio per volere di Teodora -<br />
dopo che era stata distrutta da un<br />
incendio nel corso <strong>del</strong>la rivolta di<br />
Nika, o quella di San Vitale a<br />
Ravenna o ancora la meravigliosa<br />
‘Cisterna-Basilica’, costruita nel sottosuolo<br />
<strong>del</strong>la città a 25 metri di profondità,<br />
un’enorme sala di 138 metri<br />
per 64 con il soffitto retto da ben 336<br />
colonne, per assicurare alla cittadinanza,<br />
in caso di assedio, una riserva<br />
d’acqua sufficiente per molti mesi,<br />
sono una testimonianza <strong>del</strong> nuovo<br />
corso. Unica concessione, autocelebrativa,<br />
al passato, fu la statua equestre<br />
che sorgeva a Costantinopoli e<br />
che conosciamo solo attraverso le<br />
riproduzioni, nella quale l’imperatore<br />
a cavallo era rappresentato in una<br />
posa analoga a quella <strong>del</strong> Marco<br />
Aurelio capitolino, quasi a voler sottolineare<br />
la ideale continuità con la<br />
Roma dei Cesari.<br />
Il Codex Giustinianeo è il monumento<br />
destinato ad assicurare memoria<br />
imperitura a questo imperatore.<br />
L’opera era stata preceduta nel tempo<br />
da un Codex Theodosianus che, a sua<br />
volta, seguiva altri due codici denominati<br />
rispettivamente Gregorianus ed<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
Fig. 4 - Statua equestre di Giustiniano per la<br />
colonna onoraria di Costantinopoli. Disegno<br />
attribuito a Ciriaco d’Ancona (1440-1448 ca.).<br />
Budapest, Biblioteca Universitaria.<br />
Fig. 5 - Giustiniano, testa-ritratto in porfido.<br />
Venezia, S. Marco.<br />
- 63 -<br />
Ermogenianus, a dimostrazione di quanto fosse sentita<br />
l’esigenza di mettere ordine nella grande quantità di<br />
leggi e di rescritti imperiali che si erano succeduti e<br />
accumulati nel tempo e che inevitabilmente dovevano<br />
ingenerare una confusione notevole oltre a richiedere<br />
una faticosissima opera di ricerca per coloro - giudici,<br />
giuristi e avvocati - che in quel ginepraio dovevano<br />
districarsi.<br />
L’imperatore Teodosio II, con un decreto <strong>del</strong> 429,<br />
aveva nominato un collegio di periti con l’incarico di<br />
raccogliere ed ordinare per titoli tutte le leggi, sia ordinarie<br />
sia speciali, nonché i rescritti promulgati da<br />
Costantino in poi. Gli studiosi però non si rivelarono<br />
all’altezza <strong>del</strong> compito loro assegnato, davvero immane,<br />
e perciò Teodosio ridimensionare il programma<br />
iniziale, nominando una nuova commissione<br />
(anno 435) di sedici studiosi<br />
con il mandato di raccogliere le leges<br />
generales - con l’esclusione quindi dei<br />
rescritti e <strong>del</strong>le leggi speciali - integrando<br />
in tal modo gli altri codici<br />
precedenti. Finalmente il progetto, sia<br />
pure ridotto, fu realizzato ed il Codex<br />
Theodosianus vide la luce il 15 Febbraio<br />
438 6 .<br />
Nato incompleto, il codice di<br />
Teodosio II dopo meno di un secolo<br />
era già obsoleto. Si deve tenere presente<br />
che quel secolo era stato uno dei<br />
periodi storici che ha veduto uno dei<br />
più grandi rivolgimenti che la Storia<br />
ricordi: non è un caso che gli storici<br />
posteriori abbiano scelto l’anno 476<br />
per indicare la fine di un’era e l’inizio<br />
<strong>del</strong>la successiva. Dopo una lunga agonia,<br />
l’Impero romano d’Occidente -<br />
quello che ne rimaneva - si era definitivamente<br />
dissolto, lasciando solo<br />
qualche rimpianto fra le persone di<br />
maggiore cultura e sensibilità ed uno<br />
di questi personaggi era certamente<br />
Giustiniano, che si distinse proprio<br />
per la sua volontà di risollevare le sorti<br />
<strong>del</strong>la Romanità. Il suo impegno forte<br />
nel campo politico, militare e giuridico<br />
era inteso al ripristino di quella nel<br />
modo più esteso possibile. Nei primi<br />
due settori la sua azione ebbe una
Fig. 6 - Giustiniano ed i suoi dignitari con il vescovo Massimiano. Ravenna, basilica di<br />
S. Vitale, mosaico <strong>del</strong>la parete laterale sin. <strong>del</strong> presbiterio (a. 547 ca).<br />
durata effimera, ma nel terzo ebbe un successo senza<br />
pari, che dura ancora oggi 7 . Cominciò emanando una<br />
costituzione (13 Febbraio 528) con la quale ordinava<br />
una ricognizione dei tre codici precedenti, così da formare<br />
un Codex Legum che fu emanato nell’Aprile <strong>del</strong>l’anno<br />
successivo; quindi nel Dicembre 530 decise di<br />
dare il via al lavoro più importante, quello noto come<br />
Digesta seu Pandectae, che si concluse dopo tre anni d’intenso<br />
lavoro. Le leggi promulgate successivamente fino<br />
al 565, anno <strong>del</strong>la sua morte, furono le cosiddette<br />
Novellae Constitutiones, riunite in raccolte che dovevano<br />
essere pubblicate con cadenza semestrale; un qualche<br />
cosa che anticipa ciò che è per noi la Gazzetta Ufficiale.<br />
La Romanità doveva tornare a vivere per mezzo di<br />
uno dei suoi più importanti monumenti, quello al quale<br />
anche le persone colte spesso non pensano quando si<br />
parla <strong>del</strong>la civiltà romana: la giurisprudenza. «E’ in questo<br />
senso che deve parlarsi di ‘classicismo’ di<br />
Giustiniano: Egli non si propose affatto, salvo che in<br />
qualche punto sporadico, di procedere al restauro dei<br />
testi giuridici classici, che sarebbe stata opera arida di<br />
SALTERNUM<br />
- 64 -<br />
antiquariato. Egli si propose invece di ripristinare il<br />
diritto classico nel suo insieme, e di ripristinarlo non per<br />
metterlo in una vetrina, ma per farlo sopravvivere» 8 . E<br />
ancora: «Per insigne fortuna <strong>del</strong> diritto romano e<br />
nostra, l’opera <strong>del</strong> genio si è imposta anche questa volta,<br />
e l’imperatore d’Oriente al quale la compilazione è<br />
dovuta è riuscito con essa a salvare nelle linee essenziali<br />
il più insigne monumento <strong>del</strong>la romanità» 9 .<br />
Il giudizio concorde di due dei massimi studiosi<br />
<strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> diritto romano rende più che evidenti<br />
quelli che dovevano essere i sentimenti che ispiravano<br />
Giustiniano, né si deve pensare che l’imperatore si<br />
fosse limitato solo a dare l’incarico a Triboniano ed<br />
agli altri collaboratori. Egli prese parte attiva all’elaborazione<br />
<strong>del</strong>l’opera, tanto che in soli tre anni si giunse<br />
alla pubblicazione, il 16 Dicembre 533.<br />
Alla luce di quanto sopra diventa più comprensibile<br />
la preoccupazione nutrita dall’imperatore che il<br />
risultato di tanto impegno potesse finire vanificato o<br />
alterato dal lavoro dei commentatori i quali, con la<br />
loro proverbiale verbosità e con tutti i distinguo che<br />
avrebbero sicuramente introdotto, forse sarebbero<br />
giunti a guastare la letterale interpretazione <strong>del</strong> codex<br />
così come invece era stata voluta. Di qui il divieto,<br />
accompagnato dalla minaccia di gravi sanzioni penali,<br />
di commentare l’opera. Giustiniano forse non si rendeva<br />
conto che divieti di questo genere determinano<br />
l’inaridimento di ogni approfondimento e, soprattutto,<br />
di ogni evoluzione culturale; eppure era proprio questo<br />
che voleva evitare. Un atteggiamento piuttosto<br />
presuntuoso, ma in linea con il personaggio, che era<br />
convinto che la sua funzione imperiale gli derivasse<br />
direttamente da Dio. «...la teoria <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong><br />
potere nel mondo in riflesso e in funzione <strong>del</strong>l’ordine<br />
naturale voluto da Dio è ribadita dal diacono Agapeto<br />
fin dal primo dei suoi Capitoli Parenetici, uno dei più<br />
antichi esempi medievali di Speculum principis, il cui<br />
acrostico esprime il nome di Giustiniano» 10 .<br />
Non si deve dimenticare che già dall’epoca di<br />
Costantino si era fatta strada l’idea sostenuta da<br />
Eusebio di Cesarea che «l’impero cristiano non è che<br />
una imitazione, una mimesis, e nello stesso tempo<br />
un’anticipazione <strong>del</strong> Regno dei Cieli» 11 .<br />
Vale la pena ricordare che solo qualche decennio<br />
prima (492) la famosa lettera di papa Gelasio I all’imperatore<br />
Anastasio I intendeva affermare in modo<br />
neppure velato la supremazia papale sull’imperatore 12 .<br />
Con Giustiniano sembra ristabilita la parità, anzi con
un notevole vantaggio per la corona, che aveva avuto<br />
il potere di ingiungere al papa di presentarsi al suo<br />
cospetto.<br />
Molta perplessità è sorta presso gli studiosi in<br />
ragione <strong>del</strong> tempo, incredibilmente breve - dal<br />
Dicembre 530 al Dicembre 533 - impiegato nel condurre<br />
a termine la monumentale opera dei Digesta, ma<br />
è una valutazione che si riferisce soprattutto all’analisi<br />
<strong>del</strong>le fonti a cui si sono rivolti i compilatori ed ai metodi<br />
da loro seguiti nell’esegesi <strong>del</strong>le stesse, che qui non<br />
interessa esaminare. Sicuramente il loro lavoro fu<br />
grandemente agevolato dalle ricerche e dal riordino<br />
effettuati dai compilatori dei codici precedenti.<br />
Per quanto concerne l’attività politica di<br />
Giustiniano, la questione si presenta piuttosto complessa.<br />
L’Impero era ancora esteso tanto quanto<br />
bastava per impegnarne le forze dalla Spagna<br />
all’Africa e all’Italia e dai Balcani ai confini orientali.<br />
Nessuna vittoria era mai decisiva tanto quanto<br />
sarebbe stato necessario per assicurare un periodo di<br />
tranquillità sufficiente a permettere di affrontare i<br />
tanti problemi in modo organico e risolutivo. Il più<br />
<strong>del</strong>le volte gli effetti positivi duravano lo spazio di<br />
pochi anni o addirittura di pochi mesi, mentre ogni<br />
sia pure piccola sconfitta rischiava di essere quella<br />
definitiva, che avrebbe precluso ogni possibilità di<br />
risollevarsi. Nel 533-534 l’imperatore aveva portato<br />
a termine la riconquista di una parte di quella che era<br />
stata la provincia d’Africa. Subito dopo si era impegnato<br />
nella Guerra gotica (536-552) e poi (554)<br />
aveva iniziato le operazioni nella Spagna meridionale:<br />
un grande sforzo, durato complessivamente trent’anni,<br />
a cui corrispose un risultato veramente<br />
modesto. C’è anche il sospetto, non infondato, che<br />
la scarsità dei risultati e soprattutto il tempo eccessivo<br />
impiegato per raggiungerli fossero in buona parte<br />
addebitabili alla gelosia <strong>del</strong>lo stesso imperatore per<br />
un bravo generale che poteva metterlo in ombra ed<br />
ad intrighi di palazzo. Questi avrebbero portato a<br />
lesinare sui mezzi, sia economici sia militari, forniti<br />
a Belisario ed infine alla sua sostituzione con<br />
Narsete, il potente eunuco – al quale Teodora doveva<br />
riconoscenza per essersi adoperato qualche anno<br />
prima ad Alessandria per rimettere sulla cattedra<br />
vescovile Teodosio (monofisita) ed ad esiliare i suoi<br />
avversari - che muoveva con astuzia le sue pedine a<br />
Costantinopoli.<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
- 65 -<br />
Fig. 7 - Giustiniano e Costantino presentano alla Vergine in trono con il Bambino il<br />
mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la Chiesa di S. Sofia e <strong>del</strong>la città di Costantinopoli.<br />
Istambul, Chiesa di S. Sofia (mosaico, X sec.).<br />
Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che «lo<br />
smembramento politico d’Italia fino alla metà <strong>del</strong> XIX<br />
secolo fu conseguenza <strong>del</strong>la politica bizantina nella<br />
prima metà <strong>del</strong> VI secolo» 13 . Questa è una congettura<br />
che parte dall’assunto che l’azione di ‘riconquista’ <strong>del</strong>la<br />
penisola messa in atto da Giustiniano avrebbe reso in<br />
loco più debole la presenza <strong>del</strong>l’elemento germanico e<br />
perciò avrebbe compromesso la successiva azione unificante<br />
degli imperatori.<br />
Il grande impegno messo in atto per la ‘ricostruzione’<br />
<strong>del</strong> diritto romano deve essere visto anche e,<br />
forse, soprattutto come un passaggio indispensabile<br />
e fondamentale per la vagheggiata ricostituzione<br />
<strong>del</strong>l’Impero romano. Perché questo potesse risorgere<br />
e vivere era assolutamente essenziale che vi fosse<br />
anche una legge valida per tutti, una legge unificante<br />
che avesse forza e prestigio al di sopra di tutte le consuetudini<br />
locali formatesi e sedimentatesi nel tempo<br />
con la scomparsa <strong>del</strong> potere centrale e con l’importazione<br />
dei costumi barbarici dei popoli invasori. In<br />
precedenza già Diocleziano aveva cercato «di applicare<br />
gli istituti ed i principi romani ai popoli<br />
<strong>del</strong>l’Impero e di negare l’autorità <strong>del</strong>le norme locali»<br />
14 . Con l’abdicazione di quell’imperatore anche il<br />
suo tentativo si esaurì e con il declino <strong>del</strong>l’importanza<br />
di Roma come capitale a vantaggio di<br />
Costantinopoli anche il diritto privato romano subì<br />
una perdita d’importanza nei confronti dei diritti<br />
provinciali. Come si sa gli eventi andarono diversamente<br />
da quanto avrebbe voluto Giustiniano, nondimeno<br />
si deve riconoscere nella sua impostazione una<br />
visione organica <strong>del</strong> problema ed una genialità nata<br />
da una grande mente politica.
Per la ricostituzione <strong>del</strong>l’impero certamente era<br />
importante l’uniformità <strong>del</strong>la legislazione, ma non<br />
meno essenziale era l’unione religiosa. Va da sé che non<br />
era neppure immaginabile tornare al culto, ufficiale e di<br />
stato, <strong>del</strong> Genius <strong>del</strong>l’imperatore o a quello <strong>del</strong>la Triade<br />
Capitolina, come avveniva al tempo <strong>del</strong>l’Impero pagano,<br />
che però tollerava quasi tutte le altre religioni.<br />
Giustiniano era profondamente cristiano, per cui non<br />
poteva ammettere che nei territori a lui soggetti potessero<br />
esistere religioni diverse da quella cristiana ortodossa.<br />
Per conseguenza condusse con impegno - secondo<br />
alcuni anche con ferocia - una guerra senza tregua<br />
contro ogni religione pagana e contro tutte le eresie,<br />
tranne naturalmente contro il monofisismo che alla<br />
corte di Costantinopoli godeva di una particolare ed<br />
autorevole protezione. Furono perseguitati e costretti<br />
alla conversione molti popoli pagani, tra questi numerose<br />
popolazioni egizie che coltivavano ancora gli antichi<br />
culti di Ammon Ra e di Iside, radicati lungo il Nilo<br />
da circa tre millenni. Non ebbero miglior sorte gli Ebrei<br />
ed i Samaritani, oppressi in ogni modo, ma che, a più<br />
riprese, tentarono di risollevare la testa: agli Ebrei fu<br />
vietato persino l’uso <strong>del</strong>la loro lingua nelle sinagoghe; ai<br />
Samaritani fu addirittura negato il diritto di proprietà. Il<br />
problema di questi ultimi fu peraltro risolto definitivamente<br />
ed in modo drastico dall’imperatore che seguì il<br />
nipote Giustino II (520-578, imp. dal 565), il quale, in<br />
seguito ad un’ultima rivolta, mise in atto una repressione<br />
tanto violenta che sopravvissero solo pochi sparuti<br />
gruppi di Samaritani. Un trattamento analogo lo avevano<br />
già subito i Manichei, con sentenze capitali eseguite<br />
alla presenza di Giustiniano.<br />
L’unificazione religiosa restava comunque incompleta,<br />
perché permaneva irrisolto lo screzio fra ortodossia<br />
e monofisismo, rappresentati sul piano politico proprio<br />
dalla coppia imperiale. Il tentativo di raggiungere<br />
un compromesso fu perseguito dall’imperatore con<br />
grande decisione - al punto di costringere il pontefice<br />
romano, come si è visto, a presentarsi a Costantinopoli<br />
ed a trattenerlo contro la sua volontà per ben otto anni<br />
- ma si risolse in un fallimento completo. E’ questo il<br />
momento in cui ebbe inizio in modo più percepibile il<br />
progressivo allontanamento <strong>del</strong>la Chiesa romana da<br />
quella costantinopolitana, che diventerà irreversibile per<br />
effetto <strong>del</strong>l’introduzione nel Credo niceno <strong>del</strong>la parola<br />
«Filioque» e con le successive scomuniche incrociate tra<br />
papa Leone IX e il patriarca Michele Cerulario (16<br />
Luglio 1054).<br />
SALTERNUM<br />
- 66 -<br />
In Giustiniano la visione <strong>del</strong> problema religioso e<br />
di quello politico non era tuttavia disgiunta. Il monachesimo<br />
orientale già dal V secolo, forse anche prima,<br />
aveva acquistato una notevole influenza nella vita religiosa.<br />
Evidentemente stanchi <strong>del</strong>le diatribe fra le varie<br />
correnti di pensiero teologico che imperversavano<br />
con il solo risultato di fare sorgere dubbi ed eresie, i<br />
monaci ritenevano che la via per il raggiungimento<br />
<strong>del</strong>la conoscenza di Dio fosse unicamente quella <strong>del</strong>l’ascesi.<br />
Di qui la loro avversione verso l’alleanza tra<br />
Stato e Chiesa.<br />
In quel periodo molte chiese non disdegnavano di<br />
dedicarsi all’attività imprenditoriale. Sappiamo che la<br />
chiesa di Hagia Sophia di Costantinopoli, con i suoi<br />
quattrocento dipendenti fra presbiteri e altro personale,<br />
si occupava <strong>del</strong>le pompe funebri <strong>del</strong>la città non solo<br />
sotto l’aspetto religioso, ma anche sotto quello molto<br />
più remunerativo <strong>del</strong>l’impresa commerciale, il tutto<br />
con il beneplacito e l’incoraggiamento <strong>del</strong>lo Stato.<br />
Altre chiese avevano avviato attività artigianali. In<br />
fondo erano tutti impegni indispensabili per assicurare<br />
di che vivere al clero ed a tutti coloro che con esso collaboravano.<br />
Ma questo non era approvato dai monaci<br />
che avevano un diverso concetto <strong>del</strong>la religiosità, concepita<br />
soprattutto come isolamento dal mondo.<br />
Se la Chiesa doveva dunque essere protetta, nondimeno<br />
si doveva tenere conto <strong>del</strong> movimento monastico,<br />
che in ogni caso riscuoteva grande rispetto e venerazione<br />
fra i cittadini. Giustiniano si sforzò di mediare<br />
fra le parti, legiferando in modo da contemperare le<br />
due posizioni. D’altra parte a questo imperatore si fa<br />
risalire un buon numero di scritti di argomento religioso,<br />
molti di carattere dottrinario. Non sappiamo<br />
però, tra i tanti che gli sono stati attribuiti, quanti e<br />
quali siano ascrivibili realmente alla sua penna e quanti<br />
ad altri, forse anche da lui stesso ispirati.<br />
Egli avvertì sempre e profondamente l’importanza<br />
<strong>del</strong>la funzione imperiale, non tanto in riferimento alla<br />
sua persona, quanto al ruolo rivestito come<br />
Imperatore romano. Se i suoi predecessori, da<br />
Augusto a Graziano - che vi rinunciò nel 379, avevano<br />
rivestito le funzioni di pontifex maximus, come conseguenza<br />
logica a lui spettava quella analoga di tramite<br />
fra il Dio dei Cristiani e gli uomini. E’ il concetto<br />
<strong>del</strong>l’homoiosis, <strong>del</strong>la parificazione o, quanto meno, <strong>del</strong>la<br />
contiguità <strong>del</strong>l’imperatore a Dio. Nella liturgia imperiale,<br />
i due troni affiancati, di cui uno occupato dalla<br />
croce e l’altro dal sovrano, sono un’efficace e imme-
diata rappresentazione visiva di questa vicinanza. Il<br />
complesso di norme istituite per regolamentare il<br />
modo con cui i comuni mortali potevano avvicinarsi al<br />
monarca era inteso ad enfatizzarne la figura, presentarla<br />
come una promanazione di Dio. D’altra parte, al<br />
di là <strong>del</strong>la sua indiscutibile fede religiosa, Giustiniano<br />
non era il primo fra gli imperatori ad essere assimilato<br />
alla divinità e nel vicino Oriente, dall’Egitto alla<br />
Mesopotamia, l’identificazione <strong>del</strong> sovrano con gli dèi<br />
era un concetto risalente a diversi millenni prima <strong>del</strong><br />
suo tempo. Il solito Procopio pone in evidenza come<br />
il grande impegno posto nella costruzione di tanti edifici<br />
pubblici – circa trenta chiese - ed anche privati<br />
avesse per lui un’importanza non inferiore a quella<br />
legata all’aspetto giuridico <strong>del</strong>la sua attività o a quella<br />
<strong>del</strong>la riconquista <strong>del</strong>le antiche province imperiali: rientrava<br />
tutto nella manifestazione ed esaltazione <strong>del</strong>la<br />
maiestas.<br />
Luci ed ombre dunque nella figura di questo imperatore.<br />
Uomo di profonda cultura, era anche religiosissimo,<br />
ma la sua religiosità non gli era d’ostacolo quando<br />
decideva di assumere atteggiamenti arroganti e violenti<br />
anche contro persone, che per le loro funzioni<br />
legate alla religione avrebbero dovuto essere al riparo<br />
da simili comportamenti. Come il suo predecessore e<br />
zio, egli non ebbe scrupoli a fare cinicamente uccidere<br />
uomini ai quali solo pochi giorni prima aveva conferito<br />
riconoscimenti ed onori, ma che potevano rappresentare<br />
un pericolo per le sue ambizioni. La sua<br />
fede cristiana non gli impedì di far massacrare migliaia<br />
di cittadini; ben più, a quanto si dice, di quanti ne<br />
abbia fatto uccidere il suo predecessore Teodosio I<br />
(347-395, imp. dal 379) e che per questo aveva dovuto<br />
umiliarsi ed invocare il perdono (390) <strong>del</strong> vescovo<br />
Ambrogio di Milano.<br />
In occasione <strong>del</strong>la rivolta popolare di Nika<br />
Giustiniano si rivelò assai poco coraggioso, pronto<br />
com’era alla fuga. Tollerò la corruzione dilagante negli<br />
ambienti governativi e non ebbe tentennamenti a<br />
prendervi parte attivamente. Si disse anche che fosse<br />
solito falsificare a proprio vantaggio i testamenti di<br />
persone facoltose che erano decedute.<br />
Verosimilmente non conosceremo mai la verità, ma<br />
questa fama di rapacità che lo ha accompagnato non<br />
lo metteva certo in buona luce. E’ anche possibile che<br />
questo fosse uno dei motivi scatenanti la rivolta di<br />
Nika; Triboniano, il grande giurista, sembra che abbia<br />
partecipato attivamente a questa corruttela, tanto che<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
- 67 -<br />
per un breve periodo fu allontanato dal palazzo.<br />
L’Imperatore mise in atto un sistema fiscale talmente<br />
vessatorio che, a quanto si disse, molti contadini<br />
abbandonarono la terra per trovare riparo altrove. Ma<br />
gli esattori <strong>del</strong> fisco imperiale non esitarono a chiedere<br />
il pagamento <strong>del</strong>le loro imposte ai vicini rimasti.<br />
Questo fatto, aberrante per la nostra mentalità, era<br />
invece in linea con le leggi <strong>del</strong>l’epoca che, in parte,<br />
prendevano le mosse dai tempi di Costantino, quando,<br />
vincolandosi le persone alle attività economiche, ma<br />
anche amministrative, svolte nel momento <strong>del</strong>la promulgazione<br />
<strong>del</strong>le stesse, divenne possibile, per estensione,<br />
stabilire le imposte non già pro capite, ma per<br />
categorie di attività, per cui veniva tassato non il singolo<br />
artigiano, ma globalmente l’intera ‘corporazione’.<br />
Analogamente, nelle campagne la tassazione non colpiva<br />
il singolo contadino, ma tutti i contadini residenti<br />
in un certo territorio. In questo modo diventava irrilevante<br />
se il numero dei soggetti sui quali veniva ripartito<br />
il carico fiscale era lo stesso di quando era stato<br />
stabilito inizialmente oppure avesse subito qualche<br />
variazione. Una prassi molto simile era stata attiva<br />
anche nella Roma repubblicana nei rapporti tributari<br />
con le città italiche (Tito Livio, XXXIX 3, 4).<br />
Naturalmente Chiesa, ecclesiastici e nobiltà erano<br />
esentati da ogni forma di tributo; ma nel caso dei<br />
nobili, confische dei beni per i più svariati motivi<br />
divennero prassi costante e Giovanni di Cappadocia,<br />
altro personaggio ambiguo, s’ingegnò a servire il suo<br />
sovrano in questo senso.<br />
Queste ultime notizie ci vengono prevalentemente<br />
dalla Storia Segreta di Procopio, perciò è bene prenderle<br />
con cautela, tuttavia diversi indizi fanno ritenere che<br />
forse lo storico ha solo accentuato, con molta malizia,<br />
alcuni elementi di verità incontestabili.<br />
Se l’oppressione fiscale era spropositata nella zona<br />
orientale <strong>del</strong>l’impero giustinianeo, in Italia, ove la<br />
Guerra Gotica aveva portato lutti, distruzioni e<br />
soprattutto fame, le condizioni erano divenute addirittura<br />
insostenibili e l’Imperatore se ne rese conto perfettamente<br />
perciò concesse una moratoria di cinque<br />
anni per i debiti contratti nel periodo bellico, ma solo<br />
per quanto si atteneva ai rapporti fra privati: per quanto<br />
riguardava i debiti con il fisco imperiale, furono<br />
condonati per un solo anno gli arretrati d’imposta 15 .<br />
Un altro aspetto, questa volta positivo, <strong>del</strong> governo<br />
giustinianeo è che con lui ebbe inizio un rapporto<br />
commerciale diretto e costante con la Cina 16 , lungo un
SALTERNUM<br />
Fig. 11 - L’imperatrice Teodora con il suo seguito. Ravenna, basilica di S. Vitale, mosaico <strong>del</strong>la parete laterale dx <strong>del</strong> presbiterio (a. 547 ca).<br />
percorso che sarà poi seguito, secoli<br />
dopo, da Marco Polo. E’ in questo<br />
periodo che viene introdotto nell’impero<br />
l’allevamento <strong>del</strong> baco da seta e,<br />
di conseguenza, la produzione di tessuti<br />
pregiati dei quali Costantinopoli<br />
era grande consumatrice.<br />
Un giudizio severo su questo<br />
imperatore lo troviamo in uno storico<br />
<strong>del</strong> XX secolo, il Diehl:<br />
«Trascurando però troppo l’Oriente<br />
senza curarsi dei pericoli che minacciavano<br />
l’Impero da questa parte,<br />
spossando nelle sue imprese le risorse<br />
finanziarie e militari <strong>del</strong>la<br />
Monarchia, Giustiniano fece senza<br />
dubbio all’Impero più male che<br />
bene: l’imperatrice Teodora, orientale<br />
di nascita, vedeva forse più chiaro<br />
che non il suo imperiale marito allorché si sforzava di<br />
por fine alle controversie religiose (…). Comunque,<br />
alla morte di Giustiniano, la situazione <strong>del</strong>l’Impero era<br />
Fig. 9 - Giustiniano, ritratto musivo. Ravenna,<br />
basilica di S. Apollinare in Classe (a. 549 ca).<br />
- 68 -<br />
deplorevole». Il giudizio potrebbe<br />
essere condivisibile, a parte il fatto<br />
che non sembra che Teodora, con il<br />
sostegno caparbiamente accordato al<br />
Monofisismo, si fosse adoperata<br />
granché per superare le controversie<br />
religiose 17 .<br />
Nel 542 una catastrofe si abbatté<br />
sull’Impero, un’epidemia di peste bubbonica<br />
che imperverserà per due anni<br />
arrecando morti in quantità. Sembra<br />
che l’infezione fosse stata importata<br />
dall’Etiopia. Anche l’Imperatore e<br />
Teodora ne furono contagiati, ma<br />
entrambi sopravvissero; ne morì invece<br />
Triboniano, mentre Giustiniano<br />
raggiunse l’età, veramente insolita per<br />
quei tempi, di 83 anni, morendo il 13<br />
Novembre 565. Teodora lo aveva preceduto<br />
nel 548, ‘divorata dal cancro’, a sentire l’impietoso<br />
Procopio.
Note<br />
1 Giovanni da Efeso (506 ca. – 585), conosciuto<br />
anche come Giovanni di Amidas,<br />
vescovo monofisita e perciò pienamente<br />
partecipe <strong>del</strong>le convinzioni religiose <strong>del</strong>la<br />
sovrana, nella terza parte <strong>del</strong>la sua opera<br />
Storia <strong>del</strong>la Chiesa, giuntaci mutila <strong>del</strong>le sue<br />
due prime parti, parla di lei definendola<br />
‘Teodora <strong>del</strong> postribolo’.<br />
2 Il Monofisismo era un’eresia molto diffusa<br />
nell’oriente cristiano e particolarmente ad<br />
Alessandria in Egitto. I suoi adepti riconoscevano<br />
in Gesù la sola natura divina e non<br />
anche quella umana.<br />
3 Sembra che Teodora fosse stata convinta a<br />
quel credo religioso perché trovandosi nella<br />
città abbandonata dal suo precedente<br />
amante Ecebolo, giovane dignitario imperiale,<br />
trovò assistenza e protezione presso<br />
PIETRO CRIVELLI<br />
Le figg. 1-6 sono tratte da L’Arte bizantina nell’età di Giustiniano, “Art Dossier”, 23, Firenze 1988;<br />
Le figg.7-9 da L’altro Medioevo. L’arte bizantina e musulmana. Da Roma al preromanico, Novara 1990.<br />
Bibliografia<br />
ARANGIO-RUIZ V. 1989, Storia <strong>del</strong> Diritto<br />
Romano, Napoli.<br />
DIEHL CH. 1957, I grandi problemi <strong>del</strong>la Storia<br />
Bizantina, (trad. it. F. GAETA), Bari.<br />
GUARINO A. 1994, Storia <strong>del</strong> Diritto Romano,<br />
Napoli.<br />
alcuni monaci monofisiti.<br />
4 Si deve notare che entrambi, sia Silverio,<br />
sia Vigilio, nel momento in cui furono elevati<br />
al soglio pontificio non erano sacerdoti,<br />
ma solamente diaconi.<br />
5 HAUSSIG 1964, pp. 148-149.<br />
6 GUARINO 1994, p. 555.<br />
7 La rivendicazione dei poteri regi da parte<br />
di Federico Barbarossa è formulata con il<br />
sostegno teorico dei giuristi che studiano il<br />
diritto romano nell’università di Bologna.<br />
Proprio qui si è tornati a studiare nella sua<br />
integrità il Corpus iuris civilis, proponendolo<br />
come diritto comune di tutta la cristianità,<br />
come cornice entro cui disciplinare i diritti<br />
particolari (ZORZI 2009, vol. IV).<br />
8 GUARINO 1994, p. 567.<br />
9 ARANGIO-RUIZ 1989, p. 348.<br />
HAUSSIG H. W. 1964, Storia e Cultura di<br />
Bisanzio, Milano.<br />
KRAUTHEIMER R. 1987, Tre Capitali<br />
Cristiane, Torino (ed. it.).<br />
LUZZATTO G. 1963, Storia Economica d’Italia.<br />
Il Medioevo, Firenze.<br />
- 69 -<br />
10 RONCHEY 2002, p. 82.<br />
11 KRAUTHEIMER 1987, p. 102.<br />
12 «Duo quippe sunt, imperator auguste, quibus<br />
principaliter mundus hic regitur: auctoritas sacrata<br />
pontificum et regalis potestas». Nel diritto<br />
romano il concetto di auctoritas implicava il<br />
potere legislativo, mentre quello di potestas<br />
era solamente esecutivo. Da qui discende il<br />
concetto <strong>del</strong>la superiorità papale rafforzata<br />
dall’aggettivo sacra.<br />
13 HAUSSIG 1964, p. 80.<br />
14 VOLTERRA 1983, pp. 304-305.<br />
15 LUZZATTO 1963, p. 48.<br />
16 RONCHEY 2002, p. 62.<br />
17 DIEHL 1957, p. 80.<br />
RONCHEY S. 2002, Lo Stato Bizantino,<br />
Torino.<br />
VOLTERRA E. 1983, Diritto Romano e Diritti<br />
Orientali, Napoli.<br />
ZORZI A. 2009, Il Medioevo, a cura U. ECO,<br />
Roma.
- 70 -
L’eremitismo rupestre,<br />
Prepezzano e la grotta <strong>del</strong>l’Angelo<br />
Anello tra la morfologia ed i caratteri strutturali<br />
<strong>del</strong> territorio, tra la realtà <strong>del</strong>l’ambiente<br />
e la cultura dei centri, tra la solitudine<br />
ascetica e la pratica comunitaria, l’insediamento<br />
rupestre è testimone dei più profondi valori abitativi e<br />
cultuali <strong>del</strong>la civiltà mediterranea. Soprattutto il significato<br />
di una indagine sugli insediamenti rupestri assume<br />
funzione di essenziale contributo alla conoscenza<br />
<strong>del</strong> percorso evolutivo <strong>del</strong>l’habitat: è nelle abitazioni<br />
nel masso che si è innestato, dalla preistoria ad oggi,<br />
l’agglomerato umano.<br />
Gli insediamenti rupestri costituiscono una fenomenologia<br />
tipica <strong>del</strong>la secolare trasformazione <strong>del</strong>l’habitat<br />
italiano. Si collegano, nelle manifestazioni originarie,<br />
alla morfologia <strong>del</strong> suolo, a finalità di organizzazione<br />
<strong>del</strong>la vita economico-sociale, a necessità insediative<br />
ed abitative, alle forme di seppellimento cimiteriale,<br />
alle quali fin dall’inizio si sono connessi motivi di<br />
carattere religioso.<br />
Nella prospettiva più attuale il fenomeno eremitico<br />
riacquista il suo originario valore nell’analisi <strong>del</strong>l’evoluzione<br />
dei centri e <strong>del</strong> territorio. Non si tratta, infatti,<br />
solo di forme disperse e sporadiche di insediamento,<br />
di scelte di vita individuale, ma di aspetti legati all’evoluzione<br />
territoriale ed alle sue originarie motivazioni.<br />
Un’indagine su questo tema significa, dunque, non<br />
solo riscoprire l’antica leggenda, ma ritrovare i fondamenti<br />
storici che, spesso, fanno <strong>del</strong>la grotta la prima<br />
inserzione nel territorio: valga l’esempio <strong>del</strong>la ‘grotta<br />
di S. Alferio’ a Cava, origine <strong>del</strong>la Badia 1 . L’eremitismo<br />
rupestre è infatti alla base <strong>del</strong> processo evolutivo che<br />
introdusse nella comunità una vita religiosa monastica<br />
organizzata. L’evoluzione <strong>del</strong>l’elemento religioso<br />
appare connesso fin dall’inizio da condizionamenti<br />
morfologico-ambientali 2 .<br />
Tipico <strong>del</strong>l’ambiente campano e particolarmente<br />
salernitano è il riutilizzo di cavità naturali come oratori<br />
ADRIANO CAFFARO<br />
- 71 -<br />
e laure cenobitiche, con il solo apporto figurativo di<br />
popolari affreschi o talvolta con interventi architettonici<br />
elementari, che risultano diversi dalla ricerca spaziale<br />
rupestre, che emerge invece negli esempi pugliesi<br />
e lucani.<br />
Infatti, la roccia tenera che tipicizza gli ambienti<br />
territoriali rupestri <strong>del</strong>la Puglia e <strong>del</strong>la Basilicata permette<br />
la realizzazione di forme architettoniche. Così,<br />
come ‘gruviere’ scavate all’interno ed adattate a chiese,<br />
ad abitazioni apparentemente più o meno improvvisate<br />
nella roccia, ad ambienti diretti ad usi religiosi o<br />
a ricovero di cose e di animali, sorsero i Sassi di<br />
Matera e gli altri centri, che espressero questa forma<br />
particolare di civiltà.<br />
La natura calcarea <strong>del</strong>la roccia in Campania ha invece<br />
reso necessaria una scelta obbligata dei luoghi di<br />
insediamento: grotte naturali o ripari sottoroccia dove<br />
vennero realizzati limitati interventi adattativi, inserendo<br />
altari, cappelle, elementi architettonici e decorativi.<br />
I particolari anfratti dei rilievi montani locali offrirono<br />
una buona occasione per concretizzare le aspirazioni<br />
religiose dei monaci. Esaminare le direttrici concrete<br />
<strong>del</strong>la penetrazione monastica permette dunque<br />
di comprendere i caratteri <strong>del</strong> rapporto tra gli insediamenti<br />
rupestri e la realtà <strong>del</strong> territorio.<br />
Come ho già avuto modo di scrivere, l’area compresa<br />
tra la valle <strong>del</strong>l’Irno e la catena montana dei<br />
Picentini è stata interessata, a partire dal secolo IX, da<br />
un’intensa penetrazione monastica 3 . Ai monaci greci,<br />
già assestatisi in Sicilia dopo la conquista giustinianea<br />
<strong>del</strong> vicino Oriente 4 , in cerca di spazi per realizzare in<br />
forma anacoretica o cenobitica il loro ideale di vita<br />
appartata e silenziosa, le anfrattuosità dei monti<br />
Picentini dovevano offrire una buona occasione per<br />
concretizzare la propria ispirazione religiosa.<br />
In quest’area, la prima penetrazione ‘basiliana’, cui<br />
seguì lo stanziamento monastico benedettino, conob-
Fig. 1 - Ogliara (SA). Grotta <strong>del</strong> S. Salvatore; in evidenza le altre località citate nel<br />
testo.<br />
be all’inizio esiti stanziali caratterizzati da vita comunitaria:<br />
ad una fase propriamente eremitica sarebbe<br />
seguita una fase cenobitica, con l’aggregazione dei<br />
monaci nel rispetto di una condivisa disciplina spirituale.<br />
L’insediamento rupestre sorge generalmente dall’iniziativa<br />
solitaria di un singolo eremita o di un gruppo<br />
spontaneo di religiosi. Spesso è connesso ad un monastero<br />
preesistente, di cui la chiesa rupestre costituisce<br />
l’estensione, perché la comunità monastica sceglie per<br />
l’isolamento ascetico singolo o collettivo una grotta,<br />
spesso posta nelle sue proprietà, talvolta utilizzata<br />
anche come rifugio, dove fosse possibile ai monaci<br />
recuperare l’ispirazione ascetica e vivere in solitudine<br />
e preghiera. Il luogo ha successivamente potuto raggiungere<br />
una sua autonomia evolutiva, anche soprattutto<br />
religiosa, rispetto al monastero promotore <strong>del</strong>l’insediamento<br />
originario, con l’edificazione di una<br />
chiesa, talvolta trasformata in santuario o luogo di<br />
culto. Un esempio è dato dal vicino insediamento<br />
rupestre <strong>del</strong> S. Salvatore sul monte Stella 5 in località<br />
Ogliara di Salerno (fig. 1), sorto per iniziativa dei<br />
monaci di S. Maria de Vetro, i quali hanno prescelto la<br />
grotta come luogo di riferimento per un insediamento<br />
ascetico, che successivamente ha raggiunto una<br />
propria indipendente autonomia, soprattutto quando<br />
SALTERNUM<br />
- 72 -<br />
il monastero originario è stato abbandonato. Il primo<br />
documento attestante l’esistenza <strong>del</strong>la chiesa rupestre<br />
sul monte Vetro risale al 1173: vi è citata la Ecclesia S.<br />
Salvatoris de Vetro Grancia Venerabile Monastero S. Maria<br />
de Vetro 6 . I due siti religiosi, il monastero di S. Maria de<br />
Vet(e)ro e la chiesa rupestre <strong>del</strong> S. Salvatore, corrisponderebbero,<br />
quindi, a due dimensioni <strong>del</strong>la vita monastica,<br />
rispettivamente alla cenobitica e all’eremitica 7 .<br />
Molti insediamenti rupestri non sono tuttavia<br />
riconducibili all’eremitismo, ma nascono dalla devozione<br />
e dall’iniziativa popolari; in particolare risultano<br />
connessi al culto angelico, dedicato all’arcangelo<br />
Michele, santificato malgrado la sua natura angelica.<br />
Le popolazioni medievali guardavano alle grotte<br />
con un misto di timore e di senso sacrale, perché le<br />
cavità si riconnettevano alle profondità <strong>del</strong>la terra e<br />
perché esse vedevano la necessaria presenza di divinità<br />
tutelari, che difendevano dai pericoli provenienti<br />
dagli inferi. Perciò, alle grotte era attribuita la presenza<br />
<strong>del</strong>l’arcangelo Michele, che aveva con coraggio e<br />
successo sconfitto il diavolo e che costituiva un sicuro<br />
presidio a difesa <strong>del</strong>le popolazioni pastorali. Le quali,<br />
grate all’Arcangelo, potevano utilizzare le grotte per<br />
diverse funzioni civili e religiose ed anche come luogo<br />
di rifugio in caso di calamità.<br />
Tra gli esempi di grotte connesse al culto angelico<br />
e dedicati a S. Michele Arcangelo 8 , il caso più<br />
importante è quello <strong>del</strong>la vicina Olevano sul<br />
Tusciano (fig. 2), mèta di pellegrinaggi già nell’867-<br />
870, quando il monaco Bernardo, di ritorno dalla<br />
Terra Santa, vi si recò attirato dalla fama di santità<br />
<strong>del</strong> luogo 9 . All’interno <strong>del</strong>l’enorme grotta, egli ed i<br />
due monaci che lo accompagnavano rinvennero ben<br />
sette altari 10 .<br />
Un altro insediamento rupestre micaelico, conosciuto<br />
solo dalla popolazione locale 11 e tuttora mèta di<br />
pellegrinaggi, è a Prepezzano: «in loco propiciano ubi<br />
monte de spelengaru dicitur ad honorem sancti angeli», così in<br />
un documento <strong>del</strong> 1064 riportato dal Codice<br />
Diplomatico Cavese 12 . Nelle Decime e inquisizioni <strong>del</strong>l’anno<br />
1309 è indicata come S. Angelo de Sprelonga ed ha<br />
come rettore l’abbate Nicola Fissamari, «cui valent unc.<br />
I et tar. X» 13 . E a Prepezzano il culto micaelico era così<br />
vivo che abbiamo testimonianza, purtroppo solo storica,<br />
<strong>del</strong>la chiesa di S. Angelo de Pretora, di cui era rettore<br />
Pietro Pagina, come risulta nell’elenco <strong>del</strong> pagamento<br />
<strong>del</strong>le decime <strong>del</strong> 1309, «cui valet unc. viginti duo et<br />
abbati extalerio eiusdem ecclesie...» 14 .
La località viene citata in un contratto di permuta<br />
di terre <strong>del</strong> 1000, dov’è specificato «in locum propiciano,<br />
locus extra Salernum apud flumen Rinecclum» 15 e a proposito<br />
di una divisione di beni tra il principe Guaimario e<br />
i suoi fratelli Guidone e Pandolfo <strong>del</strong> 1049: «de loco<br />
propiciano, ubi centura dicitur» 16 .<br />
Prepezzano, situato alla base dei colli Briano e<br />
Orsata, è attraversato dal fiume omonimo, un tempo<br />
Rinecclum. Sono documentate numerose chiese e cappelle<br />
17 . Delle più antiche segnalo quelle di S. Cataldo, «quam<br />
ipse Riccardus presbyter a novo fundamine cepit et constituit in loco<br />
propiciano scilicet in monte berriani» e di S. Felice de eodem loco<br />
propiciano, ambedue citate negli stessi documenti <strong>del</strong><br />
1161 18 e 1173 19 . Nell’elenco <strong>del</strong>le ‘decime’ <strong>del</strong> 1309 risulta<br />
rettore <strong>del</strong>la chiesa di S. Felice l’abate Pietro Pagina di<br />
Salerno, lo stesso di S. Angelo «de Pretora, cui valet unc. I et<br />
tar. X et dompno Marsilio capellano dicte ecclesie» 20 . L’unica esistente<br />
è la chiesa di S. Nicola, fortemente danneggiata<br />
dal sisma <strong>del</strong> 23 novembre 1980 e riaperta al culto il 14<br />
settembre 2009. Menzionata nello stesso precedente<br />
documento <strong>del</strong> 1173 con il suo presbitero Landolfo, nel<br />
1309 è elencata nel versamento <strong>del</strong>le ‘decime’: «ecclesia S.<br />
Nicolai de Propiciano cuius est rector abbas Leonardus de S.<br />
Maria cui valet unc. sex» 21 . Nelle immediate vicinanze è il<br />
convento di S. Francesco di Paola, i cui lavori ebbero inizio<br />
nel 1503. Passato nel 1668 ai frati minori riformati<br />
sotto il titolo di S. Antonio 22 , dopo alterne vicende<br />
venne riaperto nel 1947 e nei locali adiacenti è stata realizzata<br />
una casa per anziani. In tempi recenti ad opera di<br />
Giovanni Cifrino (Prepezzano 1879-Boston 1952) vennero<br />
costruiti l’Orfanatrofio (1925 - 1934 su progetto<br />
<strong>del</strong>l’ing. Loriti di Salerno) affidato alle Suore Salesiane<br />
<strong>del</strong> Sacro Cuore; i lavatoi di via Ausa, via Olmo e via<br />
Canale, le due fontane in piazza Umberto I 23 .<br />
Nel territorio Picentino, nel corso <strong>del</strong> XII secolo<br />
vennero creati piccoli feudi concessi dalla corona in<br />
cambio <strong>del</strong> servizio militare a diversi uomini d’arme, i<br />
cui nomi sono indicati nel Catalogus Baronum (1150-68) 24 .<br />
Tra questi gli appartenenti alla famiglia Biscido, che<br />
viene citata nel manoscritto di Giovan Battista<br />
Prignano: «Dal dominio <strong>del</strong> Casale <strong>del</strong> Biscido nel territorio<br />
di Gifoni che prendessero il cognome gl’huomini<br />
di questa casa» 25 .<br />
Questo casale fa parte <strong>del</strong>l’antico territorio di<br />
Giffoni 26 , che il Giustiniani 27 così sintetizza: «… Egli è<br />
diviso in tre università. Quella verso occidente chiamasi<br />
di Gifoni sei casali. L’altra verso mezzogiorno di<br />
Gifoni valle e piano; ed amendue sono in diocesi di<br />
ADRIANO CAFFARO<br />
- 73 -<br />
Fig. 2 - Olevano sul Tusciano. ‘La grotta <strong>del</strong>l’Angelo’ al centro in basso; a sinistra, ‘Sal.<br />
Fergola dis.’; a destra ‘Litog. Fergola’. Litografia di mm. 110x70. Da ‘L’iride. Strenna<br />
pel Capo d’Anno e pe’ giorni onomastici. Anno quarto’, Napoli 1837.<br />
Salerno, la terza verso oriente detta Gauro, è in diocesi<br />
di Acerno. I nomi de’ casali, che comprende la prima<br />
sono: Ausa, Belvedere, Capitignano, Propezzano, e Gieti.<br />
Quello di Bissito in oggi è dismesso». L’abbandono di<br />
quest’ultimo borgo già si evince dalla visita pastorale<br />
<strong>del</strong> 1° Maggio 1630, nella quale la chiesa parrocchiale<br />
di S. Felice viene trovata con pochissime rendite e<br />
fe<strong>del</strong>i, oltretutto molto poveri 28 . Un ulteriore apporto<br />
alla conoscenza di questo casale è dato sia da un documento<br />
<strong>del</strong> 20 Ottobre 1570: «Ambrogio Siconolfo,<br />
intraprenditore e maestro di muro costruisce il ponte<br />
sul fiume Vicentile, nel luogo detto de lo biscito, in quel<br />
di Prepezzano, in società con Giov. Ferrante Ferrara,<br />
altro intraprenditore, e sotto la direzione <strong>del</strong>l’architetto<br />
Cafaro Pignoloso, di Cava» 29 sia dalla presenza di<br />
ciò che resta di una gualchiera, la macchina con magli<br />
azionata da un apposito acquedotto tuttora esistente<br />
per rassodare e purgare le stoffe 30 .<br />
A proposito di questo casale 31 viene a lato riprodotto<br />
un particolare <strong>del</strong>la carta <strong>del</strong>l’Istituto<br />
Geografico Militare (fig. 1) dov’è ben specificato il territorio:<br />
ad Ovest <strong>del</strong> fiume Prepezzano sono le località<br />
Bissido, Petrosa e Orsata, mentre ad Est il convento<br />
di S. Antonio, Prepezzano, Campanile Vecchio,<br />
Colle Briano. Questa annotazione è necessaria in<br />
quanto compare ‘Campanile Vecchio’. Il ‘campanile<br />
vecchio’, com’è noto ancora oggi alla popolazione<br />
locale, la torre civica 32 o dei Viscido, come recentemente<br />
è stato ipotizzato 33 , ubicato alle pendici <strong>del</strong> colle<br />
Briano, poteva egregiamente assolvere a funzione<br />
difensiva perché situato in modo da vantaggiosamente<br />
controllare tutta la zona. Esso era inserito lungo la<br />
direttrice di difesa svolta dalle fortificazioni documen-
tate di S. Mango Piemonte, di Castelvetrano, di<br />
Terravecchia di Giffoni Valle Piana, di Montecorvino<br />
Pugliano, di Olevano 34 . A pianta quadrata «in origine<br />
presentava un terzo livello ... Ulteriori interventi sono<br />
testimoniati: dalla costruzione di un corpo cilindrico,<br />
ancora in sito, addossato alle strutture <strong>del</strong>la Torre che<br />
conteneva una scala elicoidale; dalla<br />
presenza di uno spazio definito da<br />
un muro, che è ancora visibile,<br />
riguardante un altro corpo di fabbrica,<br />
antistante la Torre, che doveva<br />
elevarsi fino alla quota ... di calpestio<br />
più basso <strong>del</strong> vero e proprio dongione,<br />
avvalorante l’ipotesi di un<br />
organismo-castello costruito in adesione<br />
al mastio, oggi interamente<br />
crollato» 35 . Della torre nessuna notizia<br />
è mai stata data precedentemente.<br />
Oltre tutto l’espressione ‘campanile<br />
vecchio’ solleva alcuni dubbi, perché<br />
ci troviamo di fronte non all’edificio<br />
di accompagnamento di una chiesa,<br />
bensì ad una torre di difesa, come<br />
dimostra la presenza anche di feritoie.<br />
Si può forse solo supporre che<br />
trattandosi di un manufatto probabilmente<br />
inserito tra le strutture<br />
difensive di un palazzotto feudale,<br />
come attestano elementi residui, al<br />
suo interno fosse presente una cappella<br />
e che per estensione la torre<br />
fosse considerata il suo campanile.<br />
Più probabile che la denominazione<br />
abbia origine da una tramandata ed<br />
incerta tradizione popolare.<br />
Ritornando alla succitata chiesa<br />
rupestre di S. Angelo, dal centro di<br />
Prepezzano, costeggiando il corso<br />
<strong>del</strong> fiume omonimo e oltrepassata la<br />
‘Ramiera’ 36 , si perviene ad un bivio: la<br />
vecchia ‘strada <strong>del</strong>l’Angelo’ e una carrareccia<br />
in cemento. Percorrendo la<br />
prima, fiancheggiata da un fitto<br />
nocelleto, si giunge alla ‘cappella <strong>del</strong>la<br />
Madonna di Montevergine’, com’è<br />
anche segnato nella già suindicata<br />
carta <strong>del</strong>l’Istituto Geografico<br />
Militare. E’un’edicola in muratura<br />
SALTERNUM<br />
Fig. 3 - Madonna di Montevergine. Particolare <strong>del</strong><br />
pannello ceramico.<br />
Fig. 4 - Prepezzano. La grotta <strong>del</strong>l’Angelo. A destra<br />
l’ingresso. A sinistra la cella.<br />
Fig. 5 - Prepezzano. La grotta <strong>del</strong>l’Angelo. La cella.<br />
- 74 -<br />
(fig. 3) contenente un pannello ceramico avente in<br />
basso il titolo <strong>del</strong>la composizione su due righi:<br />
«S. M. DI MONTE VERGI(N)E/A DEVOZIONE<br />
DI ALFON(S)[Z]O APICELL(A)[E]».<br />
Di forma rettangolare verticale di cm 60 x 80 è<br />
composta da dodici piastrelle in terracotta maiolicata e<br />
policroma, ognuna di cm 20 x 20,<br />
disposte su quattro <strong>file</strong>, di cultura<br />
molto popolare che si rifà alla tradizione<br />
vietrese 37 . Il pannello, in ottimo<br />
stato di conservazione, rappresenta,<br />
<strong>del</strong>imitato da una doppia cornice, la<br />
Madonna di Montevergine. L’opera è<br />
la rivisitazione <strong>del</strong>l’originale conservato<br />
nell’Abbazia omonima 38 . Le<br />
figure risultano più massicce e tozze,<br />
mancano i sei angeli in basso e al<br />
loro posto sono stati inseriti S.<br />
Benedetto, con la regola e il corvo<br />
con il pane, e a destra S. Guglielmo<br />
da Vercelli, con il leone al posto di<br />
un cane. I numerosi errori sono evidentemente<br />
legati alla cultura <strong>del</strong><br />
ceramista. Al centro la Madonna con<br />
il Bambino stretto al petto e appoggiato<br />
sulla gamba sinistra. Sono<br />
ritratti di prospetto a figura intera. La<br />
Madonna è assisa. Un lungo manto<br />
la ricopre dal capo, su cui è poggiata<br />
una preziosa e ricca corona. Ai lati<br />
due angeli di profilo reggono l’aureola.<br />
Il Bambino, leggermente di<br />
profilo con il volto di prospetto, ha il<br />
capo riccioluto sormontato da una<br />
corona è coperto di un mantello ed<br />
ha la mano sinistra distesa.<br />
Proseguendo attraverso un castagneto<br />
e deviando a sinistra, dopo un<br />
breve ed accidentato sentiero percorso<br />
da boscaioli, si perviene, ad un<br />
pianoro e alla grotta <strong>del</strong>l’Angelo,<br />
seminascosta da una rigogliosa vegetazione<br />
(fig. 4). Sulla sinistra è una<br />
piccola costruzione addossata alla roccia:<br />
una cella per il romitaggio costituita<br />
da un vano rettangolare coperto da<br />
una volta a botte. Sulla parete laterale<br />
sinistra s’apre una finestra che dà sulla
vallata. Vari riquadri incassati nel muro erano con probabilità<br />
utilizzati per custodirvi suppellettili (fig. 5).<br />
A fianco, a destra, è l’ingresso <strong>del</strong>la grotta; <strong>del</strong>imitato<br />
da un muro - che ha ceduto in più parti e che in origine<br />
copriva solo parzialmente la cavità - edificato probabilmente<br />
come riparo dalle intemperie, per la luce, l’areazione<br />
e per difesa da eventuali malintenzionati (Fig. 6).<br />
Tre scalini scavati nella roccia conducono all’interno<br />
<strong>del</strong>l’ampia cavità che va restringendosi rapidamente<br />
verso il fondo, mostrando le pareti irregolarmente<br />
inclinate <strong>del</strong>la roccia. Vestigia di mura testimoniano<br />
l’origine medievale <strong>del</strong> primitivo insediamento databili<br />
all’epoca <strong>del</strong>le prime testimonianze storiche. Verso<br />
il fondo, sulla destra, è visibile una cappella (fig. 7), a<br />
pianta quadrata, ad un’unica navata terminante in<br />
un’abside lineare e senza facciata d’ingresso, su cui<br />
sono ben visibili gli attacchi di un cancello. E’ costituita<br />
da due quinte murarie rettilinee, di cui quella destra<br />
è addossata alla parete rocciosa, che sorreggono una<br />
volta a botte. L’abside un tempo conteneva un piccolo<br />
altare ed era totalmente affrescata, come testimoniano<br />
numerose tracce di motivi decorativi a volute<br />
che continuano nell’arcosolio <strong>del</strong>la nicchia ricavata al<br />
di sopra <strong>del</strong>l’altare. Nella quale un moderno pannello<br />
- perfettamente conservato di forma rettangolare in<br />
terracotta maiolicata di cm 60 x 100 composto da<br />
quindici piastrelle policrome di cui ognuna di cm 20 x<br />
20 su cinque fila, raffigurante il Santo guerriero - ha<br />
coperto un presumibile affresco. In basso è la scritta<br />
«APICELLA NATALE 1904 LA FIGLIA MARIA<br />
1934 E IL MARITO AMEDEO / TERRAVIVA<br />
1981» (fig. 8).<br />
Il ceramista Ferdinando Vassallo <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong><br />
Terraviva di Montecorvino Rovella ha raffigurato<br />
l’Arcangelo Michele, rifacendosi alla classica tradizione<br />
religiosa, rappresentandolo come difensore <strong>del</strong>la<br />
divinità contro la ribellione degli angeli capeggiati da<br />
Lucifero, proscritti e puniti da Dio, che per questo cercano<br />
di fare ogni male alla creatura prediletta da Dio,<br />
l’uomo.<br />
L’Arcangelo è rappresentato a figura intera di prospetto,<br />
mentre schiaccia sotto i suoi piedi il demonio,<br />
a mezzo busto nudo, di prospetto, fuoriuscente da<br />
rocce e fuoco. Con la mano destra stringe la spada,<br />
mentre con la sinistra regge la bilancia. Avvolto in un<br />
ampio drappeggio <strong>del</strong>le vesti e con alle spalle le ali,<br />
una corazza - la piastrella centrale è stata mal montata!<br />
- protegge il torace. Il vestito lascia scoperte le<br />
ADRIANO CAFFARO<br />
- 75 -<br />
Fig. 6 - Prepezzano. La grotta <strong>del</strong>l’Angelo. Planimetria e sezione.<br />
(Ricostruzione grafica arch. Vincenza De Vita).<br />
gambe così che si possono vedere i coturni, l’alto stivaletto<br />
di cuoio usato dagli antichi che si prolungava<br />
talvolta fino al ginocchio ed era tenuto fermo per<br />
mezzo di corregge. Da notare la diversità <strong>del</strong>le ali<br />
dipinte dietro le spalle <strong>del</strong>l’Arcangelo e <strong>del</strong> demonio:<br />
lineari e limpide le prime, rozze e piuttosto grossolane<br />
le seconde. Sullo sfondo un cielo chiaro e luminoso.<br />
Queste due immagini sacre, <strong>del</strong>la Madonna e <strong>del</strong><br />
S. Michele, sono legate alla devozione popolare, che<br />
crea di fatto propri oggetti e motivi autonomi di<br />
culto, che solo apparentemente sembrano riflettere<br />
ed esprimere legittimi, riconosciuti elementi liturgici.<br />
In realtà essi vengono deformati e riproposti in<br />
modo assolutamente soggettivo e possono andare a<br />
sovrapporsi con effetti talvolta dannosi agli elementi<br />
di reale valore <strong>del</strong>l’arte religiosa.<br />
Sulla parete varie scritte deturpanti, la più antica<br />
<strong>del</strong>le quali è datata 1650. Testimonianza evidente che<br />
già all’epoca il complesso eremitico era stato abbandonato<br />
dalla comunità religiosa ed era diventato solo<br />
meta di pellegrinaggio.<br />
Alle spalle <strong>del</strong>la cappella, nel buio avvolgente <strong>del</strong><br />
secondo ambiente, su una stalagmite, è stata scolpita una<br />
Madonna, acefala sin dal secolo scorso, con Bambino:<br />
importante testimonianza che definisce ulteriormente la<br />
pratica devozionale che animò il sito (fig. 9).<br />
Nel luogo dedicato all’arcangelo Michele non poteva<br />
mancare la grande devozione alla Madonna, testimo
niata anche dall’edicola precedentemente<br />
descritta e situata lungo il percorso di<br />
arrivo alla grotta. Purtroppo il vandalismo<br />
perpetuato mi consente solo di<br />
supporre - con buona attendibilità - che<br />
la Madonna doveva essere rappresentata<br />
nella maniera più tradizionale, a mezzo<br />
busto, di prospetto, come seduta su un<br />
trono, dall’aspetto matronale. Doveva<br />
indossare una tunica ed era ricoperta da<br />
un ampio mantello raccolto sulle ginocchia,<br />
con il capo leggermente reclinato<br />
verso il Bambino. Questi, a figura intera,<br />
è avvolto dal mantello che lascia scoperto<br />
solo il viso. La testa è poggiata sul<br />
seno, gli occhi aperti e alquanto attenti a<br />
vedere di fronte verso la parte finale<br />
<strong>del</strong>lo speco.<br />
Questa popolare composizione è<br />
caratterizzata dalla capacità <strong>del</strong>l’ignoto<br />
autore di rappresentare un amorevole<br />
atteggiamento, quasi di una mamma <strong>del</strong><br />
luogo, che stringe a sé e avvolge il<br />
Bambino con una mano, alquanto grossolana<br />
nella fattezza e fin troppo grossa<br />
nella rappresentazione. Con probabilità<br />
è un’opera <strong>del</strong> primo Ottocento, periodo<br />
in cui il sito, dopo un periodo di<br />
abbandono, riebbe una presenza eremitica,<br />
che si concretizzò anche con la<br />
decorazione pittorica all’interno <strong>del</strong>la<br />
cappella.<br />
Dobbiamo immaginare l’ignoto e<br />
devoto artista che ha cercato un blocco<br />
di pietra per realizzare la sua opera: una<br />
Madonna con Bambino. Quale migliore<br />
soluzione di una stalagmite, la concrezione<br />
calcarea generalmente conica<br />
che si forma sul pavimento <strong>del</strong>la caverna<br />
per il continuo gocciolio <strong>del</strong>l’acqua<br />
39 , estremamente dura e compatta<br />
così da opporre una resistenza unifor-<br />
me alla lavorazione. Lo immaginiamo lavorare quasi al<br />
buio, alla luce di una can<strong>del</strong>a, accovacciato e con il<br />
viso rivolto verso l’esterno <strong>del</strong>la grotta in quanto il<br />
SALTERNUM<br />
Fig. 7 - Prepezzano. La grotta <strong>del</strong>l’Angelo.<br />
La cappella.<br />
Fig. 8 - Prepezzano. Grotta <strong>del</strong>l’Angelo.<br />
Pannello ceramico raffigurante S. Michele<br />
Arcangelo.<br />
Fig. 9 - Prepezzano. Grotta <strong>del</strong>l’Angelo.<br />
Madonna con il Bambino, scolpita su una<br />
stalagmite. Particolare.<br />
- 76 -<br />
gruppo scultoreo è stato realizzato volgente<br />
verso la fine <strong>del</strong>la grotta, non<br />
verso l’esterno. Lo vediamo munito certamente<br />
di uno scalpello, col quale batteva<br />
con una mazza o mazzuola per dare al<br />
blocco una prima sgrossatura facendo<br />
saltare pezzi più o meno grandi, scoprendo<br />
così la superficie voluta; e poi<br />
con un trapano a perforare la pietra e<br />
con un abrasivo quale la pomice a levigare<br />
la superficie, realizzando un vero e<br />
proprio intaglio ‘a giorno’, che riduce<br />
praticamente la scultura a un ritmo alternato<br />
di pieni e vuoti.<br />
Dato che ogni modificazione apportata<br />
è definitiva, in quanto non è possibile<br />
aggiungere ma soltanto togliere la<br />
materia, è probabile che il nostro abbia<br />
potuto far precedere alla fase esecutiva<br />
una progettazione. Realizzando un disegno<br />
che servisse per l’elaborazione iniziale<br />
e come punto di riferimento<br />
durante la lavorazione o, più difficilmente,<br />
un mo<strong>del</strong>lo in creta e poi con<br />
successivo riporto <strong>del</strong>le misure dal<br />
mo<strong>del</strong>lo al blocco tramite il sistema dei<br />
punti, cioè trasportando dal mo<strong>del</strong>lo al<br />
blocco, mediante ferri appuntiti, le principali<br />
sporgenze e rientranze.<br />
Un’opera popolare certamente, la<br />
cui spontaneità - come scrive Argan 40 -<br />
«non va intesa nel senso di libertà<br />
inventiva: l’arte popolare, al contrario,<br />
appare sempre fortemente vincolata da<br />
tradizioni iconografiche e tipologiche<br />
nonché da tecniche scarsamente suscettibili<br />
di sviluppo o progresso. Per carattere<br />
di spontaneità deve invece intendersi<br />
il carattere che deriva all’arte<br />
popolare dal fatto che essa è prodotta,<br />
in parte, da maestranze artigiane a<br />
basso livello di specializzazione e in<br />
parte, forse preponderante, dalle stesse persone che<br />
fruivano <strong>del</strong> bene artistico ed è il prodotto di un artigiano<br />
domestico».
Note<br />
1 L’esperienza eremitica originaria (1011)<br />
richiamò un numeroso gruppo di discepoli<br />
e produsse nel giro di pochi decenni l’evoluzione<br />
in senso cenobitico e monasteriale<br />
(LEONE 1980, pp. 393-416). Una<br />
vicenda analoga è data da Montevergine,<br />
che venne fondato nel 1124 da Guglielmo<br />
di Vercelli, dopo iniziale vita anacoretica<br />
(MONGELLI 1960).<br />
2<br />
CAFFARO 1983, pp. 907-919.<br />
3<br />
CAFFARO 1996, p. 12; CAFFARO - FALANGA<br />
2006, p. 69.<br />
4<br />
VON FALKENHAUSEN 1992.<br />
5<br />
CAFFARO – FALANGA 2006, pp. 75-108.<br />
6 Badia di Cava, Manoscritto Venieri. Inventario<br />
<strong>del</strong>l’Archivio cartaceo, voce ‘Vetro’, scaf. C,<br />
Pluteo O, fasc. 57, n. 3854.<br />
7<br />
CAFFARO 1996, pp. 23-24; GRIBOMONT<br />
1987, pp. 127-152.<br />
8<br />
FONSECA 1992, ined.; Culto e insediamenti<br />
micaelici 1994.<br />
9<br />
AVRIL – GABORIT 1967, pp. 269-298.<br />
10 a b<br />
KALBY 1964 , pp. 205-227; 1964 , pp. 22-<br />
41; ZUCCARO 1977. Un altro significativo<br />
episodio è quello <strong>del</strong> S. Michele di Mezzo di<br />
Fisciano. Sorto come oratorio campestre<br />
(sec. XI-XII), evolse in cenobio (1650,<br />
Agostiniani). La santuarità <strong>del</strong> luogo è testimoniata<br />
dall’edificazione di una chiesa antistante<br />
la grotta (1843) e da successivi ampliamenti<br />
<strong>del</strong> complesso conventuale (CAFFARO<br />
1983, pp. 913-916; 1996, pp. 107-112).<br />
11<br />
ALFANO 1994-1995, p. 9.<br />
12<br />
MORCALDI - SCHIANI - DE STEPHANO<br />
1893, p. 297; CRISCI - CAMPAGNA 1962, pp.<br />
352-353; CRISCI 20012 , vol. II, p. 113.<br />
13<br />
INGUANEZ - MATTEI - CERASOLI - SELLA<br />
1947, p. 428, n. 6216.<br />
14<br />
INGUANEZ - MATTEI - CERASOLI - SELLA<br />
1947, ibidem; ALFANO 2008, pp. 30-31.<br />
15 MORCALDI - SCHIANI - DE STEPHANO<br />
1876, vol. III, pp. 105-106.<br />
16 MORCALDI - SCHIANI - DE STEPHANO<br />
1888, vol. VIII, p. 106.<br />
17 Dalle visite pastorali si ricavano scarne<br />
notizie di chiese e cappelle non più esistenti:<br />
ADRIANO CAFFARO<br />
S. Maria Maddalena, S. Anna, S. Maria <strong>del</strong><br />
Carmine, S. Donato, S. Lucia, S. Giovanni<br />
Evangelista, SS. Concezione, S. Giovanni<br />
Battista, SS. Annunziata, S. Donato e S.<br />
Giacomo (CRISCI 20012 , II, pp. 115-116).<br />
18<br />
PENNACCHINI 1941, pp. 70-71; BALDUCCI<br />
1945, p. 271) segnala che il documento è <strong>del</strong><br />
Settembre 1159 e che «pare lo stesso ... con<br />
qualche variante».<br />
19<br />
PENNACCHINI 1941, p. 113; BALDUCCI<br />
1945, pp. 274-275.<br />
20<br />
INGUANEZ - MATTEI - CERASOLI - SELLA<br />
1947, p. 428, n. 6213.<br />
21<br />
INGUANEZ - MATTEI - CERASOLI - SELLA<br />
1947, ibidem, n. 6214.<br />
22 2<br />
CRISCI 2001 , vol. III, pp. 258-259.<br />
23<br />
BEATRICE - ALFANO 1995, pp. 3-19.<br />
24<br />
JAMISON 1972, pp. 96-100; CUOZZO 1984,<br />
pp. 532-533. Una buona sintetica analisi <strong>del</strong><br />
periodo considerato è data dalla parziale<br />
pubblicazione di una tesi di laurea di M.<br />
Melfi (MELFI 2008, pp. 87-95, soprattutto<br />
pp. 92-93), che la relatrice Chiara Lambert<br />
<strong>del</strong>l’Università di Salerno ha voluto pubblicare<br />
con fini meritori.<br />
25PRIGNANO ante 1657. Tra le famiglie nocerine<br />
il De’ Santi (DE’ SANTI 1893, vol. II, p.<br />
74) riporta anche quella dei «... Viscidi ...,<br />
che ebbero dimora soltanto qui».<br />
26 «In comitatu Jufunensi in Principatu salernitano»,<br />
così in un documento <strong>del</strong>l’aprile 992<br />
(MORCALDI - SCHIANI - DE STEPHANO<br />
1875, vol. II, p. 328) riferentesi alla vicina<br />
importante chiesa di «S. Maria da Bico, hodie<br />
a Vico». Su quest’ultima cfr. AGATANGELO<br />
DA ROCCAGLORIOSA -TESAURO s.d. Per un<br />
sintetico inquadramento storico-geografico<br />
<strong>del</strong> territorio è sempre valido FONDI 1962.<br />
27<br />
GIUSTINIANI 1802, pp. 67-77.<br />
28<br />
CRISCI 1977, p. 25. ‘Viscito diruto’ è riportato<br />
nel disegno <strong>del</strong>la seconda metà <strong>del</strong> XV<br />
secolo, conservato presso la Biblioteca<br />
Nazionale di Parigi (LA GRECA - VALERIO<br />
2008, p. 88).<br />
29<br />
FILANGIERI DI SATRIANO 1981, p. 445.<br />
30<br />
CIOFFI 1953, pp. 208-222.<br />
- 77 -<br />
31 La località ‘Viscito’, com’è stato rilevato, è<br />
indicata in numerose rappresentazioni cartografiche<br />
dal Magini (1606) al De Rossi<br />
(1714), dall’Hondius (1636) al Blauer (1640)<br />
e a Cassiano de Silva (1692). Viene sempre<br />
raffigurata ad Ovest <strong>del</strong> fiume e <strong>del</strong> casale<br />
di Prepezzano (Cfr. AVERSANO 2009, pp.<br />
22-25; 34-37; 42-43).<br />
32 La prima notizia ‘flash’ su La torre di<br />
Prepezzano venne data da V. Alfano nel 1992<br />
in “Pichentieon”, Notiziario <strong>del</strong>l’Archeoclub<br />
comprensoriale Picentino: «... La suddetta<br />
torre aveva una duplice funzione: di avvistamento<br />
e di protezione per un signore <strong>del</strong><br />
luogo; è da ritenersi, infatti, parte integrante<br />
di una casa gentilizia come può evidenziarsi<br />
dalle mura su cui poggia la parte anteriore»<br />
(ALFANO 1992, p. 6; cfr. inoltre<br />
ALFANO 2003, p. 11).<br />
33<br />
PUTATURO 2003, pp. 25-37.<br />
34<br />
CARUCCI 1923, pp. 140-141; SANTORO<br />
1982, pp. 495-497; D’AMBROSI 1992, pp.<br />
119-136; SANTORO 2005, pp. 115-127.<br />
35<br />
SPARACIO, La torre dei Conti Viscido di<br />
Nocera in Prepezzano, relazione presentata al<br />
Convegno tenutosi il 18 novembre 2000 a<br />
Prepezzano e riportata in PUTATURO 2003,<br />
pp. 33-35.<br />
36 L’antica ramiera, funzionante fino a qualche<br />
decennio or sono attraverso un complesso<br />
procedimento di fusione, di battitura<br />
sotto i magli, realizzava caldaie. Al suo<br />
posto è una piccola fabbrica di mattoni. Mi<br />
corre l’obbligo di ringraziare il presidente<br />
<strong>del</strong>la Comunità Montana Monti Picentini,<br />
Massimiliano Cozzo, per la fattiva collaborazione.<br />
37 Sull’argomento, fondamentale è il contributo<br />
PINTO 1986.<br />
38 Per un sintetico e puntuale contributo<br />
sulla ‘prodigiosa immagine’ cfr. MANCINI<br />
2006, pp. 38-40.<br />
39 Non vi è traccia di canalizzazione <strong>del</strong>le<br />
acque sgorganti dalla roccia, come tanti altri<br />
siti rupestri documentano.<br />
40<br />
ARGAN 1983, p. 803.
Bibliografia<br />
AGATANGELO DA ROCCAGLORIOSA P. -<br />
TESAURO G. M. s.d., Santa Maria a Vico<br />
castellana <strong>del</strong>l’agro picentino.<br />
ALFANO V. 1994-1995, La grotta <strong>del</strong>l’Angelo<br />
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CLAUDIO ARMENISE - AURELIA DANIELA RANA<br />
Il santuario di S. Maria <strong>del</strong>la Grotta e la Chiesa<br />
di S. Felice <strong>del</strong> casale di Balsignano nell’agro di Modugno<br />
(BA): luoghi di culto di un percorso antichissimo<br />
Santuario di Santa Maria <strong>del</strong>la Grotta<br />
L’idea <strong>del</strong> viaggio ha origini vetuste. Infatti,<br />
se pensiamo a questo, non possiamo non<br />
guardare al periodo in cui era ‘di moda’ compiere<br />
pellegrinaggi verso luoghi di culto. Ma quali erano<br />
le autostrade, le tangenziali o le strade provinciali<br />
<strong>del</strong>l’Alto Medioevo?<br />
Pensiamo al territorio di Bari (Barum), in particolare<br />
a quello di Modugno (Medunium), di quasi 1000 anni fa.<br />
Chi decideva di visitare questa località doveva certamente<br />
sapere <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong> Santuario di S.<br />
Maria <strong>del</strong>la Grotta e <strong>del</strong>la Chiesa S. Felice di<br />
Balsignano, luoghi di culto, come altri se ne trovano,<br />
lungo un percorso assai antico.<br />
Essi sorgono in prossimità di una lama, la cosiddetta<br />
‘Lama Lamasinata’, l’uno sul pendio, l’altro sul<br />
ciglio <strong>del</strong>la stessa, e sono rispettivamente esempi di<br />
quell’antichissima consuetudine <strong>del</strong> vivere in grotta,<br />
poi trasformatasi in una idea di villaggio con un particolarissimo<br />
habitat, determinato da uno specifico sistema<br />
di sicurezza, di viabilità, di approvvigionamento<br />
idrico, e l’altro di quel fenomeno di incastellamento<br />
avutosi nel periodo <strong>del</strong>la riconquista bizantina tra il X<br />
e l’XI secolo, da cui scaturì la modificazione <strong>del</strong>le<br />
strutture agrarie. Per la loro dislocazione, in due punti<br />
non molto distanti tra loro e su una stessa linea direttrice<br />
dovevano essere, con molta probabilità, due mete<br />
all’interno di un percorso antichissimo che i viaggiatori<br />
<strong>del</strong> Medioevo potevano compiere e che sicuramente<br />
si recavano a visitare in pellegrinaggio 1 allorché si<br />
diffuse la notizia che un monaco trascorreva il suo<br />
romitaggio proprio in S. Maria e, dopo la sua morte,<br />
secondo ‘la moda’ di quell’epoca, questi pellegrinaggi<br />
si moltiplicarono.<br />
Il territorio pugliese è ampiamente qualificato da<br />
una conformazione geomorfologica calcarea con un<br />
- 79 -<br />
Fig. 1 - Balsignano.<br />
Facciata sud <strong>del</strong>la<br />
Chiesa di S. Felice.<br />
suolo interessato da fenomeni carsici. Ne deriva un<br />
fitto reticolato di grotte sotterranee e lame che si diramano<br />
dalla zona <strong>del</strong>la Murgia comprendendo la provincia<br />
di Barletta-Andria-Trani, quella di Bari, Taranto<br />
e Brindisi.<br />
Modugno sfruttava le lame per le condizioni favorevoli<br />
al popolamento: fertilità <strong>del</strong> suolo, garanzia di<br />
approvvigionamento idrico, essendo le lame dei corsi<br />
preferenziali di scorrimento <strong>del</strong>l’acqua, sfruttamento<br />
degli anfratti per la coltivazione a terrazza, e la possibilità<br />
di poter utilizzare il tufo qui presente per scavare<br />
lungo i pendii e ricavare ambienti rupestri, ipogei ed<br />
apogei, piccoli villaggi, santuari rupestri, chiese rurali,<br />
piccole masserie e caratteristici casali fortificati.<br />
Negli anfratti <strong>del</strong>le lame sono venuti alla luce resti<br />
di insediamenti risalenti addirittura al Neolitico (VI-V<br />
millennio a. C.): nei pressi <strong>del</strong> casale di Balsignano è<br />
stato rinvenuto un villaggio appartenente a questo<br />
periodo. Questo sta a significare che l’agro di<br />
Modugno era densamente popolato sin da epoche<br />
remote.<br />
Il fitto reticolato di lame, probabilmente, doveva<br />
rappresentare per gli antichi viaggiatori un sistema viario<br />
secondario o locale rispetto alle arterie principali<br />
romane. In altri termini, per meglio comprendere,
Fig. 2 - Balsignano. Facciata <strong>del</strong> santuario di S. Maria <strong>del</strong>la Grotta.<br />
facendo un paragone con la nostra realtà, possiamo<br />
pensare alle lame come le nostre strade tangenziali o<br />
provinciali, ‘viae vicinales’ (da vicus, cioè villaggio), che si<br />
diramano a partire da una via principale, nella fattispecie<br />
la via Minucia-Traiana, le cosiddette ‘viae publicae’,<br />
paragonabili alle moderne autostrade 2 .<br />
È probabile anche che i Romani avessero ideato il<br />
loro sistema viario adattandolo alla conformazione, e<br />
quindi anche alle opportunità, che la natura, attraverso<br />
fiumi, torrenti o altri corsi d’acqua, poteva offrire.<br />
Sin dall’Alto Medioevo, la chiesa-grotta di S. Maria<br />
ad Gryptam appariva incastonata nell’anfratto di<br />
Lamasinata. Secondo alcuni studi, questa grotta era<br />
animata da una modesta comunità di monaci di rito<br />
greco, forse ispirati al dictat di S. Basilio, vissuto nel IV<br />
secolo d. C.<br />
La grotta fu probabilmente adibita a chiesa da questa<br />
stessa comunità greca e fu, in seguito, dedicata alla<br />
Vergine, da cui il nome.<br />
Occorre però precisare che la Puglia, essendo stata,<br />
a fasi alterne, nell’orbita <strong>del</strong>l’impero bizantino, ha rappresentato<br />
un luogo di approdo per gente greca, attraverso<br />
un processo di migrazione 3 che aumentò durante<br />
l’età <strong>del</strong>la crisi iconoclastica decretata dal basileus<br />
Leone III Isaurico nel 726.<br />
Il fenomeno <strong>del</strong>le chiese rupestri in Puglia non è<br />
un caso isolato, ma è in stretto collegamento con gli<br />
SALTERNUM<br />
- 80 -<br />
insediamenti monastici di matrice<br />
orientale inaugurato in Cappadocia.<br />
Per questa ragione la Puglia è disseminata<br />
da persistenze bizantine determinate<br />
da un governo, di lungo corso,<br />
<strong>del</strong>l’impero romano d’Oriente. 4 Un<br />
esempio precoce di chiesa rupestre<br />
che ha termini di paragone con quelle<br />
che si trovano in Cappadocia è la<br />
Chiesa calabrese detta la Cattolica sulla<br />
montagna di Stilo, nella quale le maestranze<br />
adottano un sistema di costruzione<br />
che si rifarà ai modi <strong>del</strong>l’architettura<br />
bizantina. La datazione, secondo<br />
alcuni studiosi, tra cui G. De<br />
Jerphanion, bizantinologo autorevole<br />
<strong>del</strong> secolo scorso, è da far risalire all’XI<br />
secolo. Fu proprio lui il primo studioso<br />
che creò il mito <strong>del</strong>la Cappadocia<br />
rupestre, per il quale il fenomeno cappadociano<br />
è da prendere come punto<br />
di riferimento per tutti i sistemi insediativi rupestri dislocati<br />
nell’immensità <strong>del</strong> bacino mediterraneo.<br />
È dopo la visita a Massafra che lo studioso traccia le<br />
linee guida di un discorso che vede nella cittadina<br />
pugliese il trait d’union tra la Puglia e la Cappadocia rupestre.<br />
Soprattutto se si esamina il linguaggio figurativo<br />
nelle grotte pugliesi, il paragone con l’Asia Minore si fa<br />
sempre più puntuale e non si potrà far a meno di confrontare<br />
i rapporti tra la Puglia e l’Oriente bizantino.<br />
Alba Medea 5 sosterrà che le manifestazioni pittoriche<br />
<strong>del</strong>le chiese rupestri pugliesi si inquadrano in un<br />
sistema <strong>del</strong>l’arte pittorica bizantina provinciale, inserito<br />
fra i programmi pittorici <strong>del</strong>la Cappadocia e quelli<br />
russi <strong>del</strong>lo stesso periodo; così come affermerà il<br />
carattere iconico <strong>del</strong>la pittura rupestre pugliese in antitesi<br />
al carattere ciclico di quella cappadocese, inframezzato<br />
dalla forte influenza data dai Vangeli apocrifi<br />
nella stesura iconografica dei temi e dei contenuti.<br />
Secondo alcuni studiosi, tipicamente monastica era la<br />
caratterizzazione di questi insediamenti, poiché erano<br />
i monaci a popolare le grotte o i santuari rupestri<br />
secondo una concezione di vita monastica tipicamente<br />
orientale, alternando forme lavriotiche e forme<br />
insediative di tipo anacoretico.<br />
In questo caso, le chiese rupestri pugliesi si avvicinano<br />
a moduli planimetrici e a forme artistiche tributari<br />
di apporti cappadoci, legati alla cultura artistica dei
monaci orientali. Forte è quindi il patrimonio culturale<br />
di derivazione bizantina che i monaci di rito greco<br />
trasferirono in terra d’Otranto, in Calabria e in<br />
Basilicata dal IX al XIV secolo. In altre parole, è possibile<br />
parlare <strong>del</strong>la diffusione di una cultura bizantina<br />
in tutto il bacino greco-mediterraneo, introdotta poi<br />
nei singoli contesti regionali a contatto, questi ultimi,<br />
con la cultura <strong>del</strong>le genti indigene locali. In un contesto<br />
territoriale come l’Italia meridionale, provincia <strong>del</strong>l’impero<br />
romano d’Oriente, punto di collegamento<br />
con le terre d’Oriente, forti erano le presenze e i contrasti<br />
tra le forze che se la contendevano: da un lato i<br />
Longobardi, dall’altro i Bizantini, inframmezzati dall’ombra<br />
incessante degli Arabi.<br />
Nell’epoca <strong>del</strong>la riconquista (IX sec.), il riaffacciarsi<br />
dei Bizantini sulle terre riacquisite, e non solo, comportò<br />
riflessi diretti su una nuova elaborazione di cultura<br />
e mentalità. Alla chiesa spettava il compito di educare,<br />
con la fede e con l’arte, l’intera società, in quanto<br />
l’ortodossia era il segno tangibile di fe<strong>del</strong>tà alla realtà<br />
politica. Per questo motivo, capillare era la cura con<br />
la quale Bisanzio ristrutturò la Chiesa greca in Italia.<br />
Accanto alla chiesa diocesana fu basilare l’opera di<br />
ellenizzazione <strong>del</strong> monachesimo greco e il conseguente<br />
inserimento nelle campagne <strong>del</strong> Mezzogiorno degli<br />
insediamenti rupestri; in quest’ambito va collocato il<br />
ruolo <strong>del</strong> santuario di S. Maria in Gryptam. È un fenomeno,<br />
quello <strong>del</strong>le chiese rupestri, che ha riguardato<br />
tutta l’Italia meridionale dal VI al XIII secolo, e che<br />
tiene conto di un sistema insediativo atto a bilanciare<br />
le necessità di difesa con quelle di sostentamento, in<br />
un periodo, l’Alto Medioevo, che vede lo sfaldamento<br />
dei poteri spirituali sin dall’età tardo-antica, intervallato<br />
da continue lotte, invasioni e rivendicazioni tra<br />
Goti, Bizantini, Longobardi, Arabi e lo sfollamento<br />
<strong>del</strong>le città costiere 6 .<br />
Secondo alcuni studiosi, invece, in Puglia, le chiese<br />
rupestri (o grotte rupestri) non erano utilizzate in<br />
senso esicastico, secondo la vita contemplativa ed eremitica<br />
dei monaci, ma erano chiese funerarie 7 . In effetti<br />
in S. Maria <strong>del</strong>la Grotta sappiamo che sono state rinvenute<br />
<strong>del</strong>le tombe, ma in realtà si tratta, con ogni probabilità,<br />
di un insediamento adibito al culto da una<br />
comunità di monaci provenienti dall’Oriente. Inoltre,<br />
mentre nella suddetta chiesa-grotta la naturale conformazione<br />
<strong>del</strong>l’incavo roccioso è rimasto quello naturale,<br />
in altri siti rupestri l’habitat naturale è stato modificato<br />
con l’adattamento di nuovi schemi planimetrici:<br />
CLAUDIO ARMENISE - AURELIA DANIELA RANA<br />
- 81 -<br />
Fig. 3 - Parete nord <strong>del</strong>la grotta: affresco raffigurante il Threnos.<br />
in area barese si riscontra un modulo architettonico<br />
con ambulacro attorno ad un vano centrale, schema<br />
diffuso nella Grecia settentrionale, teso a modificare<br />
l’interno <strong>del</strong>le grotte adibite a chiese. A questa pianta<br />
si rifarà la Chiesa di S. Candida risalente all’XI secolo,<br />
la Chiesa di masseria Micella di Bari <strong>del</strong>la prima metà<br />
<strong>del</strong>l’XI secolo. Mentre, proseguendo il percorso <strong>del</strong>la<br />
Lama Lamasinata, si incontra un altro insediamento<br />
antichissimo che sporge sul piano di campagna, l’ipogeo<br />
di S. Caterina, articolato in diversi ambienti che si<br />
affacciano su una navata che termina in un vano presbiteriale<br />
di grandi dimensioni. Sul ciglio <strong>del</strong>la Villa<br />
‘Lama Lamberti’, in prossimità <strong>del</strong>l’incrocio con via<br />
S. Caterina, sorge l’ipogeo di via Seminario, uno dei<br />
più grandi insediamenti rupestri <strong>del</strong>l’agro di Bari. Ve<br />
ne sono altri ancora.<br />
Per peculiarità geomorfologica, la Puglia ha favorito<br />
la diffusione degli insediamenti rupestri scavati<br />
nella roccia, che raggruppano diversi sistemi edilizi:<br />
accanto ai luoghi di culto, ai santuari e alle chiese rupestri,<br />
si dispiegano casali rupestri, abitazioni, masserie e<br />
strutture di difesa. Il fenomeno è di vasta portata se si<br />
analizzano i diversi nuclei insediativi nei quali si raggruppano<br />
abitazioni civili e luoghi sacri, per contro ci
sono luoghi di culto che possono isolarsi indipendenti<br />
nell’habitat rupestre. Vi sono chiese rupestri che<br />
modificano gli spazi <strong>del</strong>le grotte e si articolano in<br />
piante architettoniche di ingegnosa qualità con relativi<br />
spazi liturgici, quali gli ingressi, le aree cimiteriali esterne,<br />
i narteci, cappelle funerarie, spazi cimiteriali interni,<br />
aule, cappelle laterali, absidi, archi, soffitti e via di<br />
questo passo. Come l’esempio di S. Maria in Gryptam<br />
che sfrutta la cavità naturale e si adatta all’ambiente<br />
esistente, è indispensabile citare la grotta di S. Michele<br />
Arcangelo a Montesantangelo nel Gargano o la grotta<br />
di S. Michele a Putignano, per la Puglia, ma gli esempi<br />
per tutto il Mezzogiorno possono moltiplicarsi, specie<br />
se si guarda alla Campania e alla Calabria.<br />
Di S. Maria <strong>del</strong>la Grotta, cerchiamo ora di descrivere<br />
la storia e le peculiarità.<br />
La facciata rocciosa, oggi appare rivestita di conci<br />
irregolari ed è arricchita da un portale con un arco sorretto<br />
da due cariatidi e con al centro una lunetta<br />
impreziosita da un angelo in bassorilievo.<br />
L’interno, nel corso degli anni, si è arricchito,<br />
rispetto all’originario, con due strutture murarie databili<br />
ad epoche differenti. Durante alcuni lavori svolti<br />
nel 1974 8 atti a ‘liberare’ la chiesa da un rifacimento in<br />
tufo intonacato di epoca ottocentesca, sono riemersi<br />
frammenti di affreschi, ornamenti, questi, che dovevano<br />
abbellire forse tutto il vano interno, ed altri su porzioni<br />
murarie e risalenti ad un’epoca posteriore al XII<br />
secolo. È dubbio, dal punto di vista cronologico, l’adattamento<br />
dei due muri laterali all’ambiente interno <strong>del</strong>la<br />
grotta ma, analizzando il linguaggio <strong>del</strong>la decorazione<br />
pittorica, potrebbe risalire al tempo <strong>del</strong>l’eremitaggio di<br />
S. Corrado che coincide con la prima metà <strong>del</strong> XII<br />
secolo, o immediatamente posteriore ad esso. Gli affreschi,<br />
per certi caratteri stilistici, si immettono nel solco<br />
<strong>del</strong>la pittura di origine bizantina. Sulla parete destra, un<br />
affresco poco leggibile è quello che si trova immediatamente<br />
prima <strong>del</strong>lo speco di S. Corrado. Il frammento<br />
conservatosi mostra il capo di un Cristo con un nimbo<br />
crocifero con due dischi rossi che stanno a simboleggiare<br />
il sole e la luna.<br />
Questo affresco doveva forse obliterarne un altro,<br />
infatti, durante una campagna di restauro è riemersa<br />
una aureola su uno strato di affresco palinsesto.<br />
Sulla parete sinistra, quella che funge da divisorio<br />
tra il luogo di culto e la torre campanaria, corre una<br />
linea irregolare di giunzione con il tetto <strong>del</strong>la grotta<br />
evidenziata da fasce policrome, una rosso mattone,<br />
SALTERNUM<br />
- 82 -<br />
simile al rosso tipico <strong>del</strong> terriccio <strong>del</strong>le lame, l’altra blu<br />
scuro, inframmezzate da un sottilissimo color bianco;<br />
queste incoronano un cielo blu nel quale svolazzano<br />
due angeli, di cui uno quasi completamente scomparso,<br />
con incensieri, che fanno parte di una scena rappresentante<br />
il Threnos, ossia il ‘Lamento sul Cristo<br />
morto’, brano iconografico che appare con più frequenza<br />
nel linguaggio figurativo bizantino a partire dal<br />
XII secolo, età che vede il fiorire <strong>del</strong>lo stile grafico o<br />
linearistico in seno al periodo <strong>del</strong>la dinastia dei<br />
Comneni, detta ‘età dei Comneni’ 9 . Quest’epoca è<br />
contrassegnata da soluzioni formali che vedono il reticolo<br />
lineare contrassegnare le figure, animare i panneggi,<br />
rimarcare l’idea <strong>del</strong> movimento e di dinamicità.<br />
Nella nostra scena, infatti, i contorni netti animano<br />
le figure, soprattutto l’abito <strong>del</strong>l’angelo sembra solcato<br />
da linee spesse che creano netti chiaroscuri senza<br />
sottigliezze di trapasso: nella veste color verde, macchie<br />
dalla tonalità più scura e dalla diversa consistenza<br />
definiscono le pieghe <strong>del</strong> panneggio e tradiscono una<br />
sensazione di movimento imprigionato nella schematicità<br />
<strong>del</strong>le forme. Nelle maniche rosse <strong>del</strong>l’angelo,<br />
invece, la soluzione a contorni marcati si abbina a<br />
quella <strong>del</strong> reticolo lineare, tecniche stilistiche, queste,<br />
codificate già dal 1230, ma con sperimentazioni pregresse<br />
verso l’ultimo quarto <strong>del</strong> XII secolo. Già nella<br />
pittura bizantina propriamente detta, soluzioni di questo<br />
tipo sono presenti in decorazioni pittoriche ‘colte’,<br />
sia per le maestranze, sia per le committenze, come nel<br />
caso specifico di Nerezi (Macedonia), dove, nella<br />
Chiesa di S. Panteleimone, gli affreschi, datati 1164,<br />
denotano un linguaggio già evoluto e raffinato. Il riferimento<br />
a S. Maria <strong>del</strong>la Grotta, è la presenza, anche<br />
qui, <strong>del</strong> tipo iconografico <strong>del</strong> Threnos, dove è forte l’espressività<br />
<strong>del</strong> sentimento dei personaggi raffigurati,<br />
frutto <strong>del</strong>l’umanesimo <strong>del</strong> XII secolo, in merito allo<br />
stile ‘dei Comneni’, un sentimento che invece non traspare<br />
dai volti <strong>del</strong>le figure presenti nella chiesa-grotta,<br />
ma di cui se ne percepisce appena la sensazione dalla<br />
gestualità accennata dagli stessi: una <strong>del</strong>le donne protende<br />
le braccia al cielo in segno di disperazione per<br />
l’accaduto, l’angelo sembra voler discendere sul corpo<br />
di Cristo proiettandosi verso di lui con le braccia in<br />
avanti. Allo stesso modo la stesura compatta <strong>del</strong> colore<br />
<strong>del</strong>la veste <strong>del</strong>la donna dà un senso di maggiore plasticità,<br />
mentre la sfericità perfetta <strong>del</strong> suo copricapo,<br />
così come <strong>del</strong> nimbo, rende più dense le forme, frutto<br />
di un maestro di buona tempra che si immette nella
tradizione figurativa propria <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> XII secolo.<br />
L’area russa, ciprese e greca si presentano come termini<br />
di paragone per gli esempi ‘colti’ che qui vi si trovano<br />
disseminati (Chiesa di S. Nicola Kasnitzis a<br />
Kastoria <strong>del</strong> XII secolo; Chiesa <strong>del</strong>l’Annunciazione di<br />
Arkazi a Mjacino, presso Novgorod <strong>del</strong> 1189; Chiesa<br />
di S. Demetrio a Vladimir <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> XII secolo;<br />
Chiesa <strong>del</strong>la Panagia Tu Araku a Lagudera <strong>del</strong> 1192),<br />
frutto anch’essi degli esiti definitivi <strong>del</strong>la pittura bizantina<br />
di fine XII secolo. Da queste speculazioni deriva<br />
la possibilità di poter ipotizzare una datazione <strong>del</strong><br />
ciclo iconografico che sta a cavallo tra due secoli, XII-<br />
XIII. L’interno <strong>del</strong>la grotta, fino alla data dei lavori<br />
<strong>del</strong> 1974, era arricchito da due altari ottocenteschi<br />
posti rispettivamente sul lato destro e su quello sinistro<br />
<strong>del</strong>la chiesa. All’interno di una nicchia sovrastante<br />
l’altare vi era una statua cinquecentesca <strong>del</strong>la Pietà,<br />
ora collocata alle spalle <strong>del</strong>l’altare centrale; l’ altare sul<br />
lato sinistro era sormontato da una tela, poi trafugata,<br />
raffigurante S. Corrado in estasi, un monaco che visse e<br />
morì nell’eremo di S. Maria <strong>del</strong>la Grotta il 17 marzo<br />
1155 10 .<br />
Corrado nacque da una famiglia guelfa di Duchi di<br />
Baviera intorno al 1105-1106, divenne un monaco<br />
cistercense a Chiaravalle, compì un pellegrinaggio in<br />
Terrasanta in una data che per alcuni studiosi sarebbe<br />
il 1139, per altri il 1143 11 . Successivamente decise di<br />
compiere un viaggio a Bari per rendere omaggio alle<br />
sante reliquie di S. Nicola e poi a Foggia per far visita<br />
alla grotta <strong>del</strong>l’Arcangelo, passando per Molfetta dove<br />
venne a conoscenza <strong>del</strong>le cattive condizioni in cui<br />
imperversava la sua famiglia.<br />
Probabilmente ciò costituì un deterrente per il suo<br />
ritorno a Chiaravalle; riconobbe come suo eremo S.<br />
Maria <strong>del</strong>la Grotta, all’interno <strong>del</strong> quale aveva un cunicolo<br />
prediletto dove si recava a pregare. Durante la sua<br />
permanenza nell’abbazia benedettina fu aperto un passaggio<br />
tra la grotta e il convento, poi murato, lasciando<br />
aperta solo una piccola finestrella, dopo la sua morte.<br />
Ora le spoglie <strong>del</strong> Santo sono conservate a Molfetta.<br />
Tornando al santuario, è indispensabile aggiungere<br />
che durante i lavori di smantellamento <strong>del</strong> vecchio altare<br />
centrale si è riportato alla luce un impluvium, con diametro<br />
di 60 cm e con il fondo stagnato, che doveva servire<br />
a contenere l’acqua che veniva qui convogliata tramite<br />
un canaletto che spuntava dalla parete rocciosa.<br />
Per ciò che concerne l’apparato decorativo, oltre<br />
agli affreschi, una preziosa testimonianza è resa da<br />
CLAUDIO ARMENISE - AURELIA DANIELA RANA<br />
- 83 -<br />
alcuni brani di mosaici e da lastre tombali di cui non è<br />
certa l’attribuibilità ai monaci greci, piuttosto che a<br />
quelli benedettini, riportate alla luce nella zona antistante<br />
l’altare dopo lavori condotti al piano di calpestio.<br />
I mosaici, le cui tessere squadrate (10 x 10 cm) e<br />
per lo più di color rosso e bianco, sono disposte<br />
secondo lo schema <strong>del</strong>l’opus reticolatum e sembrano<br />
disegnare dei rosoni e dei riquadri che richiamano<br />
alla mente gli affreschi scoperti recentemente nella<br />
chiesa di S. Caterina d’Alessandria di Bitonto, quelli<br />
<strong>del</strong>la Chiesa <strong>del</strong> castello di Bari e per finire quelli <strong>del</strong>la<br />
Chiesa di S. Maria <strong>del</strong> Buon Consiglio, sempre a Bari.<br />
Nel XI secolo, quando i Normanni cacciarono i<br />
Greci dalla Puglia 12 , anche i monaci di rito greco si<br />
dileguarono per lasciar spazio ai monaci benedettini<br />
che, nella maggior parte dei casi, occuparono le chiese<br />
rupestri, i monasteri e le cripte appartenenti ai<br />
primi. Anche nel caso <strong>del</strong>la grotta di S. Maria è accertata<br />
la presenza <strong>del</strong> nuovo ordine religioso al quale va<br />
attribuita la costruzione <strong>del</strong>la soprastante abbazia.<br />
Rimane tuttavia insoluta la questione inerente la datazione<br />
certa di questo insediamento benedettino; da un<br />
documento <strong>del</strong> 1071, riportato dal Codice<br />
Diplomatico Barese, si ricava la notizia che l’abate<br />
Leucio, <strong>del</strong> convento di S. Benedetto di Bari, oltre a<br />
designare l’abate Elia come suo successore, nomina il<br />
‘monasterium Medunense dedicatum in onore sancti Arcangeli’.<br />
Certamente il riferimento non può che essere al<br />
monastero di Santa Maria <strong>del</strong>la Grotta essendo questo<br />
l’unico e solo monastero benedettino a Modugno.<br />
Ma come si spiega allora quel ‘in onore Sancti<br />
Arcangeli’? Probabilmente il monastero, a quell’epoca,<br />
era dedicato al Santo Arcangelo e, solo successivamente,<br />
data l’ormai diffusa fama di S. Maria <strong>del</strong>la<br />
Grotta, l’intero complesso, speco ed abbazia, venne<br />
indicato con l’appellativo di S. Maria ad/in Gryptam. La<br />
fortuna <strong>del</strong> convento benedettino terminò con il re<br />
Roberto d’Angiò che, nel 1303 o 1313, condusse una<br />
politica di smantellamento di molteplici strutture<br />
appartenenti a questo ordine monastico nel Regno di<br />
Napoli. Fu così che la comunità benedettina di<br />
Modugno perse gran parte dei suoi beni che vennero<br />
ceduti al convento benedettino di S. Lorenzo di<br />
Aversa e, in più, si trasferì nel monastero benedettino<br />
di Mazzocca, nei pressi di Avellino, che aveva lo stesso<br />
nome <strong>del</strong>la loro dimora precedente: S. Maria ad<br />
Gryptam. Il 24 Marzo <strong>del</strong> 1751 Ferdinando II Borbone,<br />
re di Napoli, omaggiò il seminario di Teramo dei beni
<strong>del</strong>l’abbazia e, solo il 25 aprile 1854, questi ritornarono<br />
nelle mani <strong>del</strong>la comunità modugnese essendo<br />
riacquistati dal primicerio di Modugno, Luigi<br />
Loiacono che adibì l’abbazia a casa per la sua famiglia.<br />
A. D. R.<br />
Chiesa di S. Felice in Balsignano<br />
Il secondo luogo di interesse all’interno di questo<br />
percorso è il casale di Balsignano, un esempio di quel<br />
fenomeno dovuto alla crescita demografica conseguente<br />
all’aumento di produttività e consumo che si verifica<br />
in Italia meridionale tra il X e l’XI secolo e che porta<br />
alla formazione di kastra, di kastellia e di pyrgoi (torri),<br />
attraverso il fenomeno <strong>del</strong>l’incastellamento nel periodo<br />
<strong>del</strong>la riconquista bizantina <strong>del</strong> Mezzogiorno.<br />
Le prime notizie su Balsignano si ricavano da un<br />
documento <strong>del</strong>la Basilica di S. Nicola, in cui un certo<br />
Teofilatto rende noto che, essendogli stato attribuito<br />
nel 962, come eredità, un appezzamento di terra «in loco<br />
Balsignano» si serve di punti di riferimento, per poterlo<br />
identificare con maggiore precisione, come il castello e<br />
una «torre qui vocat castellutzo de ipsi dalmatini» 13 Il nome<br />
Balsignano potrebbe derivare o da uno dei primi possidenti,<br />
‘Basilius’, o da ‘basiliani’.<br />
Esso fu spesso preda di Saraceni nel 988, poi<br />
venne ricostruito e offerto come dono all’abbazia<br />
benedettina di S. Lorenzo ad Aversa dal duca normanno<br />
Ruggero. In seguito, a stabilire le sorti <strong>del</strong> casale ci<br />
pensarono i feudatari che al suo interno si alternarono<br />
a partire dal XIII secolo. Fu teatro di incontri-scontri<br />
tra eserciti filoangioini e filoungheresi che, nel 1349, si<br />
contesero la successione al Regno di Napoli, per poi<br />
conoscere un nuovo periodo di decadenza nel 1526,<br />
quando le truppe francesi e spagnole lo distrussero<br />
durante una <strong>del</strong>le tante lotte per la conquista <strong>del</strong>l’Italia<br />
meridionale.<br />
All’interno <strong>del</strong> casale si trovano due edifici di culto:<br />
S. Maria di Costantinopoli e la Chiesa di S. Felice. La<br />
prima risale al XIV secolo ed è costituita da due<br />
costruzioni addossate con un interno voltato a botte<br />
ad ogiva e con un’unica navata. Uno dei due edifici<br />
addossati è arricchito all’interno da alcuni scampoli di<br />
affreschi dal forte eco bizantineggiante di stampo<br />
senese, ed altri ancora.<br />
L’altra chiesa, che si trova quasi a ridosso <strong>del</strong>la<br />
cinta muraria <strong>del</strong> casale, è S. Felice. Il mo<strong>del</strong>lo architettonico<br />
ha dei richiami visibilmente orientali ed è<br />
SALTERNUM<br />
- 84 -<br />
inoltre possibile stabilire <strong>del</strong>le equivalenze stilistiche<br />
con altri edifici di culto presenti in provincia di Bari.<br />
Non si sa a quale data far risalire con certezza la<br />
fondazione di S. Felice, certo è che si presenta agli<br />
occhi dei visitatori come un grazioso exemplum di<br />
romanico pugliese <strong>del</strong>l’XI secolo. La sua cupola si erge<br />
maestosa su un tamburo ottagonale. All’interno pennacchi<br />
sferici, pareti impreziosite da nicchie inquadrate<br />
da archi a ghiera lunata, sono il risultato di un connubio<br />
perfetto tra stilemi bizantini, occidentali d’oltralpe<br />
ed arabi. Anche questa chiesa è a pianta unica<br />
che sfocia in un’abside con volta a botte, attraversata<br />
da un piccolo transetto. L’esterno è invece contraddistinto<br />
da archetti pensili, paraste e dentelli che ne percorrono<br />
l’intero perimetro. Esempi di questo tipo<br />
sono visibili nell’area asiatica dove questi edifici di<br />
culto sembrano essere sorti lungo <strong>del</strong>le precise direttive<br />
commerciali. Ma, come preannunciato, altri gemelli<br />
si trovano anche in Puglia. L’esempio certamente più<br />
esaustivo è il tempietto di S. Maria di Giano, ubicato in<br />
agro di Bisceglie, ma anche la Chiesa di S. Margherita,<br />
nei pressi <strong>del</strong> centro storico biscegliese, un esempio,<br />
questo, comunque meno lampante rispetto al primo.<br />
L’elemento caratterizzante <strong>del</strong>la chiesa di S. Felice resta,<br />
senza dubbio, la conformazione pentagonale <strong>del</strong>l’abside<br />
nell’estradosso. L’interno, invece, appare decisamente<br />
disadorno. Gli affreschi, che sicuramente dovevano<br />
abbellire le pareti, sono andati persi e questo non<br />
aiuta, certo, nell’impresa di stabilire la data precisa di<br />
fondazione <strong>del</strong>la chiesetta. Tuttavia sembra correre in<br />
aiuto, per questa problematica, il confronto con altre<br />
chiese con cui questa condivide qualcosa. Si tratta, per<br />
esempio, <strong>del</strong>la chiesa di Ognissanti di Cuti, nell’agro di<br />
Valenzano, risalente alla fine <strong>del</strong>l’XI secolo, con cui il<br />
S. Felice ha in comune la regolarità <strong>del</strong>le porzioni<br />
murarie e il merletto di dentelli che corre lungo il cornicione<br />
esterno, e poi S. Maria di Giano a Bisceglie, di<br />
cui si è detto prima e che alcuni studiosi fanno risalire<br />
alla fine <strong>del</strong>l’XI secolo. Anche il documento <strong>del</strong>la<br />
donazione <strong>del</strong> casale di Balsignano ai Benedettini di<br />
Aversa offre un ausilio in più per la datazione; in esso,<br />
infatti, essendoci l’elenco di tutte le proprietà facenti<br />
parte di ‘Basiliniano’, non viene fatto alcun riferimento<br />
a S. Felice. Questo significa che la chiesa è posteriore<br />
alla data <strong>del</strong>l’episodio e che potrebbe essere stata fondata<br />
in una data successiva all’XI secolo e precedente<br />
al 1197, anno di costruzione di S. Margherita a<br />
Bisceglie. Ancora più ostico è poi il problema <strong>del</strong>la
datazione di quella piccola costruzione addossata al<br />
lato settentrionale <strong>del</strong>la chiesa. Un luogo molto austero<br />
questo, semplice, che forse doveva servire per<br />
aumentare la capienza <strong>del</strong>la chiesa, con un unico vano<br />
terminante in un’abside e diviso da due campate sormontate<br />
da cupole di forma ellittica. La Chiesa di S.<br />
Felice è inquadrabile, dal punto di vista spaziale e<br />
volumetrico, nel novero degli edifici medievali pugliesi<br />
con copertura a cupola in asse. La sua particolarità<br />
risiede nei suoi netti volumi, nelle sue regolari e proporzionate<br />
forme, nella linearità schematica e precisa<br />
<strong>del</strong>la compagine muraria composta da conci calcarei<br />
finemente realizzati e dall’immagine contenuta di una<br />
specie di braccio trasversale che sembra voler scompaginare<br />
il chiaro schema compositivo e planimetrico, a<br />
navata unica, verso il punto in cui si innesta la cupola<br />
all’incrocio dei due assi. Codesta soluzione spaziale, la<br />
sala a cupola, ha avuto un diffuso utilizzo in tutto il<br />
bacino <strong>del</strong> Mediterraneo Orientale e nelle terre d’ambito<br />
bizantino, ossia nelle province <strong>del</strong>l’impero romano<br />
d’Oriente. In Italia meridionale, e soprattutto in<br />
Puglia, le chiese a cupola in asse hanno avuto una larga<br />
diffusione con particolari connotazioni e singolarità<br />
architettoniche che dimostrano quanto radicata era l’idea,<br />
il concetto e la tradizione costruttiva di ascendenza<br />
orientale bizantina. Le aree immediatamente interessate<br />
da questa particolare tendenza architettonica si<br />
raggruppano in due direzioni, quali le terre a nord<br />
<strong>del</strong>la Puglia centrale e le terre a sud. Partendo dallo<br />
schema planimetrico <strong>del</strong>la chiesa di S. Felice, i paragoni<br />
e i riferimenti ci portano a soluzioni che, sia pur con<br />
qualche variazione, sono unite dallo stesso filo conduttore,<br />
da uno stesso repertorio. Vi sono piante longitudinali<br />
ad unica navata con cupola centrale come<br />
nella Chiesa di Torre Santa Croce di Bitonto 14 , la cui<br />
concezione dei volumi compatti e la soluzione strutturale<br />
e planimetrica, e la cupola innestata al centro <strong>del</strong>la<br />
navata longitudinale, sono perfettamente riferibili a<br />
questa ricerca. In altri esempi vi sono due cupole in<br />
asse che si innestano su altrettante campate in cui è<br />
divisa un’unica navata, quali la Chiesa di Torre S.<br />
Eustachio a Giovinazzo o la Chiesa di S. Valentino a<br />
Bitonto. Nella Chiesa di S. Angelo 15 a Bisceglie, le<br />
similitudini con il S. Felice di Balsignano sono evidenti<br />
per la pianta a croce contratta con i bracci longitudinali<br />
coperti da volte a botte, mentre quelle trasversali<br />
constano di archi di sostegno per la copertura a<br />
cupola. Ulteriori confronti formali obbligano ad un<br />
CLAUDIO ARMENISE - AURELIA DANIELA RANA<br />
- 85 -<br />
paragone con la Chiesa di Ognissanti di Cuti presso<br />
Valenzano, databile all’XI secolo e ubicata lungo la<br />
stessa arteria viaria che si collega con Balsignano.<br />
Suddetta chiesa si colloca nell’elenco di chiesette rurali<br />
con cupola in asse diffuse lungo la costa pugliese e<br />
nell’entroterra immediatamente ad essa collegato;<br />
nonostante essa suggerisca un’impostazione planimetrica<br />
longitudinale a tre navate, con tre absidi sporgenti<br />
e altrettante cupole in asse, l’aspetto d’insieme presuppone<br />
un riferimento al S. Felice di Balsignano per<br />
la chiarezza compositiva e la limpidezza dei paramenti<br />
murari finemente sbozzati e per la generale concezione<br />
dei volumi compatti; risalta, inoltre, la perfetta<br />
corrispondenza <strong>del</strong>l’apparato decorativo a dentelli che<br />
impreziosisce gli estradossi <strong>del</strong>le absidi e la cornice<br />
d’imposta <strong>del</strong>la copertura. È, comunque, con le piccole<br />
chiese rurali <strong>del</strong>l’agro di Bisceglie che la nostra chiesetta<br />
potrebbe paragonarsi attraverso specifiche soluzioni<br />
formali e strutturali: nel casale di Pacciano, e in<br />
prossimità di esso, sono situate due chiese dalle indiscutibili<br />
affinità decorative e volumetriche, ossia la<br />
Chiesa di Ognissanti e la Chiesa di S. Angelo. La<br />
prima, di pianta rettangolare con breve braccio trasversale<br />
e dominata da una cupola in asse, rientra in<br />
quella tipologia edilizia comune a diverse chiese rurali<br />
dislocate nelle campagne <strong>del</strong>l’entroterra barese. La<br />
Chiesa di S. Felice è confrontabile con essa per la soluzione<br />
di pianta e di struttura, per la schematica essenzialità<br />
formale dei conci e per generale tipologia di<br />
impianto costruttivo, un impianto avvicinabile alla<br />
Chiesa di S. Angelo <strong>del</strong>l’XI secolo: essa ripete il tipo di<br />
pianta ad unico ambiente con cupola in asse, come il<br />
tempietto di Giano, sempre in agro di Bisceglie, e la<br />
Chiesa di S. Biagio a Giovinazzo. Come si può notare,<br />
codesto fenomeno architettonico si ripete ininterrotto<br />
in Puglia, tributario di modi legati alla tradizione<br />
costruttiva bizantina e <strong>del</strong> Medio-Oriente riferibile ad<br />
un ambito cronologico che va dal X al XIII secolo 16 .<br />
Sempre se ci si ferma ad un contesto riferibile all’Italia<br />
Meridionale e alla Puglia in particolare, la Chiesa di S.<br />
Leonardo di Siponto <strong>del</strong> XII secolo 17 , offre spunti<br />
interessanti confrontabili con il S. Felice: oltre a soluzioni<br />
riferibili alla Chiesa di Ognissanti a Valenzano,<br />
come la pianta a tre navate e altrettanti absidi sporgenti<br />
con cupole in asse innestate sulla navata centrale,<br />
ricalca cadenze formali riscontrabili nella nostra chiesetta,<br />
ossia il motivo degli archetti pensili alternati a<br />
corpose lesene che ornano l’intera facciata meridiona
le. La stessa decorazione a denti di sega accomuna le<br />
due chiese come se fossero inseparabili elementi coincidenti<br />
di una linea architettonica ufficiale con i suoi<br />
concetti e i suoi canoni, pensati in modo sistematico e<br />
in maniera prestabilita come archetipi di un fare architettonico.<br />
Indubbiamente la Chiesa di S. Felice è la realizzazione<br />
di maestranze raffinate, probabilmente<br />
locali, che utilizzano una tipologia costruttiva ormai<br />
diffusa e affermata che presuppone la conoscenza di<br />
modi di suggestione medio-orientale e bizantina: l’utilizzo<br />
di un’abside di forma pentagonale, la silhouette<br />
esterna rialzata <strong>del</strong>la cupola estradossata richiamano<br />
alla mente confronti con la cupola <strong>del</strong> Mausoleo di<br />
Boemondo 18 a Canosa e la Chiesa dei SS. Niccolò e<br />
Cataldo di Lecce, fortemente ancorati a soluzioni formali<br />
legate all’ambito crociato ed islamico. In ultima<br />
analisi, si può citare un ulteriore legame <strong>del</strong>la chiesa di<br />
Balsignano con la cultura architettonica <strong>del</strong> Caucaso,<br />
in particolare con la tradizione armena cui appartiene<br />
l’evoluzione <strong>del</strong>lo schema planimetrico a pianta centrale,<br />
radicato nella regione già a partire dal VI-VII<br />
secolo d. C., ma che probabilmente tocca anche la<br />
Georgia. Si conoscono gli apporti <strong>del</strong>l’area<br />
<strong>del</strong>l’Oriente caucasico e <strong>del</strong>le regioni <strong>del</strong>l’Oriente islamico<br />
sull’impero bizantino, da sempre a contatto con<br />
realtà ‘straniere’, con una moltitudine di popoli, a partire<br />
dalle regioni russe, armene, persiane, <strong>del</strong>le zone<br />
<strong>del</strong>l’Asia centrale; in un giro abbastanza complicato di<br />
reciproci influssi, l’impero romano d’Oriente era aperto<br />
alle novità che provenivano dall’esterno, le rielaborò<br />
esportando nuove soluzioni e le impose al mondo<br />
che gli gravitava attorno.<br />
La Puglia, e con essa tutta l’Italia meridionale, non<br />
ha mai respinto le suggestioni, gli apporti, le forme, le<br />
inclinazioni, le tracce di una cultura multiforme, provenienti<br />
da un impero di cui faceva parte, essendo un<br />
thema, ossia una provincia di un’importante istituzione<br />
statale. Non si dimentichi che nelle regioni meridionali<br />
d’Italia erano presenti, già dal tempo <strong>del</strong>le invasioni<br />
degli Arabi, Mussulmani mescolati con le popolazioni<br />
latine, Slavi ed Ebrei, gruppi di Longobardi e poi, dal<br />
X secolo d. C., Armeni e Bulgari, senza dimenticare la<br />
SALTERNUM<br />
- 86 -<br />
componente greca. Al tempo <strong>del</strong>la presumibile edificazione<br />
di S. Felice, o meglio, <strong>del</strong> casale di Balsignano<br />
(X secolo d. C.), nelle vicinanze di Bari e Ceglie, ma<br />
sicuramente già in altre città, erano stanziati gruppi di<br />
Armeni provenienti dall’Oriente. Non ci si allontana<br />
dal vero se si pensa ad una componente di questo tipo<br />
che abbia influenzato nella forma e nella sua complessione<br />
la chiesetta di S. Felice. La tipologia <strong>del</strong>la ‘sala a<br />
cupola’, la ‘Kuppelhalle’, era ben diffusa in area caucasica;<br />
l’Armenia conosce questa conformazione compositiva<br />
già dal VI secolo, e se la si riferisce ad una espressione<br />
di tale tipo, vi è una certa somiglianza con la<br />
Chiesa di S. Êjmiacin, conosciuta come ‘Chiesa Rossa’,<br />
a Soradir 19 (risalente alla prima metà <strong>del</strong> VII secolo d.<br />
C.), villaggio sorto nella catena montuosa <strong>del</strong> Tauro<br />
Armeno, nella quale ci si accorge a prima impressione,<br />
di una certa affinità col S. Felice, proprio nell’accuratezza<br />
<strong>del</strong>l’impianto murario, nell’eleganza e nella levigatezza<br />
dei conci finemente tagliati. L’impianto planimetrico<br />
a croce greca su uno schema centralizzato con<br />
cupola in asse, presuppone uno schema già diffuso in<br />
età precoce, simbolo di un’idea tipologica parecchio<br />
antica e che forse ha origini ancor anteriori.<br />
La chiara disposizione e compattezza dei filari di<br />
pietre accomuna le due chiese, così come la semplice<br />
linearità dei volumi e la loro plasticità, l’ordine compositivo<br />
<strong>del</strong>le forme, il tipo di soluzione <strong>del</strong>le coperture<br />
poste al centro <strong>del</strong>l’involucro spaziale, sono le particolari<br />
accomunanze che le legano; di contro, la croce<br />
contratta di S. Felice non segue i due bracci sporgenti<br />
dalla sezione longitudinale di S. Êjmiacin. Il tamburo<br />
è pure differente: il quadrato sbozzato agli angoli,<br />
accompagnato da un evidente slancio verso l’alto, è<br />
chiaramente lontano dall’aggraziato tamburo ottagonale<br />
di Balsignano. Ma la concezione di fondo è perfettamente<br />
identica; e poi, la copertura a due falde dei<br />
quattro bracci a Soradir è riferibile a quella di<br />
Balsignano 20 . Possiamo infine inquadrare il S. Felice<br />
come un edificio dalla concezione spaziale e volumetrica<br />
debitrice <strong>del</strong>l’Oriente, ma con un incrocio di elementi<br />
occidentali, bizantini e orientali, vieppiù medioorientali.<br />
C. A.
Note<br />
1 STOPANI 1991, p. 7.<br />
2 STOPANI 1992, pp. 5-22.<br />
3 MILANO 1982, pp. 426-427.<br />
4 FONSECA 1981, pp. 13-21.<br />
5 MEDEA 1939, p. 8.<br />
6 CORSI 1999, pp. 125-132.<br />
7 DELL’AQUILA - MESSINA 1998, p. 129.<br />
8 DELL’AQUILA - CAROFIGLIO 1985, III,<br />
Bibliografia<br />
BRECCIA FRATADOCCHI T. 1971, La Chiesa di<br />
S. Êjmiacin a Soradir, Studi di architettura<br />
medievale armena, I, Roma.<br />
CORSI P. 1999, Bisanzio e il Mezzogiorno<br />
d’Italia. Ricerche e problemi, Bari.<br />
DE CADILHAC R. 2005a , Le chiese a cupola in<br />
asse in Puglia, da Trani a Modugno, I,<br />
Altamura.<br />
DE CADILHAC R. 2005b , Le chiese a cupola in<br />
asse in Puglia, da Bitonto a Fasano, II,<br />
Altamura.<br />
DELL’AQUILA C. – CAROFIGLIO F. 1985,<br />
Bari extra moenia. Insediamenti rupestri ed ipogei,<br />
II, Bari.<br />
DELL’AQUILA F. – MESSINA A. 1998, Le chiese<br />
rupestri di Puglia e Basilicata, Bari.<br />
FONSECA C. D. 1981, La Cappadocia rupestre<br />
tra mito storiografico e realtà storica, in Le aree<br />
CLAUDIO ARMENISE - AURELIA DANIELA RANA<br />
pp. 20-26.<br />
9<br />
LAZAREV 1967, pp. 7-29.<br />
10<br />
MILANO 1982, p. 430.<br />
11<br />
DELL’AQUILA – CAROFIGLIO 1985, III,<br />
p. 31.<br />
12<br />
GAY 1917, p. 504.<br />
13<br />
PEPE 1980, pp. 23-26.<br />
omogenee <strong>del</strong>la Civiltà Rupestre nell’ambito<br />
<strong>del</strong>l’Impero Bizantino: la Cappadocia. Atti <strong>del</strong><br />
quinto Convegno Internazionale di Studio sulla<br />
civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno<br />
d’Italia, Lecce-Nardò 1979, a cura di C. D.<br />
FONSECA, Galatina, pp. 13-21.<br />
GAY G. 1917, L’Italia meridionale e l’impero<br />
bizantino. Dall’avvento di Basilio I alla resa di<br />
Bari ai Normanni (867-1071), Firenze.<br />
LAZAREV V. 1967, Storia <strong>del</strong>la pittura bizantina,<br />
Torino.<br />
MEDEA A. 1939, Gli affreschi <strong>del</strong>le cripte eremitiche<br />
pugliesi, Roma.<br />
MILANO N. 1982, Le Chiese <strong>del</strong>la Diocesi di<br />
Bari. Note storiche ed artistiche, Bari.<br />
MONGIELLO L. 1988, Le chiese di Puglia. Il<br />
fenomeno <strong>del</strong>le chiese a cupola, Bari.<br />
PEPE A. 1980, La Chiesa di S. Felice (S. Pietro)<br />
in Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, IV,<br />
- 87 -<br />
14 DE CADILHAC 2005, II, p. 14.<br />
15 DE CADILHAC 2005, I, p. 20.<br />
16 SEMERARI 1980, pp. 305-312.<br />
17 VENDITTI 1967, pp. 191-200.<br />
18 MONGIELLO 1988, pp. 81-87.<br />
19 BRECCIA FRATADOCCHI 1971, p. 12.<br />
20 DE CADILHAC 2005, I, p. 36.<br />
pp. 23-26.<br />
SEMERARI L. 1980, La chiesa di Ognissanti in<br />
località Pacciano (Bisceglie), in Insediamenti benedettini<br />
in Puglia. Per una storia <strong>del</strong>l’arte dall’XI al<br />
XVIII secolo, Catalogo <strong>del</strong>la Mostra, a cura<br />
di M. S. CALÒ MARIANI, Bari, II voll.<br />
STOPANI R. 1991, Le vie di pellegrinaggio <strong>del</strong><br />
Medioevo. Gli itinerari per Roma, Gerusalemme,<br />
Compostela, Firenze, 1991<br />
STOPANI R. 1992, La via Francigena <strong>del</strong> Sud.<br />
L’Appia Traiana nel Medioevo, Firenze.<br />
VENDITTI A. 1967, Architettura a cupola in<br />
Puglia (II). Le chiese di S. Leonardo di Siponto,<br />
S. Benedetto a Brindisi, S. Maria di Colonna a<br />
Bari e le cappelle di S. Rocco a Turi e S. Maria<br />
<strong>del</strong>le Grazie a Bitonto, in “Napoli<br />
Nobilissima”, VI, fasc. V-VI, pp. 191-200.
- 88 -
Il ‘caso d’Oderisio’: il Maestro, la Croce<br />
e prospettive di lettura per una critica mancata<br />
Premessa<br />
La diffusione <strong>del</strong>la cultura figurativa toscana<br />
su tavola, nella prima metà <strong>del</strong> Trecento,<br />
irradia ben presto in varie botteghe artistiche<br />
<strong>del</strong>la penisola, simboleggiando quella fortunata<br />
ondata di esiti e modus stilistici che dalle direttive giottesche<br />
formeranno i giusti presupposti per la duratura<br />
continuità <strong>del</strong> linguaggio gotico anche nelle promettenti<br />
terre aristocratiche <strong>del</strong> Sud. Lungi dalla ‘classicità’<br />
di un discorso artistico sulla pittura trecentesca, il<br />
quale farebbe palesemente capo a Firenze e, per ricaduta,<br />
alla fiorente attività di maestri senesi, si vuole in<br />
questo ambito solo evidenziare che sono numerosi gli<br />
storici che hanno denunciato, nel passato come <strong>del</strong><br />
resto tutt’ora, una particolare ‘chiusura’ verso la ricerca<br />
e l’investigazione <strong>del</strong>la vivacità artistica in terre<br />
minori 1 . I felici capitoli <strong>del</strong>l’arte italiana nel Trecento<br />
concernenti la pittura di corte <strong>del</strong> Sud angioino, dopo<br />
le prime esperienze assimilate nell’orbita toscana<br />
emergono, difatti, da un repertorio di contributi scientifici<br />
e studi assolutamente recenti. Partendo così da<br />
un terreno ben spianato, gli interventi sullo studio storico-artistico<br />
<strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong> XIV secolo, hanno<br />
raggiunto la quasi completa esaustività di approccio<br />
alle fonti ed aree prese in esame sinora mai affrontate<br />
prima. Ora che il quadro storico generale si compone<br />
di elementi artistici e documentazioni ben individuati<br />
nella parentesi medievale italiana, sarà necessario indirizzare<br />
l’interesse proprio verso le gentilizie aree <strong>del</strong><br />
Sud agli albori <strong>del</strong>la fortuna angioina. La situazione<br />
artistica <strong>del</strong>la prima pittura napoletana, ancora lontana<br />
dalla fioritura di un modus pingendi di ‘scuola’ locale,<br />
orbita attorno le direttive dei facoltosi Angioini, che<br />
appaltano ditte e finanziano commissioni artistiche a<br />
maestri <strong>del</strong> settore reclutati però in aree transalpine<br />
prima e dal Centro Italia poi. La grande continuità <strong>del</strong><br />
flusso artistico fiorentino e senese, di portata ormai<br />
GIANMATTEO FUNICELLI<br />
- 89 -<br />
Fig. 1 - ROBERTO D’ODERISIO, Crocifissione (1350-1360 ca.), olio su tavola (178 x 120<br />
cm), Salerno, Museo Diocesano ‘San Matteo’.<br />
Iscrizione: HOC OPUS PINSIT ROBERTUS DE ODORISIO DE NEAPOLI.<br />
Provenienza: Eboli, Convento di San Francesco.<br />
internazionale dopo l’esilio papale ad Avignone a partire<br />
dal 1309, viene assorbito anche nel Regno di<br />
Napoli sotto la direzione di tre sovrani, Carlo I e Carlo<br />
II d’Angiò (seconda metà <strong>del</strong> XIII secolo) e da<br />
Roberto detto il Saggio. Dalla caduta ufficiale<br />
<strong>del</strong>l’Impero Svevo avvenuta con la sconfitta di
Fig. 2 - SIMONE MARTINI,<br />
Crocifissione (c. 1340), tavola (24,5 x<br />
15,5 cm). Part. <strong>del</strong> Polittico Orsini –<br />
Anversa, Musée des Beaux-Arts.<br />
Manfredi nel 1266 a Benevento e di Corradino a<br />
Tagliacozzo nell’agosto <strong>del</strong> 1268 2 , i d’Angiò si aggiudicano<br />
i diritti reali sul potente regno meridionale.<br />
Cacciata così la ‘malerba sveva’ 3 il re Carlo, primo<br />
angioino, intraprende un efficace consolidamento<br />
governativo, affidando il potere amministrativo al<br />
baronaggio francese e la direzione economica <strong>del</strong><br />
Regno di Napoli direttamente ai banchieri fiorentini.<br />
Un disegno governativo integrato ad una prestigiosa<br />
rete di relazioni diplomatiche per tutto il<br />
Mediterraneo, mentre si andava raffinando il fecondo<br />
rapporto tra il Regno e il resto <strong>del</strong>l’Europa mediante<br />
l’assimilazione di un nuovo linguaggio <strong>del</strong>le arti. Fe<strong>del</strong>i<br />
all’idioma <strong>del</strong> Gotico, diffusosi ormai in tutta la penisola,<br />
gli Angioini si rifanno dapprima alla tradizionale<br />
eredità artistica federiciana, per poi acquisire novità e<br />
stilemi dalla madrepatria francese da cui attingere le<br />
più interessanti novità e repertori ‘alla moda’. Dal consolidamento<br />
<strong>del</strong>le strutture difensive all’arredo liturgico,<br />
dalla madrepatria giunge persino la passione principale<br />
<strong>del</strong> primo monarca angioino, la produzione<br />
<strong>del</strong>la miniatura. Si importa nel Meridione napoletano<br />
una cospicua collezione di messali, antifonari, codici<br />
di ogni natura e genere, soprattutto decorati ed ornati,<br />
esito <strong>del</strong> fervido clima religioso di mediazione cattolica<br />
francese dal quale si ricavano nuovi spunti artistici<br />
per la futura arte <strong>del</strong>la pagina miniata 4 italiana.<br />
Con la persistenza <strong>del</strong>l’influsso francese anche sotto il<br />
trono di Carlo II (1285-1303) il fervore edilizio, propriamente<br />
di carattere sacro, prende il sopravvento<br />
nella matura edificazione <strong>del</strong> coro di San Lorenzo<br />
Maggiore a Napoli (1270-1275), in cui ad un indirizzo<br />
costruttivo di stampo francescano si affianca la notevole<br />
soluzione <strong>del</strong> più puro gotico francese rayonnant 5 .<br />
Il nuovo linguaggio ‘alla francese’ persiste nell’intera<br />
casata angioina mediante un ‘linguaggio di corte’ 6<br />
SALTERNUM<br />
- 90 -<br />
dedito allo sfarzo ma nel contempo moderato, anche<br />
tramite la realizzazione di oreficerie esplicitamente<br />
suntuarie in cui i principali elementi di elaborazione,<br />
l’oro e il materiale eburneo, costituiscono la sostanza<br />
di pregevoli manufatti di carattere votivo. Accanto ad<br />
una matrice artistica di fondo francese, il Regno di<br />
Napoli sarà testimone di varie ‘intromissioni’ anche<br />
locali, soprattutto nel linguaggio pittorico. Intrusioni<br />
generate da varie personalità provenienti dal fermento<br />
culturale in corso nell’Italia centrale 7 . Il personaggio<br />
decisivo che rivoluzionerà maggiormente la maturazione,<br />
nel senso gotico, di questa arte figurativa ‘locale’<br />
è il romano Pietro Cavallini, arrivato a Napoli nel<br />
1308, il quale si attesta ed opera nella cappella di San<br />
Aspreno nel transetto <strong>del</strong> Duomo e nel vasto ciclo<br />
<strong>del</strong>la cappella Brancaccio in San Domenico Maggiore.<br />
Nella ‘Crocifissione’ di tale cappella (1308-1309),<br />
accanto ad una moderata ‘sobrietà monumentale’ 8 , si<br />
evince un processo di semplificazione formale e di<br />
regolarità compositiva che la pittura cavalliniana, di<br />
fe<strong>del</strong>e inclinazione al ‘revival’ <strong>del</strong>l’Antico, importa negli<br />
atelier napoletani come linguaggio d’innovazione. Sarà<br />
poi in futuro, sotto il regno di Roberto il Saggio, che<br />
Napoli raggiungerà l’apogeo culturale all’interno di un<br />
più sentito ‘ambiente di corte’, il quale sarà partecipe<br />
<strong>del</strong>la nascita di un linguaggio ‘locale’ sicuramente tra i<br />
più elaborati. Sarà la chiamata di personalità di spicco<br />
come Simone Martini e di Giotto ad esaltare la produzione<br />
su tavola ed enfatizzare la promozione politica e<br />
religiosa degli affreschi nei complessi chiesastici <strong>del</strong>la<br />
Napoli angioina. Dalla commissione <strong>del</strong> senese<br />
Simone Martini raffigurante il San Ludovico da Tolosa<br />
<strong>del</strong> 1317, la pala dal primordiale valore propagandistico<br />
e politico di tutta la Storia <strong>del</strong>l’arte su tavola, alla<br />
stagione artistica di Giotto all’ombra <strong>del</strong> Vesuvio<br />
(1328-1334), il Regno raggiungerà una centripeta<br />
influenza di interessi culturali ed artistici di prim’ordine.<br />
Delle attestazioni strettamente giottesche - autografe<br />
e non - le testimonianze napoletane si limitano a<br />
qualche lacerto pittorico o per lo più a fonti indirette,<br />
ma rimanendo fe<strong>del</strong>i alle relazionate indagini degli studiosi<br />
9 , le prime attestazioni <strong>del</strong> Maestro ‘protoumanista’<br />
nella capitale angioina sono da ricercare nella<br />
decorazione <strong>del</strong>la chiesa francescana di Santa Chiara,<br />
eretta per volontà devozionale di Sancha de Maiorca<br />
(1310), seconda sposa di Roberto, nella quale sono<br />
stati ravvisati due cicli biblici testamentari e Storie<br />
<strong>del</strong>l’Apocalisse, di cui il frammento affrescato raffigu-
ante il Compianto sul Cristo morto realizzato nel coro<br />
<strong>del</strong>le monache risulta, a vasto parere critico, il significativo<br />
intervento <strong>del</strong> maestro 10 ma non l’unico, essendo<br />
nel contempo attivo, coadiuvato da altre eminenti<br />
personalità come il Maso o il c.d. ‘Parente’ (Stefano ?),<br />
in più cantieri <strong>del</strong> Regno. Giunto così a Napoli un<br />
patrimonio giottesco di sì valida avanguardia e continuità,<br />
il modus stilistico fiorentino si aggiudica la continuità<br />
negli ambienti di corte angioina sino alla fine <strong>del</strong><br />
secolo, permettendo la sollecitazione alla nascita di<br />
una scuola artistica originale e, finalmente, autoctona.<br />
Dall’eredità giottesca prendono parte alla persistenza<br />
di tale repertorio stilistico numerose figure di artisti<br />
minori, costituendo in Campania quell’avvincente<br />
‘svolta gotica’ soprattutto nelle figure <strong>del</strong> ‘Maestro di<br />
Giovanni Barrile’, il ‘Maestro <strong>del</strong>le tempere francescane’,<br />
come pure, in particolar modo, di Roberto<br />
d’Oderisio: al di là <strong>del</strong>la sintetica lettura critica <strong>del</strong>la<br />
sua ‘Crocefissione’ ebolitana, vuole essere di spinta ad<br />
un maggiore interessamento degli studiosi sia su<br />
Roberto che <strong>del</strong>la sua attività nel salernitano 11 . Il maestro<br />
in questione alla corte dei d’Angiò riprende il<br />
completo impeto di Giotto, armonizzando stili e<br />
forme in una pittura tra le più affascinanti <strong>del</strong>la nostra<br />
Storia <strong>del</strong>l’Arte.<br />
Roberto, un pittore ‘familiare’. La ‘scalata sociale’ <strong>del</strong> pittore<br />
tra inizio e metà <strong>del</strong> Trecento<br />
Le notizie biografiche sul pittore trecentesco si<br />
limitano a brevi interventi all’interno di contributi<br />
storico-artistici 12 collegati, in genere, ad una curiosità<br />
di erudizione o nell’ambito di indiretti collegamenti<br />
stilistici su artisti minori che nel passato la storiografia<br />
non ha esaustivamente affrontati. Di un suo particolare<br />
apprendistato come giovane emergente nell’entourage<br />
<strong>del</strong>le ditte artistiche francesi presenti nella Napoli<br />
trecentesca non si ha una diretta testimonianza, ma<br />
palese risulta su Roberto l’influenza <strong>del</strong>la filiazione<br />
giottesca presso gli Angioini soprattutto nella figura di<br />
Maso di Banco, qui in veste di coadiuvante di Giotto<br />
nella capitale <strong>del</strong> Regno. Sicuramente il giovane pittore<br />
avrà avuto modo di osservare e soprattutto di attingere<br />
dai parametri a fresco <strong>del</strong> Monastero di Santa<br />
Chiara il particolare fascino <strong>del</strong>la più alta lezione giottesca,<br />
nonché di assimilare la raffinata sintassi compositiva<br />
masiana. Delle proprie abilità compositive in età<br />
di prima formazione, epoca che risale alla pala con la<br />
Crocifissione - di cui si parlerà ampiamente più avanti<br />
GIANMATTEO FUNICELLI<br />
- 91 -<br />
Fig. 3 - Eboli (SA), Chiesa di S. Francesco, - XIII sec. (ante 1224). Facciata barocca<br />
originaria (prima dei bombardamenti <strong>del</strong> 1943).<br />
- chi scrive ricorderà brevemente la commissione pittorica<br />
nella cappella Barresi dove si apre il ciclo <strong>del</strong>la<br />
Natività e lo Sposalizio <strong>del</strong>la Vergine presso la Chiesa di<br />
San Lorenzo Maggiore a Napoli (prima metà XIV<br />
secolo). Strettamente connessa a questa fase risulta<br />
anche la ‘Madonna Mater Omnium’ <strong>del</strong>la Chiesa di San<br />
Domenico Maggiore. In maniera sintetica sarà doveroso<br />
annoverare anche la serie dei Sacramenti affrescati<br />
nella Chiesa <strong>del</strong>l’Incoronata, datati approssimativamente<br />
ad un’epoca posteriore al 1352 13 . Essi si inseriscono<br />
in una più elegante maturità stilistica <strong>del</strong> pittore<br />
campano, indubbiamente appresa dalla fe<strong>del</strong>e ammirazione<br />
per il senese Martini, il quale riscontrò un largo<br />
successo di pubblico nel Regno di Napoli 14 . Per comprendere<br />
l’importanza <strong>del</strong> percorso artistico di<br />
Roberto d’Oderisio sarà necessario ripercorrere brevemente<br />
le tappe <strong>del</strong>la sua ‘scalata sociale’ nel mondo<br />
<strong>del</strong>la Corte angioina. In un’epoca in cui l’artista<br />
comincia a rendersi conto dei propri valori e <strong>del</strong>le preziosi<br />
doti nel complesso tessuto sociale, tra la fine <strong>del</strong><br />
Duecento e inizio <strong>del</strong> Trecento, Roberto rappresenta<br />
l’artista ‘tipo’ di questo grande sviluppo. Già all’epoca
Fig. 4 - Eboli (SA), Chiesa di San Francesco, XIII sec. (ante 1224). Interno stuccato<br />
prima <strong>del</strong> 1943.<br />
<strong>del</strong> Petrarca, il quale incontra Simone Martini ad<br />
Avignone, il processo di valutazione sociale <strong>del</strong>l’artista<br />
medievale si muove su nuove prospettive: ammirando<br />
le opere di Giotto il poeta aretino definisce i lavori <strong>del</strong><br />
pittore come ‘grandi monumenti <strong>del</strong>l’ingegno’. Dopo<br />
un lungo oblio di riconoscimenti, in cui la cortina <strong>del</strong>l’anonimato<br />
si eleva per l’artifex a grande altezza,<br />
soprattutto nel primo Medioevo, la figura <strong>del</strong>l’artista<br />
riesce ad accaparrarsi la giusta notorietà dopo l’Anno<br />
Mille. Il metodo artistico <strong>del</strong> mondo medievale attraverso<br />
cui si evidenzia l’azione dei committenti e il successo<br />
degli artisti, produce, grazie anche alla complicità<br />
<strong>del</strong> pubblico devoto, soprattutto per l’artista tardo<br />
medievale, la consapevolezza <strong>del</strong>la propria abilità e il<br />
risultante riconoscimento elogiativo 15 . La formazione<br />
<strong>del</strong>le corporazioni e <strong>del</strong>le gilde tra le città più rinomate<br />
<strong>del</strong> tempo, sembrano però denunciare nell’artista<br />
degli stretti regimi di valutazione e sottomissione al<br />
cospetto <strong>del</strong>la sfera politica, o quanto meno di fronte<br />
alla figura che patrocina l’opera. Un fenomeno in realtà<br />
di vero contrasto nel discorso di un’autonomia <strong>del</strong>la<br />
persona. In una logica di ‘sottomissione’ l’artista, o per<br />
meglio dire ancora l’artigiano, ritrova nell’istituto <strong>del</strong>la<br />
‘familiaritas’ il suo fertile habitat di promozione e la<br />
libertà di autogestione professionale. La valutazione<br />
<strong>del</strong>le proprie abilità e la giusta nobilitazione <strong>del</strong>l’artista<br />
nel complesso tessuto di corte è un qualcosa che ha<br />
origini lontane, e non a caso francesi 16 , in cui il maestro<br />
‘esperto’ in questione viene inserito nell’ambiente<br />
signorile, come fi<strong>del</strong>is oppure con massima dignità<br />
come familiaris <strong>del</strong> monarca riuscendo, tramite detta<br />
carica, ad assegnarsi il rinomato ruolo nella scala<br />
sociale e aggiudicandosi il giusto prestigio verso il<br />
pubblico. Il fortunato artista che veniva insignito di<br />
SALTERNUM<br />
- 92 -<br />
questo titolo nobilitante riusciva non solo ad svincolarsi<br />
dalle rigide norme <strong>del</strong>le corporazioni, ma acquistava<br />
un vero e proprio status giuridico di promozione<br />
sociale. Al fortunato maestro che risiedeva nel clima<br />
dei nobili, oltre alla sua immediata elevazione si garantivano<br />
una serie di concessioni e compensi più che<br />
cospicui. Dal corrispettivo in denaro al vestiario, per<br />
poi possedere il libero accesso ai più disparati servizi<br />
di corte, il personaggio nominato viveva nell’agiatezza<br />
regale lasciandosi alle spalle il precedente e poco gratificante<br />
status di ‘artigiano’. Nella particolarità <strong>del</strong><br />
Regno di Napoli, dal passaggio <strong>del</strong> potere svevo a<br />
quello angioino, la concessione <strong>del</strong> titolo di ‘familiare’<br />
accrebbe notevolmente 17 . Le personalità che si radunarono<br />
attorno all’Imperatore si configurarono come<br />
valide figure professionali le quali misero a disposizione<br />
<strong>del</strong> re le loro capacità in ambito letterario ed artistico.<br />
Le prime investiture da parte dei sovrani non<br />
nascono prettamente nell’ambito trecentesco, e sulle<br />
prime esperienze di questo vasto fenomeno di indirizzo<br />
politico le fonti la dicono lunga 18 . Gli storici hanno<br />
dimostrato in passato che i primi ad essere nominati,<br />
soprattutto architetti ed orafi 19 , vennero convalidati al<br />
titolo nobiliare già nella seconda metà <strong>del</strong> Duecento,<br />
sotto il potere di Carlo I 20 . Ma la più vasta ‘stagione<br />
angioina’ 21 di reclutamento risale al periodo imperiale<br />
tra i due monarchi Carlo II e Roberto I, i maggiori<br />
sovrani che contribuirono alla crescita culturale e al<br />
fermento artistico <strong>del</strong>la capitale. Soprattutto Roberto,<br />
che fu il primo Angioino ad assegnare il titolo nobilitante<br />
a dei pittori, i quali venivano arruolati da terre<br />
straniere quali la Toscana e l’ambito romano, dato che<br />
già in epoche precedenti la Corte stringeva con tali<br />
aree rapporti politici ed economici. A conclusione di<br />
tale annotazione, sarà doveroso evidenziare che non<br />
fu sempre giustamente riconosciuta la fama di un artista<br />
di prestigio nel parametro <strong>del</strong>le concessioni nobiliari.<br />
A poche figure veniva concesso il privilegio di<br />
tale carica e, per lo più, solo all’artista che stabiliva con<br />
il sovrano uno stretto rapporto confidenziale. Furono<br />
molti difatti i personaggi illustri che resero il Regno di<br />
Napoli una mole di testimonianze artistiche significanti<br />
ma che nel contempo furono esclusi da tale<br />
nomina e da qualsiasi riconoscimento 22 . Nella specifica<br />
parentesi di Roberto d’Oderisio, l’illustre pittore al<br />
servizio <strong>del</strong>la nobiltà angioina venne anch’esso insignito<br />
<strong>del</strong>la carica di ‘familiare’ e questa attestazione ci<br />
perviene da due diverse documentazioni: innanzi tutto
le fonti storiche tratte dalla Cancelleria angioina all’epoca<br />
di Carlo III di Durazzo, pubblicate dallo storico<br />
Nicola Barone in data 1887 23 . Nei detti scritti si deduce<br />
che la sua nomina risale al 1 Febbraio <strong>del</strong> 1382 e<br />
che gli viene conferita da Carlo III di Durazzo. Altra<br />
testimonianza risale ad un manoscritto seicentesco<br />
custodito presso la Biblioteca Nazionale di Napoli.<br />
Nel testo si attesta che: «Magister Robertus de Oderisio fit<br />
familiaris, es magister pictor noster cum gagiis unciarum<br />
XXX…», evidenziando anche alcuni dati sull’entità<br />
<strong>del</strong> compenso che veniva attribuito al maestro annualmente.<br />
Prestatosi al giuramento di fe<strong>del</strong>tà verso il proprio<br />
sovrano, quest’ultimo, di prassi, conferma ed<br />
ammette la frequentazione <strong>del</strong>l’artista nella propria<br />
sfera nobiliare (de nostro hospitio retinemus). Si presume,<br />
poi, da tali fonti che Roberto doveva essersi inserito<br />
nella cerchia aristocratica angioina già in epoche precedenti,<br />
forse quando gli venne commissionata la<br />
decorazione nell’Incoronata, tra gli anni Quaranta e<br />
Cinquanta 24 . Ma questo esclude che esso sia stato insignito<br />
prima <strong>del</strong> governo di Carlo III di una precedente<br />
nomina. Che egli abbia però già lavorato al servizio<br />
<strong>del</strong>la Corte in commissioni e lavori pubblici è un dato<br />
scritto (il giovane artista viene indicato, infatti come<br />
magister pictorem nostrum). In base alle fonti <strong>del</strong>la cancelleria<br />
angioina si potrebbe anche avanzare qualche ipotesi<br />
sull’attività artistica che il maestro esplicitò al servizio<br />
di Carlo III subito dopo l’ottavo decennio <strong>del</strong> secolo<br />
25 . Oltre ai privilegi elargiti dal sovrano verso l’artista,<br />
con le rispettive donazioni, esenzioni e vitalizi che spettavano<br />
al ‘familiare’ in questione, è da evidenziare che<br />
per l’elaborazione <strong>del</strong>l’opera il pagamento veniva reso a<br />
parte.<br />
Il convento di San Francesco in Eboli<br />
La fabbrica chiesastica, di indirizzo francescano,<br />
costituita dall’ampia aula di culto, il grande campanile<br />
ed annesso il vasto complesso conventuale dedicati al<br />
santo di Assisi si erge su di un colle <strong>del</strong>l’antico abitato<br />
ebolitano, precisamente sull’altura più amena <strong>del</strong> tracciato<br />
urbano <strong>del</strong>la Evoli medievale, dalla cui posizione<br />
è possibile scorgere in lontananza il profilo <strong>del</strong> mare.<br />
Dalle fonti si può <strong>del</strong>ineare la primaria struttura <strong>del</strong>la<br />
chiesa, costituita da una possente architettura gotica<br />
dalle «fabbriche più che solide», le quali «possono contenere<br />
un migliaio e mezzo di uomini», e dallo spazioso<br />
chiostro con quattro bracci a corridoio molto ampi<br />
(«che sono di quaranta palmi») su cui si aprono i quat-<br />
GIANMATTEO FUNICELLI<br />
- 93 -<br />
tro ambienti dei magazzini («in semetria») 26 . Altri<br />
ambienti si profilano nella struttura claustrale, costituiti<br />
da vani quali la cucina, le stalle, il refettorio e l’ampio<br />
scalone con balaustra marmorea che conduce,<br />
sulla parete di fondo, al piano superiore verso una cappella<br />
funeraria e tredici stanze di uso privato. Circa la<br />
fondazione <strong>del</strong> complesso risulta arduo ricercare una<br />
datazione precisa, ma si è concordi a datare il cenobio<br />
nel lasso di tempo compreso tra il 1282 e il 1286, mentre<br />
la singola chiesa, come si esporrà a breve, risulta<br />
essere più antica. La struttura originaria, infatti, era in<br />
primis dedicata al santo Lorenzo 27 . Di tale titolo originario<br />
fa fede la grande lapide ottocentesca murata<br />
all’interno <strong>del</strong>l’aula di culto, sulla base <strong>del</strong> lunettone<br />
nella muratura di destra, appena all’ingresso <strong>del</strong>l’ariosa<br />
navata unica:<br />
«DOM/ECL(ESI)AM HANC TIT(ULO) S(ANCTI)<br />
LAURENTII IN/ PULCHRIOREM FORMAM<br />
RESTITUTAM/ A.D. MDCCXLVII DONATAM<br />
HABEMUS/ A PHILIPPO MINUTOLO<br />
ARCH(IEPISCOPO)PO/SALERN(ITAN)O AP. V.<br />
MCCLXXXVI, GULIEL/MUS DEIN S. SEVERI-<br />
NUS ALTER EIUS-/DEM CIVITATIS<br />
ARCH(IEPISCO)PUS XX JANUAR/ MCCCLXX<br />
CONSECRAVIT EIUSQUE/ FESTUM DOMINI-<br />
CA II POST EPIPH(ANIAM)/ VOLUIT FORE<br />
P(ER)PETUO CELEBRANDUM».<br />
Che la chiesa dovesse appartenere ad una fase più<br />
antica rispetto a quella dei Padri Minori Conventuali<br />
fu segnalato già dal Longobardi 28 , il quale rende noto<br />
un decreto inviato da don Raffaele Resta, parroco<br />
<strong>del</strong>la suddetta chiesa, all’arcivescovo di Salerno in data<br />
7 Agosto 1809. Con tale ordinanza il parroco timoroso<br />
temette che i preti <strong>del</strong>l’allora contemporanea<br />
Ricettizia di Eboli, in seguito alle violente soppressioni<br />
in atto nel paese, volessero trasferirsi nella chiesa di<br />
San Francesco in cui officiava proprio il Resta e dove<br />
quest’ultimo beneficiava di alcuni diritti. In tale protesta,<br />
indirettamente si deduce che la chiesa «… per la<br />
soverchia antichità, minaccia ruina; ed è addiventata<br />
non più decente […] perché piovosa per ogni parte».<br />
Inoltre il sacerdote ribadisce che «…detta chiesa soppressa<br />
formava anticamente la parrocchiale <strong>del</strong> supplicante,<br />
sotto il medesimo titolo di San Lorenzo». Per<br />
volontà poi <strong>del</strong>l’ordinario <strong>del</strong> tempo (quasi sicuramente<br />
tale Bartolomeo De Porta), quando fu fondato il<br />
monastero dei Padri Conventuali, egli fu costretto a<br />
cedere la chiesa alla comunità monastica, mentre al De
Porta fu concessa una piccola chiesetta per la cura animarum<br />
che ancora oggi porta il titolo di San Lorenzo.<br />
Sul finire <strong>del</strong> Duecento il complesso francescano<br />
comincia a recepire i suoi primi ex voto e donazioni da<br />
parte di aristocratiche famiglie locali, ma soprattutto si<br />
arricchisce di proventi accumulati dai terreni che i<br />
Frati prendevano in enfiteusi dalla Mensa<br />
Arcivescovile di Salerno e che poi concedevano in<br />
fitto a privati. Della struttura chiesastica sarà opportuno<br />
fornire di inquadramento storico, per poi collegarsi,<br />
in definitiva, alla tavola <strong>del</strong> d’Oderisio. La fabbrica,<br />
di cui si ignora l’originaria struttura tardo romanica,<br />
doveva essere stata eretta in un epoca anteriore al<br />
1224, in quanto in tale data risultavano già sepolti i<br />
due nobili Iohel e Jacobus Potifredus, precisamente sul<br />
catafalco di un sepolcro all’interno <strong>del</strong>l’antica cappella<br />
dove tutt’oggi si apre la sagrestia. Successivamente, il<br />
sacrario avrebbe assunto, nell’interno come <strong>del</strong> resto<br />
in facciata, la configurazione di un modesto gotico<br />
meridionale, con tanto di contrafforti, guglie e pinnacoli.<br />
All’interno risultano presenti sin dalla prima edificazione<br />
un numero cospicuo di cappelle adibite alla<br />
destinazione funeraria di numerose famiglie aristocratiche<br />
ebolitane. Dei successivi rifacimenti, sarà opportuno<br />
evidenziare quelli cinquecenteschi, che riguardano<br />
soprattutto la commissione di Andrea Sabatini da<br />
Salerno, attivo sulle vele <strong>del</strong>la crociera <strong>del</strong> fondo absidale,<br />
su cui appare evidente la schietta volontà dei<br />
Frati di ammodernare lo spazio sacro «in forma<br />
moderna e speciosa». Un preciso intento artistico<br />
enfatizzato da un particolare fervore che colpì anche il<br />
micro-complesso in questione. Oltre a tale attestazione<br />
sono due i monumenti sepolcrali, risalenti alla<br />
seconda metà <strong>del</strong> XVI secolo, che altresì campeggiano<br />
nei due spazi in controfacciata. Altra attestazione<br />
Fig. 5 - Eboli (SA), Chiesa di San Francesco, XIII sec. (ante 1224). Facciata moderna<br />
dopo i rifacimenti <strong>del</strong> Novembre 1980.<br />
SALTERNUM<br />
- 94 -<br />
quasi sicuramente coeva ai due monumenti riguarda<br />
l’originario tabernacolo eucaristico sulla parete di<br />
fondo 29 , occultato poi dall’imponente altare maggiore<br />
settecentesco eseguito dal marmorario napoletano<br />
Giuseppe di Bernardo. Il secondo e più ampio ripristino<br />
<strong>del</strong>la chiesa, attraverso cui è ancora oggi possibile<br />
ravvisarne parte <strong>del</strong>la decorazione barocca in stucco e<br />
marmo, risale al XVIII secolo. I primi ripristini di tale<br />
epoca furono di carattere architettonico, in quanto nel<br />
primissimo Settecento la chiesa versava in un forte<br />
degrado strutturale, soprattutto quando «i passati e<br />
continui terremoti ne hanno minato la forte fibbra».<br />
Secondo la documentazione notarile, i lavori di tali<br />
restauri furono imponenti e finemente accurati.<br />
Cinquemila furono i ducati che si spesero per attivare<br />
i due maestri Giuseppe Troisi da Napoli (stuccatore) e<br />
Sabato Conforti da Sanseverino (costruttore) nell’ammodernamento<br />
<strong>del</strong>le superfici interne e sulla facciata.<br />
Nel documento si fa voce che per il suo esaustivo<br />
completamento ne sarebbero bastati milleduecento,<br />
attraverso i quali avrebbero riassettato i pavimenti,<br />
installato gli altari e conclusa la decorazione a stucco 30 .<br />
L’involucro tardo medievale fu ben presto rimpiazzato<br />
dall’orditura complessa e sfarzosa <strong>del</strong> barocco meridionale,<br />
in una campagna di lavori che va dal 1747 al<br />
1780 ca.. Della facciata originaria fu restituita una<br />
(quasi) fe<strong>del</strong>e nudità, ripristinando l’originale portale<br />
marmoreo cinquecentesco, rimasto intatto nei bombardamenti<br />
bellici <strong>del</strong> 1943 che distrussero gran parte<br />
<strong>del</strong>l’intero complesso.<br />
La ‘Crocifissione’ di Roberto<br />
La grandiosa tavola trecentesca sarà oggetto in<br />
futuro di una particolare analisi con adeguato apparato<br />
critico. La disamina che in questa sede si vuole<br />
esporre sarà una ricerca circa la sua originaria collocazione<br />
e intesa come una discussione sul fondamentale<br />
repertorio iconografico custodito da questo capolavoro<br />
<strong>del</strong> giottesco salernitano. Della tavola ebolitana, di<br />
cui il dibattito critico ha concordemente collocato la<br />
realizzazione tra il 1350 e il 1360 ca., non si hanno<br />
notizie dirette tra la documentazione angioina, né tra<br />
gli scritti vasariani né tra gli oggetti, quadri ed arredi<br />
menzionati nell’inventario che il già citato parroco<br />
Raffaele Resta, religioso al servizio <strong>del</strong> convento ebolitano,<br />
compilò nel 1811 allorché si dovettero denunziare,<br />
per legge, l’intera oggettistica e le opere d’arte<br />
sacra <strong>del</strong>le chiese soppresse. Ad avviso di chi scrive si
potrebbe ipotizzare che l’opera a quel tempo si trovasse<br />
ancora nel sacrario francescano, o quanto meno<br />
nella cittadina. Se il parroco non menziona la tavola<br />
nel suddetto catalogo, si può pensare che il capolavoro,<br />
in quel lasso di tempo, fosse stato furtivamente trasportato<br />
in un’abitazione privata o nascosto in un<br />
luogo inaccessibile per essere tutelato da una possibile<br />
soppressione o per timore di essere sequestrato ed<br />
inserito in qualche collezione museale. La sua prima<br />
individuazione tangibile risale al 1846, quando lo storico<br />
ed appassionato ricercatore ebolitano Giuseppe<br />
Augelluzzi individuò l’opera nella sacrestia <strong>del</strong>la chiesa<br />
francescana. L’affascinato studioso segnalò il capolavoro,<br />
tramite una dettagliata inventariazione, ad un<br />
suo conoscente, tale Camillo Minieri Riccio. La lettera-documento<br />
risulta a tutt’oggi la prima scheda critica<br />
<strong>del</strong> prezioso dipinto 31 . Ben presto il pregio di questo<br />
nuovo capolavoro svelato ebbe larga eco tra gli<br />
studiosi. Furono molti i critici che si occuparono <strong>del</strong><br />
‘Caso d’Oderisio’ e il capolavoro minore fu riesumato<br />
dal dimenticatoio. La rapida coltre di notorietà che<br />
ben presto ricoprì l’opera incitò la Real Maggiordomia<br />
Maggiore e Sopraintendenza Generale di Casa Reale a<br />
custodirlo nel Museo Borbonico, in quanto «sarebbe<br />
stato interessante per la nostra storia pittorica» 32 .<br />
Inoltre si evince dalla lettera in questione che il sovrano<br />
borbonico non voleva assolutamente decontestualizzare<br />
l’opera dalla sua originaria collocazione, impegnandosi,<br />
oltre a ciò, a fare in modo che essa «si sorvegli<br />
per la sua conservazione». Da tale testimonianza<br />
risulta, inoltre, che nel Novecento la tela risiedeva<br />
ancora nel sacrario ebolitano. In questo breve periodo,<br />
il capolavoro partecipò anche alla sua prima esposizione,<br />
in data 1869, nella quale fu inoltre premiata con un<br />
diploma d’onore 33 . Nei successivi bombardamenti <strong>del</strong><br />
1943 la chiesa subì numerosi danni strutturali e la perdita<br />
di molte opere d’arte che abbellivano l’interno<br />
barocco. Nel disperato ripristino, la Crocifissione fu<br />
riesumata dalle macerie completamente integra.<br />
Nell’immediato dopoguerra l’arcivescovo di Salerno<br />
decise di restaurare l’antica tavola che da allora non fu<br />
mai più ricollocata nella chiesa d’origine, entrando a<br />
far parte <strong>del</strong>la raccolta sacra <strong>del</strong> Museo Diocesano <strong>del</strong><br />
capoluogo.<br />
Descrizione <strong>del</strong>l’opera<br />
La tavola, così come si presenta attualmente, consta<br />
di un unico pannello sovrastato da un’ampia cima-<br />
GIANMATTEO FUNICELLI<br />
- 95 -<br />
sa, sicuramente resecata e che poteva quasi con certezza<br />
terminare con un elemento cuspidato. A questa<br />
ipotesi potrebbe inoltre affiancarsi la supposizione<br />
che la tavola sarebbe stato il pannello centrale di un<br />
più vasto polittico, forse costituito da altri due o quattro<br />
scomparti che andavano a congiungersi sugli stessi<br />
bordi <strong>del</strong> piano rettangolare centrale (su cui chi scrive<br />
azzarda l’ipotesi <strong>del</strong>la presenza di scene <strong>del</strong>la<br />
Passione impostate su più registri sovrapposti). Il collezionismo<br />
seicentesco avrebbe poi brutalmente<br />
smembrato e ripartiti i supposti pannelli laterali. I<br />
primi interventi di restauro che si conoscono, quelli<br />
inerenti l’esilio post-bellico <strong>del</strong>l’opera dall’originaria<br />
collocazione in Eboli al restauro salernitano, sono i<br />
due <strong>del</strong> 1953 e <strong>del</strong> 1984, i quali contribuirono a ripristinare<br />
le tonalità pittoriche, nonché l’originaria doratura<br />
<strong>del</strong> fondo, integrando tale lavoro con una rinforzata<br />
parchettatura sul tergo. Nella lettura di tale dipinto<br />
si è voluto cogliere l’eversiva originalità che il de<br />
Oderisio giovanile ha qui interpretato, riuscendo però<br />
solo in parte nell’intento, in quanto il pittore, alle<br />
prime armi con le commissioni religiose, risulta fortemente<br />
declinato alla maniera dei ‘Grandi’ che operano<br />
nell’inizio <strong>del</strong> secolo. La scena che si imposta angustamente<br />
su detta tavola, infatti, rivela in Roberto una<br />
fe<strong>del</strong>tà ai modi di Maso di Banco, attivo in quell’epoca<br />
nelle decorazioni di Castelnuovo a Napoli.<br />
Dell’eredità masiana il pittore riprende soprattutto il<br />
gruppo <strong>del</strong>le ‘pie donne’ con il motivo dolente <strong>del</strong>lo<br />
svenimento <strong>del</strong>la Vergine, che si sorregge a malapena<br />
sulla spalla <strong>del</strong>la figura vicina, accorsa in conforto,<br />
mentre dall’altro lato compensa lo spazio, nel ritmo<br />
compositivo, la figura leggermente ritrosa <strong>del</strong> San<br />
Giovanni evangelista che congiunge doloroso le mani<br />
al petto, indietreggiando lievemente il torso per osservare<br />
dal basso il volto dolente <strong>del</strong> Cristo. Il rigido e<br />
severo profilo <strong>del</strong>la croce, su cui sono incise le pallide<br />
membra ormai spente <strong>del</strong> Cristo, sovrasta la folla degli<br />
astanti che bipartiscono i due terzi <strong>del</strong>lo spazio in<br />
gruppi netti e ben distinti. I due insiemi sono scanditi<br />
nella costruzione spaziale tramite una moderata scala<br />
di profondità, dove prevale sia lo scorcio allusivo sia<br />
l’incessante e drammatico dinamismo dei personaggi,<br />
enfatizzato soprattutto sull’estremità <strong>del</strong> fondale, dalle<br />
punte <strong>del</strong>le lance issate degli armigeri. L’ampiezza<br />
<strong>del</strong>la costruzione scenografica, la quale denuncia un<br />
più ampio respiro di folla, viene accentuata sul fondo<br />
monocromatico, privo di elementi paesaggistici,
soprattutto dalla massa dei Giudei e dei militari romani<br />
che si accalcano per la curiosità <strong>del</strong> mesto e drammatico<br />
evento. Ai piedi <strong>del</strong>la croce, le braccia protese<br />
<strong>del</strong>la Maddalena sulla base <strong>del</strong> suppedaneo spezzano<br />
le due masse distinte dei personaggi; un ricongiungimento<br />
affettivo, un drammatico compianto che<br />
Roberto ha assimilato dai modi <strong>del</strong>la più aulica e ‘francesizzante’<br />
Crocifissione di Anversa, smembrata dal<br />
Polittico Orsini che il Martini dipinge nel 1340 a Siena,<br />
prima <strong>del</strong>la stagione artistica avignonese. I caratteri<br />
tipologici e stilistici dei personaggi dipinti da Roberto<br />
dichiarano, secondo la critica novecentesca, un bagaglio<br />
compositivo di ascendenza cavalliniana 34 , mentre<br />
completamente diretto al modus pingendi giottesco è il<br />
motivo <strong>del</strong>la croce, che rimanda alla Crocifissione<br />
n.1074 -A <strong>del</strong>la Gemäldegalerie di Berlino, soprattutto<br />
nel motivo <strong>del</strong>lo spazio ‘tagliato’ che allude ad un’ambientazione<br />
più ampia alle spalle. Mentre di indirizzo<br />
puramente francescano è il motivo <strong>del</strong> lignum vitae sul<br />
prolungamento <strong>del</strong>l’estremità superiore <strong>del</strong>la croce su<br />
cui prende forma il serpente attorcigliato e il pellicano<br />
che nutre i piccoli con le proprie carni 35 , sinonimi questi<br />
di un linguaggio sacro che elabora per immagini<br />
una traduzione di simbologie di Salvezza e<br />
Redenzione. Della stessa filiazione giottesca è l’interpretazione<br />
<strong>del</strong>le figurine degli angeli straziati che raccolgono<br />
il sangue scarlatto acceso e zampillante dal<br />
costato e dai chiodi conficcati nelle mani <strong>del</strong> Cristo,<br />
qui elaborati in un forte dinamismo centripeto e scanditi<br />
dal movimento verso il centro più lesto e scattante<br />
rispetto al repertorio angelico giottesco<br />
<strong>del</strong>l’Oratorio degli Scrovegni a Padova. Il Cristo è raffigurato<br />
col capo chinato e dall’esile fattezza anatomica.<br />
Derivazione <strong>del</strong> retaggio giottesco risulta anche il<br />
sottile perizoma che abbiglia il Cristo, il quale abolisce<br />
il rigido e pesante panneggio <strong>del</strong>le croci toscane per<br />
reinterpretare il classicismo fidiaco <strong>del</strong>la trasparenza,<br />
che gioca sulle membra sottostanti un motivo di leggerissime<br />
striature e velature. Le parti <strong>del</strong> corpo sono<br />
finemente lumeggiate a chiaroscuro regolatamente<br />
graduato sia nel bacino dal costato duramente marcato,<br />
sia sugli arti lievemente allungati; un’ombreggiatura<br />
tendenzialmente realistica, ma che denuncia nel pittore<br />
una resa <strong>del</strong> disegno anatomico dal tratto troppo<br />
‘grafico’ che nella professionalità giovanile di Roberto<br />
è ancora da perfezionare. Maggiore livello qualitativo<br />
è da riconoscere, invece, nella resa dei volti, che interpretano<br />
all’unisono un’intensità patetica tra le più sti-<br />
SALTERNUM<br />
- 96 -<br />
molanti nella pittura <strong>del</strong>l’entroterra salernitano. Per<br />
l’espressionismo marchiato sulle fisionomie di questo<br />
dipinto, il formulario linguistico si dirige verso una<br />
puntuale indagine psicologica, persino negli angioletti<br />
che, dalla mimica facciale, sembrano essere i più<br />
addolorati. Nelle preziosità formali nonché cromatiche<br />
dei volti e sui panneggi, si rimanda insistentemente<br />
alla pittura senese, soprattutto per la grandiosità dei<br />
personaggi in primo piano, superando in questi le più<br />
ridotte proporzioni giottesche. L’andamento <strong>del</strong>le pieghe<br />
riversate sui tessuti riccamente mo<strong>del</strong>lati e dai<br />
bordi finemente rabescati incide i rispettivi movimenti<br />
e la gestualità di ogni singola figura. Alla stessa maestosità<br />
appartiene il ricco repertorio decorativo che<br />
sulla tavola si descrive sia sull’incorniciatura che<br />
inquadra il bordo, sia sui motivi ad intreccio presenti<br />
nelle aureole a pastiglia dei personaggi maggiori, a cui<br />
il maestro riserva un particolare repertorio nella punzonatura<br />
e nell’ornato, ognuno con motivi diversi<br />
dagli altri. A questo punto non è dato esprimersi ulteriormente<br />
se non per cogliere alcune ultime caratteristiche<br />
fondamentali. Una particolare attenzione si<br />
vuole dare, infatti, alla più contenuta figura in abito<br />
monacale genuflessa e con le mani giunte, rappresentata<br />
dinanzi alla Vergine in atto di sentita devozione<br />
verso il Cristo, che la lettera <strong>del</strong> sopraccitato<br />
Augelluzzi interpreta come una manomissione di un<br />
secondo intervento, forse dalla mano di un artista e/o<br />
monaco particolarmente devoto al complesso ebolitano<br />
36 . Secondo l’interpretazione di chi scrive, il personaggio<br />
in questione è da identificare in un rappresentante<br />
<strong>del</strong>lo stesso convento che vi era particolarmente<br />
legato e devoto alla tematica specifica religiosa, ha<br />
voluto essere partecipe <strong>del</strong>l’evento sacro facendosi<br />
ritrarre ai piedi dei personaggi. Di quale sia il valore<br />
iconografico <strong>del</strong>la sua presenza nel dipinto e la rispettiva<br />
identità non è dato di sapere. Nella completa scarsezza<br />
di tangibilità scritte, che il personaggio sia una<br />
figura appartenente all’ordine conventuale e che abbia<br />
sovvenzionato la realizzazione <strong>del</strong> capolavoro dipinto<br />
sembra essere in questo caso l’ipotesi più plausibile.<br />
Mettendo in disparte, quindi, l’ipotesi <strong>del</strong>la manomissione<br />
postuma a Roberto. Della sua presenza nel contesto<br />
religioso i precedenti contributi non hanno dato<br />
alcun valore scritto, ma risulta evidente anche all’occhio<br />
profano che il personaggio sia da intendersi come<br />
colui che ha particolarmente desiderato la realizzazione<br />
pittorica per la propria salvezza spirituale nonché
per indurre i fe<strong>del</strong>i ebolitani alla più devota lectio divina<br />
francescana. Si dovrà quindi interpretarlo come una<br />
figura particolarmente dotta, legata alla letteratura<br />
assisiate e soprattutto buon conoscitore dei fermenti<br />
artistici napoletani. Alle sue spalle, sul fondo, una formula<br />
a grandi caratteri neri in stile gotico dichiara la<br />
paternità <strong>del</strong>l’autore sull’opera. La dicitura è la seguente:<br />
«HOC OPUS PINSIT ROBERTUS DE ODORISIO<br />
DE NEAPOLIS».<br />
Ma perché l’ignoto monaco avrebbe voluto che<br />
proprio tale «Robertus de Oderisio de Neapoli» fosse il<br />
dipintore di detta commissione? Essendo questo<br />
dipinto l’unica opera autografa <strong>del</strong> pittore, una timida<br />
ipotesi potrebbe essere quella che Roberto fosse di<br />
origini ebolitane 37 o perlomeno particolarmente legato<br />
alla Evoli-Eboli di inizio Trecento. Non si spiegherebbe<br />
altrimenti questa particolare attenzione nel firmare<br />
precisamente l’opera ebolitana, e non altre. Se in<br />
diversi cantieri anche più significativi non abbiamo<br />
‘etichettature’ riguardanti il maestro, si evince che per<br />
GIANMATTEO FUNICELLI<br />
- 97 -<br />
Roberto era fondamentale quantomeno ‘farsi notare’,<br />
o lasciare un segno in<strong>del</strong>ebile <strong>del</strong>la sua presenza nel<br />
piccolo centro medievale (forse sua terra natia), per<br />
motivi ovviamente ancora oscuri agli studiosi. Però l’ipotesi<br />
deve ancora essere ampiamente considerata:<br />
perché il giovane dipintore si identifica come «Robertus<br />
de Neapoli» e non con le coordinate, in questo caso più<br />
appropriate, ossia «Robertus de Ebulo»? La motivazione<br />
per cui l’opera venga riconosciuta di tale paternità<br />
potrebbe essere legata alle spalle <strong>del</strong> dipinto di Eboli e<br />
<strong>del</strong>la sua importanza; inoltre è probabile che Roberto,<br />
prima ancora di compiere la sua scalata nel mondo<br />
<strong>del</strong>la familiaritas durazzesca, volesse essere già individuato<br />
come ‘operante nel Regno di Napoli’, e non<br />
come un modesto pittore <strong>del</strong>l’entroterra, e quindi ‘de<br />
Ebulo’.<br />
Ora la tavola campeggia in una <strong>del</strong>le sale <strong>del</strong><br />
Museo Diocesano di Salerno e, sotto i riflettori oggi<br />
come allora, conserva la vicenda di un artista, una<br />
testimonianza di fede e un mistero ancora tutto da<br />
decifrare.
Note<br />
1 Per una valida introduzione sulla pittura<br />
trecentesca nel Regno di Napoli cfr. DE<br />
VECCHI - CERCHIARI 1991.<br />
2 Su Manfredi, cfr. PETROCCIA 1957;<br />
FRUGONI 2006.<br />
3 Gli storici riconoscono, con cautela, che il<br />
motto <strong>del</strong> regno all’epoca di Carlo I fosse<br />
‘NOXIAS HERBAS’ (‘le cattive erbe’) e<br />
che esso fosse stato attribuito al rastrello,<br />
presente anche sullo stemma, il quale avrebbe<br />
simbolicamente cacciato via la ‘malerba’<br />
sveva. In realtà il rastrello identificava l’appartenenza<br />
degli Angioini ad un ramo<br />
cadetto dei Capetingi, dai quali poi ereditarono<br />
lo stemma con i gigli d’oro<br />
(SUMMONTE 1675).<br />
4 Per la corrente stilistica di tale epoca nel<br />
circuito <strong>del</strong>l’entroterra salernitano risultano<br />
degne di evidenza le pagine miniate <strong>del</strong><br />
Pontificale ad Usum Ecclesiae Salernitanae <strong>del</strong>lo<br />
sconosciuto Miniatore Meridionale, esposto<br />
presso il Museo Diocesano di Salerno e<br />
datato al 1285 ca..<br />
5 Sullo studio <strong>del</strong>l’architettura chiesastica di<br />
San Lorenzo Maggiore presso Napoli si<br />
confrontino gli scritti ottocenteschi <strong>del</strong><br />
Filangieri (FILANGIERI 1833) oppure la letteratura<br />
sull’arte angioina <strong>del</strong> Morisani<br />
(MORISANI 1969).<br />
6 Il Gotico ‘alla francese’ persiste nel<br />
Meridione come un ‘linguaggio di moda’ in<br />
particolare negli ambienti aristocratici e<br />
soprattutto in settori come l’oreficeria e la<br />
lavorazione <strong>del</strong>l’osso. Pertanto un’inclinazione<br />
di modi e correnti produttive francesi ha<br />
dato vita a Napoli ad uno specifico atelier<br />
regio dove si producevano metalli e cose preziose<br />
sotto le più esigenti direttive imperiali,<br />
realizzando così le più disparate oggettistiche<br />
tramite materiali pregiati provenienti direttamente<br />
dal mondo d’Oltralpe. Non a caso il<br />
Busto reliquiario di San Gennaro (1304-<br />
1306) per il Duomo di Napoli fu realizzato<br />
dagli specialisti francesi Etienne Godefroy,<br />
Guillaume de Ver<strong>del</strong>ay e Milet d’Auxerre.<br />
7 Uno tra questi è indubbiamente l’impronta<br />
in<strong>del</strong>ebile che lascia il toscano Montano<br />
d’Arezzo, il pittore che dopo aver assimilato<br />
l’abilità degli altri frescanti presso le<br />
decorazioni di Assisi, dove lui stesso fu<br />
parte attiva al progetto, raggiunge Napoli<br />
sotto committenza <strong>del</strong> cardinale Filippo<br />
Minutolo allo scopo di affrescare la cappella<br />
di famiglia nel Duomo. Il periodo di tale<br />
attività a Napoli va dal 1285 al 1290.<br />
SALTERNUM<br />
8 Così il Bologna definì la modulazione <strong>del</strong><br />
dipinto.<br />
9 Mi riferisco ai contributi che la studiosa<br />
Alessandra Squizzato ha esposto nei paragrafi<br />
e nelle schede d’approfondimento <strong>del</strong><br />
cap. 25 (ovvero la sezione titolata ‘Napoli e il<br />
Sud Italia. L’arte di corte degli Angioini e la<br />
Sicilia Aragonese’) a chiusura <strong>del</strong> volume sul<br />
Gotico di cui in SQUIZZATO 2006, pp. 809-<br />
827.<br />
10 Nello specifico intervento <strong>del</strong> maestro sui<br />
volti, dal tratto espressivo fortemente<br />
accentuato e all’avanguardia, si riconoscono<br />
innovazioni e stilemi in precedenza affrontati<br />
sulle decorazioni nella cappella <strong>del</strong>la<br />
Maddalena, nella basilica inferiore di Assisi.<br />
11 Scopo di questo scritto è <strong>del</strong>ineare un<br />
punto di partenza, ma anche un punto di<br />
arrivo circa i ‘perché’ e i ‘come’ che concernono<br />
questa tavola dipinta, che la critica, gli<br />
studi più autorevoli e i recenti contributi<br />
scientifici hanno sommariamente definita<br />
come un’opera <strong>del</strong> ‘contesto salernitano’, o<br />
ancora più genericamente come un lavoro<br />
‘appartenente ad una scuola giottesca napoletana’,<br />
e così via sempre più scivolosi verso<br />
la frammentarietà di aggiudicazioni. La<br />
scarsezza di fonti abbandona Roberto e la<br />
Crocifissione di Eboli nel baratro <strong>del</strong>la lettura<br />
storico-artistica <strong>del</strong>la pittura trecentesca<br />
riguardante il salernitano nel periodo<br />
angioino. In questo scritto si vuole dare un<br />
input per indurre gli studiosi ad una maggiore<br />
risoluzione investigativa, la quale potrebbe<br />
mettere in luce in maniera esaustiva le<br />
fasi pertinenti l’esperienza giovanile di<br />
Roberto legata alla città di Eboli e sul repertorio<br />
di valori che si cela nel capolavoro <strong>del</strong><br />
Convento di San Francesco in Eboli.<br />
12 Su Roberto cfr. LEONE DE CASTRIS<br />
1986a/b/c e il fondamentale LEONE DE<br />
CASTRIS 2003.<br />
13 Per quel che concerne la figura <strong>del</strong>l’artista<br />
nell’età medievale, cfr. CASTELNUOVO 2004,<br />
pp. V-XXXV.<br />
14 Come afferma Paola Vitolo (VITOLO<br />
2008), il fenomeno nasce fuori dall’Italia, in<br />
Inghilterra e in Paesi particolarmente legati<br />
all’Italia meridionale, come l’Ungheria e<br />
l’Aragona. In Francia il titolo era di ‘valet de<br />
chambre’.<br />
15 Dalle fonti risulta che sotto il governo di<br />
Carlo I furono insigniti più di un migliaio di<br />
artisti, mentre in epoca federiciana gli eletti<br />
non superavano la cinquantina.<br />
- 98 -<br />
16 Uno dei primi artifices in assoluto ad essere<br />
stato nominato con titolo nobiliare è<br />
Pierre d’Agincourt, amministratore <strong>del</strong>le<br />
fabbriche angioine. L’artista è riportato in<br />
due documenti <strong>del</strong> 1288.<br />
17 È nota agli studiosi la passione che Carlo<br />
I nutriva per l’oreficeria, per la quale non<br />
esitava a richiamare a corte notevoli maestri<br />
<strong>del</strong> cesello. Due di questi che lavorarono<br />
alla corte di Carlo sono Jacques d’Arras e<br />
Jacopo de Atrebato, entrambi documentati<br />
sul finire <strong>del</strong> XIII secolo.<br />
18 A tal riguardo cfr. DEL GIUDICE 1863, p.<br />
274.<br />
19 Da Paola Vitolo, nel discorso <strong>del</strong>la ‘familiaritas’<br />
in terra angioina (VITOLO 2008).<br />
20 Uno tra questi fu Tino da Camaino - che<br />
a Napoli, già dal 1323, lasciò ben quattro<br />
grandiose attestazioni scultoree – il quale<br />
non fu mai insignito di alcun privilegio<br />
autorevole.<br />
21 Cfr. BARONE 1887, pp. 5-30; 184-208.<br />
Sullo stipendio percepito da Roberto<br />
d’Oderisio, part. pp. 8-9.<br />
22 Per la decorazione degli interni presso<br />
l’Incoronata, cfr. BOLOGNA 1969, pp. 325-326.<br />
23 Purtroppo risulta arduo <strong>del</strong>ineare le<br />
imprese per cui Roberto si attivò dopo<br />
l’Incoronata. Forse, però, la prima commissione<br />
di Carlo III di Durazzo a Roberto fu<br />
il ciclo di affreschi in Santa Maria <strong>del</strong>la Pietà<br />
(c.d. ‘Pietatella’), eretta accanto all’omonimo<br />
ospizio per volontà di Carlo III. Nella<br />
chiesa si conserva la famosa Pietà su tavola<br />
attribuita a tale maestro.<br />
24 Il testo qui riportato è parte <strong>del</strong>la descrizione<br />
<strong>del</strong> giudice di pace Giuseppe<br />
Campagna a Giovanni Perretta, custodita<br />
presso l’Archivio di Stato di Salerno, busta<br />
n. 2468: «… le fabbriche più che solide possono<br />
contenere più di un migliaio e mezzo<br />
di uomini […]. Contiene un chiostro spazioso<br />
con quattro corridoi a pieno terreno<br />
che sono di 40 palmi per cadauno e nel<br />
chiostro restano ben quattro magazzini in<br />
semetria. Sulla dritta si trova un altro corridoio<br />
coverto dove resta la cucina, col refettorio<br />
con cinque sotterranei; ed oltre a ciò<br />
un altro cortile coverto con due stalle, un<br />
altro magazzino ed una cantina sotterranea,<br />
[…]. Per una scala piucchè magnifica di<br />
marmo nostrale, con balaustra di marmo<br />
fino, si ascende ad un gran salone, che contiene<br />
una cappella privata e tredici stanze<br />
variamente divise».
25 Il parroco Giuseppe Tagliamonte, prevosto<br />
per molti anni al servizio <strong>del</strong>la Chiesa,<br />
affermò che nella sagrestia <strong>del</strong>la chiesa vi<br />
era una pergamena (oggi scomparsa) dalla<br />
quale risultava che i Padri Minimi<br />
Conventuali in data 1282 si trasferirono ad<br />
officiare nella Chiesa di San Lorenzo, in<br />
quanto il loro precedente convento fu<br />
demolito. La documentazione al riguardo è<br />
reperibile presso l’Archivio Diocesano di<br />
Salerno, Parrocchie, Eboli, cartella n.17, San<br />
Nicola, ricettizia 1857-1894.<br />
26 Cfr. LONGOBARDI 1998, la più esaustiva<br />
raccolta di studi storico-artistici <strong>del</strong>l’antica<br />
città di Eboli (SA).<br />
27 Sulla scultura marmorea pertinente l’arredo<br />
liturgico <strong>del</strong>la chiesa di San Francesco in<br />
Eboli, e più ampiamente nel contesto salernitano<br />
tra tardo Medioevo e primo<br />
Rinascimento, cfr. PECCI 2005 e 2008.<br />
28 Le informazioni su tali rimaneggiamenti si<br />
desumono dalle carte <strong>del</strong>l’Archivio<br />
Diocesano di Salerno, Monasteri, Eboli,<br />
Conventuali (1747-1857).<br />
29 Il testo è il seguente: «Mi gode l’animo di<br />
annunziarvi il primo che nella sagrestia <strong>del</strong>l’antica<br />
chiesa di S. Francesco d’Assisi di<br />
Eboli sussiste tuttavia un quadro in tavola,<br />
lungo palmi sette circa, e largo quattro e<br />
mezzo che finisce a cono tronco, in campo<br />
oro, rappresentante la Crocifissione di<br />
Nostro Signore, sotto <strong>del</strong> quale, in un ango-<br />
GIANMATTEO FUNICELLI<br />
lo a mano dritta leggesi a caratteri semigotici<br />
angioini questa epigrafe: ‘Hoc opus pinsit<br />
Robertus de Odorisio de Neapoli’. Miransi in<br />
esso le tre Marie <strong>del</strong>le quali due sorreggono<br />
la Vergine svenuta, e l’altra è genuflessa a’<br />
piedi <strong>del</strong>la Croce sulla quale pende il<br />
Redentore; e s. Giovanni apostolo, tutti con<br />
infule sulla testa a graziosi rabeschi, in<br />
mezzo a soldati romani, e giudei dall’una e<br />
dall’altra banda con lance e la bandiera<br />
romana con le note iniziali S.P.Q.R., uno dei<br />
quali vicino a s. Giovanni tiene con la mano<br />
dritta un paniere, e con la sinistra una canna<br />
alla cui punta sta affidata una spugna: e sei<br />
angeli che finiscono in coda, ricurvi a guisa<br />
di pipistrelli, tutti con le aureole in testa,<br />
situati ai lati <strong>del</strong> Nazzareno (che ha il solito<br />
grembiule addosso ma <strong>del</strong>icatamente rabescato)<br />
e in sotto e in sopra <strong>del</strong>la Croce de’<br />
quali chi mesto, chi attonito guarda quel<br />
doloroso spettacolo […]». La descrizione<br />
annovera nel prosieguo molti altri particolari<br />
- qui non riportati - circa i soggetti ritratti<br />
e le allegorie <strong>del</strong>la Croce.<br />
30 Documento consultabile presso l’Archivio<br />
di Stato di Salerno, Attendibili politici, b. n.70,<br />
a. 1855.<br />
31 Archivio Diocesano di Salerno, Mons.<br />
Grasso, risposte a questionari sante visite Eboli, a.<br />
1917.<br />
32 BERENSON 1923.<br />
33 L’Augelluzzi nel documento summenzio-<br />
- 99 -<br />
nato afferma che la figura in abito monacale<br />
sia stato un intervento di un’epoca posteriore<br />
a quella di Roberto, perché tale frate<br />
«… con le mani giunte, ginocchioni, che pel<br />
miglior disegno, pel colorito diverso, o<br />
alquanto più morbido, pel più largo piegar<br />
de’ panni o <strong>del</strong>l’abito, per la vivezza <strong>del</strong>la<br />
testa, sebbene la sua figura è più piccola<br />
degli altri personaggi, credo opera posteriormente<br />
aggiunta. […]».<br />
34 Tale iconografia sacra viene fe<strong>del</strong>mente<br />
replicata in Italia nel contesto francescano,<br />
ma la sua attestazione è anteriore già sulla<br />
decorazione in opus anglicanum <strong>del</strong> Piviale di<br />
Pienza, ricamato da Mabel nel 1317 ca. e<br />
conservato presso il Museo <strong>del</strong>la cattedrale<br />
di Pienza, mentre un’altra raffigurazione<br />
<strong>del</strong>lo stesso tema campeggia in acquarello<br />
ed inchiostro sul Pepysian sketch book, ms.<br />
1916, f. 10r. (ultimo quarto <strong>del</strong> XIV secolo),<br />
conservato presso la Pepysian Library <strong>del</strong><br />
Magdalene College di Cambridge.<br />
35 Il già citato lavoro <strong>del</strong> Longobardi riserva<br />
una sezione particolare agli antichi cognomi<br />
illustri <strong>del</strong>le famiglie di Eboli. Tra questi<br />
figurano anche i ‘de Oderisio’, le cui origini<br />
ebolitane (o quanto meno un loro legame<br />
con il territorio di Eboli) sono confermate<br />
dal protocollo notarile datato 1558-1559<br />
<strong>del</strong> notaio Paolo Paladino (LONGOBARDI<br />
1998, vol. IV, p. 206).
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L’Incoronata di Napoli, Giovanna I d’Angiò e<br />
Roberto d’Oderisio, Roma.
Analisi storica, archeologica e conservativa<br />
di due antiche cripte salernitane<br />
Attraverso lo studio e l’osservazione di alcune<br />
chiese <strong>del</strong> centro storico di Salerno si<br />
può intraprendere un viaggio nel tempo<br />
che permette di tornare indietro di almeno mille anni.<br />
Le cripte <strong>del</strong>le chiese di Santa Maria ‘de Lama’ e<br />
<strong>del</strong> SS. Crocifisso costituiscono due ottime testimonianze<br />
<strong>del</strong>l’arte medievale.<br />
Per comprendere appieno quale importanza assuma<br />
la loro salvaguardia, è fondamentale un’analisi storica,<br />
archeologica e conservativa.<br />
Santa Maria ‘de Lama’. Analisi storico-archeologica<br />
La chiesa di Santa Maria ‘de Lama’ si trova nel cuore<br />
<strong>del</strong> centro storico di Salerno, lungo Via Tasso, ai piedi<br />
dei Gradoni <strong>del</strong>la Lama, nel quartiere de ‘Le Fornelle’.<br />
Il documento più antico in cui viene citata la chiesa<br />
risale al 1055 1 , anno in cui ne risultavano proprietari sia<br />
il Principe Gisulfo che gli eredi <strong>del</strong> Conte Giovanni,<br />
figlio <strong>del</strong> Castaldo Mansone. Nel corso dei secoli la<br />
chiesa ha cambiato numerosi proprietari. Il 6 Marzo <strong>del</strong><br />
1323, ad esempio, i fratelli Giovanni e Tommaso de<br />
Porta cedettero a Giacomo de Ursone una <strong>del</strong>le 12<br />
once <strong>del</strong> patronato di Santa Maria ‘de Lama’; nel 1338<br />
venne definita «ecclesia parrocchialis 2 ». Grazie ad un documento<br />
risalente al 1575, relativo ad una visita pastorale,<br />
è stato accertato che essa fu sotto il patronato <strong>del</strong>la<br />
famiglia Del Giudice e che era composta da due parti<br />
ben distinte, un’aula superiore ed una cappella inferiore,<br />
denominata di Santo Stefano, la quale nel 1598 fu<br />
sconsacrata; la celebrazione <strong>del</strong>la Messa venne pertanto<br />
trasferita all’altare <strong>del</strong>la chiesa superiore.<br />
Nel 1725 venne nominato parroco Don<br />
Cristoforo Citro. Nell’area di giurisdizione di S.<br />
Maria ‘de Lama’, in cui, oltre a Santo Stefano, era<br />
venerato anche San Giacomo, fu censita una popolazione<br />
di 125 abitanti. In quegli anni la Messa non<br />
veniva celebrata poiché erano in corso alcuni lavori<br />
di ristrutturazione.<br />
MARIA AMORUSO<br />
- 101 -<br />
Fig. 1 - Salerno. Chiesa di Santa Maria ‘de Lama’. Pianta <strong>del</strong>la cripta.<br />
Nel 1730 la chiesa riprese la sua funzione di parrocchia,<br />
ma soltanto due anni più tardi una severa visita<br />
pastorale (13 Ottobre 1732) 3 rilevò che le strutture<br />
versavano in uno stato di trascuratezza tale da rendere<br />
necessarie tempestive opere di manutenzione. Tra i<br />
vari lavori realizzati risulta interessante una disposizione<br />
che comandava di sovrapporre uno strato di terra<br />
ai loculi sepolcrali, per impedire la fuoriuscita <strong>del</strong> fetore<br />
che proveniva dalle tombe. Questa notizia testimonia<br />
che in quel periodo la cappella inferiore era utilizzata<br />
come luogo di sepoltura.<br />
Il 30 Settembre <strong>del</strong> 1854 la chiesa venne annessa<br />
alla parrocchia di S. Andrea ‘de Lavina’ da allora denominata<br />
chiesa di Sant’Alfonso 4 .<br />
Oggi la chiesa di Santa Maria ‘de Lama’ si presenta<br />
su due piani: una cripta svuotata dalle sepolture e<br />
ricca di affreschi ed una chiesa superiore con pianta<br />
basilicale.<br />
La storia architettonica <strong>del</strong>la cripta è particolarmente<br />
complessa a causa dei numerosi interventi che<br />
l’hanno interessata nel corso dei secoli, ma le indagini<br />
archeologiche hanno permesso di ricostruire tutte le<br />
fasi costruttive che hanno creato un ambiente con una<br />
pianta molto originale 5 .
Fig. 2 - Salerno. Chiesa di Santa Maria ‘de<br />
Lama’. Abside curva con affresco di Santo<br />
Stefano.<br />
Fig. 3 - Salerno. Chiesa di Santa Maria<br />
‘de Lama’. Abside rettangolare<br />
con lunetta affrescata.<br />
La cripta (fig. 1) è<br />
formata da 2 navate rettangolari<br />
divise da 3<br />
colonne che sorreggono<br />
8 volte a crociera; le due<br />
navate terminano rispettivamente<br />
con un’abside<br />
rettangolare e con una<br />
curva. Nella parete nord<br />
c’è un’apertura molto<br />
stretta che conduce in<br />
uno spazio curvo.<br />
Attraverso le analisi<br />
<strong>del</strong>le caratteristiche dei<br />
muri e in base allo studio<br />
<strong>del</strong>le fasi pittoriche,<br />
si è giunti alla conclusione<br />
che la cripta sia stata<br />
realizzata su strutture<br />
romane preesistenti.<br />
Nella sua prima fase<br />
costruttiva, avvenuta fra<br />
X e XI sec., la cripta<br />
aveva probabilmente<br />
una forma quadrata e<br />
presentava un’unica<br />
abside nella parete nord<br />
ed era priva invece <strong>del</strong>le<br />
due absidi attuali 6 .<br />
Queste furono realizzate<br />
successivamente, come anche alcuni pilastri sovrapposti<br />
alle pareti affrescate, e successivamente fu ristretto<br />
il vano di ingresso <strong>del</strong>l’abside <strong>del</strong>la parete nord, che<br />
venne trasformata in un ambiente quadrato. Questo<br />
Fig. 4 - Salerno. Chiesa di Santa Maria ‘de Lama’.<br />
<strong>Gruppo</strong> con angelo acefalo, la Vergine e due Santi.<br />
SALTERNUM<br />
- 102 -<br />
intervento è stato effettuato probabilmente dal<br />
momento in cui la cripta è stata utilizzata per le sepolture.<br />
Infine la trasformazione maggiore si verificò con la<br />
costruzione <strong>del</strong>la chiesa superiore.<br />
Tra X e XI sec. nella cripta, sulle pareti laterali, nelle<br />
absidi e sui pilastri è stata realizzata una serie di affreschi<br />
in stile bizantino che ritraggono Santi e Sante.<br />
Nell’abside semicircolare è ritratto Santo Stefano<br />
seduto su di un trono, che regge un libro; in alto, ai lati<br />
<strong>del</strong>l’ aureola, si legge «SCS STEPHANUS 7 » (fig. 2).<br />
Nell’abside rettangolare c’è una cornice, decorata<br />
con girali, che circonda una lunetta; al suo interno<br />
doveva esserci un Cristo Pantocratore (fig. 3). Tra le<br />
due absidi c’è un pilastro sul quale è ritratto San<br />
Lorenzo stante. Dietro questo pilastro è visibile un<br />
lacerto murario che è rimasto indenne dallo sfondamento<br />
<strong>del</strong>la parete (effettuato per la realizzazione<br />
<strong>del</strong>le absidi) sul quale c’è un affresco in cui è stato<br />
individuato Sant’Andrea ed un altro Santo con ai piedi<br />
il suo committente inginocchiato 8 .<br />
All’estremità di questa parete, all’angolo con la<br />
parete nord, c’è la raffigurazione di un Santo entro<br />
una cornice decorata con rombi iscritti in cerchi. Ai<br />
suoi piedi si legge «IOHANNES C.». L’ipotesi più<br />
accreditata è che questo personaggio, per metà distrutto<br />
a causa <strong>del</strong>lo sfondamento <strong>del</strong>la parete est, sia il<br />
Conte Giovanni, committente ma soprattutto proprietario<br />
<strong>del</strong>la chiesa nella prima metà <strong>del</strong>l’XI sec..<br />
Sulla parete nord è raffigurato un primo personaggio<br />
in piedi, con la mano benedicente: si tratta di San<br />
Bartolomeo. Di seguito ci sono tre pilastri, anch’essi<br />
affrescati. Sul primo sono visibili soltanto dei panneggi,<br />
sul secondo invece sono riconoscibili due figure. Fra<br />
questo pilastro ed il terzo è affrescata una Vergine, rappresentata<br />
come una regina, con un ricco abito e con in<br />
mano uno scettro. Sui lati interni di questi due pilastri ci<br />
sono due angeli appena visibili. Infine sul lato esterno<br />
<strong>del</strong> terzo pilastro c’è un angelo acefalo (fig. 4).<br />
Sulla parete sud, ci sono altri personaggi: sul primo<br />
pilastro due Santi, uno con il pallio e benedicente, l’altro<br />
probabilmente di sesso femminile. In condizioni<br />
decisamente migliori è l’affresco sul secondo pilastro:<br />
vi è rappresentata una Santa in abito monacale che<br />
regge una catena. L’interpretazione di questo personaggio<br />
risulta difficoltosa, anche perché le lettere che<br />
compongono il suo nome sono quasi scomparse, ma<br />
potrebbe trattarsi di Santa Radegonda (infra fig. 9).
Fig. 5 - Salerno. Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. Affresco <strong>del</strong>la Crocifissione.<br />
Per quanto concerne l’originaria parete ovest, non<br />
se ne conserva alcuna traccia. Quella attuale è frutto di<br />
numerosi rifacimenti architettonici avvenuti nei secoli.<br />
Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. Analisi storico-archeologica<br />
Nello stesso periodo storico, con analogie di tipo<br />
architettonico e funzionale, fu costruita la cripta <strong>del</strong>la<br />
chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. La struttura si trova all’inizio<br />
di Via dei Mercanti, nell’omonima ‘Piazzetta <strong>del</strong><br />
Crocifisso’.<br />
Fino al 1878 9 , la chiesa aveva il nome di Santa<br />
Maria ‘<strong>del</strong>la Pietà’ di Portanova; in seguito al trasferimento<br />
in essa <strong>del</strong> Crocifisso ligneo (1879) proveniente<br />
dalla chiesa di San Benedetto, il suo nome mutò in<br />
quello attuale.<br />
La chiesa è formata da due edifici sovrapposti,<br />
dalla cripta realizzata nel X sec. e dalla chiesa superiore<br />
realizzata tra XI e XII sec.. Le due chiese avevano<br />
funzioni autonome fino al momento in cui la cripta fu<br />
utilizzata come sepolcreto.<br />
Questo ambiente fu scoperto solo negli anni ’50 10 ,<br />
durante i lavori di ristrutturazione eseguiti per rimediare<br />
ai danni causati dalla guerra, grazie al ritrovamento<br />
di una botola al centro <strong>del</strong>la navata principale<br />
<strong>del</strong>la chiesa superiore: quando questa venne aperta si<br />
MARIA AMORUSO<br />
- 103 -<br />
individuò al suo interno un sepolcreto che presentava<br />
tracce di pitture sulle pareti. Il vano fu svuotato e al<br />
suo interno furono ritrovate numerose casse e resti di<br />
defunti depostivi in differenti epoche. Terminato lo<br />
svuotamento <strong>del</strong> vano, questo apparve non un semplice<br />
ossario, bensì una cripta grande circa la metà <strong>del</strong>la<br />
chiesa superiore e decorata con due grandi affreschi.<br />
Tale cripta è divisa in tre navate, le due laterali più<br />
piccole e quella centrale di maggiori dimensioni. Tutte<br />
e tre sono dotate di absidi. Nella navata centrale, sulla<br />
parete opposta all’abside, in un arco a tutto sesto, è<br />
stato realizzato fra XII e XIII sec. un grande affresco<br />
raffigurante la crocifissione <strong>del</strong> Cristo 11 (fig. 5). La<br />
scena si sviluppa su un alto zoccolo decorato con un<br />
panneggio stilizzato a fasce oblique. I personaggi sono<br />
inseriti in un paesaggio scuro, al di sopra di un pavimento<br />
roccioso al centro <strong>del</strong> quale si staglia il<br />
Crocifisso. La figura di Cristo, molto drammatica, ha il<br />
capo reclinato, le gambe piegate sotto il peso <strong>del</strong> proprio<br />
corpo e i piedi trafitti da un chiodo. Ai suoi lati si<br />
sviluppano una serie di personaggi. A sinistra c’è il<br />
gruppo formato dalle ‘Pie donne’, con Maria<br />
Maddalena e Maria di Cleofa ai lati, con il volto pervaso<br />
di dolore, nell’atto di sorreggere la Vergine che è rappresentata<br />
tra le due donne, mentre tende le mani verso
il Figlio. A destra c’è un altro gruppo, questa<br />
volta composto di tre uomini: San Giovanni,<br />
Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Ai lati<br />
<strong>del</strong>la Croce ci sono due soldati le cui dimensioni<br />
sono inferiori rispetto agli altri personaggi;<br />
il soldato di destra è rappresentato<br />
mentre ferisce il costato a Gesù. Al di sopra<br />
vi sono due angeli intenti a raccogliere il sangue<br />
<strong>del</strong> Cristo che sgorga dalle sue mani e dal<br />
costato. Nel piccolo spazio arcuato che chiude<br />
sulla Croce, infine, vi sono due angeli in<br />
adorazione.<br />
Nell’abside <strong>del</strong>la navata di destra, vi è un<br />
secondo affresco di dimensioni inferiori. Su<br />
di un basamento molto alto, decorato con fasce verticali<br />
e drappeggi, una cornice racchiude tre soggetti<br />
maschili. Si tratta di San Sisto Papa, raffigurato al centro,<br />
e ai suoi lati, separati da colonne tortili, San<br />
Ludovico (a sinistra) ed un Santo pellegrino (a destra)<br />
non identificato.<br />
Analisi conservativa <strong>del</strong>le cripte<br />
L’importanza storica, artistica e culturale di queste<br />
due cripte è notevole.<br />
Le fasi evolutive <strong>del</strong>le strutture sono ben documentate<br />
e gli affreschi, con le loro raffigurazioni di<br />
Santi, rappresentano un’ottima testimonianza dei culti<br />
devozionali locali. L’utilizzo come sepolcreto <strong>del</strong>le<br />
due chiese, in un’epoca successiva, testimonia un’usanza<br />
ormai radicata tra i Salernitani - e non un caso<br />
isolato - di seppellire i loro cari al di sotto di un luogo<br />
di preghiera.<br />
Con il trascorrere <strong>del</strong> tempo, le condizioni ambientali<br />
possono influire negativamente sulla conservazione<br />
<strong>del</strong>le testimonianze antiche. Attualmente entrambe<br />
le cripte, nonostante i lavori di restauro eseguiti negli<br />
anni passati, versano in condizioni non buone. Le testimonianze<br />
più evidenti, costituite dagli affreschi, sono<br />
quelle maggiormente danneggiate e sulle quali sono visibili<br />
molteplici forme di degrado.<br />
La causa <strong>del</strong>la loro comparsa è da ricercare nella<br />
posizione interrata di entrambe le cripte. Il contatto<br />
diretto <strong>del</strong>le pareti con il terreno <strong>del</strong> sottosuolo favorisce<br />
il passaggio continuo <strong>del</strong>l’umidità, che in base<br />
alla composizione <strong>del</strong> materiale 12 costruttivo ed alla<br />
sua porosità riesce a raggiungere le superfici affrescate<br />
creando danni di varia entità alle pitture ma anche<br />
alle stesse strutture murarie 13 .<br />
SALTERNUM<br />
Fig. 6 - Salerno. Chiesa di S.<br />
Maria ‘de Lama’. Affresco <strong>del</strong>la<br />
Vergine.<br />
- 104 -<br />
Nella cripta <strong>del</strong>la chiesa di Santa Maria<br />
‘de Lama’ gli affreschi più colpiti e quindi<br />
maggiormente danneggiati dall’umidità<br />
sono situati sulle pareti est e nord. La<br />
Vergine con i due angeli ai lati è il soggetto<br />
più danneggiato. Sulla sua superficie pittorica<br />
sono visibili patine carbonatiche formatesi<br />
dallo scioglimento <strong>del</strong> Carbonato di<br />
Calcio presente nell’affresco, in seguito al<br />
passaggio <strong>del</strong>l’acqua nella parete. Questa<br />
raggiunge la superficie pittorica e quando<br />
evapora deposita sull’affresco il Carbonato<br />
di Calcio, che reagisce con l’Anidride<br />
Carbonica e si indurisce, formando sull’affresco<br />
una patina biancastra che offusca i colori. Non<br />
mancano inoltre efflorescenze saline, cadute e disgregazioni<br />
<strong>del</strong>lo strato pittorico 14 . Le efflorescenze si formano<br />
in seguito alla cristallizzazione dei sali trasportati<br />
dall’acqua nella parete; se il materiale che costituisce<br />
la parete è abbastanza resistente, i sali vengono spinti<br />
fuori ed il processo di cristallizzazione termina con la<br />
formazione <strong>del</strong>le efflorescenze sulla superficie pittorica.<br />
Se la parete è più debole, i sali si cristallizzano<br />
all’interno e nel loro processo di cristallizzazione<br />
aumentano di volume e provocano la rottura dei pori<br />
<strong>del</strong> materiale che costituisce la muratura. Questo si<br />
manifesta in modo visibile attraverso la caduta <strong>del</strong>lo<br />
strato pittorico e la disgregazione <strong>del</strong>l’intonaco 15 .<br />
Ancora sulla Vergine, sono visibili <strong>del</strong>le incrostazioni<br />
di vario spessore. Queste formazioni sono causate<br />
dal deposito di uno strato di sali sulla superficie<br />
pittorica, il cui spessore può variare in base alla quantità<br />
di acqua che passa sulla zona in questione. Anche<br />
gli altri personaggi presenti nella cripta sono colpiti da<br />
queste e altre forme di degrado 16 .<br />
La tabella che segue evidenzia per ognuno di essi le<br />
forme di degrado che si sono manifestate sulla superficie<br />
pittorica e sull’intonaco sottostante.
TABELLA 1 - CHIESA DI SANTA MARIA ‘DE LAMA’.<br />
PERSONAGGI FORME DI DEGRADO<br />
PARETE NORD<br />
Vergine con i due angeli - Patine carbonatiche<br />
- Efflorescenze saline<br />
- Cadute <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Disgregazione <strong>del</strong>l’intonaco<br />
- Incrostazioni<br />
Angelo acefalo - Patine carbonatiche<br />
- Incrostazioni<br />
- Cadute <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />
pittorico<br />
San Bartolomeo - Spessa patina carbonatica<br />
- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Efflorescenze<br />
- Disgregazioni<br />
PARETE EST<br />
Iohannes C. - Patine carbonatiche<br />
- Efflorescenze saline<br />
- Principi di disgregazione<br />
<strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
Santo Stefano - Patine carbonatiche<br />
- Incrostazioni<br />
- Spaccature <strong>del</strong>la superficie<br />
pittorica<br />
San Lorenzo - Alterazioni cromatiche<br />
dei pigmenti<br />
- Spaccature <strong>del</strong>la superficie<br />
pittorica<br />
- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />
pittorico<br />
PARETE SUD<br />
Santa Radegonda - Patine carbonatiche<br />
- Spaccature <strong>del</strong>la superficie<br />
pittorica<br />
- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
MARIA AMORUSO<br />
- 105 -<br />
La stessa situazione conservativa si può osservare<br />
nella Cripta <strong>del</strong>la Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. Su entrambi<br />
gli affreschi, sia la ‘Crocifissione’ che quello con i<br />
tre Santi, sono riscontrabili forme di degrado causate<br />
ancora una volta dall’eccessiva presenza di umidità.<br />
Sull’affresco con la Crocifissione, si alternano in<br />
diverse zone patine carbonatiche, efflorescenze saline,<br />
incrostazioni, sollevamenti, distacchi e cadute <strong>del</strong>lo<br />
strato pittorico e disgregazioni.<br />
Sull’affresco con i tre Santi (fig. 7) è possibile<br />
osservare le conseguenze <strong>del</strong>l’elevato tasso di umidità.<br />
Infatti l’affresco e l’intera parete hanno raggiunto la<br />
completa saturazione e l’acqua si deposita sulla superficie<br />
pittorica sotto forma di goccioline che mantengono<br />
l’intera parete costantemente bagnata.<br />
Fig. 7 - Salerno. Chiesa <strong>del</strong> Crocifisso, affresco con figure di tre Santi.<br />
Fig. 8 - Salerno. Chiesa di Santa Maria ‘de<br />
Lama’, S. Lorenzo.<br />
Fig. 9 - Salerno. Chiesa di Santa<br />
Maria ‘de Lama’, S. Radegonda.<br />
Anche per questa cripta segue una tabella che evidenzia<br />
le forme di degrado presenti sui singoli personaggi<br />
degli affreschi.
TABELLA 2<br />
CRIPTA DELLA CHIESA DEL SS. CROCIFISSO.<br />
PERSONAGGI FORME DI DEGRADO<br />
CROCIFISSIONE<br />
Cristo crocifisso - Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Patine carbonatiche<br />
PIE DONNE<br />
(Maria Maddalena la Madonna<br />
e Maria di Cleofa)<br />
- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Principi di disgregazione<br />
<strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
e <strong>del</strong>l’intonaco<br />
- Patine carbonatiche<br />
- Efflorescenze saline<br />
- Alterazioni cromatiche dei<br />
pigmenti<br />
Soldati - Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Alterazioni cromatiche<br />
dei pigmenti<br />
- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />
pittorico<br />
San Giovanni - Grosse lacune<br />
- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />
pittorico<br />
Giuseppe di Arimatea<br />
e Nicodemo<br />
Angelo che raccoglie il sangue<br />
di Gesù (a destra)<br />
Angeloche raccoglie il sangue<br />
di Gesù (a sinistra)<br />
- Patine carbonatiche<br />
- Efflorescenze saline<br />
- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />
pittorico<br />
- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Lacune<br />
- Patine carbonatiche<br />
- Incrostazioni<br />
- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />
pittorico<br />
- Lieve alterazione cromatica<br />
<strong>del</strong>le zone restaurate<br />
con la tecnica <strong>del</strong> restauro<br />
pittorico<br />
- Sottile patina carbonatica<br />
Angeli in adorazione - Sottile patina carbonatica<br />
Basamento roccioso<br />
e zoccolo <strong>del</strong>l’affresco<br />
- Sollevamento, distacco<br />
e caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Efflorescenze saline<br />
- Patine carbonatiche<br />
- Incrostazioni<br />
- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />
pittorico<br />
- Macchie scure <strong>del</strong>la superficie<br />
pittorica causate da ristagni<br />
di umidità<br />
SALTERNUM<br />
- 106 -<br />
ANGELI IN ADORAZIONE<br />
Basamento roccioso<br />
e zoccolo <strong>del</strong>l’affresco<br />
TRE SANTI<br />
- Sollevamento, distacco<br />
e caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Efflorescenze saline<br />
- Patine carbonatiche<br />
- Incrostazioni<br />
- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />
pittorico<br />
- Macchie scure <strong>del</strong>la superficie<br />
pittorica causate da ristagni<br />
di umidità<br />
San Lorenzo - Lievi alterazioni cromatiche<br />
dei pigmenti<br />
- Sottile patina carbonatica<br />
- Cadute <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
San Sisto Papa - Principi di disgregazione<br />
<strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Sottile patina carbonatica<br />
- Caduta <strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
Santo pellegrino - Alterazioni cromatiche<br />
dei pigmenti<br />
- Principi di disgregazione<br />
<strong>del</strong>lo strato pittorico<br />
- Patina carbonatica<br />
- Incrostazioni<br />
Zoccolo - Presenza di gocce d’acqua<br />
sulla superficie pittorica<br />
- Patina carbonatica<br />
- Incrostazioni<br />
- Disgregazione <strong>del</strong>lo strato<br />
pittorico
Fig. 10 - Salerno. Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. Angelo che raccoglie il sangue di Gesù.<br />
Fig. 11 - Salerno. Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso. Le ‘Pie donne’.<br />
MARIA AMORUSO<br />
- 107 -<br />
Da ciò che è emerso in seguito all’analisi di queste<br />
due antiche cripte salernitane, è evidente che il contesto<br />
topografico in cui esse sono inserite influisce<br />
molto sul loro stato di conservazione.<br />
Una situazione analoga si osserva anche nella struttura<br />
ipogea <strong>del</strong> Complesso monumentale di San Pietro<br />
‘a Corte’ 17 , nel centro storico di Salerno, i cui affreschi,<br />
databili tra XII e XIV sec. d. C. 18 , presentano le medesime<br />
forme di degrado 19 <strong>del</strong>le cripte qui analizzate.<br />
La posizione di queste chiese, al di sotto <strong>del</strong> livello<br />
stradale, ha garantito la loro conservazione nel corso<br />
dei secoli ma oggi quelle condizioni che ne hanno<br />
garantito la sopravvivenza sono mutate e rischiano di<br />
compromettere in modo serio e irreversibile queste<br />
importanti testimonianze storiche.<br />
La chiesa di Santa Maria ‘de Lama’, la cripta <strong>del</strong>la<br />
Chiesa <strong>del</strong> SS. Crocifisso, il Complesso monumentale di<br />
San Pietro ‘a Corte’ e molte altre strutture <strong>del</strong> centro<br />
storico di Salerno rappresentano un insieme documentario<br />
fondamentale per la conoscenza <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la<br />
città e <strong>del</strong>le antiche origini <strong>del</strong>la popolazione locale. Per<br />
questo sarebbe opportuno attuare lavori di conservazione<br />
e restauro mirati all’eliminazione <strong>del</strong>l’umidità<br />
dagli ambienti in questione o effettuare interventi che<br />
siano in grado di ritardare la formazione <strong>del</strong>le forme<br />
di degrado analizzate 20 .
Note<br />
1 CRISCI 2001, p. 79.<br />
2 IDEM 2001, p. 80.<br />
3 IDEM 2001, p. 81.<br />
4 IDEM 2001, p. 82.<br />
5 DE FEO - D’ANIELLO 1991, p. 46.<br />
6 IDEM, ibidem.<br />
7 VALITUTTI 2003, pp. 149-153.<br />
8 VISENTIN 2003, pp. 142-147.<br />
9 PASCA 2000 , pp. 117-121.<br />
10 BERGAMO 1961.<br />
11 MICCIO - SESSA 1998, pp. 27-32.<br />
12 Per maggiori informazioni sulla composizione<br />
dei materiali utilizzati nella realizzazione<br />
degli affreschi e sulle loro caratteristiche,<br />
cfr. CAMPANELLA et Alii 2007;<br />
Bibliografia<br />
AMORUSO M. 2009, Lo stato di conservazione<br />
degli affreschi di San Pietro a Corte in Salerno, in<br />
“Salternum”, XIII, 22-23, pp. 71-78.<br />
AMORUSO M. 2010, La tecnica <strong>del</strong>l’affresco e i<br />
principi di conservazione nelle pitture parietali <strong>del</strong>le<br />
antiche chiese salernitane (S. Pietro a Corte -<br />
Santa Maria de Lama – SS. Crocifisso), in<br />
“Visitiamo la Città” 2010-2011, Salerno,<br />
pp. 138-151.<br />
BERGAMO G. 1961, Parrocchia <strong>del</strong> SS.<br />
Crocifisso nella Chiesa di Santa Maria <strong>del</strong>la Pietà<br />
in Salerno, Salerno.<br />
BOTTICELLI G. 1992, Metodologie di restauro<br />
<strong>del</strong>le pitture murali, Firenze.<br />
BRACA A. 2000, Chiesa di Santa Maria de<br />
Lama, in Il Centro storico di Salerno, Salerno,<br />
pp. 32-34.<br />
CAMPANELLA L. et Alii 2007, Chimica per<br />
l’arte, Bologna.<br />
CRISCI G. 20012 , Salerno Sacra. Ricerche stori-<br />
SALTERNUM<br />
MATTEINI - MOLES 1999.<br />
13 MORA - MORA 1999, pp. 198-207.<br />
14 BOTTICELLI 1999, pp. 39-44.<br />
15 MORA - MORA 1999, pp. 188-192.<br />
16 AMORUSO 2010, pp. 145-147.<br />
17 Il Complesso monumentale di San Pietro<br />
‘a Corte’ si sviluppa su due strutture<br />
sovrapposte, un ipogeo ed una cappella<br />
superiore. L’ipogeo, il cui piano di calpestio<br />
si trova a circa 5-6 m di profondità dall’attuale<br />
livello stradale, conserva testimonianze<br />
storiche, archeologiche ed artistiche che<br />
vanno dal I-II sec. d. C. fino al XIV sec. d.<br />
C. Molto interessanti, al suo interno, le<br />
testimonianze pittoriche <strong>del</strong> XII-XIV sec.<br />
che, Salerno.<br />
DE FEO R. - D’ANIELLO R. 1991, La chiesa<br />
di Santa Maria <strong>del</strong>la Lama in Salerno, in<br />
“Apollo”, VII, pp. 44-60.<br />
GASPAROLI P. 1999, La conservazione dei dipinti<br />
murali, Firenze.<br />
MATTEINI M. - MOLES A. 1989, La chimica<br />
nel restauro. I materiali <strong>del</strong>l’arte pittorica,<br />
Firenze.<br />
MAURO D. 1999, Note sulla pittura medievale a<br />
Salerno. Gli affreschi di San Pietro a Corte e di<br />
Santa Maria de Lama, in “Apollo”, XV, pp.<br />
46-60.<br />
MICCIO G. - SESSA M. G. 1998, Salerno, la<br />
Chiesa <strong>del</strong> Crocifisso fra progetto e restauro, in<br />
XIII Settimana dei BB.CC.. Italia, una cultura<br />
da vivere,Viterbo, pp. 27-32.<br />
MORA P. - MORA L. 1999, La conservazione<br />
<strong>del</strong>le pitture murali, Bologna.<br />
PASCA M. 2000, Chiesa <strong>del</strong> Crocifisso e Convento<br />
- 108 -<br />
d. C., periodo in cui l’ipogeo è stato utilizzato<br />
dai Normanni come oratorio.<br />
Dall’analisi conservativa degli affreschi è<br />
emerso che la struttura è molto umida e che<br />
il passaggio <strong>del</strong>l’ umidità nelle pareti ha provocato<br />
la comparsa sugli affreschi <strong>del</strong>le<br />
medesime forme di degrado riscontrate<br />
nelle chiese di Santa Maria ‘de Lama’ e <strong>del</strong><br />
SS. Crocifisso.<br />
18 San Pietro a Corte 2000.<br />
19 AMORUSO 2009, pp. 71-78.<br />
20 Per i possibili interventi di conservazione<br />
e restauro cfr. GASPAROLI 1999.<br />
di Santa Maria <strong>del</strong>la Pietà, in Il Centro storico di<br />
Salerno, Salerno, pp. 117-121.<br />
PICCIOLI C. 2004/2005, Dispense <strong>del</strong> corso di<br />
Chimica <strong>del</strong> Restauro, Istituto Universitario<br />
Suor Orsola Benincasa, Napoli.<br />
San Pietro a Corte 2000, Recupero di una memoria<br />
nella città di Salerno, a cura <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong><br />
<strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong>, Salerno.<br />
VALITUTTI P. 2003, La chiesa di Santa Maria<br />
de Lama. Il secondo ciclo pittorico, in “Visitiamo<br />
la città”, Salerno, pp. 149-153.<br />
VISENTIN B. 2001, Il panorama artistico tra<br />
Salerno e il Tusciano in età longobarda. Quattro<br />
esempi di pittura medievale, in “Schola<br />
Salernitana”, Annali V-VI, pp. 157-164.<br />
VISENTIN B. 2003, La chiesa di Santa Maria de<br />
Lama. Il primo ciclo pittorico, in “Visitiamo la<br />
città”, Salerno, pp. 142-147.
Di San Tommaso<br />
sull’omonimo monte a Polla<br />
Sul piazzale <strong>del</strong>la fontana di san Tommaso<br />
sorge da poco più di due anni una nuova<br />
attrattiva: la composizione su piastrelle di<br />
ceramica <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> Santo da cui l’altura è denominata<br />
(fig. 1). D’una precedente edicola, disfatta dall’abbandono,<br />
ma di cui non è cessato <strong>del</strong> tutto il ricordo,<br />
il nuovo stelo esprimerebbe l’augurale ripresa.<br />
È un’immagine d’impronta chiaramente disegnativa,<br />
un contorno di figura trattato dal colore - un<br />
azzurro che sfuma nell’oro tenue e nel bianco - probabilmente<br />
tirata dalla mano d’un illustratore sul cartone<br />
d’origine, convertito in ceramica negli stabilimenti di<br />
Vietri sul Mare nei primi decenni <strong>del</strong> Novecento; l’epoca<br />
stessa, così pure gli stabilimenti da cui uscirono<br />
le quindici stazioni dei tabernacoli <strong>del</strong> Calvario, voluti<br />
dall’arciprete Dionigi Bracco sulle offerte dei fe<strong>del</strong>i<br />
residenti o emigrati 1 .<br />
L’oblatore <strong>del</strong> San Tommaso, che veste il saio<br />
domenicano ed ha il corpo robusto e il viso tondo, fu<br />
Domenico Moccia, agricoltore di numerosa prole che<br />
elevò un sospiro al cielo destinando all’alta montagna<br />
il dono <strong>del</strong> Santo titolare; per difetto di mezzi, nonché<br />
di agevole accesso in un tempo che praticava ancora le<br />
erte piste <strong>del</strong>le mulattiere, o anche per il termine stesso<br />
sopravvenuto <strong>del</strong>la vita, l’opera consegnata non<br />
ebbe il suo tabernacolo a contatto <strong>del</strong>le nove vasche in<br />
cui si svolge la corrente <strong>del</strong>la fontana che sgorga dalla<br />
compagine rocciosa, macchiata dalla selva perenne e<br />
cedua. Nessuna voce si leva dalla casa estinta che sollevi<br />
lo stame <strong>del</strong> racconto <strong>del</strong>la devota ventura <strong>del</strong>la<br />
commissione soddisfatta e pagata. I Pollesi che or son<br />
vivi si son trovati di colpo questo bene dissepolto dal<br />
cellaio di famiglia finalmente elevato al centro <strong>del</strong>la<br />
semplice edicola apprestata al vertice <strong>del</strong> triangolo che<br />
contiene la successione <strong>del</strong>le vasche in cui la fontana<br />
si articola e connette, mentre fan da spalla i due brevi<br />
lati di fresca muratura che convergono nell’edicola<br />
VITTORIO BRACCO<br />
- 109 -<br />
Fig. 1 - San Tommaso d’Aquino. Piastrelle di ceramica da fabbrica vietrese.<br />
(figg. 2 -3). Un bel partito di rustica architettura che<br />
fornisce un tratto attraente ed ameno al visitatore sul<br />
richiamo d’origine: la lunga fontana appunto descritta<br />
dal verbale <strong>del</strong>l’adunanza d’un pubblico Parlamento<br />
<strong>del</strong> Novembre <strong>del</strong> 1750, allorché nella piazza <strong>del</strong><br />
paese, deputata alle pubbliche riunioni, si levò il<br />
discorso <strong>del</strong> notabile D’Alitto, che propose di imbrigliare<br />
in apposita conduttura l’acqua che gettava<br />
copiosa e si perdeva per la china <strong>del</strong> monte mentre<br />
avrebbe potuto colmare la peschiera <strong>del</strong> richiedente e
Fig. 2 -Benedizione <strong>del</strong>l’immagine in ceramica (31 Agosto <strong>del</strong> 2008).<br />
Fig. 3 - La fontana di San Tommaso con le sue nove vasche.<br />
irrorare a volontà i terreni di possidenti vicini. Non<br />
sappiamo se la proposta, peraltro in sé approvata, abbia<br />
avuto il séguito <strong>del</strong>l’intervento. Ma si è creduto di far<br />
cenno <strong>del</strong>l’episodio a titolo <strong>del</strong>l’attenzione che sul volger<br />
di quasi trecent’anni or sono, richiamava la popolazione<br />
d’allora verso un profitto che non fosse quello in uso<br />
<strong>del</strong>l’abbeveramento di greggi ed armenti che, sul dondolìo<br />
acuto dei campani, qui convenivano nelle pause previste<br />
<strong>del</strong>la giornata, sul passo di cani e pecorai.<br />
La fresca immagine - senza pretesa d’arte ma percorsa<br />
da un soffio suggerito dalla fede - guarda chi<br />
convenga con la stessa mitezza e bontà di attitudine<br />
che albergò qui nel petto <strong>del</strong> santo d’Aquino a cui<br />
SALTERNUM<br />
- 110 -<br />
meno di cinquant’anni bastarono per costruire un<br />
invito perenne alla concordia e alla serena quiete. Si<br />
dispiega sul petto <strong>del</strong>la figura il sole: non è necessario<br />
pensare alla santità per un tale accoglimento, che potrà<br />
alimentarsi anche di fremiti terrestri: «questo sol m’arde<br />
e questo m’innamora», ripete un verso <strong>del</strong><br />
Buonarroti, ma di essenza celeste è senz’altro il contorno<br />
dei due angeli scolpiti a rilievo sui lati, come<br />
appunto furono quelli sul dettato dei quali il Santo<br />
affermava di scrivere: e il libro aperto dalla scrittura<br />
fitta conferma la tradizione.<br />
La montagna che fa da sfondo a questo ritaglio di<br />
natura è tutta in ordine con la disposizione di fondo<br />
che improntò la vita <strong>del</strong>’Uomo e batte nello spirito dei<br />
Pollesi di oggi. Una cosa è certa. Mancava al rigoglio<br />
dalle molte vite in cui s’addensa da secoli la devozione<br />
a Sant’Antonio nel lustro <strong>del</strong>la chiesa e <strong>del</strong> suo fruttuoso<br />
convento, il segno inverso d’un romitaggio. La<br />
configurazione <strong>del</strong> luogo ne ha stabilito l’accenno con<br />
l’armonia naturale ispirata dal sentimento e dal gusto<br />
degli uomini: alla semplicità <strong>del</strong>l’acqua, utile ed umile,<br />
preziosa e casta versata dal monte, s’è unito il lume<br />
d’un sentimento che infiammò a suo tempo l’ansia di<br />
famiglie devote. Il pensiero va al San Tommaso accolto<br />
e sorretto da un conserto di angeli, come lo dipinse<br />
nel 1708, tra le belle opere <strong>del</strong>la sua matura giovinezza,<br />
Anselmo Palmieri, su volere confortato dall’oblazione<br />
dei fe<strong>del</strong>i d’una donna ancora giovane, Anna<br />
Ferrari, che vestì l’abito terziario <strong>del</strong>l’Ordine<br />
Domenicano col nome di Maria ed assegnò alla tela il<br />
rettangolo d’un altare <strong>del</strong> Rosario 2 .<br />
S’è voluto dire anche questo a monito e a conforto<br />
<strong>del</strong>la consegna religiosa in cui posa la novità ora<br />
introdotta. Perché non è da supporre che il passo e la<br />
curiosità che sollecitano il visitatore e il forestiero si<br />
animino soltanto d’un effimero sentimento sollevato<br />
dal respiro d’un’amena e varia veduta. S’accentra invece<br />
nel calcolo augurale l’idea di un’immanente religione<br />
indotta dalla bellezza e dall’armonia <strong>del</strong>le cose.<br />
Qui gli estremi si toccano: la più evoluta civiltà di<br />
cui è suggello anche l’ardita rotabile che sale a questo<br />
spiazzo s’incontra con l’agreste essenza che si perpetuò<br />
nei millenni, da quando l’uomo ha frequentato<br />
questi luoghi.<br />
Il giacimento <strong>del</strong>le nevi che qua e là s’aprivano<br />
nelle fosse previste è una prova fra le altre <strong>del</strong>l’utilità<br />
che si è sempre saputo trarre dalla montagna con la<br />
mediazione dei pastori e <strong>del</strong>la conduzione elementare
ed eguale <strong>del</strong>la vita. A questo incontro tra il disinvolto<br />
fruitore odierno <strong>del</strong>le vetture e il sopravvivente lento<br />
conduttore <strong>del</strong>le greggi e degli armenti, si deve la fortuna<br />
propizia <strong>del</strong> monte che sovrasta la secolare vicenda<br />
di Polla e <strong>del</strong>la sua contrada.<br />
Ed è anche lecito domandarsi da quando il nome<br />
sia stato incappellato a questa cima, nel giro d’un paesaggio<br />
a lungo dominato dalla sopravvivenza dei Santi<br />
d’Oriente a cui, fin dal tramonto <strong>del</strong>l’Alto Medioevo,<br />
vennero innalzandosi eremi e cappelle e titoli di luoghi.<br />
Nella rosa d’attorno se ne colgono alcuni:<br />
Sant’Aniceto, Santi Quaranta, Santo Cornato in cui<br />
l’uso contrasse il Coronato d’origine 3 (Fig. 4). Le ventate<br />
<strong>del</strong>l’Occidente si stesero un po’ dappertutto dopo<br />
i precedenti riferimenti; e non sarà stato altrimenti per<br />
il nome di San Tommaso, imposto fors’anche sulla<br />
voce di qualche perduto episodio che avesse <strong>del</strong> miracoloso<br />
nella fede o nella superstizione di mandriani e<br />
pastori, invocanti una suprema mano sulla loro ricchezza<br />
assoluta: la difesa <strong>del</strong>le greggi e degli stazzi<br />
contro l’insidia <strong>del</strong>le fiere.<br />
Forse non s’arrischia l’ipotesi ma posa nel concreto<br />
<strong>del</strong>le vicende umane il supporre che la predicazione<br />
domenicana abbia influito sulla stabilità <strong>del</strong>la<br />
denominazione; <strong>del</strong>l’ordine dotto che in San<br />
Tommaso, oltre che nell’ispanico fondatore, aveva la<br />
sua leva di forza e la salda unità <strong>del</strong>l’abito: ed è fra l’altro<br />
un Domenicano che s’incurva, nella seconda metà<br />
<strong>del</strong> Seicento, dal pulpito <strong>del</strong> Rosario ad esaltare sul<br />
duplice semicerchio intento all’ascolto, il purissimo<br />
bene <strong>del</strong> trittico <strong>del</strong>l’Ordine (il Rosario, il Fondatore,<br />
l’Aquinate), mentre i due celebranti attendono al<br />
sacrificio <strong>del</strong>l’altare nel momento in cui vien consacrata<br />
l’infiammata pala <strong>del</strong> Purgatorio 4 . Non è da<br />
dimenticare la voce con l’opera assidua di Suor Maria<br />
Villano <strong>del</strong>l’Ordine appunto dei Predicatori, che da<br />
Napoli vegliava anche sulla terra di Polla, ove s’era<br />
formata alla vita religiosa nella prima generosa adolescenza.<br />
Tommaso non è soltanto figura mistica <strong>del</strong>l’Occidente<br />
latino, ma irradiato nell’orizzonte campano: da Napoli,<br />
dove egli s’era formato e insegnò, la predicazione domenicana<br />
seguitava a propagarne il culto; e a Salerno ebbero<br />
sepoltura due sorelle <strong>del</strong> Santo, come è fors’anche vero<br />
che fu il sovrano di Napoli, che - lo conferma il verso<br />
dantesco 5 - «ripinse al ciel Tommaso», facendogli propinare<br />
il veleno che lo spense in un’angusta cella <strong>del</strong>la badia di<br />
Fossanova nel viaggio per la Francia.<br />
VITTORIO BRACCO<br />
- 111 -<br />
Fig. 4 - I toponimi ‘S. Tommaso’ e ‘S. Marta’ sulla montagna retrostante Polla (da<br />
Guida d’Italia Touring 1928).<br />
Si era nel Trecento, dopo il 1323, che segnò l’ufficiale<br />
elevazione agli altari <strong>del</strong>l’Aquinate. Proseliti <strong>del</strong>la diffusione<br />
<strong>del</strong> nome dovettero essere i Sanseverino, conti<br />
di Marsico, ai quali Polla e un largo tratto di paese intorno<br />
erano infeudati e tra i quali il nome di Tommaso si<br />
rinnovava in quel secolo tra le generazioni 6 .<br />
Chi fu tra essi colui che fors’anche sul fondamento<br />
d’accordi stretti con la locale Università, poté prendere<br />
l’iniziativa di benedire nel nome di Tommaso l’acqua<br />
sorgiva e di apprestare le rustiche vasche di pietra<br />
viva, fluida dimora <strong>del</strong>la trascorrente corrente? Fu<br />
forse il Sanseverino Tommaso IV - quinto conte di<br />
Marsico - seguitando l’azione dei predecessori di assegnar<br />
terre e suffeudi <strong>del</strong>l’ala che contasse tra la popolazione<br />
<strong>del</strong> luogo? O fu il Sanseverino Antonio, dal<br />
volto grifagno nell’atto di contemplare la moglie genuflessa,<br />
Isabella <strong>del</strong> Balzo, dalla persona fine e gentile,<br />
nella comune posa in cui confermano la loro devozione<br />
alla Vergine? Tale infatti essi sono riapparsi da<br />
pochi anni in fondo alla cappella <strong>del</strong> San Pietro <strong>del</strong> villaggio<br />
su di un ricuperato affresco. O fors’anche prima<br />
di lui, sensibile per subitaneo moto di solidarietà, fu il<br />
Tommaso terzo - quarto conte di Marsico -, concedendo<br />
nel sabato e nella domenica un mercato a Polla<br />
che risollevasse il popolo dall’immanente miseria,<br />
colui che estese sul rivo montanaro <strong>del</strong>la fontana la<br />
pubblica denominazione dal Santo d’Aquino? Come<br />
che fosse, la fortuna <strong>del</strong> nome col tramite o per iniziativa<br />
dei Sanseverino, devoti alla casa regnante, dovette<br />
prender forma la fortuna <strong>del</strong> nome nel luogo <strong>del</strong>la<br />
sorgente che alle spalle è sormontata dalla costa che
continua a salire, denominata nelle vecchie carte e<br />
mappe come Monte Marta, avvolgente l’intero massiccio<br />
sino alla quota di 1303 metri, e Santa Marta fu<br />
appellativo che, in ottemperanza alla politica religiosa<br />
degli Angioini, piacque diffondere: in terra di Francia<br />
infatti si venerava l’evangelica Marta e in suo onore, a<br />
Tarascon, presso le Bouches du Rône dalla fine <strong>del</strong> secolo<br />
XII, era sorta una chiesa, che ne vegliava le spoglie,<br />
vere o presunte che fossero.<br />
Secolo di forti contrasti il Trecento, dove l’accanimento<br />
terrestre ha tregua temporanea nella mortificazione<br />
e nella preghiera: Giacomo <strong>del</strong>la Polla, <strong>del</strong>l’insigne<br />
ceppo pollese e forse anche medico, affronta il patibolo<br />
in piazza <strong>del</strong> Mercato nella Capitale per avere con<br />
altri soppresso il marito <strong>del</strong>la regina Giovanna I, così<br />
come la stessa sovrana sarà soffocata tra le pareti <strong>del</strong><br />
castello di Muro, a non eccessiva distanza da Polla.<br />
«Grandi peccatori, grandi cattedrali», potremmo ripetere<br />
col felice apoftegma messo a titolo d’un suo libro da<br />
Enzo Biagi. Tale fu nei fatti l’arcigno Medioevo: in<br />
forma dissimulata e ritratta fino a un certo segno nell’ombra<br />
nella vita <strong>del</strong>le province, in cui il concubinato<br />
era pratica corrente e così le interminabili contese sulla<br />
minuta proprietà anche se il fenomeno era sormontato<br />
dall’altrettale assiduità <strong>del</strong>la devozione, che incoronava<br />
chiese e cappelle e umili luoghi con celesti richiami.<br />
Note<br />
1 I tabernacoli furono investiti dalle ghiande<br />
aeree americane una mattina di settembre <strong>del</strong><br />
1943. La distruzione impose al nuovo arciprete<br />
Raffaele Baorto il rifacimento sull’oblazione<br />
dei Pollesi e suggerì una diversa<br />
distribuzione <strong>del</strong>le edicole lungo la salita.<br />
Della primitiva serie rimasero quelle che<br />
erano state murate dalle origini nel pronao<br />
<strong>del</strong>la cappella terminale, in quanto uscite illese<br />
dal frangente di guerra.<br />
2 Sul dipinto cfr. BRACCO 2009, pp. 9-15.<br />
3 Sant’Aniceto chiamavasi ancora, sul principio<br />
<strong>del</strong> Settecento, quello che dopo di allora<br />
fu denominato ‘il Calvario’ o Montecalvario<br />
SALTERNUM<br />
per la nuova devozione che vi salì in quel<br />
tempo e dura nell’attaccamento vivo <strong>del</strong><br />
popolo. ‘Santi Quaranta’ era la pubblica strada<br />
e la contrada stessa ove era sorto sul cadere<br />
<strong>del</strong> Cinquecento il Convento dei<br />
Cappuccini. Per San Coronato la menzione<br />
si fa aperta nell’anno 1445: «…pecium unum<br />
terre in sancto Cornato sterile, in fine foreste curie et<br />
in fine ecclesie Sancti Cornati» (SILVESTRI 1980,<br />
p. 131).<br />
4 Una riproduzione <strong>del</strong> dipinto, che è parte<br />
esso stesso <strong>del</strong>la Pala <strong>del</strong> Purgatorio, trovasi<br />
in BRACCO 2009, tav. XX.<br />
5 Purg. XX, v. 69.<br />
- 112 -<br />
Ed insieme col nome, dovette prender terreno<br />
anche il titolo di una cappella di campagna con l’abside<br />
ricavata nella concavità stessa <strong>del</strong>la costa rocciosa,<br />
in un angolo che guarda la montagna e la sua fontana:<br />
e fu San Tommaso anche questa cappella. È lecito<br />
chiedersi: fu essa di impianto originale o imposta sul<br />
precedente titolo <strong>del</strong> San Coronato, prima ricordato?<br />
Difficile accertarlo. Ad ogni modo i riferimenti al San<br />
Coronato come di entità ancora viva nella realtà <strong>del</strong><br />
Quattrocento indurrebbe a separare le due cose. Se<br />
non che lungo il cammino <strong>del</strong>la costa non si vede né<br />
si indovina altra traccia di fabbrica che non sia quella<br />
<strong>del</strong>la corrosa e poi crollata cappella ora citata, <strong>del</strong>la<br />
quale si è tentato negli ultimi anni di avviare un’augurale<br />
ripresa nel nome di un raccolto richiamo agreste<br />
di offerta e di preghiera.<br />
Ricordando le nude pareti <strong>del</strong>l’ultimo ricovero <strong>del</strong><br />
gran Frate, infervorato dall’esplorazione <strong>del</strong> conoscibile<br />
e <strong>del</strong> non provabile sotto l’impeto <strong>del</strong>la dottrina e<br />
<strong>del</strong>l’acume, è suggestivo dilatare per contrasto lo spirito<br />
a questa beata altura in cui culmina il respiro di<br />
Polla e <strong>del</strong>la sua gente, unita dal pensiero <strong>del</strong> gran<br />
nome che ebbe, sotto la mole compatta <strong>del</strong> corpo, fattura<br />
e impalpabile dimensione d’angelo, come seguita<br />
a ripetere l’epiteto che lo consacrò nella voce popolare,<br />
di doctor angelicus 7 .<br />
Il Comitato scientifico di ‘Sal(t)ernum’ accoglie volentieri questo scritto <strong>del</strong>l’Accademico de’ Lincei Vittorio Bracco, che ne testimonia la<br />
poliedricità di interessi.<br />
Bibliografia<br />
BRACCO V. 2009, Feste nell’arte a Polla,<br />
Teggiano, a cura <strong>del</strong>la Diocesi di Teggiano-<br />
Policastro.<br />
NATELLA P. 1980, I Sanseverino di Marsico:<br />
una terra, un regno, Mercato San Severino.<br />
NATELLA P. 2008, I Sanseverino di Marsico:<br />
una terra, un regno. I. Il Gastaldato di Rota,<br />
Salerno.<br />
6 Sull’argomento in generale cfr. NATELLA<br />
1980, nonché l’accresciuta edizione <strong>del</strong>la<br />
prima parte <strong>del</strong>l’opera con l’aumentato titolo<br />
(NATELLA 2008).<br />
7 Ringrazio il professor Giovanni Vitolo, che<br />
ha rettamente connesso il nome di Monte<br />
Marta con la fortuna <strong>del</strong>la memoria <strong>del</strong>la<br />
Santa, diffusa dalla politica angioina; e in ciò<br />
ha fortificato quella inclinazione alla quale<br />
ero già propenso nell’attribuire la fortuna<br />
stessa <strong>del</strong> Santo d’Aquino a cappello <strong>del</strong>la<br />
montagna di Polla all’influenza, con la<br />
mediazione dei Sanseverino, esercitata da<br />
quei sovrani di penetrazione tra il popolo.<br />
SILVESTRI A. 1980 (s.d., ma), Le popolazioni<br />
di Polla e di Sala Consilina nel censimento <strong>del</strong><br />
1489, Napoli.
In ricordo di Werner Johannowsky<br />
Nella notte tra il 3 e il 4 Gennaio è morto<br />
l’archeologo Werner Johannowsky: da<br />
poco aveva compiuto 84 anni. Per volontà<br />
di Stefano De Caro, Direttore Generale<br />
all’Archeologia, la sua personalità è stata commemorata<br />
in forma solenne, il 4 Febbraio, nell’atrio <strong>del</strong> Museo<br />
<strong>Archeologico</strong> Nazionale di Napoli; come ebbi a dire<br />
allora, questa scelta mostrava un cuore antico: in<br />
Grecia il morto veniva esposto all’interno <strong>del</strong>la sua<br />
casa; per Werner il Museo, la Soprintendenza come<br />
Istituzione, erano state la vera casa; noi eravamo stati,<br />
in modo più o meno generoso, la sua Famiglia.<br />
Assai più distanti erano stati per lui i Genitori: la<br />
madre austriaca, donna ferrea, di grande cultura, traduttrice<br />
esperta di varie lingue; il padre, polacco, legato<br />
ai suoi ricordi, prima come attaché d’Ambasciata alla<br />
Sublime Porta <strong>del</strong> Sultano di Costantinopoli, poi proprietario<br />
<strong>del</strong>la favolosa libreria antiquaria di Piazza<br />
Plebiscito.<br />
Eppure la matrice familiare aveva pesato sulla formazione<br />
<strong>del</strong> giovane Werner più di quanto egli non<br />
fosse disposto a riconoscere: estraneo alla corrività<br />
cattolica, retto da un gran senso <strong>del</strong>la giustizia, egli era<br />
un napoletano radicato nella Mitteleuropa, esente dal<br />
piccolo provincialismo <strong>del</strong>la cultura italiana, prima fra<br />
tutte quella archeologica, uscita dalla guerra. In grado<br />
di leggere la letteratura archeologica direttamente nelle<br />
varie lingue europee (a casa si parlava il Tedesco), cosa<br />
che nell’‘Italietta’ di allora non era abituale (e non lo è<br />
neanche ora) la sua conoscenza <strong>del</strong>la bibliografia<br />
scientifica era sterminata, e una memoria infallibile gli<br />
permetteva di richiamare alla mente i confronti più<br />
opportuni. La sua passione per l’Antichità lo animava<br />
fin da piccolo: la madre mi raccontava che, quando il<br />
padre Bernardo si allontanava da Napoli, lei avrebbe<br />
voluto che il piccolo Werner le tenesse compagnia nel<br />
letto matrimoniale, e per convincerlo gli prometteva di<br />
BRUNO D'AGOSTINO<br />
- 113 -<br />
raccontargli <strong>del</strong>le storie; ma la sua risposta era implacabile:<br />
«ma storie vere di tempi antichi, o favole?».<br />
Inutile dire che solo la prima risposta riusciva a convincerlo.<br />
Come l’ho conosciuto? Stretto dalla necessità.<br />
Ancora adolescente desideravo visitare i siti dove si<br />
svolgevano nuovi scavi in Campania; ed ogni volta<br />
avevo la stessa risposta: «Dovete domandare al dottore<br />
Johannowsky». Fu così che mi presentai a casa sua,<br />
ma Bernardo mi rispose che Werner non c’era: faceva<br />
il servizio militare.<br />
Generosissimo, mi accolse, anche se ancora studente,<br />
come compagno nelle visite agli scavi, come<br />
accolse chiunque gli si rivolgesse con il desiderio di<br />
conoscere; a suo merito va ricordato che non era<br />
insensibile al fascino <strong>del</strong>le fanciulle ... Poi divenimmo<br />
colleghi, e condividemmo tra l’altro per due anni<br />
(1963 e 1965) l’esperienza di scavo a Iasos in Caria:<br />
non c’era la casa <strong>del</strong>la missione, si viveva in condizioni<br />
difficili; ogni volta era un’estate di fuoco. C’era con<br />
noi il caro Pamì Pecorella, di cui è sempre vivo il rimpianto,<br />
ad allietare con il suo fare scanzonato le serate<br />
al buio (non c’era luce elettrica!). Nei momenti peggiori,<br />
extrema ratio, c’era sempre il Rakì a farci evadere.<br />
Come archeologo, gli si sarebbero potute rimproverare<br />
alcune cose importanti: la sua scarsa sistematicità,<br />
l’ordine precario dei materiali, le molte cose non<br />
pubblicate. Tutte cose da non additare come esempio<br />
ai più giovani. Non si capisce come, tuttavia, le conclusioni<br />
che traeva da un modo di scavare in apparenza<br />
caotico fossero sempre esatte: mi è capitato di verificarlo<br />
a mie spese quando, grazie alla politica di<br />
Stefano De Caro, ho avuto il privilegio di scavare le<br />
mura di Cuma! Se vogliamo metterla sul piano teorico,<br />
si potrebbe dire che gli era <strong>del</strong> tutto estraneo il modo<br />
analitico di procedere, quello - per intendersi - che si<br />
affida a un sistema piramidale di schede nel quale l’u-
nità <strong>del</strong>lo scavo si rifrange; il suo era un approccio sintetico,<br />
intuitivo, ma sorretto da una straordinaria<br />
conoscenza dei materiali.<br />
Lo sosteneva in questo difficile esercizio la vasta<br />
apertura di interessi, sia sul piano cronologico che su<br />
quello etnico-culturale; capace di spaziare dal dinos di<br />
Sophilos alla copia <strong>del</strong>l’Apollo <strong>del</strong>l’Omphalos alla capeduncola<br />
<strong>del</strong>la prima Età <strong>del</strong> Ferro, aveva ereditato dalla<br />
vecchia Scuola napoletana una grande sensibilità per il<br />
territorio. Le sue ricerche spaziavano dalla Protostoria<br />
al Medioevo, dal mondo greco a quello italiota e a<br />
quello indigeno; nella sua visione, non c’era tra queste<br />
culture alcuna gerarchia di valori: nessuno era ritenuto<br />
marginale.<br />
Questo suo rifiuto per ogni forma di privilegio<br />
affondava le radici in una coscienza politica salda, che<br />
gli permetteva di partecipare da semplice militante alle<br />
SALTERNUM<br />
- 114 -<br />
riunioni <strong>del</strong>la sua sezione territoriale <strong>del</strong> Partito<br />
Comunista. L’impegno politico ci portò, in un giorno<br />
memorabile, a correre a Roma per sostenere con la<br />
nostra presenza l’occupazione degli studenti<br />
nell’Istituto di Archeologia <strong>del</strong>la Sapienza. L’impegno<br />
a stare sempre dalla parte <strong>del</strong> più debole si univa a una<br />
militanza assidua per la tutela dei Beni Culturali, e ci<br />
vide partecipi <strong>del</strong> primo gruppetto che, con Ranuccio<br />
Bianchi Bandinelli, diede vita alla breve stagione di<br />
“Dialoghi di Archeologia”.<br />
A suo merito occorre dire, senza mai stancarsi, che<br />
non aveva i ‘paraocchi’, che non è mai stato avaro <strong>del</strong><br />
suo sapere: ha dato a noi tutti molto più di quello che<br />
noi abbiamo dato a lui.<br />
E’ morto giovane, se essere giovani significa avere<br />
conservato intatte le proprie passioni.
Presentazione<br />
In questo numero <strong>del</strong>la Rivista “Salternum”,<br />
grazie alla cortesia e alla disponibilità di<br />
Gabriella d’Henry e Felice Pastore, sono contenute<br />
le notizie preliminari sulle scoperte archeologiche<br />
avvenute più recentemente, negli anni dal 2008 al<br />
2010, nel territorio <strong>del</strong>la città romana e <strong>del</strong> suo circondario<br />
e che sono il frutto <strong>del</strong>l’attività di sorveglianza<br />
condotta con attenzione e puntualità dalla<br />
Soprintendenza Archeologica.<br />
L’azione di prevenzione e salvaguardia <strong>del</strong>le testimonianze<br />
archeologiche è stata senza dubbio resa più<br />
incisiva e determinante dalla legislazione in materia,<br />
che ha visto, a partire dal 2006, l’entrata in vigore di<br />
specifiche norme che hanno agevolato l’intervento<br />
<strong>del</strong>la Soprintendenza: l’applicazione dei disposti contenuti<br />
negli artt. 95 e 96 <strong>del</strong> D.L.vo 163/2006, infatti,<br />
ha consentito operazioni trasparenti, impostate su basi<br />
certe e ben comprensibili anche da parte <strong>del</strong>la committenza<br />
<strong>del</strong>le opere pubbliche o di interesse pubblico,<br />
nella cui realizzazione si è manifestata la necessità<br />
<strong>del</strong>l’intervento preventivo di scavo archeologico.<br />
Effettivamente, in passato spesso le maggiori difficoltà<br />
per la salvaguardia e la tutela <strong>del</strong>le presenze antiche<br />
che venissero rinvenute nel corso <strong>del</strong>l’esecuzione<br />
di appalti pubblici erano determinate in primis dalla<br />
mancanza di attenzione da parte <strong>del</strong>le stazioni appaltanti<br />
alle problematiche archeologiche, che non venivano<br />
tenute in sufficiente considerazione, se non addirittura<br />
ignorate, nel corso <strong>del</strong>la progettazione <strong>del</strong>le<br />
opere, e – di conseguenza - dalle complicazioni emergenti<br />
per poter effettuare le ricerche necessarie, i cui<br />
oneri, ricadendo sulle stazioni appaltanti, potevano<br />
rappresentare per le stesse sia aggravio di costi che<br />
notevoli ritardi nella realizzazione dei progetti. Inoltre,<br />
il vacuum legislativo in materia lasciava spazio alla<br />
discrezionalità di prescrizioni da parte <strong>del</strong>le<br />
MARIA LUISA NAVA<br />
Notizie dagli Scavi<br />
- 115 -<br />
Soprintendenze, che, oltre a determinare possibili<br />
incomprensioni da parte <strong>del</strong>la committenza <strong>del</strong>l’opera,<br />
poteva altresì portare a differenti modalità di intervento<br />
da parte di funzionari e/o dirigenti, foriere anch’esse<br />
di ulteriori malintesi, a tutto discapito <strong>del</strong>la collaborazione<br />
tra Soprintendenza e Stazione Appaltante,<br />
necessaria al fine <strong>del</strong>la corretta esecuzione <strong>del</strong>le operazioni<br />
di archeologia preventiva. La redazione di specifiche<br />
norme, quindi, al di là di ogni dubbio e critica<br />
che ogni intervento legislativo può suscitare nell’applicazione<br />
pratica, ha posto ordine in un campo in cui in<br />
passato si era forse agito con eccessiva discrezionalità,<br />
permettendo una maggior chiarezza di rapporti tra gli<br />
Enti interessati e, soprattutto, consentendo alla<br />
Soprintendenza di esercitare le proprie funzioni di<br />
sorveglianza e tutela dei beni archeologici ex lege, in<br />
base ad azioni certe e preventivamente concordate in<br />
piena trasparenza e legittimità.<br />
Ciò è valso, soprattutto, per quanto ha riguardato<br />
gli interventi condotti a vario titolo dal Comune di<br />
Salerno, ai cui progetti si riferiscono in massima parte<br />
le scoperte archeologiche presentate qui di seguito: la<br />
collaborazione stabilita con i differenti Uffici<br />
<strong>del</strong>l’Amministrazione Comunale ha portato a rinvenimenti<br />
importanti per la conoscenza <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la<br />
città antica e <strong>del</strong>le modalità di occupazione <strong>del</strong>le sue<br />
aree suburbane. Se gli interventi nel centro storico,<br />
quali lo scavo di piazza Sant’Agostino, condotto da<br />
Monica Viscione, e i saggi condotti lungo corso<br />
Vittorio Emanuele, nei pressi <strong>del</strong>la Stazione<br />
Ferroviaria, seguiti da Roberta Altobello e Laura<br />
Mirabella, sono stati eseguiti in zone che – proprio per<br />
la loro collocazione nel perimetro <strong>del</strong>l’insediamento<br />
antico – palesemente costituiscono aree ad alto rischio<br />
archeologico, risultati di grande interesse si sono avuti<br />
anche in altri siti marginali alla città. La realizzazione<br />
di un parcheggio in località Ostaglio, alla periferia sud-
est di Salerno, quasi al confine con il territorio <strong>del</strong><br />
Comune di Pontecagnano, ha permesso di ritrovare<br />
una straordinaria necropoli <strong>del</strong>la facies di Palma<br />
Campania, il cui rito deposizionale conferma quanto<br />
già osservato nelle coeve sepolture di San Paolo<br />
Belsito, località Monticelli, e Sant’Abbondio di<br />
Pompei. Come evidenzia Tsao Cevoli nel lavoro qui<br />
proposto, la necropoli di Ostaglio costituisce una scoperta<br />
rilevante per la conoscenza <strong>del</strong> popolamento<br />
<strong>del</strong>l’area durante le prime fasi <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo e<br />
rappresenta un tassello importante per la definizione<br />
<strong>del</strong>le modalità insediative in un’area che, a partire dalle<br />
prime fasi <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Ferro, ospiterà il più considerevole<br />
fenomeno culturale <strong>del</strong> territorio.<br />
Contribuisce a meglio precisare il ruolo fondamentale<br />
nella strategia insediamentale antica di quest’area<br />
la serie di ritrovamenti, effettuati dall’équipe<br />
<strong>del</strong>l’Università di Salerno con Luca Cerchiai e la sua<br />
scuola, effettuati nel sito in cui è prevista la costruzione<br />
<strong>del</strong> Termovalorizzatore <strong>del</strong> <strong>Salernitano</strong>: la località<br />
Boscariello - Cupa di Siglia si colloca non distante da<br />
Ostaglio e alle pendici <strong>del</strong> Monte Vetrano e nei pressi<br />
<strong>del</strong>l’alveo <strong>del</strong> Picentino. I dati emersi dall’indagine preventiva,<br />
svolta sulla base di una convenzione tra<br />
Amministrazione Comunale di Salerno,<br />
Soprintendenza Archeologica e Università, hanno<br />
consentito di esplicitare un quadro insediamentale<br />
complesso che, completandosi con le informazioni già<br />
note, conferma l’importante funzione strategica<br />
assunta dal territorio <strong>del</strong> Picentino a partire dal<br />
Neolitico, con punte di eccellenza che si collocano già<br />
nel secondo millennio a. C., senza flessioni sino a tutta<br />
l’Età <strong>del</strong> Ferro e il periodo romano.<br />
E proprio lungo il corso <strong>del</strong> fiume Picentino, nel<br />
luogo dove ancora il Comune di Salerno sta realizzando<br />
un impianto per il compostaggio dei rifiuti, la sorveglianza<br />
archeologica, esercitata nonostante le indagini<br />
preventive non avessero dato risultati certi, ma eseguita<br />
sulla base <strong>del</strong> rapporto di fiducia e collaborazione<br />
che la Soprintendenza, proprio in virtù di un’applicazione<br />
chiara e trasparente <strong>del</strong>la normativa sull’archeologia<br />
preventiva è riuscita in questi ultimi anni a<br />
stabilire con l’Amministrazione Comunale, è stato<br />
posto in luce un tratto di acquedotto di età romana,<br />
con probabilità compromesso dai fenomeni derivanti<br />
dalle eruzioni vulcaniche <strong>del</strong> 64 e 79 d. C., qui illustrato<br />
da Daniela Pierno e Raffaella Pisapia. La scoperta<br />
appare ancora più rilevante, in quanto non solo la<br />
SALTERNUM<br />
- 116 -<br />
struttura testé individuata appare in relazione con<br />
quella già rinvenuta qualche tempo fa a Pontecagnano<br />
nel tratto <strong>del</strong> sottopasso ferroviario, ma altresì il suo<br />
andamento farebbe supporre una possibile correlazione<br />
a servizio di una grande villa, al momento in fase di<br />
esplorazione, identificata in località Torre Picentina, e<br />
<strong>del</strong>la quale attualmente sono state riconosciute più fasi<br />
costruttive, e che appare dotata altresì di un complesso<br />
apparato termale, di carattere monumentale. Anche<br />
la scoperta <strong>del</strong>l’impianto di questa villa, la cui edizione<br />
mi auguro trovi posto nel prossimo futuro su questa<br />
Rivista, si deve all’intensa attività di urbanizzazione<br />
perseguita dall’attuale Amministrazione Comunale<br />
di Salerno, il cui dinamico operato ha costretto e<br />
costringe la Soprintendenza ad una altrettanto intensa<br />
- a volte al limite <strong>del</strong> frenetico - attività di sorveglianza<br />
e prevenzione archeologica. Non sorprende, quindi,<br />
che anche la villa individuata in località Pastorano,<br />
alla periferia nord-ovest <strong>del</strong>la città, lungo la moderna<br />
viabilità che ripercorre il tracciato di un’antica direttrice<br />
di penetrazione da Nuceria ad Abellinum e Picentia,<br />
sia stata scoperta a seguito <strong>del</strong>la costruzione di un’infrastruttura<br />
(ancora un parcheggio), progettata dal<br />
Comune.<br />
Vi è da rilevare che, nella maggioranza dei casi, si è<br />
operato, in accordo con l’Ente territoriale, in modo<br />
che la presenza dei rinvenimenti archeologici venisse<br />
tutelata adeguatamente e doverosamente salvaguardata,<br />
senza per questo impedire la realizzazione <strong>del</strong>le<br />
opere progettate. Si è proceduto in questa direzione<br />
anche là dove in passato si sarebbe optato per la valorizzazione<br />
ai fini turistici dei siti, costretti oggi a compiere<br />
scelte ormai, purtroppo, obbligate dall’endemica<br />
carenza di risorse sia finanziarie che umane che caratterizza<br />
tutto il mondo dei Beni Culturali e la<br />
Soprintendenza in particolare. Infatti, insopportabili<br />
sarebbero attualmente i costi manutentivi e gestionali<br />
per conservare visibili e visitabili nuove zone e aree<br />
archeologiche, quando i mezzi a disposizione - condizionati<br />
da finanziamenti che subiscono feroci tagli<br />
annuali da oltre un decennio e dal vuoto professionale<br />
determinato dal turn over pensionistico dei dipendenti<br />
- appaiono ben inferiori anche alla corretta<br />
gestione <strong>del</strong> patrimonio già esistente.<br />
In quest’ottica assume rilevanza l’edizione di questi<br />
ritrovamenti: al di là degli strumenti di tutela doverosamente<br />
posti in essere dalla Soprintendenza, sia sul<br />
piano giuridico con l’imposizione <strong>del</strong>la notifica <strong>del</strong>l’in
teresse archeologico per le aree, che sul piano operativo,<br />
richiedendo variazioni al progetto originale che<br />
comportassero adeguate opere provvisionali a tutela<br />
<strong>del</strong>la conservazione <strong>del</strong>le testimonianze antiche, chi<br />
scrive ritiene che la pubblicazione tempestiva <strong>del</strong>le<br />
scoperte sia di estrema importanza, non solo per la<br />
conoscenza scientifica, ma soprattutto per conservarne<br />
la memoria in maniera chiara ed evidente. Solo la<br />
piena consapevolezza <strong>del</strong>le preesistenze antiche <strong>del</strong><br />
territorio può consentire di programmarne in maniera<br />
armonica lo sviluppo futuro, senza pregiudizi per la<br />
conservazione <strong>del</strong>la sua storia e dei Beni Culturali che<br />
la contraddistinguono.<br />
E’ questa la base <strong>del</strong> codice etico e la deontologia<br />
professionale che contraddistingue tutti coloro che<br />
hanno veramente a cuore il nostro patrimonio culturale,<br />
la sua conservazione e la sua conoscenza, per la<br />
cui realizzazione spesso si impegnano con abnegazione<br />
e sacrificio personale, sia che svolgano compiti istituzionali<br />
o che vi si dedichino in attività di volontariato,<br />
come gli amici <strong>del</strong> <strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong><br />
<strong>Salernitano</strong>.<br />
La Rivista è una loro pregevolissima iniziativa,<br />
dovuta esclusivamente alla loro sensibilità ed alla protervia<br />
volontà nella salvaguardia dei Beni Culturali che<br />
li caratterizza e che li accomuna a Gabriella d’Henry<br />
che, dopo un’intensa e diuturna attività sul campo, li<br />
accompagna costantemente nelle scelte operative. Per<br />
questo desidero ribadire la mia personale gratitudine a<br />
tutti quanti loro per l’opportunità che consente alla<br />
Soprintendenza di Salerno di preservare la memoria<br />
<strong>del</strong>le scoperte e di renderne edotto un vasto pubblico,<br />
coinvolgendo una platea che ben si estende oltre i<br />
confini imposti dalla letteratura strettamente specialistica.<br />
Ma la passione, la ‘malattia’ per l’Archeologia e i<br />
Beni Culturali in genere è un morbo che - fortunatamente,<br />
a mio modo di vedere - contagia anche le generazioni<br />
più giovani: la Soprintendenza non sarebbe<br />
stata in grado di compiere adeguatamente gli scavi,<br />
raggiungendo i risultati qui presentati, se gli archeologi<br />
che vi hanno operato non avessero agito con grande<br />
dedizione e spirito di sacrificio, in moltissime occasioni.<br />
E mi riferisco ai turni di scavo notturno ai quali<br />
si sono sottoposte Daniela Pierno e Raffaella Pisapia<br />
nei mesi di Novembre-Dicembre 2009 e Gennaio<br />
2010 per lo scavo <strong>del</strong>l’acquedotto nell’area <strong>del</strong><br />
Compostaggio, condotto spesso in condizioni atmo-<br />
MARIA LUISA NAVA<br />
- 117 -<br />
sferiche proibitive di un inverno inclemente anche per<br />
il Meridione; penso a Monica Viscione ed Elettra<br />
Civale, sullo scavo allagato <strong>del</strong>la villa di Pastorano, a<br />
Laura Mirabella e a Roberta Altobello, costrette nell’angusto<br />
e scomodo cunicolo <strong>del</strong>le infrastrutture di<br />
servizio di Corso Vittorio Emanuele; a Luca Cerchiai<br />
e ad Amedeo Rossi, con il loro gruppo, nelle concitate<br />
scoperte nell’area <strong>del</strong> Termovalorizzatore; ricordo<br />
tutti gli altri archeologi ed operai, al lavoro con qualsiasi<br />
tempo ed in qualsiasi condizione per condurre le<br />
esplorazioni seguendo la pressante tabella di marcia<br />
imposta dai tempi e dagli accordi pattuiti con la<br />
Committenza nelle previsioni - in alcuni casi un po’<br />
troppo ottimistiche - di chi scrive ed alle quali, con<br />
ininfluenti e marginali eccezioni, si è sempre tenuto<br />
fede, anche quando la complessità <strong>del</strong>le scoperte<br />
imponeva ritmi di lavoro febbrili per l’ultimazione<br />
degli scavi.<br />
In quest’opera non sono venuti meno i Funzionari<br />
ed i Tecnici <strong>del</strong>la Soprintendenza, animati da pari<br />
dedizione, encomiabile disinteresse ed entusiasmo,<br />
nonostante le difficoltà ingenerate dalle carenze economiche<br />
e dalle insensate strettoie imposte dalla<br />
recente miope normativa sull’espletamento dei ‘viaggi<br />
di servizio’, varata da opachi ‘burosauri’, ignari <strong>del</strong>la<br />
realtà e inconsapevoli di quanto accade oltre il finestrino<br />
<strong>del</strong>la loro ‘auto blu’. Malgrado le nuove disposizioni<br />
impediscano de facto l’utilizzo da parte dei dipendenti<br />
<strong>del</strong> mezzo proprio, non più rimborsabile, in un contesto<br />
che vede la Soprintendenza privata ormai da<br />
anni di auto di servizio, nessuno dei Tecnici e dei<br />
Funzionari è venuto meno al doveroso e dovuto controllo<br />
archeologico <strong>del</strong> territorio, pur se tale compito<br />
viene ormai espletato esclusivamente sulla base di un<br />
impegno, che grava - anche finanziariamente - in toto<br />
sul dipendente.<br />
A maggior ragione, dunque, a tutti quanti, assistenti<br />
di scavo, disegnatori, fotografi e restauratori sono<br />
particolarmente debitrice se il pur breve periodo, dal<br />
Maggio 2008 al Luglio 2010, <strong>del</strong> mio agire a capo <strong>del</strong>la<br />
Soprintendenza è stato foriero in modo speciale di<br />
ritrovamenti e scoperte di notevole importanza. A<br />
tutti coloro che mi sono stati vicini e che mi hanno<br />
offerto la loro disponibilità e collaborazione vorrei<br />
dire: è stata una bellissima stagione, amici miei, nella<br />
quale abbiamo lavorato tutti insieme, imparando a<br />
conoscerci nei nostri pregi e difetti, scambiandoci<br />
esperienze e conoscenze, ognuno facendo la propria
parte, per uno scopo univoco in pieno reciproco<br />
rispetto ed armonia. E’ stata una stagione di crescita<br />
intellettuale e personale: non dimenticatela e fate tutti<br />
quanti in modo che la metodologia di intervento e di<br />
proficua collaborazione che abbiamo stabilito insieme<br />
non resti episodio isolato, ma possa continuare, per<br />
mezzo <strong>del</strong>lo stesso vostro entusiasmo, lo stesso vostro<br />
impegno, nell’operosa serenità e con la piena soddisfazione<br />
che fino ad ora l’hanno contraddistinta. Dalla<br />
mia posizione di osservatore, ormai esterna<br />
SALTERNUM<br />
- 118 -<br />
all’Amministrazione dei Beni Culturali, ma a voi tutti<br />
idealmente vicina, mi arrogo la pretesa di assegnarvi<br />
per il futuro questo compito. Buoni scavi a tutti.<br />
Salerno, Ottobre 2010<br />
Maria Luisa Nava<br />
già Soprintendente Archeologo<br />
per le Province di Salerno,<br />
Avellino, Benevento e Caserta
ROBERTA ALTOBELLO<br />
Salerno.<br />
Lo scavo di alcune sepolture in via Vicinanza<br />
Le indagini archeologiche condotte durante i<br />
lavori di ripavimentazione e rifacimento<br />
<strong>del</strong>la rete fognaria <strong>del</strong> C.so Vittorio<br />
Emanuele in Salerno hanno permesso l’individuazione<br />
di tre nuclei di sepolture in parte obliterate dalle fondazioni<br />
dei vicini fabbricati moderni e dai relativi sottoservizi,<br />
confermando la vecchia ipotesi <strong>del</strong>l’esistenza di<br />
una grande necropoli di età romana nell’area compresa<br />
tra Piazza Vittorio Veneto e il C.so Vittorio Emanuele,<br />
ossia nell’area <strong>del</strong>la Stazione Ferroviaria (fig. 1) 1 .<br />
L’idea che in questo punto <strong>del</strong>la città si celasse un’importante<br />
necropoli prese forma già nel 1870, grazie al<br />
rinvenimento di «diverse tombe in un’area piuttosto<br />
vasta, rispondente all’attuale edificio tra C.so Vittorio<br />
Emanuele e via De Felice». 2 Nel 1948 gli scavi per la fondazione<br />
<strong>del</strong>la sede <strong>del</strong>l’Ufficio Lavori <strong>del</strong>le Ferrovie, tra<br />
la Stazione Ferroviaria e la Chiesa <strong>del</strong> Sacro Cuore, portarono<br />
alla luce 6 tombe a cassa di laterizi posteriori al<br />
79 d. C., di cui due coperte con lastre 3 .<br />
È certo comunque che le necropoli romane di<br />
Salerno, databili a partire almeno dal II sec. a. C. fino<br />
al V-VI sec. d. C., si svilupparono soprattutto sull’attuale<br />
C.so Vittorio Emanuele, non estendendosi da<br />
Occidente verso Oriente in maniera organica - come<br />
si riteneva in un primo tempo - ma sovrapposte nello<br />
stesso spazio, interessando la fascia litoranea che corrisponde<br />
appunto al Corso principale <strong>del</strong>la città 4 .<br />
La parte di necropoli rinvenuta durante gli scavi<br />
odierni era stata sigillata da uno strato di notevole<br />
spessore, costituito da terra e abbondante materiale<br />
archeologico decontestualizzato, spesso in crollo, da<br />
riferire con tutta probabilità all’alluvione che distrusse<br />
Salerno tra la fine <strong>del</strong> IV sec. d. C. e l’inizio <strong>del</strong> V sec. 5 .<br />
Oltre che dalle alterazioni antiche, tuttavia, le tombe<br />
erano state disturbate anche dagli interventi moderni<br />
di ricostruzione post-bellica, cominciati dagli anni ’50<br />
(fig. 2).<br />
- 119 -<br />
Fig. 1 - Rilievi topografici dei nuclei sepolcrali (in nero la T. 1), (scala 1:200).<br />
Fig. 2 - Foto di<br />
insieme <strong>del</strong>le<br />
sepolture.<br />
Le sepolture, profondamente stratificate e rintracciate<br />
ad una profondità compresa tra i 2 e i 3 m dall’attuale<br />
piano di calpestio, erano legate a poderose<br />
strutture murarie con orientamento NO/SE;<br />
intonacate e composte da ciottoli e tufo con legante<br />
molto compatto, queste erano state edificate su un terreno<br />
sabbioso ricco di materiale piroclastico formatosi<br />
probabilmente a seguito di una mareggiata 6 e quindi<br />
precedente alla costruzione <strong>del</strong>la necropoli; oltre a<br />
costituire una base di appoggio per le tombe stratigraficamente<br />
più antiche, ricavate direttamente nel terreno,<br />
tali murature ne rappresentavano anche la <strong>del</strong>im-
Fig. 3 - Foto di scavo <strong>del</strong>le TT. 1-2-3.<br />
Fig. 4 - Rilievo <strong>del</strong>la T. 1<br />
(scala 1:10).<br />
itazione, fungendo da recinto,<br />
mentre erano basamento<br />
per le inumazioni più tarde.<br />
Le sepolture erano tutte<br />
alterate nella parte superiore<br />
e probabilmente violate in<br />
antico (all’interno di esse<br />
non vi è traccia di corredo),<br />
ma, dall’osservazione <strong>del</strong>le<br />
sezioni <strong>del</strong>le strutture<br />
murarie e in base ai ritrovamenti,<br />
si può ritenere che<br />
fossero in origine a copertura<br />
piana: la tipologia riscontrata<br />
è quella <strong>del</strong>la cassa di<br />
laterizi rivestita all’interno di intonaco 7 . Di questa porzione<br />
di necropoli é stato inoltre possibile rilevare più<br />
fasi: informazioni utili per la cronologia, infatti, sono<br />
state fornite dalle citate strutture murarie in cui sono<br />
state realizzate le sepolture, le quali si sono impostate<br />
su livelli di molto precedenti, a loro volta coperti<br />
dall’eruzione <strong>del</strong> 79 d. C. 8 . Appare quindi evidente, da<br />
tale data, l’uso di quest’area come necropoli, la quale<br />
mostra una continuità di vita almeno fino al V sec. d. C.,<br />
periodo in cui le fonti antiche (confortate anche dai<br />
materiali rinvenuti) collocano l’alluvione che sigillò<br />
buona parte <strong>del</strong>le necropoli <strong>del</strong> C.so Vittorio<br />
Emanuele: lo strato alluvionale, di una potenza di ca.<br />
1/2 metro, fu indagato in particolar modo nel complesso<br />
palaziale longobardo di S. Pietro ‘a Corte’, dove si<br />
notò che anche dopo tale evento - i cui depositi non<br />
furono rimossi - si continuò a usare l’area come necropoli<br />
almeno fino alla metà <strong>del</strong> VII sec. d. C. 9 .<br />
La parte di necropoli di cui si tratta in questa sede<br />
è caratterizzata, come accennato, da tre nuclei di<br />
SALTERNUM<br />
- 120 -<br />
sepolture poco distanti tra loro e soprattutto in rapporto<br />
ad articolate strutture murarie, ad eccezione <strong>del</strong><br />
nucleo più settentrionale, disposto lungo un asse stradale<br />
in terra battuta interpretabile come una parte<br />
<strong>del</strong>la strada di accesso alla necropoli 10 .<br />
Il primo nucleo, quello più meridionale e più vicino<br />
al mare, è costituito da 4 sepolture: le TT. 1-2-3<br />
(figg. 1; 3-4), orientate in direzione Nord-Est/Sud-<br />
Ovest, di dimensioni medio - grandi, possono essere<br />
attribuite a individui adulti; la T. 4, più piccola, orientata<br />
in direzione E/O (fig. 1), potrebbe essere riferita<br />
a un individuo di età infantile. Le TT. 2-3-4 potrebbero<br />
essere più recenti <strong>del</strong>la T. 1, poiché sembrano essere<br />
impostate intorno a quest’ultima: non si può escludere<br />
che si tratti di inumazioni di individui legati tra<br />
loro da rapporti di parentela 11 .<br />
La tomba meglio conservata al momento <strong>del</strong>lo<br />
scavo è la T. 1: distrutta nella copertura dall’alluvione<br />
tardoantica, recava anche qualche traccia <strong>del</strong>la<br />
struttura a cassetta di laterizi. È stata messa in luce,<br />
infatti, una grande lastra in giacitura primaria decorata<br />
con un motivo a goccia (US 25) che chiudeva trasversalmente<br />
la tomba (fig. 3). Il piano di deposizione<br />
era costituito da lastre <strong>del</strong>lo stesso tipo. Del corredo<br />
non vi era traccia, e sul fondo vi erano soltanto<br />
poche ossa (figg. 4); riguardo alla tecnica edilizia utilizzata,<br />
è stato possibile accertare che i laterizi di rivestimento<br />
interno erano stati prima legati con calce ai<br />
muri di blocchetti di tufo grigio e successivamente<br />
intonacati; asportando il piano di deposizione, si è<br />
chiarito che esso copriva in parte un livello di terreno<br />
con le pomici <strong>del</strong> 79 d. C.<br />
Della T. 2, di notevoli dimensioni - posta a Ovest<br />
<strong>del</strong>la precedente, alla quale si appoggiava e con cui<br />
condivideva il medesimo orientamento - si conservava<br />
bene soltanto l’intonaco interno; pur in assenza di<br />
resti scheletrici e di corredo, si presume che dovesse<br />
ospitare un individuo adulto.<br />
La T. 3 era posta parallelamente <strong>del</strong>la T. 1, ad Est.<br />
Anche questa sepoltura, priva di copertura, può essere<br />
attribuita a un individuo di età adulta, <strong>del</strong> quale si<br />
sono conservati frammenti <strong>del</strong>lo scheletro mescolati al<br />
terreno di riempimento; il piano di deposizione era<br />
stato ricavato direttamente nello strato di sabbia marina<br />
su cui è stato impiantato tutto il nucleo sepolcrale.<br />
La T. 4, posta a Sud <strong>del</strong>la T. 1 e orientata Est/Ovest,<br />
anch’essa priva <strong>del</strong>la copertura, era la più piccola <strong>del</strong><br />
gruppo (fig. 1): potrebbe essere riferita a un individuo
di età infantile, ma all’interno non sono state trovate<br />
ossa. Lo scavo ha evidenziato che a Ovest la tomba<br />
era <strong>del</strong>imitata da un’enorme muro di recinzione <strong>del</strong><br />
nucleo di sepolture e a Est da un piccolo muro che la<br />
separava dalla T. 1. Come per la sepoltura precedente,<br />
anche per questa il piano di deposizione era stato ricavato<br />
nello strato sabbioso.<br />
Il secondo nucleo di sepolture è stato individuato<br />
a Nord <strong>del</strong>le sepolture precedenti: si tratta di 9 tombe<br />
(TT. 5-13) orientate tutte in direzione Est/Ovest e<br />
raggruppate in articolati rapporti di sovrapposizione.<br />
La T. 5, quasi totalmente distrutta dallo strato alluvionale<br />
di età tardoantica, è stata rintracciata alla profondità<br />
di ca. m 2 dove entrava in buona parte nella parete<br />
est <strong>del</strong>la trincea, caratterizzandosi per la presenza di<br />
ossa combuste, concentrate per lo più nell’angolo<br />
ovest (bustum); questa sepoltura era posta parallelamente<br />
e in posizione sopraelevata rispetto alla T. 7,<br />
caratterizzata anch’essa per il rituale <strong>del</strong> bustum.<br />
Anche la T. 6, a Ovest <strong>del</strong>la T. 5, si presentava in<br />
pessimo stato di conservazione: è stato possibile<br />
accertare soltanto che il piano di deposizione era<br />
rivestito in origine da uno strato di cocciopesto, conservatosi<br />
nell’angolo ovest 12 .<br />
La T. 7, rinvenuta alla profondità di ca. m 2,57, si<br />
inserisce stratigraficamente tra le più antiche <strong>del</strong> gruppo.<br />
Distrutta nella copertura, conservava tuttavia i<br />
resti <strong>del</strong>l’incinerato (fig. 5); il piano di deposizione era<br />
stato ricavato nello strato di sabbia che, in questo<br />
punto <strong>del</strong>la necropoli ha restituito alte percentuali di<br />
frammenti di anfore <strong>del</strong> tipo Dressel 1 databili dalla<br />
seconda metà <strong>del</strong> II alla fine <strong>del</strong> I sec. a. C.<br />
La T. 8, alla profondità di ca. m 2, era posta a<br />
Nord/Est <strong>del</strong>la T. 5. Anche in questo caso, la copertura<br />
di laterizi era stata distrutta, conservata in frammenti<br />
all’interno <strong>del</strong> riempimento insieme a porzioni<br />
dei muretti laterali in fase di crollo. Del defunto si<br />
erano conservate poche ossa <strong>del</strong>le gambe, mentre il<br />
piano di deposizione era stato approntato sopra le<br />
articolate strutture murarie di cui si è detto.<br />
La T. 9 - a Nord/Ovest <strong>del</strong>la T. 6 - era stata tagliata<br />
a Ovest dal cemento <strong>del</strong>le vecchie fognature, sotto<br />
le quali proseguiva; questa sepoltura, tuttavia, ha fornito<br />
importanti informazioni sulla tecnica costruttiva:<br />
presentava, infatti, una doppia copertura in lastre<br />
quadrangolari di laterizio con ciottoli e piccoli laterizi<br />
laterali e la copertura, sopra i lastroni, era stata sigillata<br />
con uno spesso strato di calce. Il riempimento era<br />
ROBERTA ALTOBELLO<br />
- 121 -<br />
caratterizzato da terra infiltrata, cemento <strong>del</strong>la fognatura<br />
e da poche ossa probabilmente da riferire al<br />
defunto. Anche il piano di deposizione era costituito<br />
da lastroni di laterizio: è stato recuperato un frammento<br />
con impresso un bollo a forma di croce, evidente<br />
allusione all’adesione al culto cristiano.<br />
A Nord/Ovest <strong>del</strong>la T. 8, alla profondità di ca. m<br />
2,40, si è evidenziata un’altra sepoltura orientata<br />
Nord-Ovest/Sud-Est, la T. 10, caratterizzata da una<br />
copertura piana costituita da lastre di laterizio in condizioni<br />
discrete: la parte risparmiata <strong>del</strong>la copertura<br />
misurava cm 95 di lunghezza x cm 60 di larghezza,<br />
con uno spessore variabile, compreso tra i 3 e i 6 cm;<br />
la fossa, lunga m 2,17, ospitava probabilmente un<br />
individuo di età adulta. Il riempimento si presentava<br />
caoticamente accumulato, mentre il piano di deposizione,<br />
composto da una sola tegola decorata con<br />
motivo ondulato o a goccia, presumibilmente alla base<br />
<strong>del</strong>la testa <strong>del</strong> defunto, era in buone condizioni.<br />
La T. 11, parallela alla precedente, con lo stesso<br />
orientamento e stessa profondità dal piano <strong>del</strong>la pavimentazione,<br />
era stata tagliata in piccola parte a Nord-<br />
Ovest dalla fognatura. La copertura in tegole non era<br />
integra, eccetto lungo il lato nord, e il riempimento ha<br />
restituito numerosi ciottoli e grumi calcarei, oltre a<br />
piccoli frammenti di ossa e tegole. Durante lo scavo si<br />
è evidenziato che i muri <strong>del</strong>la tomba si appoggiavano<br />
su altri due muri pertinenti a una sepoltura sottostante,<br />
più antica (T. 13), la cui tecnica edilizia era la medesima,<br />
con impiego di laterizi, tufo e ciottoli calcarei:<br />
l’intonaco si presentava in cattivo stato di conservazione,<br />
il tufo caratterizzava soprattutto la base dei<br />
muretti, mentre laterizi e pietre erano stati impiegati<br />
nella parte alta.<br />
Immediatamente a Ovest <strong>del</strong>la T. 10, un’altra - T.<br />
12 - entrava per la maggior parte nella parete est <strong>del</strong>la<br />
trincea. Di questa sepoltura, indagata solo in parte,<br />
erano visibili due tegole pertinenti alla copertura; tutta<br />
la restante parte a Ovest era stata distrutta e parzialmente<br />
nascosta dalla struttura fognaria.<br />
L’ultima sepoltura, la T. 13, tra le più antiche <strong>del</strong><br />
nucleo in esame, si è rivelata importante perché rappresenta<br />
il terzo caso di incinerazione diretta rintracciato<br />
in questa necropoli: il bustum, alla profondità di<br />
m 2,85, si era conservato perché coperto dai frammenti<br />
<strong>del</strong>le lastre di copertura crollate all’interno <strong>del</strong>la<br />
tomba. La sepoltura è interessante anche perché attesta<br />
l’uso intensivo <strong>del</strong>la necropoli, in quanto - come si
è visto - le si è sovrapposta in una fase successiva la T.<br />
11: si ha quindi una prova concreta <strong>del</strong> riutilizzo di<br />
questa necropoli anche in fasi successive, come già<br />
evidenziato dal Fiorelli alla fine <strong>del</strong>l’800 per le altre<br />
necropoli <strong>del</strong> C.so Vittorio Emanuele.<br />
Il terzo nucleo di sepolture individuate, nella parte<br />
settentrionale <strong>del</strong>l’area di scavo, era costituito da 3<br />
tombe disposte ai lati <strong>del</strong>la strada battuta: le TT. 14-15<br />
in prossimità <strong>del</strong>la parete occidentale <strong>del</strong>la trincea e<br />
un’altra tomba, non scavata, affiorante dall’altro lato,<br />
lungo la parete orientale (fig. 1).<br />
Le TT. 14-15, alla profondità di ca. m 2,80, erano<br />
affiancate, ma con diverso orientamento: la prima (T.<br />
14), orientata Est/Ovest, proseguiva nella parete occidentale<br />
<strong>del</strong>la trincea, la seconda (T. 15), appoggiata alla<br />
prima, orientata Nord-Est/Sud-Ovest, è stata distrutta<br />
prima dall’alluvione tardoantica, poi, in tempi<br />
recenti, dalla fognatura. Durante lo scavo è stato possibile<br />
evidenziare soltanto che la T. 14 aveva il piano di<br />
deposizione rivestito di intonaco, mentre quello <strong>del</strong>la<br />
T. 15 era stato ricavato sulla strada battuta.<br />
I tre nuclei di sepolture, anche se sconvolti dall’alluvione<br />
di IV-V sec. d. C. e dai lavori per la messa in<br />
opera <strong>del</strong>la prima rete fognaria cittadina, hanno consentito<br />
il recupero di importanti testimonianze riguardo<br />
alla frequentazione di quest’area in epoca antica: la<br />
presenza <strong>del</strong>le Dressel 1, anfore vinarie tipiche<br />
<strong>del</strong>l’Italia tardo-repubblicana diffuse dal II sec. a. C. 13 ,<br />
Fig. 5 - Foto di scavo <strong>del</strong>la T. 7 (bustum).<br />
SALTERNUM<br />
- 122 -<br />
attesta infatti che nel luogo in cui è sorta la necropoli<br />
si svolgevano attività legate al commercio <strong>del</strong> vino 14 .<br />
La necropoli sembra essersi sviluppata soltanto<br />
dopo l’avvenimento catastrofico <strong>del</strong>l’eruzione <strong>del</strong> 79<br />
d. C., le cui pomici sono state trovate depositate negli<br />
strati su cui furono realizzate le sepolture.<br />
Altra importante indicazione cronologica è fornita<br />
dalle TT. 5, 7 e 13, le quali attestano il rituale <strong>del</strong> bustum,<br />
che prevedeva la cremazione diretta nella fossa o<br />
sopra una pira, ma nei casi qui riscontrati, molto probabilmente,<br />
il defunto era stato cremato nella fossa,<br />
poiché non è stata trovata traccia dei resti <strong>del</strong>la pira. A<br />
differenza degli ustrina, dai quali le ceneri erano in<br />
seguito spostate e rinchiuse nell’urna, i busta erano luoghi<br />
destinati ad un unico rogo, con la conservazione in<br />
situ dei resti <strong>del</strong> cremato. 15 Il rituale <strong>del</strong>l’incinerazione<br />
diretta collocherebbe le 3 tombe alla metà circa <strong>del</strong> II<br />
secolo d. C., caratterizzandole come pagane. Le altre,<br />
specialmente quelle in evidente stato di sovrapposizione,<br />
sono databili dal III sec. d. C. Un altro elemento<br />
che fa ipotizzare lo sviluppo <strong>del</strong>la necropoli tra il I sec.<br />
d. C. ed il III sec. d. C. è il recupero di materiale pertinente<br />
ai corredi funebri distrutti dall’alluvione tardoantica:<br />
oltre a numerosi chiodi apotropaici di ferro,<br />
infatti, erano presenti anche frammenti di brocchette<br />
acrome, di lucerne e di unguentari in vetro sottile,<br />
databili appunto dal I al III sec. d. C. 16 .<br />
Il dato più interessante, in grado di testimoniare<br />
che la necropoli fu attiva anche dopo l’alluvione di<br />
fine IV - inizio V sec. d. C., è offerto tuttavia da tre<br />
iscrizioni funerarie frammentarie in lingua latina, rinvenute<br />
all’interno di una stratificazione molto perturbata<br />
17 , ma assegnabili, in base ad elementi datanti<br />
intrinseci contenuti in una di esse e ai caratteri paleografici<br />
e alla tecnica di incisione, al VI sec. d. C. 18 .
Note<br />
1 Le indagini hanno interessato l’area <strong>del</strong> C.so<br />
Vittorio Emanuele a partire da P.za Vittorio<br />
Veneto fino alla via Giacinto Vicinanza:<br />
sotto questa strada, esplorata con una trincea<br />
orientata N/S, lunga ca. 50 m e larga 3, è<br />
stato possibile indagare 15 sepolture e rintracciarne<br />
altre che proseguivano nelle<br />
sezioni (le pareti <strong>del</strong>la trincea non sono state<br />
ampliate oltre i m 3 di larghezza per ragioni<br />
di sicurezza).<br />
2 NSc 1883, p. 254; ROMITO 1996, p. 109;<br />
cfr. inoltre AVAGLIANO 1985, pp. 38-39;<br />
PANEBIANCO 1945, pp. 3-38.<br />
3 La datazione posteriore al 79 d. C. fu suggerita<br />
da una <strong>del</strong>le lastre di copertura che<br />
presentava un’iscrizione di un restauro<br />
voluto da Vespasiano o Tito (SESTIERI<br />
1949, pp. 101-105; SESTIERI 1950, p. 312;<br />
BRACCO 1981, pp. 11-12, n. 6).<br />
4 Fino a questo momento le aree più conosciute<br />
erano quelle corrispondenti agli<br />
attuali Palazzi <strong>del</strong>la Banca d’Italia e di<br />
Giustizia, che hanno restituito materiali<br />
compresi tra II-I sec. a. C. e V-VI sec. d. C.<br />
(ROMITO 1996, p. 73).<br />
5 Un’importante iscrizione - rinvenuta in<br />
Piazza Abate Conforti nel 1737 - datata alla<br />
fine <strong>del</strong> IV-inizi V sec. d. C. ricorda il patronus<br />
di Salerno Arrio Mecio Gracco, che<br />
ROBERTA ALTOBELLO<br />
riportò la città allo splendore dopo una<br />
catastrofica alluvione. In proposito cfr.<br />
STAIBANO 1875, p. 167; BRACCO 1979, p.<br />
122; BRACCO 1981, pp. 7-10, n. 8; VARONE<br />
1982, p. 28; ROMITO 1996, p. 10 e, da ultima,<br />
LAMBERT 2010a , pp. 70-74.<br />
6Questo strato inglobava conchiglie e materiale<br />
ceramico caratterizzato da concrezioni<br />
marine, in particolare numerosissimi frammenti<br />
di anfore Dressel 1.<br />
7Per la profonda stratificazione <strong>del</strong>le necropoli<br />
sul C.so Vittorio Emanuele e la loro<br />
sovrapposizione e tipologia cfr. FIORELLI<br />
1879, pp. 190-191; ROMITO 1996, p. 96.<br />
8 Per l’eruzione <strong>del</strong> 79 d. C. a Salerno cfr.<br />
ROMITO 1996, pp. 119-120.<br />
9 Per l’alluvione di epoca tardo-romana<br />
ROMITO, 1996, pp. 120-123. Cfr. anche<br />
ROMITO 1993 e CIFELLI 1991.<br />
10 Questo asse viario in terra battuta proveniva<br />
dall’area occupata oggi dal C.so<br />
Vittorio Emanuele e proseguiva in<br />
direzione <strong>del</strong>la linea di costa verso la Via G.<br />
Vicinanza. Rintracciato alla profondità di<br />
ca. m 3, aveva al di sotto una preparazione<br />
di terra, ciottoli e laterizi poggianti sullo<br />
strato sabbioso sul quale si è sviluppata<br />
tutta la necropoli.<br />
- 123 -<br />
11 Tale ipotesi è suggerita dal muro di recinzione<br />
a Sud <strong>del</strong>la T. 1 (fig. 4).<br />
12 Il cocciopesto, a quanto sembra, rivestiva<br />
le enormi strutture murarie di appoggio e di<br />
base <strong>del</strong>le sepolture.<br />
13 ZEVI 1966, p. 222; PANELLA 1973, pp.<br />
497-504; ROMITO 1988, pp. 127-128; 153-<br />
154.<br />
14 Per il quartiere artigianale localizzato sul<br />
C.so Vittorio Emanuele presso la Scuola G.<br />
Vicinanza cfr. ROMITO 1996, pp. 52-53.<br />
15 Per i rituali degli Ustrina e dei Busta cfr.<br />
FESTO, Epitome, 32.4.<br />
16 Per i materiali di I-III sec. d. C. cfr.<br />
AVAGLIANO 1985, p. 39 e ROMITO 1996, pp.<br />
98-102, p. 166.<br />
17 Le iscrizioni si trovavano in giacitura<br />
secondaria tra lo strato alluvionale tardoantico<br />
e i soprastanti livelli di riempimento<br />
sconvolti dagli interventi antropici moderni.<br />
18 Per una prima illustrazione di tali reperti<br />
epigrafici cfr. il contributo di C. Lambert in<br />
questo stesso numero di “Salternum”<br />
(LAMBERT 2010 b ).
Bibliografia<br />
AVAGLIANO G. 1985, Impianto urbano e testimonianze<br />
archeologiche, in Guida alla storia di<br />
Salerno e <strong>del</strong>la sua Provincia, a cura di A.<br />
LEONE - G. VITOLO, Salerno, pp. 38-39.<br />
BRACCO V. 1979, Salerno romana, Salerno.<br />
BRACCO V. 1981, Inscriptiones Italiae,<br />
Volumen I, Regio I: Salernum, Roma.<br />
CIFELLI F. 1991, I prodotti piroclastici <strong>del</strong> 79 d.<br />
C. negli scavi archeologici di San Leonardo (SA),<br />
in “Apollo”, VIII, pp. 38-39.<br />
FIORELLI G. 1879, in “NSc”, pp. 190-191.<br />
LAMBERT C. 2010a , Pagine di pietra. Manuale<br />
di epigrafia latino-campana tardoantica e medievale.<br />
Seconda edizione riveduta ed ampliata (20041) ,<br />
Manocalzati (AV).<br />
LAMBERT C. 2010b , Salerno. Le iscrizioni tardoantiche<br />
dalla necropoli di via Vicinanza, in<br />
“Salternum”, XIV, 24-25, pp. 125-128.<br />
SALTERNUM<br />
MOMMSEN Th. 1883, C I L, X, Berlin.<br />
PANEBIANCO V. 1945, La Colonia Romana di<br />
Salernum, in “Rassegna Storica<br />
Salernitana”, VI, pp. 3-38.<br />
PANELLA C. 1973, Appunti su un gruppo di<br />
anfore <strong>del</strong>la prima, media e tarda età imperiale<br />
(secoli I-V d. Cr.), in “Studi Miscellanei”, 21,<br />
Ostia III, Roma, pp. 497-504.<br />
ROMITO M. 1988, I materiali <strong>del</strong>l’Antiquarium<br />
di Minori, in “Apollo”, VI, pp. 127-154.<br />
ROMITO M. 1993, Tracce di alluvioni a Salerno<br />
dal tardo-antico all’inizio <strong>del</strong> basso Medioevo, in<br />
L’evoluzione <strong>del</strong>l’ambiente fisico nel periodo storico<br />
nell’area circum-mediterranea, in Atti <strong>del</strong><br />
Seminario Internazionale, Ravello, pp. 127-<br />
154.<br />
ROMITO M. 1996, I reperti di età romana da<br />
Salerno nel Museo <strong>Archeologico</strong> Provinciale <strong>del</strong>la<br />
città, Napoli.<br />
- 124 -<br />
SESTIERI P. C. 1949, Salerno. Scoperta di tombe<br />
romane, in “Notiziario di scavi”, pp. 101-<br />
105.<br />
SESTIERI P. C. 1950, Salernum, Salerno<br />
(Campania), in ”FA”, III, n. 3376, p. 312.<br />
STAIBANO L. 1875, La Salerno epigrafica o<br />
Raccolta <strong>del</strong>le iscrizioni salernitane, Salerno.<br />
VARONE A. 1982, Fonti storiche e documenti epigrafici,<br />
in Guida alla storia di Salerno e <strong>del</strong>la sua<br />
provincia, a cura di A. LEONE - G. VITOLO,<br />
III voll., Salerno, pp. 3-31.<br />
ZEVI F. 1966, Appunti sulle anfore romane, in<br />
“Archeologia Classica”, XVIII, 2, pp. 208-<br />
250.
Dallo scavo <strong>del</strong>la necropoli di Via<br />
Vicinanza 1 provengono tre iscrizioni<br />
funerarie frammentarie in lingua latina,<br />
assegnabili - in base ad elementi datanti intrinseci contenuti<br />
in una di esse, ai caratteri paleografici ed alla<br />
tecnica di incisione - al VI sec. d. C.<br />
La prima (fig. 1), di cui si è conservata circa la metà<br />
a partire dal marginale superiore sinistro (l. 15 cm; h<br />
21,5 cm; sp. 3,5 cm), consta di 8 righi di scrittura eseguita<br />
con la tecnica <strong>del</strong> solco ‘a cordone’ 2 su di un supporto,<br />
polito, di marmo bianco; lo stato di conservazione<br />
è discreto e la scrittura superstite ben leggibile.<br />
Il testo, in caratteri di tipo capitale, è impaginato in<br />
verticale con discreta cura e presenta un ductus abbastanza<br />
regolare, pur in assenza di linee guida; in apertura<br />
presenta una ‘crux monogrammatica’ 3 e la formula<br />
locativo-obituaria «hic requiescit in pace», facilmente<br />
integrabile malgrado le lacune, che ne attesta inequivocabilmente<br />
la natura funeraria 4 :<br />
† HI[c] [requiescit]<br />
IN PA[ce] [……]<br />
3. BETE . […]<br />
QVI . VIX[it]<br />
ANNIS LX [.?] [depositio]<br />
6. EIVS . V . IDV[s] […]<br />
a. DVODEC[im] [p(ost) c(onsulatum)] [Ba]/<br />
b. DVODEC [ima] [ind (ictione)] […][p(ost)<br />
c(onsulatum)] [Ba]/<br />
SILI V[(iri) C(larissimi)].<br />
Il titulus appartiene ad un individuo di sesso maschile,<br />
anonimo per lacuna <strong>del</strong> testo 5 , deceduto all’età di 60<br />
anni o più, deposto a cinque giorni dalle Idi di un mese<br />
imprecisabile. Un aggettivo numerale in parte frammentario<br />
- il ‘dodicesimo’ - potrebbe riferirsi all’anno<br />
<strong>del</strong> postconsolato di Basilio (proposta ‘a.’) - ultimo magistrato<br />
romano ad essere insignito di tale carica - in base<br />
CHIARA LAMBERT<br />
Salerno.<br />
Le iscrizioni tardoantiche dalla necropoli di via Vicinanza<br />
- 125 -<br />
al quale l’epigrafe<br />
si daterebbe al<br />
5536 . Se invece si<br />
accoglie lo scioglimento<br />
che prevede<br />
un riferimento<br />
indizionale successivo<br />
al consolato<br />
di Basilio<br />
(proposta ‘b.’), l’iscrizione<br />
può<br />
essere assegnata<br />
ad una <strong>del</strong>le quattro<br />
date <strong>del</strong> secolo<br />
VI che cadono<br />
nella dodicesima<br />
indizione: 549;<br />
564; 579; 5947 Fig. 1.<br />
.<br />
La seconda epigrafe (fig. 2) è un piccolo frammento<br />
interno di forma quadrangolare irregolare (l. 12,7<br />
cm; h 9,5 cm; sp. 2 cm), su un supporto, polito, di<br />
marmo bianco con leggere venature grigie. Del testo<br />
si sono conservati solo 4 righi in scrittura di tipo capitale,<br />
di cui leggibili solo i 2 centrali, eseguiti con la tecnica<br />
<strong>del</strong> solco ‘a cordone’:<br />
[...]<br />
[...][depositus/a] EST SUB [die ...]<br />
3. [Depo]SITIO (?) [...]<br />
[d]IE T(?)[ertio …].<br />
Lo stato di conservazione non consente di valutare<br />
la disposizione <strong>del</strong> testo, i cui elementi superstiti<br />
paiono poco curati e dal ductus piuttosto irregolare,<br />
anche per assenza di linee guida. La natura funeraria<br />
si evince dalla formula «depositus/a sub die …», facilmente<br />
integrabile malgrado le lacune. In base all’ite-
azione <strong>del</strong> concetto<br />
di deposizione<br />
mediante il<br />
t e r m i n e<br />
«[depo]sitio» - quale<br />
pare doversi leggere<br />
al r. 3 - non si<br />
può escludere l’eventualità<br />
che,<br />
malgrado le<br />
modeste dimensioni<br />
<strong>del</strong> titulus, si tratti di un’iscrizione a ricordo di<br />
una inumazione duplice 8 . I caratteri paleografici<br />
orientano verso una datazione nell’ambito <strong>del</strong> VI sec.<br />
d. C.<br />
Il terzo reperto (fig. 3) è un piccolo frammento<br />
interno di forma quadrangolare irregolare (l. 16,5 cm;<br />
h 12,5 cm; sp. 2,5-3 cm) con parte <strong>del</strong> marginale inferiore,<br />
di cui si sono conservati solo 2 righi di scrittura<br />
in caratteri di tipo capitale, eseguiti con la tecnica <strong>del</strong><br />
solco ‘a cordone’:<br />
Fig. 2.<br />
[depositio …] ( ?)<br />
[...]E II IVN (?) [qui/quae vixit]<br />
[in]PACE A[nnos…menses…dies...].<br />
Il supporto, polito, è in marmo bianco con ampie<br />
venature violacee. Lo stato di conservazione non consente<br />
di valutare la disposizione <strong>del</strong> testo, i cui elementi<br />
superstiti paiono poco curati e dal ductus piuttosto<br />
irregolare, anche per assenza di linee guida.<br />
La natura funeraria si evince dall’espressione<br />
«[in]pace», qui utilizzata verosimilmente in associazione al<br />
verbo «vixit», a<br />
precedere i dati<br />
biometrici <strong>del</strong><br />
defunto/a. I<br />
caratteri paleografici<br />
orientano,<br />
anche in questo<br />
caso, verso una<br />
datazione nell’ambito<br />
<strong>del</strong> VI<br />
Fig. 3.<br />
sec. d. C.<br />
I tre manufatti<br />
esaminati, malgrado l’esiguità <strong>del</strong>le porzioni conservate,<br />
rivestono tuttavia un duplice significato storico-archeologico.<br />
La loro presenza, come già da altri<br />
SALTERNUM<br />
- 126 -<br />
osservato 9 , documenta una continuità d’uso <strong>del</strong>la<br />
necropoli - o almeno di questo specifico settore - fino<br />
alla metà <strong>del</strong> VI secolo d. C.; d’altro canto le piccole<br />
dimensioni che le epigrafi dovevano avere anche<br />
quando integre ed il modesto livello esecutivo inducono<br />
ad alcune osservazioni che investono alcuni aspetti<br />
<strong>del</strong>la cultura materiale tardoantica. Dal punto di<br />
vista tecnico esse risultano infatti ben distanti dalla<br />
riproduzione dei mo<strong>del</strong>li di età classica, la cui qualità<br />
generalmente elevata anche in città minori, per quanto<br />
frutto di una ripetitività seriale, era comunque indice<br />
<strong>del</strong> dinamismo indotto da una domanda/offerta<br />
vivace. Ne fa fede, anche nella Salernum romana, il pur<br />
esiguo patrimonio conservato presso il lapidario <strong>del</strong><br />
locale Museo <strong>Archeologico</strong> Provinciale e documentato<br />
nelle raccolte <strong>del</strong> Corpus Inscriptionum Latinarum e<br />
<strong>del</strong>le Inscriptiones Italiae, che annoverano oltre un centinaio<br />
di tituli di età compresa prevalentemente tra il I<br />
ed il III sec. d. C. 10 .<br />
I reperti di via Vicinanza risultano frutto di una<br />
pratica artigianale esercitata da personale ormai disabituato<br />
ad una produzione quantitativamente e qualitativamente<br />
significativa, che giustificava - nel passato - il<br />
mantenimento di abilità tecniche maggiori, quali la<br />
padronanza <strong>del</strong>la tecnica epigrafica, tipicamente classica,<br />
<strong>del</strong>l’incisione ‘a solco triangolare’. Qui l’adozione<br />
<strong>del</strong> solco ‘a cordone’ – più rapida da eseguire, ma<br />
dagli esiti più irregolari e, complessivamente, di leggibilità<br />
inferiore - pare la risposta alle esigenze di una<br />
committenza dalle ridotte capacità di spesa, per quanto<br />
consapevole <strong>del</strong> potenziale memorativo rivestito<br />
dal testo, anche di contenuto cristiano, affidato alla<br />
scrittura lapidea e dunque non priva di un’acculturazione<br />
in questo senso tradizionale, più che non la<br />
risultante di una precisa volontà di cambiamento, che<br />
andrebbe ad inserirsi nel generale mutamento di gusto<br />
e di modalità espressive propri <strong>del</strong>l’età tardoantica.<br />
L’eterogeneità <strong>del</strong>la produzione salernitana finora<br />
documentata - che stando ai rinvenimenti di età contemporanea<br />
ed alle notizie pregresse è comunque<br />
numericamente limitata 11 - lascerebbe propendere per<br />
un calo nella richiesta/offerta di questo genere di<br />
manufatti e la riduzione <strong>del</strong>l’attività <strong>del</strong>le botteghe<br />
specializzate. Entro tale quadro - che ben si accorda<br />
con un momento di crisi conseguente al cospicuo<br />
evento alluvionale che i recenti ritrovamenti confermano<br />
aver interessato gran parte <strong>del</strong>l’area urbanizzata<br />
e l’immediato suburbio, con le relative zone adibite a
necropoli – si evidenzia il carattere di assoluta eccezionalità<br />
<strong>del</strong>l’area funeraria annessa al sacello paleocristiano<br />
costruito, all’indomani <strong>del</strong>l’alluvione, riadattando<br />
parte <strong>del</strong>le strutture <strong>del</strong>le terme romane (I –II sec. d.<br />
C.) <strong>del</strong> complesso monumentale oggi noto sotto la<br />
denominazione, di origine longobarda, di S. Pietro ‘a<br />
Corte’ 12 . Qui infatti gli 11 tituli sepolcrali superstiti,<br />
Note<br />
CHIARA LAMBERT<br />
- 127 -<br />
distribuiti nel tempo tra la fine <strong>del</strong> V e la prima metà<br />
<strong>del</strong> VII secolo d. C. 13 , denotano un livello esecutivo<br />
discretamente elevato, per il quale si deve pensare alla<br />
persistenza in città di una o più botteghe in grado di<br />
soddisfare le esigenze di quella élite socio-economica<br />
che poteva ancora fregiarsi <strong>del</strong>l’appartenenza alla<br />
compagine statale romana 14 , senza doversi escludere,<br />
peraltro, l’eventuale ricorso a maestranze attive in altre<br />
realtà urbane 15 .<br />
Devo l’autorizzazione a studiare le epigrafi in oggetto e a pubblicarne in questa sede una notizia preliminare alla cortesia <strong>del</strong>la dott.ssa M.<br />
L. Nava, già Soprintendente Archeologo <strong>del</strong>la Soprintendenza ai Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, che qui<br />
ringrazio; un’analisi di maggior dettaglio verrà loro riservata in seguito e verranno inserite nel Corpus <strong>del</strong>le ICI di Salernum e zone limitrofe,<br />
in corso di redazione da parte di chi scrive.<br />
1 Per i dati archeologici relativi allo scavo di<br />
via Vicinanza, cfr. il contributo di R.<br />
Altobello in questo stesso numero di<br />
“Salternum” (ALTOBELLO 2010). Le tre epigrafi<br />
- già segnalate in NAVA cds - sono<br />
state oggetto di verifica autoptica e di schedatura<br />
grafica e fotografica da parte di chi<br />
scrive in data 01/07/2010 presso il<br />
Laboratorio di Restauro <strong>del</strong>la sede salernitana<br />
<strong>del</strong>la Soprintendenza ai Beni<br />
Archeologici di SA - AV - BN - CE. Si ringrazia<br />
il personale tecnico per la cortese<br />
disponibilità, in part. il sig. A. Giannattasio.<br />
2 Il solco epigrafico, determinato <strong>del</strong>la<br />
sezione e dall’inclinazione data allo scalpello,<br />
viene definito rispettivamente ‘triangolare’,<br />
‘a cordone’, o ‘piatto’. La tecnica di<br />
esecuzione a solco triangolare, la più comune<br />
fino alle soglie <strong>del</strong>la tarda antichità, conferisce<br />
alle lettere un effetto chiaroscurale<br />
più o meno pronunciato, che rende il testo<br />
di agevole lettura e visibile anche a notevole<br />
distanza. Il solco detto ‘a cordone’ - praticato<br />
principalmente in età repubblicana e,<br />
nuovamente, in età tardoantica - determina<br />
invece un effetto di minor profondità; l’irregolarità<br />
dei tratti che gli sono propri veniva<br />
talora compensata dalla rubricatura, una<br />
campitura di colore ottenuta mediante un<br />
impasto di pigmenti naturali e di sostanze<br />
cerose (LAMBERT 2010, Glossario, pp. 193-<br />
208)<br />
3 La ‘crux monogrammatica’ o ‘staurogramma’<br />
è un simbolo <strong>del</strong>la croce con il braccio<br />
verticale occhiellato, a formare un ‘rho’<br />
greco; esso costituisce una semplificazione,<br />
generalmente più tarda, <strong>del</strong> chrismòn, noto<br />
anche come ‘monogramma costantiniano’,<br />
che risulta dall’incrocio <strong>del</strong>le prime due lettere<br />
<strong>del</strong> nome <strong>del</strong> Cristo in greco (chi e rho);<br />
anche il lettore di sola lingua latina poteva<br />
interpretare in chiave cristiana il simbolo,<br />
che si prestava ad essere sciolto come ‘pax’<br />
(FELLE 2000; LAMBERT 2010, Glossario, pp.<br />
197; 206).<br />
4 Del testo – come pure dei due seguenti - si<br />
fornisce un’edizione con lo scioglimento<br />
<strong>del</strong>le abbreviazioni e le integrazioni ritenute<br />
plausibili in base alla ripetitività <strong>del</strong> formulario<br />
epigrafico, ben noto sulla base di<br />
migliaia di esemplari pervenuti integri (sull’argomento<br />
cfr. LAMBERT 2010, pp. 57-59;<br />
98-100); per ragioni di semplificazione tipografica<br />
vengono altresì restituite alcune lettere<br />
solo parzialmente visibili, ma di sicura<br />
interpretazione.<br />
5 Dell’antroponimo rimangono solo 4 lettere,<br />
che possono essere sia centrali - ammettendo<br />
che il cognomen iniziasse già al 2°rigo e che<br />
continuasse dopo la parte conservata -, sia<br />
finali - nel caso in cui, iniziato comunque al<br />
2° rigo, esso terminasse con le lettere superstiti,<br />
seguite poi da un’apposizione <strong>del</strong> tipo<br />
[B(onae) M(emoriae)], che colmerebbe lo spazio<br />
libero fino al margine destro. Per il dato<br />
onomastico, per il quale non si sono trovati<br />
al momento elementi di confronto, almeno<br />
nell’area campana, non si suggerisce alcuna<br />
integrazione; va tuttavia sottolineata la notevole<br />
varietà e la bassissima ripetitività dei<br />
cognomina attestati epigraficamente per tutto il<br />
periodo tardoantico (per la Campania, cfr.<br />
LAMBERT 2008, pp. 115-126).<br />
6 Si tratterebbe qui di un’eccezione – attestata,<br />
per quanto raramente, anche in altri casi
- poiché di norma l’anno <strong>del</strong> postconsolato<br />
viene espresso in cifra numerica e non in<br />
forma letteraria (cfr. ILCV, Indices, Consules,<br />
ceteraeque annorum mensum Indices, Consules,<br />
ceteraeque annorum mensum (…), pp. 222-224).<br />
7 Cfr. CAPPELLI 1998 (1906¹), pp. 300-303;<br />
ILCV, Indices, Indictiones, pp. 282-291. In tal<br />
caso si riterrebbe preferibile una <strong>del</strong>le date<br />
più antiche, poiché in progresso di tempo<br />
venne rispettato con maggiore rigore il<br />
provvedimento legislativo di Giustiniano<br />
<strong>del</strong> 537 d. C. (Corpus Iuris Civilis, III, nov. 47<br />
- 31 Agosto 537), che imponeva di introdurre<br />
nelle iscrizioni ufficiali, oltre all’eponimato<br />
consolare e all’indizione, anche il<br />
riferimento all’anno <strong>del</strong> regno <strong>del</strong>l’imperatore<br />
in carica, accompagnato dalla formula<br />
IMP(erante) D(omino) N(ostro) [nome]<br />
P(er)P(etuo) AUG(usto) [anno]. Per analoga<br />
ragione si escluderebbero anche le prime<br />
date utili <strong>del</strong> VII secolo (609; 624; 639), che<br />
cadrebbero inoltre in un periodo di ‘vuoto<br />
Bibliografia<br />
Corpora<br />
CIL 1863 ss., Corpus Inscriptionum<br />
Latinarum, Berolini.<br />
ICI 1985 ss., Inscriptiones Christianae<br />
Italiae septimo saeculo antiquiores, Bari.<br />
II 1931 ss., Inscriptiones Italiae, Roma.<br />
ILCV 1970³; 1967, Inscriptiones Latinae<br />
Christianae Veteres, ed. E. DIEHL, voll. I-<br />
III, Dublin – Zürich; vol. IV,<br />
Supplementum, edd. J. MOREAU – H.I.<br />
MARROU, Ibidem.<br />
* * *<br />
SALTERNUM<br />
epigrafico’ quasi assoluto, entro il quale<br />
un’eccezione è rappresentata da due tituli da<br />
S. Pietro a Corte in Salerno, rispettivamente<br />
<strong>del</strong> 629 e <strong>del</strong> 623/638, una <strong>del</strong>le quali<br />
reca tuttavia il citato riferimento all’imperatore<br />
in carica, l’altra è lacunosa (LAMBERT<br />
2008, p. 37, n. 51).<br />
8 Per l’area campana, si vedano, a titolo di<br />
esempio, l’iscrizione beneventana di<br />
Cerviolus, datata al 527 (FELLE 1993, pp. 37-<br />
38, n. 7; LAMBERT 2010, pp. 44-45), e due<br />
esemplari eclanesi (FELLE 1993, pp. 91-92,<br />
n. 33, con le due deposizioni datate rispettivamente<br />
al 437 e al 441; ID., pp. 113-115, n.<br />
53, <strong>del</strong> 529), tutte comunque di dimensioni<br />
maggiori di quanto si possa ricostruire per<br />
il frammento salernitano in oggetto.<br />
9 ALTOBELLO 2010.<br />
10 CIL IX, Regio II, Salernum; BRACCO 1981<br />
(I.I., Salternum), pp. 1-65, nn. 1-116.<br />
11 LAMBERT 2008, pp. 21-22.<br />
12 Circa il complesso di S. Pietro ‘a Corte’,<br />
ALTOBELLO R. 2010, Salerno. Lo scavo di alcune<br />
sepolture in Via Vicinanza, in “Salternum”,<br />
XIV, 24-25, pp. 119-124.<br />
BRACCO V. 1981 (a cura di), Inscriptiones<br />
Italiae, Volumen I, Regio I: Salernum,<br />
Roma.<br />
CAPPELLI A. 1998 (1906¹), Cronologia, cronografia<br />
e calendario perpetuo dal principio <strong>del</strong>l’era<br />
cristiana ai nostri giorni, Milano.<br />
FELLE A. E. 1993 (a cura di), Regio II –<br />
Hirpini, Inscriptiones christianae Italiae<br />
septimo saeculo antiquiores (ICI), Bari.<br />
FELLE A. E. 2000, s.v. Croce (Crocifissione), in<br />
Temi di iconografia paleocristiana, a cura di F.<br />
- 128 -<br />
cfr. i rimandi bibliografici in LAMBERT 2008,<br />
p. 21, n. 66.<br />
13 I 6 esemplari datati ad annum si collocano<br />
negli anni 497; 542; 556; 566; 629; 623/638<br />
(LAMBERT 2008, pp. 21-22; 25, tab. I).<br />
14<br />
LAMBERT 2008, pp. 90-91; 95-96; 97, tab.<br />
IIIa.<br />
15 É il caso, ad esempio <strong>del</strong> titulus <strong>del</strong>la piccola<br />
Theodenanda, che mostra straordinarie<br />
anticipazioni sul rapporto con la scrittura<br />
libraria, ben documentato nella zona solo<br />
oltre due secoli e mezzo dopo, in piena età<br />
longobarda (LAMBERT 2010, pp. 121-124).<br />
Uno studio sulle botteghe di lapicidi operanti<br />
in Campania nella tarda antichità è in<br />
corso da parte di chi scrive, a partire principalmente<br />
dalla ricca documentazione dallo<br />
scavo <strong>del</strong>la basilica paleocristiana di<br />
Abellinum-Atripalda (cenni in LAMBERT<br />
2008, pp. 56-58) e dal riesame <strong>del</strong> materiale<br />
ancora esistente sul territorio.<br />
BISCONTI, Città <strong>del</strong> Vaticano, pp. 158-162.<br />
LAMBERT C. 2008, Studi di epigrafia tardoantica<br />
e medievale in Campania. Volume I. Secoli IV-<br />
VII, Firenze.<br />
LAMBERT C. 2010, Pagine di pietra. Manuale di<br />
epigrafia latino-campana tardoantica e medievale.<br />
Seconda edizione riveduta ed ampliata (2004) 1 ,<br />
Manocalzati (AV).<br />
NAVA M. L. cds, Rassegna Archeologica <strong>del</strong>la<br />
Soprintendenza di Salerno, Avellino, Benevento e<br />
Caserta, in Atti <strong>del</strong> XLIX Convegno<br />
Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, ‘La<br />
vigna di Dioniso: vite, vino e culti in Magna<br />
Grecia’, Taranto 2009.
LAURA MIRABELLA<br />
Salerno.<br />
Corso Vittorio Emanuele:<br />
cinque nuove tombe e resti di una fornace da calce<br />
L’indagine archeologica<br />
preliminare, svoltasi tra il<br />
Marzo e il Luglio 2010,<br />
ha interessato il tratto di Corso V.<br />
Emanuele compreso tra i civici 44 e<br />
78, consentendo il recupero di evidenze<br />
a partire da una profondità di<br />
circa -3 m dall’attuale piano di calpestio<br />
(quota s.l.m. m 5.57) al di<br />
sotto di circa 1.50 m dalla rete dei<br />
sottoservizi.<br />
Si tratta innanzi tutto di un piano<br />
stradale (U.S.19) che, per la parte<br />
indagata all’interno <strong>del</strong>la trincea di<br />
scavo, corre in direzione E/O parallelamente<br />
al mare e con una pendenza<br />
N/S. Rinvenuto ad una quota di<br />
circa -4.00 m dal piano attuale di calpestio,<br />
è costituito da un terreno<br />
piuttosto compatto, misto ad abbondanti<br />
frammenti di ceramica (in particolare<br />
pareti di anfore da trasporto)<br />
e di laterizi disposti in modo casuale<br />
e legati da malta di tegole; esso ricopre<br />
un probabile piano di preparazione<br />
costituito da sabbia di mare dalla<br />
granulometria medio-fine, mista a<br />
ghiaia e ciottoli centimetrici per lo<br />
più di natura calcarea (fig. 1).<br />
Di esso non si può fornire una cronologia certa,<br />
ma solo sottolineare come abbia restituito materiale<br />
ceramico di reimpiego prodotto sia dal I sec. a. C. alla<br />
metà <strong>del</strong> II d. C. che dalla metà <strong>del</strong> IV fino al VI d. C. 1 .<br />
Ma maggiormente presenti sono attestazioni riconducibili<br />
a forme di ceramica d’uso comune prodotte<br />
ampiamente nel IV sec. d. C.<br />
Il piano stradale risulta tagliato da un nucleo di<br />
Fig. 1 - Particolare <strong>del</strong> piano stradale.<br />
Fig. 2 - Particolare <strong>del</strong>la T. 16.<br />
- 129 -<br />
sepolture venute alla luce all’altezza<br />
<strong>del</strong>l’attuale Palazzo Pastore, in un’area<br />
in cui già nel 1883 furono scoperte<br />
alcune deposizioni romane ed una<br />
preromana 2 . Ricoperte da uno strato<br />
alluvionale costituito da limo, pomici 3<br />
e sporadici frammenti ceramici, presentano<br />
orientamento O/E e sono<br />
tutte ad inumazione e prive di corredo.<br />
Di esse un’indicazione per la datazione<br />
è fornita solo dalla stratigrafia e<br />
dalla tipologia costruttiva, che permette<br />
di attribuirle genericamente alla<br />
fase tardoantica 4 .<br />
Tomba 16 5 (fig. 2), a cassa, dimensioni:<br />
lungh. m 1.50; largh. 0.70; h<br />
0.30, orientamento O/E. Cassa di<br />
forma rettangolare lievemente rastremata<br />
in corrispondenza degli arti<br />
inferiori <strong>del</strong> defunto. La copertura è<br />
costituita da un conglomerato di<br />
malta mista ad elementi di tufo, pietrame<br />
e laterizi. Le spallette sono in<br />
blocchi di tufo grigio posti di taglio e<br />
legati con malta, intonacati internamente<br />
e su cui si conserva il rivestimento<br />
in malta e i resti di un probabile<br />
sudario (divenuti un tutt’uno con<br />
la malta). In particolare, in corrispondenza<br />
<strong>del</strong>la testata ovest il blocco tufaceo reca internamente<br />
un’incisione cruciforme effettuata nell’intonaco<br />
ancora fresco. Il piano di deposizione non è rivestito e<br />
in corrispondenza <strong>del</strong> capo e dei piedi <strong>del</strong> defunto vi<br />
è una sorta di cuscino costituito da uno spesso letto di<br />
calce bianco-grigiastra. Lo scheletro di infante è in<br />
pessimo stato di conservazione; il capo è rinvenuto in<br />
giacitura secondaria nello strato di terreno compreso
tra la cassa e la copertura e i pochi resti<br />
ossei, piuttosto scomposti, rendono<br />
difficile stabilirne la posizione originaria.<br />
Non sono stati rinvenuti elementi<br />
di corredo.<br />
Tomba 17 (figg. 3-4): a cappuccina,<br />
a N <strong>del</strong>la T. 16; dimensioni: lungh. m<br />
1.20; largh. 0.50; h 0.30, orientamento<br />
O/E. La copertura è costituita da una<br />
fila centrale di coppi poggianti su due<br />
<strong>file</strong> di embrici tenuti in posizione da un<br />
bordo di pietre. Le tegole sono decorate<br />
esternamente da un motivo a goccia,<br />
eseguito tramite incisione prima <strong>del</strong>la<br />
cottura. Lo scheletro di infante è in<br />
cattivo stato di conservazione, in posizione<br />
supina e con il capo ad Ovest in<br />
posizione frontale. Non si sono rinvenuti<br />
elementi di corredo.<br />
Tomba 18 (fig. 5): a fossa, ad Ovest<br />
<strong>del</strong>le precedenti; dimensioni: lungh. m<br />
2.00; largh. 1.00; h 0.45, orientamento<br />
O/E. La copertura è in conglomerato<br />
di malta mista ad elementi in tufo, pietrame<br />
e laterizi. La fossa ha forma rettangolare<br />
piuttosto regolare e lievemente<br />
rastremata in corrispondenza<br />
degli arti inferiori; lo spazio compreso<br />
tra la copertura ed il limite superiore<br />
<strong>del</strong>la fossa è colmato da terreno limoargilloso.<br />
Lo scheletro di adulto, in<br />
discreto stato di conservazione, è stato<br />
deposto in posizione supina, orientato<br />
O/E e con le braccia incrociate all’altezza<br />
<strong>del</strong> petto. Il capo e parte <strong>del</strong> bacino<br />
si trovavano in corrispondenza<br />
degli arti inferiori, lungo il lato sud.<br />
Non sono stati rinvenuti elementi di<br />
corredo.<br />
Tomba 19: a circa 30 metri di<br />
distanza dalle precedenti, non è stata<br />
indagata perché ricadente, per metà,<br />
nel limite nord <strong>del</strong>l’area di scavo.<br />
Dimensioni (per la parte visibile):<br />
lungh. m 2.00; largh. 0.40; h 0.40;<br />
orientamento O/E. Copertura in elementi<br />
di tufo di colore grigio e malta.<br />
Tomba 20: a Sud <strong>del</strong>la T. 19, forte-<br />
SALTERNUM<br />
Fig. 3 - T. 17: copertura.<br />
Fig. 4 - T. 17: interno.<br />
Fig. 5 - T. 18.<br />
- 130 -<br />
mente manomessa, si è rinvenuta solo<br />
parte <strong>del</strong> piano di deposizione e, in giacitura<br />
secondaria, parte degli arti inferiori<br />
e <strong>del</strong> capo, in prossimità <strong>del</strong> quale<br />
si è recuperato il fondo di un contenitore<br />
in vetro, probabile elemento di<br />
corredo.<br />
Il piano d’uso <strong>del</strong>le sepolture<br />
(U.S.18) è costituito da un suolo a<br />
matrice argillosa di colore bruno-nerastro,<br />
<strong>del</strong>lo spessore di circa 40 cm e<br />
con una lieve pendenza N/S.<br />
A circa 30 metri dal punto in cui<br />
sono state rinvenute le prime tre sepolture,<br />
lungo il limite orientale <strong>del</strong>la trincea<br />
di scavo, il piano stradale è tagliato<br />
da una struttura muraria in grossi ciottoli<br />
calcarei (e sporadiche pietre di tufo<br />
e laterizi) appena sbozzati, legati da<br />
malta e posti in opera di taglio per filari<br />
più o meno regolari (fig. 6).<br />
Orientata S-E/N-O, lunga (per la parte<br />
rinvenuta e indagata) 6 m 7 e larga circa<br />
30 cm, se ne conservano tre filari <strong>del</strong>l’elevato<br />
per un’altezza massima di<br />
circa m 0.70. Essa segue grosso modo<br />
lo stesso andamento <strong>del</strong>la strada,<br />
deviando maggiormente verso Nord e<br />
avendo una probabile funzione di contenimento<br />
<strong>del</strong>la stessa o contrassegnando<br />
una sorta di limite, dato che<br />
nel punto in cui si arresta si incontrano<br />
nuove sepolture, rispetto alle quali<br />
risulta essere cronologicamente anteriore.<br />
Questo rapporto relativo verrebbe<br />
confermato dal fatto che, nel punto<br />
in cui la struttura termina, vi si poggia<br />
con andamento N-S ciò che rimane<br />
<strong>del</strong>la testata orientale <strong>del</strong>la T. 20.<br />
Infine, ad una distanza di circa 2 m<br />
ad Ovest <strong>del</strong>le TT. 19 e 20 e ad una<br />
quota superiore di circa 30 cm rispetto<br />
ad esse, sono stati messi in luce i resti<br />
di una fornace, <strong>del</strong>le dimensioni (per la<br />
parte indagata) di m 2.30 x 0.90 x 0.60<br />
e orientamento O/E (fig. 7). Dalla<br />
forma grosso modo troncoconica nella<br />
parte S/E e più o meno circolare in
quella N/O, coperte dal livello alluvionale<br />
sono state rinvenute le pareti,<br />
conservatesi per un’altezza di circa una<br />
trentina di centimetri, rivestite con pietre<br />
legate con argilla e protette da uno<br />
strato di ‘concotto’ (mischiato, soprattutto<br />
nella parte S-E, a cocci di ceramica)<br />
ed il crollo di pietre e laterizi pertinenti<br />
quella che doveva essere la<br />
copertura a volta <strong>del</strong>la camera di riscaldamento.<br />
Il crollo di questa ricopre i<br />
resti di cenere e di carbone rimasti<br />
all’interno <strong>del</strong> focolare al momento<br />
<strong>del</strong>l’abbandono; in particolare si individua<br />
un piano omogeneo e compatto<br />
di natura calcarea che ne potrebbe<br />
chiarire la natura di forno per la preparazione<br />
<strong>del</strong>la calce e da cui sono stati<br />
recuperati diversi frammenti di ceramica<br />
comune dipinta 7 . L’ipotesi circa la<br />
funzione verrebbe suffragata anche<br />
dalle caratteristiche <strong>del</strong> suolo su cui la<br />
struttura è impostata: un terreno argilloso<br />
che assicura un involucro solido<br />
LAURA MIRABELLA<br />
Fig. 6 - Particolare <strong>del</strong>la struttura muraria.<br />
Fig. 7 - Particolare <strong>del</strong>la fornace.<br />
Fig. 8 - Moneta proveniente dallo strato<br />
alluvionale.<br />
- 131 -<br />
ed isotermico eccellente 8 .<br />
Come per le deposizioni funerarie,<br />
anche ciò che rimane <strong>del</strong> forno viene<br />
sigillato dallo strato alluvionale di cui<br />
non si può dire con certezza sia pertinente<br />
all’evento che la documentazione<br />
bibliografica in nostro possesso<br />
data tra la fine <strong>del</strong> IV e l’inizio <strong>del</strong> V<br />
secolo d. C. 9 . Da esso proviene un interessante<br />
reperto numismatico di carattere<br />
residuale; si tratta di una moneta<br />
bronzea con al rovescio l’immagine di<br />
un toro sorvolato da una nike e al diritto<br />
(mal conservato) un profilo umano<br />
di difficile interpretazione (fig. 8). Per il<br />
tipo di iconografia si può parlare di una<br />
coniazione di Neapolis <strong>del</strong> V sec. a. C.,<br />
che confermerebbe la frequentazione<br />
<strong>del</strong>l’area ‘salernitana’ in questo periodo.
Note<br />
1 In particolare numerose anse cosiddette<br />
‘gemine’ <strong>del</strong> tipo Dressel 2/4 (PEACOCK -<br />
WILLIAMS 1986, pp. 105-106) e un fondo di<br />
sigillata africana con decorazione a rotella<br />
esterna (cfr. Atlante I, tav. XLVIII, n°11).<br />
2 “NSc” 1883, pp. 426-428.<br />
3 Si tratta di vulcanoclastiti <strong>del</strong> 79 d. C., da<br />
millimetriche a subcentimetriche e dal colore<br />
grigio-verdastro.<br />
4 Tipologie simili si rinvengono a Benevento<br />
(LUPIA 1998; TOMAY 2009, pp. 119-151).<br />
Bibliografia<br />
‘NSc’: ‘Notizie degli Scavi di Antichità’.<br />
ADAM J. P. 1984, L’arte di costruire presso i<br />
Romani, Milano.<br />
Atlante I. 1981, Atlante <strong>del</strong>le forme ceramiche I.<br />
Ceramica fine romana nel bacino mediterraneo<br />
(medio e tardo impero), E.A.A., Roma.<br />
MANNONI T. - GIANNICHEDDA E. 1996,<br />
Archeologia <strong>del</strong>la produzione, Torino.<br />
SALTERNUM<br />
5 La numerazione segue in modo progressivo<br />
quella <strong>del</strong> nucleo di sepolture rinvenuto in<br />
via Vicinanza nel Luglio 2009.<br />
6 Per ragioni di sicurezza, l’indagine è stata<br />
arrestata ad una quota di -4 m dal piano di<br />
calpestio, motivo per cui non è stato possibile<br />
mettere in luce la fondazione <strong>del</strong>la struttura<br />
muraria, la cui funzione, data l’esiguità<br />
degli elementi a disposizione, rimane incerta.<br />
7 In particolare un orlo di bacile con decorazione<br />
incisa ondulata sulla tesa e diversi<br />
frammenti di pareti con segni di colatura,<br />
PEACOCK D. P. S. - WILLIAMS D. S. 1986,<br />
Amphorae and Roman Economy, London.<br />
ROMITO M. 2000, Salerno romana dalla fondazione<br />
<strong>del</strong>la colonia all’Impero, in Storia di<br />
Salerno, a cura di G. CACCIATORE - I. GALLO<br />
- A. PLACANICA, 1, Salerno, pp. 61-69.<br />
LUPIA A. 1998 (a cura di), Testimonianze di<br />
epoca altomedievale a Benevento. Lo scavo <strong>del</strong><br />
Museo <strong>del</strong> Sannio, Napoli.<br />
- 132 -<br />
che si possono far rientrare genericamente<br />
nella produzione di ceramica comune dipinta<br />
di età tardoantica, ma di cui non si può<br />
dare una cronologia precisa per la mancanza<br />
di confronti puntuali.<br />
8 ADAM 1984, pp. 69-76; MANNONI -<br />
GIANNICHEDDA 1996, pp. 171-185; 244-246.<br />
9 ROMITO 2000, p. 68.<br />
TOMAY L. 2009, Benevento longobarda: dinamiche<br />
insediative e processi di trasformazione, in Atti<br />
<strong>del</strong> Convegno ‘Il popolo dei Longobardi meridionali<br />
(570-1076). Testimonianze storiche e monumentali’,<br />
a cura di G. D’HENRY- C. LAMBERT,<br />
Salerno, pp. 119-151.
Archeologia nel centro storico di Salerno:<br />
le stratificazioni di Piazza Sant’Agostino<br />
L’area di Piazza Sant’Agostino è posta immediatamente<br />
a Sud <strong>del</strong>la Via Mercanti, che<br />
ricalca, secondo una ipotesi condivisa, il<br />
decumano <strong>del</strong>la città romana 1 (fig. 1). Il sito prescelto<br />
per la fondazione coloniale coincide probabilmente<br />
con l’attuale centro storico, racchiuso tra il versante<br />
meridionale <strong>del</strong> colle Bonadies, i torrenti Fusandola ad<br />
Ovest e Rafastia ad Est e la fascia costiera; l’ubicazione<br />
dei ritrovamenti di età romana orienta verso una<br />
localizzazione pedemontana <strong>del</strong>l’insediamento 2 .<br />
Oggi la piazza non conserva nulla <strong>del</strong>la struttura<br />
romana e medievale: già Palazzo Sant’Agostino,<br />
costruito nell’‘800, trasformò completamente il<br />
Convento, <strong>del</strong> quale sopravvisse solo la Chiesa, privata<br />
comunque <strong>del</strong>la sua parte absidale; furono aperte le<br />
strade laterali, il tratto terminale di Via Duomo, demolendo<br />
alcune botteghe, e l’attuale Via Vigorito, eliminando<br />
abitazioni private; prima dei bombardamenti<br />
<strong>del</strong> Secondo Conflitto Mondiale vi era presente un<br />
denso tessuto urbano percorso da un reticolo di vicoli<br />
e anditi coperti (fig. 2), completamente stravolto<br />
dalla ricostruzione post-bellica.<br />
Il programma di tutela attuato in occasione dei<br />
lavori di ripavimentazione di Piazza Sant’Agostino ha<br />
previsto due livelli di intervento: il controllo di tutte le<br />
operazioni di scavo collegate alla rimozione <strong>del</strong>la vecchia<br />
pavimentazione e alla posa in opera dei nuovi sottoservizi,<br />
e la realizzazione di saggi archeologici mirati<br />
in aree di particolare interesse (fig. 3). Le indagini,<br />
mostrando con evidenza come le interferenze e le<br />
manomissioni operate dall’edilizia moderna e dalla<br />
realizzazione di sottoservizi siano state ovunque notevoli,<br />
hanno consentito il recupero di evidenze antiche<br />
che, per quanto fortemente disturbate, hanno tuttavia<br />
evidenziato la complessa stratificazione archeologica<br />
che documenta le diverse destinazioni d’uso assegnate<br />
a quest’area nel corso dei secoli (fig. 4).<br />
MONICA VISCIONE<br />
- 133 -<br />
Fig. 1 - Aerofotogrammetria di parte <strong>del</strong> centro storico di Salerno. In evidenza piazza<br />
Sant’Agostino.<br />
Fig. 2 - Foto area <strong>del</strong> centro storico (1943).<br />
La fase più recente è collocabile durante il XVIII<br />
secolo. Ad essa si possono far risalire i resti di almeno<br />
tre edifici, di cui non si può ricostruire la planimetria<br />
completa, caratterizzati dalla presenza di un pozzo per<br />
l’adduzione <strong>del</strong>l’acqua. Uno dei pozzi è stato scavato<br />
fino all’affioramento <strong>del</strong>la falda, a circa 3,70 m di profondità<br />
3 ; obliterato da materiale di risulta, si presenta<br />
intonacato e con i fori per le ispezioni. Queste unità<br />
abitative presentano muri perimetrali intonacati, larghi<br />
circa 0,70 m, e livelli pavimentali costituiti da malta
Fig. 3 - Planimetria <strong>del</strong>la Piazza, con ubicazione dei saggi e dei rinvenimenti.<br />
compattata rimescolata a ciottoli di piccolissime<br />
dimensioni; essi sono risultati quasi sempre in pessimo<br />
stato di conservazione, rotti e collassati a causa <strong>del</strong><br />
peso <strong>del</strong> materiale risultante <strong>del</strong>l’abbattimento dei<br />
muri. La dismissione di queste strutture risale al XX<br />
secolo; esse furono demolite in seguito<br />
ai bombardamenti e rinterrati per disegnare<br />
l’attuale assetto <strong>del</strong>la piazza.<br />
Probabilmente al XVI secolo risale<br />
un ambiente di cui si conservano solo<br />
tre muri, costituiti da materiale lapideo<br />
eterogeneo intercalato a piani orizzontali<br />
di tegole legati da malta. Di difficile<br />
collocazione cronologica e alterato da<br />
un muro successivo con orientamento<br />
est-ovest, esso conservava nel muro<br />
orientale l’accenno di una volta: potrebbe<br />
trattarsi dei resti di un andito coperto<br />
o di una cisterna, di cui non si conservano<br />
tuttavia i piani d’uso; la struttura<br />
potrebbe risalire alla fase di urbanizza-<br />
SALTERNUM<br />
Fig. 4 - Foto di scavo <strong>del</strong> saggio 1.<br />
- 134 -<br />
zione successiva ad un evento catastrofico registrato<br />
nel corso <strong>del</strong> XVI sec. d. C.. La rimozione degli strati<br />
di obliterazione evidenziava al suo interno uno strato<br />
a matrice argillosa, di colore grigio, con torba e residui<br />
carboniosi, rimescolato a lenti di sabbia ricche di<br />
reperti malacologici: si tratta di un<br />
apporto alluvionale o marino che non<br />
ha restituito materiali se non parte di un<br />
mortaio in marmo, i cui frammenti sono<br />
stati recuperati a diversa profondità; al<br />
momento risulta di difficile comprensione<br />
la meccanica deposizionale di tale<br />
livello, rinvenuto solo in questo ambiente.<br />
Alla stessa fase potrebbero risalire le<br />
pavimentazioni in malta battuta, fortemente<br />
alterate dalle manomissioni successive,<br />
rinvenute in relazione con una<br />
sorta di sedile in pietra intonacata, conservato<br />
per una lunghezza di circa 3,70<br />
m, ed alto circa 0,40 m. In alcuni punti<br />
<strong>del</strong> saggio 1 è stato inoltre messo in evi-
denza uno strato di riporto, abbastanza potente, caratterizzato<br />
da ceramica <strong>del</strong> XIV-XV secolo, che può<br />
essere interpretato come un livellamento <strong>del</strong>le strutture<br />
precedenti per realizzare appunto la fase edificatoria<br />
nel corso <strong>del</strong> XVI secolo.<br />
La struttura con l’accenno di volta interrompe una<br />
fornace <strong>del</strong> XIII sec. d. C., rinvenuta nell’area meridionale<br />
<strong>del</strong>la piazza. Essa, di forma semicircolare e privata<br />
<strong>del</strong> prefurnio (fig. 5), è costituita con mattoni che<br />
all’interno presentano evidenti tracce di vetrificazione<br />
dovute alle alte temperature raggiunte nella camera di<br />
combustione 4 . I livelli d’uso sono alterati: all’interno<br />
infatti si è rinvenuto l’esito <strong>del</strong>la sua distruzione, lo<br />
scarico di materiale di scarto e numerosi vasi privi di<br />
ingobbio non ancora terminati; abbondanti i frammenti<br />
con decorazione tipo ‘spiral ware’ 5 . La fornace e<br />
il muro in opera incerta orientato Nord-Est/Sud-<br />
Ovest, posto nell’area settentrionale <strong>del</strong>la piazza 6 ,<br />
sono gli unici elementi per affermare che nel XIII<br />
secolo il sito fosse destinato ad attività con carattere<br />
artigianale-produttivo e che quindi in quel periodo l’area<br />
costituiva un settore marginale nell’organizzazione<br />
degli spazi urbani. Si sta approfondendo l’ipotesi che<br />
alcuni muretti molto sottili e privi di fondazione possano<br />
essere pertinenti a cellule abitative di ridotte<br />
dimensioni che potevano insistere appunto in un settore<br />
marginale <strong>del</strong>la città occupato da attività artigianali.<br />
La fase più antica attestata nell’area è rappresentata<br />
da un muro rinvenuto nella parte settentrionale<br />
<strong>del</strong>la piazza (fig. 6); esso, con orientamento Nord-<br />
Ovest/Sud-Est, è costituito da due paramenti in blocchetti<br />
di tufo grigio e un sottile emplekton in malta e<br />
ciottoli di fiume; largo circa 0,50 m, conservato per<br />
una altezza di soli 0,20 m, si può ricostruire almeno<br />
per una lunghezza di 13 m. Il muro in opera incerta,<br />
orientato Nord-Est/Sud-Ovest, che lo interrompe nel<br />
suo probabile sviluppo verso Ovest e la cui fondazione<br />
ha restituito un frammento di ceramica a bande<br />
rosse <strong>del</strong> XII-XIII sec. d. C., fornisce il terminus ante<br />
quem per la sua realizzazione; anche il sottile strato che<br />
si appoggia al suo elevato restituisce materiale molto<br />
interessante, rappresentato dalla ceramica a bande<br />
graffite prodotta nell’VIII sec. d. C. e definita ‘arechiana’<br />
perché rinvenuta a Salerno e Benevento 7 . Il muro<br />
in tufo si imposta su uno strato molto compatto a<br />
matrice sabbiosa rimescolato a pomici biancastre subcentimetriche,<br />
pertinenti all’eruzione <strong>del</strong> 79 d. C.<br />
MONICA VISCIONE<br />
- 135 -<br />
Fig. 5 - Foto di scavo <strong>del</strong>la fornace (XIII sec. d. C.).<br />
In relazione con la struttura<br />
in tufo è sicuramente<br />
un piano accuratamente<br />
livellato e apparentemente<br />
battuto, costituito da refusi<br />
di tufo grigio, che oltre a<br />
ceramica a bande larghe ha<br />
restituito anche frammenti<br />
di ceramica sigillata<br />
africana 8 . Il piano di frequentazione<br />
relativo al<br />
muro copre uno strato di<br />
sicura origine alluvionale,<br />
dal quale proviene, tra l’al-<br />
Fig. 6 - Particolare <strong>del</strong> muro<br />
prelongobardo e dei buchi<br />
di palo.<br />
tro, un frammento di ceramica a vernice nera pertinente<br />
ad una forma aperta. In fase con esso sono le due<br />
buche di palo adiacenti alla sua faccia settentrionale,<br />
forse impiantate per rinforzarne la funzione difensiva 9<br />
(fig. 6).<br />
Suggestiva è la possibilità di riconoscere nel muro<br />
in tufo parte <strong>del</strong> circuito difensivo prelongobardo.<br />
Alla colonia romana si sovrappone, probabilmente<br />
senza soluzione di continuità, la città longobarda. La<br />
sua posizione strategica e la possibilità di gestire il fertile<br />
territorio circostante attirarono i principi longobardi<br />
10 che necessitavano di dotarsi di una seconda<br />
città fortificata dopo Benevento 11 : Salerno consentiva<br />
una buona difesa sia dagli attacchi <strong>del</strong>la flotta bizantina<br />
sia, con le sue colline, dagli attacchi provenienti dal<br />
fondovalle <strong>del</strong> Fiume Irno. Arechi riorganizzò le mura<br />
di difesa, rimodernò il Castello e costruì il suo Palazzo<br />
(774 d. C.) a ridosso <strong>del</strong>le mura meridionali, su un’area<br />
densamente stratificata 12 ; il suo successore,<br />
Grimoaldo, potenziò ulteriormente le difese, realiz
Fig. 7 - Ricostruzione mura prelongobarde e longobarde (da DE SIMONE 1993); in<br />
evidenza il tratto che attraverserebbe Piazza Sant’Agostino.<br />
zando un antemurale lungo la fascia costiera <strong>del</strong> centro<br />
urbano, a Sud <strong>del</strong>la preesistente cinta (fig. 7).<br />
L’area di Piazza Sant’Agostino dovrebbe occupare lo<br />
spazio tra queste due cortine: inter murum et muricinum 13 ;<br />
diversi studiosi ipotizzano proprio alla metà <strong>del</strong>la<br />
attuale ampiezza <strong>del</strong>la piazza la presenza <strong>del</strong> muro di<br />
fortificazione prelongobardo e a ridosso <strong>del</strong>la strada<br />
costiera la presenza <strong>del</strong>l’antemurale realizzato successivamente<br />
da Grimoaldo 14 .<br />
SALTERNUM<br />
- 136 -<br />
Grazie ad alcuni documenti notarili custoditi presso<br />
la Badia di Cava riguardanti alcuni possedimenti<br />
ecclesiastici è stato possibile ricostruire alcuni importanti<br />
elementi urbanistici di questa parte <strong>del</strong>la città 15 .<br />
Un atto di compravendita relativo ad alcuni terreni<br />
posti nei pressi <strong>del</strong>la Chiesa di Santa Maria de Domno<br />
(edificata tra il 983 e il 999) - di cui sono ancora visibili<br />
i resti nel tessuto urbano posto poco ad Est <strong>del</strong>la<br />
piazza, lungo Via Masuccio <strong>Salernitano</strong> - segnala che<br />
la Chiesa si addossava con il suo lato meridionale<br />
lungo il ‘muricino’ longobardo e a Nord era <strong>del</strong>imitata<br />
dalla via Carraia o Giudaica, oltre la quale, ad una<br />
distanza di circa 10 metri, si trovava un muro di cinta,<br />
nel quale potrebbe riconoscersi la difesa prelongobarda.<br />
Viene così confermata la tesi, sostenuta da più studiosi,<br />
che prima degli ampliamenti longobardi Salerno<br />
si concludeva verso il mare con un muro coincidente<br />
con i limiti meridionali <strong>del</strong> complesso di San Giorgio<br />
(posto ad Ovest <strong>del</strong>l’attuale piazza) e <strong>del</strong> palazzo principesco<br />
(situato a Nord <strong>del</strong>l’area).<br />
La collocazione topografica <strong>del</strong> tratto di muro<br />
venuto alla luce a Piazza Sant’Agostino, oltre alla sua<br />
cronologia ed estensione, permettono di avanzare l’ipotesi<br />
che in esso si possa riconoscere parte <strong>del</strong> sistema<br />
difensivo prelongobardo, ricostruendo così un<br />
impianto approssimativamente rettangolare, logico<br />
nella sua discendenza dall’insediamento romano.
Note<br />
1 Riguardo alla fondazione romana di<br />
Salerno e il suo impianto urbano si vedano<br />
BRACCO 1979; AMAROTTA 1989;<br />
AVAGLIANO 1982, pp. 33-51; per gli ultimi<br />
rinvenimenti , ROMITO 1996 e, da ultimo,<br />
IANNELLI 2001, pp. 206-224, con ampia<br />
bibliografia. Per la geomorfologia, cfr.<br />
Archeologia di una città 2000; CIFELLI 1991,<br />
pp. 27-38.<br />
2 Il territorio <strong>del</strong>la colonia doveva essere<br />
attraversato da un complesso reticolo viario,<br />
frutto di un lungo processo storico; ai<br />
più antichi percorsi si affiancò nel II sec. a.<br />
C. la via Popilia (ROSSI 1999, pp. 259-279;<br />
ROSSI 2000, pp. 17-26 con bibliografia). La<br />
necropoli urbana <strong>del</strong>la colonia si colloca<br />
lungo un asse stradale in uscita dalla città,<br />
corrispondente all’attuale Corso Vittorio<br />
Emanuele II, con sepolture che si distribuiscono<br />
tra il II sec. a. C. e il VI sec. d. C.<br />
(ROMITO 1996); notizie degli ultimi rinvenimenti<br />
sono state date dal Soprintendente<br />
Dott.ssa NAVA nel corso <strong>del</strong> XLIX conve-<br />
MONICA VISCIONE<br />
Desidero ringraziare il Soprintendente Archeologo Dott. sa M. L. Nava, che mi ha dato l’opportunità di lavorare nella mia città e con grande<br />
liberalità mi ha affidato lo studio e l’interpretazione dei dati emersi dalle indagini archeologiche svolte a Piazza S. Agostino. Desidero<br />
anche ringraziare la collega E. Civale che con me ha condiviso l’impostazione <strong>del</strong>lo scavo. Il lavoro svolto a Piazza S. Agostino è stato presentato<br />
nel corso <strong>del</strong> Convegno Archeologia preventiva. Esperienze a confronto, Salerno 3 luglio 2009, organizzato dalla Soprintendenza ai Beni<br />
Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, i cui Atti sono in corso di stampa (VISCIONE cds).<br />
gno di studi sulla Magna Grecia (NAVA cds)<br />
cfr. inoltre i contributi di R. Altobello e L.<br />
Mirabella in questo stesso numero di<br />
“Salternum” (ALTOBELLO 2010; MIRABELLA<br />
2010).<br />
3 La falda è affiorata a circa 1,60 m s.l.m.<br />
4 La struttura trova un confronto con una<br />
fornace <strong>del</strong> XIII secolo rinvenuta a<br />
Benevento (TOMAY 2005, p. 36).<br />
5<br />
PASTORE 1982, pp. 38-49; FONTANA 1984,<br />
pp. 119-128.<br />
6 Il muro è stato datato in base ad elementi<br />
di stratigrafia verticale e per la ceramica – c.<br />
a bande <strong>del</strong> XII-XIII sec. - recuperata nel<br />
cavo di fondazione.<br />
7<br />
DE CRESCENZO 1990.<br />
8 La ceramica è rappresentata purtroppo<br />
solo da pareti e non ha permesso quindi un<br />
inquadramento cronologico puntuale.<br />
9 Altri tagli circolari, dalla disposizione<br />
apparentemente priva di logica, sono stati<br />
rinvenuti nell’area a Sud <strong>del</strong> muro.<br />
10<br />
DELOGU 1977.<br />
- 137 -<br />
11 Il cronista Erchemperto attribuisce ad<br />
Arechi la scelta di una città già dotata di<br />
difese.<br />
12 ROMITO1984, pp. 33-47; EADEM 1988, pp.<br />
9-64.<br />
13 Quando fu avviata la costruzione <strong>del</strong><br />
Convento degli Agostiniani, nel 1309, l’area<br />
si presentava limitata a monte da un asse<br />
viario, via <strong>del</strong>la Giudaica e a valle dal lido<br />
lungo il quale correva una strada, grosso<br />
modo riconoscibile in via Roma. Le fonti<br />
riferiscono, inoltre, che gli Agostiniani edificando<br />
il loro complesso demolirono il<br />
tratto <strong>del</strong> ‘muricino’ che ricadeva nei loro<br />
possedimenti.<br />
14 DE SIMONE 1993, pp.191-207; AMAROTTA<br />
1982, pp. 69-86; IDEM 1979, pp. 299-251.<br />
15 Si tratta di documenti <strong>del</strong> 1091, 1117 e<br />
1124 custoditi presso l’Archivio <strong>del</strong>la Badia<br />
di Cava e trascritti in LEONE 1964.
Bibliografia<br />
ALTOBELLO R. 2010, Salerno. Lo scavo di alcune<br />
sepolture in via Vicinanza, in “Salternum”,<br />
XIV, 24-25, pp. 119-124.<br />
AMAROTTA A. 1979, Il palazzo di Arechi e il<br />
quartiere meridionale di Salerno, in “Atti<br />
<strong>del</strong>l’Accademia Pontaniana”, XXVIII, n.s.,<br />
pp. 229-251.<br />
AMAROTTA A. 1982, Dinamica urbanistica nell’età<br />
longobarda, in Guida alla Storia di Salerno<br />
1982, pp. 69-86.<br />
AMAROTTA A. 1989, Salerno Romana e<br />
Medievale, Salerno 1989.<br />
Archeologia di una città 2000, Salerno: geoarcheologia<br />
ed evoluzione <strong>del</strong>l’ambiente marino, a cura di<br />
M. A. IANNELLI, Salerno.<br />
AVAGLIANO G. 1982, Impianto urbano e testimonianze<br />
archeologiche, in Guida alla Storia di<br />
Salerno 1982, I, pp. 33-51.<br />
BRACCO V. 1979, Salerno romana, Salerno.<br />
CIFELLI F. 1991, I prodotti piroclastici <strong>del</strong> 79<br />
d. C. negli scavi archeologici di San Leonardo<br />
(SA), in “Apollo”, VII, pp. 27-38.<br />
DE CRESCENZO A. 1990, La ceramica graffita<br />
<strong>del</strong> Castello di Salerno, Napoli.<br />
DELOGU P. 1977, Mito di una città meridionale<br />
(Salerno sec. VIII-IX), Napoli.<br />
DE SIMONE V. 1993, La “forma urbis” prelongobarda<br />
e altre questioni di topografia salernita-<br />
SALTERNUM<br />
na, in “Rassegna Storica Salernitana”, n.s.,<br />
X, 1, pp. 191-207.<br />
FONTANA M. V. 1984, La ceramica invetriata al<br />
piombo di San Lorenzo Maggiore, in La ceramica<br />
medievale di San Lorenzo Maggiore in Napoli,<br />
a cura di M. V. FONTANA - C. VENTRONE<br />
VASSALLO, pp. 119-128.<br />
Guida alla Storia di Salerno 1982, Guida alla<br />
Storia di Salerno e <strong>del</strong>la sua provincia, a cura di<br />
A. LEONE - G. VITOLO, Salerno, III voll.<br />
IANNELLI M. A. - I. GALLO 2001, s.v.<br />
Salerno, in Bibliografia Topografica <strong>del</strong>la<br />
Colonizzazione Greca in Italia e nelle Isole tirreniche,<br />
XVII, Pisa-Roma-Napoli, pp. 206-<br />
225.<br />
LEONE S. 1964, Diplomata Tabularii Cavensis,<br />
Cava de’Tirreni.<br />
MIRABELLA L. 2010, Salerno - Corso Vittorio<br />
Emanuele: Cinque nuove tombe e resti di una fornace<br />
da calce, in “Salternum”, XIV, 24-25, pp.<br />
129-132.<br />
NAVA M. L. cds, Rassegna archeologica, in Atti<br />
<strong>del</strong> XLIX Convegno Internazionale di Studi sulla<br />
Magna Grecia, ‘La vigna di Dioniso: vite, vino e<br />
culti in Magna Grecia’, Taranto 2009.<br />
PASTORE I. 1982, Ceramica Spiral Ware, in A.<br />
DE CRESCENZO - I. PASTORE - D. ROMEI,<br />
Ceramiche invetriate e smaltate dal castello di Salerno<br />
dal XII al XIV secolo, Napoli, pp. 38-49.<br />
- 138 -<br />
ROMITO M. 1984, Strutture romane in S. Pietro<br />
a Corte a Salerno, in “Rassegna Storica<br />
Salernitana”, n.s., I, 2, pp. 33-47.<br />
ROMITO M. 1988, Le terme romane, in<br />
PEDUTO P. et Alii, Un accesso alla storia di<br />
Salerno: stratigrafie e materiali <strong>del</strong>l’area palaziale<br />
longobarda, in Rassegna Storica Salernitana”,<br />
n.s., V, 1, pp. 28-41.<br />
ROMITO M. 1996, I reperti di età romana dal<br />
Museo <strong>Archeologico</strong> Provinciale <strong>del</strong>la città,<br />
Napoli.<br />
ROSSI A. 1999, Il territorio <strong>del</strong>la colonia romana<br />
di Salerno, in Pompei, il Vesuvio e la Penisola<br />
Sorrentina, Atti <strong>del</strong> secondo ciclo di conferenze di<br />
Geologia, Storia e Archeologia, Pompei 1997-<br />
1998, Roma, pp. 259-279.<br />
ROSSI A. 2000, Alcune considerazioni sul territorio<br />
di Salernum’, in “Apollo”, XV, pp. 17-<br />
26.<br />
TOMAY L. 2005, Benevento. Interventi di archeologia<br />
urbana, in “Notiziario <strong>del</strong>la<br />
Soprintendenza per i Beni Archeologici di<br />
Salerno, Avellino e Benevento”, 1, p. 36.<br />
VISCIONE M. cds, Salerno, Piazza Sant’<br />
Agostino: un caso di archeologia preventiva in area<br />
urbana’, in Atti <strong>del</strong> Convegno ‘Archeologia preventiva.<br />
Esperienze a confronto’, Salerno 2009.
RAFFAELLA BONAUDO<br />
Lo scavo per il parcheggio <strong>del</strong>la tangenziale a Pastena (Salerno):<br />
alcune osservazioni sul paesaggio antico<br />
La realizzazione di un parcheggio a ridosso<br />
<strong>del</strong>l’uscita Pastena <strong>del</strong>la Tangenziale di<br />
Salerno, in direzione Nord, ha interessato<br />
un’area di ca. 3000 mq, <strong>del</strong>imitata dalla strada che da<br />
Paradiso di Pastena scende verso Sud, comportando<br />
l’abbassamento <strong>del</strong> piano in leggero e progressivo declivio<br />
fino a quota strada 1 (fig. 1).<br />
L’area si inserisce nella parte orientale <strong>del</strong>la città di<br />
Salerno, in un settore in cui, allargando il campione territoriale,<br />
studi di carattere topografico e recenti lavori<br />
urbanistici hanno permesso di conoscere con maggiore<br />
dettaglio le dinamiche di occupazione <strong>del</strong> territorio sin<br />
dall’Età preistorica. Già dal Paleolitico superiore, infatti,<br />
sembrano frequentati cavità e ripari di roccia sul<br />
costone di San Leonardo, documentati in base ai rinvenimenti<br />
di Industria litica 2 .<br />
Un quadro più articolato <strong>del</strong>l’occupazione antropica<br />
si registra per le fasi finali <strong>del</strong> Neolitico e per<br />
l’Eneolitico. A sant’Eustacchio, loc. Guarne, in un’area<br />
compresa tra i corsi dei torrenti Mercatello e<br />
Mariconda, troppo intensamente sfruttata per l’attività<br />
estrattiva negli ani ’50-’60, trincee geoarcheologiche<br />
hanno individuato la presenza di focolari e piani di concotto,<br />
ai quali va associata la quantità di materiali d’impasto<br />
recuperati, tipologicamente riconducibili, per le<br />
fasi più antiche, alle facies di Serra d’Alto e<br />
Diana/Bellavista e che attestano una continuità <strong>del</strong>la<br />
frequentazione fino all’Eneolitico 3 . Il sito rientrerebbe<br />
in un sistema di insediamenti coevi, documentati nella<br />
parte orientale di Salerno anche a Fuorni, in occasione<br />
degli scavi per la realizzazione <strong>del</strong>l’aula-bunker <strong>del</strong> carcere:<br />
i materiali rinviano agli stessi orizzonti culturali neolitici<br />
già documentati a Sant’Eustacchio e per le fasi<br />
eneolitiche alla facies di Piano Conte. La frequentazione<br />
antropica continua qui con vocazione agricola fino<br />
all’Età <strong>del</strong> Bronzo: a questo periodo sarebbero da riferire<br />
tracce di arature incrociate e impasti decorati a<br />
- 139 -<br />
squame o riferibili alle tipologie <strong>del</strong> Gaudo 4 .<br />
L’occupazione nel corso <strong>del</strong>le Età <strong>del</strong> Bronzo sembra<br />
quindi ulteriormente arretrarsi rispetto alla fascia<br />
costiera: tracce riferibili ad un insediamento <strong>del</strong> Bronzo<br />
Medio (Protoappenninico B) sono state individuate a<br />
Fuorni, loc. Acqua dei Pazzi, e non scavate 5 .<br />
Meno sistematica risulta la documentazione recuperabile<br />
per la fascia orientale di Salerno nel corso <strong>del</strong>le<br />
epoche successive. In seguito a lavori di costruzione di<br />
abitazioni civili, nel 2004 è stata scavata in Loc.<br />
Sant’Eustacchio un’area a vocazione complessa, con<br />
funzioni abitative, produttive e, probabilmente, anche<br />
sacre, in uso dal V sec. a. C. fino almeno alla metà <strong>del</strong><br />
III sec. a. C. e rioccupata, dopo fenomeni alluvionali di<br />
ampia portata, in epoca romano-imperiale, precedente<br />
al 79 d. C. Lo scavo ha permesso di individuare, inoltre,<br />
un asse viario basolato, incassato e in forte pendenza, la<br />
cui manutenzione era favorita dalla presenza di un sistema<br />
di drenaggio che convogliava le acque meteoriche e<br />
sorgive al centro <strong>del</strong>la carreggiata, probabilmente orientato<br />
NO/SE 6 .<br />
Notizie di rinvenimenti occasionali e non dettagliatamente<br />
documentati si recuperano negli anni ’70<br />
durante i lavori di realizzazione <strong>del</strong>la Tangenziale di<br />
Salerno: nei pressi <strong>del</strong>la villa romana di San Leonardo<br />
sarebbero state distrutte una settantina di tombe, databili<br />
al IV-III sec. a. C. sulla base <strong>del</strong>le descrizioni degli<br />
oggetti e <strong>del</strong>le tipologie tombali e per analogia con i<br />
materiali rinvenuti nelle fondazioni <strong>del</strong>le strutture<br />
murarie <strong>del</strong>la villa stessa 7 . A questo stesso periodo va<br />
riferito anche un gruppo di tombe scavate nella stessa<br />
località, nel corso dei lavori di realizzazione <strong>del</strong>la stazione<br />
<strong>del</strong>la Metropolitana: le tombe costeggiavano un<br />
asse viario che sfruttava un percorso in uso già dal X<br />
sec. a. C. e che durò almeno fino all’eruzione di<br />
Pompei 8 .<br />
Particolarmente interessante, rispetto all’area ogget-
to <strong>del</strong>l’attuale intervento, la<br />
notizia di un sopralluogo a<br />
S. Margherita di Pastena in<br />
seguito ai lavori di sbancamento<br />
<strong>del</strong>la superstrada,<br />
<strong>del</strong> 25 Novembre 1976 9 , in<br />
cui si ricorda che «le persone<br />
<strong>del</strong> luogo affermavano<br />
che il mezzo meccanico<br />
aveva messo in luce una<br />
tomba costituita da blocchi<br />
di tufo scuro contenente<br />
un oggetto in bronzo, sotterrata<br />
dallo stesso mezzo<br />
meccanico» 10 .<br />
Un evidente mutamento nelle<br />
dinamiche insediative e nell’organizzazione<br />
degli spazi si registra con la<br />
fondazione <strong>del</strong>la colonia romana di<br />
Salernum. A questa va riferita, infatti,<br />
la capillare distribuzione di villae sul<br />
territorio: per il settore che ci interessa,<br />
la villa scavata nel 1985 a San<br />
Leonardo, databile dalla fine <strong>del</strong> II<br />
sec. a. C. e distrutta e abbandonata in<br />
seguito all’eruzione di Pompei <strong>del</strong> 79<br />
d. C. 11 , e quella scoperta nel 1983 in<br />
via Tusciano, a Mercatello - alla quale<br />
è probabilmente da riferire la notizia di un mosaico<br />
individuato nel XVII sec. sotto la chiesa di Santa Maria<br />
a Mare -, che va piuttosto letta nel quadro di una piccola<br />
occupazione stabile lungo un asse viario, a cui sono<br />
da riferire tracce di strada glareata e una piccola necropoli<br />
(I-III sec. d. C.), rinvenute nel corso degli scavi per<br />
la stazione di Mercatello <strong>del</strong>la ‘Metropolitana leggera’ di<br />
Salerno 12 . L’asse stradale potrebbe costituire la traccia<br />
archeologica di un percorso viario complesso, ipotizzato<br />
su base fotointerpretativa e identificato con la via<br />
Popilia 13 .<br />
Documenti medievali, inoltre, individuano la presenza<br />
di un ulteriore percorso viario - la via Campanina -<br />
a Sud <strong>del</strong>la chiesa longobarda di Sant’Eustachio 14 .<br />
L’area oggetto <strong>del</strong>l’intervento che qui si descrive<br />
può essere distinta in due differenti settori, che hanno<br />
richiesto, per la loro stessa natura e formazione, strategie<br />
di intervento diversificate (fig. 2).<br />
All’interno <strong>del</strong> settore 1, immediatamente al di sotto<br />
<strong>del</strong>l’humus e fino alle quote più basse raggiunte, sono<br />
SALTERNUM<br />
Fig. 1 - Area <strong>del</strong>l’intervento su carta IGM 1955 (1:25000).<br />
Fig. 2 - Determinazione <strong>del</strong>l’area di scavo e dei settori<br />
all’interno di questa (in grigio l’asse stradale<br />
moderno; in nero il posizionamento <strong>del</strong>l’asse<br />
strada/canale antichi).<br />
- 140 -<br />
stati individuati diversi<br />
livelli di accumulo di materiale<br />
edilizio, deposto a<br />
colmare progressivamente<br />
il dislivello di quota determinato<br />
dai lavori per la<br />
costruzione <strong>del</strong>l’asse<br />
Tangenziale e <strong>del</strong>la relativa<br />
uscita; questi hanno impedito<br />
di recuperare qualsiasi<br />
traccia di attività antropica<br />
preesistente, scarsamente<br />
indiziata, <strong>del</strong> resto, dall’esigua<br />
quantità di materiale<br />
residuale presente.<br />
Questi interventi di scavo, accumulo<br />
e risistemazione <strong>del</strong>l’area sono<br />
<strong>del</strong>imitati a Nord da un percorso viario<br />
che, pur disturbato e distrutto dai<br />
lavori nella parte più prossima alla<br />
strada attuale, almeno a partire da un<br />
certo punto viene mantenuto come<br />
limite <strong>del</strong>l’azione di scasso e rispettato;<br />
esso disturba tuttavia la stratigrafia<br />
originaria fino ad un potente paleosuolo<br />
rinvenuto su tutta l’area di<br />
intervento, che non ha conservato<br />
tracce di frequentazione antropica. La<br />
strada, orientata NE/SO (56/236° N), assume un<br />
andamento curvilineo fino a raggiungere un orientamento<br />
E/O (90/270° N) e costituiva, forse, un tratto di<br />
collegamento tra l’originaria strada di Paradiso di<br />
Pastena e la prosecuzione in direzione Giovi-<br />
Sant’Eustacchio, venendo a coincidere con un percorso<br />
curvilineo visibile - per quanto in maniera poco chiara<br />
- sia in foto aerea, sia sul fotogrammetrico <strong>del</strong>l’area, in<br />
corrispondenza <strong>del</strong> toponimo ‘Santa Margherita’.<br />
A Nord <strong>del</strong>la struttura è stato recuperato un settore<br />
poco esteso - limitato a Nord-Ovest dallo svincolo <strong>del</strong>la<br />
Tangenziale e a Nord dalla via Paradiso di Pastena -<br />
all’interno <strong>del</strong> quale la stratigrafia non risultava intaccata<br />
dai lavori moderni (settore 2), benché, nella parte più<br />
settentrionale, immediatamente al di sotto <strong>del</strong>l’humus, si<br />
riconoscesse già il paleosuolo. Verso Sud, tuttavia, a<br />
causa di un progressivo aumento <strong>del</strong>le pendenze originarie,<br />
la stratigrafia si è rivelata più complessa. Al di<br />
sotto <strong>del</strong>l’humus, infatti, è stato riconosciuto un livello<br />
alluvionale composto dalle pomici rimaneggiate <strong>del</strong>l’e-
uzione di Pompei <strong>del</strong> 79<br />
d. C.: l’evento, <strong>del</strong> quale l’eruzione<br />
rappresenta un<br />
immediato termine post<br />
quem, sigilla il piano sottostante,<br />
la cui superficie evidenzia<br />
una situazione morfologicamente<br />
significativa, caratterizzata<br />
da un alto morfologico, immediatamente<br />
seguito verso Sud-Ovest da<br />
un sensibile salto di quota (fig. 3).<br />
Nel punto in cui il piano raggiunge<br />
l’alto morfologico, immediatamente<br />
a Nord <strong>del</strong> salto di quota, è stato<br />
individuato un battuto stradale, caratterizzato<br />
da una superficie piuttosto<br />
irregolare, orientato NO/SE (N 50°<br />
O) in leggera pendenza verso S-E, <strong>del</strong><br />
quale, tuttavia, la particolare situazione<br />
geomorfologica non consente di<br />
recuperare pienamente il limite settentrionale<br />
(fig. 4). Il battuto copriva<br />
in parte un muretto a secco, dal<br />
medesimo orientamento, composto da pezzame di arenaria<br />
di diverse dimensioni e da radi frammenti laterizi<br />
(US 21), tra i quali sono documentati anche coppi di<br />
tipo pentagonale, analoghi ad esemplari ampiamente<br />
attestati, ad esempio, a Fratte.<br />
Il battuto stradale insisteva su un canale di drenaggio<br />
obliterato da 4 livelli progressivi di accumulo (UUSS<br />
24-27): il canale, largo ca. m 3,50, con andamento regolare<br />
NO/SE (N 50° O), presentava una parete a sezione<br />
interrotta sul lato settentrionale ed una parete continua,<br />
molto inclinata sul lato sud, dove il muretto US 21<br />
doveva costituire una sorta di argine, in prossimità <strong>del</strong><br />
salto di quota <strong>del</strong> piano. Per favorire il drenaggio <strong>del</strong>le<br />
acque, il fondo <strong>del</strong> canale, ricavato sul piano <strong>del</strong>lo strato<br />
argilloso US 16, di per sé poco permeabile, era foderato<br />
da scaglie laterizie e pezzame d’arenaria (US 28),<br />
(fig. 5).<br />
Lo scavo <strong>del</strong> battuto, <strong>del</strong> muro e dei riempimenti <strong>del</strong><br />
canale non ha consentito di recuperare manufatti ceramici<br />
idonei a fornire un puntuale inquadramento cronologico,<br />
che, sulla base di alcuni frammenti ceramici a<br />
vernice nera e di alcune forme specifiche – quali un’ansa<br />
di situla - può solo orientativamente fissarsi intorno al<br />
RAFFAELLA BONAUDO<br />
Fig. 3 - Profilo morfologico <strong>del</strong>la parte settentrionale <strong>del</strong>l’area di scavo: in grigio le<br />
pomici rimaneggiate <strong>del</strong> 79 d. C..<br />
Fig. 4 - Particolare <strong>del</strong> battuto stradale antico (US19)<br />
con le carreggiate (US20) e il muretto laterale<br />
(US21).<br />
Fig. 5 - Particolare <strong>del</strong> canale con relativa sezione.<br />
- 141 -<br />
III-II sec. a. C..<br />
Lo scavo, benché di<br />
limitata portata e caratterizzato<br />
dalle difficoltà stratigrafiche<br />
descritte, ha consentito<br />
di recuperare alcuni<br />
dati per la ricostruzione<br />
<strong>del</strong> paesaggio antico all’interno di un<br />
settore urbano pesantemente intaccato<br />
da moderni interventi, in particolare<br />
dalla costruzione <strong>del</strong>la Tangenziale<br />
di Salerno 15 .<br />
I dati recuperati costituiscono una<br />
ulteriore testimonianza di occupazione<br />
<strong>del</strong> territorio nel corso <strong>del</strong> <strong>del</strong>icato<br />
momento che precede immediatamente<br />
l’instaurazione <strong>del</strong>la colonia<br />
romana e ha contribuito a reinserire<br />
nel quadro <strong>del</strong>l’archeologia <strong>del</strong> paesaggio<br />
un ulteriore tassello, attraverso<br />
la restituzione <strong>del</strong> profilo geomorfologico<br />
<strong>del</strong>l’area. Benché i materiali<br />
archeologici non consentano di interpretare<br />
all’interno di una griglia cronologica puntuale i<br />
fenomeni di occupazione e sfruttamento <strong>del</strong> territorio,<br />
alcuni elementi consentono di inserire le evidenze in un<br />
quadro più ampio. La costruzione <strong>del</strong> canale risponde,<br />
probabilmente, alla necessità di manutenzione di un’area<br />
soggetta a fenomeni di frana e alluvionali: sia il<br />
canale, prima, sia la strada poi, infatti, sfruttano l’ultimo<br />
alto morfologico disponibile per mantenere una posizione<br />
sicura. La necessità è resa ancor più evidente dal<br />
mantenimento <strong>del</strong>l’orientamento NO/SE (N 50° O),<br />
pur nella discontinuità funzionale tra canale e strada.<br />
L’orientamento individuato corrisponde, <strong>del</strong> resto, a<br />
quello ricostruito sulla base <strong>del</strong>la fotointerpretazione<br />
da A. Rossi per il territorio di Salernum 16 : il sistema<br />
strada/muro/canale rientrerebbe così in una suddivisione<br />
agraria testimoniata da linee perpendicolari e<br />
parallele alla linea di costa, condizionate probabilmente<br />
dalla particolare morfologia <strong>del</strong> terreno, che obbligherebbe<br />
l’orientamento secondo l’andamento costiero,<br />
in funzione <strong>del</strong> naturale deflusso <strong>del</strong>le acque di<br />
superficie. A questo sistema non osta la cronologia<br />
proposta per le evidenze individuate: si tratterebbe dei<br />
primi interventi di organizzazione <strong>del</strong> territorio che<br />
possono aver preceduto leggermente la fondazione<br />
<strong>del</strong>la colonia.
Note<br />
1 I lavori di scavo sono stati effettuati dal 30<br />
Gennaio al 27 Febbraio 2009; l’intervento<br />
archeologico, seguendo le procedure concordate<br />
con la Soprintendenza Archeologica<br />
di Salerno e dirette dalla Dott.ssa M. L.<br />
Nava, ha previsto uno scavo per battute,<br />
effettuato mediante l’uso di un escavatore e,<br />
dove richiesto dalla stratigrafia archeologica,<br />
un più puntuale scavo manuale con manodopera<br />
non specializzata fornita dall’impresa<br />
appaltatrice.<br />
2<br />
IANNELLI 2001, p. 210.<br />
3<br />
DI MAIO – IANNELLI – SCALA -SCARANO<br />
2003, pp. 478-479.<br />
4Scavi 1996-1997: IANNELLI 2001, p. 210; DI<br />
Bibliografia<br />
DI MAIO G. – IANNELLI M. A. – SCALA S. -<br />
SCARANO G. 2003, Antropizzazione ed evidenze<br />
di crisi ambientali in età preistorica in alcuni siti<br />
archeologici a Sud di Salerno, in Variazioni climatico-ambientali<br />
e impatto sull’uomo nell’area circum-mediterranea<br />
durante l’Olocene, a cura di C.<br />
ALBORE LIVADIE - F. ORTOLANI, Bari, pp.<br />
477-492.<br />
IANNELLI M. A. - GALLO L. 2001, s.v. Salerno,<br />
in Bibliografia Topografica <strong>del</strong>la Colonizzazione<br />
Greca in Italia e nelle isole tirreniche, XVII, pp.<br />
206-225.<br />
IANNELLI M. A. 2005, Salerno. Indagini in loc.<br />
Sant’Eustacchio, in “Notiziario Soprintendenza<br />
Salerno”, 1, p. 7.<br />
ROMITO M. 1991, La villa romana di San<br />
Leonardo a Salerno. Nota sull’indagine archeologica,<br />
in “Apollo”, VII, pp. 23-26.<br />
SALTERNUM<br />
MAIO – IANNELLI – SCALA - SCARANO 2003,<br />
pp. 480-484.<br />
5 IANNELLI 2001, p. 211; DI MAIO –<br />
IANNELLI – SCALA - SCARANO 2003, pp. 484-<br />
486.<br />
6 IANNELLI 2005, p. 7: un errore tipografico<br />
impedisce di definire con certezza l’orientamento,<br />
che è qui formulato in via ipotetica,<br />
sulla base <strong>del</strong>la geomorfologia <strong>del</strong>l’area.<br />
7 ROMITO 1991.<br />
8 TOCCO SCIARELLI 2005, p. 566.<br />
9 Prot. N. 5002/21D <strong>del</strong> 3 dicembre 1976,<br />
fasc. 19/S <strong>del</strong>l’Archivio <strong>del</strong>la<br />
Soprintendenza Archeologica di Salerno.<br />
10 ROMITO 1996, p. 22.<br />
ROMITO M. 1996, I reperti di età romana da<br />
Salerno nel Museo <strong>Archeologico</strong> Provinciale <strong>del</strong>la<br />
città, Napoli.<br />
ROSSI A. 1999, Alcune considerazioni sul territorio<br />
di Salernum, in “Apollo”, XV, pp. 17-26.<br />
ROSSI A. 2000, Note sulla ricostruzione <strong>del</strong> paesaggio<br />
nel territorio <strong>del</strong>la colonia romana di<br />
Salernum, in Pompei, il Vesuvio e la Penisola<br />
Sorrentina, a cura di F. SENATORE, Roma, pp.<br />
259-288.<br />
SANTORIELLO A. - A. ROSSI 2006, Aspetti e<br />
problemi <strong>del</strong>le trasformazioni agrarie nella piana di<br />
Pontecagnano (Salerno): una prima riflessione, in<br />
“AION”, 11-12, n.s., (2004-2005), pp. 245-<br />
257.<br />
TOCCO SCIARELLI G. 2000, Rassegna archeologica<br />
<strong>del</strong>le attività <strong>del</strong>la Soprintendenza <strong>del</strong>le province<br />
- 142 -<br />
11 ROMITO 1991.<br />
12 TOCCO SCIARELLI 2000, pp. 920-923; EAD.<br />
2005, pp. 566-567.<br />
13 ROSSI 1999, pp. 277-279; ID. 2000;<br />
SANTORIELLO -ROSSI 2006, pp. 253-254.<br />
14 IANNELLI 2001.<br />
15 Alla situazione stratigrafica descritta per il<br />
settore 1 si aggiunga la notizia d’archivio<br />
<strong>del</strong>la distruzione <strong>del</strong>la tomba nel corso dei<br />
lavori di realizzazione <strong>del</strong>la stessa arteria<br />
stradale precedentemente citata.<br />
16 ROSSI 1999; ID. 2000; SANTORIELLO -<br />
ROSSI 2006.<br />
di Salerno, Avellino, Benevento, in Problemi <strong>del</strong>la<br />
chora coloniale dall’Occidente al Mar Nero, in<br />
Atti <strong>del</strong> XL Convegno di Studi sulla Magna<br />
Grecia, Taranto 2000, pp. 920-923.<br />
TOCCO SCIARELLI G. 2005, L’attività archeologica<br />
<strong>del</strong>la Soprintendenza <strong>del</strong>le province di Salerno,<br />
Avellino, Benevento nel 2004, in ‘Tramonto <strong>del</strong>la<br />
Magna Grecia’, Atti <strong>del</strong> XLIV Convegno di Studi<br />
sulla Magna Grecia, Taranto 2004, Taranto, pp.<br />
543-576.
Salerno.<br />
Approvvigionamento idrico nell’area picentina<br />
Nell’ambito dei lavori di realizzazione <strong>del</strong>l’impianto<br />
di compostaggio in Via A. De<br />
Luca a Salerno nelle adiacenze <strong>del</strong> fiume<br />
Picentino (Fig. 1), è stata individuata una struttura pertinente<br />
ad un acquedotto in elevato di epoca romana<br />
databile tra il I sec. a. C. ed il I sec. d. C. (fig. 2). L’area,<br />
distante 4 Km da Pontecagnano e 10 Km dal centro<br />
antico di Salernum, si inserisce in un sistema di divisione<br />
agraria per lo sfruttamento <strong>del</strong> territorio in epoca<br />
romana 1 .<br />
L’indagine, effettuata sull’intera area, non ha restituito<br />
nessuna traccia di evidenze archeologiche, ad<br />
eccezione <strong>del</strong>la zona orientale, dove il rinvenimento di<br />
tracce di tufo e frammenti di ceramica ha reso possibile<br />
intraprendere uno scavo sistematico.<br />
Lo scavo stratigrafico ha evidenziato nell’area la<br />
presenza di uno spesso strato di fango determinato<br />
probabilmente dai meandri <strong>del</strong> fiume Picentino. Esso<br />
sigillava i crolli pertinenti alla distruzione <strong>del</strong>l’acquedotto,<br />
che si conserva per m 24 di lunghezza e 3 circa<br />
di larghezza (fig. 3).<br />
L’acquedotto si presenta costituito da pilastri 2 in opus<br />
caementicium, da archi 3 e da travi 4 , rinvenuti in crollo sul<br />
versante meridionale <strong>del</strong>la struttura che era obliterata da<br />
uno strato di origine alluvionale, caratterizzato dalla<br />
presenza di lapillo riferibile all’eruzione <strong>del</strong> 79 d. C. La<br />
fondazione insiste su uno strato, costituito da lapillo di<br />
colore bruno, riferibile ad un’eruzione precedente quella<br />
<strong>del</strong> 79 d. C. e successiva all’Ignimbrite campana 5 .<br />
Dati tecnici<br />
Il tratto di acquedotto rinvenuto, si presenta orientato<br />
Est/Ovest (Nord 50° Est), ed è costituito da sei pilastri<br />
e cinque campate <strong>del</strong>l’ampiezza di m 3 ca. (fig. 5) 6 .<br />
La struttura in opus caementicium è caratterizzata da<br />
un paramento murario a doppia cortina, senza diatoni,<br />
composto da quattro filari in opus vittatum mixtum e, in<br />
DANIELA PIERNO<br />
- 143 -<br />
Fig. 1 - Fotogrammetrico <strong>del</strong>l’area.<br />
numero variabile da pilastro a pilastro a seconda <strong>del</strong>lo<br />
stato di conservazione, da filari di blocchetti di tufo<br />
squadrati legati con malta. Su alcuni pilastri è possibile<br />
riconoscere il peduccio, piano di imposta da cui si<br />
dipartivano le arcate.<br />
Il nucleo è caratterizzato dalla presenza di ciottoli,<br />
scarti di lavorazione di tufo legato con malta e tre<br />
anfore Dressel 2-4, equidistanti tra loro, disposte verticalmente<br />
con il puntale rivolto verso l’alto. È probabile<br />
che su ogni verticale ci fossero due anfore sovrapposte<br />
ed impilate una nell’altra.<br />
I paramenti sono coperti da una concrezione fitoclastica<br />
in travertino formatasi, probabilmente, a causa<br />
di una lunga permanenza in acqua <strong>del</strong>le strutture.<br />
I pilastri mostrano chiari segni di uno spostamento<br />
<strong>del</strong>l’asse in direzione S/O, attribuibile alla pressione<br />
esercitata da un’ondata di fango sulla struttura o da<br />
una violenta scossa tellurica (fig. 4). La fondazione su<br />
cui poggiavano i pilastri, è costituita da un allineamento,<br />
composto da due filari in ciottoli fluviali, privi di<br />
legante tra i singoli elementi 7 .<br />
La prima campata conserva la trave in crollo nel<br />
cui nucleo è posizionata un’anfora da trasporto Dressel
Fig. 2 - Panoramica <strong>del</strong>l’acquedotto visto dall’alto (foto L. Vitola).<br />
Fig. 3 - Ricostruzione prospettica <strong>del</strong>l’acquedotto romano (foto G. Zevolino).<br />
2-4 in posizione orizzontale, parzialmente conservata,<br />
utilizzata per alleggerire la struttura 8 . Invece, nella<br />
quinta campata si distingue un tratto di arco in crollo<br />
e un tratto <strong>del</strong>la trave con rivestimento in cocciopesto<br />
pertinente allo specus (fig. 5). Dal profilo rinvenuto si<br />
ipotizza che lo specus fosse a sezione rettangolare con<br />
probabile copertura a cappuccina, la quale doveva<br />
essere mobile e abbastanza ampia da essere accessibile<br />
sia per le periodiche operazioni di pulizia, testimoniate<br />
dalla presenza di agglomerati di travertino 9 di<br />
formazione fitoclastica di forma irregolare nelle<br />
immediate vicinanze, esito <strong>del</strong>la manutenzione, sia per<br />
le riparazioni essendo il rivestimento in cocciopesto<br />
un punto debole di queste costruzioni, facilmente soggetto<br />
a lesioni.<br />
Conclusioni<br />
Dalla lettura stratigrafica si evince che l’acquedotto<br />
sia stato costruito prima <strong>del</strong>l’eruzione vesuviana <strong>del</strong><br />
79 d. C. e che la sua distruzione potrebbe essere stata<br />
causata da un evento disastroso riconducibile ad un<br />
terremoto 10 . La struttura ormai abbandonata viene in<br />
seguito completamente obliterata da un evento allu-<br />
SALTERNUM<br />
- 144 -<br />
vionale successivo all’eruzione di Pompei 11 . In seguito<br />
alla completa distruzione <strong>del</strong>l’acquedotto e alla sua<br />
obliterazione, si registra un livello di abbandono <strong>del</strong>l’area<br />
e una dispersione dei materiali probabilmente<br />
dovuta ad azioni agricole che, nel corso degli anni,<br />
hanno interessato l’area.<br />
L’unica classe ceramica rinvenuta è costituita dalle<br />
anfore da trasporto Dressel 2-4, che oltre a fornire un<br />
ulteriore dato per la cronologia, costituisce anche una<br />
novità per il suo impiego all’interno <strong>del</strong> nucleo dei<br />
pilastri 12 , da mettere in relazione a motivi economici,<br />
in quanto l’utilizzo permetteva di risparmiare nell’uso<br />
di materiali per la costruzione 13 .<br />
Un altro aspetto rilevante è rappresentato dalla<br />
disponibilità di anfore da trasporto da riutilizzare, che<br />
costituisce una conferma circa la presenza nelle vicinanze<br />
di ville rustiche 14 .<br />
Il rinvenimento <strong>del</strong> tratto di acquedotto costituisce<br />
un dato importante, considerando la sua provenienza<br />
da Pontecagnano 15 e il suo asse orientato verso Sud-<br />
Ovest, ossia verso la fascia costiera . Non è da escludere<br />
che l’acquedotto potesse servire anche ad uso<br />
privato. Infatti, mentre in età repubblicana l’acqua era
considerata proprietà statale e destinata ad uso pubblico<br />
e solo il sopravanzo <strong>del</strong>le fontane poteva venir<br />
ceduto ai privati, in età imperiale, per il maggior volume<br />
a disposizione, l’acqua veniva con maggior larghezza<br />
concessa anche ai cittadini privati 16 .<br />
Appendice. Cenni storici sugli acquedotti<br />
di RAFFAELLA PISAPIA<br />
Il tracciato e la costruzione degli acquedotti rappresentavano<br />
un lavoro notevolmente complesso poiché<br />
si doveva tener conto sia <strong>del</strong>l’installazione topografica<br />
che <strong>del</strong>le distanze da percorrere. I primi acquedotti<br />
romani erano sotterranei per l’intero percorso<br />
come quello <strong>del</strong>l’aqua Appia nel 312 a. C. ad opera <strong>del</strong><br />
censore Appio Claudio – costruito in blocchi di tufo<br />
squadrati e giustapposti senza calce – che giungeva<br />
sotterraneo fino a Porta Capena, dove iniziava la rete<br />
di distribuzione. Il primo acquedotto sopraelevato,<br />
invece, fu quello <strong>del</strong>l’aqua Marcia nel 144 a. C. ad opera<br />
<strong>del</strong> pretore Marcius Rex 17 . L’importanza che i Romani<br />
davano all’approvvigionamento idrico è testimoniata,<br />
inoltre, da un trattato in materia ad opera di Sesto<br />
Giulio Frontino – De aquae ductu urbis Romae – <strong>del</strong> 98<br />
d. C. che ci dà informazioni riguardo gli acquedotti<br />
romani, la loro amministrazione e la legislatura che<br />
tutelava il funzionamento <strong>del</strong> servizio. L’acqua veniva<br />
trasportata sia per uso potabile che irriguo che industriale,<br />
captata da sorgenti o da fiumi e incanalata in un<br />
condotto, lo specus, che aveva una pendenza dolce e<br />
costante che variava a seconda <strong>del</strong>le caratteristiche <strong>del</strong><br />
percorso. A volte, i forti dislivelli potevano portare<br />
l’acqua ad una pressione troppo elevata, per cui era<br />
necessario un tracciato lungo e tortuoso. La pressione<br />
<strong>del</strong>l’acqua poteva inoltre essere regolata con saracinesche,<br />
o facendo correre in piano il condotto per un<br />
certo tratto nel punto più basso <strong>del</strong> sifone 18 . Lungo il<br />
percorso e nel punto di arrivo erano solitamente collocati<br />
dei serbatoi di dimensioni variabili, divisi in<br />
compartimenti intercomunicanti per la decantazione<br />
<strong>del</strong>l’acqua, così che potesse penetrare depurata nelle<br />
tubazioni cittadine 19 .<br />
DANIELA PIERNO<br />
- 145 -<br />
Fig. 4 - Particolare <strong>del</strong> pilastro con allettamento in ciottoli.<br />
Fig. 5 - Particolare <strong>del</strong>la campata <strong>del</strong>l’acquedotto.<br />
Glossario<br />
- opus caemeticium: muratura in pietrisco legata con<br />
malta.<br />
- diatoni: mattoni o blocchi di pietra posti perpendicolarmente<br />
allo sviluppo murario, cioè con il lato minore<br />
a vista; opposto di ortostati.<br />
- opus vittatum mixtum: rivestimento murario costituito<br />
da blocchetti quadrangolari disposti su filari orizzontali;<br />
opera definita mista in quanto il paramento presenta<br />
fasce alternate di pietre o tufelli e mattoni.<br />
- peduccio: piano di imposta da cui si dipartivano le<br />
arcate.<br />
- concrezione fitoclastica: formazione organica sorta<br />
per sedimentazioni successive dovute ad accumuli di<br />
materiale vegetale, caratterizzato da una notevole<br />
porosità.<br />
- specus: condotto attraverso il quale passava l’acqua.
Note<br />
1<br />
SANTORIELLO - ROSSI 2005, pp. 245-257<br />
2 I pilastri misurano m 1.80 x 0.95 all’interno<br />
<strong>del</strong> nucleo presentano l’inserimento di<br />
anfore da trasporto disposte verticalmente<br />
ed impilate con il puntale rivolto verso l’alto.<br />
3 Gli archi, rinvenuti in crollo, erano probabilmente<br />
costituiti in opera vittata mista<br />
con ricorsi verticali di laterizi. E’ significativo<br />
l’esempio <strong>del</strong> crollo <strong>del</strong>l’arco US 24,<br />
composto da blocchetti di tufo grigio di<br />
forma squadrata alternati a mattoni disposti<br />
in filari verticali (fig. 4), di cui si riconosce<br />
l’intradosso, che si alletta sullo strato alluvionale<br />
US 13, il quale, sopraggiungendo,<br />
ha contribuito alla demolizione <strong>del</strong>la struttura.<br />
4 La trave meglio conservata presenta il rivestimento<br />
in cocciopesto pertinente allo specus.<br />
5<br />
DE VIVO et Alii 2001; PAPPALARDO et Alii<br />
2002.<br />
6 La misura <strong>del</strong>l’interasse dei pilastri corrisponde<br />
al piede romano che misura 29,6<br />
cm.<br />
Bibliografia<br />
ADAM J. P. 1998, L’arte <strong>del</strong> costruire presso i<br />
Romani. Materiali e tecniche, Milano.<br />
ASHBY T. 1935, The aqueducts of ancient Rome,<br />
Oxford.<br />
CARRETTONI G. 1963, s.v. Acquedotto, in<br />
Enciclopedia <strong>del</strong>l’Arte Antica, Roma.<br />
DE FENIZIO C. 1916, Sulla portata degli antichi<br />
acquedotti romani e determinazione <strong>del</strong>la quinaria,<br />
in “Giornale <strong>del</strong> Genio Civile”, 54, Roma,<br />
pp. 277-331.<br />
DE VIVO B. - ROLANDI G. – GANS P. B. -<br />
CALVERT A. - BOHRSON W. A. - SPERA F. J.<br />
- BELKIN A. F. 2001, New contraints on the<br />
pyroplastic eruption history of the Campanian volcanic<br />
plane (Italy), in “Mineral. Petrol.”, 73,<br />
pp. 47-65.<br />
SALTERNUM<br />
7 Tale piano potrebbe essere stato usato<br />
come espediente tecnico per il drenaggio<br />
<strong>del</strong>l’acqua essendo l’area interessata da una<br />
falda acquifera probabilmente fin dai tempi<br />
antichi.<br />
8 GIULIANI 2006, p. 130; GROSS 2001;<br />
ASHBY 1935; LUGLI 1957; MUCCI 1995.<br />
9 Considerate le dimensioni <strong>del</strong>l’agglomerato<br />
(cm 70 x 50) si ipotizza possa riferirsi ad<br />
un accumulo volontario durante le operazioni<br />
di pulizia periodica <strong>del</strong>lo specus.<br />
10 La devastante esplosione <strong>del</strong> 79 d. C. fu<br />
anticipata da un intensificarsi <strong>del</strong>l’attività<br />
sismica, che a partire dal 62, come è attestato<br />
nelle fonti, sconvolge la Campania<br />
(Seneca, Nat. Quaest. 6,2; Tacito, Annales 15,<br />
22).<br />
11 Nel crollo si rinviene la presenza di lapillo,<br />
probabilmente in giacitura secondaria.<br />
12 Inizialmente si è pensato che inserendo<br />
<strong>del</strong>le anfore nei pilastri avrebbero perso stabilità,<br />
ma l’altezza <strong>del</strong> pilastro, un metro da<br />
terra al piano d’imposta <strong>del</strong>la volta <strong>del</strong>l’arco,<br />
ha eliminato ogni dubbio.<br />
GIGLIO M. 2005, L’occupazione <strong>del</strong>l’ager<br />
Picentinus in epoca imperiale alla luce dei nuovi<br />
dati dalla necropoli Colucci, in “AION StAnt”,<br />
n.s. 11-12, pp. 301-348.<br />
GIULIANI F. 2006, L’edilizia nell’antichità,<br />
Roma.<br />
GROSS P. 2001, L’architettura Romana,<br />
Milano.<br />
LE PERA S. 1999, Come costruivano gli antichi<br />
Romani. Brevi note di tecnica edilizia, Roma.<br />
LUGLI G. 1957, La tecnica edilizia romana con<br />
particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma.<br />
MUCCI A. 1995, Il sistema degli antichi acquedotti<br />
romani, Roma.<br />
- 146 -<br />
13 Nel caso <strong>del</strong>le travi l’uso di anfore è ben<br />
attestato: esse erano utilizzate per motivi<br />
strutturali probabilmente per alleggerire il<br />
peso <strong>del</strong>le strutture.<br />
14<br />
GIGLIO 2005, pp. 301-348.<br />
15 Va ricordato che negli anni ‘90 <strong>del</strong> XX<br />
sec. durante la costruzione di un sottopasso<br />
ferroviario nei pressi <strong>del</strong>la Stazione FS di<br />
Pontecagnano fu rinvenuto un tratto di<br />
acquedotto una cui diramazione si dirigeva<br />
verso la fascia costiera (cfr. GIGLIO 2005, p.<br />
315).<br />
16<br />
FRONTINO, De acque ductu urbis Romae, 94-<br />
99.<br />
17<br />
ADAM 1998, pp. 261-262; DE FENIZIO<br />
1954, pp. 277-331; LE PERA 1999.<br />
18<br />
VITRUVIO, De Architettura VIII, 6, 5-6.<br />
19<br />
CARRETTONI 1963, p. 38.<br />
PAPPALARDO L. – PIOCHI M. - D’ANTONIO<br />
M. - CIVETTA L. - PETRINI R. 2002, Evidence<br />
for multi-stage magmatic evolution during the past<br />
60 kyr at Campi Flegrei (Italy) deduced from Sr,<br />
Nd and Pb isotope data, in “Journ. Petrol.”, 43,<br />
pp. 1415-1434.<br />
SANTORIELLO A. - ROSSI A. 2005, Aspetti e<br />
problemi <strong>del</strong>le trasformazioni agrarie nella Piana<br />
di Pontecagnano (Salerno): una prima riflessione,<br />
in “AION StAnt”, n.s. 11-12, pp. 245-257.
AMEDEO ROSSI<br />
Area <strong>del</strong> Termovalorizzatore di Salerno:<br />
notizie preliminari <strong>del</strong>lo scavo archeologico<br />
Introduzione 1<br />
Le indagini di impatto archeologico nell’area <strong>del</strong><br />
Termovalorizzatore sono state eseguite, sotto<br />
l’alta vigilanza <strong>del</strong>la Soprintendenza per i Beni<br />
archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta,<br />
dal Dipartimento di Beni Culturali <strong>del</strong>l’Università di<br />
Salerno, ai sensi di una specifica convenzione stipulata<br />
con l’Amministrazione Comunale di Salerno.<br />
Lo scavo è stato condotto sotto la direzione scientifica<br />
<strong>del</strong> prof. Luca Cerchiai e con il coordinamento<br />
sul campo di chi scrive, con l’assistenza tecnico-scientifica<br />
<strong>del</strong>le dott.sse M. Viscione e C. Regis, coadiuvate<br />
dai dott.ri M. Barone, G. De Chiara, L. Mirabella, N.<br />
Villani; allo scavo hanno partecipato gli allievi <strong>del</strong>la<br />
Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici<br />
<strong>del</strong>l’Università degli Studi di Salerno.<br />
Metodi e strategie di intervento<br />
L’area interessata dalla costruzione <strong>del</strong> Termovalorizzatore<br />
è ubicata nel territorio comunale di<br />
Salerno, tra le località Boscariello, Sardone e Cupa di<br />
Siglia, nel punto di confine ad Ovest con il comune di<br />
S. Cipriano Picentino e a Est e a Nord con il comune<br />
di Giffoni Valle Piana.<br />
L’esplorazione archeologica preventiva si è svolta<br />
in due fasi: tra il mese di Agosto <strong>del</strong> 2008 e il Marzo<br />
<strong>del</strong> 2009 si è effettuata l’indagine sistematica <strong>del</strong> settore<br />
interessato dal tracciato viario previsto a sostituzione<br />
<strong>del</strong>la Strada Provinciale SP n. 25 (successivamente<br />
denominato: settore viabilità - Zona C); dal Marzo<br />
all’Agosto <strong>del</strong> 2009 si è verificato l’impatto archeologico<br />
nella zona di sedime <strong>del</strong>l’impianto <strong>del</strong> termovalorizzatore<br />
(successivamente denominato: settore termovalorizzatore<br />
- Zona A) (fig. 1).<br />
Lo scavo nel settore viabilità, sviluppato per una lunghezza<br />
totale di m 500 e una larghezza compresa tra<br />
m 12 e m 14, è iniziato dall’estremità meridionale <strong>del</strong><br />
- 147 -<br />
Fig. 1 - Salerno. Monte Vetrano. Le aree di scavo: Viabilità e Termovalorizzatore.<br />
tracciato, interessando la superficie a Sud <strong>del</strong> viale di<br />
ingresso alla Masseria Cioffi, per prolungarsi progressivamente<br />
in direzione Nord, risalendo il pendio collinare:<br />
esso è stato organizzato mediante una rete di<br />
saggi a scacchiera (m 5×5), in seguito ai quali si è proceduto<br />
all’esplorazione sistematica, con trincee di ca.<br />
m 30×4 e alla bonifica estesa <strong>del</strong>le aree risultate interessate<br />
dalle preesistenze archeologiche.<br />
Le dimensioni e la collocazione dei saggi sono stati<br />
condizionati, in talune aree, dalle misure di sicurezza<br />
imposte dalla presenza dalle scarpate <strong>del</strong>la SP n. 25 e<br />
dalla presenza di un cavo elettrico sul terrazzo interessato<br />
dalle trincee 4 e 5 2 .
Fig. 2 - Salerno. Monte Vetrano. Saggio 4. La struttura abitativa <strong>del</strong> Neolitico - a)<br />
QB2,US 83; b) QC2,US 98; c) QC2,US 41B; d) S4-QF3,US 83; S4-QC2,US 41B –<br />
industria litica.<br />
Lo scavo nel settore termovalorizzatore ha interessato<br />
un terrazzo fluviale prospiciente l’alveo <strong>del</strong> Picentino<br />
ed è consistito nell’esecuzione di cinque trincee finalizzate<br />
all’accertamento <strong>del</strong> rischio archeologico nel<br />
settore dedicato alla costruzione <strong>del</strong>l’impianto di<br />
smaltimento dei rifiuti (trincee 14, 15, 16, 19 e 17) 3 . Le<br />
trincee sono state ubicate in rapporto ai carotaggi e<br />
alla ricognizione archeologica che nella fase preventiva<br />
avevano segnalato presenze di tipo archeologico 4 .<br />
Esse hanno consentito di campionare la stratigrafia<br />
archeologica su gran parte <strong>del</strong> terrazzo per un’estensione<br />
complessiva di 10400 mq 5 . Di seguito si fornisce<br />
una sintesi preliminare dei risultati conseguiti negli<br />
scavi condotti nei settori viabilità e termovalorizzatore,<br />
organizzati secondo ampi tagli cronologici, analizzando<br />
le fasi di occupazione <strong>del</strong>l’area a partire da quelle<br />
più antiche 6 .<br />
Età Neolitica<br />
Le prime tracce insediative sono state rinvenute nel<br />
settore viabilità (trincee 2, 4-5) al di sopra di un terrazzo<br />
morfologico in leggera pendenza verso Sud-Est 7 . E’<br />
stato messo in luce un limitato settore relativo ad un<br />
SALTERNUM<br />
- 148 -<br />
insediamento <strong>del</strong> Neolitico Medio-Finale, inseribile in<br />
una fase di passaggio tra le facies culturali di ‘Serra<br />
d’Alto’ e ‘Diana’. L’insediamento è situato in posizione<br />
elevata, dominante il corso <strong>del</strong> fiume Picentino: di<br />
esso sono stati messi in luce una capanna, alcuni focolari<br />
e aree di combustione, riconoscibili soprattutto<br />
all’esterno <strong>del</strong>la struttura abitativa; sono documentate<br />
almeno due ampie fasi, separate da uno spesso strato<br />
di abbandono composto da un deposito limo-argilloso<br />
di origine colluviale 8 .<br />
Nella fase più antica la capanna è di forma ovale ed<br />
occupa una superficie con ampiezze massime comprese<br />
tra m 9,40 e m 6,40 9 : essa si presentava leggermente<br />
in pendenza verso Est ed era <strong>del</strong>imitata da un allineamento<br />
esterno di buche di palo (almeno 7 documentate<br />
nell’area indagata), provviste, di solito, di<br />
paletti di sostegno laterale. All’interno è possibile individuare<br />
una diversificazione funzionale degli spazi:<br />
nella zona settentrionale <strong>del</strong>la struttura è stata evidenziata<br />
un’area di combustione composta da un focolare<br />
e dai resti di un piccolo forno 10 , di cui si conservava il<br />
crollo <strong>del</strong>l’alzato in concotto (fig. 2).<br />
I reperti sono rappresentati da contenitori per derrate,<br />
tazze e recipienti sia d’impasto sia in argilla figulina,<br />
caratterizzati da anse a nastro e a rocchetto pieno<br />
e vuoto. I caratteri morfologici e tipologici rimandano<br />
a una fase di passaggio tra le culture di ‘Serra d’Alto’ e<br />
<strong>del</strong>la facies di ‘Diana’ (fig. 7. a-b, c-d). Tra i materiali<br />
recuperati si segnala una testina fittile femminile, probabilmente<br />
terminale <strong>del</strong>l’appendice plastica di un<br />
vaso, recuperata all’interno <strong>del</strong>lo strato colluviale che<br />
oblitera la più antica fase di vita <strong>del</strong>la capanna (fig. 3) 11 .<br />
A circa m 50 a Nord <strong>del</strong>la capanna 12 , ad una profondità<br />
di m 3 dal piano di campagna, sono state individuati<br />
solchi di aratura incrociati, riferibili ad attività<br />
agricole, probabilmente in fase con l’abitazione 13 . Le<br />
arature sono state individuate su uno strato eruttivo di<br />
colore bianco-giallastro composto da ceneri e pomici,<br />
identificabile con la cd. eruzione <strong>del</strong>le ‘Pomici di<br />
Mercato’ (VI millennio a. C.) 14 .<br />
Nella stratigrafia sottostante il settore interessato<br />
dalla struttura abitativa è stato rinvenuto un paleosuolo<br />
limo-argilloso con abbondanti tracce di frustuli carboniosi,<br />
da riferire con ogni probabilità ad un incendio<br />
<strong>del</strong>la vegetazione boschiva che ha preceduto l’insediamento.<br />
L’evento potrebbe costituire l’esito di<br />
un’azione volontaria di disboscamento finalizzata<br />
all’acquisizione di terra, inserendo l’insediamento di
Monte Vetrano nel sistema di<br />
sfruttamento <strong>del</strong> territorio, già<br />
altrove ampiamente attestato, che<br />
prevede continui spostamenti<br />
degli abitati lungo i corsi d’acqua<br />
e nei punti di controllo <strong>del</strong>le vie<br />
naturali di comunicazione, per<br />
un’occupazione legata ad un uso<br />
intensivo dei suoli agricoli 15 .<br />
Età <strong>del</strong> Bronzo<br />
Consistenti tracce insediative<br />
<strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo sono state<br />
scoperte sia nel settore viabilità sia<br />
nel settore termovalorizzatore.<br />
Nel primo, nella parte sud <strong>del</strong>la<br />
trincea 5, è stato individuato un<br />
canale largo ca. m 8 <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong><br />
Bronzo Medio (Protoappeninico<br />
B) 16 , ricavato entro uno strato colluviale<br />
che ricopre il paleosuolo di<br />
frequentazione di Età Neolitica.<br />
La struttura, certamente artificiale,<br />
è orientata secondo le linee di<br />
pendenza naturali, è composta da<br />
4 solchi di corrivazione più piccoli,<br />
colmati da apporti naturali ad<br />
alta e bassa energia, che lo hanno<br />
riempito progressivamente, ed è<br />
obliterato da materiale piroclastico<br />
rimaneggiato che, sulla base<br />
<strong>del</strong>le analisi chimiche, potrebbe<br />
collocarsi tra le eruzioni ischitane<br />
databili al Bronzo Medio-Recente 17 (fig. 4).<br />
Nel settore termovalorizzatore, nell’area <strong>del</strong>la trincea<br />
17, è stato messo in luce un eccezionale apprestamento<br />
monumentale: la rilevanza <strong>del</strong>la scoperta e le necessità<br />
di definire la natura e l’ampiezza <strong>del</strong> complesso<br />
archeologico hanno determinato l’ampliamento <strong>del</strong>lo<br />
scavo per una superficie complessiva di circa m² 600 18 .<br />
Il complesso archeologico è situato sul terrazzo<br />
lambito dal paleoalveo <strong>del</strong> fiume Picentino: esso presenta<br />
una pendenza da Ovest verso Est e si articola<br />
morfologicamente in due settori: quello superiore<br />
sfrutta un’ampia conoide composta da argilla alluvionale<br />
e, sui margini orientali, da un modesto banco di<br />
tufo grigio (Ignimbrite Campana) che copriva altri<br />
apporti piroclastici più antichi; quello inferiore digra-<br />
AMEDEO ROSSI<br />
Fig. 3 - Salerno. Monte Vetrano. Saggio 4. Testina fittile (Q<br />
D2, US 41B).<br />
Fig. 4 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 5, area di scavo <strong>del</strong><br />
canale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo; A) vista da Nord-Est <strong>del</strong> canale; B)<br />
particolare <strong>del</strong> canale.<br />
- 149 -<br />
da su una paleosuperficie di origine<br />
vulcanica che l’erosione <strong>del</strong><br />
banco tufaceo aveva messo a<br />
nudo 19 .<br />
Il salto di quota era attraversato<br />
da un modesto corso d’acqua<br />
che, con una notevole pendenza,<br />
discendeva probabilmente verso<br />
l’alveo fluviale: al passaggio tra<br />
Bronzo Antico e Medio, esso è<br />
allargato e regolarizzato artificialmente<br />
in una sorta di canale che<br />
drena le acque provenienti da<br />
monte.<br />
Il canale è caratterizzato da un<br />
profilo discontinuo, con pareti<br />
verticali e fondo piatto concavo, e<br />
borda con la sponda occidentale<br />
il terrazzo composto dal banco di<br />
tufo 20 . La profondità <strong>del</strong> canale è<br />
stata accertata solo in un saggio<br />
di approfondimento (Q D3) dove<br />
raggiunge la quota di m -2,50<br />
rispetto alla sponda ovest (fig. 5).<br />
Lo scavo ha consentito di<br />
distinguere le fasi d’uso <strong>del</strong> canale<br />
e i successivi riempimenti<br />
dovuti al passaggio d’acqua e al<br />
disfacimento <strong>del</strong>le pareti che<br />
hanno, in parte, colmato l’invaso,<br />
condizionando il deflusso <strong>del</strong>le<br />
acque. Su questi strati, nel tratto<br />
sud <strong>del</strong> canale, sono state messe<br />
in luce alcune stele infisse lungo i bordi e la parte<br />
mediana <strong>del</strong> corso d’acqua: esse presentano una forma<br />
pressoché tronco-piramidale (in media cm 30 x 40 x<br />
60) e sono realizzate sia in tufo grigio sia in un impasto<br />
realizzato con polvere di tufo integrata, probabilmente,<br />
con argilla e materiale piroclastico (fig. 6).<br />
Nella porzione probabilmente prossima alla confluenza<br />
con il paleoalveo <strong>del</strong> Picentino (QQ A2, B1,<br />
B2, C2, C3), il letto <strong>del</strong> canale è obliterato da un imponente<br />
crollo di blocchi e scaglie di tufo, pertinente a<br />
strutture realizzate in blocchi di tufo, che erano ubicate<br />
sul terrazzo immediatamente sovrastante la sponda<br />
occidentale, costituita dal banco tufaceo affiorante.<br />
Su di esso sono state riconosciute le tracce di almeno<br />
due strutture circolari: una (Unità B) consiste in
una cavità ipogeica, all’interno <strong>del</strong>la quale sono stati<br />
rinvenuti due pozzetti destinati a contenere acqua o a<br />
conservare derrate; l’altra (Unità A) è segnalata solo da<br />
alcuni intagli semicircolari praticati nel banco tufaceo,<br />
che potrebbero essere interpretati come una sorta di<br />
cavo di fondazione.<br />
Le strutture cui appartiene il crollo dei blocchi,<br />
per forma e dimensione, potevano presentare un<br />
Fig. 5 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Crollo dei blocchi visto da Est.<br />
Fig. 6 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Area <strong>del</strong>le stele.<br />
Fig. 7 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Selezione di alcuni materiali dal crollo<br />
dei blocchi: A) tazza - US 296. QC3; B) Macina in pietra lavica - US 349; C) Sostegno<br />
a clessidra - US298.QC3; D) tazza - US311b.2 QC3; E) Tazza – Q.C3.<br />
SALTERNUM<br />
- 150 -<br />
alzato di forma troncoconica 21 : in seguito all’abbandono<br />
<strong>del</strong> canale e <strong>del</strong>l’area monumentale, l’azione<br />
<strong>del</strong>l’acqua avrebbe eroso le sponde, provocandone il<br />
crollo all’interno <strong>del</strong>l’invaso 22 . Sulla parte superiore<br />
dei crolli e in alcuni punti <strong>del</strong> canale - anche presso<br />
le stele - sono stati recuperate alcune tazze carenate<br />
e alcuni frammenti di olle cordonate, oltre ad una<br />
macina in pietra lavica, che collocano tra l’Età <strong>del</strong><br />
Bronzo Antico (facies Palma Campania) e Medio I la<br />
fase di vita <strong>del</strong> complesso monumentale 23 (fig. 7).<br />
Sebbene sia difficile precisarne la funzione 24 , è evidente<br />
che la prossimità <strong>del</strong> canale, e quindi il ruolo<br />
svolto dall’acqua, assumano una funzione di assoluta<br />
importanza sia rispetto alla deposizione <strong>del</strong>le stele sia<br />
in relazione alla costruzione <strong>del</strong>le strutture circolari,<br />
che potrebbero configurarsi come strutture abitative<br />
o come apprestamenti destinati ad attività di culto<br />
funerario 25 o legato alle acque. Quest’ultima interpretazione<br />
sembrerebbe la più evidente, vista la presenza<br />
dei pozzetti nell’Unità B e di materiali rinvenuti<br />
quasi integri o ricomponibili nei pressi <strong>del</strong>le strutture<br />
e <strong>del</strong>le stele 26 .<br />
Sulla costa tirrenica peninsulare il complesso<br />
monumentale di Monte Vetrano resta privo di confronti.<br />
Esso rappresenta la traccia consistente di un<br />
importante insediamento collocato sulla sponda <strong>del</strong><br />
Picentino, nel punto in cui il letto <strong>del</strong> fiume si amplia<br />
e la morfologia sembra favorire la presenza di un<br />
approdo fluviale.<br />
Questa significativa emergenza si inserisce nel<br />
quadro di una occupazione <strong>del</strong> territorio picentino<br />
complessa e non sempre confortata da dati sistematici.<br />
Indizi di abitati e/o aree di frequentazioni risalenti<br />
al Bronzo Medio sono attestati nella zona tra S.<br />
Leonardo e Fuorni di Salerno, sull’altura di Acqua<br />
de’ Pazzi 27 . Ad essi si aggiungono i siti più distanti<br />
<strong>del</strong>la piana, ubicati sulle colline di Montedoro di<br />
Eboli e nelle località Serroni e Castelluccia di<br />
Battipaglia 28 . Analogamente a quanto sembra verificarsi<br />
a Monte Vetrano, anche in questi casi si privilegiano<br />
le aree lungo i corsi fluviali che mettono in<br />
comunicazione la piana e l’entroterra: aree in altura<br />
naturalmente difendibili, ma anche situate in posizioni<br />
strategiche 29 , secondo un sistema insediativo<br />
che conosce uno sviluppo maggiore dal Bronzo<br />
Recente, quando il fenomeno investe la stessa<br />
Pontecagnano 30 .
Età <strong>del</strong> Ferro/Orientalizzante<br />
Dopo un prolungato intervallo,<br />
la ripresa <strong>del</strong>l’occupazione<br />
interviene in un ristretto arco di<br />
tempo compreso tra un momento<br />
avanzato <strong>del</strong>la prima Età <strong>del</strong><br />
Ferro (fase II di Pontecagnano) e<br />
l’Orientalizzante Antico, fino<br />
allo scorcio <strong>del</strong>l’VIII sec. a. C.<br />
Tale fase è documentata in<br />
entrambi i settori viabilità e termovalorizzatore<br />
dal rinvenimento di<br />
sepolture, a cui può aggiungersi<br />
un canale-alveo largo circa m 3,<br />
rinvenuto alla base <strong>del</strong> colle nel<br />
settore viabilità (saggio 6). Il canale<br />
era riempito da ciottoli conglomeratici<br />
e da rare scaglie tufacee<br />
ed ha restituito materiali ceramici<br />
databili genericamente tra l’Età<br />
<strong>del</strong> Ferro e l’Orientalizzante.<br />
Nel settore viabilità un primo<br />
gruppo di sepolture è stato individuato<br />
nel saggio 4 e nella trincea 5<br />
ed è costituito da 12 tombe, cui si<br />
aggiungono numerosi materiali<br />
sporadici, residui di tombe distrutte<br />
da arature meccaniche che hanno<br />
sconvolto in profondità la stratigrafia<br />
(fig. 8) 31 . La necropoli sembra<br />
essere l’estensione a valle di quella<br />
rinvenuta dagli scavi per il metanodotto<br />
32 : nel settore indagato dalla<br />
Soprintendenza l’ampio sepolcreto<br />
risulta articolato in lotti funerari<br />
distinti da spazi liberi, talora marcati<br />
da confini 33 .<br />
Anche nel settore viabilità le tombe<br />
occupano un lotto definito sul margine<br />
orientale da un muretto di<br />
recinzione costruito in ciottoli fluviali<br />
34 ; dall’altra parte il lotto si estende<br />
oltre i limiti imposti dallo scavo.<br />
Le tombe, orientate in senso<br />
Nord-Est/Sud-Ovest oppure in<br />
senso Sud-Est/Nord-Ovest, presentano<br />
il defunto deposto supino<br />
in una fossa rettangolare, rivestita e<br />
AMEDEO ROSSI<br />
Fig. 8 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 4-Trincea 5. Viabilità.<br />
Planimetria necropoli Età <strong>del</strong> Ferro/Orientalizzante Antico.<br />
Fig. 9 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 4-Trincea 5.<br />
La T. 104 in corso di scavo e alcuni materiali.<br />
Fig. 10 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 4-Trincea 5.<br />
Lo scarabeo.<br />
- 151 -<br />
coperta da ciottoli fluviali 35 ,<br />
dalle dimensioni molto ampie,<br />
per accogliere il corredo collocato<br />
ai piedi (fig. 9).<br />
Nel ridotto campione esplorato<br />
le sepolture sembrano<br />
aggregarsi per classi d’età: più a<br />
Sud si rinvengono le sepolture<br />
degli adulti, probabilmente tutte<br />
di genere femminile (TT. 104,<br />
108, 109 36 ), più a Nord, oltre<br />
uno spazio libero, si collocano<br />
le sepolture di giovani di<br />
entrambi i sessi (TT. 107, 110,<br />
112, 114) e, ancora più a Nord,<br />
le sepolture degli infanti (TT.<br />
106, 113); ad Ovest di queste<br />
ultime deposizioni dovevano<br />
situarsi alcune sepolture sconvolte<br />
dalle arature, da cui provengono<br />
materiali inseribili nella fase<br />
IIB di Pontecagnano e uno scarabeo<br />
<strong>del</strong> Lyre Player Group, recante<br />
un’eccezionale rappresentazione di<br />
danza intorno ad una grande anfora<br />
da trasporto, ugualmente databile<br />
intorno alla metà/terzo venticinquennio<br />
<strong>del</strong>l’VIII sec. a. C. 37 (fig. 10).<br />
Al margine settentrionale <strong>del</strong><br />
lotto, infine, risaltava isolata l’unica<br />
tomba ad incinerazione in pozzetto<br />
(T. 111) che chiude il gruppo di<br />
tombe e, forse, l’intera area di<br />
necropoli su questo versante.<br />
Nel settore termovalorizzatore sono<br />
state individuate altre 15 tombe (14 a<br />
inumazione e una ad incinerazione),<br />
aggregate intorno all’area monumentale<br />
<strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo che, evidentemente,<br />
continuava a marcare il territorio<br />
perifluviale, essendo avvertita<br />
come un segno particolarmente<br />
significativo nella demarcazione <strong>del</strong><br />
paesaggio (fig. 11).<br />
Le sepolture erano collocate sia<br />
all’interno <strong>del</strong> canale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong><br />
Bronzo sia lungo le sponde e in corrispondenza<br />
<strong>del</strong>l’area <strong>del</strong> crollo <strong>del</strong>le
Fig. 11 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Termovalorizzatore. Planimetria<br />
necropoli Età <strong>del</strong> ferro/Orientalizzante Antico.<br />
Fig. 12 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. A) La T. 125 in corso di scavo; B)<br />
Particolare <strong>del</strong>l’olla di corredo in corso di scavo; C) L’olla d’impasto – US 222.1; D)<br />
Panoramica <strong>del</strong>l’area <strong>del</strong> tumulo (?) da Nord-Ovest.<br />
strutture circolari, che è in parte rimaneggiato quasi a<br />
costituire un sorta di tumulo.<br />
Anche in quest’area le tombe, orientate generalmente<br />
Nord-Est/Sud-Ovest 38 , erano in gran parte<br />
caratterizzate dalla copertura e, talora, anche dalla<br />
fodera in ciottoli, ma, a differenza <strong>del</strong> settore viabilità, le<br />
fosse erano di dimensioni più ridotte, per contenere<br />
esclusivamente il cadavere e tendevano ad associarsi in<br />
coppia 39 . Un’altra significativa differenza rispetto al set-<br />
SALTERNUM<br />
- 152 -<br />
tore viabilità è costituita dalla composizione <strong>del</strong> corredo,<br />
caratterizzato prevalentemente dal solo ricorso<br />
degli oggetti di ornamento personale (fibule, collane<br />
con vaghi in ambra, orecchini) 40 . In questo settore<br />
significativa è la coppia costituita dalle TT. 127 e 125,<br />
disposta al centro <strong>del</strong> letto <strong>del</strong> canale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong><br />
Bronzo.<br />
La T. 127 si colloca al centro di una sorta di tumulo,<br />
realizzato nella zona tra le TT. 127, 125 e 117 rimaneggiando<br />
il crollo <strong>del</strong>le strutture monumentali<br />
<strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo: il carattere intenzionale <strong>del</strong>la<br />
sistemazione è comprovata dalla deposizione di un’olla<br />
d’impasto, probabile spia di un rituale effettuato in<br />
rapporto all’apprestamento (fig. 12). La T 127 presenta<br />
inoltre una struttura tombale complessa, con l’uso<br />
di ciottoli di notevoli dimensioni sia nella copertura in<br />
terra e scaglie tufacee sia lungo i bordi. Al suo interno<br />
era deposto un adulto di genere femminile con il<br />
capo a Nord-Ovest, accompagnato da un ricco servizio<br />
ceramico disposto lungo il fianco destro: un’anfora<br />
41 , uno sco<strong>del</strong>lone, una coppa biansata 42 e un’olla di<br />
impasto, cui si aggiunge, deposta presso il lato sinistro<br />
<strong>del</strong> capo, una coppa di argilla con decorazione geometrica<br />
di produzione indigena 43 . La defunta, adorna di<br />
una ricca parure composta da fibule ad arco rivestito e<br />
orecchini con pendagli in ambra, indossava una veste<br />
ricoperta da centinaia di cuppelle e anellini in bronzo<br />
(fig. 13).<br />
La T. 125 è un bustum, <strong>del</strong>imitato da contorni di<br />
concotto e legno combusto (fig. 12). La fossa in cui è<br />
ricavata la sepoltura è orientata Nord-Est/Sud-Ovest.<br />
Nella metà settentrionale sono state rinvenute un’olla<br />
di impasto e una fusaiola a sezione piano-convessa<br />
con contorno poligonale. Nella metà meridionale,<br />
invece, sono state trovate concentrazioni di ossa combuste.<br />
In base ai dati recuperati nel corso <strong>del</strong>lo scavo di<br />
questi due settori di necropoli è possibile <strong>del</strong>ineare<br />
alcune riflessioni.<br />
L’avvio di entrambi i sepolcreti è da collocare nell’ambito<br />
<strong>del</strong>la II Fase di Pontecagnano, intorno alla<br />
metà <strong>del</strong>l’VIII sec. a. C.: indicative sono le fibule a sanguisuga<br />
a staffa simmetrica (T. 120) o breve e quelle ad<br />
arco serpeggiante con molla e ardiglione bifido, rinvenute,<br />
nel caso <strong>del</strong>la T. 110, in associazione con un<br />
attingitoio, una tazza d’impasto e due brocche di argilla<br />
con decorazione lineare; ad esse si aggiungono quel-
le di tipo siciliano <strong>del</strong>la T. 130 che presentava anche tre<br />
fibule a quattro spirali in bronzo, che potrebbero essere<br />
anche un po’ più antiche, dal momento che la sepoltura<br />
risultava tagliata da una tomba (T. 129) con fibula<br />
ad arco serpeggiante <strong>del</strong> tipo con piegatura a gomito<br />
<strong>del</strong>la fase II di Pontecagnano (fig. 14) 44 . Allo stesso<br />
momento in cui nasce il sepolcreto può essere attribuita<br />
l’incinerazione in calderone di bronzo (T. 111)<br />
che richiama mo<strong>del</strong>li di ascendenza euboica, sia pure<br />
filtrati attraverso la mediazione indigena, evidente<br />
nella composizione <strong>del</strong> corredo.<br />
Entrambi i sepolcreti sembrano esaurirsi entro l’inizio<br />
<strong>del</strong>l’Orientalizzante, prima <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong>l’VIII<br />
sec. a. C.: indicative di quest’ultima fase sono nel nucleo<br />
viabilità la T. 114, e in quello termovalorizzatore la T. 127.<br />
Mentre dal punto di vista <strong>del</strong>la distribuzione topografica<br />
la necropoli nel settore viabilità sembra essere l’estensione<br />
di quella rinvenuta dagli scavi per il metanodotto<br />
e intercettata più a monte, le sepolture rinvenute<br />
nell’area <strong>del</strong> termovalorizzatore sembrano distinte dal<br />
settore principale <strong>del</strong>la necropoli e sono disposte in<br />
rapporto al canale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo, valorizzandone<br />
probabilmente la funzione di marca <strong>del</strong> paesaggio.<br />
La distribuzione <strong>del</strong>le necropoli tra Età <strong>del</strong> Ferro<br />
e Orientalizzante antico intorno alle pendici <strong>del</strong>le colline<br />
di Monte Vetrano sembra indicarlo come l’area<br />
destinata all’abitato, di cui resta, però, ancora difficile<br />
precisare l’articolazione topografica: sicuramente il<br />
colle ha svolto un ruolo significativo nell’organizzazione<br />
<strong>del</strong>l’insediamento, ma non è escluso che questo<br />
potesse anche distribuirsi lungo le pendici in più<br />
nuclei, due dei quali, per la conformazione morfologica<br />
favorevole, potrebbero identificarsi, a Sud, sulla<br />
piccola altura tra loc. Fontanella e Torre dei Rossi e, a<br />
Nord, su quella ad Ovest di Porte di Ferro 45 .<br />
Attraverso la composizione dei corredi, la comunità<br />
di Monte Vetrano si configura come una compagine<br />
di carattere aperto, con elementi che richiamano<br />
l’entroterra picentino permeato <strong>del</strong>la cultura di<br />
Oliveto Citra - Cairano 46 , la Valle <strong>del</strong> Sarno e la piana<br />
campana, ma di cui è soprattutto evidente l’apertura<br />
verso una componente emporica greca e orientale 47 .<br />
Questa dimensione culturale complessa matura mentre<br />
contemporaneamente il vicino insediamento villanoviano<br />
di Pontecagnano si avvia ad assumere un<br />
ruolo centrale nella gestione degli scambi lungo la<br />
rotta costiera verso l’Etruria e con il mondo greco,<br />
attraverso il punto di approdo costituito dalla laguna<br />
AMEDEO ROSSI<br />
- 153 -<br />
<strong>del</strong> Lago Piccolo, dove si sviluppa il centro di loc.<br />
Masseria Casella 48 . I tratti culturali emersi nella necropoli<br />
di Monte Vetrano, sebbene più complessi ed aperti,<br />
paiono condivisi anche in altre realtà coeve<br />
<strong>del</strong>l’Agro Picentino e <strong>del</strong>la Piana <strong>del</strong> Sele e sembrano<br />
accomunarla a quel sistema di approdi presente lungo<br />
la fascia costiera tra il Sele e la foce <strong>del</strong> Picentino 49 .<br />
Fig. 13 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. A) La T. 127 in corso di scavo; B-C)<br />
alcuni ornamenti. D-F): alcuni oggetti <strong>del</strong> corredo vascolare; [D) anfora d’impasto; E)<br />
coppa di impasto; F) coppa con dec. geometrica].<br />
Fig. 14 - Salerno. Monte<br />
Vetrano. Trincea 17.<br />
A) La T. 129 in corso di<br />
scavo e fibula ad arco<br />
serpeggiante.<br />
B) Fibule a quattro spirali,<br />
in bronzo, dalla T. 130.<br />
(A)
Fig. 15 - Salerno. Monte Vetrano. Reperti dal Saggio 4, U.S. 22.<br />
Fig. 16 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 13. Bacile in bronzo <strong>del</strong>la T. 102.<br />
Si potrebbe, allora, supporre che Monte Vetrano<br />
abbia assunto una funzione simmetrica in rapporto<br />
allo snodo strategico costituito dal Picentino 50 . Non è<br />
escluso che il fiume fosse navigabile fino alla piana di<br />
Sardone, nei pressi <strong>del</strong>l’insediamento di Monte<br />
Vetrano, suggerendo la possibilità di attribuire ad esso<br />
un ruolo emporico per le comunità indigene <strong>del</strong>la valle<br />
<strong>del</strong> Picentino. Rafforza questa ipotesi il fatto che l’insediamento<br />
si esaurisca all’inizio <strong>del</strong>l’Orientalizzante<br />
nel momento in cui Pontecagnano consolida la propria<br />
struttura urbana e politica, capace di assorbire,<br />
integrandoli, elementi allogeni, attratti alle sue porte<br />
nel corso <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Ferro 51 .<br />
Tra il VI e il V sec. a. C.<br />
Dopo gli inizi <strong>del</strong> VII sec. a. C. mancano attestazioni<br />
nell’area indagata; una limitata testimonianza di<br />
occupazione si ha solo dal V sec. a. C. con la scoperta<br />
nella zona <strong>del</strong>la necropoli <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Ferro nel settore<br />
viabilità di tombe a fossa terragna dotate di un orientamento<br />
Nord-Ovest/Sud-Est, divergente da gran parte<br />
di quello <strong>del</strong>le sepolture più antiche, e ugualmente<br />
sconvolte dalle più recenti arature. Presso una di queste<br />
sono state recuperate una coppa a vernice nera di<br />
produzione campana, databile nella prima metà <strong>del</strong> V<br />
SALTERNUM<br />
- 154 -<br />
sec. a. C. e una olpetta parzialmente<br />
verniciata (fig. 15) 52 . Il dato<br />
risulta significativo dal momento<br />
che le tombe costituiscono finora<br />
l’unica testimonianza di Età<br />
tardo-arcaica e, forse, potrebbero<br />
essere indizio <strong>del</strong>la presenza di<br />
un piccolo insediamento, probabilmente<br />
a vocazione agricola.<br />
Forse allo stesso orizzonte<br />
cronologico può essere riferito<br />
un canale naturale individuato nel<br />
settore termovalorizzatore al di sotto<br />
di un battuto stradale di età<br />
romana (trincea 14). Esso presentava<br />
un corso sinuoso secondo la<br />
pendenza naturale verso il<br />
Picentino ed era riempito da<br />
apporti alluvionali ricchi di ghiaie<br />
e di materiale archeologico,<br />
soprattutto frammenti di impasto.<br />
Allo stato attuale <strong>del</strong>la ricerca,<br />
la presenza di alcuni reperti a<br />
vernice nera potrebbe datare l’obliterazione <strong>del</strong> canale<br />
ad Età storica, tra il VI e il V sec. a. C.<br />
Un ulteriore elemento <strong>del</strong> paesaggio d’Età storica<br />
sembra essere documentato da una strada rinvenuta<br />
nella trincea 13 all’estremità meridionale <strong>del</strong> settore viabilità:<br />
orientata in direzione Nord/Sud, di essa si conservavano<br />
solo le tracce dei carriaggi all’interno di un<br />
ampio avvallamento naturale, in un paleosuolo impostatosi<br />
sull’eruzione preistorica cd. ‘di Mercato’.<br />
Dell’impianto non è possibile proporre una puntuale<br />
datazione in assenza di elementi archeologici diagnostici,<br />
ma essa risulta obliterata da un terreno alluvionale<br />
formatosi agli inizi <strong>del</strong> IV sec. a. C. e tagliata da un<br />
paleoalveo orientato Est/Ovest databile alla fine <strong>del</strong><br />
VI sec. a. C. - inizi <strong>del</strong> V sec. a. C.<br />
Tra la seconda metà <strong>del</strong> IV e la prima metà <strong>del</strong> III sec. a. C.<br />
In questa fase l’occupazione è documentata sia nel<br />
settore termovalorizzatore sia all’estremità meridionale <strong>del</strong><br />
settore viabilità (saggio e trincea 13).<br />
In quest’ultima area sono state scoperte 3 sepolture<br />
in cassa di tufo grigio, scavate in uno strato alluvionale<br />
precedente all’inizio <strong>del</strong> IV sec. a. C. 53 . Le tombe, con<br />
orientamento Est/Ovest, erano collocate in prossimità<br />
<strong>del</strong>l’attuale percorso stradale <strong>del</strong>la SP n. 25, lungo il
quale sembrano allinearsi: il tracciato stradale attuale<br />
sembra quindi ricalcare un percorso più antico che,<br />
almeno in questo tratto, potrebbe risalire ad un<br />
momento precedente l’Età medievale.<br />
La tomba più meridionale (T. 101), a cassa, si presentava<br />
coperta da un livello di terreno compatto caratterizzato<br />
da pezzame di tufelli. La sepoltura era dotata<br />
di una copertura di tegole a doppio spiovente con una<br />
cassa di tegole piane; all’interno è stato rinvenuto uno<br />
scheletro in posizione supina, con il capo ad Est. Il corredo,<br />
databile nella seconda metà <strong>del</strong> IV sec. a. C., ha<br />
restituito un vaso in bronzo posto ai piedi, cinque fibule<br />
di bronzo distribuite sulle spalle 54 , e due anellini di<br />
bronzo, di cui uno rinvenuto alla mano sinistra.<br />
Immediatamente a Nord si situava la T. 102, a semicamera<br />
con banchina funebre lungo il lato lungo settentrionale<br />
55 . La tomba era composta da un’unica camera<br />
rettangolare priva di aperture laterali, costruita in opera<br />
pseudo-quadrata di grossi blocchi di tufo grigio disposti<br />
a secco (largh. m 1,77; lungh. m 2,00). I lati lunghi<br />
erano sormontati da una cornice modanata 56 ; quelli<br />
brevi accoglievano due timpani triangolari su cui<br />
appoggiava la copertura a doppio spiovente, formata da<br />
tre coppie di lastroni. La copertura era, a sua volta, <strong>del</strong>imitata<br />
da 4 pilastri, ugualmente in tufo, collocati agli<br />
angoli che dovevano probabilmente sorreggere una<br />
sorta di edicola realizzata in materiale deperibile.<br />
All’esterno <strong>del</strong> lato breve occidentale una sorta di dromos<br />
gradinato, verosimilmente da connettere alla<br />
costruzione <strong>del</strong>la struttura tombale.<br />
All’interno <strong>del</strong>la camera e addossata alla parete<br />
nord era una banchina funebre realizzata in blocchi di<br />
tufo posti di coltello, che contenevano un riempimento<br />
in scaglie di tufo e terra battuta. Il piano pavimentale<br />
<strong>del</strong>la camera sepolcrale era in terreno battuto.<br />
Su di essa era deposto uno scheletro di adulto in<br />
posizione supina con il capo ad Est. Il defunto indossava<br />
un cinturone con ganci dal corpo a cicala e recava<br />
un secondo cinturone disteso lungo il fianco<br />
destro 57 . Nell’angolo sud-est <strong>del</strong>la camera si trovava in<br />
posizione verticale un fascio di sei spiedi in ferro,<br />
chiuso da tre fascette <strong>del</strong>lo stesso materiale, lunghi<br />
circa cm 107 58 . Nello spazio tra la banchina e la parete<br />
meridionale è stato recuperato un bacile biansato su<br />
piede in bronzo (fig. 16) 59 , al di sotto <strong>del</strong> quale era una<br />
punta di lancia in ferro 60 ; all’interno <strong>del</strong> bacile, infine,<br />
era collocato un coltello di ferro 61 . La sepoltura, sebbene<br />
non abbia materiali diagnostici dirimenti, in base<br />
AMEDEO ROSSI<br />
- 155 -<br />
alla presenza degli oggetti in bronzo e all’architettura<br />
funeraria può essere situata in un orizzonte cronologico<br />
che si colloca nel terzo quarto <strong>del</strong> IV sec. a. C.<br />
Immediatamente a Nord <strong>del</strong>la T. 102, ed appartenente<br />
allo stesso orizzonte cronologico, era la tomba a<br />
cassa 103 (fig. 17), anch’essa ricoperta da una sorta di<br />
tumulo realizzato in terra mista a tufelli e <strong>del</strong>imitato<br />
sul lato nord-ovest da un recinto composto da lastre e<br />
blocchi di tufo disposti e semicerchio ed infissi nel terreno.<br />
La sepoltura presentava una copertura a doppio<br />
spiovente di lastre di tufo, appoggiate a frontoncini<br />
con incisioni regolari a <strong>del</strong>imitare il timpano. La cassa<br />
era composta da tre lastre di tufo sui lati lunghi; all’interno<br />
era uno scheletro di adulto in posizione supina,<br />
con il capo collocato ad Est su un cuscino composto<br />
da una lastra di tufo grigio. Nel corredo, situato ai<br />
piedi presso l’angolo nord-ovest <strong>del</strong>la cassa, figurano<br />
Fig. 17 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 13. A) Recinto esterno alla T. 103;<br />
B) La T. 103: interno <strong>del</strong>la sepoltura; C) Corredo; D) Fibula in argento.<br />
Fig. 18 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Area cultuale di III sec. a. C..
due lebetes gamikoi a figure rosse, una pisside biansata a<br />
vernice nera, una lekythos ed un coltello in ferro 62 ;<br />
come oggetto di ornamento personale il defunto recava<br />
una fibula di argento alla spalla sinistra 63 .<br />
Le tre tombe devono connettersi ad una fattoria da<br />
ubicare nelle immediate vicinanze, nella fascia pianeggiante<br />
alle pendici <strong>del</strong> colle; al tempo stesso, esse<br />
segnalano la prossimità di un tracciato stradale, la cui<br />
fase romana è stata forse intercettata, come si vedrà,<br />
nel settore termovalorizzatore.<br />
In quest’ultima area la frequentazione torna a concentrarsi<br />
intorno all’area monumentale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo<br />
che, molti secoli dopo la fine <strong>del</strong>l’Orientalizzante antico,<br />
è nuovamente rioccupata.<br />
In un orizzonte cronologico compreso tra la fine<br />
<strong>del</strong> IV e la prima metà <strong>del</strong> III sec. a. C., l’area <strong>del</strong> canale<br />
marcata dai cippi, evidentemente in parte ancora<br />
visibili, è interessata da un’attività di carattere cultuale.<br />
Si riconoscono alcuni apprestamenti di carattere rituale<br />
(QQ E2, E3, F2, F3, G3 e G4), tra cui, in particolare,<br />
una piattaforma di forma sub-circolare (m 1.75 x<br />
1.50) costituita da ciottoli fluviali di dimensioni<br />
medio-grandi (U.S. 213), con un incasso quadrangolare<br />
al centro, realizzato per l’alloggiamento di un elemento<br />
in materiale deperibile o di un elemento lapideo<br />
spoliato (fig. 18). In tale apprestamento si potrebbe<br />
riconoscere la fondazione di un altare o un cippo:<br />
nel corso <strong>del</strong> suo smontaggio sono stati recuperati<br />
frammenti laterizi e ceramici, tra cui orli di situla e di<br />
pithos e un fondo di unguentario.<br />
Ad Est di questa struttura (QQ E2, E3, F2, e F3)<br />
si sviluppava una canaletta orientata Nord/Sud che<br />
SALTERNUM<br />
Fig. 19 - Salerno. Monte Vetrano. Trincea 17. Alcuni materiali dall’area di culto di III sec. a. C.; A) Fondi capovolti; B)<br />
Fondi rotti intenzionalmente; C) Piattello a vernice nera; D) Pesetti da telaio.<br />
- 156 -<br />
confluiva in un’area dove è stata<br />
rinvenuta una sistemazione di<br />
due tegole poste di piatto.<br />
Intorno alle tegole era deposta<br />
una grossa quantità di frammenti<br />
ceramici e alcuni vasi quasi integri,<br />
fra cui una coppa a vernice<br />
nera 64 , un’olla, una situla, un’oinochoe,<br />
un piattello su piede a vernice<br />
nera 65 e alcuni pesi da telaio<br />
(fig. 19). Alcuni di questi vasi, di<br />
cui è stato rinvenuto solo il<br />
fondo, erano stati intenzionalmente<br />
collocati in posizione<br />
capovolta, secondo una modalità<br />
rituale tipica dei culti di carattere<br />
ctonio.<br />
L’insieme canaletta/base di tegole si configura<br />
come un apprestamento connesso, con ogni probabilità,<br />
a riti di carattere lustrale realizzati in rapporto alla<br />
struttura monumentale di età preistorica di cui, ancora<br />
una volta, è rifunzionalizzata l’emergenza nel paesaggio<br />
perifluviale.<br />
Età romana<br />
La documentazione di Età romana è concentrata<br />
nel versante meridionale <strong>del</strong> settore termovalorizzatore<br />
(Trincee 14 e 15).<br />
E’ stato rinvenuto, per un’estensione di circa 30 m,<br />
un asse stradale in terra battuta orientato Nord/Nord-<br />
Est – Sud/Sud-Ovest in funzione dopo l’eruzione di<br />
Pompei <strong>del</strong> 79 d. C.. L’asse stradale presenta una larghezza<br />
di m 3.80 ca. e sembra costituire un importante<br />
percorso che mette in comunicazione l’area costiera<br />
con l’interno (fig. 20).<br />
Lo scavo 66 ha consentito di datare l’impianto dopo<br />
la fine <strong>del</strong> I sec. d. C. e ha messo in evidenza una successiva<br />
traslazione a monte verso la carreggiata ancora<br />
in uso <strong>del</strong>la Strada Provinciale n. 25 ricordata anche nei<br />
documenti medievali come la via qui pergit ad Iufuni 67 .<br />
Nelle trincee 14 e 15 la strada è stata indagata<br />
mediante due saggi in profondità. Nella trincea 14<br />
sono stati identificati almeno 5 livelli di uso sovrapposti<br />
su uno strato alluvionale ricco dei prodotti rimaneggiati<br />
<strong>del</strong>l’eruzione di Pompei: al di sotto si è messo<br />
in luce un potente strato di pomici che colma il canale<br />
naturale in uso da Età Pre/Protostorica, forse obliterato<br />
nel corso <strong>del</strong> VI-V sec..
Nella trincea 15 l’asse stradale<br />
si presenta come un battuto di terreno<br />
limo-argilloso con molte<br />
pomici rimaneggiate riconducibili<br />
all’eruzione di Pompei <strong>del</strong> 79 d. C.<br />
Il tracciato stradale non è stato<br />
ulteriormente intercettato nello<br />
scavo <strong>del</strong>le trincee 16 e 19, poste<br />
immediatamente a Nord-Ovest<br />
<strong>del</strong>la trincea 15. Ciò significa che<br />
la strada doveva piegare ad Est e<br />
costeggiare il fiume Picentino,<br />
che in antico scorreva a ridosso<br />
<strong>del</strong> terrazzo fluviale oggetto di<br />
indagine.<br />
Sull’opposto versante meridionale il percorso<br />
stradale sembra raccordarsi all’attuale tracciato <strong>del</strong>la<br />
SP n. 25: questa, come già ricordato, costituisce la<br />
sopravvivenza di un tracciato antico lungo il quale si<br />
disponevano le tombe <strong>del</strong>la seconda metà <strong>del</strong> IV sec.<br />
a. C.<br />
Gli effetti <strong>del</strong>l’eruzione vesuviana si colgono<br />
anche nella zona settentrionale <strong>del</strong> settore termovalorizzatore:<br />
l’area <strong>del</strong> complesso monumentale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong><br />
Bronzo è in gran parte ricoperta da un potente strato<br />
alluvionale ricco di pomici che determina un cambiamento<br />
sostanziale <strong>del</strong>le pendenze naturali, restituendo<br />
una superficie topografica quasi piana.<br />
Continuano ancora ad affiorare, tuttavia, le cime dei<br />
livelli di crollo <strong>del</strong>la grande struttura preistorica che<br />
sarà riutilizzata anche in Età post-antica.<br />
AMEDEO ROSSI<br />
Fig. 20 - Salerno. Monte Vetrano. La strada extraurbana di età romana: ubicazione <strong>del</strong>le Trincee 14 e 15; foto <strong>del</strong>la strada<br />
rinvenuta nella Trincea 14.<br />
- 157 -<br />
Età medievale<br />
Tracce di frequentazione post-antica sono state<br />
recuperate in entrambi i settori viabilità e termovalorizzatore.<br />
Per quanto esili e gravemente danneggiate dai<br />
lavori agricoli, esse costituiscono un indizio importante<br />
<strong>del</strong>la ripresa <strong>del</strong>la funzione insediativa <strong>del</strong> colle e<br />
<strong>del</strong>la zona bassa <strong>del</strong> fiume, <strong>del</strong> resto più concretamente<br />
documentata dal castello sulla cima di Monte<br />
Vetrano.<br />
Nel settore viabilità sono stati messi in luce due pozzi<br />
(Saggio 3 e Trincea 5), connessi all’occupazione agricola<br />
dei versanti.<br />
Nel settore termovalorizzatore è documentato un riutilizzo<br />
agricolo <strong>del</strong>la cavità ipogeica (Unità B) <strong>del</strong> complesso<br />
monumentale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo Medio. Ad<br />
esso si aggiunge la scoperta di una fornace in fossa di<br />
Età altomedievale, che ha restituito frammenti di<br />
brocchette di ceramica da fuoco e di recipienti decorati<br />
a bande rosse.
Note<br />
1 I risultati che qui si presentano hanno ancora<br />
una veste preliminare e costituiscono il<br />
frutto <strong>del</strong> lavoro comune di un’équipe di<br />
archeologi professionisti guidati dal prof.<br />
Cerchiai, che ringrazio per il complesso lavoro<br />
svolto. Ringrazio inoltre la dott.ssa M. L.<br />
Nava, già Soprintendente Archeologo, per la<br />
consueta liberalità avuta durante lo scavo e lo<br />
studio; per il restauro dei materiali di scavo<br />
il sig. R. Basso <strong>del</strong> laboratorio di Restauro <strong>del</strong><br />
Museo <strong>Archeologico</strong> Nazionale <strong>del</strong>l’Agro<br />
Picentino di Pontecagnano (SA) e la<br />
Direttrice, dott.ssa A. Iacoe, per la costante<br />
disponibilità dimostrata durante le fasi di<br />
studio.<br />
Il testo è una versione ridotta di quello presentato<br />
in occasione <strong>del</strong>l’Incontro di Studio<br />
Archeologia preventiva. Esperienze a confronto,<br />
organizzato dalla Soprintendenza ai Beni<br />
Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento<br />
e Caserta, tenutosi il 3 Luglio 2009 presso il<br />
Palazzo di Città <strong>del</strong> Comune di Salerno (Cfr.<br />
CERCHIAI –ROSSI -SANTORIELLO cds).<br />
2 Lo scavo ha dovuto tenere conto, inoltre,<br />
di un cavo sotterraneo per la conduzione di<br />
energia elettrica situato lungo il bordo<br />
orientale <strong>del</strong>l’area terrazzata. Il cavo è stato<br />
individuato nell’allargamento <strong>del</strong>la sponda<br />
orientale <strong>del</strong>la trincea 5.<br />
3 Le trincee avevano una dimensione standard<br />
di m 6 × 20 orientate secondo le indicazioni<br />
emerse dall’analisi preventiva e in<br />
base alle indagini geofisiche condotte dalla<br />
dott.ssa M. G. Soldovieri. La trincea 18 è<br />
stata programmata in fase progettuale e<br />
non eseguita perché non necessaria ai fini<br />
<strong>del</strong>la determinazione <strong>del</strong>le aree a rischio<br />
archeologico.<br />
4 CERCHIAI – ROSSI - SANTORIELLO cds.<br />
5 In particolare su questo terrazzo, in seguito<br />
ai risultati emersi dallo scavo preventivo<br />
<strong>del</strong>la trincea 17, ubicata al margine settentrionale<br />
<strong>del</strong> terrazzo perifluviale, si è provveduto<br />
ad ampliare lo scavo, secondo le<br />
disposizioni impartite dalla Soprintendenza<br />
Archeologica e le indicazioni <strong>del</strong>la D. L.,<br />
investendo una superficie di m 30 x 20.<br />
6 Il presente contributo raccoglie un presentazione<br />
preliminare dei dati di scavo che dovrà<br />
essere necessariamente integrato da uno studio<br />
filologico, ancora in corso, dei materiali<br />
archeologici e <strong>del</strong> loro contesto stratigrafico.<br />
7 Nella fase iniziale lo scavo ha interessato il<br />
saggio 4 (m 8 x 10) e la trincea 4 (m 18 x<br />
12), successivamente le evidenze archeolo-<br />
SALTERNUM<br />
giche hanno imposto un ampliamento che<br />
ha interessato l’intera area oggetto <strong>del</strong>le<br />
costruzione <strong>del</strong>la strada. Lo scavo stratigrafico<br />
<strong>del</strong>l’area insediativa <strong>del</strong> Neolitico è<br />
avvenuto all’interno di una quadrettatura di<br />
m 2 x 2 e i rinvenimenti sono stati etichettati<br />
in base al numero di US e al quadrato di<br />
appartenenza, identificato da un numero<br />
arabo e da una lettera. Lo scavo è stato<br />
curato, oltre che da chi scrive, da L.<br />
Mirabella.<br />
8 Lo scavo non ha potuto interessare l’intera<br />
estensione <strong>del</strong>l’evidenza archeologica,<br />
sviluppata ad Ovest oltre i limiti <strong>del</strong>l’area<br />
oggetto di esproprio.<br />
9 Le dimensioni si riferiscono alla parte<br />
messa in luce e dunque non comprendono<br />
l’intera estensione <strong>del</strong>la struttura.<br />
10 Su alcuni frammenti di legno carbonizzato<br />
provenienti da US 208 (forno) sono state<br />
svolte misure al Radiocarbonio che hanno<br />
proposto una data coerente con le evidenze<br />
stratigrafiche; i dati sono ancora in corso di<br />
studio. Le misure sono state effettuate<br />
mediante tecnica AMS presso il laboratorio<br />
CIRCE – Innova - Dipartimento di Scienze<br />
Ambientali <strong>del</strong>la II Università di Napoli. Si<br />
ringrazia il dott. C. Lubritto per le notizie in<br />
anteprima.<br />
11 La testina fittile (h cm 4,3; larg. max cm<br />
3,7) non trova confronti precisi e sembra<br />
assimilabile ad esemplari <strong>del</strong>la coroplastica<br />
muliebre individuati nella stessa facies culturale<br />
a Cala Scizzo e a Grotta Pacelli in provincia<br />
di Bari (GENIOLA –TUNZI 1982, pp.<br />
125-146; STRICCOLI 1988); un confronto<br />
più puntuale si può instaurare con una statuina<br />
fittile rinvenuta a Baselice (BN): essa<br />
appartiene ad un contesto <strong>del</strong> Neolitico<br />
medio-finale ed ha un prospetto <strong>del</strong>la testa<br />
molto simile a quello di Monte Vetrano, con<br />
un copricapo ad alto ‘polos’ segnato da tratti<br />
verticali su volto realizzato a ‘T’ privo di<br />
segni per la fessura <strong>del</strong>la bocca (LANGELLA<br />
et Alii 2003, pp. 259-336, in particolare pp.<br />
281-282). Il nostro esemplare resta, tuttavia,<br />
singolare per la resa stilistica particolarmente<br />
realistica e tridimensionale.<br />
12 Lo scavo è stato condotto in un saggio<br />
(saggio 2) dalle dimensioni di m 10 x 8 in un<br />
approfondimento di limitate dimensioni (m<br />
2,50 x 7).<br />
13 Sull’occupazione agricola durante il<br />
Neolitico in Campania cfr. NAVA et Alii<br />
2007, pp. 100-126. Sul tipo <strong>del</strong>le arature<br />
- 158 -<br />
incrociate cfr. MARZOCCHELLA 1998, pp.<br />
97-133; pp. 112-113, figg. 14-15. Nell’area<br />
salernitana, in loc. Fuorni sono attestate<br />
arature incrociate per la fase Eneolitica (DI<br />
MAIO et Alii 2003, p. 484, fig. 6).<br />
14 L’identificazione autoptica <strong>del</strong> tephra è<br />
stata effettuata da R. Isaia, vulcanologo<br />
<strong>del</strong>l’INGV e da V. Amato, geomorfologo<br />
<strong>del</strong>l’Università <strong>del</strong> Molise.<br />
15 Tracce di insediamenti di questa fase sembrano<br />
interessare gran parte <strong>del</strong>l’Agro<br />
Picentino e sono collocate a breve distanza<br />
tra loro. Questa disposizione degli insediamenti,<br />
piuttosto che documentare una<br />
intensa presenza demografica, attesta una<br />
sapiente ed organizzata opera di sfruttamento<br />
<strong>del</strong>le risorse naturali secondo cicli<br />
stagionali e pluriennali. Insediamenti stabili<br />
sono noti nella fascia costiera di Salerno tra<br />
i torrenti Mercatello e Mariconda e tra San<br />
Leonardo e il fiume Fuorni (sul sistema di<br />
popolamento nel Neolitico cfr. DI MAIO et<br />
Alii 2003, pp. 490-491; IANNELLI - DI MAIO<br />
- SPERANDEO 1998, pp. 206-209) e nella<br />
zona di Pontecagnano (AURINO, in<br />
PELLEGRINO – ROSSI cds).<br />
16 Tra i materiali diagnostici, un fr. di ansa ‘ad<br />
ascia’ d’impasto e i ffr. di una tazza carenata<br />
di impasto rientrano nei tipi attestati nella<br />
fase 2 <strong>del</strong> Protoappeninico B.<br />
17 Le analisi geochimiche sui vetri vulcanici,<br />
effettuate presso la Oxford University attraverso<br />
l’uso <strong>del</strong>la microsonda elettronica (V.<br />
Smith), hanno permesso di caratterizzare<br />
due livelli campionati rispettivamente nella<br />
trincea 5 e nel saggio 9. I risultati <strong>del</strong>le analisi<br />
hanno evidenziato che i due tephra hanno<br />
caratteristiche geochimiche differenti, indicando<br />
un’area di emissione dai vulcani <strong>del</strong><br />
Distretto Flegreo, in particolare Ischia e<br />
Campi Flegrei. Si può ritenere che il tephra<br />
prelevato nella trincea 5 sia di provenienza<br />
ischitana, mentre quello prelevato nel saggio<br />
9 sia di provenienza dai Campi Flegrei. Lo<br />
studio è in corso da parte <strong>del</strong> dott. R. Isaia<br />
(INGV – Osservatorio Vesuviano) che ringrazio<br />
per le notizie preliminari. Una coltre<br />
eruttiva è stata individuata anche in loc.<br />
Fontanella, a Sud-Ovest di Monte Vetrano,<br />
dove sembra ricoprire una paleosuperficie<br />
<strong>del</strong>le prime fasi <strong>del</strong> Bronzo Antico, (DI<br />
MAIO et Alii 2003, p. 491, n. 2).<br />
18 Lo scavo è stato coordinato sul campo da<br />
chi scrive con la collaborazione di M.<br />
Barone e N. Villani.
19 La metà occidentale <strong>del</strong>l’area di scavo e<br />
<strong>del</strong> terrazzo è stata investita da un profondo<br />
sbancamento - causato dalle continue<br />
attività agricole praticate per rendere pianeggiante<br />
il terrazzamento - che ha ampiamente<br />
compromesso l’intera stratigrafia<br />
archeologica, restituendo in superficie, al di<br />
sotto <strong>del</strong>l’humus, le argille precedenti<br />
all’Eruzione <strong>del</strong>l’Ignimbrite Campana.<br />
20 Il canale è stato indagato per una lunghezza<br />
di m 28 e una larghezza max di m 4,10.<br />
21 Molti dei blocchi rinvenuti, oltre ad avere<br />
una forma parallelepipedale, mostrano<br />
anche forme smussate e riconducibili a<br />
conci tronco-piramidali funzionali alla<br />
costruzione di strutture di forma circolare.<br />
22 Le modalità di collassamento <strong>del</strong>le strutture<br />
sembrano una sorta di mud-flow o crollo<br />
a ventaglio, cioè sembra che le strutture<br />
siano state scalzate dalle fondamenta, per<br />
poi scivolare nel canale.<br />
23 I materiali, ancora oggetto di studio, sono<br />
stati ritrovati soprattutto in alcuni settori, sia<br />
negli strati superficiali dei crolli sia presso le<br />
stele. Oltre a tazze carenate, olle, dolii e<br />
sostegni a clessidra ricostruibili in gran parte,<br />
non mancano consistenti tracce di frammenti<br />
di incannucciata riferibili ad intonaci parietali.<br />
Tra i materiali diagnostici si ricordano, a<br />
titolo di esempio, due tazze d’impasto (US<br />
372, rinvenuta presso una stele) <strong>del</strong> tipo<br />
Palma Campania (cfr. ALBORE LIVADIE et<br />
Alii 1996, fig. 4. 1b-2c), una tazza carenata<br />
(US 311b) d’impasto con alta ansa a nastro e<br />
con attacco sotto l’orlo (US 298.1 e US<br />
311a), (cfr. DAMIANI – PACCIARELLI –<br />
SALTINI 1984, pp. 1-38, fig. 3.1 e fig. 7.A).<br />
24 Lo scavo, ad eccezione <strong>del</strong> saggio nel<br />
QD3 non ha asportato l’intero crollo di<br />
blocchi che ancora riempie il canale che<br />
prosegue oltre l’attuale margine di scavo.<br />
25 Negli ultimi giorni di scavo è stato rinvenuto,<br />
alla base <strong>del</strong> crollo dei blocchi ed<br />
insieme ad una olla d’impasto, il cranio di<br />
un individuo adulto non in giacitura primaria,<br />
con altri resti ossei umani. Misure svolte<br />
al radiocarbonio su questi campioni<br />
hanno proposto una data coerente con le<br />
evidenze stratigrafiche; i dati sono ancora in<br />
corso di valutazione. Le misure sono state<br />
effettuate mediante tecnica AMS presso il<br />
laboratorio CIRCE – Innova -<br />
Dipartimento di Scienze Ambientali <strong>del</strong>la II<br />
Università di Napoli. Si ringrazia il dott. C.<br />
Lubritto per le anticipazioni.<br />
AMEDEO ROSSI<br />
26 La forma circolare e la struttura architettonica<br />
sembrano richiamare in modo suggestivo<br />
le torri nuragiche e le tholoi utilizzate per<br />
scopi funerari. Per l’età <strong>del</strong> Bronzo cfr.<br />
PERONI 1994, p. 52 e ss.; TOMASIELLO 1997.<br />
Per i nuraghi la bibliografia è vasta (si cita, a<br />
titolo di esempio, LILLIU 1962). Per il rapporto<br />
con il mondo nuragico di particolare interesse<br />
potrebbe essere la prospettiva storiografica<br />
legata ai ‘popoli <strong>del</strong>le torri’ in<br />
Campania meridionale, recentemente riconsiderata<br />
da G. Colonna (COLONNA 2002, pp.<br />
95-111). Si ricorda che forme e tipologie<br />
simili si riscontrano anche per le abitazioni<br />
(PERONI 1994, p. 46 ss.). Inoltre le strutture<br />
potrebbero anche riferirsi ad elementi e tratti<br />
di una fortificazione, come ad esempio nel<br />
caso dei resti di torri semicircolari <strong>del</strong>le fortificazioni<br />
di Villasmundo presso Siracusa e di<br />
Ustica (PERONI 1994, p. 40 ss.).<br />
27<br />
DI MAIO et Alii 2003.<br />
28 Pontecagnano II.6, pp. 119-120, su Eboli p.<br />
112, su Battipaglia p. 120, n. 10.<br />
29 Secondo il mo<strong>del</strong>lo messo a punto da M.<br />
Pacciarelli (PACCIARELLI 2000, p. 87) in<br />
questa fase si selezionano aree insediative<br />
che privilegiano grossi insediamenti difesi<br />
naturalmente o che si dotano di opere<br />
difensive consistenti.<br />
30 Cfr. Pontecagnano II. 6, p. 119-120; AURINO<br />
2004-2005.<br />
31 Risulta non databile nel lotto esaminato la<br />
T. 105, a fossa terragna con scheletro di<br />
adulto supino orientato Est/Ovest. La<br />
sepoltura potrebbe essere più tarda e collocarsi<br />
nella prima metà V sec. a. C., come<br />
attestato da una sepoltura simile rinvenuta<br />
nell’area sconvolta dalle arature, che presentava<br />
medesime caratteristiche deposizionali<br />
e corredo composto da un cup-skyphos a vernice<br />
nera e olpetta parzialmente verniciata.<br />
Lo scavo <strong>del</strong>le sepolture è stato curato da C.<br />
Regis e N. Villani. Ringrazio l’amico e collega<br />
C. Pellegrino, con il quale mi sono confrontato<br />
per la datazione dei corredi e l’inquadramento<br />
culturale.<br />
32 Su Monte Vetrano e le sue necropoli cfr.<br />
TOCCO 2000, pp. 665-666; Pontecagnano. II.6,<br />
pp. 95-97; IANNELLI 2004, pp. 33-40;<br />
GILIBERTO 2004, pp. 41-46. Sullo scavo<br />
<strong>del</strong>la necropoli lungo il tracciato <strong>del</strong> metanodotto<br />
cfr. CERCHIAI-NAVA 2008-2009,<br />
pp. 97-104.<br />
33<br />
CERCHIAI - NAVA 2008-2009, pp. 97-104.<br />
34 Lo scavo, interrotto per motivi di sicurez-<br />
- 159 -<br />
za, ha interessato solo un tratto <strong>del</strong> muretto<br />
in ciottoli da dove è stata recuperata una<br />
punta di lancia in ferro deposta nella fossa<br />
di fondazione.<br />
35 Fanno eccezione la T. 105 a fossa terragna,<br />
probabilmente più recente, la T. 111 ad<br />
incinerazione, e la T. 106, dove il piano di<br />
deposizione è in terra.<br />
36 La T. 104 sembra essere isolata dalle altre<br />
due (TT. 108-109). Per la T. 109 non è possibile<br />
determinare il sesso <strong>del</strong> defunto, in<br />
quanto privo di elementi di corredo distinguibili<br />
la marca di genere.<br />
37 CERCHIAI- NAVA 2008-2009, pp. 97-104.<br />
38 Sono orientate Nord-Ovest/Sud-Est le<br />
TT. 116 e 127. L’orientamento <strong>del</strong>le sepolture<br />
risulta simile a quello riscontrato nel<br />
settore <strong>del</strong>la necropoli di Monte Vetrano<br />
indagato in loc. Fontanella (IANNELLI 2004,<br />
p. 35, fig. 39).<br />
39 Non poche sono le tombe in semplice<br />
fossa con pochi ciottoli fluviali a segnalarne<br />
la presenza: TT. 124, 127, 128, 130 e la T.<br />
125 ad incinerazione in fossa rettangolare.<br />
40 Fanno eccezione la T. 117 e la T. 127,<br />
dove sono presenti oggetti in ceramica.<br />
41 D’AGOSTINO 1968, tipo 41.<br />
42 La coppa sembra una imitazione locale<br />
che presuppone come mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>le coppe<br />
tipo Thapsos.<br />
43 La coppa, con coppia di fori per sospensione<br />
sul bordo e priva di anse, presenta<br />
una decorazione lineare dipinta in bruno<br />
scuro: sul ventre <strong>del</strong> vaso un motivo caratterizzato<br />
da una serie di pannelli <strong>del</strong>imitati<br />
da quattro linee verticali compresi tra due<br />
fasce di quattro linee parallele orizzontali<br />
dipinte sia sull’attacco tra il collo e il ventre<br />
<strong>del</strong> vaso sia sulla carena e il piede <strong>del</strong>lo stesso.<br />
All’interno dei pannelli, nella loro parte<br />
mediana, all’attacco con l’ultima linea dipinta<br />
<strong>del</strong>la fascia orizzontale superiore vi è una<br />
piccola ‘L’ (gancio-uncino?) orientata verso<br />
destra. L’argilla e la qualità <strong>del</strong>la pittura<br />
sembrano richiamare produzioni di tipo<br />
enotrio. Il partito decorativo dipinto sul<br />
ventre è di tradizione greca e trova confronti<br />
con un motivo <strong>del</strong>lo stesso periodo attestato<br />
nella ceramica indigena <strong>del</strong> Nord <strong>del</strong>la<br />
Puglia (cfr. YNTEMA 1990, pp. 219-225, fig.<br />
203. 12) ed anche il motivo ad ‘L’ potrebbe<br />
essere assimilabile a simili contesti.<br />
Morfologicamente la forma è confrontabile<br />
con esemplari in impasto provenienti da<br />
Pontecagnano (cfr. D’AGOSTINO 1968, tipo
83; Pontecagnano II.6, p. 12, fig. 3 dalla T.<br />
4875).<br />
44 Pontecagnano II.1, tipo 32E3b1b, presente<br />
dalla fase II.<br />
45 Sull’insediamento di Monte Vetrano cfr.<br />
Pontecagnano II.6, pp. 95-97.<br />
46 Non mancano apporti anche aperti al<br />
mondo enotrio come la coppa dalla T. 127;<br />
è inoltre da segnalare la presenza <strong>del</strong> ‘supino<br />
rattratto’, un tipo di sepoltura che<br />
rimanda alla Basilicata orientale e all’area<br />
medio-ofantina, documentato agli inizi <strong>del</strong><br />
VII sec. a. C. a Pontecagnano in relazione a<br />
donne allogene provenienti da quella zona.<br />
47<br />
CERCHIAI - NAVA 2008-2009; IANNELLI<br />
2004; GILIBERTO 2004.<br />
48 Sulle dinamiche insediative nell’Agro<br />
Picentino in questo ambito cronologico<br />
cfr. Pontecagnano II.6, pp.123-126: T.<br />
Cinquantaquattro legge la nascita di questi<br />
insediamenti «all’interno di una pianificazione<br />
gestita da Pontecagnano». Di diversa<br />
lettura è il quadro fornito da BAILO<br />
MODESTI –GOBBI in cds.<br />
49 Pontecagnano II.6; BONIFACIO 2004-2005.<br />
50 Sull’Agro Picentino in questo ambito cronologico<br />
cfr. Pontecagnano II.6<br />
51Sulle dinamiche riscontrate nelle necropoli<br />
e nell’abitato di Pontecagnano cfr.<br />
PELLEGRINO 1999, pp. 35-58; Pontecagnano<br />
II.6, pp.127-128; ROSSI 2004-2005.<br />
52La coppa è assimilabile al Tipo 80A1, definito<br />
skyphos, nella classificazione di<br />
FALCONE – IBELLI 2007, p. 28, tav. IX.107;<br />
SALTERNUM<br />
un esemplare simile proviene da<br />
Pontecagnano dai recenti scavi per la realizzazione<br />
<strong>del</strong>la terza corsia <strong>del</strong>la Salerno-<br />
Reggio C. (PELLEGRINO -ROSSI in cds);<br />
l’olpetta è simile all’esemplare dalla tomba<br />
LV <strong>del</strong> 1929 da Fratte di Salerno (Fratte<br />
1990, p. 265 n. 5, fig. 452/a).<br />
53 Lo scavo <strong>del</strong>le tombe è stato condotto da<br />
chi scrive e dalla dott. M. Viscione.<br />
54 Le fibule sono <strong>del</strong> tipo GUZZO 1993, classe<br />
X, tipo B; esemplari simili si rinvengono<br />
a Pontecagnano in contesti <strong>del</strong> terzo quarto<br />
<strong>del</strong> IV sec. a. C. (SERRITELLA 1995, p. 73,<br />
tav. 79, T. 4358).<br />
55 Il tipo tombale è assimilabile alle tombe<br />
<strong>del</strong>lo stesso periodo rinvenute a Fratte (cfr.<br />
ROMITO 1989, figg. a p. 11).<br />
56 Il tipo di modanatura trova un confronto<br />
con quello <strong>del</strong>la T. 7 da Fratte di Salerno,<br />
databile tra la fine <strong>del</strong> IV e gli inizi <strong>del</strong> III<br />
sec. a. C. (Fratte 1990, pp. 285-287).<br />
57 Per i ganci cfr. Fratte 1990, p. 281, fig. 475<br />
n. 3, dalla tomba 1/1956, databile alla<br />
seconda metà <strong>del</strong> IV sec. a. C.; cfr. inoltre<br />
ROMITO 1995, pp. 127-128 e tavv. V6 e<br />
XVc, t. XXIV da Oliveto Citra, <strong>del</strong>la seconda<br />
metà <strong>del</strong> IV sec. a. C..<br />
58 Vi sono altri frammenti di ferro di incerta<br />
identificazione ancora oggetto di restauro.<br />
59 Il bacile di bronzo - diam. cm 35,2; h max<br />
cm 12,8; diam. piede cm 13,2 - trova confronto<br />
con un esemplare identico, probabilmente<br />
<strong>del</strong>la stessa officina, dalla T. 40 di<br />
Eboli-S.Croce, rinvenuto in una tomba<br />
- 160 -<br />
databile tra il 340-330 a. C. (CIPRIANI 1990,<br />
p. 159) e rientra in un tipo assimilabile a<br />
quello da Roscigno (Poseidonia e i Lucani<br />
1996, p. 98, n. 39.28).<br />
60 Lung. max cm 41; larg. max cm 4,3; diam.<br />
immanicatura cm 2,1.<br />
61 Lama di coltello in ferro: lung. max cm<br />
14,6; larg. max cm 7,6; spess. max. cm 0,3;<br />
spess. min. cm 0,5.<br />
62 Corredo: US 100, rep. 5 - lebés gamikòs a<br />
figure rosse (alt. cm 13,8; diam. orlo cm 3,3;<br />
diam. piede cm 5,7); rep. 4 - lebés gamikòs a<br />
figure rosse (alt. cm 13,9; diam orlo cm 2,9;<br />
diam. piede cm 5,4); rep. 3 – pisside biansata<br />
(diam. orlo cm 2,5, serie Morel 4471; alt.<br />
cm 6,2; diam. piede cm 8,8); rep. 6 - lekythos<br />
(alt. max cons. cm 12,2; diam. orlo cm 3,3)<br />
che sormontava il coperchio <strong>del</strong> rep. 5; rep.<br />
2 - coltello in ferro (lung. cm 20; larg. max<br />
cm 2,2; spess. max cm 1,3).<br />
63 La fibula, <strong>del</strong> tipo ad arco foliato molto<br />
largo con decorazione a palmetta realizzata<br />
a sbalzo con un vago inserito nell’ago, di<br />
difficile confronto, si avvicina al tipo VII di<br />
GUZZO 1993.<br />
64 US 244.C11 (cfr. Morel specie 2980).<br />
65 US 278.1 (cfr. Morel tipo 2212a, databile<br />
nella prima metà <strong>del</strong> III sec. a. C.).<br />
66 Lo scavo <strong>del</strong>la strada è stato condotto da G.<br />
De Chiara nella trincea 14 e da L. Mirabella<br />
nella trincea 15.<br />
67 CDC, I, 178, a. 920.
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- 162 -
L’area sepolcrale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo<br />
in località Ostaglio (Salerno)<br />
Un’area funeraria <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo,<br />
caratterizzata da sepolture ad inumazione<br />
in fossa terragna con rivestimento e talvolta<br />
copertura di ciottoli fluviali, è stata individuata<br />
nell’area orientale di Salerno, in località Ostaglio-<br />
Fuorni, nel corso di indagini archeologiche preventive<br />
condotte tra i mesi di Maggio e Agosto 2009 in relazione<br />
a interventi infrastrutturali e di riqualificazione<br />
urbanistica realizzati dall’Amministrazione Comunale:<br />
i lavori si sono svolti secondo le prescrizioni <strong>del</strong>la<br />
competente Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />
<strong>del</strong>le Province di Salerno, Avellino, Benevento e<br />
Caserta 1 .<br />
Il ritrovamento riveste particolare interesse per la<br />
conoscenza <strong>del</strong>le pratiche funerarie <strong>del</strong> Bronzo Antico<br />
in Campania, testimoniate da un numero ancora limitato<br />
di evidenze 2 . Tra le scoperte più rilevanti sinora<br />
effettuate, con tombe a fossa o ad enchytrismos, ricordiamo<br />
le 95 tombe rinvenute a Gricignano, negli scavi<br />
US Navy, Stazione Ferroviaria e TAV; le 70 nella necropoli<br />
di S. Abbondio a Pompei e le 13 nella necropoli<br />
di Monticello a S. Paolo Belsito, presso Nola, e le<br />
sepolture attestate a Frattaminore, Aversa, Mirabella<br />
Eclano e Capua.<br />
I ritrovamenti di Ostaglio, che presentano diverse<br />
analogie rispetto alle evidenze appena citate, costituiscono<br />
la prima attestazione di questo periodo nell’area<br />
in questione 3 , essa si inquadra topograficamente in<br />
un’ampia zona pianeggiante situata alle pendici sudorientali<br />
di una serie di rilievi collinari di modesta entità,<br />
le ultime propaggini dei Monti Picentini <strong>del</strong>imitata<br />
da due corsi d’acqua, il Fuorni a Nord-Ovest ed il<br />
Picentino a Sud-Est, che separa l’area orientale di<br />
Salerno dalla contigua Pontecagnano-Faiano.<br />
Gli scavi hanno portato alla luce 15 tombe, di cui<br />
una bisoma, distribuite su una superficie di circa 200<br />
mq e numerate con numeri progressivi da T. 1 a T. 15.<br />
TSAO CEVOLI<br />
- 163 -<br />
Fig. 1 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 1.<br />
Fig. 2 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 1, dettaglio.<br />
Le tombe, coperte solo da un sottile strato di humus,<br />
sono state individuate ad una profondità di appena 15-<br />
25 cm rispetto all’odierno piano di campagna, la cui<br />
quota assoluta nell’area oggetto di intervento varia da<br />
+ 37,30 a +38,30 m s.l.m. Tale scarsissima consistenza
Fig. 3 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 1,<br />
dettaglio<br />
Fig. 4 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 8.<br />
<strong>del</strong>la stratificazione che<br />
copre le tombe ne ha<br />
notevolmente compromesso<br />
la conservazione.<br />
Alcune <strong>del</strong>le sepolture<br />
sono risultate inoltre<br />
parzialmente obliterate<br />
da un canale irriguo<br />
moderno, ancora in uso,<br />
largo circa 1,20 m e profondo<br />
circa 0,70 m, che<br />
attraversava il fondo in<br />
senso Nord-Est/Sud-<br />
Ovest, e da moderne<br />
buche di albero. L’area<br />
esplorata sembra essere<br />
stata adibita a frutteto<br />
senza soluzione di continuità<br />
almeno dal 1928<br />
fino al momento degli<br />
scavi: la maggior parte<br />
<strong>del</strong>le tombe è risultata<br />
danneggiata sia dal<br />
taglio <strong>del</strong>le fosse per<br />
l’impianto degli alberi da frutto sia dall’intrusione <strong>del</strong>le<br />
radici. I danni più consistenti riscontrati consistono<br />
nell’obliterazione di porzioni di alcune tombe fino al<br />
piano di deposizione, con conseguente parziale asportazione<br />
<strong>del</strong>lo scheletro e in diversi casi, <strong>del</strong> rivestimento<br />
in ciottoli e dei margini <strong>del</strong>la fossa; nella quasi totalità<br />
dei casi sono andate perdute le coperture in ciottoli<br />
<strong>del</strong>le tombe stesse ed infine, si è avuto il danneggiamento<br />
dei resti scheletrici e dei reperti, provocato<br />
dall’intrusione <strong>del</strong>le radici degli alberi.<br />
Ove le condizioni di conservazione ne hanno reso<br />
possibile una più chiara lettura, le tombe sono apparse<br />
costituite in genere da fosse a pianta sub-rettangolare<br />
con angoli arrotondati, orientamento Nord/Sud, sezione<br />
a profilo trapezoidale, con pareti leggermente inclinate,<br />
fondo piatto e rivestimento <strong>del</strong>la fossa con ciottoli<br />
fluviali di dimensioni variabili tra i 10 e i 30 cm circa<br />
di lunghezza. Le fosse erano coperte dal terreno agricolo<br />
moderno e tagliavano un paleosuolo, fortemente<br />
disturbato dall’utilizzo agricolo <strong>del</strong>l’area in età moderna,<br />
che ha restituito scarsi frammenti ceramici, prevalentemente<br />
relativi a ceramica di impasto protostorica.<br />
Il riempimento <strong>del</strong>le tombe era costituito da terreno<br />
misto a numerosi ciottoli di dimensioni generalmente<br />
SALTERNUM<br />
- 164 -<br />
pari o inferiori a quelli <strong>del</strong> rivestimento <strong>del</strong>la fossa e<br />
scarsi frammenti di tufo. La copertura, ove conservata,<br />
era costituita da ciottoli di dimensioni generalmente<br />
pari o superiori a quelli <strong>del</strong> rivestimento <strong>del</strong>la fossa. In<br />
due casi (T. 10 e T. 13) tra i ciottoli <strong>del</strong>la copertura spiccava<br />
la presenza di grosse pietre con funzione di segnacolo:<br />
si tratta nel primo caso di una pietra fluviale grossolanamente<br />
sbozzata, di forma pressoché sferica e di<br />
notevoli dimensioni (circa 25 cm di diametro), collocata<br />
pochi centimetri al di sopra <strong>del</strong>lo scheletro e, nel<br />
secondo caso, di una pietra di tufo grigio, di forma pressoché<br />
ovale e notevoli dimensioni (h max 36 cm, largh.<br />
max circa 15 cm), con evidenti segni di lavorazione<br />
(base a punta e strozzatura mediana) finalizzati all’inserimento<br />
verticale stabile <strong>del</strong>la pietra nella copertura<br />
<strong>del</strong>la tomba. In entrambi i casi sembra trattarsi di sepolture<br />
maschili ed il segnacolo era posto in corrispondenza<br />
o in prossimità <strong>del</strong> cranio.<br />
In tutte le tombe l’individuo appariva sempre<br />
deposto sul fianco, direttamente sul fondo terragno<br />
<strong>del</strong>la fossa. Ove lo scheletro si conservava in buono<br />
stato e in connessione anatomica, è stato possibile<br />
osservare che gli arti superiori erano entrambi flessi,<br />
di solito con mani congiunte e conserte dinanzi al<br />
volto, mentre gli arti inferiori erano anch’essi entrambi<br />
leggermente flessi e sovrapposti l’uno all’altro.<br />
In alcuni casi (TT. 1 - 2, 8, 10, 13) il cranio non<br />
insisteva direttamente sul terreno, ma su una sorta di<br />
‘cuscino’, costituito da una o più pietre di forma piuttosto<br />
schiacciata collocate sotto il cranio, o da più pietre<br />
appositamente sporgenti direttamente dal rivestimento<br />
di ciottoli <strong>del</strong>la fossa in corrispondenza <strong>del</strong> cranio.<br />
In alcuni casi altre pietre erano state similmente<br />
disposte lateralmente al corpo in corrispondenza <strong>del</strong>le<br />
ginocchia e dei piedi.<br />
Le sepolture erano tutte allineate secondo l’asse<br />
Nord/Sud, con l’individuo deposto con la testa rivolta<br />
a Nord o a Sud, ma il corpo costantemente rivolto<br />
a Ovest. Tale alternanza era stata già osservata nella<br />
necropoli <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo di S. Abbondio indagata<br />
tra il 1993 ed il 1996 nel centro <strong>del</strong>l’abitato moderno<br />
di Pompei 4 . L’ipotesi di una relazione tra sesso e<br />
orientamento <strong>del</strong>le deposizioni era stata avanzata<br />
anche per la necropoli di Monticello indagata nel 2000<br />
a S. Paolo Belsito, ove le sepolture presentano tuttavia<br />
orientamenti eterogenei.<br />
Nell’area sepolcrale di Ostaglio la casistica <strong>del</strong>le<br />
sepolture per le quali in base alla struttura scheletrica
e agli elementi di corredo è possibile proporre un’identificazione<br />
relativamente al sesso <strong>del</strong>l’individuo,<br />
sembrerebbe permettere di instaurare una relazione<br />
appunto tra sesso e orientamento <strong>del</strong>la deposizione.<br />
Più nello specifico, si può supporta che vi fosse l’uso<br />
rituale di deporre il defunto sempre girato verso<br />
Ovest, ma gli individui di sesso femminile sempre sul<br />
fianco destro, con testa a Nord e corpo rivolto a<br />
Ovest, mentre quelli di sesso maschile sul fianco sinistro,<br />
con testa a Sud e corpo rivolto a Ovest.<br />
Appare utile, infine, far notare alcune analogie tra<br />
le sepolture di Ostaglio-Fuorni e i due scheletri, uno<br />
di sesso maschile e uno di sesso femminile, rinvenuti<br />
nel 1995 presso San Paolo Belsito, sulla collina <strong>del</strong>la<br />
Vigna, in un contesto cronologicamente, geograficamente<br />
e culturalmente vicino, interpretati come persone<br />
morte durante l’eruzione cd. ‘<strong>del</strong>le Pomici di<br />
Avellino’ 5 . Analogie si riscontrano non solo in relazione<br />
alla posizione <strong>del</strong>lo scheletro, che appare la stessa<br />
<strong>del</strong>le sepolture attestate ad Ostaglio ed in altri contesti<br />
già noti (posizione semiranicchiata, su un fianco, arti<br />
superiori flessi e congiunti dinanzi al volto), ma anche<br />
per quanto riguarda gli orientamenti: l’individuo di<br />
sesso maschile di San Paolo Belsito insiste sul fianco<br />
sinistro e presenta testa a Sud/Est e corpo rivolto a<br />
Sud/Ovest 6 come gli scheletri - presumibilmente di<br />
sesso maschile - di Ostaglio, che sono deposti anch’essi<br />
sul fianco sinistro, con testa a Sud e corpo rivolto a<br />
Ovest (si ha, dunque, una differenza di orientamento<br />
di appena 45º). L’individuo di sesso femminile di San<br />
Paolo Belsito 7 è deposto, al contrario, sul fianco<br />
destro, esattamente come quelli presumibilmente femminili<br />
di Ostaglio, mentre l’orientamento è difforme:<br />
presenta, infatti, testa a Sud/Est e corpo rivolto a<br />
Sud/Ovest, mentre quelli femminili di Ostaglio presentano<br />
testa a Nord e corpo rivolto a Ovest. Queste<br />
analogie richiederebbero un approfondimento di indagine,<br />
che non è escluso possa portare ad una rilettura<br />
dei due scheletri di San Paolo Belsito.<br />
Passando agli elementi di corredo, nell’area sepolcrale<br />
di Ostaglio, pur apparendo complessivamente<br />
quantitativamente scarsi e pur se riscontrati solo in<br />
alcune tombe, si segnalano alcuni manufatti di un<br />
certo pregio e complessità tecnologica, come 1 ago o<br />
ago crinale in bronzo dalla T. 1; 2 frammenti di vaghi<br />
di collana di bronzo e 1 ago crinale in bronzo con<br />
sommità decorata dalla T. 11, ed uno strumento in<br />
osso lavorato dotato di punta in bronzo dalla T. 12.<br />
TSAO CEVOLI<br />
- 165 -<br />
Fig. 5 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 8, dettaglio reperto 1.<br />
Tra gli altri reperti si segnala, inoltre,<br />
nella T. 2, un esemplare di<br />
Hexaplex trunculus, noto anche come<br />
Murex trunculus, <strong>del</strong>la lunghezza di<br />
circa 5,5 cm, un mollusco marino<br />
gasteropode tipico <strong>del</strong><br />
Mediterraneo e <strong>del</strong>le coste atlantiche<br />
<strong>del</strong>l’Europa, di cui è attestato<br />
l’uso per la preparazione di colore<br />
indaco-blu e porpora.<br />
Tra gli scarsi reperti ceramici<br />
provenienti dalle sepolture si segnala<br />
il rinvenimento di due manufatti<br />
frammentari di impasto, inquadrabili<br />
nelle produzioni <strong>del</strong>la facies protostorica<br />
di Palma Campania: il<br />
primo, rinvenuto nei pressi <strong>del</strong> cranio<br />
<strong>del</strong> deposto <strong>del</strong>la T. 4, anch’essa<br />
notevolmente disturbata dalle attività<br />
agricole, forse pertinente ad un<br />
cd. sostegno ‘a clessidra’, ed il<br />
secondo, rinvenuto nel riempimento<br />
<strong>del</strong>la T. 12, pertinente ad una ciotola<br />
o tazza carenata di impasto, di<br />
Fig. 6 - Ostaglio, prop.<br />
Fortunato. T. 8, reperto<br />
1.<br />
Fig. 7 - Ostaglio, prop.<br />
Fortunato. T. 11,<br />
reperto 2.
SALTERNUM<br />
Fig. 8 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 12. Fig. 9 - Ostaglio, prop. Fortunato. T. 12, dettaglio <strong>del</strong> reperto 1.<br />
colore bruno scuro, dalle dimensioni originarie calcolabili<br />
in 6,2 cm di h, 7,6 cm di diametro all’orlo e 8,5<br />
cm di diametro alla spalla.<br />
Il reperto più significativo di tutta l’area funeraria è<br />
un pugnale o punta di alabarda in bronzo rinvenuto<br />
all’interno <strong>del</strong>la T, 8, deposto tra gli arti superiori e la<br />
gabbia toracica <strong>del</strong>l’inumato, che in base anche alla<br />
struttura scheletrica può essere identificato come di<br />
sesso maschile. È realizzato in fusione in stampo, presenta<br />
lama triangolare non costolata, con lati dritti e<br />
base semplice semicircolare priva di codolo, con quattro<br />
fori ancora occupati da chiodetti per il fissaggio di<br />
una perduta impugnatura in materiale deperibile, probabilmente<br />
legno. In ambito regionale tale arma trova<br />
possibili confronti con il pugnale di bronzo proveniente<br />
dalla T. 10/s <strong>del</strong>la citata necropoli protostorica<br />
di S. Abbondio a Pompei 8 e con il pugnaletto a 4 chiodini,<br />
arco a tutto sesto e quasi piatto, vicino al tipo<br />
Murgia Timone, proveniente dalla T. 26 <strong>del</strong>lo scavo<br />
<strong>del</strong> Campo Sportivo di Gricignano 9 .<br />
L’area sepolcrale di Ostaglio, soprattutto in considerazione<br />
<strong>del</strong>la tipologia di alcuni manufatti di pregio,<br />
<strong>del</strong>la monumentalità di alcune sepolture, caratterizzate<br />
da fosse di dimensioni considerevolmente maggiori,<br />
dal rivestimento con ciottoli di dimensioni più<br />
grandi e dalla presenza di segnacoli, sembra riflettere<br />
una comunità di provenienza dei defunti caratterizzata<br />
da una certa diversificazione e complessità sociale,<br />
come attesta l’emergere di alcuni individui, sia di sesso<br />
maschile che di sesso femminile.<br />
La relativa complessità di alcuni dei manufatti rinvenuti<br />
- rispetto ad una comunità che appare non particolarmente<br />
numerosa vista la modesta quantità e la<br />
- 166 -<br />
scarsa concentrazione <strong>del</strong>le sepolture rinvenute nell’area,<br />
le quali sembrano disporsi intorno ad individui<br />
emergenti probabilmente in base a legami familiari (il<br />
cui sussistere o meno potrebbe, tuttavia, essere stabilito<br />
solo attraverso analisi genetiche sui resti scheletrici)<br />
o di clan - lascia presupporre una necessaria complementarietà<br />
di certe produzioni. Se infatti può certamente<br />
ipotizzarsi una produzione locale di alcuni<br />
manufatti in bronzo, come prova il rinvenimento di<br />
scorie di bronzo, connesse ad attività fusorie, nel non<br />
lontano e coevo villaggio di Oliva Torricella 10 , per altri<br />
particolari manufatti - come il pugnale, che nell’Antica<br />
Età <strong>del</strong> Bronzo sembra costituire la principale arma<br />
offensiva attestata nei contesti funerari -, se ne può<br />
anche supporre la produzione da parte di maestranze<br />
e officine specializzate, non necessariamente in loco,<br />
analogamente a quanto accade nel resto <strong>del</strong>la penisola<br />
italiana 11 .<br />
Il pugnale <strong>del</strong>la T. 8 - per il quale si possono ricercare<br />
confronti tipologici non solo in ambito regionale, ma<br />
anche con esemplari <strong>del</strong>la cultura di Polada e di altri<br />
contesti <strong>del</strong>l’Italia settentrionale 12 (Selvis, Aquileia, S.<br />
Martino di Maiano) ed europei - non solo sottolinea<br />
dunque l’elevato status sociale <strong>del</strong> defunto, ma attesta<br />
anche per la comunità in questione il sussistere in questo<br />
periodo di relazioni di medio-lungo raggio, dirette o<br />
indirette, con altre aree <strong>del</strong>la penisola italiana e<br />
<strong>del</strong>l’Europa continentale.<br />
Per quanto riguarda la datazione <strong>del</strong>le tombe, essa<br />
risulta problematica, in quanto la maggior parte dei<br />
frammenti di ceramica di impasto protostorica rinvenuti<br />
proviene dai livelli di riempimento <strong>del</strong>le fosse, la<br />
cui affidabilità stratigrafica, come si è detto, è notevol
mente compromessa dalle moderne buche d’albero<br />
che parzialmente li obliterano, dall’intrusione <strong>del</strong>le<br />
radici degli alberi e dalla scarsissima profondità <strong>del</strong>le<br />
tombe rispetto al moderno piano di campagna. Pur<br />
considerando questi fattori di disturbo, si osserva che<br />
in ogni caso la maggior parte dei reperti ceramici, tra<br />
cui i più significativi sono i citati frammenti relativi ad<br />
una tazza carenata e probabilmente ad un sostegno ‘a<br />
clessidra’, riportano al contesto <strong>del</strong>le produzioni <strong>del</strong>la<br />
facies di Palma Campania 13 .<br />
Tale datazione sembrerebbe avallata anche da<br />
alcuni, seppur labili, indizi di natura stratigrafica:<br />
tracce di cinerite e pomici di dimensioni millimetriche<br />
immediatamente sopra le tombe e la loro completa<br />
assenza all’interno dei riempimenti <strong>del</strong>le tombe<br />
stesse, potrebbe, infatti, essere indizio che uno strato<br />
di tali depositi, con tutta probabilità pertinente l’eruzione<br />
vesuviana cd. ‘<strong>del</strong>le Pomici di Avellino’, avesse<br />
ricoperto le tombe, costituendo un terminus ante quem<br />
per la loro datazione. Lavori agricoli o di bonifica<br />
<strong>del</strong>l’area hanno evidentemente eliminato tale strato,<br />
come tutta la stratificazione successiva, per cui al<br />
momento <strong>del</strong>lo scavo le tombe sono risultate coperte<br />
solo da 15-25 cm di terreno agricolo moderno.<br />
Diversi elementi concorrono, in conclusione, a<br />
propendere per una datazione <strong>del</strong>l’area sepolcrale di<br />
Ostaglio-Fuorni al Bronzo Antico, all’interno <strong>del</strong>la<br />
facies di Palma Campania, in un momento precedente,<br />
forse di poco, l’eruzione vesuviana cd. ‘<strong>del</strong>le<br />
Pomici di Avellino’. Tale datazione pone in relazione<br />
la necropoli di Ostaglio con altre evidenze emerse in<br />
passato in aree finitime, sia nella zona di San<br />
Leonardo che, in particolare, con il già citato villaggio<br />
protostorico individuato in località Oliva<br />
Torricella, ugualmente sepolto da un evento piroclastico,<br />
che ha documentato almeno 10 capanne con<br />
pianta absidata e orientamento Nord/Sud, pressoché<br />
costante, <strong>del</strong>l’asse maggiore, vale a dire esattamente<br />
lo stesso <strong>del</strong>le sepolture <strong>del</strong>l’area sepolcrale di<br />
Ostaglio.<br />
TSAO CEVOLI<br />
- 167 -<br />
Fig. 10 - Ostaglio. Veduta di fine scavo.<br />
In conclusione, lo scavo <strong>del</strong>la necropoli di Ostaglio<br />
aggiunge un nuovo tassello alla conoscenza dei rituali<br />
funerari <strong>del</strong>le comunità <strong>del</strong>l’antica età <strong>del</strong> Bronzo in<br />
Campania e costituisce un elemento di interessante<br />
novità in particolare per il salernitano. La necropoli<br />
restituisce il quadro di una piccola comunità locale,<br />
probabilmente un gruppo familiare o un clan, con<br />
rituali funerari complessi, analoghi a quelli coevi di<br />
altre aree <strong>del</strong>la Campania.<br />
Per quanto riguarda l’abitato di provenienza degli<br />
individui sepolti, la necropoli di Ostaglio riflette l’immagine<br />
di una comunità protostorica di tipo tribale, caratterizzata<br />
da una struttura sociale già relativamente complessa,<br />
come indicano i fattori di differenziazione <strong>del</strong>le<br />
tombe, a partire dalla presenza di particolari elementi di<br />
corredo in alcune sepolture, ma anche dalla loro più<br />
accentuata monumentalità e dalla differente disposizione,<br />
con la posizione preminente di alcune di esse, a<br />
riflettere l’emergere di alcuni individui, sia di sesso<br />
maschile che femminile, all’interno <strong>del</strong>la comunità.<br />
Le affinità rituali e culturali con altre aree <strong>del</strong>la<br />
Campania, ma anche l’affinità tipologica di alcuni manufatti<br />
con esemplari simili provenienti da altre aree <strong>del</strong>la<br />
penisola italiana e dall’Europa continentale, mostrano<br />
l’inserimento di questa comunità locale in una rete di<br />
relazioni, dirette o indirette, di medio e lungo raggio.
Note<br />
1 Ringrazio il Soprintendente per i Beni<br />
Archeologici di Salerno, Avellino, Caserta e<br />
Benevento, dott.ssa Maria Luisa Nava per<br />
avermi concesso l’opportunità di pubblicare<br />
questo articolo. Ringrazio anche il<br />
<strong>Gruppo</strong> <strong>Archeologico</strong> <strong>Salernitano</strong> per l’ospitalità<br />
sulle pagine <strong>del</strong>la sua Rivista.<br />
L’assistenza tecnico-scientifica alla realizzazione<br />
degli scavi archeologici in località<br />
Ostaglio, sotto la direzione <strong>del</strong>la competente<br />
Soprintendenza, è stata effettuata sul<br />
campo dallo scrivente, insieme alla dott.ssa<br />
Clara Cesario, che qui ringrazio per la collaborazione.<br />
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GENEROSO M. - IANNELLI M. A. - MARIOTTI<br />
LIPPI M. - RUSSO ERMOLLI E. - SARDELLA R.<br />
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cura di P. G. GUZZO - R. PERONI, Napoli.<br />
BIANCO PERONI V. 1994, I pugnali nell’Italia<br />
continentale, Prähistorische Bronzefunde, VI, 10,<br />
München.<br />
D’AGOSTINO B. 1976, La Campania nell’Età <strong>del</strong><br />
SALTERNUM<br />
2 Per un quadro <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo in<br />
Campania cfr. D’AGOSTINO 1976, pp. 95 ss.<br />
3 L’area sepolcrale di Ostaglio è stata già<br />
oggetto di una prima comunicazione da<br />
parte <strong>del</strong> Soprintendente dott.ssa M. L.<br />
Nava, durante la presentazione <strong>del</strong>l’attività<br />
<strong>del</strong>la Soprintendenza per il 2009 al<br />
Convegno di Taranto (NAVA cds).<br />
4<br />
MASTROROBERTO 1998, p. 139, n. 10;<br />
MASTROROBERTO - TALAMO 2001, p. 208.<br />
5<br />
VECCHIO – ALBORE LIVADIE - ESPOSITO<br />
1999, pp. 29-30, figg. 17-18; PETRONE 1999,<br />
pp. 33 ss.<br />
Bronzo e <strong>del</strong> Ferro, in Atti <strong>del</strong>la XVI riunione<br />
scientifica <strong>del</strong>l’Istituto Italiano di Preistoria e<br />
Protostoria in Campania 1974, Firenze 1976, pp.<br />
95-00.<br />
D’ERME L. 1991, s.v. Pugnali italiani, in LEROI-<br />
GOURAN – PIPERNO 1991, pp. 506-507.<br />
DI MAIO et Alii 2003, DI MAIO G. - IANNELLI<br />
M. A. – SCALA S. - SCARANO G. 2003,<br />
Antropizzazione ed evidenze di crisi ambientali in<br />
età preistorica in alcuni siti archeologici a Sud di<br />
Salerno, in ALBORE LIVADIE – ORTOLANI<br />
2003, pp. 475-492.<br />
FEDELE F. - PETRONE P. P. 1999 (a cura di),<br />
Un’eruzione vesuviana di 4000 anni fa. Reperti provenienti<br />
dal sito archeologico di San Paolo Belsito,<br />
Napoli.<br />
LEROI-GOURAN A. – PIPERNO M. 1991,<br />
Dizionario di preistoria, vol. I (Culture, vita quotidiana,<br />
metodologie), Torino.<br />
MARZOCCHELLA A. 1998, Tutela archeologica e<br />
preistoria nella piana campana, in Archeologia e<br />
Vulcanologia in Campania 1998, pp. 97-133.<br />
MASTROROBERTO M., 1998, La necropoli di S.<br />
- 168 -<br />
6<br />
VECCHIO – ALBORE LIVADIE - ESPOSITO<br />
1999, p. 29, fig. 17.<br />
7<br />
VECCHIO – ALBORE LIVADIE - ESPOSITO<br />
1999, p. 30, fig. 18.<br />
8<br />
MASTROROBERTO 1998, p. 145 e fig. 17.<br />
9<br />
MARZOCCHELLA 1998, pp. 97-133.<br />
10<br />
TOCCO 2003; DI MAIO et Alii 2003;<br />
ALBORE LIVADIE et Alii 2007.<br />
11<br />
D’ERME 1991, pp. 506-507.<br />
12<br />
BIANCO PERONI 1994.<br />
13<br />
ALBORE LIVADIE – D’AMORE 1980.<br />
Abbondio: una comunità <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo a<br />
Pompei, in Archeologia e Vulcanologia in Campania<br />
1998, pp. 135-149.<br />
MASTROROBERTO M. - TALAMO P. 2001, Il sito<br />
di Sant’Abbondio a Pompei. Continuità e trasformazione<br />
tra Bronzo Antico e Bronzo medio, in Pompei.<br />
Scienza e Società 2001, pp. 208 e ss.<br />
NAVA M. L. cds, Relazione <strong>del</strong>la Soprintendenza<br />
di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, in Atti<br />
<strong>del</strong> XLIX Convegno Internazionale di Studi sulla<br />
Magna Grecia, ‘La vigna di Dioniso: vite, vino e<br />
culti in Magna Grecia’, Taranto 2009.<br />
PETRONE P. P. 1999, I due scheletri umani: scavo,<br />
restauro, ricostruzione e studio paleo biologico, in<br />
FEDELE - PETRONE 1999, pp. 33 e ss.<br />
TOCCO G. 2003, L’attività archeologica <strong>del</strong>la<br />
Soprintendenza di Salerno, Avellino e Benevento nel<br />
2002, in Ambiente e paesaggio nella Magna Grecia,<br />
Atti <strong>del</strong> XLII Convegno di Studi sulla Magna<br />
Grecia, Taranto 2002, Taranto, pp. 639-641.<br />
VECCHIO G. – ALBORE LIVADIE C. -<br />
ESPOSITO E. 1999, San Paolo Belsito. Lo scavo e<br />
la scoperta, in FEDELE - PETRONE P. P. 1999.
MONICA VISCIONE<br />
Il popolamento <strong>del</strong>la Valle <strong>del</strong> Grancano in età romana<br />
Lo scavo estensivo nei pressi <strong>del</strong>la chiesa di<br />
San Felice in Pastorano, edificio fondato tra<br />
il IX e X sec. d. C., ha reso possibile individuare,<br />
nonostante la forte alterazione determinata dall’attività<br />
agricola moderna, un sito che presenta un<br />
arco di vita compreso tra il II sec. d. C. e l’Età tardoantica:<br />
una villa con terrazzamenti adibiti a colture come<br />
vigneti e uliveti 1 , di cui è stato messo in luce l’impianto<br />
termale relativo alla pars urbana e una porzione<br />
<strong>del</strong>la zona produttiva (pars rustica), (fig. 1), e alcune<br />
sepolture tardoantiche che segnalano la continuità <strong>del</strong>l’occupazione<br />
fino alla edificazione <strong>del</strong>la chiesa, una<br />
<strong>del</strong>le più antiche <strong>del</strong> territorio salernitano.<br />
Fig. 1 - Foto aerea <strong>del</strong>lo scavo.<br />
- 169 -<br />
I rinvenimenti aggiungono nuovi elementi per la<br />
ricostruzione <strong>del</strong> paesaggio <strong>del</strong>la Valle <strong>del</strong><br />
Grancano. Questa parte <strong>del</strong> territorio salernitano,<br />
già nota per il piccolo abitato di tipo rurale localizzabile<br />
presso S. Angelo di Ogliara, identificato sulla<br />
base <strong>del</strong> rinvenimento di alcune sepolture databili alla<br />
fine <strong>del</strong> IV sec. a. C. 2 , è collocato in una posizione geografica<br />
favorevole al controllo <strong>del</strong>le direttrici <strong>del</strong> traffico.<br />
Qui infatti potrebbe passare un percorso stradale<br />
che da Nuceria, senza passare per Salernum, consentiva<br />
di proseguire da una parte verso Abellinum e dall’altra<br />
verso Picentia, attraversando proprio le attuali<br />
frazioni di Pastorano ed Ogliara 3 .
Fig. 2 - Tomba 1.<br />
Fig. 3 - Tomba 4.<br />
Fig. 4 - Foto di scavo degli ambienti termali.<br />
Il progressivo popolamento di questo territorio,<br />
attuato in modo abbastanza frazionato 4 , è evidente già<br />
dal IV sec. a. C., quando da una organizzazione di tipo<br />
commerciale si passa ad una di tipo fondiario, basata<br />
su colture agricole specializzate e Fratte svolge un<br />
ruolo coagulante per l’intero comparto. Agli inizi <strong>del</strong><br />
III sec. a. C. gli insediamenti agricoli 5 sembrano scomparire:<br />
forte è l’influenza di Roma e Fratte ormai sem-<br />
SALTERNUM<br />
- 170 -<br />
bra assumere caratteristiche urbane 6 . Dopo la metà <strong>del</strong><br />
III sec. a. C. saranno proprio i Romani ad occupare<br />
una parte di quello che sarà il territorio <strong>del</strong>la colonia<br />
di Salerno, sviluppando realtà di tipo agricolo, con colture<br />
specializzate lungo i versanti pedologicamente<br />
più fertili, in continuità con le fasi precedenti.<br />
I ritrovamenti più recenti nell’area di Pastorano<br />
sono collocabili in Età tardoantica. A questo periodo<br />
risalgono 5 sepolture distribuite nell’area in modo<br />
abbastanza rado, tutte ricavate all’interno degli strati di<br />
abbandono degli ambienti <strong>del</strong>la villa di Età imperiale.<br />
La T. 1, rinvenuta integra, si trova immediatamente a<br />
Sud <strong>del</strong> calidarium e si tratta di una piccola cassa in<br />
frammenti di laterizi (0,74 x 0,43 m) orientata N/S, che<br />
conteneve 7 crani (fig. 2). Della T. 2 resta solo parte<br />
<strong>del</strong>la cassa in tegole. Più a Sud <strong>del</strong>la T. 1 si rinveniva<br />
una sepoltura ad enchytrismos (T. 4), il cui contenitore è<br />
un’anfora <strong>del</strong> tipo Dressel 2-4 (fig. 3). Le TT. 3 e 5 sono<br />
state rinvenute nella zona meridionale <strong>del</strong>lo scavo. La<br />
T. 3, nel saggio 2, ricavata all’interno di un banco di<br />
tufo in giacitura secondaria, è a fossa, orientata<br />
Est/Ovest, con inumazione supina con capo ad Ovest.<br />
La sepoltura risultava disturbata da una buca di pianta;<br />
a poca distanza è stato recuperato un unguentario<br />
acromo, lacunoso, che forse può riferirsi al corredo. La<br />
T. 5, ugualmente alterata da una buca di pianta, è stata<br />
rinvenuta nel saggio 3; <strong>del</strong>la copertura si conservava<br />
solo una lastra di tufo grigio; la cassa era costituita sul<br />
lato settentrionale da una grossa lastra di pietra calcarea<br />
posta di taglio e sull’altro lato da un muretto di<br />
tufelli e pietre legati da malta. Lo scheletro, in pessimo<br />
stato di conservazione, con il capo ad Ovest, era<br />
schiacciato da una tegola forse pertinente alla copertura;<br />
nel terreno depositatosi all’interno <strong>del</strong>la tomba si è<br />
recuperato un elemento di corredo: parte di un vaso<br />
forse biansato con scialbature in rosso. Il piano di<br />
deposizione era costituito da tegole. La sua datazione è<br />
determinata soprattutto in base ad elementi di stratigrafia<br />
verticale: essa infatti si colloca successivamente<br />
ad un muro riferibile ad ambienti di epoca imperiale.<br />
Le sepolture si impostano sui livelli di abbandono<br />
<strong>del</strong>la villa, di cui sono stati messi in luce alcuni<br />
ambienti termali: il calidarium e il tepidarium (figg. 4-5).<br />
Gli ambienti si presentano regolari (3,50 x 4 m) ed<br />
orientati Nord/Sud. Di essi si conserva in discreto<br />
stato l’ipocausis, realizzato con tubuli cilindrici, mentre<br />
<strong>del</strong>la suspensura non è rimasta traccia. Si conserva un<br />
tubulo a sezione quadrangolare appoggiato al muro
Fig. 5 - Planimetria degli ambienti termali.<br />
Fig. 6 - Foto di scavo degli ambienti meridionali.<br />
sopra al livello <strong>del</strong>la suspensura, che lascia ipotizzare la<br />
presenza, oltre al sistema per la diffusione <strong>del</strong>l’aria<br />
calda, anche di quello per il tiraggio <strong>del</strong> fumo. A Sud<br />
degli ambienti termali si attestano due lunghi muri<br />
paralleli che presentano gli stessi orientamenti <strong>del</strong>le<br />
terme (N/S) e la stessa tecnica costruttiva (opera vittata<br />
alternata a ricorsi in laterizi), ed un terzo muro,<br />
orientato Est/Ovest, parallelo al fronte meridionale<br />
degli ambienti termali; essi, conservati per una lunghezza<br />
di circa 8 m, sono i muri pertinenti ad altri<br />
ambienti di cui purtroppo non si può determinare la<br />
funzione, non essendosi conservati i piani d’uso, a<br />
causa sia <strong>del</strong>la forte erosione determinata dagli agenti<br />
atmosferici sia dalla fitta presenza di canalette di drenaggio<br />
e buche di pianta prodotte dall’attività agricola<br />
moderna. Ad Est <strong>del</strong>la zona termale sono stati individuati<br />
alcuni ambienti, di cui non si ricostruisce la planimetria<br />
completa, che presentano orientamento<br />
divergente da quelli <strong>del</strong>le terme - Nord/Ovest-<br />
Sud/Est - e sembrano appartenere ad una fase successiva;<br />
vista la presenza di alcuni piani di tegole combu-<br />
MONICA VISCIONE<br />
- 171 -<br />
ste, in essi potrebbero essere riconosciuti alcuni<br />
ambienti di servizio.<br />
A Sud <strong>del</strong>le terme, ad una distanza di circa 25 m, si<br />
è messa in luce una struttura rettangolare (8 x 6 m),<br />
probabilmente pertinente alla pars rustica, che presenta<br />
almeno due fasi costruttive, con orientamento leggermente<br />
divergente da quello <strong>del</strong>le terme (Nord 30°-<br />
Est); essa include un ambiente quadrato e presenta<br />
una pavimentazione in malta (fig. 6). Si ipotizza, considerando<br />
la tipologia dei pavimenti e l’assenza di<br />
coperture, che si tratti di ambienti produttivi.<br />
A Sud <strong>del</strong>la rampa di accesso al cantiere, in seguito<br />
alla interpretazione <strong>del</strong>le indagini geoelettriche condotte<br />
nell’area 7 , è stato posizionato un secondo saggio.<br />
L’indagine archeologica ha permesso qui l’individuazione<br />
di un fossato con orientamento Est/Ovest, il<br />
cui riempimento è stato reinciso più volte.<br />
L’obliterazione più recente è costituita da uno strato<br />
di tufo grigio rimaneggiato, che oblitera alcuni sottili<br />
livelli di calcare successivi alla deposizione di uno<br />
spesso strato di sabbia piroclastica intercalata a livelli<br />
di pomici rimaneggiate probabilmente riferibili alla<br />
eruzione vesuviana <strong>del</strong> 79 d. C. Nell’area non alterata<br />
dal fossato, ma fortemente alterata dalla presenza di<br />
un vigneto, si individua un sistema di canalizzazione<br />
<strong>del</strong>le acque che presenta almeno due fasi. La più antica,<br />
orientata Est/Ovest, conservata per circa 8 m, è<br />
costituita da due muretti in opera mista e ricorsi orizzontali<br />
di laterizi che chiudono un canale a sezione<br />
quadrata il cui fondo è costituito da frammenti di laterizi<br />
messi in piano. A questa canaletta si sovrappone,<br />
con un orientamento leggermente divergente, un<br />
‘canale coperto’, individuato per circa 11 m, costituito<br />
da un tubulo a sezione circolare completamente inglobato<br />
da un muro in opera incerta (tufelli e pietre calcaree<br />
legati da malta). L’orientamento <strong>del</strong> sistema di<br />
raccolta <strong>del</strong>le acque è lo stesso <strong>del</strong>le strutture termali<br />
<strong>del</strong>la villa, mentre la pendenza è quella che si percepisce<br />
ancora oggi: da Est verso Ovest (fig. 7).<br />
Il saggio 3, che non si è potuto estendere a causa<br />
<strong>del</strong>la presenza di due tralicci <strong>del</strong>l’alta tensione, ha evidenziato<br />
una situazione molto articolata probabilmente<br />
da connettere ancora con il drenaggio e la canalizzazione<br />
<strong>del</strong>le acque. Infatti è stato messo in luce parte<br />
di un canale/fontana (fig. 8) chiuso da due muri conservati<br />
per una altezza di 1 m, larghi circa 0,40 m; il<br />
muro settentrionale presenta un foro circolare foderato<br />
da un tubulo funzionale allo scorrimento <strong>del</strong>l’ac-
Fig. 7 - Foto di scavo <strong>del</strong> sistema di<br />
canalizzazione; a sin. il<br />
canale più recente.<br />
Fig. 8 - Foto di scavo<br />
<strong>del</strong> canale/fontana.<br />
Fig. 9 - Livello d’uso <strong>del</strong>la calcara.<br />
Pavimentazione alterata<br />
dall’impianto <strong>del</strong>la calcara.<br />
qua; il fondo è impermeabilizzato<br />
e sul lato meridionale<br />
vi è un rinforzo concavo,<br />
anch’esso impermeabilizzato,<br />
forse destinato a rallentare<br />
la forza <strong>del</strong>l’acqua. I muri<br />
con paramenti in ricorsi<br />
orizzontali di laterizi e<br />
nucleo in opera incerta,<br />
orientati come i muri <strong>del</strong>la<br />
pars rustica <strong>del</strong>la villa, presentano<br />
sulla rasatura alcuni piccoli<br />
tagli circolari interpretabili<br />
come alloggi per pali di<br />
un apprestamento in materiale<br />
deperibile.<br />
A questa struttura si<br />
appoggia un muro in opera<br />
reticolata di tufelli grigi con<br />
orientamento ad essa ortogonale<br />
(N 30° Est). I piani<br />
d’uso <strong>del</strong> muro sono stati<br />
fortemente compromessi<br />
dall’impianto di una calcara,<br />
da leggere nel taglio sub-circolare,<br />
il cui riempimento era<br />
costituito da concotto e da<br />
un livello di lapillo quasi<br />
vetrificato dall’alta tempera-<br />
tura. La rimozione dei livelli d’uso <strong>del</strong>la calcara evidenziava<br />
la pavimentazione fortemente rimaneggiata dall’uso<br />
successivo (fig. 9), e un piccolo ambiente rettangolare<br />
successivo al muro in opera reticolata, di cui non<br />
sono stati rinvenuti i piani pavimentali; i muri che lo<br />
costituiscono sono intonacati all’esterno. A Sud <strong>del</strong>la<br />
struttura venne creato un piccolo canale sfruttando il<br />
muro in opera reticolata preesistente e costruendo un<br />
secondo muro parallelo, intonacato verso l’interno.<br />
A questa fase sono probabilmente successivi i due<br />
muri in opera incerta posti a Sud, che vengono tagliati<br />
per l’impianto <strong>del</strong>la tomba 5. In un piccolo approfondimento<br />
realizzato in prossimità di questi ultimi<br />
sono state evidenziate le tracce in negativo <strong>del</strong>l’impianto<br />
di una macchina agricola. A questa e al suo uso<br />
potrebbe essere funzionale il sistema di sfruttamento<br />
<strong>del</strong>le acque messo in luce nelle immediate vicinanze.<br />
Le ceramiche più antiche rinvenute nell’area sono<br />
rappresentate da alcuni frammenti di vernice nera e da<br />
SALTERNUM<br />
- 172 -<br />
Fig. 10 - Lucerna con marchio KELSEI.<br />
un frammento di<br />
epichysis a figure rosse<br />
collocabile entro il<br />
IV sec. a. C., esito<br />
probabilmente <strong>del</strong>la<br />
distruzione di sepolture<br />
poste a monte <strong>del</strong>la villa. In grandi quantità è presente<br />
ceramica sigillata africana risalente al II sec. d.<br />
C., soprattutto piatti, grossi contenitori rappresentati<br />
da olle con orlo a tesa e anfore <strong>del</strong> tipo Dressel 2-4,<br />
oltre a frammenti di opus doliare. Di particolare interesse<br />
una lucerna, rinvenuta in uno strato superficiale,<br />
con decorazione a globetti e bollo inciso sul fondo:<br />
KELSEI (in greco), risalente alla seconda metà <strong>del</strong> II<br />
sec. d. C. 8 (Fig. 10). Le monete rinvenute durante le<br />
indagini vanno dal I al IV sec. d. C. 9 Fig. 11 - Bronzo di Antonino Pio.<br />
; la più antica<br />
dovrebbe essere un bronzo di Traiano (I-II sec. d. C.)<br />
recuperato nello strato superficiale all’interno degli<br />
ambienti termali, mentre le quattro monete rinvenute<br />
all’interno degli ambienti produttivi, sul pavimento<br />
sepolto da uno strato alluvionale - 4 bronzi di<br />
Antonino Pio (138-161 d. C.) - forniscono il terminus<br />
ad quem per la frequentazione degli ambienti (Fig. 11).<br />
Al III secolo risale un Antoniniano di Gallieno recuperato<br />
sempre nell’area <strong>del</strong>le terme. Lo strato di obliterazione<br />
<strong>del</strong>le strutture ha restituito un follis di<br />
Costantino (306-337 d. C.) che conferma la lunga frequentazione<br />
<strong>del</strong> sito almeno dal I-II secolo al V secolo,<br />
momento in cui l’impianto <strong>del</strong>le tombe segna l’abbandono<br />
<strong>del</strong>la villa. La vicinanza <strong>del</strong>la chiesa potrebbe<br />
altresì giustificare l’uso sepolcrale <strong>del</strong> sito, anche in<br />
relazione alla possibilità di un luogo di culto cristiano,<br />
legato alla trasformazione in pagus <strong>del</strong>la villa di età<br />
imperiale.
Note<br />
Allo scavo ha collaborato la dott.sa E.<br />
Civale, con la quale ho condiviso anche la<br />
post-elaborazione dei dati.<br />
1 Nell’area sono attestati in grande quantità<br />
contenitori per derrate e anfore vinarie.<br />
2 PONTRANDOLFO 1980, pp. 94-98.<br />
3 ROSSI 2000, pp. 17-26.<br />
4 TAGLIAMONTE 1996, p. 156.<br />
Bibliografia<br />
GRECO G. - PONTRANDOLFO A. 1990, Fratte.<br />
Un insediamento etrusco-campano, Modena.<br />
PONTRANDOLFO A. 1980, Un gruppo di tombe<br />
da un insediamento rurale <strong>del</strong> IV sec. a. C. da<br />
S.Angelo di Ogliara (Salerno), in “AION”, I, pp.<br />
94-98.<br />
MONICA VISCIONE<br />
5 Ad esempio S. Angelo di Ogliara e<br />
Brignano; qui di recente sono state rinvenute<br />
tracce di insediamenti produttivi risalenti<br />
al V sec. a. C. (informazioni da Archivio<br />
<strong>del</strong>la Soprintendenza).<br />
6 GRECO –PONTRANDOLFO 1990.<br />
7 Le indagini geoelettriche sono state eseguite<br />
ed interpretate dalla dott.ssa M. G.<br />
ROMITO M. 2000, Salerno romana dalla fondazione<br />
<strong>del</strong>la colonia all’Impero, in Storia di Salerno. I.<br />
Salerno antica e medievale, a cura di I. GALLO,<br />
Avellino, pp. 61-69.<br />
ROMITO M. 2005, Museo <strong>Archeologico</strong> Provinciale<br />
<strong>del</strong>l’Agro Nocerino nel Convento di Sant’Antonio a<br />
- 173 -<br />
Soldovieri.<br />
8 ROMITO 2000, pp. 61-69; per le lucerne,<br />
part. p. 65. EAD. 2005, p. 133.<br />
9 L’inquadramento tipologico e cronologico<br />
<strong>del</strong>le monete si deve alla dott.ssa S.<br />
Pantuliano <strong>del</strong>l’Università degli Studi di<br />
Salerno.<br />
Nocera Inferiore. Vecchi scavi, nuovi studi, Salerno.<br />
ROSSI A. 2000, Alcune considerazioni sul territorio<br />
di Salernum, in “Apollo”, XV, pp. 17-26.<br />
TAGLIAMONTE G. 1996, I Sanniti, Milano.
- 174 -
VINCENZO DI GIOVANNI<br />
Il commercio marittimo nel Tirreno meridionale:<br />
nuovi dati da un relitto nelle acque di Palinuro<br />
Nel mese di Giugno <strong>del</strong>l’anno 2009, nell’ambito<br />
di operazioni di verifica e monitoraggio<br />
di relitti con materiali tossici nel<br />
Tirreno meridionale, la nave Mare Oceano ha individuato<br />
nelle acque a circa 11 miglia a Sud di Capo Palinuro,<br />
alla profondità di circa 600 metri, un gruppo di anfore<br />
da trasporto 1 certamente pertinenti al relitto di una<br />
imbarcazione proveniente dal Nord <strong>del</strong>l’Egeo alla fine<br />
<strong>del</strong> V sec. a. C. I tecnici <strong>del</strong>la nave hanno recuperato e<br />
portato in superficie 4 anfore appartenenti a due<br />
gruppi tipologici leggermente diversi, che sono state<br />
denominate con le prime quattro lettere <strong>del</strong>l’alfabeto.<br />
Anfora A (fig. 1). Anfora con orlo leggermente<br />
espanso e diviso, collo cilindrico, spalla inclinata, raccordo<br />
spalla/corpo a profilo continuo, corpo piriforme<br />
(a trottola) piede corto ingrossato e sagomato,<br />
fondo esterno <strong>del</strong> piede con forte incavo; due anse a<br />
bastone schiacciato a sezione lievemente ovale, rilevate<br />
e impostate sotto l’orlo e sulla parte alta <strong>del</strong>la spal-<br />
Fig. 1 - Anfora A. Fig. 2 - Anfora B.<br />
- 175 -<br />
la. All’attacco inferiore <strong>del</strong>l’ansa è stata rilevata una<br />
marcata impressione ovale, realizzata con il dito sull’argilla<br />
compatta prima <strong>del</strong>la cottura. Altezza max cm<br />
58. Diametro orlo cm 11,5. Argilla dura, ruvida, compatta,<br />
rosso arancio molto scuro (MUS. 10R 4/6 red) 2 ,<br />
inclusi di calcare, poca mica, e medi grigi (quarzo arrotondato?),<br />
specialmente in superficie 3 . Tracce di<br />
ingobbio poco spesso, color crema.<br />
Anfora B (figg. 2-5). Anfora con orlo leggermente<br />
espanso e svasato, collo cilindrico, spalla bombata,<br />
raccordo spalla/corpo a profilo continuo, corpo subglobulare,<br />
mancante <strong>del</strong>la parte inferiore <strong>del</strong> piede;<br />
due anse a bastone schiacciato a sezione ovale, lievemente<br />
rilevate e impostate sotto l’orlo e sulla parte<br />
mediana <strong>del</strong>la spalla. All’attacco inferiore <strong>del</strong>l’ansa è<br />
stata rilevata una marcata impressione ovale, realizzata<br />
con il dito sull’argilla compatta prima <strong>del</strong>la cottura.<br />
Altezza max cm 57,5. Diametro orlo cm 11,5. Argilla<br />
dura, ruvida, molto compatta, rosso arancio molto<br />
scuro (MUS. 10R 5/6 red), pochi<br />
inclusi di calcare, poca mica.<br />
Tracce di ingobbio poco spesso,<br />
color giallo chiaro.<br />
Anfora C (fig. 2). Forma come<br />
l’anfora A, con orlo leggermente<br />
più inclinato. Altezza max cm 60,<br />
diametro orlo cm 10,8. Argilla<br />
dura, ruvida, compatta, rosso<br />
arancio molto scuro (MUS. 10R<br />
4/6 red), inclusi di calcare, poca<br />
mica, e medi grigi (quarzo arrotondato?),<br />
specialmente in superficie.<br />
Tracce di ingobbio poco spesso<br />
color crema.<br />
Anfora D (fig. 4). Forma come<br />
l’anfora A. Altezza max cm 63,<br />
diametro orlo cm 11. Argilla dura,
uvida, compatta, rosso arancio molto scuro (MUS.<br />
2.5YR 4/8 red), inclusi di calcare e medi grigi (quarzo<br />
arrotondato?), specialmente in superficie. Tracce di<br />
ingobbio poco spesso, color crema.<br />
Si tratta, come dicevamo, di quattro esemplari da<br />
un unico carico proveniente dall’Egeo settentrionale,<br />
naufragato al largo <strong>del</strong>le coste <strong>del</strong> basso salernitano.<br />
Le anfore, pur essendo piuttosto simili nella fattura e<br />
nella resa <strong>del</strong>le superfici, hanno lievi differenze tra di<br />
loro e possono essere divise in due gruppi morfologici<br />
separati. Il primo comprende gli esemplari A, C e D<br />
ed è con tutta probabilità da ascrivere alla produzione<br />
cd. di Mende4 , città posta sulle propaggini più occidentali<br />
<strong>del</strong>la penisola Calcidica, in cui si produceva tradizionalmente<br />
sin dall’epoca arcaica un vino bianco<br />
molto <strong>del</strong>icato e di grande pregio5 . La produzione di<br />
questi contenitori da trasporto sembra essere concentrata<br />
nel periodo dalla seconda metà <strong>del</strong> V secolo a. C.<br />
fino agli inizi <strong>del</strong> secolo successivo, quando queste<br />
anfore non sembrano più essere attestate né in discariche<br />
da scalo né da relitti; questo non è certamente un<br />
dato casuale e vi ritorneremo in seguito6 . Secondo<br />
quelli che sembrano essere i caratteri evolutivi <strong>del</strong> tipo<br />
- i cui indicatori tipologici dovrebbero essere l’altezza<br />
<strong>del</strong> collo, lo schiacciamento <strong>del</strong> corpo <strong>del</strong> vaso, che nel<br />
tempo diventa sempre più a ‘trottola’, e l’allungamento<br />
<strong>del</strong> piede7 - i nostri esemplari andrebbero collocati<br />
nella fase matura <strong>del</strong>la produzione, nella seconda metà<br />
<strong>del</strong> V secolo a. C.<br />
I confronti morfologici più prossimi sono con<br />
un’anfora dall’Agorà di Atene da un<br />
contesto <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> V secolo8 , e<br />
con un esemplare da Gela con<br />
medesima datazione9 . Piuttosto<br />
simili, anche se forse con articolazione<br />
spalla/collo un poco più rigida,<br />
sono le anfore <strong>del</strong> relitto di<br />
Porticello, ritrovato nelle acque<br />
<strong>del</strong>lo stretto di Messina, datate, con<br />
qualche dubbio, alla fine <strong>del</strong> V secolo.<br />
10<br />
L’analisi autoptica <strong>del</strong>la argille<br />
con la quale sono realizzati tutti e<br />
tre i contenitori pare tra l’altro compatibile<br />
con caratteristiche petrologiche<br />
macroscopiche tipiche <strong>del</strong>la<br />
produzione 1 di questo tipo di<br />
anfore elaborata dallo Whitebread11 Fig. 3 - Anfora C.<br />
.<br />
SALTERNUM<br />
- 176 -<br />
Questo tipo di anfora sembra essere attestata in<br />
ambito costiero campano a Ischia 12 ed a Vico<br />
Equense 13 , e nella Campania interna, probabilmente<br />
come elemento di prestigio in ambito funerario, a<br />
Trebula Balliensis 14 e a Teanum Sidicinum 15 ; sono numerose<br />
anche le attestazioni in Sicilia, dove sembra essere<br />
significativamente diffusa in tutta l’isola 16 .<br />
Al di fuori d’Italia, si registra una presenza piuttosto<br />
massiccia di queste anfore nel Ponto, sulle coste<br />
europee <strong>del</strong> Mar Nero, dove si è sviluppato un ambito<br />
di studio specifico su questa classe di contenitori<br />
commerciali che sono piuttosto diffusi; anche in questo<br />
caso il picco <strong>del</strong>le attestazioni sembra essere la<br />
seconda metà <strong>del</strong> V secolo a. C. 17 .<br />
L’anfora B ha caratteristiche morfologiche leggermente<br />
differenti rispetto a quelle <strong>del</strong> primo gruppo,<br />
specialmente nella forma <strong>del</strong> corpo <strong>del</strong> vaso e <strong>del</strong><br />
piede, che sfortunatamente è mutilo nella parte inferiore.<br />
La fattura generale, nonché alcune particolarità<br />
di realizzazione, non ultimi la digitalatura all’attacco<br />
<strong>del</strong>le anse e l’orientamento <strong>del</strong>l’orlo e, per quello che<br />
è possibile vedere, l’argilla con cui è realizzato il contenitore,<br />
fanno pensare ad una certa omogeneità produttiva<br />
con le altre anfore <strong>del</strong> carico. Articolazione <strong>del</strong><br />
piede a parte, questo tipo B sembra alquanto simile ad<br />
anfore ascritte al medesimo ambito produttivo 18 , nonché<br />
ad esemplari di contenitori commerciali presenti<br />
in alcuni siti <strong>del</strong>l’Egeo orientale, in particolare quelli,<br />
di produzione incerta, provenienti dal relitto di<br />
Ounoussos, nelle acque orientali <strong>del</strong>l’isola di Chio 19 .<br />
Fig. 4 - Anfora D.
Fig. 5 - Disegno <strong>del</strong>le Anfore C e B.<br />
Un altro dato da valutare nel quadro sulla circolazione<br />
di questa classe di materiali sono le attestazioni<br />
su diversi relitti nel bacino <strong>del</strong> Mediterraneo, che<br />
suggeriscono elementi utili sia per la composizione<br />
dei carichi ed il tipo di vettore, sia per le rotte lungo<br />
le quali avveniva la distribuzione di questi contenitori.<br />
Relitti su cui erano trasportate anfore di Mende,<br />
oltre a quello già citato di Porticello, sono stati rinvenuti<br />
nelle acque <strong>del</strong>l’isola di Alonissos nelle Sporadi<br />
settentrionali 20 e Tektaş Burnu 21 , vicino alle coste<br />
<strong>del</strong>la Turchia, a Sud <strong>del</strong> moderno porto di Çesme 22 .<br />
In tutti i casi si tratta di carichi compositi, in cui queste<br />
anfore viaggiano con altri contenitori ed altre<br />
merci. Anche i vettori, oltre ad avere carichi eterogenei,<br />
sembrano avere tonnellaggi differenti. Per esempio,<br />
il relitto di Alonissos nelle Sporadi settentrionali,<br />
con un carico veramente ingente per l’orizzonte<br />
cronologico a cui si riferisce, ha un carico composito<br />
di anfore di Mende e di anfore di Peparethos, prodotte<br />
localmente, computabile nell’ordine di migliaia<br />
di contenitori, ed il battello sembra essere lungo oltre<br />
25 metri. Si trattava quindi di una nave di discrete<br />
proporzioni, che stava caricando vino nei vari porti,<br />
probabilmente diretta a Occidente, naufragata a carico<br />
pieno poco dopo la partenza 23 . Invece i carichi di<br />
stiva di Tektaş Burnu e <strong>del</strong> relitto di Ounoissos sono<br />
molto più ridotti, entrambi valutabili nell’ordine di<br />
300-400 contenitori, ed anche gli scafi, sulla base <strong>del</strong>l’area<br />
di spargimento <strong>del</strong> carico, non superavano i 20<br />
metri. Ma anche in questi casi i carichi sono misti,<br />
con provenienze diverse, anche se probabilmente<br />
caricati da scali non molto distanti tra di loro. Lo<br />
stesso può dirsi per il relitto di Porticello che presen-<br />
VINCENZO DI GIOVANNI<br />
- 177 -<br />
ta, come è noto, un carico di bronzi, ceramica e probabilmente<br />
poche centinaia di anfore, su un battello<br />
di non più di 15 metri.<br />
Le rotte verso Occidente avranno seguito una navigazione<br />
di piccolo cabotaggio, essenzialmente costiera,<br />
come tra l’altro sembra suggerire anche il relitto di<br />
Capo Palinuro: doppiato il famigerato Capo Maleo 24 ,<br />
prevedevano certamente uno scalo a Siracusa 25 e, attraversato<br />
lo stretto di Messina, risalivano la costa fino ai<br />
porti <strong>del</strong>la Campania e <strong>del</strong>l’Etruria.<br />
Come si accennava, il fatto che gran parte <strong>del</strong>le<br />
attestazioni di questi contenitori commerciali sia<br />
concentrato nel corso <strong>del</strong>la seconda metà <strong>del</strong> V secolo<br />
a. C. costituisce un dato da valutare 26 . La città di<br />
Mende è alleato ‘storico’ di Atene e fa parte <strong>del</strong>la<br />
Lega Delio-Attica fin dal 451 a. C. 27 Durante la guerra<br />
<strong>del</strong> Peloponneso (431- 404 a. C.) è luogo di battaglie<br />
e repentini cambiamenti di fronte 28 . Questo legame<br />
politico non può non aver avuto <strong>del</strong>le valenze<br />
commerciali: sulla scorta <strong>del</strong> dato cronologico e <strong>del</strong><br />
mo<strong>del</strong>lo distributivo, non è difficile mettere in relazione<br />
la presenza di questi contenitori commerciali<br />
con la ricerca da parte <strong>del</strong>la capitale <strong>del</strong>l’Attica, in<br />
difficoltà negli approvvigionamenti cerealicoli durante<br />
la guerra contro Sparta, di nuovi mercati su cui<br />
reperire il grano e in cui agevolmente smerciare vino<br />
e ceramica di qualità superiore, e non è certo casuale<br />
che siano la Sicilia, la Campania ed il Chersoneso<br />
Pontico i luoghi dove si concentrano le attestazioni<br />
di questa classe di materiali 29 . Nel corso <strong>del</strong> IV secolo<br />
essa tende a scomparire, almeno in Occidente;<br />
probabilmente la causa è il vino rodio che, a partire<br />
dalla metà di questo secolo e per i due successivi,<br />
‘saturerà il mercato’ <strong>del</strong> vino di qualità 30 .<br />
Il dato interessante dal punto di vista tipologico -<br />
e quindi dal punto di vista economico in senso lato -<br />
è costituito dal fatto che il mo<strong>del</strong>lo a cui si ispirano i<br />
contenitori di produzione italica, che proprio alla<br />
metà <strong>del</strong> IV secolo incominciano ad essere prodotti<br />
in area tirrenica, non sono le diffuse e commercialmente<br />
fortunate anfore rodie, ma proprio queste<br />
anfore greco-orientali con il corpo a trottola, le anse<br />
larghe e il piede ben definito. Non a caso la critica<br />
moderna ha chiamato questi nuovi contenitori commerciali<br />
vinari, simbolo <strong>del</strong>la capacità produttiva italica,<br />
‘anfore greco-italiche’ 31 .
Note<br />
Ringrazio il Soprintendente Archeologo<br />
Dott.ssa Maria Luisa Nava per avermi dato<br />
la possibilità di studiare questo rinvenimento.<br />
Ringrazio anche l’amico Carlo Leggieri<br />
che per primo ha visionato ed analizzato i<br />
reperti e che mi ha interessato alla ricerca.<br />
Un ringraziamento va anche al Dott. Luca<br />
Basile, che mi ha aiutato nel reperimento<br />
<strong>del</strong>la bibliografia e nella riflessione sulle<br />
problematiche relative alla diffusione di<br />
questi materiali nel V secolo. Dedico questa<br />
breve nota alla memoria di Nicola Severino,<br />
archeologo innamorato <strong>del</strong> mare e <strong>del</strong>la vita<br />
e amico dolcissimo.<br />
1<br />
MUNSELL 2000.<br />
2 Gli esemplari visionati erano completamente<br />
coperti da concrezioni marine ed<br />
erano integri, per cui l’analisi autoptica <strong>del</strong>le<br />
argille ha potuto essere effettuata solo sommariamente.<br />
3 Su queste anfore da Gela cfr. SPAGNOLO<br />
2003, p. 625, con relativa bibliografia. Per la<br />
prima identificazione di questa produzione<br />
anforaria sulla base dei pur rari bolli con tipi<br />
monetali <strong>del</strong>la città di Mende, con l’anfora e<br />
Dioniso sull’asino, cfr. GRACE 1949, p. 182,<br />
tav. 20, n. 1; GRACE 1961, fig. 43.<br />
4<br />
PAPADOPULOS et Alii 1999, p. 165; SALVIAT<br />
1990, pp. 470-476.<br />
5<br />
SPAGNOLO 2003, p. 625.<br />
6<br />
SPAGNOLO 2003, p. 626; abbastanza irrilevante<br />
invece sembra la presenza, fortemente<br />
caratterizzante e palesemente intenzionale,<br />
<strong>del</strong>la digitalatura sull’attacco basso <strong>del</strong>l’ansa,<br />
che pare essere piuttosto comune a<br />
tutte le produzioni nord-egee di periodo<br />
classico (SPAGNOLO 2003, p. 619).<br />
7<br />
PAPADOPULOS et Alii 1999, p. 163, fig. 3. Per<br />
le specifiche <strong>del</strong> contesto di rinvenimento si<br />
veda anche SPARKS - TALCOTT, p. 393, pozzo<br />
H 13:4.<br />
8<br />
SPAGNOLO 2003, p. 626, tav. V, 4 ed ivi<br />
bibliografia su distribuzione <strong>del</strong> tipo nel<br />
Mediterraneo orientale, vedi note da 145 a<br />
150.<br />
9<br />
EISEMAN 1973, pp. 13-15, fig. 1-3. Per una<br />
discussione sulla datazione <strong>del</strong> relitto cfr.<br />
LAWALL 1998, p. 16-23.<br />
SALTERNUM<br />
10 WHITEBREAD 1995, p. 201-202; p. 204.<br />
11 DI SANDRO 1986, pp. 82-84, tav. 16, nn.<br />
197-200.<br />
12 DI SANDRO 1981 pp. 10 e s., fig. 3, n. 4;<br />
anfore ascritte allo stesso ambito produttivo,<br />
ma da contesto più antico anche da<br />
Cuma (SAVELLI 2006, pp. 115-116, TTA<br />
382 - TTA 383).<br />
13 CAIAZZA 2000.<br />
14 SIRANO 2005.<br />
15 Per un inquadramento generale <strong>del</strong>le attestazioni<br />
siciliane, cfr. ALBANESE 1996, pp.<br />
91-137, 104-108, a cui bisogna aggiungere,<br />
da Messina: BACCI - TICANO 2003, p. 95,<br />
fig. 14 (ultimo quarto <strong>del</strong> V); dal Catanese:<br />
ALBANESE PROCELLI 2003, pp. 37 -47; da<br />
Solunto (area Elima): GRECO 2000, p. 687,<br />
tav. CXVI , 8; da Imera: ALLEGRO -<br />
VASSALLO 1992, 79-150, 115-116, n. 135,<br />
fig. 8. Tali materiali sono da tenere in considerazione<br />
anche perché provenienti da un<br />
ambito funerario, con probabile funzione di<br />
elemento di prestigio nel corredo, come gli<br />
esempi campani <strong>del</strong>l’interno (ALBANESE<br />
PROCELLI 2009). Probabile anche la presenza<br />
di questo contenitore commerciale a<br />
Lipari (CAVALIER 1985, p. 65, fig. 16, n. 61).<br />
16 SPAGNOLO 2003, p. 625, ni. 127-128. A<br />
queste si possono aggiungere le attestazioni<br />
da Olbia Pontica: LEJPUNSKAJA et Alii,<br />
2010, pp. 355-406, e ivi altra bibl.<br />
Interessante anche le presenza nelle aree<br />
interne ucraine, dove questi contenitori<br />
sembrano avere un mo<strong>del</strong>lo distributivo di<br />
tipo fluviale (KARAJKA 2007, pp. 133-141).<br />
17 PAPADOPULOS - PASPALAS 1999, p. 170 ss.<br />
fig. 2.<br />
18 FOLEY et Alii 2009, 2009, p. XX, fig. 13.<br />
Anfore simili sono anche esposte nel Museo<br />
<strong>Archeologico</strong> di Çesme, senza indicazione di<br />
provenienza. Un altro confronto morfologico<br />
con materiale leggermente più tardo dall’alto<br />
Adriatico, anch’esso attribuito produttivamente<br />
all’ambito produttivo chiota, in DE<br />
LUCA DE MARCO 1979, p. 584, tav. III, n. 8.<br />
19 HADJIDAKI 1996, p. 573 ss.<br />
20 CARLSON 2003, p. 590 ss.<br />
21 Notizia di un relitto con anfore di Mende,<br />
genericamente datato nella seconda metà<br />
- 178 -<br />
<strong>del</strong> V secolo ma senza precise indicazione<br />
sulle dimensioni <strong>del</strong> carico, anche a<br />
Sithonia vicino alle coste <strong>del</strong>la penisola<br />
<strong>del</strong>la Calcidica (PARKER 1992, n. 1095).<br />
22<br />
HADJIDAKI 1996, p. 590.<br />
23 Strabone, Geogr. 8, 6,2; Plinio, Ep. 10, 26.<br />
Difficile valutare il reale uso per fini commerciali<br />
<strong>del</strong> Diolkos, una sorta di percorso<br />
lastricato con una sorta di binari incassati,<br />
che permetteva di passare via terra attraverso<br />
l’istmo di Corinto trascinando le navi e<br />
i carichi evitando le insidie <strong>del</strong> Capo Maleo.<br />
Sull’argomento cfr. RAEPSAET - TOLLEY<br />
1993, in particolare p. 249 con raccolta <strong>del</strong>le<br />
fonti antiche e ampia bibliografia.<br />
24 Cfr. per esempio LAGONA 1987.<br />
25 Si vedano le considerazioni sul campione<br />
geloo in SPAGNOLO 2003, p. 628.<br />
26 Cfr. MUSTI 1989, pp. 239-241; 243-244;<br />
334-336.<br />
27 Tucidide, IV, 121, 123.<br />
28 Per la Campania, ed in particolare per il<br />
ruolo privilegiato <strong>del</strong>la città di Neapolis con<br />
gli Ateniesi, cfr. CERCHIAI 2010, p. 97-99.<br />
con bibliografia ampia e aggiornata; si veda<br />
pure, in generale, MELE 2006, p. 250-252.<br />
29 Manca purtroppo uno studio di dettaglio<br />
sulla articolazione <strong>del</strong>la distribuzione di<br />
queste anfore, quasi sempre bollate e ben<br />
riconoscibili, dalla Campania. Per un esempio<br />
dal Nord <strong>del</strong>la Campania, cfr. CERA<br />
2004, 119, n. 299; per i problemi relativi alla<br />
datazione <strong>del</strong>le serie dei bolli, cfr.<br />
FINKIELSZTEJN 2001, in part. pp.13; 43-59.<br />
30 Esemplari simili dal punto di vista morfologico<br />
alle anfore nord-egee, piede a parte,<br />
sono prodotti in Magna Grecia alla metà <strong>del</strong><br />
V secolo a. C. (cfr. VANDERMERSCH 1995, p.<br />
63, dove vengono interpretate come imitazioni<br />
locali <strong>del</strong> tipo Corinzio B), ma anche<br />
le forme più tipiche <strong>del</strong> tipo greco-italico<br />
‘antico’ hanno caratteri comuni a quelli<br />
<strong>del</strong>le anfore nord-egee (VANDERMERSCH<br />
1995, p. 81-85.) Da ultima, con discussione<br />
sulla genesi morfologica, OLCESE 2004, pp.<br />
174-175.
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14.<br />
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355.<br />
LEJPUNSKAJA N. A. et Alii, 2010 The Lower<br />
City of Olbia (Sector NGS) in the 6th Century<br />
BC to the 4th Century AD, Vol. 1, “Aarhus”,p.<br />
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- 180 -
PIETRO CAIAZZA, Caravaggio e la<br />
falsa Maddalena, L’officina <strong>del</strong>l’Arte<br />
5, Edizioni Arci Postiglione,<br />
Salerno 2009, 216 pp., 51 ill. f. t.<br />
Cade quanto mai opportuno,<br />
in coincidenza<br />
con le celebrazioni <strong>del</strong><br />
IV centenario <strong>del</strong>la morte di<br />
Michelangelo Merisi da Caravaggio<br />
(1610), questo volume focalizzato<br />
sulla rivisitazione e sulla discussione<br />
<strong>del</strong>le problematiche sia iconografiche<br />
sia iconologiche di un’opera<br />
<strong>del</strong> Caravaggio definita<br />
costantemente da quattro secoli<br />
come Marta e Maddalena, eseguita<br />
dal pittore lombardo verso gli ultimi<br />
anni <strong>del</strong> Cinquecento e dal 1975<br />
presente nel Detroit Institute of Arts di Detroit<br />
(Michigan, USA).<br />
Caiazza contesta infatti in radice, e senza scorciatoie<br />
né sconti, l’intitolazione <strong>del</strong> quadro, che fu ad esso<br />
attribuita in un inventario <strong>del</strong> 1606 e che da allora è<br />
stata da tutti gli storici <strong>del</strong>l’arte recepita tal quale,<br />
senza alcuna contestazione. Caiazza invece nega radicalmente<br />
che il tema <strong>del</strong> quadro possa riguardare le<br />
due sorelle nominate nei Vangeli, ed in particolare la<br />
figura <strong>del</strong>la Maddalena, che negli anni recenti ha fatto<br />
scorrere tanti (e decisamente troppi) fiumi d’inchiostro.<br />
Ma questo lavoro non è un romanzo, bensì una<br />
rigorosa ricerca storica, che si sforza di risalire fino alle<br />
circostanze precise che diedero a Caravaggio l’occasione<br />
di elaborare il dipinto.<br />
Lo studioso parte dalla constatazione che il quadro<br />
non presenta alcuno degli elementi iconografici tipici<br />
<strong>del</strong> personaggio <strong>del</strong>la Maddalena (in particolare<br />
ADRIANO CAFFARO<br />
Recensioni<br />
- 181 -<br />
denuncia l’assenza di gioielli, che in<br />
tutta la pittura tardomedievale,<br />
umanistica e rinascimentale caratterizzavano<br />
costantemente il personaggio<br />
medesimo). Inoltre, contesta<br />
che l’altro personaggio possa<br />
identificarsi con Marta, dato che<br />
costei è stata sempre rappresentata<br />
nella produzione artistica europea<br />
come una sorella maggiore e più<br />
anziana: la riprova di questo assunto<br />
è per Caiazza un’altra opera <strong>del</strong>lo<br />
stesso Caravaggio di circa dieci anni<br />
posteriore (la Resurrezione di<br />
Lazzaro, oggi a Messina), nella<br />
quale Caravaggio rappresenta le<br />
due sorelle appunto secondo la tradizionale<br />
redazione iconografica,<br />
con Marta quale sorella anziana e<br />
Maddalena decisamente pià giovane: e cioè, l’esatto<br />
contrario di quanto appare nella tela di Detroit.<br />
Dunque - sostiene Caiazza - sia l’assenza dei gioielli,<br />
sia l’impossibilità di identificare i due personaggi<br />
per l’età ed il ruolo ad essi tradizionalmente attribuiti,<br />
dimostrano che non possiamo trovarci dinanzi alle<br />
due donne dei Vangeli. Ma esistono anche due gravi<br />
errori interpretativi nella generalità degli studiosi: il<br />
primo è l’aver <strong>del</strong> tutto omesso di notare che la donna<br />
nel quadro è vistosamente incinta, e quindi non può<br />
essere la Maddalena; il secondo è che, anche dal punto<br />
di vista più rigorosamente teologico, le due donne rappresentate<br />
nella tela non possono in ogni caso essere<br />
Marta e Maddalena. Ed infatti, sostiene l’autore, se il<br />
quadro rappresentasse davvero il momento <strong>del</strong>la conversione<br />
<strong>del</strong>la Maddalena, tale impostazione sarebbe<br />
un grave errore sotto il profilo più strettamente teologico,<br />
in quanto rimuoverebbe dall’episodio il ruolo
centrale ed insostituibile che il Cristo ebbe nella conversione<br />
<strong>del</strong>la peccatrice. Di conseguenza, Caiazza<br />
contesta la lettura iconologica in chiave ‘mistica’ effettuata<br />
nel 1975 da F. Cummings ed accettata troppo<br />
uniformemente da tutta la critica d’arte in quest’ultimo<br />
mezzo secolo: per Caiazza il Cummings giunge<br />
addirittura ad alterare il senso di un celebre inno di san<br />
Roberto Bellarmino (Pater superni luminis) che invece<br />
dimostra - a parere <strong>del</strong>l’autore - esattamente il contrario<br />
<strong>del</strong>la proposta <strong>del</strong> Cummings in quanto, mediante<br />
una precisa formula trinitaria, l’inno richiama appunto<br />
il momento preciso nel quale Gesù guardò la<br />
Maddalena inducendola alla conversione. In questo<br />
senso, Caiazza rimprovera al Cummings di aver effettuato<br />
una confusione ingiustificata di opere di altri<br />
autori coevi al Caravaggio, che rappresentavano Marta<br />
che rimprovera la sorella per la sua vita peccaminosa,<br />
mentre invece secondo Cummings il Caravaggio fonderebbe<br />
insieme il momento <strong>del</strong> rimprovero con quello<br />
<strong>del</strong>la conversione, ma in tal modo finirebbe (sebbene<br />
Cummings paia non rendersene conto) appunto<br />
per rimuovere o tacere il ruolo centrale di Gesù.<br />
Qual è allora il soggetto <strong>del</strong>l’opera? Caiazza avanza<br />
un’ampia e precisa ipotesi, presentata entro due<br />
prospettive di indagine storica: la prima è quella che<br />
riguarda la committente stessa <strong>del</strong> quadro di<br />
Caravaggio, e cioè Donna Olimpia Aldobrandini; la<br />
seconda è quella che riguarda un confronto tra l’opera<br />
di Caravaggio ed un’opera di Tiziano, e che tocca<br />
conseguentemente anche il problema <strong>del</strong>la maturazione<br />
da parte <strong>del</strong> Caravaggio di una sua poetica, sostanzialmente<br />
<strong>del</strong> tutto diversa, se non contrapposta, a<br />
quella <strong>del</strong> Tiziano e <strong>del</strong>la pittura veneta <strong>del</strong> XVI secolo.<br />
Caiazza fa infatti notare che Donna Olimpia<br />
Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII (1592-<br />
1605) e sorella <strong>del</strong> cardinal nepote Pietro<br />
Aldobrandini, in quattordici anni di matrimonio<br />
(1587-1601) con Gianfrancesco Aldobrandini,<br />
comandante generale <strong>del</strong>l’esercito pontificio, ebbe da<br />
lui ben dodici figli, e quindi era quasi sempre in stato<br />
interessante, come appunto Caravaggio rappresenta la<br />
donna centrale <strong>del</strong> quadro: e Donna Olimpia dovette<br />
essere - come <strong>del</strong> resto tutti ammettono - anche la<br />
committente <strong>del</strong> quadro, tanto che esso si trovava<br />
nella camera antistante la sua camera da letto, come<br />
testimonia un inventario redatto nell’anno 1606. Ma in<br />
quali circostanze e perché Donna Olimpia commissio-<br />
SALTERNUM<br />
- 182 -<br />
nò il quadro a Caravaggio? Naturalmente, allo stato<br />
attuale <strong>del</strong>la documentazione storica ed archivistica,<br />
noi non abbiamo documenti che forniscano motivazioni<br />
certissime: e tuttavia l’autore avanza una ipotesi<br />
altamente suggestiva, e con un buon grado di probabilità,<br />
o almeno di ragionevolezza.<br />
A Ferrara, ricorda infatti Caiazza, Tiziano aveva<br />
dipinto verso il 1519-1520 un quadro su commissione<br />
<strong>del</strong> duca Alfonso I d’Este (da pochi anni vedovo di<br />
Lucrezia Borgia), nel quale Tiziano aveva rappresentato<br />
il duca con la sua nuova amata, Laura Dianti dalla<br />
quale ebbe dei figli e dei discendenti che però settant’anni<br />
dopo Clemente VIII considerò illegittimi al fine<br />
di poter rientrare in possesso di Ferrara, feudo <strong>del</strong>la S.<br />
Sede. Come che sia, nel quadro il Tiziano aveva rappresentato<br />
i due amanti, Alfonso e Laura, in un<br />
momento di intimità mentre la donna faceva Toletta<br />
allo specchio (come le varie copie <strong>del</strong> quadro presenti<br />
oggi in almeno quattro musei d’Europa vengono definite).<br />
La singolarità <strong>del</strong> quadro di Tiziano in relazione a<br />
quello di Caravaggio consiste per Caiazza nel fatto che<br />
in quel quadro ferrarese Tiziano aveva rappresentato<br />
una decina di elementi che ricompaiono poi nella tela<br />
di Detroit: lo specchio convesso con il suo riflesso di<br />
luce, il tavolo con il vasetto di profumo ed il pettine,<br />
la ‘fede’, o anello, all’anulare sinistro, la posa stessa<br />
<strong>del</strong>la donna, ed altro ancora. Caiazza sostiene allora<br />
che tanti elementi presenti nei due quadri non possono<br />
essere affatto casuali, bensì devono dipendere gli<br />
uni dagli altri: vale a dire che Caravaggio deve aver<br />
visto a Roma il quadro di Tiziano che rappresentava<br />
Alfonso e Laura, e deve aver ricavato proprio da questo<br />
quadro gli elementi che ritroviamo in comune<br />
nelle due tele, anche se da Caravaggio rielaborati e<br />
rifusi in un contesto <strong>del</strong> tutto diverso.<br />
La lettura è supportata, a livello <strong>del</strong>le circostanze<br />
storiche contemporanee, proprio dalla vicenda <strong>del</strong><br />
ducato di Ferrara e <strong>del</strong>la sua ‘devoluzione’. Infatti, nel<br />
1597, papa Clemente VIII considerò estinta la linea<br />
legittima degli Este a Ferrara, ed incaricò il nipote<br />
card. Pietro Aldobrandini (fratello di Olimpia) di organizzare<br />
una spedizione militare verso Ferrara (guidata<br />
dal generale Gianfrancesco Aldobrandini, marito di<br />
Olimpia). La riconquista <strong>del</strong> ducato da parte <strong>del</strong> potere<br />
pontificio nel successivo 1598 comportò anche il<br />
trasferimento a Roma da parte <strong>del</strong> cardinale Pietro e<br />
<strong>del</strong> seguito papale (tra cui il card. Del Monte, amico e
protettore di Caravaggio, da lui ospitato nella sua residenza<br />
romana di Palazzo Madama) di moltissime<br />
opere d’arte presenti nel castello e nella città di Ferrara<br />
o anche acquistati dall’Aldobrandini a Venezia: in tale<br />
occasione, giunsero a Roma molte opere di Tiziano.<br />
Caiazza, dunque, propone, sulla scorta di queste<br />
precise ed incontestabili circostanze storiche, l’ipotesi<br />
che tra i tanti quadri di Tiziano dovette giungere a<br />
Roma anche quello che rappresentava l’affetto di<br />
Alfonso I verso Laura Dianti, che questo quadro fu<br />
visto da Donna Olimpia la quale dovette commissionare<br />
a Caravaggio una tela che rappresentasse il suo<br />
stato di moglie fe<strong>del</strong>e e prolifica (forse proprio come<br />
dono per Gianfrancesco): ma, non essendo presente<br />
costui a Roma (dato che era a Ferrara), Caravaggio<br />
deve aver sostituito all’uomo <strong>del</strong>la tela <strong>del</strong> Tiziano una<br />
fantesca di Donna Olimpia che fa il conto sulle dita<br />
<strong>del</strong> tempo che manca al parto, e cioè proprio in riferimento<br />
all’avanzata gravidanza rappresentata con ogni<br />
evidenza da Caravaggio nella sua tela.<br />
E, tuttavia, la conclusione alla quale Caiazza ritiene<br />
di poter approdare nella sua ipotesi interpretativa con-<br />
ADRIANO CAFFARO<br />
- 183 -<br />
siste nel fatto che con questo quadro Caravaggio ha<br />
avuto il destro - a seguito <strong>del</strong>la commissione datagli da<br />
Donna Olimpia - per differenziare la sua poetica pittorica<br />
da quella di Tiziano e di tutta la pittura veneta,<br />
specie <strong>del</strong> secondo Cinquecento: non a caso, conclude,<br />
infatti, l’autore, è con questo quadro che<br />
Caravaggio cominciò, come dice il Bellori, ad ‘ingagliardire<br />
gli oscuri’ e cioè a chiudere lo sfondo <strong>del</strong>le<br />
tele con ombre sempre più fitte, dalle quali faceva poi<br />
balzare alla luce i protagonisti <strong>del</strong>le sue opere.<br />
In conclusione, Caiazza, oltre a contestare decisamente<br />
l’attuale titolazione <strong>del</strong> quadro come di Marta e<br />
Maddalena, propone invece suggestivamente di intitolarlo<br />
come La Fe<strong>del</strong>tà coniugale (ovvero Donna Olimpia<br />
Aldobrandini) quale testimonianza <strong>del</strong>l’affetto di una<br />
moglie per il marito lontano, pensato dunque come<br />
dono per il ritorno <strong>del</strong>lo sposo; ma propone anche di<br />
considerarlo come un momento nodale nella parabola<br />
artistica e spirituale <strong>del</strong> Caravaggio, molto più di quanto<br />
finora si sia riconosciuto, per l’elaborazione <strong>del</strong>la<br />
poetica e <strong>del</strong>la stessa visione <strong>del</strong> mondo, che<br />
Caravaggio in quei precisi anni andava elaborando.
- 184 -
Appunti di viaggio<br />
In Cina: i guerrieri di Xi’an<br />
Andare in Cina e non visitare il grande<br />
esercito di soldati in terracotta a Xi’an è<br />
come andare in Egitto e non vedere le<br />
piramidi.<br />
I maestosi guerrieri di Xi’an, insieme alla Grande<br />
Muraglia, costituiscono ormai i simboli monumentali<br />
di una interessante nazione, desiderosa di mostrarsi<br />
e di proporsi con la grandezza <strong>del</strong>la sua storia, la<br />
bellezza <strong>del</strong>la sua arte e la tenacia operativa dei suoi<br />
tantissimi abitanti.<br />
I lavori di ritrovamento <strong>del</strong> grande e di un meno<br />
noto ‘piccolo’ esercito di soldati in terracotta nei<br />
pressi di Xi’an, come i lavori <strong>del</strong>la recente Expo di<br />
Shanghai, possono essere gli esempi <strong>del</strong> segno di una<br />
Cina determinata a cambiare con l’apertura a nuove<br />
tecnologie e a nuovi visitatori. Il rinnovamento,<br />
applicato nei campi più diversi <strong>del</strong>le attività umane,<br />
riguarda anche il turismo archeologico, considerato,<br />
per altro, una rafforzata fonte di guadagno e Xi’an<br />
con il suo parco archeologico, visitato da milioni di<br />
persone ogni anno, in questo caso lo conferma.<br />
Tappa obbligata, dunque, Xi’an dista due ore<br />
circa di aereo da Pechino. Con il suo illustre passato<br />
di capitale imperiale, ma con una dimensione più<br />
umana rispetto ad altre città cinesi, offre nel parco<br />
imperiale di Qin Shihuang, ai piedi <strong>del</strong>la collina artificiale<br />
di Li Shan, nella provincia di Shaanxi, uno<br />
spettacolo archeologico e culturale eccezionale.<br />
Il colpo d’occhio <strong>del</strong>la fossa n° 1 è immediato e<br />
suggestivo e induce a considerare la grandiosità <strong>del</strong>l’opera<br />
d’arte, il singolare ingegno e la fatica di chi ha<br />
lavorato 2200 anni or sono; motivazioni che giustificano<br />
che quest’opera sia stata annoverata tra i tesori<br />
patrimonio <strong>del</strong>l’Umanità indicati dall’UNESCO.<br />
Ci si trova di fatto al cospetto <strong>del</strong>la più importante<br />
scoperta archeologica <strong>del</strong> XX secolo: un capolavoro<br />
artistico e storico per il realismo con cui è stato<br />
ROSALBA TRUONO IANNONE<br />
- 185 -<br />
Fig. 1.<br />
Fig. 2.<br />
creato e che permette di approfondire le conoscenze<br />
<strong>del</strong>la Cina dei primi anni <strong>del</strong>l’Impero.<br />
Si tratta <strong>del</strong> tumulo mortuario <strong>del</strong> primo imperatore<br />
cinese, Qin Shihuang, colui che unificò la Cina e<br />
che a guardia <strong>del</strong>la sua tomba fece realizzare un esercito<br />
di guerrieri di terracotta, riprodotti a grandezza<br />
naturale nel III sec. a. C. Cosicché mentre Roma contendeva<br />
a Cartagine il dominio sul Mediterraneo, in<br />
Estremo Oriente Zheng, un giovane monarca tredicenne,<br />
dava inizio al processo di costruzione <strong>del</strong>
Fig. 3.<br />
Fig. 4.<br />
gigantesco impero cinese. Quando fu nominato re<br />
dei Qin, nel 246 a. C., Zheng fu a capo di un regno<br />
che era in lotta da più di due secoli con le monarchie<br />
vicine. Nonostante fosse giovane, in poco tempo<br />
vinse i suoi nemici e unificò l’Impero. Come primo<br />
imperatore <strong>del</strong>la Cina, con il nome di Qin Shihuang,<br />
volle la sua estrema dimora sotto il tumulo, oggi collina<br />
di Li. Qui costruì una vera e propria città sotterranea,<br />
una miniatura di tutto l’impero. Il mausoleo,<br />
circondato da due cerchie murarie, nell’ultima fase fu<br />
sepolto sotto un’enorme quantità di terra e ancora<br />
sconosciuta ne è la profondità.<br />
Uno storico <strong>del</strong>la dinastia Han, Si Maqian, scrive<br />
che il progetto imperiale era così ambizioso che per<br />
trentasei anni richiese il lavoro incessante di 700.000<br />
uomini. Furono costoro a costruire templi lussuosi,<br />
alti torrioni, dimore e palazzi sontuosamente arredati.<br />
Il soffitto <strong>del</strong>la tomba imperiale pare fosse adorno<br />
di costellazioni celesti in pietre preziose ed il pavimento,<br />
a forma di una vasta terra, era attraversato da<br />
fiumi e contornato da mari che non contenevano<br />
SALTERNUM<br />
- 186 -<br />
acqua, ma mercurio. Gli edifici esterni per varie<br />
cause furono distrutti, ma si pensa che enormi ricchezze<br />
giacciano ancora sottoterra.<br />
La scoperta archeologica fu casuale e la si deve ad<br />
un contadino <strong>del</strong>la Comune agricola Yanzhai, che<br />
nello scavare un pozzo, durante la primavera <strong>del</strong><br />
1974, sul monte Li, trovò a 5 metri di profondità, a<br />
1500 metri circa dal tunnel imperiale, la testa di un<br />
guerriero. Il contadino, oggi ottantenne, che orgogliosamente<br />
si compiace di rilasciare autografi ai visitatori<br />
<strong>del</strong> sito, riportò il fatto e il reperto alla Comune<br />
agricola che informò Pechino. Arrivarono sul posto<br />
gli archeologi che nel 1976 scoprirono l’esistenza di<br />
una galleria, dove erano allineate 6.000 statue, rappresentanti<br />
l’esercito personale <strong>del</strong>l’imperatore Qin,<br />
disposto per la battaglia.<br />
I guerrieri di terracotta, che si trovano a 1,5 km ad<br />
Est <strong>del</strong> tunnel mortuario <strong>del</strong>l’imperatore, si dividono<br />
in tre gruppi, e sembrano pronti per intraprendere la<br />
guerra. Insieme ai soldati ci sono carri da guerra e<br />
cavalli. Un esempio <strong>del</strong>la grandezza <strong>del</strong>l’opera ci è<br />
dato dalla fossa oblunga n° 1, la più grande, perché<br />
copre 14260 mq. In essa sono esposte 6.000 statue e<br />
cavalli di terracotta, carri di legno, organizzati in una<br />
formazione rettangolare di quattro parti: l’avanguardia,<br />
il corpo principale, le ali e la retroguardia.<br />
Negli undici tunnel furono messi colonne di cocchi<br />
e fanti armati. Evidentemente il corpo principale<br />
<strong>del</strong>lo schieramento, indicante la forza irresistibile <strong>del</strong>l’esercito!<br />
All’estremità, due squadre di guerrieri<br />
schierati di fronte a Nord e a Sud, come ali <strong>del</strong>l’esercito,<br />
sembrano pronti a resistere agli attacchi sui lati. A<br />
Nord-Est la fossa n° 2 , su una superficie di 6.000 mq,<br />
ospita altri cavalli che tirano carri, alcuni per la cavalleria,<br />
altri guerrieri che portano in una mano la balestra.<br />
Alcuni indossano la corazza e tirano in ginocchio,<br />
altri in piedi, altri disposti in cerchio per tirare alternativamente<br />
contro i nemici.<br />
Con una superficie di 500 mq circa, malgrado sia<br />
piccola, la fossa n° 3 ha una posizione più importante<br />
<strong>del</strong>le due maggiori, perché le figure rinvenute, i<br />
cavalli e i soldati sono muniti di strumenti da cerimonia<br />
e allineati come un corpo di guardia. E’ qui che<br />
sono state scoperte corna di cervo e ossa di animali<br />
serviti per sacrifici, che attestano la funzione <strong>del</strong>la<br />
fossa n° 3 come la sede <strong>del</strong> quartiere generale.<br />
La dimensione <strong>del</strong>lo scavo <strong>del</strong>le tre fosse è più di<br />
20.000 mq. Il lavoro degli archeologi e dei restaura-
tori dal 1974 ad oggi è incessante e costituisce solo<br />
un terzo <strong>del</strong> progetto finito. Le metodologie di scavo<br />
e di conservazione sono molto particolari e le stesse<br />
da anni; vale a dire si ritrova, si ripara e si presenta il<br />
reperto nel museo che diventa, in questo caso, anche<br />
un grande ed efficiente laboratorio, dove oltre ad<br />
avvalersi <strong>del</strong>la collaborazione di esperti di tutto il<br />
mondo, si utilizzano strumenti tecnologici moderni<br />
per la raccolta <strong>del</strong>le informazioni e per il restauro.<br />
Per quanto riguarda le armi a corredo <strong>del</strong>l’esercito,<br />
per rendere più reale l’atmosfera <strong>del</strong>la battaglia<br />
creata dallo schieramento dei soldati di Qin, esse<br />
sono state realizzate tutte in bronzo.<br />
Spade, coltelli curvi, lance, alabarde, armi piccole<br />
e lunghe, archi, frecce, armi da tiro, asce, armi da<br />
cerimonia sono oggetti reali, importanti per documentare<br />
la storia cinese. Su di esse sono scritti, fini e<br />
sottili come capelli, i nomi degli artigiani o quelli dei<br />
generali. Le armi di bronzo dissotterrate furono realizzate<br />
con tecniche avanzate. Fuse e mo<strong>del</strong>late, venivano<br />
limate, cesellate, perforate, lucidate e affilate<br />
secondo una foggia standard con tagli che rispettavano<br />
i principi <strong>del</strong>la tecnologia, di alto livello, inimmaginabile<br />
in una società antica, senza strumenti<br />
moderni. E’ stato verificato che le proporzioni <strong>del</strong>le<br />
leghe dei metalli impiegati erano preparate con accuratezza<br />
scientifica: le giuste proporzioni di rame e<br />
stagno nelle spade e nelle lance ne determinano l’esatta<br />
durezza; nelle punte <strong>del</strong>le frecce c’era meno stagno,<br />
ma il piombo era maggiore perché più velenoso.<br />
Ciò dimostra che durante la dinastia Qin, si era trovato<br />
uno standard relativamente ‘scientifico’ per<br />
determinare le proporzioni <strong>del</strong> metallo e rendere le<br />
armi più potenti. Una loro particolarità è anche una<br />
tecnica antiruggine. Tante armi sepolte da più di<br />
2200 anni sono infatti ancora lucide e ben affilate e<br />
dalle analisi risulta che tutte sono state cromate in<br />
superficie con un’opera artigianale molto specifica.<br />
Del grande esercito di terracotta è da ammirare<br />
l’arte plastica <strong>del</strong>le statue. Nelle tre fosse i circa 8.000<br />
guerrieri schierati con i loro cavalli in <strong>file</strong> regolari<br />
danno subito l’idea <strong>del</strong>la maestosità e <strong>del</strong>la potenza<br />
militare. In genere una statua è alta 1,80 m; le più alte<br />
misurano 2 m e tutte raffigurano uomini forti; un<br />
cavallo di terracotta è lungo 2 metri e alto 1,70: uguale<br />
ad un cavallo vero. E’ da sottolineare che le grandi<br />
quantità e le dimensioni non sono comuni alle<br />
figure di terracotta scoperte per le dinastie successi-<br />
ROSALBA TRUONO IANNONE<br />
- 187 -<br />
Fig. 5.<br />
Fig. 6.
ve. Un altro elemento singolare è lo stile realistico<br />
che si legge nella figurazione vivida ed autentica <strong>del</strong>le<br />
statue. Il realismo scultoreo dei reperti è sorprendente<br />
nella robustezza dei cavalli, nella divisione dei<br />
guerrieri per grado, nella differenza degli abiti, dei<br />
berretti, <strong>del</strong>le cinture o <strong>del</strong>le armature che indossano.<br />
I generali, per esempio, vestono due toghe lunghe<br />
con sopra un’armatura decorata a squame, calzature<br />
con la punta rivolta all’insù, cappelli con piume di<br />
fagiano, e il loro atteggiamento è leggiadro e distinto.<br />
Diversamente abbigliati sono gli ufficiali subalterni<br />
o i soldati eretti od inginocchiati.<br />
Un elemento sorprendente è la fattura <strong>del</strong> viso,<br />
per cui ogni statua è un capolavoro d’arte individuale:<br />
ogni viso, col suo diverso atteggiamento, è una<br />
pagina di dettagli personali; talvolta è ritratto anche<br />
qualche difetto, come il labbro leporino.<br />
Davanti a tanta varietà di personaggi sentiamo<br />
tutta la vitalità che esprimono e pare che stiano lì ad<br />
aspettare di poter aprire la bocca per conversare con<br />
noi, pronti a raccontare le loro vicende.<br />
Per quanto riguarda la pittura dai colori sgargianti<br />
occorre dire che esso è un altro elemento artistico<br />
che impreziosisce i numerosi reperti. Quasi tutti i<br />
guerrieri ed i cavalli furono dipinti a colori, ma a<br />
causa dei danni provocati dagli incendi e dalle erosio-<br />
SALTERNUM<br />
- 188 -<br />
ni <strong>del</strong> suolo, dovute all’azione disgregatrice <strong>del</strong>l’acqua<br />
nel corso di due millenni, la pittura originale sulle<br />
statue e sui cavalli oggi è purtroppo quasi sparita. Il<br />
colore conservato è quello dai toni accesi e dai contrasti<br />
forti, formato da pigmenti minerali che comprendono<br />
il rosso, il verde, il blu, il bianco, il nero e<br />
il giallo. Originariamente le figure umane e i cavalli<br />
erano quindi assai più belli e splendenti di oggi. Il<br />
risultato artistico è il frutto di un’alta tecnologia di<br />
fabbricazione <strong>del</strong>la terracotta ottenuto nella Cina<br />
antica e i tre gruppi di guerrieri costituiscono non<br />
solo uno spettacolo estetico per il visitatore, ma<br />
anche una testimonianza <strong>del</strong>l’antica arte militare<br />
cinese, le cui tecniche strategiche sono leggibili nell’aspetto<br />
e nella postura dei guerrieri che sembrano<br />
aspettare solo un ordine <strong>del</strong> loro imperatore per<br />
muoversi.<br />
A corredo dei guerrieri, nel grande museo sono<br />
anche due carrozze con cavalli di bronzo colorato,<br />
finemente lavorato; di recente scoperta, esse testimoniano<br />
l’alta tecnologia sviluppatasi nella Cina antica<br />
nella lavorazione <strong>del</strong> bronzo.<br />
E questo per il visitatore è il giusto completamento<br />
di uno spettacolo meraviglioso, certamente da non<br />
perdere!
SALTERNUM<br />
Indice<br />
Editoriale ............................................................................................................................................................................................p. 3<br />
di Gabriella d’Henry<br />
In ricordo <strong>del</strong> nostro Fondatore, Nicola Fierro............................................................................................................................p. 5<br />
di Felice Pastore<br />
La congiura di Capaccio....................................................................................................................................................................p. 9<br />
di Nicola Fierro<br />
Roccagloriosa, la tabula osca ed il caduceo: frammenti di un discorso sulla ‘città’ italica ....................................................p. 19<br />
di Maurizio Gualtieri<br />
I culti orientali in Campania nelle testimonianze archeologiche ..............................................................................................p. 29<br />
di Giovanni Vergineo<br />
Il tópos <strong>del</strong>la Campania felix nella poesia latina ..............................................................................................................................p. 47<br />
di Francesco Montone<br />
Giustiniano........................................................................................................................................................................................p. 59<br />
di Pietro Crivelli<br />
L’eremitismo rupestre, Prepezzano e la grotta <strong>del</strong>l’Angelo ......................................................................................................p. 71<br />
di Adriano Caffaro<br />
Il santuario di S. Maria <strong>del</strong>la Grotta e la Chiesa di S. Felice <strong>del</strong> casale<br />
di Balsignano nell’agro di Modugno (BA): luoghi di culto di un percorso antichissimo ....................................................p. 79<br />
di Claudio Armenise - Aurelia Daniela Rana<br />
Il ‘caso d’Oderisio’: il Maestro, la Croce e prospettive di lettura per una critica mancata ................................................p. 89<br />
di Gianmatteo Funicelli<br />
Analisi storica, archeologica e conservativa di due antiche cripte salernitane ....................................................................p. 101<br />
di Maria Amoruso<br />
Di san Tommaso sull’omonimo monte a Polla ......................................................................................................................p. 109<br />
di Vittorio Bracco<br />
Ricordo di Werner Johannowsky ................................................................................................................................................p. 113<br />
di Bruno d’Agostino<br />
Notizie dagli scavi<br />
Presentazione ..................................................................................................................................................................................p. 115<br />
di Maria Luisa Nava<br />
Salerno. Lo scavo di alcune sepolture in Via Vicinanza..........................................................................................................p. 119<br />
di Roberta Altobello<br />
Salerno. Le iscrizioni tardoantiche dalla necropoli di via Vicinanza ....................................................................................p. 125<br />
di Chiara Lambert<br />
Salerno. Corso Vittorio Emanuele: cinque nuove tombe e resti di una fornace da calce ................................................p. 129<br />
di Laura Mirabella<br />
- 189 -
SALTERNUM<br />
Archeologia nel centro storico di Salerno: le stratificazioni di Piazza Sant’Agostino ......................................................p. 133<br />
di Monica Viscione<br />
Lo scavo per il parcheggio <strong>del</strong>la tangenziale a Pastena (Salerno): alcune osservazioni sul paesaggio antico ................p. 139<br />
di Raffaella Bonaudo<br />
Salerno. Approvvigionamento idrico nell’area picentina ........................................................................................................p. 143<br />
di Daniela Pierno<br />
Area <strong>del</strong> Termovalorizzatore di Salerno: notizie preliminari <strong>del</strong>lo scavo archeologico ....................................................p. 147<br />
di Amedeo Rossi<br />
L’area sepolcrale <strong>del</strong>l’Età <strong>del</strong> Bronzo in località Ostaglio (Salerno)......................................................................................p. 163<br />
di Tsao Cevoli<br />
Il popolamento <strong>del</strong>la Valle <strong>del</strong> Grancano in età romana ........................................................................................................p. 169<br />
di Monica Viscione<br />
Il commercio marittimo nel Tirreno meridionale: nuovi dati da un relitto nelle acque di Palinuro ................................p. 175<br />
di Vincenzo Di Giovanni<br />
Recensioni<br />
PIETRO CAIAZZA, Caravaggio e la falsa Maddalena........................................................................................................................p. 181<br />
di Adriano Caffaro<br />
Appunti di viaggio<br />
In Cina: i guerrieri di Xi’an ......................................................................................................................................................p. 185<br />
di Rosalba Truono Iannone<br />
- 190 -
- 191 -
Finito di stampare<br />
da Arti Grafiche Sud, Salerno<br />
nel mese di Novembre 2010